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2015 Atti del convegno - Scuola

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2015 Atti del convegno - Scuola
2015
Atti del convegno
www.tuttaunaltrascuola.it
1
Tutta Un’Altra Scuola 2015 – atti del convegno
Sbobinatura ed editing: Alice Borali, Valeria Dei, Sabrina Scrobogna
© 2015 Editrice Aam Terra Nuova srl, via Ponte di Mezzo 1, 50127 Firenze
tel 055 3215729 – fax 055 3215793
[email protected] – www.terranuovalibri.it
ISBN 9788866811305
2
Indice
4
Introduzione - Nicholas Bawtree e Claudia Benatti
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Un’altra educazione è possibile - Paolo Mottana
9
Senza zaino, per una scuola comunità - Iselda Barghini
15
Le scuole Steiner Waldorf - Sabino Pavone
21
Per iniziare diamogli il mondo - Micaela Mecocci
27
Scuola Città-Pestalozzi, comunità educante - Valentina Giovannini
31
L’arte della nuova pedagogia - Adele Caprio
33
Cos’è Summerhill - Michaeal Newman
36
Homeschooling, la scuola non è un obbligo - Erika Di Martino
40
L’educazione parentale - Cecilia Fazioli e Valerio Donati
45
L’educazione libertaria: un modello di educazione alternativa - Andrea Sola
50
Un approccio esperienziale all’educazione - Christian Mancini
54
Educare alla felicità e alla decrescita: Alice Project - Gloria Germani
56
Domande e risposte. Prima parte
64
Domande e risposte. Seconda parte
I VIDEO DEL CONVEGNO
Sul canale YouTube di Terra Nuova Edizioni www.youtube.com/terranuovaedizioni
trovate i video integrali di tutti gli interventi.
Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno acquistato questi atti, aiutandoci a rendere
il materiale video disponibile gratuitamente.
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4
Introduzione
Nicholas Bawtree, caporedattore Terra Nuova
Il primo ringraziamento va a voi che siete venuti fin qui, anche da molto lontano! Vorrei
poi ringraziare il Comune di Vaiano che ci ha offerto questo magnifico spazio, insieme
all’associazione Terra Semplice e al collettivo Alchemia e vorrei ringraziare i relatori, che
hanno fatto un bel viaggio per essere qui e hanno messo insieme oggi qualcosa di veramente speciale. Grazie anche a tutti i volontari, che si sono dati da fare per sistemare questo spazio, e ai nostri sponsor, Ecor NaturaSì, Montessori Ticino Net e Vastarredo, che hanno avuto la lungimiranza di appoggiare quest’iniziativa, ma anche a tutti i lettori di Terra
Nuova e alle altre persone vicine a questi argomenti che, partecipando al nostro crowdfunding, hanno finanziato questo progetto.
Terra Nuova da tempo si occupa di raccogliere esperienze e raccontare le possibili alternative a un sistema educativo che si mostra sempre meno adeguato. Oggi qui abbiamo tante
esperienze diverse e vorrei partire, per rompere il ghiaccio, dalla mia: io ho avuto un progressivo disadattamento nei confronti della scuola convenzionale che ho frequentato. Avevo iniziato a dare la colpa prima di tutto a me stesso, poi agli insegnanti, poi ai miei compagni di banco… poi ho iniziato invece a pensare che forse c’era qualche cosa da cambiare
nel sistema intero. Ad aiutarmi nella ricerca di un’alternativa è stato un insegnante, che mi
ha detto: «Dovresti leggere qualcosa sulla scuola di Summerhill». Da lì mi si è aperto un
mondo, perché tutte le riflessioni che avevo fatto personalmente le ritrovavo scritte, le ritrovavo collegate a esperienze concrete e quindi mi si è proprio illuminata la via, tanto che
poi all’Università ho studiato questi argomenti. Proprio all’Università ricordo di aver letto,
su un periodico dedicato agli stessi temi di cui parleremo oggi, una frase che diceva in sostanza che, soprattutto riguardo alla scuola, se si pensa di aver trovato la verità, cioè la
strada più giusta, immediatamente la si è persa; quindi quello che faremo oggi è mettere
insieme esperienze concrete, ricerche, ognuna delle quali, però, non ha la pretesa di essere
la verità ultima. L’opportunità di oggi è quella di incrociare i nostri percorsi, di confrontarci, per andare ancora oltre, con l’auspicio che la cosa non finisca qui ma sia l’inizio di una
continua ricerca.
Un ultimo ringraziamento speciale, con affetto, lo vorrei fare a Claudia Benatti, che ha veramente creduto in questa bellissima avventura.
Buon incontro, buona giornata a tutti, passo la parola a Claudia.
Claudia Benatti, Terra Nuova.
Coordinatrice del gruppo promotore
Siamo tantissimi oggi e neanche immaginate quanto ci faccia piacere. Quando un anno fa
abbiamo cominciato a pensare a come avrebbe potuto essere questo giorno, ce lo eravamo
immaginati così, tante persone insieme che si ascoltano, si parlano, si raccontano e poi tornano a casa raccontando quello che hanno sentito qui. E via così, per seminare e diffondere. Per citare una bella frase di Sabino Pavone, uno dei relatori di stamattina, siamo qui anche per seminare il futuro oltre che per costruire il presente. Suona ambizioso, ma in realtà
è quello che si fa tutti i giorni facendo ciò in cui si crede e credendo in ciò che si fa.
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L’idea di un anno fa, che oggi si concretizza in una sua prima parte, non è solo quella di far
parlare un giorno qualche esperto, ma era ed è anche quella di cucire una rete di realtà e
persone che si scambiano le loro esperienze, le loro riflessioni, le risposte che hanno provato a dare alle tante domande che si sono posti. Noi speriamo di iniziare qui un’opera di
tessitura e, badate, non per uniformare o omologare alcunché né tantomeno per incasellare. Persone che si conoscono, approcci educativi che si confrontano, esperienze da parti diverse dell’Italia che scoprono magari di avere tanti punti in comune con altre o magari
qualcosa da imparare o insegnare. A me piace pensare che noi oggi, qui, siamo la «scuola»
che vorremmo per i nostri figli, un esempio di educazione continua e sempre in movimento, perché tiriamo fuori da noi stessi quanto di meglio abbiamo fatto e lo condividiamo. Ex
ducere è quello che facciamo noi oggi qui.
La nostra intenzione è di proseguire l’anno prossimo con un’altra edizione di questo confronto-racconto, dando spazio a tante altre realtà ma soprattutto con l’obiettivo di coinvolgere tanti operatori, genitori e cittadini. Perché la differenza la si fa se si parla, se ci si conosce. Quale sia il comune denominatore delle differenti esperienze che oggi si raccontano a
me pare chiarissimo: si parte dal bambino, dal ragazzo come individuo, una persona che
attraverso l’educazione e la scuola (che abbia o no le mura) acquisisca fiducia, senso critico, maturità, consapevolezza; non solo nozioni e non solo per superare l’esame impietoso
di chi con un voto o due parole pretende di sintetizzare cosa c’è dentro, fuori e intorno a
ciascun bambino.
Ringrazio, ma lo farò anche al termine della giornata, con il cuore le persone che hanno
fatto parte di questo gruppo promotore, che hanno lavorato insieme per un anno e che ho
avuto il piacere e l’onore di conoscere. Una grandissima opportunità. Saranno tutte sul
palco oggi.
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Paolo Mottana
Paolo Mottana è professore ordinario di filosofia dell’educazione all’Università di Milano Bicocca.
Ha insegnato Filosofia immaginale e didattica artistica all’Accademia di Brera e da anni si occupa
dei rapporti tra immaginario, filosofia ed educazione. Ha fondato il Gruppo di ricerca immaginale
presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Milano Bicocca e presiede l’associa zione Istituto di Ricerche Immaginali e Simboliche (IRIS). Nel suo blog dal titolo Controeducazione
sviluppa una politica culturale all’insegna dell’affermazione vitale dei sogget ti in formazione e in
conflitto con le pratiche di disciplinamento diffuse nelle agenzie di formazione istituzionali. Dirige
un Master universitario all’Università di Milano Bicocca dal titolo «Culture simboliche per le professioni dell’arte, dell’educazione e della cura».
Tra le sue pubblicazioni: Formazione e affetti (Armando, 1993); Il mèntore come antimaestro (a
cura di, CLUEB 1996); Miti d’oggi nell’educazione. E opportune contromisure (Angeli 2000);
L’opera dello sguardo (Moretti e Vitali, 2002); La visione smeraldina. Introduzione alla pedagogia
immaginale (Mimesis, 2004); Antipedagogie del piacere: Sade e Fourier e altri erotismi (Angeli,
2008); L’immaginario della scuola (a cura di Mimesis 2009); L’arte che non muore. L’immaginale
contemporaneo (Mimesis, 2010); Eros, Dioniso e altri bambini. Scorribande pedagogiche (Angeli,
2010); Piccolo manuale di controeducazione (Mimesis, 2012); Spacco tutto. Violenza e educazione
(a cura di, Mimesis,2013); Cattivi maestri. La controeducazione di René Schérer, Raoul Vaneigem,
Hakim Bey (Castelvecchi, Roma, 2014).
Un’altra educazione è possibile
Mai come in questo nostro tempo appare evidente a chi possieda una sensibilità pedagogi ca non normativa e autoritaria che la scuola, da istituzione da sempre disciplinare e soggiogante, è anche diventata terribilmente obsoleta e inadeguata. Non solo le sue procedu re, le sue strutture e la considerazione dei suoi ospiti, bambini e bambine, ragazzi e ragaz ze, drammaticamente subalterna alle logiche socioeconomiche oltre che a quelle di una ci viltà ancora fondamentalmente patriarcale, appaiono ormai inaccettabili. Ma più in gene rale rispetto agli obiettivi dichiarati, anche la sua credibilità ed efficacia è entrata definiti vamente in crisi.
La scuola, come istituzione, pubblica e privata, nei suoi fondamenti tradizionali, non ha
mai davvero avuto a cuore l’interesse peculiare di bambini e ragazzi che sono stati obbligati a frequentarla. Non li ha mai davvero coinvolti nella sua organizzazione e nella scelta
delle attività da fare al suo interno, non si è mai soprattutto preoccupata di coltivare la sin golarità, la vocazione, il germoglio di unicità racchiuso in ciascuno di loro.
Ciò che è peggio, è che la scuola, nella sua formula tradizionale, pubblica o privata che sia,
di ascendenza religiosa e normativa, è sempre stata concepita come un luogo che assegna
il primato alla mente, immobilizza i corpi, fa tacere le emozioni e l’immaginazione, castra i
desideri, impedisce un’attiva e plurale partecipazione, allinea le differenze. Non solo, il
suo apparato è di fatto costruito come un sistema di fatturazione della dimensione organizzativa di ogni esperienza, sezionata per discipline (rese astratte e disincarnate dal corpo
del sapere e della realtà), per livelli, per ordini, per classi, per generi, per orari, per età. La
scuola assoggetta chi vi entra a un dispositivo che impedisce di vivere un’esperienza che
abbia davvero qualcosa a che fare con la struttura organica e integra della realtà. Ed è que sta la spiegazione anche della sua inefficacia: mortifica la dimensione vitale ed esperien ziale dell’imparare.
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Nel tempo, nonostante le molte riforme e anche contro le buone sperimentazioni che, soprattutto in alcuni periodi, l’hanno almeno parzialmente costretta a ripensarsi, la scuola è
tornata ad essere un luogo schiacciato dal primato dell’economia e del mercato e mai come
oggi questi impongono ad essa i contenuti, i metodi, le procedure di selezione.
D’altra parte col tempo è cresciuta anche la consapevolezza, nei bambini, nei ragazzi stessi
e nelle loro famiglie che la proposta educativa della scuola è appunto povera, inadeguata e
molto spesso mortificante. Una proposta che non è nella maggior parte dei casi capace di
coinvolgere, di interessare, di motivare adeguatamente i suoi ospiti.
Di fronte a tutto questo da molto tempo ma con particolare veemenza più recentemente,
sono nate esperienze alternative di educazione per bambini e ragazzi. Proposte certamente
anche molto differenziate tra loro ma in generale accomunate da una preoccupazione comune: quella di fornire a bambini e ragazzi, a bambine e ragazze, risposte a quello che essi
sono più autenticamente, ai loro interessi, alla loro natura, alle loro potenzialità.
Esiste un arcipelago esteso e frastagliato di esperienze e iniziative educative anche di lun go periodo e rivolte a differenti fasce d’età, al momento ancora poco conosciuto e spesso
sommerso ma vivo e desideroso di affermare la sua identità e le sue idee, oltre che le sue
pratiche.
Questo mondo, che annovera vere e proprie scuole di antica fondazione, come le scuole
ispirate al metodo Waldorf, le scuole Montessori, la scuola Pestalozzi e molte altre accanto
a germogli più dispersi e talora molto recenti come le scuole parentali, quelle libertarie, le
«scuole senza zaino» o le molteplici esperienze di homeschooling, almeno qui in Italia, finora ha dialogato relativamente poco.
Appare invece urgente, anche e proprio per fornire risposte organizzate, un lavoro di
orientamento e anche approfondimenti in un campo solcato da proposte esemplari ma an che molto diverse. É necessario attivare iniziative che consentano agli attori di questo
mondo sommerso di incontrarsi, di conoscersi, di confrontarsi, con lo specifico obiettivo di
affermare nuove idee per la formazione dei bambini e dei ragazzi, per riparare ai guasti
dell’educazione scolastica, per rivendicare nei confronti dei più giovani, che non hanno
parola e ben poche sedi ove farsi valere, il sacrosanto diritto a godere di un’infanzia e di
un’adolescenza a loro misura, disegnata effettivamente sul loro profilo, sulle loro esigenze,
sulle loro possibilità.
E’ urgente e vitale conoscere e valorizzare tutti quei percorsi dove i bambini e i ragazzi
possano finalmente essere davvero pienamente coinvolti, come soggetti a pieno titolo, nella loro «ciascunità» irriducibile (Hillman), come persone che possiedono intelligenza ma
anche emozioni, intuizioni, immaginazione e creatività e soprattutto un corpo, un corpo
vivo, senziente e desiderante che da sempre appare trascurato e soggiogato dagli apparati
educativi tradizionali. Si deve fare in modo di creare spazi dove finalmente i bambini e i
ragazzi abbiano il diritto di esprimersi, di partecipare, di decidere, di far valere la propria
soggettività, dove sia scongiurata la paura, che domina i contesti della formazione tradi zionale attraverso le infinite e insostenibili procedure della misurazione e della valutazio ne, e dove sia invece incentivata la passione di imparare, di comunicare, di condividere.
A questo fine, un fine cruciale, perché è nei primi anni di vita, a contatto con insegnanti e
educatori, che molte delle abitudini e dei comportamenti fondamentali di tutti noi e dei futuri abitanti di questo mondo vengono plasmati - e questo le istituzioni politiche ed economiche lo sanno benissimo-, crediamo sia opportuno organizzare un evento come «Tutta
un’altra scuola» in cui finalmente queste realtà, quelle di più antica fondazione e quelle
più giovani, possano iniziare a dialogare, porsi in comunicazione, attivarsi per affermare
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in modo sempre più visibile ed efficace la propria presenza e la presenza delle proprie idee
coraggiose e in controtendenza. Perché oggi occorre fare «massa critica», non basta coltivare orticelli aristocratici e separati tra di loro, dove gruppi di genitori e educatori sensibili
edificano realtà belle e indipendenti. Occorre che tutto questo si renda visibile e cominci a
rappresentare per tutti un’alternativa credibile, percorribile, sostenibile, integrata (pur nel le differenze). E’ su questo terreno che bisogna muoversi, attraverso gesti visibili, «ipergesti» (Citton), attraverso azioni politiche e di informazione, attraverso la rivendicazione che
nel mondo del pubblico l’attenzione effettiva per le esigenze di bambine e bambini, ragaz ze e ragazzi, siano finalmente tenute in considerazione.
Le idee che accomunano la maggior parte di queste realtà in continua evoluzione, di ciò
che anche supera il concetto di scuola, rappresentano una radicale differenza rispetto a
quelle dell’educazione tradizionale presenti nel dibattito pedagogico più diffuso e propagandato. Un dibattito che a tutt’oggi appare attardato, chiuso e aggrappato alla realtà sco lastica maggioritaria invece di guardare con attenzione e speranza verso chi davvero si
prende cura delle possibilità, delle peculiarità e dei desideri delle giovani generazioni.
E’ dunque per favorire un decisivo rinnovamento dell’educazione dell’infanzia e dell’ado lescenza che «Tutta un’altra scuola» nasce e ha intenzione di battersi con tutte le sue forze,
per non abbandonare il nostro futuro nelle mani delle burocrazie, degli apparati di potere
e delle esigenze acefale e brutali dell’economia del profitto e della distruzione.
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Iselda Barghini
Docente distaccata sulla Rete Nazionale Scuole Senza Zaino - Istituto Comprensivo di Fauglia (Pi).
Coordinamento e organizzazione della Rete, organizzazione e gestione albo formatori.
Info: www.senzazaino.it
Senza zaino, per una scuola comunità
Il bambino/ragazzo, cittadino costruttore del proprio apprendimento, insieme ad altri, è la
missione delle scuole Senza Zaino, per una scuola comunità.
Un movimento di scuole pubbliche, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, che co stituisce una rete diffusa in tredici regioni italiane da Nord a Sud del paese.
Le scuole partecipanti alla rete sono 300 e sono coinvolti 2200 docenti e 16.000 ragazzi cir ca.
Il modello di scuola nasce da un gruppo promotore formato da docenti e dirigenti scolastici che nel 2002 hanno provato a ripensare l’intera organizzazione della scuola (dagli spazi
delle aule e dei corridoi, alla scansione del tempo-attività nella giornata scolastica, alle re lazioni affettive fra bambini e fra adulti e bambini, al «cosa e come» si insegna ma soprattutto «al cosa e come si apprende»).
La scuola Senza Zaino si è consolidata e cresce proprio come movimento dal basso perché
sono i docenti, che in queste scuole studiano e realizzano pratiche didattiche, ad essere i
principali attori del cambiamento. Essi hanno come riferimenti teorici autori e teorie diver se, italiane e straniere, messe insieme dopo un’attenta riflessione sulla pratica nelle moda lità della ricerca condivisa fra i colleghi della scuola e delle scuole della rete.
Quale idea di scuola da realizzare e quale idea di bambino/ragazzo hanno i docenti che
aderiscono al movimento? Queste sono le prime domande che ci poniamo e poniamo ogni
volta che apriamo un percorso educativo di innovazione in nuove scuole.
Hanno gli adulti «coscienza dell’infanzia» , così definita negli anni ’70 da Idana Pescioli,
pedagogista alla facoltà di Magistero dell’Università di Firenze? Diceva Pescioli: «Coscienza dell’infanzia come consapevolezza specifica degli adulti dei valori che portano in sé i
bambini, in quanto dotati di una straordinaria ricchezza di potenzialità di apprendimento
e sviluppo, di capacità competenze logico-inventive tramite soprattutto il lavoro di gruppo, e quindi come soggetti produttori di una cultura originale e cooperativa. Coscienza
dell’infanzia, dunque «per il tempo dei bambini» con i loro diritti al rispetto e alla difesa
della paura di ogni giorno: verso una civiltà «altra» di cooperazione e solidarietà». I valori
fondamentali del modello di scuola Senza Zaino sono l’ospitalità, la responsabilità, la co munità all’interno di una cornice culturale che abbiamo definito di Approccio globale al curriculum.
Vediamo come traduciamo i tre valori in proposte didattiche.
Nell’esperienza Senza Zaino, l’ospitalità richiama l’attenzione agli ambienti scolastici (aule
e spazi comuni) dove i ragazzi trascorrono molte ore del loro tempo di vita: spazi quindi
accoglienti, ordinati, curati anche esteticamente, «spazi pensati».
Le scuole senza zaino nel loro percorso di innovazione partono a ripensare, riprogettare,
modificare le aule prima, e gli altri spazi poi, coniugando l’organizzazione dello spazio
alle pratiche didattiche per l’apprendimento.
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Niente più cattedre (sembra un’azione scontata, ma non lo è, soprattutto nella secondaria),
niente banchi individuali sostituiti nell’infanzia e nella primaria da tavoli quadrati dove
lavorano insieme sempre dei gruppi fino a cinque, sei bambini.
Il tavolo da lavoro è il luogo dell’incontro, dello scambio di idee, della progettazione co mune, dell’aiuto reciproco, della condivisione del materiale, del lavoro in piccolo gruppo,
dell’ascolto, del dialogo.
Nella scuola secondaria sono stati introdotti tavoli link che stanno uniti ma possono dividersi ogni volta che i ragazzini devono o vogliono lavorare in autonomia, da soli.
Nell’aula è posta un’agorà, cioè uno spazio dove si ritrovano i bambini per conversare in
grande gruppo ma anche per leggere storie da soli mentre gli altri stanno ancora lavoran do ai tavoli. Nelle classi quarte e quinte l’agorà è sostituita da divanetti e poltrone. Nelle
scuole superiori divanetti e poltrone invece sono in altri spazi dell’edificio. Poiché il materiale è comune e rimane quasi tutto in classe, ogni bambino ha un proprio spazio nei mobi letti (buchette) presenti in classe che gestisce in autonomia portando anche oggetti perso nali a lui cari.
Ma, l’altro aspetto importante, per lo «spazio pensato» è l’aula suddivisa in aree di lavoro
attrezzate, ricche di materiali - anche prodotti nelle «Fabbriche degli strumenti» - a cui i ragazzi possono accedere in autonomia e in libertà scegliendo che cosa fare e come fare (ogni
area di lavoro è accompagnata dalle istruzioni per l’uso costruite con i ragazzi).
L’organizzazione dell’aula in aree distinte rende così possibile più attività in contemporanea, lo sviluppo dell’autonomia e la possibilità di scelta dei ragazzi.
Il valore dell’ospitalità è inteso anche in un’accezione più ampia. Esso ha a che fare con
l’accoglienza delle diversità di culture, genere, lingue, interessi, intelligenze, competenze,
abilità: si tratta di ospitare l’essere umano nella sua interezza fatta di doni, di talenti, di
predisposizioni ma anche di bisogni, debolezze e fragilità.
Concretamente poi l’ospitalità impegna a realizzare un insegnamento differenziato e pratiche di gestione personalizzata della classe dando spazio alla varietà delle intelligenze e de gli stili cognitivi realizzando così una scuola inclusiva «per tutti e per ciascuno».
Il secondo valore è quello della responsabilità. Abbiamo provato a declinarlo in azioni formative rivolte ai ragazzi e agli adulti, siano essi insegnanti e genitori.
Pensiamo ai piccoli compiti di responsabilità in una classe di scuola primaria: dall’annaf fiatura delle piante alla messa in ordine del materiale nelle aree di lavoro. A ogni tavolo
viene assegnato un responsabile, ogni classe due rappresentanti eletti per partecipare al
consiglio della scuola con le idee-proposte della propria classe. Gli impegni vengono scelti
dai ragazzi, scanditi temporalmente, auto valutati, ripensati, riproposti in forme diverse.
Il CRA (Consiglio Rappresentanti Alunni oppure - visto dalla parte degli adulti - Responsabilità Consapevolmente Agita) porta i ragazzi delle classi a discutere insieme dell’organizzazione della scuola, delle sue regole ma anche delle sue libertà. Il CRA rende i ragazzi
partecipi, consapevoli, responsabili.
Naturalmente il tema della responsabilità dei ragazzi passa anche attraverso la scelta delle
attività e nelle attività stesse che costituiscono il percorso di apprendimento dei ragazzi.
Coinvolgere bambini e ragazzi nella costruzione «su misura» del loro percorso di apprendimento per renderli responsabili delle scelte che fanno, significa anche mettere a loro di sposizione tante possibilità di scelta di attività per sollecitare la loro curiosità, stimolare la
motivazione, renderli indipendenti.
Qui entra in gioco la responsabilità degli adulti di saper organizzare e gestire la classe dif ferenziando l’insegnamento. La formazione dei gruppi classe e all’interno della classe,
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l’alternanza del lavoro fra piccolo gruppo, coppia, lavoro individuale e grande gruppo, la
divisione dei compiti per un progetto, le stazioni per discipline, il tutoring e il rapporto tra
quelli che entrano e gli anziani della scuola, sono aspetti didattici che mettono fortemente
in relazione autonomia e responsabilità.
Ma nessun bambino sarà in grado di coniugare autonomia, partecipazione e responsabilità
se gli adulti che stanno al suo fianco non sono in grado di tradurre dentro le loro scuole i
valori di cui sopra in azioni concrete. E l’insegnante a scuola ha necessità di lavorare insieme agli altri colleghi per raggiungere traguardi significativi.
Ecco perché il modello di scuola Senza Zaino è portatore di un grande significato culturale
e propone pratiche didattiche per costruire la comunità dei docenti e dei bambini nelle
classi.
La metafora che utilizziamo (che nelle nostre scuole è concretezza) è l’aula docenti. L’aula
docenti è il luogo dell’incontro fra i docenti di quella scuola, dello scambio dei materiali,
del riposo fra un’ora e l’altra, della lettura individuale, della progettazione di gruppo; in somma è uno spazio comune che identifica la comunità della scuola perché insieme si cresce in cooperazione, in solidarietà, in responsabilità. Ma l’intera scuola è comunità (compresi i genitori) e l’opera educativa è l’azione nonviolenta per eccellenza.
Senza zaino e la nonviolenza attiva
Il Modello di Scuola Senza zaino ha nel proprio Dna le strutture teoriche e pratiche portanti per costruire atteggiamenti e comportamenti di nonviolenza attiva.
Provo ad evidenziarli.
NO allo zaino simbolo di conformismo e di peso specifico.
Abbiamo sostituito lo zaino con piccole cartelle costruite per il nostro istituto dal laboratorio della comunità dei tossicodipendenti presente nel territorio. La cartella è piccola perché
poche devono essere le cose che il ragazzino si porta da casa a scuola e viceversa. Gli og getti per l’apprendimento e i libri trovano posto a scuola e a casa per usarli quando servo no. Appesantire le spalle dei nostri bambini è violenza e prevaricazione dell’adulto che fra
l’altro è consapevole che il bagaglio sulle spalle non produce cultura.
Vorrei riportare qui un brano di un libro di Idana Pescioli che più volte ho citato perché
esemplificativo di come oggi funziona ancora tanta scuola italiana: «Ormai tutti i bambini
portano sulle spalle – in zainetti coloratissimi e allegri - il peso “specifico” che la scuola richiede. Cioè tanti quaderni: oggi più belli e colorati ma accresciuti di dimensione e numero
(per la “brutta” e la “bella”, almeno due per ogni materia... arrivando anche fino a dieci!) e
tanti libri (anch’essi più belli e colorati, ma aumentati di numero e di spessore); oltre alle
non poche schede di verifica fotocopiate (per lo più con disegni stereotipi da riempire di
colori o di segni convenzionali di assenso o dissenso a quiz... uguali per tutti!). Ebbene,
questo mucchio pesantissimo di oggetti cartacei è ciò che si usa chiamare il bagaglio culturale: oggi per certo metafora del peso enorme che la scuola lascia ogni giorno sulle spalle
dei bambini... poco attivizzati... In altre parole, gli oggetti del bagaglio culturale restano
per lo più preponderanti mezzi di apprendimento faticoso e ripetitivo il quale, per
l’appunto non esalta i bambini come soggetti di cultura ma li opprime costringendoli a
sforzi... senza coinvolgerli in un impegno profondo ed in una gioia autentica».
Noi e le altre scuole Senza Zaino, utilizzando borse e cartelle piccole e artigianali (a filiera
corta), vogliamo collegare concettualmente la cartella leggera con una scuola a misura dei
bambini e dei ragazzi. Una scuola mite, autentica, che richiede sforzo e impegno coniugato
a gioco e lavoro per la salute, la libertà, la giustizia, la nonviolenza, la cooperazione.
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Una lente di ingrandimento sulla qualità degli spazi dell’aula e della scuola
La strutturazione dello spazio aula e della scuola realizzato nelle modalità che vedono i
bambini autonomi, responsabili, partecipi permette da subito la costruzione di un clima
educante. «I bambini vengono volentieri a scuola» dicono i genitori nelle nostre scuole e in
quelle della rete nazionale. È importante essere soddisfatti di quello che stiamo facendo e
l’influenza reciproca fra bambini soddisfatti e insegnanti motivate è molto forte, tale da
creare da subito relazioni affettive importanti e quindi nonviolente.
L’insegnante non alza più la voce e sta con i ragazzi girando tra i tavoli, i ragazzi dialogano guardandosi in faccia, ma i ragazzi vanno anche a lavorare da soli o in coppia in altri
luoghi dell’aula attrezzati per le loro attività: dall’agorà per la discussione e la progettazio ne della giornata, ai divanetti per la lettura, al tavolo con gli strumenti tattili per giochi di
approfondimento sulle discipline e all’angolo con i computer per le attività con strumenti
digitali.
In questi luoghi si esercita l’autonomia delle scelte e la responsabilità nel portare a termine
il proprio lavoro, si cresce rispettando tutti. Inoltre, l’attenzione verso questi luoghi e questi oggetti da parte dei bambini e degli adulti è un altro aspetto che costruisce atteggiamenti e comportamenti di nonviolenza attiva: dalla cura degli oggetti al prendersi cura
delle persone; il bambino più grande che accompagna il piccolo nella realizzazione di tan te attività diventa una consuetudine favorendo l’organizzazione di laboratori dall’infanzia
alla secondaria con ragazzi di età diverse. Curare significa anche rendere belle le scuole
per l’aspetto estetico (colorate, pulite, con comunicazioni visuali chiare) e per la formazione di una comunità di intenti educativi e pratiche didattiche.
La cura delle relazioni determina «il clima» della scuola
Di fatto i rapporti fra gli adulti prima ancora che fra i bambini e fra gli adulti e i bambini
sono uno degli aspetti fondamentali per la costruzione di un clima di nonviolenza attiva.
Sono gli adulti, siano essi gli insegnanti, i custodi, i genitori e finanche il personale amministrativo e il dirigente, coloro che determinano le scelte educative che si traducono in
comportamenti ogni giorno dentro e fuori la scuola. Favorire e curare queste relazioni è
compito del dirigente ma anche di ogni membro del grande e piccolo gruppo, dell’intero
istituto e della singola scuola.
La cura delle relazioni parte dall’ascolto delle diverse, molteplici richieste, opinioni, idee
di adulti differenti per storie personali e per ruoli educativi, ma anche dalle attenzioni che
i docenti hanno tra di loro e verso i genitori e tra quest’ultimi e la scuola nelle sue varie
componenti. Il concetto di cura implica l’accoglienza, l’ospitalità, la costruzione della comunità che sono tutti valori delle scuole senza zaino ma sono presenti con forza anche nelle indicazioni del Ministero. Nella pratica quotidiana è necessario abbandonare i pregiudi zi e non giudicare l’altro per come si comporta, per quello che dice ma cercare di capire ciò
che l’altro vuol esprimere anche quando le idee e le pratiche sono diverse. La risoluzione
dei conflitti passa sempre attraverso la mediazione e la scuola è il luogo dove fare mediazione è didattica quotidiana. Ciò vale per adulti e bambini e quello della mediazione è per
noi un aspetto della cura delle relazioni, con la convinzione che il vero motore del cambiamento sono gli adulti nonviolenti, gli adulti che rispettano i bambini nel loro essere portatori di diritti, gli adulti che ritengono la lentezza una virtù, gli adulti che si abbassano a
parlare all’altezza dei bambini per guardarsi negli occhi.
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Naturalmente la formazione degli adulti per raggiungere la nonviolenza attiva va rinnovata spesso perché gli adulti cambiano e i bambini stessi sono portatori di esperienze diverse
sulla base dei differenti stimoli che ricevono in famiglia e nel contesto sociale. La scuola,
però, è un’ancora importante per la crescita nonviolenta dei ragazzini e le pratiche didattiche possono aiutare molto per formare persone miti.
I tempi dei bambini sostituiscono i tempi delle discipline
Obiettivo difficile da raggiungere soprattutto quando gli orari scolastici sono scanditi
(come nella scuola secondaria) da cattedre orarie con insegnanti impegnati su più scuole.
La complessità di ridefinire i tempi della scuola tenendo conto dei tempi di apprendimen to dei ragazzi non impedisce di provare a modificare alcune forme organizzative: ecco allora orari adattati alle attività di apprendimento in classe e nei laboratori dove le classi si
mescolano e si riorganizzano; e ancora organizzazioni legate alla progettazione della classe
dove i docenti fanno insieme le attività previste dalla mappa generatrice piuttosto che la
separazione per discipline e infine anche interruzioni delle ore disciplinari per dar vita alla
settimana della responsabilità in ogni scuola secondaria.
Queste in sintesi sono alcune delle forme organizzative per migliorare la gestione dei tem pi in funzione delle scelte educative seguite dalle scuole ma l’aspetto che più mi preme
sottolineare è il concetto di tempo slow su cui lavoriamo da alcuni anni.
La fretta è la costante comportamentale che accompagna gli adulti nella quotidianità della
vita, la fretta di arrivare a mete individuali spesso legate a comportamenti esteriori .
La fretta con cui ogni adulto vive le proprie scelte portandosi dietro i bambini e i ragazzini
che avrebbero tutt’altri bisogni. Anche i docenti non sono immuni dalla fretta di «insegnare a leggere in classe prima di Natale», «riempire i quaderni di schede fotocopiate per di mostrare di fare il programma», «assegnare molti compiti a casa per esercitarsi»: esempi
questi che testimoniano quanto poco gli insegnanti nelle scuole italiane tengono conto dei
tempi di apprendimento dei bambini e soprattutto non valorizzano la «lentezza» che può
invece essere utile per l’approfondimento, la riflessione, l’attenzione alle cose e alle perso ne, la consapevolezza di ritmi individuali e la conseguente organizzazione autonoma delle
attività.
Le scuole Senza Zaino sono tornate più volte a riflettere e studiare come impostare il ritmo
della giornata a scuola dei bambini e dei ragazzi come fare collettivo e come momento in dividuale di apprendimento. La scuola senza zaino si impegna molto nel rispetto dei ritmi
individuali (autonomia e responsabilità dei bambini, partecipazione alla progettazione
della giornata, individualizzazione dei percorsi, strutturazione degli spazi) ma i docenti
hanno lavorato con gli adulti e in molte situazioni anche con i ragazzi sul concetto di tempo lento, di scuola slow .
Né premi né punizioni; e il voto?
Idana Pescioli scriveva a questo proposito nel 1954 a Settignano «senza voti né pagelle;
senza premi né castighi... ma lavoro libero attuato individualmente o in piccoli gruppi».
Nelle scuole primarie che adottano il modello Senza Zaino non vengono dati voti, il voto
non viene adoperato come pratica di valutazione dei prodotti dei bambini. Purtroppo sulla
scheda di valutazione ministeriale il voto è stato reintrodotto in maniera obbligatoria dalla
legge nazionale, per cui tutti i docenti della primaria hanno anche il compito di aiutare
bambini e genitori a comprendere la relazione fra il voto sulla pagella e le pratiche di autovalutazione che vengono stabilite con i ragazzi sulla base dei criteri di lettura di un dise 14
gno, di un dettato, di un problema. I diversi docenti hanno deciso insieme ai loro ragazzi
differenti pratiche di autovalutazione che riportano tutte alla definizione dell’acquisizione
di competenze prevista dalle Indicazioni ministeriali e, nelle articolazioni di coordinamento zonale delle scuole Senza Zaino, il tema dell’autovalutazione dei ragazzini e della valu tazione dei docenti è un tema oggetto di discussione, di confronto, di ricerca (anche in que sto caso è la comunità dei docenti che cresce insieme confrontandosi).
Da una relazione della maestra Cristina: « È in atto un percorso di ricerca per la messa a
punto dei materiali e degli strumenti per la valutazione e, soprattutto, per l’autovalutazio ne.
Da subito i bambini sono orientati a riflettere sul proprio lavoro focalizzando l’attenzione
sull’attività svolta più che sugli esiti. Se l’obiettivo condiviso è lavorare bene, con impegno, ma senza pressione, per il piacere di svolgere le attività, allora il voto si svuota, non
serve. E non è utile, anzi talvolta esprimere giudizi sulla persona può rivelarsi psicologicamente dannoso. Tutta l’attenzione è invece rivolta in modo più oggettivo alla prova specifica effettuata (punteggio riportato, numero di errori...), così, insieme alla trasparenza e
gradualmente alla consapevolezza del traguardo da dover raggiungere, è più facile ripro vare, tappa dopo tappa, a superare un ostacolo attraverso l’impegno personale e la partecipazione attiva.
Riteniamo estremamente importante anche il coinvolgimento dei genitori affinché comprendano e condividano le valutazioni dei docenti e soprattutto l’idea di fondo che le ha
prodotte. Per questo curiamo la trasmissione (settimanale e/o periodica) delle attività
svolte a scuola, per una presa visione e riflessione a casa, per far sì che, anche nel contesto
familiare, i bambini siano supportati nella ricerca e valorizzazione di atteggiamenti responsabili, non competitivi, ma finalizzati alla promozione culturale».
Insomma, le scuole Senza Zaino sono una bella realtà che va curata, coltivata, verificata, riprogettata se cambiano le situazioni di contesto: è davvero tutta un’altra scuola.
Alcune ricerche svolte dall’Università di Firenze e da quella di Bari testimoniano dell’esito
positivo delle pratiche didattiche realizzate soprattutto rispetto alle competenze di cittadinanza acquisite dai nostri ragazzini senza tralasciare ovviamente il tema degli apprendi menti disciplinari.
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Sabino Pavone
Sabino Pavone è presidente della scuola Waldorf Novalis di Conegliano Veneto e docente dell’istituto. Nasce nel 1956, vive e si forma a Milano in ambito tecnico scientifico ma coltiva l’arte musicale.
Frequenta la Facoltà di Scienze Agrarie all’Università Statale. Fa esperienze prevalentemente in
Africa, prima lavorando in Libia come tecnico di cantiere e poi in Senegal facendo ricerca musicale.
Rientrato in Italia nel 1980, si trasferisce nell’entroterra ligure e qui vive dieci anni coltivando la
terra e «ricevendo bellissimi doni, una figlia, Luna e l’Antroposofia di Rudolf Steiner» spiega lui
stesso. Insegna a Ventimiglia in un istituto professionale dove ha il primo incontro «con una classe
di giovani adolescenti desiderosi di avviarsi alla professione, ma posti in una condizione educativa
tanto toccante quanto appassionante». Crea poi un’associazione per la pedagogia steineriana dalla
quale è nato un asilo Waldorf tuttora esistente.
Si avvicina alla scuola Steiner Waldorf di Oriago di Mira (Ve); qui insegna di giorno frequentando
di sera il corso di formazione e poi nel 1995 si trasferisce a Conegliano Veneto dove esisteva già una
comunità di agricoltori biodinamici e con loro avvia la Libera Associazione pedagogica Steiner-Waldorf La Cruna che ben presto dà vita all’asilo, poi alla scuola primaria e secondaria di primo grado e
poi alla scuola superiore con due indirizzi. Intanto collabora con l’associazione nazionale degli insegnanti, opera nel corso di formazione SW Accademia Carlo Rizzi di Oriago di Mira e dal 2004
coordina le attività della formazione Stenier Waldorf in Italia. È vicepresidente della Federazione
nazionale delle Scuole Steiner Waldorf nella quale opera prevalentemente come rappresentante per
le attività scolastiche del III settennio e cerca di trovare il tempo «per sostenere la Libertà di educazione», da lui ritenuta «la battaglia più importante di una guerra invisibile i cui effetti purtroppo
sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere».
Le scuole Steiner Waldorf
Una breve considerazione su come ognuno di noi è giunto qui per spendere la libertà di
oggi 13 settembre 2015. Probabilmente avete ricevuto l’informazione, ci avete pensato su,
l’avete sentita una cosa interessante, entusiasmante e avete mosso la vostra volontà fino
nel fisico per appunto giungere ad organizzarvi: dove dormo, dove sistemo i bambini, il
viaggio, gli imprevisti di uno sciopero dei treni, ecc. Pensare, sentire e volere: questo, in li nea generale, il percorso di attivazione che consente di passare dal pensare al volere, attraverso il sentimento. Chi è venuto qui con bambini molto piccoli non ha certamente chiesto
il loro parere, forse si è solo dovuto assicurare che stessero bene fisicamente. Se aveste voluto portare con voi un ragazzino o un adolescente, avreste dovuto certamente fare i conti
con la sua libertà di esprimere un’opinione, altrimenti sarebbe stata una via crucis,
tutt’altro convegno! Quando viaggiando in treno mi viene chiesto che cosa faccio nella vita
e devo rispondere alla domanda «Che cosa caratterizza la scuola Steiner-Waldorf?», la prima immagine che mi viene è quella di descrivere il percorso dello sviluppo di crescita del
bambino. Da piccolo il bambino impara imitando, vivendo nel libero movimento di volontà, privo di una coscienza di sé, in quanto la sua coscienza è nella periferia, è negli adulti
che lo accompagnano. Man mano che cresce, questa coscienza si dischiude creando uno
spazio interiore germe di coscienza sognante e, dopo le richieste di perché, perché, perché,
il bambino si avvia all’età scolare e la intraprende lasciando dietro di sé un blando ricordo
colorato di sensazioni, profumi di ambienti, colori, rumori. Ma ancora di più restano in lui
le sensazioni scaturite dall’atteggiamento con cui gli insegnanti gli si avvicinavano, ciò che
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erano gli educatori nella nostra infanzia si imprime in modo significativo. E’ difficile separare con contorni definiti cosa si è appreso da chi ci ha insegnato. Più avanti, nell’adole scenza, ciò che maggiormente caratterizza la tappa di sviluppo è la capacità di un pensiero
individuale; ai giovani viene richiesto di sorvolare sull’atteggiamento dell’insegnante e di
rimanere concentrati sul contenuto da questi trasmesso. Possiamo dire in linea generale
che le tre facoltà con cui opera l’adulto (pensare, sentire e volere) nella fase di forma-azio ne, ovvero nei primi vent’anni circa, è invertita. Il bambino porta la sua naturale volontà di
movimento nei primi sei o sette anni, poi si dischiude la vita del sentimento e solo dopo la
maturità post-puberale arriva un tipo di pensiero rivolto alla conoscenza per affrontare i
misteri del mondo vero. In queste tre fasi, vediamo in primis che il bambino rovescia il paradigma dell’adulto, volontà-sentimento-pensiero, naturalmente con una progressività ben
più complessa di quanto qui solo accennato. In un certo senso per il bambino piccolo il
mondo è buono e la sua fiducia verso il mondo è quasi religiosa, poi quando scopre la gioia di realizzare il bello, nei primi anni di scuola, si muove alla ricerca di esperienze di ciò
che è bello fare, canta, disegna, impara a scrivere, a calcolare, ad ascoltare dei bei racconti
storico mitologici o geografici. Più avanti, con lo sviluppo della coscienza si innesta il desiderio di avventurarsi nel mondo per scoprirlo nella sua realtà, nel suo essere vero: è il mo mento dei grandi ideali di libertà, di giustizia ecc. così come dei piatti lasciati sporchi, degli orari non rispettati, dello sguardo ai genitori degli altri considerati migliori dei propri e
infine è in questa fase che la responsabilità dei propri insuccessi viene attribuita ad altri.
Dunque pensare, sentire e volere sono legati dal corpo di memoria che ci porta nell’evolu zione, dalla memoria dell’io, quel filo rosso che ci permette di essere oggi il risultato di tut to ciò che abbiamo pensato, sentito e voluto fino a ieri. E la lingua italiana in questo è
splendida: rammentare (il ricordo della mente), ricordare (del cuore), rimembrare (delle
membra).
Educare alla libertà dunque è un percorso, non un dato di natura in primis, è insito
nell’essere umano come anelito, come potenzialità, ma resta un percorso, un educare alla
libertà. Naturalmente non siamo a un convegno di filosofia, altrimenti ognuno di noi dovrebbe chiedersi che cos’è la libertà e trovare una definizione. Il mondo in realtà oggi vive
questa sfida, la sfida di vivere in libertà, necessita di una “filosofia della libertà”. Di solito,
quando la si scopre, si può provare una gioia frammista a dolore. Pensate a quella che pro pone Rudolf Steiner: «Un uomo è tanto più libero quanto è in grado di sostenere le conseguenze dei pensieri, dei sentimenti e degli atti volitivi che esplica ». Scomodissimo, ma la
vita è così: ci restituisce ciò che immettiamo nel mondo.
D’altro canto aumenta il numero di persone, questo in linea generale e in tutti gli ambiti,
dalla scelta del modo di curarsi, di alimentarsi, al modo con cui concepire il mondo del la voro, all’educazione dei propri figli, che non si vogliono più lasciare al caso, a una tradizione che viene da lontano. In altri termini, si tende a voler determinare, essere artefici,
protagonisti del proprio destino, lasciando il minor spazio possibile al perpetuarsi di stili
di vita che giungono dalla tradizione e dall’educazione ricevuta. Si tende a vivere più pie namente l’esercizio della propria libertà. Credo che tra di voi, o noi, quest’esperienza pos sa essere condivisibile e in questo contesto è centrale, sia come esperienza genitoriale, sia
come fatto pedagogico, in quanto, a ben pensarci, è la libertà ciò che maggiormente auspichiamo sia il viatico per i vostri figli, per le future generazioni. Certamente, oggi occorre ri flettere anche sul fatto che più o meno coscientemente l’influenza dei pensieri, delle idee e
rappresentazioni che l’adulto ha di che cosa è l’essere umano, come si sviluppa, quali do mande latenti porta con sé per realizzare il suo progetto individuale, è al massimo grado
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di importanza. Anche la volontà di non lasciare al caso l’educazione dei nostri bambini, di
fare una scelta consapevole e quindi pregna di responsabilità è un fatto che oggi sempre
più si presenta nell’animo dei genitori, quando sono piccoli prevalentemente per volontà
piena di sentimento da parte della mamma e poi, col tempo, man mano che si avvicina la
formazione professionalizzante, necessaria ad entrare nel mondo, anche del padre (non me
ne vogliano i papà presenti, ma questo dato mi giunge dall’esperienza ultra ventennale insegnando in una scuola che parte con la scuola materna - suggestivo il termine - fino alla
scuola superiore).
Dunque pensieri, sentimenti e atti volitivi costituiscono una triade che, in ogni istante della nostra esistenza, ci vengono in soccorso per cogliere qual è il bene e saranno orientati
verso la realizzazione di questo bene.
Del resto, qualsiasi offerta formativa non può prescindere da una visione, da un’immagine
dell’uomo e del suo sviluppo personale e quindi sociale, da ciò che si chiama antropologia.
La didattica nel senso curricolare e di metodo giunge solo a seguito di una visione antropologica. Ci sono persone che nascono maestri, altri che cercano di diventarlo, altri che
proprio non possono. Ci sono appunto persone che sviluppano o sono portatori di un
buonsenso pedagogico, che suggerisce nelle varie circostanze come comportarsi con i bambini, sanno correggere incoraggiando, proteggere senza limitarne lo sviluppo, senza spianare troppo la strada e non c’è bisogno di fare esempi.
Ci sono persone che con la loro stessa presenza fisica, con uno sguardo creano atmosfere
accoglienti, altri ancora che, senza aprire bocca, sanno creare atmosfere di disagio, di di pendenza. Da cosa dipende tutto questo? Forse dalle nostre convinzioni intime, addirittura direi corporali, sul mondo e sull’uomo che vivono in noi e agiscono più o meno consa pevolmente. Oggi possiamo avere la consapevolezza che, entrando in classe, insieme alla
materia di insegnamento entra un essere umano con le sue visioni di come dovrebbe esse re il mondo e come dovrebbero diventare i ragazzi. Fino a qualche decennio fa queste af fermazioni sarebbero state ritenute poco scientifiche, romantiche, per nulla attinenti alla
realtà sensibile, oggi, con l’avvento e lo sviluppo delle neuroscienze con Daniel Goleman
fino a Bandura e Rizzolatti (di quest’ultimo si veda il libro So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio) con la dimostrata teoria dei neuroni specchio, sono diventate scien za. Il comportamento dei bambini dipende in gran parte dai miei pensieri, dai miei sentimenti e dai miei gesti. Dunque, per alcuni decenni nel mondo della scuola si è celebrato
l’atto cognitivo unidirezionalmente facendo leva sulle forze del pensare, del sistema neuro
sensoriale, poi sono giunti aspetti sulla vita del sentimento (Empatia-l’amigdala, ecc) e si è
trattato di una sorta di educazione del sentimento. Nei prossimi decenni potremo parlare
di come educare non solo il pensare e il sentire, ma anche il volere, e capire da cosa dipen de l’attivazione della volontà nel perseguire uno scopo, un obiettivo.
Molti di noi ricordano frasi del tipo: il ragazzo è intelligente, sensibile, ma non si attiva! Di
fronte a quest’affermazione solo oggi ci si comincia a chiedere perché. Saranno gli insegnamenti che porto, sarà il metodo sbagliato, sarà il mio atteggiamento nei suoi confronti che
non lo incoraggia, sarà che la mia motivazione di essere insegnante non è adeguata? Forse
un po’ di tutto, ma certamente contenuti, metodi, atteggiamenti interiori e motivazioni co stituiscono un quadrivio, un paradigma il cui ordine di partenza non può essere costituito
dai contenuti. È infatti dal suo opposto, ovvero dalla motivazione, che scaturisce un atteggiamento interiore desideroso di trovare metodi e contenuti digeribili, la digestione degli
apprendimenti, “trasformare i sassi in pane”.
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Qui bisogna distinguere - su questo si gioca tutta la partita di «Tutta un’altra scuola» - tra
le aspettative degli adulti e le aspettative dei bambini, delle nuove generazioni. E, a propo sito di aspettative nuove, formuliamo delle domande alle quali poi diamo una risposta.
Dobbiamo porci la domanda giusta, dal momento che non sempre le domande che si affacciano nella vita sono quelle giuste, ovvero rispondono al nostro esercizio di libertà. Nel
1919 Rudolf Steiner pone la questione nei termini di una scelta di campo ben precisa (da I
punti essenziali della questione sociale, pag. 214).
1 – Cosa occorre che l’uomo sappia e sappia fare per inserirsi nell’ordinamento e nello sta to sociale ora esistente?
2 – Quali disposizioni l’uomo porta con sé e come possono essere sviluppate in lui in
modo che l’individuo apporti nuove forze di sviluppo all’ordinamento sociale esistente?
Se ci concentriamo sulla prima domanda e pensiamo che sia la domanda giusta, in poco
tempo arriviamo a conclusioni che diventano già programmi e curricula ben scanditi nel
percorso scolastico, nei confronti dei quali il buon senso pedagogico salva fino a un certo
punto. Gli impulsi conoscitivi che giungono dal mondo accademico sono improntati ad
un’epistemologia di tipo naturalista, genetico, ereditario, una miriade di elementi molto
ordinati fino a un certo grado che decretano una genesi dell’essenza dell’essere umano.
Oppure possiamo chiederci: «Perché il bambino si presenta, già dall’inizio della sua esistenza terrena con peculiarità che lo rendono unico e irripetibile?». Ma ciò che è unico e irripetibile presuppone un principio individualizzante, né derivato né di natura psicologica,
la presenza di un’individualità, di un io che non si costituisce come conseguenza di un’elaborazione delle nostre esperienze nel mondo, ma che precede, che appartiene a un tempo,
a una dimensione, a una diversità che il bambino ancora condivide nei primi anni della
sua vita. Guardando negli occhi un bambino, un allievo, un figlio, ci si può davvero chiedere:«Chi sei?».
Parliamo ora di Spirito. Con la “s” minuscola si è sempre parlato di spirito individuale,
presenza di spirito, spirito di iniziativa, spirito di accoglienza, spirito di gruppo, spirito di
popolo, spirito europeo, spirito del tempo, ma in modo semplicistico e innocente, non in
riferimento a una dimensione reale, esplorabile, dunque come insieme di forze indefinite
che agiscono nell’animo umano. In tutti i più importanti documenti ufficiali il termine spirito appare e viene nominato senza una valenza conoscitiva adeguata. Le conseguenze
dell’aver ignorato la dimensione spirituale del singolo, dei popoli, del senso di appartenenza europeo, ha generato e sta generando un bisogno estremo di essere riconosciuti
come esseri umani con una biografia unica e irripetibile, senza confronti di sorta (nei nostri
giorni il fenomeno è imponente). L’ambito che ha maggiormente sofferto di questa priva zione è quello dell’educazione e dell’istruzione. Per indagare lo Spirito ci vuole una Scien za, Steiner inaugura la Scienza dello Spirito, al di là degli elementi confessionali e religiosi.
Anche la dimensione dell’anima ha seguito progressivamente la sorte dello Spirito.
All’anima si è sostituita la psiche, ma l’anima è negata. Che cosa è l’anima se non il palco scenico in cui si incontra la vita dello Spirito con la vita terrestre sensibile? Il dramma che
stiamo vivendo non si risolverà fino a quando all’essere umano non verrà restituita la dignità che lo riconosce come spirito agente, come anima pulsante che vive nella sostanza
organica della sua corporeità. Se pensiamo l’educazione e l’istruzione ancora rispondendo
alla prima domanda e non alla seconda, l’anima dell’uomo si limiterà all’appagamento fisico; soddisfare l’anima attraverso il corpo significa coltivare una sorta di darwinismo pratico, un materialismo sfrenato che aumenta la sete di riconoscimento individuale. Senza
questa visione è davvero dura affrontare domande suggerite dalla cronaca di questi giorni
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nefasti dove molti giovani adolescenti varcano la soglia del mondo sensibile per sete di
ideali, di valori che non trovano manifesti nel mondo degli adulti a loro volta in crisi. In un
mondo di adulti socialmente, economicamente e culturalmente in crisi non c’è spazio per
vivere pienamente un sano disagio adolescenziale e rifugiarsi nella perdita di coscienza at traverso l’esperienza del corpo fisico sembra una soluzione migliore. La scuola dell’obbligo induce a valutare i bambini e i ragazzi per quello che sanno e non per quello che sono,
l’infanzia viene sacrificata sull’altare della precocità, della preparazione per prova. Ciò che
si offre come mondo di percezioni ai piccoli è corrotto, la vera realtà e la realtà virtuale risultano già scisse con un’apparente ingenuità che fa prima sorridere e poi piangere per le
sue nefaste conseguenze. A volo d’uccello ho delineato tre tappe evolutive ben precise, del
III, del II e del I settennio, momenti che vedono spesso il mondo degli adulti latitare. In
questo senso sarebbe utile e urgente gettare luce orientando i nostri pensieri chiari su come
agiscono le nuove (ormai già vecchie) tecnologie sui processi di crescita e formazione nei
tre segmenti istruttivi, come si viva il mondo della percezione sia nel campo reale che in
quello virtuale, in cui la debolezza dell’Io ed il corpo di abitudini insediatosi negli ultimi
vent’anni seduce e disorienta la presenza di Spirito.
Caratterizzazione dei tre settenni:
I. Volontà – imitazione – naturale fiducia del bambino.
II. Sentimento – autorevolezza – la ricerca di una guida.
III. Pensiero – sviluppo del giudizio autonomo – un esempio che mi lascia libero.
In sintesi possiamo dire che la proposta formativa della scuola Steiner Wardolf consiste
nell’armonizzare queste tre facoltà, per un pensare chiaro, un sentire retto e un agire con sapevole: ecco cosa si cela dietro «Educare alla libertà». Lo disse in altri termini Albert Einstein: «Respingo l’idea che la scuola debba insegnare direttamente quelle conoscenze spe cializzate che si dovranno usare poi nella vita. Le esigenze della vita sono troppe e molteplici perché appaia possibile un tale insegnamento specializzato nella scuola. La scuola do vrebbe sempre avere come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniose, non
ridotte a specialisti. Lo sviluppo dell’attitudine a pensare e giudicare autonomamente do vrebbe essere sempre al primo posto».
Potremmo ora parlare di come i bambini non imparano tutti allo stesso modo, dei diversi
temperamenti umani, dell’importanza della configurazione artistica dell’insegnamento, di
fare esperienze artistiche, del piano di studi come risposta alle domande evolutive del
bambino in crescita, ecc. Ma, per mancanza di tempo, possiamo fare solo semplici riflessioni personali, per esempio sul peso che le esperienze fornitemi dagli educatori della prima
infanzia o comunque durante percorso formativo dei primi tre settenni hanno avuto sulla
formazione della nostra individualità. Approfondendo, potremmo delineare anche le conseguenze dell’azione educativa sul nostro vivere da adulti, soffermarci sulle modalità con
cui si presentano i riflessi della nostra infanzia legati a sottilissimi fili di differenziate per cezioni sensorie tenute insieme dal filo rosso della memoria dell’io individuale.
Oggi siamo il risultato di ciò che abbiamo fatto fino a ieri sera, domani saremo il risultato
di ciò che faremo da oggi. Questa è la vita, viviamo le conseguenze di quanto ci è stato impresso nell’arco della nostra biografia individuale, una vera opera d’arte. Potremmo giun gere a conclusioni come la seguente: ciò che ci sostiene nella vita, nei momenti importanti
in cui dobbiamo prendere delle decisioni che hanno un’implicazione di carattere morale,
sono le convinzioni che albergavano nel cuore e nella mente degli educatori della prima
infanzia.
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Per concludere desidero ribadire che la qualità del fare scuola poggia sulla capacità di
creare comunità educanti in cui genitori, insegnanti e amministratori crescono insieme te nendo sempre al centro della coscienza il capitale che ci è stato affidato: i bambini, al di là
dei confini di scuola statale, privata, di metodo ecc. Dove l’umano mostra il meglio di sé di
fatto contribuisce in misura omeopatica alla soluzione del vero problema sociale, ovvero
l’educazione delle future generazioni.
Confido in un’ altra occasione in cui lavorare insieme sulla triade di Libertà, Uguaglianza
e Fratellanza per cogliere l’urgenza di porre al giusto posto questa triade di valori con la
sua corrispondente di Scelta culturale (Libertà), Elemento giuridico (Uguaglianza) e vita
Economica (Fratellanza). Da questo disordine si generano altri disordini le cui conseguenze oggi non siamo ancora in grado di attribuire alla sua genesi.
Un ringraziamento particolare ai fautori di questo evento, senza i quali non avremmo avu to modo di incontrarci, e ai bambini.
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Micaela Mecocci
Micaela Mecocci, ex-bambina montessoriana (ha frequentato per 8 anni la scuola pubblica Montes sori diretta dall’allieva di Maria Montessori, Maria Clotilde Pini), proviene dalla ricerca universi taria. Ha al suo attivo diversi anni di ricerca e docenza presso università in Italia (Dottorato di Ri cerca in Comparatistica), Germania e Nuova Zelanda e di insegnamento di lingue straniere nella
scuola inferiore e superiore sia pubblica che privata. Giornalista e scrittrice ha collaborato a lungo
con l’Associazione Nuovi Quaderni (San Gimignano), promotrice essa stessa di un modello educativo alternativo all’approccio tradizionale omologante. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni in volume e non.
Il suo amore per l’infanzia e la pratica educativa l’hanno portata a intraprendere la formazione internazionale Montessori per la fascia d’età 3-6 anni a Monaco di Baviera, e ad assumere la direzione pedagogica della Scuola dell’Infanzia La Corte dei Bambini a Vezia (CH).
Docente in corsi di formazione universitari in Italia e all’estero, nonché presso l’Opera Nazionale
Montessori, non ha abbandonato lo studio e la ricerca. Collabora infatti con riviste di settore e sta
conseguendo la formazione AMI (Associazione Montessori Internazionale) per la scuola elementare. E’ anche portavoce della rete di scuole montessoriane Montessori Net Ticino.
Per iniziare diamogli il mondo
Partecipare a Tutta Un’Altra Scuola è stata per me una grande gioia. Mi è piaciuto immen samente il fatto che ci siamo riuniti, così numerosi, in una festa, in un incontro che ha sa puto onorare e celebrare la bellezza dell’infanzia, un’era dello sviluppo umano così ricca e
preziosa e al contempo così bisognosa di cure che ne proteggano la delicata fioritura.
Il mio intervento è dedicato alla pedagogia Montessori, che vorrei “raccontarvi” a partire
da un’esperienza personale.
Alcuni anni da un gruppo di genitori, animati da valori e desideri simili ai nostri oggi, si
sono recati in un pomeriggio di un giorno di fine estate davanti alla porta di una scuola
Montessori, e ha atteso pazientemente che quella porta venisse aperta la mattina dopo.
Tale era il loro desiderio di essere lì per tempo, di non perdere l’opportunità di offrire ai
propri figli... tutta un’altra scuola. Tra quei genitori c’era una signora con un pancione, mia
mamma. Quel gesto carico di attesa amorevole era il frutto di una felice intuizione, che ha
donato a me la fortuna di un inizio felice. E un inizio felice a scuola, è un regalo per tutta la
vita, che nessuno ti può più portare via.
La lunga e trepidante attesa di quella giovane mamma ha schiuso per me, da quel giorno a
venire, una scuola fatta di attenzione, fiducia e rispetto nel quale soggiornare giorno per
giorno serenamente per diversi anni della mia crescita.
Questa non vuole essere una pubblicità a Montessori come ricetta di felicità. Prima ancora
che Montessori, quell’ambiente era un luogo umano, accogliente, era una Casa e noi bam bini i suoi abitanti. Sapete probabilmente che la prima scuola Montessori di San Lorenzo a
Roma era realmente all’interno di una casa, era la casa dei piccoli dentro la casa dei grandi,
era l’appartamento al pian terreno di un ampio condominio e da allora gli asili Montessori
sono chiamati così, sono le “Case dei Bambini”.
Già solo questa idea, l’idea di restituire ai bambini la loro casa, di non sottrar loro una dimensione di vita adeguata e in armonia con il loro sviluppo naturale, di rispettare le esi genze, gli interessi, i bisogni dei bambini sin da piccoli... già questo fu, agli inizi del 900, 22
quando Maria Montessori apriva la sua prima Casa - un messaggio profondamente rivolu zionario.
E i capisaldi di questo messaggio erano, e sono tuttora, rispetto e fiducia.
E come potete vedere queste non sono invenzioni di Maria Montessori in sé, confido che si
trovino anche in altri orientamenti pedagogici.
Ma l’idea rivoluzionaria consisteva allora in un ribaltamento di prospettiva, nel mettersi
nel mondo all’altezza del bambino e tentare di guardare al mondo con i suoi occhi. E bada te che quando parlo di mettersi all’altezza del bambino intendo due cose, che sono solo apparentemente contrapposte: abbassarsi fisicamente al livello del bambino, fino ad abbrac ciarne lo sguardo, e innalzarsi spiritualmente, se ne siamo capaci, ai livelli supremi del suo
spirito. E qui si innestano la fiducia e il rispetto per il bambino. Fiducia nelle sue potenzia lità, nel suo sentire le cose e le persone per quel che realmente sono, fiducia nei confronti
del grande lavoro di “costruzione” di sé (per usare un’espressione di Maria Montessori)
che il bambino compie con perizia instancabile. E dunque un profondo, assoluto rispetto
per questo lavoratore infaticabile, rispetto per i suoi tempi, per i momenti di slancio come
quelli di arresto, rispetto per l’opera creativa più significativa che mai ci capiterà più di
compiere nella nostra vita, quella di porre le fondamenta di ciò che saremo in seguito,
Maria Montessori non nasce come pedagogista infantile, nasce come medico e scienziato e
il suo obiettivo non era l’infanzia in quanto tale. Aveva una grande ambizione, quella di
servire all’evoluzione,al sano sviluppo dell’essere umano, di porre la sua scienza e le sue
osservazioni al servizio dell’umanità. Nonostante le due guerre mondiali che ha avuto in
sorte di attraversare durante la sua vita, Maria Montessori ha fino all’ultimo nutrito una
grandissima fiducia nell’umanità e nella possibilità che un’umanità non deviata fosse na turalmente foriera di pace e di benessere.
E non era nemmeno un’utopista; era una scienziata e tutte le sue ricerche sono profonda mente ancorate alla realtà, procedeva per osservazioni, ipotesi e verifiche e non anelava a
un mondo diverso, altro, ma nutriva la profonda e fiduciosa convinzione che questo mondo in cui siamo noi qui e ora, potesse essere l’altrove ritrovato (Gli abitanti dell’altrove, Pietro M. Toesca, Tremestieri Etneo, 1998), vale a dire non un mondo altro da questo, ma un
modo diverso di abitare il mondo che conosciamo.
Dunque un’ambizione enorme, quella di migliorare le sorti del mondo, dell’umanità nel
suo insieme e la scoperta, a un certo punto della sua vita, che quest’ambizione non travali cava l’infanzia, ma piuttosto si identificava con essa. Che era da lì che bisognava partire.
Questa è la scoperta del bambino, come lei stessa la definì.La scoperta che la chiave di vol ta del problema fosse assecondare, favorire lo sviluppo fisiologico del bambino. E questa
fu allora un’altra idea rivoluzionaria (che però ancora oggi non è entrata appieno nell’edu cazione tradizionale): noi adulti, genitori o educatori, dobbiamo soprattutto evitare di es sere d’ostacolo al dispiegarsi delle forze interiori del bambino, non dobbiamo assumere il
ruolo di chi vuole inculcare valori, trasmettere contenuti, correggere errori di comporta mento. Perché Maria Montessori si era resa conto soprattutto di questo, che gli adulti non
contribuiscono allo sviluppo armonioso del bambino quando si frappongono alla sua crescita spontanea, ne limitano le azioni, si sostituiscono a lui o a lei.
Dunque quale l’alternativa? Osservare, rispettare, dare tempo, sintonizzarsi affettivamente
e accogliere.
E come e in che contesto fare tutto questo? A partire da una comprensione profonda delle
leggi dello sviluppo umano; e in quello che Maria Montessori chiama l’ ambiente prepara to, un ambiente simile a quello della Casa che ho descritto poc’anzi e che sappia offrire al
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bambino motivi di attività spontanea, di esperienze autonome dirette nell’ambiente ade guate alla sua età.
L’ambiente preparato delle scuole Montessori è un ambiente a misura di bambino e dun que è un ambiente diverso per ogni fascia d’età: ai più piccolini saranno messe a disposizione attività di un certo tipo, ai più grandi altre.
Maria Montessori parla di diversi piani dello sviluppo del bambino, che possiedono caratteristiche molto diverse tra loro.Come dunque offrire uno solo e lo stesso ambiente (come
avviene nella scuola tradizionale fatta indistintamente di aule e banchi) a bambini di età
diverse? Un bambino di 3 anni non è nemmeno parente di quello di 12, attraversano momenti dello sviluppo talmente diversi, con bisogni diversi e ai quali bisogna rispondere in
modo molto diverso.
Nell’ambiente preparato della Casa dei Bambini, come anche del nido, troviamo attività di
vita pratica, materiali sensoriali, quelle che Maria Montessori chiama astrazioni materializ zate, materiali che isolano le diverse qualità dell’ambiente e servono allo sviluppo e
all’affinamento dei sensi; ad essi si accostano i primi materiali di psicogrammatica e psicoaritmetica: materiali che, come dice il nome stesso, tengono conto delle caratteristiche
psicologiche dei bambini nelle diverse fasi della crescita. Tutti i materiali sono peraltro dotati di possibilità di controllo dell’errore autonomo da parte del bambino, che non perde
così il suo entusiasmo nell’apprendere e soprattutto non finisce per dipendere dal giudizio
correttivo dell’adulto.
Con autonomia nella scelta dell’attività e del tempo che il bambino vi dedica, il lavoro av viene non solo al tavolo ma anche su un tappeto, e i piccoli “peripatetici“ (come li defini sce Maria Montessori) si muovono nell’ambiente liberamente. Il movimento è infatti un
fattore essenziale per la costruzione dell’intelligenza e insieme all’attività concreta potrà
porre le fondamenta allo sviluppo del pensiero logico astratto. La mano, dice Maria Montessori, è l’organo dell’intelligenza.
Un bambino delle scuole elementari vive una fase dello sviluppo diversa, ha ormai creato
il suo ordine mentale (ecco perché spesso poi i bambini più grandi ci appaiono più disordinati; l’ordine della mente è ormai dato, l’ordine esteriore non è più necessariamente spec chio di quello interno) e, oltre che con le sue mani, inizia a ora pensare anche con le sue
gambe. Il bambino del secondo piano dello sviluppo (6-12 anni) ha ormai una mente capace di pensiero astratto, guida le sua azioni grazie ad una volontà consapevole. Ed ecco che
possiamo cavalcare con lui (o con lei) la scoperta di un ambiente più ampio, possiamo sia
iniziare a uscire poco a poco dall’ambiente preparato dell’aula scolastica e iniziate a esplo rare il mondo più allargato con le nostre gambe o con la nostra mente. Si lavora natural mente ancora molto all’interno della scuola, ma possiamo ora viaggiare anche con la fantasia, il bambino di questa età ha ormai la capacità di immaginare luoghi diversi e lontani
nel tempo e nello spazio e lo interessano non più solo i fatti in se stessi, ma l’origine e il
funzionamento delle cose, il perché dei fenomeni naturali.Ecco dunque le meravigliose fa vole cosmiche, che narrano dell’arrivo della vita nel nostro pianeta, dell’origine dell’uni verso, dell’invenzione di lettere e numeri; questi racconti sono accompagnati dai cosiddetti
cartelloni impressionistici (ve ne sono alcuni esposti qui nel nostro spazio laboratorio) che
stimolano l’immaginazione e lasciano ampio spazio alla ricerca autonoma del bambino.
Questo è infatti il periodo della grande attività intellettuale che prende il posto dei grandi
cambiamenti fisici, che torneranno a manifestarsi poi successivamente, nel terzo piano del lo sviluppo, quello che ha inizio con la pubertà.
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Ed ecco qui ancora una nuova proposta pedagogica, quella per l’adolescenza, periodo in
cui avviene la transizione dall’infanzia all’età adulta e in cui il ragazzo si affaccia sempre
più alla dimensione sociale, si interessa al vivere comunitario, è animato da sentimenti di
giustizia sociale e si pone questioni morali.
Per l’adolescenza è ormai la vita stessa a costituire l’ambiente preparato. Maria Montessori
definisce la scuola secondaria “scuola di esperienze della vita sociale”. Vi sono degli esempi splendidi in Europa o negli USA di scuole secondarie Montessori concepite come delle
vere e proprie comunità (rurali o rubane) in cui i ragazzi contribuiscono con la loro attività
in modo diretto alla gestione e al sostentamento della comunità.
In queste realtà gli adolescenti vivono in modo responsabile, agiscono in modo reale ed effettivo nella società allargata. Il lavoro manuale e artistico creativo, nonché il contatto con
la natura rivestono ha una parte importante, senza che ne abbia a soffrire l’apprendimento
intellettuale, che invece piuttosto ne beneficia.
Dunque cos’è l’ambiente preparato?
È quell’ambiente che sa rispondere di volta in volta ai bisogni della fase precipua dello sviluppo, che mette il bambino al centro, che ne rispetta la libera scelta e i tempi di esplorazione.
Bisogna fare attenzione a non confondere la libertà con la licenza; la libertà offerta ai bambini in una scuola Montessori non è acritica e indiscriminata. Non stiamo parlando di compiacere il bambino, ma piuttosto di sostenere la spinta del suo istinto vitale. Il nostro compito di adulti è quello di preparare, curare, arricchire, abbellire l’ambiente con un’ampia
offerta di possibili attività, ma a partire da una approfondita consapevolezza e conoscenza
dei bisogni del bambino che abbiamo di fronte.
Un’altra questione che nasce spesso nei dibattiti intorno a Montessori è quella dell’attuali tà del suo pensiero. È bene ricordare che Montessori fa riferimento alla crescita naturale, ai
bisogni psicofisici del bambino. Lo sviluppo fisiologico del bambino segue lo stesso decorso qui come in Cina, al Sud come al Nord del mondo e non è cambiato oggi rispetto a 100
anni fa. Certo, esistono variabili di origine culturale, o storica, ma i bisogni fondamentali
dell’essere umano non sono diversi oggi da quelli che erano allora... è questo che conferi sce alla pedagogia montessoriana il suo valore universale.
L’enorme sviluppo delle neuroscienze del resto sta confermando tutto questo. Gli studi di
Maria Montessori sono stati oggetto negli ultimi anni di riscoperta nelle più rinomate università americane. Ma anche in Italia tutte le scoperte fatte intorno al ruolo fondamentale
che i neuroni specchio giocano nello sviluppo neurobiologico e relazionale non fanno che
confermare quello che, osservando il bambino, Maria Montessori aveva compreso già oltre
100 anni fa.
La mente è un processo di autoregolazione che gestisce flussi di energia e informazioni
all’interno del complesso sistema neuronale (possiamo dire che il cervello, grazie a tutte le
ramificazioni nervose, arriva fino alla punta dei nostri piedi) e che si plasma a partire dalla
relazione con l’ambiente e con il prossimo. Senza questo contatto diretto, questa possibilità
di esplorazione diretta e senza una relazione interpersonale basata su rispetto e accoglienza di sé e dell’altro, non ci può essere apprendimento e non ci può essere un sano sviluppo
psicofisico.
Sono queste esperienze che formano, danno letteralmente forma alla nostra mente, deter minano la configurazione delle nostre connessioni neuronali. La mente è un organo incar nato e i muscoli volontari un organo psichico, perché sono guidati dalla volontà.
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Maria Montessori è stata un’antesignana delle neuroscienze, ha utilizzato termini come
mente assorbente, carne mentale, memoria muscolare, memoria incarnata; ha riunito il
corpo e la mente in un tutt’uno (relazionale!) dopo secoli di dualismo di origine cartesiana,
che a ben vedere affonda le proprie radici già molto prima, nella filosofia platonica.
Per contro però i greci più antichi localizzavano il pensiero nei polmoni, non nella testa:
pensare è parlare e parlare è respirare. La psiche come respiro, emissione d’aria prodotta
dal corpo alla ricerca di relazione, che inizia con il primo perentorio vagito del neonato,
grido inarticolato che richiama alla relazione, invoca la responsabilità del prossimo verso
un’esistenza che inizia. Lo dimostra anche l’etimologia della parola psiche (dal verbo psy cho, soffiare), o di anima (dal greco anemos vento, soffio).
“Nel Montessori ognuno trova la propria voce” ho sentito dire ancora recentemente in un
convegno americano. E questo è così vero, è importante che ogni bambino trovi espressione alla propria individualità all’interno di una relazione feconda. La voce incarna proprio
questa doppia valenza dell’io e del noi, distinti, non confusi a beneficio né dell’uno né
dell’altro, ma tuttavia in incessante e reciproca relazione.
Siamo diapason-soggetti dice un noto filosofo francese (J. L. Nancy), siamo esseri che esistono solo nel riverbero relazionale, nella risonanza di corpi e menti.. basti pensare a tutti
gli studi successivi a Montessori, a partire dalla teoria dell’attaccamento (John Bowlby na sceva a Londra pochi giorni dopo l’apertura della prima Casa dei Bambini a San Lorenzo a
Roma), fino alla più recente neurobiologia interpersonale che tanto peso dà al concetto di
attunement, sintonizzazione affettiva, nel processo di formazione e sviluppo della mente
umana.
Le cose preziose sono trasmesse alla generazioni più giovani attraverso il contatto personale con colui o colei che insegna, non con i libri di testo. È questo contatto, dice Maria
Montessori, che costituisce e preserva la cultura.
In questo concetto relazionale rientra dunque il ruolo della maestra, origine della possibili tà di un vero e proprio incontro amoroso con il bambino. Incontro amoroso che, specifica
Montessori, è ben diverso dall’amore personale che si esprime in carezze e baci. È un amo re fatto della profonda dignità che si riconosce al bambino, della cura con cui si prepara un
ambiente nel quale il bambino possa sviluppare la propria autonomia, possa essere aiutato
a fare da sé. Avrete sicuramente letto spesso nelle scuole Montessori questa frase famosa
che un bimbo disse a Maria Montessori e che è ora diventato una sorta di motto: “aiutami
a fare da solo”.
Una maestra che sappia dare le cosiddette presentazioni del materiale scientifico Montes sori, individualizzate o a piccoli gruppi e sappia poi ritrarsi e lasciar fare, tenendo un oc chio vigile sull’evolvere del bambino, ma assecondandone le propensioni e gli interessi, in tervenendo solo quando necessario, e non per dar comandi, ma con una funzione piuttosto
maieutica, che non rischia di derubare il bambino della sua naturale meraviglia di fronte
alle proprie progressive scoperte e conquiste.
E un altro aspetto importante della relazionalità nella scuola Montessori è data dalle classi
miste d’età, in genere di tre anni in tre anni. Questo è un altro importante principio peda gogico, è una condizione di cui beneficiano sia i più piccoli che i più grandi, sottrae l’illu sione di una società omogenea, in cui tutti debbano, sappiano o possano viaggiare alla
stessa velocità nello stesso momento, restituisce valore alla diversità, crea le condizioni per
sentimenti di solidarietà, rispetto e collaborazione tra i ragazzi. Crea quella che Maria
Montessori chiama una società per coesione.
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E dunque come possiamo definire questo approccio all’educazione? Un approccio cosmico. Per questo il mio intervento si intitola con una frase di Maria Montessori: per iniziare
diamogli il mondo. Il sapere non è diviso né divisibile in compartimenti stagno.
La matematica è esperibile anche a partire dal ciclo evolutivo di una pianta, le proporzioni
geometriche affascinano nella tela del ragno come nelle evoluzioni dei corpi celesti, la
grammatica è la scoperta del costrutto del linguaggio con cui si può giocare e creare, la sto ria, la chimica, la geografia sono interrelate, non importa da quale ambito del sapere iniziamo il nostro viaggio, ci ritroveremo inevitabilmente al centro di uno snodo di fili che allacciano tra loro gli ambiti più disparati; e questo rende la scoperta eccitante e infinita, tutto è
interrelato, il sapere è frutto dell’integrazione, della commistione e associazione (forse non
è un caso che google nasce dall’idea di due montessoriani!).
A che pro avere un insegnante di matematica che non condivide il suo percorso con quello
di storia? O che sappia tutto ma proprio tutto di geometria? Ben venga il sapere, ma al
bambino servirà soprattutto avere un insegnante che lo sappia sostenere nella sua ricerca,
un adulto che sappia consegnare al bambino gli strumenti più che i contenuti di questa ri cerca.
Potrà sembrare una provocazione, ma più che saperne di più dei bambini noi insegnanti
dovremmo sapere come accompagnare i bambini alla conquista del sapere, e accadrà così
che su certe cose finiranno per saperne loro più di noi.
Ricordo un bambino che si era dedicato con grande trasporto e entusiasmo alla classificazione dei funghi: quel bambino lavorando ha affinato non solo conoscenze di botanica, ma
anche di pensiero logico, di componimento scritto, di lavoro in team con pari, di compe tenza sociale, di latino, di disegno e decoro, di geometria e calcolo delle superfici... e so prattutto ha provato momenti di grande gioia e soddisfazione, strumenti non meno preziosi e “utili” per la vita!
A cosa porta dunque una educazione cosmica? Ad una consapevolezza altrettanto cosmi ca, che tutto è interrelato e che noi stessi siamo parte di un tutto, dipendiamo da e siamo
parte di un ecosistema che merita le nostre cure.
Veniamo dopo milioni di anni di evoluzione del nostro pianeta che si è lentamente preparato al nostro arrivo (ancora una volta un ambiente preparato!) e che è stato ulteriormente
preparato e modificato da chi ci ha preceduto. Questa visione del sapere diviene immedia tamente fonte di rispetto e gratitudine per chi, prima di noi, ha contribuito all’evoluzione
del mondo con scoperte e invenzioni di cui noi ora beneficiamo.
Ed è così che l’autonomia di pensiero e le azioni del bambino montessoriano si sposano felicemente con il riconoscimento dell’essere parte di una comunità cosmica, di una storia
che ci precede e succede, alla quale noi stessi possiamo dare il nostro contributo unico e
speciale
Montessori è una scuola che porta all’integrazione, all’armonia dentro e fuori di sé.
L’educazione alla pace è infatti l’obiettivo ultimo della pedagogia montessoriana!
Il nostro è un lavoro verso l’armonia, che, come ci rivela la sua etimologia è l’opera delle
“giuste congiunzioni”.
Una piccola nota finale: Montessori non è un marchio protetto. Essere un educatore Montessori richiede una formazione approfondita e fondata su solidi principi scientifici. Tuttavia Maria Montessori non ha voluto proteggere o registrare la proprietà intellettuale del
suo “marchio pedagogico“, perché lei, diceva, aveva scoperto, non inventato, il bambino!
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Valentina Giovannini
È insegnante di scuola primaria alla Scuola-Città Pestalozzi di Firenze e uno dei coordinatori del
progetto di sperimentazione di Scuola-Città Pestalozzi. Sostituisce Matteo Bianchini come relatore
a Tutta un’altra scuola, a causa di impegni istituzionali sopraggiunti dello stesso Bianchini.
Valentina Giovannini è dottore di ricerca in scienze pedagogiche ed è stata supervisore di tirocinio
presso scienze della formazione a Firenze. Ha pubblicato articoli su diverse riviste, tra i quali
«Scuola Città Pestalozzi» e «Senzazaino. Without a backpack for a school community» per il progetto OECD-ILE (2012), «The nature of learning. Using research to inspire practice. I principi
OCSE per una visione complessiva dell’apprendimento», Rivista dell’Istruzione 6/2012, «Innovazione dell’ambiente di apprendimento nella scuola del I ciclo», Formazione&Insegnamento (2013),
«Il contributo dell’esperienza delle scuole Senza Zaino all’innovazione della scuola di base», Scuola
democratica (2014), «Scuola e innovazione: il contesto generale e il ruolo delle comunità, EdaforumLLL (2015), «Ridefinire la relazione tra scuola, famiglie e territorio in una cornice unitaria.
L’esperienza di democrazia partecipata dell’Istituto Comprensivo di Scarperia-San Piero a Sieve»,
Scuola Italiana Moderna (2015).
Prima di approdare a Scuola-Città Pestalozzi ha insegnato in piccole pluriclassi di montagna e in
scuole a tempo pieno nel Mugello e a Firenze, convinta che l’insegnamento sia un’esperienza di ricerca continua e un’avventura da condividere.
Scuola Città-Pestalozzi, comunità educante
Scuola-Città Pestalozzi è stata fondata nel gennaio del 1945 da Ernesto Codignola e da sua
moglie Anna Maria Melli. Si trova nel centro di Firenze, in via delle Casine, nel quartiere
di Santa Croce, nell’area verde situata immediatamente dietro la chiesa di Santa Croce. Le
intenzioni originarie sono racchiuse nel suo nome: scuola, cioè istruzione per tutti, padronanza degli strumenti culturali e valorizzazione delle potenzialità di ciascuno, città, spazio
educativo per la formazione del cittadino, dove promuovere una coscienza civica e democratica all’indomani del ventennio di dittatura fascista, Pestalozzi, dal nome del pedagogista svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), con l’intento di condividerne i principi di un’educazione complessiva della persona, secondo un’uni tà di cuore, mente e mano.
Nella scuola proposta da Codignola l’organizzazione poggia sulla partecipazione attiva
degli insegnanti e degli alunni a tutte le attività in cui si articola la vita della comunità, è
un’esperienza di autogoverno comunitario. Al suo interno trovano spazio attività manuali
come tipografia, falegnameria, orto e, per la formazione culturale e democratica, il giornale
e la biblioteca. I ragazzi, sia delle classi elementari sia dei tre anni successivi, rimangono a
scuola fino al tardo pomeriggio, disponendo anche del servizio mensa. Non è possibile in
questa sede un approfondimento delle fasi che hanno accompagnato la lunga stagione
sperimentale di Scuola-Città Pestalozzi: in parte queste si trovano descritte e dibattute in
un certo numero di pubblicazioni e appartengono alla storia della pedagogia e della didattica italiane, intrecciate ad esperienze sviluppatesi nel resto del paese come il tempo pieno,
la scuola del curriculum, il primato della didattica laboratoriale, l’educazione alla cittadi nanza. A settant’anni dalla sua fondazione, Scuola-Città Pestalozzi è oggi una scuola statale e sperimentale (ai sensi dell’articolo11 del DPR 275/99), concepita in un percorso unitario negli otto anni della scuola primaria e secondaria di primo grado.
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Scuola-Città Pestalozzi non è una scuola di metodo, non ha riferimenti fissi in autori o teorie e il proprio modello per l’organizzazione, per le scelte da adottare relativamente alle
metodologie, ai contenuti e agli strumenti è continuamente oggetto di ridefinizioni, trasformazioni, differenti orientamenti. Gli insegnanti che hanno svolto un’esperienza presso
la Scuola-Città Pestalozzi hanno introdotto via via istanze, pratiche, nuove conoscenze,
matrici culturali e scelte metodologiche differenti, apprendendo gli uni dagli altri e portando poi in altre scuole ciò che lì avevano appreso.
Non possiamo quindi dire che esista un “metodo” di Scuola-Città Pestalozzi, ma per parlare di questa realtà possiamo fare riferimento sostanzialmente a tre cornici. La prima è rap presentata dalle scelte che attualmente ne definiscono l’offerta formativa, secondo gli
obiettivi e le traduzioni in pratiche del progetto di sperimentazione. Una seconda è data
da una serie di elementi, concretamente rilevabili, che caratterizzano la scuola, molti dei
quali hanno radici lontane nel tempo. Un terzo aspetto è invece riferibile all’ambito delle
ispirazioni, ai riferimenti pedagogici, alle concezioni sul bambino, sulla relazione tra insegnamento e apprendimento che, per quanto non costituiscano mai un repertorio esaustivo,
sono rintracciabili in un «clima», in atteggiamenti comuni, in pratiche condivise. ScuolaCittà Pestalozzi propone un approccio complessivo all’esperienza scolastica, costruito sul
principio della centralità dell’alunno che deve essere protagonista del proprio percorso
formativo, sulla dimensione attiva e collaborativa della mediazione didattica, dove la conoscenza passa attraverso il saper fare ed il saper essere, sull’idea di una scuola comunità
e su una professionalità docente complessa e orientata alla ricerca.
Prima cornice
Con il progetto di sperimentazione iniziato nel 2011 si intende realizzare un «contesto didattico-organizzativo innovativo» caratterizzato da:
• Superamento della tradizionale organizzazione degli alunni in classi, che appare inade guata in quanto non si traduce in esperienze di apprendimento informali e differenziate.
L’obiettivo è quello di sperimentare forme organizzative funzionali a scopi diversi (interes si, attitudini, conseguimento di livelli di preparazione, socializzazione, progetti, (cfr. Dra go, 2010).
• Trasformazione degli spazi fisici, in modo che gli alunni possano «riconoscervi» i caratteri delle esperienze proposte, le modalità di raggruppamento e gli strumenti per l’appren dimento.
• Organizzazione oraria flessibile, che contempli attività che hanno scopi, natura e modali tà organizzative differenti.
• Definizione del percorso formativo di ciascuno attraverso saperi essenziali disciplinari
comuni e ambiti di approfondimento personale.
• Predisposizione di strumenti e procedure finalizzati allo sviluppo dell’autonomia, della
responsabilità, dell’autovalutazione.
• Scuola come comunità e rete.
Il curriculum è l’intreccio di tre tipologie di esperienza con scopi e natura differenti: il per corso disciplinare, le attività open-learning, il lavoro autonomo.
Il primo “filo” è quello delle discipline, dove si è proceduto a una scelta degli obiettivi di
apprendimento e dei contenuti da collocare in un «curriculum dei saperi essenziali», i cui
obiettivi sono da considerarsi comuni a tutti gli studenti. Il lavoro è stato impostato attra verso un confronto tra i docenti per discipline di insegnamento. Quest’operazione si ispira
all’idea che gli insegnanti debbano lasciare una parte del “campo” a esperienze scolastiche
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corrispondenti a interessi, bisogni, tempi e modalità differenti. Il tratto distintivo dei laboratori disciplinari è la competenza, declinata in conoscenze, abilità e comportamenti iden tificati come «essenziali» nel curriculum.
Il secondo filo è stato l’inserimento di una quota di tempo scuola dedicato ad attività di versificate per gruppi di alunni: non tutti gli allievi di una classe lavorano contemporanea mente sulla stessa attività, si compongono gruppi diversi dalla classe di appartenenza e si
«entra» in una situazione nella quale «cambiano le regole» rispetto al laboratorio discipli nare. Si possono infatti avere gruppi che seguono un progetto tematico, che sperimentano
linguaggi e tecniche oltre la proposta disciplinare alla classe, che affrontano o approfondiscono contenuti specifici. A questo dispositivo, con le sue «caselle» nell’orario settimanale,
è stato dato il nome di open learning, a sottolinearne tra i tratti distintivi il carattere aperto,
flessibile e opzionale.
Il terzo filo ha introdotto un tempo dedicato al lavoro autonomo, un momento nel quale
ciascun allievo affronta un percorso calibrato sulle proprie caratteristiche, stabilito in un
piano di lavoro, con un grado progressivamente maggiore di autonomia. I tratti distintivi
del lavoro autonomo sono l’autonomia e la personalizzazione.
A un nuovo impianto di tempo scuola è stato aggiunto un terzo pilastro, quello del tuto ring insegnante-allievo. La scelta di impiantare un percorso strutturato di tutoring è stata
inoltre sostenuta come evoluzione del curriculum di educazione affettiva, a lungo speri mentato in tutti i bienni. È centrale, nella proposta di questa figura, l’idea del «prendersi
cura» dell’allievo in tutte le sue dimensioni, «riconoscerlo» e aiutarlo a «riconoscersi», associare il successo formativo alla qualità delle relazioni e delle emozioni. Ogni alunna e
alunno della classe V della scuola primaria e ogni studentessa e studente della scuola se condaria di I grado è «affidato» a un docente della scuola che lo affianca, lo sostiene e lo
orienta.
Seconda cornice
Un tratto peculiare di Scuola-Città Pestalozzi è la sua dimensione verticale, sia dal punto
di vista degli alunni-studenti sia dei docenti. L’esperienza scolastica è pensata in ogni suo
momento per collocarsi in una prospettiva di otto anni, dove il concetto di continuità si
traduce in un insieme di dispositivi, molti dei quali praticati fin dalla nascita della scuola.
Le classi sono organizzate in bienni affidati a un team di docenti, la classe quinta primaria
e la prima secondaria di I grado costituiscono un biennio affidato a insegnanti elementari e
della scuola media. Lo «scorrimento» delle classi permette a ciascun gruppo di essere abbi nato alternativamente con la classe precedente e con quella successiva, permettendo agli
alunni di essere più volte «i grandi» e «i piccoli» nelle attività comuni. Vi sono poi altre
«tracce» dell’impostazione per bienni. Ad esempio le classi di anno in anno si spostano
nelle aule della scuola in modo da avere vicina la classe con la quale condividono il biennio. La gita annuale costituisce un’esperienza molto importante di condivisione. Il biennio
quinta-prima media costituisce uno snodo fondamentale e non privo di criticità: l’attribu zione ai docenti della scuola secondaria di alcune discipline, come inglese, musica, arte ed
educazione motoria, determina una “secondarizzazione” del tempo scuola, con orari più
scanditi, pause più brevi, moltiplicazione delle figure di riferimento. Questo biennio costi tuisce però anche una «zona» di interscambio fondamentale tra i docenti dei due ordini di
scuola in relazione alla mediazione didattica, alle strategie per la gestione della classe, alle
competenze e ai saperi disciplinari. Uno degli aspetti fondamentali della scuola è l’idea di
comunità, la scuola-città ideata da Codignola, che ha trovato nel tempo diversi canali di
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espressione e differenti modalità di realizzazione. Tra i primi troviamo il consiglio degli
alunni, che formato da rappresentanti eletti in tutte le otto classi. Esso si accompagna a un
curriculum – «L’emozione della democrazia» – che interpreta il tema dell’educazione affet tiva in un’accezione molto ampia: consapevolezza di sé, interazione nel gruppo, principi
della convivenza, democrazia partecipativa e competenze di cittadinanza. Rimanda
all’idea di una comunità educante la presenza di un’associazione genitori, la Gasp, attiva
nel sostenere le iniziative della scuola, la pratica del cineforum per i genitori, la festa an nuale con gli alunni presenti e degli anni passati, le occasioni di convivialità tra docenti,
organizzate all’interno dell’edificio scolastico. A Scuola-Città Pestalozzi non esiste la campanella e neppure la mensa. Il pasto viene consumato nelle aule, che si ri-allestiscono più
volte al giorno per le diverse attività. Per l’intervallo del mattino vengono distribuiti la
frutta e il pane forniti per il pranzo e non viene acquistata una «merenda» individuale. Per
tutta la durata della scuola primaria gli insegnanti non adottano libri di testo ministeriali
ma una pluralità di materiali che confluiscono nella biblioteca della scuola; la prima
mezz’ora della mattina, nella scuola primaria, è dedicata alla lettura. Le aule sono arredate
con quattro tavoloni circolari con sei posti, che corrispondono a un’impostazione prevalentemente collaborativa del lavoro didattico. L’organizzazione degli spazi fisici presenta
l’impronta della scuola organizzata per laboratori; vi sono infatti la falegnameria, il teatro,
la biblioteca, il giornale, l’orto.
Terza cornice
Un primo punto è l’idea di didattica che, potremmo dire, «testimoniano» i docenti della
Scuola-Città Pestalozzi. Si tratta di un aspetto non codificato, approcci che affondano le
loro radici nelle stesse ragioni che hanno condotto i singoli docenti a formulare domanda
di servizio presso la scuola e che si sono trasformati, intrecciati nel trascorrere degli anni.
La mediazione didattica è connotata da metodologie laboratoriali, approccio per problemi,
compiti di realtà. È da sottolineare che la concezione di «laboratorio» nella didattica a
Scuola-Città Pestalozzi è sempre stata quella di un dispositivo strutturale, che dà forma
all’intero processo di insegnamento-apprendimento e non un contesto separato a cui far ri ferimento solo in alcuni momenti. La collaborazione tra pari è una strategia «strutturale»,
la progettualità collegiale ha un carattere permanente. Altro elemento è quello del «curri culum implicito», il profilo educativo dell’insegnamento a Scuola Città Pestalozzi. Questo
fa riferimento sia a elementi attinenti la gestione dei gruppi di alunni, sia a elementi legati
all’interazione didattica. Alcune esemplificazioni di modalità ricorrenti e «tramandate»:
per chiedere il silenzio gli insegnanti non alzano la voce, ma la mano, e attendono che tutti
i bambini o ragazzi, sostengano quella situazione, alzando a loro volta la mano facendo si lenzio; viene privilegiata la comunicazione «in prima persona» rispetto alla generica attribuzione di giudizi; di fronte alla segnalazione di un problema da parte degli allievi, i docenti adottano sistematicamente la strategia del rispecchiamento, ponendoli nella condizione di ipotizzare una soluzione.
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Adele Caprio
Adele Caprio, laureata in lingue e in psicologia, è autrice e regista. Guida l’associazione Le Nuvole.
«La nostra associazione è nata nel 2007 come centro di ecologia umana» spiega Adele. «Si tratta di
un centro dove si può lavorare su tre campi specifici, strettamente connessi fra loro: la crescita personale, l’educazione e la cultura. Per la crescita personale utilizziamo vari strumenti come i corsi di
yoga integrale che facciamo con adulti e bambini, la meditazione in tutte le sue forme, i laboratori di
trasformazione personale e l’arte-terapia. È attivo anche uno sportello d’ascolto gratuito online. Nel
settore educativo abbiamo lavorato con i bambini di ogni fascia d’età sia nei campi estivi da noi organizzati, che nei corsi di mindfulness e yoga nelle scuole. Cinque anni fa, insieme ad altre associazioni, nazionali e internazionali, abbiamo avviato una ricerca sulla scuola che cambia in Italia, ricerca che è sfociata in un report che è stato pubblicato nel 2014 col titolo “Pedagogia, un’arte in divenire”, edito da Anima Edizioni. Dopo l’uscita del libro e grazie ai tantissimi contatti instaurati,
abbiamo iniziato a girare l’Italia invitati da associazioni, scuole e gruppi in un primo tempo conosciuti solo virtualmente attraverso eventi, le cosiddette tavole rotonde di nuova pedagogia, che permettevano a genitori, docenti e studenti di confrontarsi direttamente su questi temi».
Adele Caprio, responsabile del progetto, è stata poi chiamata a coordinare, per il gruppo Erbasacra
di Roma, un corso professionale per educatori olistici rivolto a genitori ed educatori che vogliono
sperimentarsi nel nuovo paradigma educativo promosso da pedagogisti del calibro della Montessori,
Steiner, Neill, Krishnamurti ecc. «Ci stiamo inoltre attivando, insieme a un gruppo di agguerriti
genitori, per aprire una scuola genitoriale di nuova pedagogia sul nostro territorio, la Tuscia viterbese. Per quanto riguarda il settore culturale, il nostro gruppo ha attivato un laboratorio teatrale
chiamato teatro evolutivo per creare una compagnia di teatro sperimentale il cui proposito potrebbe
essere riassunto così: «fare teatro non è un semplice esercizio di stile… fare teatro genera una trasformazione sociale che parte, come primo step, dalla metamorfosi interiore dell’artista!» In questo
momento il gruppo sta elaborando un adattamento tratto da Le affinità elettive di Goethe».
L’arte della nuova pedagogia
In questa seconda parte della giornata continueremo a parlare degli esperimenti di Nuova
Pedagogia in atto in Italia e nel mondo. Vi sarete già resi conto che il senso del nostro evento era quello di far incontrare i tanti, tantissimi autori del cambiamento epocale in atto nel
mondo dell’educazione. Già con l’uscita del mio report, che ha tentato una prima mappatura in Italia della nuova pedagogia, mi ero accorta, mentre intervistavo gli operatori del
cambiamento, che molti non si conoscevano ed era necessario connettere fra loro queste
realtà in modo da non far sentire nessuno solo o isolato. Infatti, molti oggi non sanno ancora di non essere dei pazzi visionari e che il cambiamento della scuola e della pedagogia
tanto auspicato è invece già in atto. Dunque, ne dobbiamo diventare solo più consapevoli e
non saranno decreti calati dall’alto a fare la differenza. No, ancora una volta saranno coloro che una volta appartenevano a delle minoranze a mettere in atto un cambiamento. Grazie all’iniziativa di Terra Nuova Edizioni e la buona volontà degli organizzatori che hanno
dato vita a questo evento sento di poter affermare che un primo importantissimo passo è
stato compiuto. Oggi ci siamo guardati negli occhi, abbiamo avuto la possibilità di dirimere dubbi, di fare domande, di creare legami, collaborazioni. Noi ci adopereremo per incentivare tali relazioni. Visitate il nostro sito di Tutta un’altra scuola, aiutateci a migliorare e a
diffondere la mappatura, creiamo sinergie fra operatori, scuole, genitori, associazioni e poi
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rivediamoci il prossimo anno al secondo incontro nazionale delle scuole di nuova pedagogia per fare di nuovo il punto della situazione.
Per finire quest’incontro abbiamo pensato di proporvi uno spaccato della scuola di oggi vista con gli occhi di una giovane compagnia di teatro, la Compagnia Poetica. Con questo
spettacolo tenteremo di farvi toccare con mano, seguendo il pensiero dei rivoluzionari pedagogisti degli anni ’70, la dimensione di una zona temporaneamente autonoma. Cos’è
una Taz? L’evento di oggi, l’arte, il teatro e, volendo, persino alcuni momenti della nostra
vita dipende ancora una volta solo da noi! Mi è stato dato il compito di presentare Michael
Newman. Per quanto mi riguarda io nel mio libro non ho mai avuto modo di parlare di
quale sia il metodo migliore ma il metodo libertario è quello più vicino al mio sentire,
quindi avere qui in carne e ossa una persona che sta portando avanti l’insegnamento o comunque il lavoro di Alexander Neill è per me una grandissima gioia. Per cui Michael
Newman grazie di essere qui».
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Michael Newman
Ospite d’eccezione a Tutta un’altra scuola il professor Michael Newman, docente di scienze alla
scuola inglese di Summerhill.
Sin dal 1988 Newman è impegnato come professionista nell’educazione alla cittadinanza e ai valori.
Da 13 anni lavora alla Summerhill School come insegnante di scienze, consigliere per la carriera
professionale, tutor dei ragazzi, insegnante d’inglese e maestro.
E’ stato membro del comitato esecutivo dell’Alleanza per i diritti dei bambini per l’Inghilterra (con
funzioni di segretario e tesoriere) e membro dell’Associazione umanistica britannica, del comitato
della Società per l’educazione narrativa, del Comitato per l’educazione cooperativa di Ipswich e
Norwich, del Gruppo-guida per l’educazione alla cittadinanza della contea di Suffolk e membro della Fondazione di Summerhill A. S. Neill.
Per otto anni ha lavorato nella zona-est di Londra (facendo riferimento al centro HEC – Humanities education centre), come operatore per la progettazione dell’educazione allo sviluppo nelle scuole, realizzando eventi, progetti, facendo formazione per insegnanti e studenti su vari temi: metodo
cooperativo, diritti dei bambini, democrazia locale, giustizia «restaurativa», uso dei linguaggi multimediali nell’insegnamento alla cittadinanza (in quest’ultimo campo ha lavorato con oltre trenta
scuole primarie e dodici secondarie).
Altre informazioni sul suo lavoro sono ricavabili al link: www.eastendtalking.org.uk/ourvoice
La Summerhill School è importante per tre ragioni primarie:
- è una testimonianza in continuità con la storia Europea delle scuole basate sulla libertà dei bambi ni/e e della loro espressione, dalla Montessori in poi – fondante la storia culturale della partecipa zione e diritti dei bambini/e;
- è un modello di pratica educativa che esclude l’autorità, e può perciò aiutare l’elaborazione ed, immaginazione di un altra scuola possibile;
- solleva le questioni dei diritti e della partecipazione senza che esse siano collegate al metodo di in segnamento.
Supportato dall’associazione Lucertola Ludens, dal settembre 2012 Michael realizza un
tour di conferenze dal titolo «Summerhill in Romagna e oltre». Per il programma del settembre
2015: www.lalucertola.org/italiano/summerhillsettembre2015.html
Cos’è Summerhill
Qui ci sono molti esempi di tante scuole diverse, ma la domanda è: «Che cosa rende una
scuola primaria un’ottima scuola primaria?». Gli ingredienti potrebbero essere una scuola
centrata sul bambino dove si fanno attività in piccoli gruppi, dove è importante la creativi tà, il gioco; una scuola dove il bambino, i bambini sono al centro e dove i bambini contri buiscono a quello che è il meccanismo per prendere decisioni sia riguardo al loro apprendimento sia riguardo al funzionamento di una scuola, una scuola che permette di apprendere quello che è l’ambiente esterno all’aula, quindi l’ambiente naturale con i suoi animali,
gli insetti, le piante. Un luogo dove si impara anche attraverso il peer teaching, cioè ognu no insegna agli altri. Questo in passato era la buona scuola elementare inglese statale
(1950/1960 e 1970). Ma negli anni ’80 questa scuola venne distrutta dall’ossessione di uniformarsi a un curriculum internazionale, dagli ispettori scolastici, dagli esami.
Summerhill School è un modello di riferimento, funziona, è piena di buone pratiche. Incontri come questi sono quelli che hanno aiutato la scuola inglese a crescere, a farla diven34
tare una scuola progressista. Cento anni fa cominciarono a esserci incontri in Inghilterra, a
esserci grandi convention dove i metodi come Montessori, Steiner e Pestalozzi cominciarono a definire una scuola diversa rispetto alla scuola primaria inglese. Il punto di partenza
fu Montessori, fu presa dalla scuola montessoriana l’idea di liberare il bambino e
quest’idea veniva condivisa da tutti i presenti. Non importava il metodo, ma la pedagogia
dell’insegnamento. L’unica cosa importante era liberare il bambino e questo è quello che ci
unisce anche qui. Crediamo nel bambino e nella sua liberazione, nel fatto che possa diven tare se stesso.
Quelle conferenze annuali in Inghilterra durarono dal 1915 fino al 1936 e ogni anno nuove
esperienze, nuove idee e nuove scuole venivano condivise e promosse, ogni anno si condividevano queste buone pratiche. Molti dei conferenzieri erano insegnanti statali ed erano
donne che credevano nei diritti delle donne. Quelle conferenze cambiarono la scuola inglese, la gente si incontrava, condivideva e andava poi a praticare fuori. Non è questione di
diventare tutti come Summerhill, il nostro è un esempio estremo di come si può liberare
un bambino. Ma la cosa importante è che Summerhill funziona come le vostre scuole e i
vostri esperimenti, noi non siamo un esperimento.
Summerhill fu fondata nel 1921, noi adesso siamo un modello di pratica, come Montessori,
come la scuola Pestalozzi; si tratta di modelli di pratica da cui si può imparare. Ma la cosa
importante per me era che nonostante gli insegnanti, i professori, gli ispettori statali presenti alle conferenze fossero in disaccordo sul metodo, tutti convenivano su un punto, ovvero sui diritti dei bambini, sul liberare l’infanzia per permettere ai bambini di diventare
se stessi attraverso le pratiche della scuola.
In Europa adesso c’è il problema di ottenere la cittadinanza oppure del razzismo,
dell’intolleranza, del bullismo e anche dei modi con cui stiamo distruggendo il nostro pia neta; il Consiglio d’Europa ha dichiarato che tutte le scuole, tutte le università e i luoghi
dove si fa educazione dovrebbero avere forme di autogoverno, di rappresentanza democratica che includono le voci dei ragazzi, dei bambini, degli studenti. Anche le Nazioni
Unite hanno affermato che la cosa importante a scuola non sono le materie, ma diventare
se stessi e imparare a vivere e a convivere con le diversità. Da noi i ragazzi sono lontani dai
genitori, hanno diritto alla privacy e prendono parte alle decisioni attraverso dei meeting
dove stabiliamo regole e si risolvono i problemi della comunità. Hanno lezioni ma possono
scegliere se partecipare o no, ogni studente ha il proprio programma di attività e ognuno
sceglie cosa vuole studiare.
Due sono le cose molto importanti a Summerhill: una è l’incontro per comunità, in questo
meeting tutti quanti hanno pari poteri e tutti hanno il diritto di esprimersi; l’altro aspetto è
il vivere fuori dalla classe, perché è lì che i bambini davvero imparano; imparano l’uno
dall’altro vivendo assieme, giocando assieme, stando assieme. E all’esterno non ci sono insegnanti. La cosa fondamentale è che in questa scuola non ci sono metri di misura di apprendimento, non ci sono test. Cento anni fa chi la fondò si chiese: avremo successo con i
giovani? Ma i progressi ci furono solo nelle scuole primarie. Le scuole secondarie non progredirono mai a causa di ispettori e curriculum.
E’ comunque vero che in Inghilterra ci sono esempi nella storia di scuole secondarie, una
di queste era a est di Londra, chiamata St. George in the East, con quattrocento studenti
che venivano da quella zona, da famiglie molto povere. Questo quartiere fu distrutto du rante la Seconda guerra mondiale dalle bombe. Dal 1945 al 1955 questa scuola fu condotta
basandosi su un sistema democratico e quando gli ispettori scolastici governativi vi arrivarono nel 1948 dichiararono: «Questa è la scuola del futuro». Era una scuola che veniva visi 35
tata da Alexander Neill e dal suo punto di vista era il massimo che si poteva raggiungere.
In questa scuola non c’erano premi, non c’erano punizioni corporali, i ragazzi apprendevano in gruppi, facevano gruppi di ricerca e condividevano con gli altri bambini i risultati
della ricerca. I bambini insegnavano gli uni agli altri. Due volte l’anno la scuola faceva una
grande riunione di comunità e si discuteva sul funzionamento, i bambini scrivevano domande o facevano commenti su foglietti che venivano messi dentro un cappello, poi gli in segnanti leggevano a voce alta le domande e le opinioni, senza censura. Gli insegnanti in
quel momento dovevano rispondere alle domande riguardo a come insegnavano e riguardo a come funzionava la scuola.
Per me questa è una scuola molto bella, non è una questione pubblica o privata, è un esempio che dimostra come queste cose possano essere fatte in una scuola statale e anche nei
quartieri poveri. Quando Martin Luther King fece il suo famoso discorso non parlava di
genitori che prendevano per mano i bambini, ma di bambini che prendevano per mano altri bambini. Si tenevano per mano perché avevano diritti o perché gli adulti hanno inse gnato loro a tenersi per mano?
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Erika Di Martino
Erika Di Martino è madre di cinque figli che non sono mai andati a scuola. Si occupa di educazione
e homeschooling da anni. E’ la fondatrice del network italiano www.educazioneparentale.org.
Laureata in lingue, scrittrice, family&life coach e social community manager, ha lasciato l’insegna mento per dedicarsi alla diffusione dello stile di genitorialità ad alto contatto tramite il suo lavoro di
consulente personale e organizzatrice di convegni. Ha collaborato con numerose testate giornalistiche e ha partecipato a diverse trasmissioni televisive ed eventi, spiegando a milioni di persone come
si possa istruire i propri figli al di fuori del sistema scolastico tradizionale. Erika è un’attivista sociale che, attraverso la sua esperienza personale, porta avanti la rivoluzione del sistema educativo e
del ruolo della famiglia nella società odierna. Il suo lavoro è raccontato in Homeschooling, l’educazione parentale in Italia, che è il primo libro in Italia sulla scuola familiare. Erika è una voce al servizio del cambiamento, oggi più che mai necessario. L’homeschooling è una possibilità valida e ri spettosa dei diritti dei bambini, Erika e la sua famiglia stanno ispirando sempre più persone a consi derare questa scelta che offre agli individui rispetto, pace e libertà. Non può esserci una rivoluzione
senza il cambiamento.
Thomas (10 anni), Olivia (8), Nicholas (6), Benjamin (3) e Viola Rose hanno spinto Erika a riflette re su quale sia il modo migliore «per educare i propri figli difendendo la loro libertà di scelta e ali mentando la loro sempre maggiore autonomia». «Io e mio marito» spiega «non crediamo che la
scuola allo stato attuale possa dare ai nostri bambini l’opportunità di imparare e sperimentare fino
in fondo ciò che è veramente importante nella vita. Noi amiamo stare insieme ai nostri figli, seguirli
mentre crescono ed esplorano il mondo e pensiamo che la loro educazione sia responsabilità della famiglia, non dello Stato».
Homeschooling, la scuola non è un obbligo
L’educazione parentale è l’istruzione impartita dai genitori o da altre persone scelte dalla
famiglia ai propri figli. Si può coinvolgere nell’educazione chiunque abbia la voglia e la capacità di trasmettere conoscenza e abilità, sfruttando tutte le fonti di conoscenza e competenza che sono disponibili nell’ambiente circostante alla famiglia. Alcune famiglie preferiscono seguire degli orari giornalieri, utilizzando i testi e i programmi scolastici, altre desiderano affidarsi a un apprendimento più naturale e spontaneo dove si assecondano i biso gni, l’interesse e la capacità dei figli in veste di aiutanti e guide.
Istruire i propri figli personalmente è, per noi italiani, un diritto costituzionale. L’articolo
30 della Costituzione Italiana recita: «E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed
educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la
legge provvede a che siano assolti i loro compiti». Inoltre l’educazione parentale può coprire tutto il percorso di studi, dalle scuole primarie fino al termine dell’obbligo scolastico,
i bambini possono comunque sempre rientrare in un percorso di studi tradizionale a metà
anno come uditori oppure a settembre dopo aver passato un esame di idoneità. Non si
tratta quindi di una scelta definitiva.
Per iniziare questo percorso bisogna inviare una comunicazione con raccomandata a mano
o con ricevuta di ritorno alla direzione didattica di competenza ogni anno per l’anno successivo. Alla prima domanda dovrebbe essere allegata l’autocertificazione attestante le ca pacità tecniche e le possibilità economiche dei genitori. È un diritto praticare la scuola familiare, ma è altrettanto vero che la scuola pubblica può fare dei controlli se ha forti dubbi
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sull’assolvimento dell’obbligo o se la famiglia sfugge a ogni contatto, quindi mantenetevi
aperti al dialogo.
È inoltre possibile ritirare vostro figlio dal corso di studi tradizionale per educarlo a casa
mentre l’anno scolastico è in corso. Occorre sempre consegnare una comunicazione scritta,
dove si specifica che il bambino verrà ritirato dalla classe e dall’istituto in questione.
Solitamente quando si parla di homeschooling ci si riferisce a quelle famiglie che insegnano utilizzando un curriculum ben preciso. Essi in parte ricreano la scuola in casa proponendo determinati argomenti a seconda delle fasce d’età, utilizzando libri di testo simili a
quelli scolastici (ma non è detto!) e dedicando un momento specifico della giornata allo
studio. Per essere più esplicativa direi che in questo metodo la nave della conoscenza è pilotata dal genitore (o dal tutor) che indica al bambino la via da seguire.
Al contrario con il termine unschooling ci si riferisce a quelle famiglie che lasciano i propri
figli liberi di decidere come, dove, quando e sopratutto cosa imparare. In questo caso la
nave è pilotata in toto dal bambino, ma egli non è solo: i genitori sono parte attiva di questo apprendimento offrendo fonti di studio e sostenendolo nei suoi percorsi naturali. Le famiglie che fanno unschooling attuano un grosso cambiamento perché devono dimenticare
tutto quello che è stato loro insegnato sull’apprendimento e imparare a fidarsi dei propri
figli a trecentosessanta gradi. I genitori offrono gli strumenti per trovare le informazioni rispettando le scelte e i tempi del bambino.
Va da sé che queste due categorie non sono a tenuta stagna e che esistono tanti metodi di
fare scuola familiare quante sono le famiglie che lo praticano. Noi lo abbiamo scelto per
dare maggiore libertà ai nostri figli, sia fisica che mentale (consideriamo il banco e le quat tro mura della classe alquanto restrittive), per offrire loro un percorso di studi personaliz zato e per mantenere un’unione familiare che con i tempi dettati dalla scuola non avrem mo potuto avere.
Homeschooling, educazione parentale, home education, istruzione familiare, cosa significano questi termini? Sono fra loro sinonimi e definiscono quella situazione in cui il genitore si prende la responsabilità di educare i propri figli a casa e informa annualmente il dirigente della propria zona della scelta fatta. Ogni famiglia decide come affrontare questo impegno: possono essere famiglie che si organizzano da sole o che condividono alcune attivi tà con altri gruppi, possono avvalersi di un tutor e/o creare un curriculum personalizzato,
possono seguire il programma ministeriale o meno. La cosa fondamentale è che la famiglia
sia al centro dell’educazione: il genitore non delega, benché in certi momenti possa avva lersi dell’aiuto di altri genitori o insegnanti privati per alcune materie di studio. Tutto que sto avviene tra le mura domestiche o in qualsiasi altro luogo in cui la famiglia decida di es sere parte attiva dell’apprendimento (musei, parchi, palestre, ma anche il supermercato o
la banca!).
La realtà delle scuole familiari invece è ben diversa. Infatti, dal momento che si tratta di
vere e proprie realtà scolastiche le scuole familiari si discostano nettamente dall’homeschooling. Quindi è sempre importante operare questa distinzione.
Le motivazioni che spingono le famiglie a scegliere l’homeschooling sono molteplici: possono essere di natura religiosa, linguistica, di salute, oppure semplicemente perché si vuo le dare ai propri figli un’educazione personalizzata che soddisfi le necessità, le passioni e i
tempi del singolo. Alcune famiglie educano a casa per evitare che i propri figli subiscano il bullismo e l’esposizione al clima oppressivo e competitivo della classe, altre non vogliono delegare il compito fondamentale di educare i propri figli e ricercano un’unità fami liare che non potrebbero ottenere se i bambini stessero a scuola sei o otto ore al giorno.
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I genitori che scelgono l’educazione parentale istruiscono i propri figli con amore e dedi zione, il loro lavoro è da considerarsi alla pari di quello svolto dagli insegnanti nelle scuole
e proprio per questo vanno accolte con rispetto e apprezzamento. Sia queste famiglie che
le istituzioni stanno lavorando al nobile compito di aiutare le nuove generazioni a ottenere
un successo formativo, promuovendo lo sviluppo della personalità nelle sua integralità.
In Italia non si hanno statistiche definitive, ma le famiglie che rifiutano la scuola sono
all’incirca un migliaio. Il trend è in continua crescita.
La socializzazione dei ragazzi che fanno scuola a casa è molto diversa da quella degli scolarizzati: gli homeschooler passano le loro giornate aiutando in casa, sbrigando delle commissioni, facendo gite d’istruzione, andando a trovare familiari o amici, aiutando le perso ne del vicinato, facendo volontariato, praticando sport di gruppo ecc. Mentre i loro compa gni scolari socializzano in un ambiente controllato, chiusi in un edificio con altri della loro
stessa età, i bambini educati a casa vengono in contatto con la società, con il mondo e interagiscono in prima persona con queste realtà.
Essi sperimentano la vita, coltivando la fiducia e la stima in loro stessi e nelle loro capacità
senza essere continuamente valutati ed etichettati. Questo significa che non sapranno inserirsi nella società? Certo che no, questi bambini sono già parte integrante della società, non
si stanno preparando per esservi inseriti (neppure fossero bulloni) tredici anni o più di preparazione.
Inoltre, non dimentichiamo che nella socializzazione scolastica risiedono anche il bullismo,
le violenze sessuali, il razzismo, il vandalismo, il teppismo, il sessismo e le cattive abitudini quali fumare e usare un linguaggio volgare. La pressione psicologica esercitata dalla
massa può avere effetti devastanti sia sullo studente che sulla sua famiglia.
Alcuni genitori si domandano se saranno in grado di svolgere questo compito: si pensa
che per poter insegnare siano necessari molti anni di preparazione, si debbano superare in numerevoli test che spesso non sono in grado di valutare la reale abilità del candidato a in segnare. Questo processo crea degli «insegnanti qualificati» che però troppo spesso non lavorano per vera vocazione. Bisogna ricordare che per trasmettere conoscenza bisogna innanzitutto stabilire un rapporto positivo con la persona alla quale ci si sta relazionando. Le
dimostrazioni pratiche sono molto spesso più efficaci di quelle teoriche. Quanti insegnanti
non hanno la possibilità di seguire il percorso dei propri alunni a causa dei ritmi pressanti
del programma e delle valanghe di lavoro aggiuntivo? Tanti, troppi. Insegnando a un bambino che vuole apprendere si deve innanzitutto ascoltare e poi imparare a rispondere alle
domande che arrivano direttamente da lui, garantendo un clima di rispetto e calma reci proci.
Io e mio marito non riproduciamo la scuola a casa, non giochiamo a fare gli insegnanti dei
nostri figli attorno al tavolo da pranzo. Non imponiamo sveglie e programmi, non decidiamo cosa essi devono studiare e non li obblighiamo a fare i compiti. Noi ci fidiamo di loro,
sappiamo che essi sono in grado di imparare ciò che vogliono, come e quando lo desiderano. Ci mettiamo in ascolto sempre, passiamo molto più tempo a osservare piuttosto che a
istruire. Il nostro approccio educativo, stravolge completamente le linee guida tradizionali,
significa fare tabula rasa della propria forma mentale (e quella della maggior parte della
gente che ci sta attorno) e provare qualcosa di completamente nuovo.
Educare a casa può essere decisamente più economico che mandare i propri figli a scuola:
non avrete spese di benzina, non dovrete comprare tutto l’occorrente per la scuola (zaini,
astucci, un’infinità di libri ecc.), potrete evitare le ultime mode del momento e risparmiare
in vestiti e gadget. Noi utilizziamo molto internet, le risorse gratuite sono infinite e le bi 39
blioteche numerose. Sappiamo che gli anziani sono meglio dei libri di storia, il supermer cato ci offre diverse varianti di problemi matematici da risolve. Tutte queste sono possibili tà di apprendimento a costo zero, ma vedrete che il tempo ve ne suggerirà molte altre ancora. Invece di acquistare dei giocattoli per le feste fate ai vostri figli dei regali intelligenti:
un abbonamento a una rivista educativa, degli ingressi per il teatro o a una mostra particolarmente interessante, libri oppure abbonamenti per dei programmi didattici online.
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Cecilia Fazioli e Valerio Donati
Progetto Educativo CampoVolo, Faenza (Ra).
Cecilia Fazioli è pedagogista e consigliere di Zebra Gialla. Valerio Donati è pedagogista, psicologo,
psicoterapeuta e naturopata. È impegnato nella scuolina di Pieve Cesato, Progetto CampoVolo.
Da due anni l’associazione ZEBRAgialla A.S.D. propone, nella campagna faentina, un progetto
educativo chiamato CampoVolo, dedicato ai bambini e alle bambine dai 3 ai 14 anni, con la scuolina
di Pieve Cesato. Si tratta di una proposta di educazione parentale, alternativa alla scuola statale.
Condotto da un’équipe pedagogica di professionisti, il progetto si contraddistingue per l’approccio
zoo antropologico, il cui obiettivo quello di attivare percorsi che creino per il bambino occasioni con tinuative di esperienza e partecipazione attiva con l’ambiente naturale e con gli animali. Si propone
di far sperimentare ai bambini uno stile di vita attento e rispettoso nei confronti di se stessi, dei propri bisogni e di quelli altrui; di avvicinarli al concetto di diversità come ricchezza, di rispettare i
tempi di sviluppo individuale e di valorizzare i talenti di ognuno. Gioco, attività manuali e artisti che, vita all’aria aperta hanno un ruolo fondamentale nella quotidianità del nostro «fare scuola».
L’educazione parentale
Buongiorno a tutti e grazie della vostra partecipazione. Siete molti, moltissimi, a dimostrazione di quanto sia attuale e interessi il tema dell’educazione e dell’istruzione dei bambini.
Siamo qui per parlarvi del Progetto CampoVolo, un progetto ancora molto giovane, stiamo
entrando nel terzo anno di vita, ma anche, come tutti i bambini, desideroso di crescere, con
tanta voglia di muoversi, conoscere e relazionarsi col mondo.
CampoVolo è un progetto di educazione parentale. Abbiamo sentito come la Costituzione
italiana sancisca, agli articoli 30 e 33, il diritto-dovere, da parte dei genitori, di istruire i
propri figli; questo diritto-dovere si può esplicare o direttamente, in prima persona
(l’homescholing di cui si parlava poco fa) o delegando altri (la scuola statale, le scuole private, insegnanti privati). Per quanto riguarda alcuni dei nostri bambini, il progetto Campo Volo assolve, su mandato delle famiglie, l’obbligo di istruzione scolastica. L’aggettivo pa rentale riassume quindi la delega delle famiglie rispetto al loro diritto-dovere sancito dalla
Costituzione e non esprime, nel nostro caso, significati ideologici particolari.
Una breve storia della nostra realtà: da tanti anni in Romagna sono presenti segni del fer mento e della ricerca da parte di famiglie che si interrogano sul senso, sul significato
dell’istruzione da dare ai propri figli, che hanno portato, talvolta, al tentativo di costruire
realtà scolastiche alternative, con motivazioni e prospettive molto diverse, ma che hanno
finora condotto a delusioni, discussioni, separazioni. Circa cinque anni fa un nuovo gruppo di genitori e interessati ha iniziato a riunirsi a Faenza per riflettere insieme su una pos sibilità di questo genere. L’anno successivo è iniziata una prima esperienza, ben poco
strutturata, che si è conclusa con litigi e forti contrasti. A quel punto due genitori, con specifiche competenze pedagogiche e zoo antropologiche, partendo dall’esperienza vissuta e
dal desiderio di costruire qualcosa per i loro figli, hanno progettato una nuova realtà, coin volgendo educatori che potessero contribuire a questa realizzazione. Ne è nato il Progetto
educativo CampoVolo che si trova oggi ad affrontare il suo terzo anno di vita, non senza aver
vissuto conflitti, difficoltà, speranze e disillusioni in questo breve arco di tempo. In questi
due anni il progetto si è pian piano consolidato da un punto di vista strutturale: abbiamo
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creato un’équipe di educatori, un gruppo amministrativo, abbiamo cioè cominciato a dare
un’organizzazione a ciò che inizialmente era sorto in modo spontaneo; ancora così giovani
soffriamo naturalmente di una precarietà economica ma anche motivazionale.
Prima caratteristica del nostro progetto è l’attenzione data al fare esperienza: rifuggiamo in
parte dalle definizioni e dalle etichette, ma se volessimo dare un nome al nostro approccio
educativo, potremmo definirlo come pedagogia esperienziale. I bambini vivono l’esperienza: del tempo atmosferico come del tempo cronologico, dell’incontro con l’animale come
dell’incontro con i bambini amici, della terra come dell’acqua, dell’aria e del sole,
dell’arrampicarsi su un albero come del cadere, del gioco e dell’imparare; il nostro proget to è anche scuola e quello che i bambini imparano passa innanzitutto dalle loro mani e dai
loro piedi.
Ne deriva una particolare attenzione data alla dimensione della naturalità: la nostra sede è
situata nella campagna faentina, che non è un luogo selvaggio, ma sicuramente una dimensione non abituale per tanti bambini che vivono in città: i nostri bambini hanno asini e
pecore come compagni (il rapporto con gli animali non è casuale ma trova fondamento
teorico nella zoo antropologia), viviamo quotidianamente gli spazi all’aria aperta, con
qualsiasi condizione atmosferica, i bambini hanno una quasi totale libertà di gioco e di movimento.
Altra caratteristica che ci contraddistingue è l’importanza assegnata alle relazioni: siamo
un gruppo e in gruppo si apprendono la matematica ma anche la somiglianza e la diversi tà, si impara a rispettare i propri confini e quelli degli altri, in poche parole a essere sé stes si nel mondo.
Infine vogliamo sottolineare l’importanza che attribuiamo al rispetto dei tempi e dei modi
del bambino: non in senso generale o astratto, ma concreto, calato sull’essere di ogni singolo bambino; non abbiamo fretta e al tempo stesso vogliamo dare a ogni bambino il nutrimento adatto alla sua età, al suo modo di essere, ai suoi bisogni più profondi.
E qui entriamo nel vivo di una questione che ci preme in modo particolare.
Come dicevamo, siamo una scuola parentale ma ci definiamo progetto educativo. Siamo nati
dal bisogno e dal desiderio di alcuni genitori verso i propri figli, perché crediamo che le
valenze motivazionali rivestano una particolare importanza nella vita umana. Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi, così come Rudolf Steiner, fondatore della pedagogia
antroposofica, riconoscevano al desiderio un ruolo fondamentale nella genesi dell’azione
come espressione della volontà umana. La nostra scuola parentale che, in quanto tale,
esprime il dovere (parola che non va tanto di moda, ma è quella che è utilizzata nella Co stituzione; potremmo parlare anche di responsabilità) dei genitori di dare un’istruzione ai
figli (ma anche il diritto di dar loro un’istruzione e quindi qualcosa che ha più a che fare
col bisogno dei genitori di scegliere l’educazione che ritengono più opportuna), la nostra
scuola parentale, dicevamo, non vogliamo che sia autoreferenziale, che sia uno specchio in
cui ci guardiamo, che sia la risposta, appunto, solo ai nostri bisogni.
Anche lo Stato, attraverso la sua scuola, forma i propri cittadini coi mezzi e gli strumenti
che ritiene più idonei, ma in funzione dei propri bisogni di stato. Noi non siamo contro la
scuola statale, che conosciamo piuttosto bene e in cui troviamo ancora esperienze valide e
persone degne di stima. Ma lo Stato, che ha l’obiettivo di formare i cittadini adatti alla pro pria società, ha una sua personale visione e idea di bambino. Fondamentalmente, nel mi gliore dei casi, un vaso da riempire; nel peggiore, e siamo d’accordo con quanto sostenuto
da Paolo Mottana nell’intervento di questa mattina, di un suddito da modellare.
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Una scuola parentale potrebbe e dovrebbe avere un’altra idea di bambino: quella dei pa renti, cioè dei genitori che vogliono per lui qualcosa che non corrisponde probabilmente
all’idea di cittadino condivisa dalla società. E questo, come accennavamo prima, è il terreno dei desideri, dei bisogni personali, della ricerca individuale: un genitore desidera che il
proprio figlio viva all’aria aperta, un altro che si alimenti in modo sano ed equilibrato, un
altro che possa imparare ad avere relazioni libere con i coetanei, un altro ancora che possa
stare con gli animali che gli piacciono tanto o che possa correre sereno senza l’ansia dei
compiti, qualche genitore, invece, vuole proprio i compiti, alcuni vorrebbero veder cresce re i propri figli senza la preoccupazione dello sporco e dell’ordine a ogni costo e desidererebbero farlo stare a piedi nudi quando vuole, ma c’è anche chi non vuole proprio i piedi
nudi o chi non vuole che il bambino viva rapporti paritari con gli adulti anziché segnati
dal ricorso all’autorità. Sono tutti desideri e bisogni possibili, legittimi, reali, perché sono
proprio i bisogni dei genitori che in questi anni abbiamo incontrato e conosciuto. Ma sono
i bisogni e i desideri dei genitori che, per quanto motore fondamentale, come dicevamo
prima, dell’azione, devono sapersi fermare davanti alla porta di un progetto educativo.
Una realtà come la nostra non è un luogo privo di contrasti, anzi, è un luogo ad alta con flittualità perché ogni genitore parte dal proprio desiderio e pensa che questo abbia una
maggiore legittimità rispetto a quello degli altri. Si riconoscono i desideri altrui, non pen siamo che esistano desideri illegittimi che non abbiano diritto di cittadinanza; occorre però
che, come gruppo, iniziamo a capire che i nostri bisogni, come i nostri diritti, devono ral lentare di fronte al bisogno e al diritto dell’altro. Vivere e crescere in gruppo significa im parare a limitare sé stessi, affrontare, come ben insegna la psicoanalisi, la frustrazione di
non veder gratificati tutti i nostri desideri. È grazie ai no che spesso (non sempre, ma tante
volte) si cresce, imparando a ad affrontare e gestire la frustrazione, caratteristica fonda mentale dell’età adulta. Nonostante a volte sia necessario, in genere ai bambini diciamo
pochi no perché di solito è l’esperienza, e non l’intervento dell’adulto, che insegna al bam bino il senso del proprio limite. Ma tra adulti, quando l’esigenza del gruppo è al di sopra
di quella del singolo, dobbiamo imparare a mettere da parte i nostri bisogni.
Siamo una scuola parentale perché, come riconosciuto dalla Costituzione, i genitori rivendicano il diritto e il dovere di scegliere l’istruzione da dare ai propri figli e lo fanno non in
prima persona, una possibilità che come gruppo non scegliamo ma anche non giudichiamo, ma attraverso la delega consapevole, voluta, scelta, agli educatori che hanno incaricato. Noi siamo anche e ancor più progetto educativo: progetto perché guardiamo al futuro e
ci mettiamo in cammino verso una meta lontana, non ancora chiara, nebulosa, ovvero
l’essere adulti dei bambini, dei nostri particolari bambini; educativo perché il nostro primo
obiettivo non è l’istruzione, ciò che ci preme non è il riempire un vaso, ma educare, offrire
cioè ai bambini la possibilità di percorrere una strada che li conduca a loro stessi.
Quindi partiamo dal desiderio dei genitori, ma orientati verso il futuro dei bambini. Spes so si afferma che la dimensione temporale dell’educazione sia il presente, noi, invece, sia mo convinti che sia il futuro. Non ci fermiamo al fare animazione, al riempire il tempo del
bambino nel modo più piacevole, utile, leggero, ludico lasciando solo a lui la responsabilità di portare il peso di quel tempo e delle scelte di cui è costituito. Noi siamo educatori,
crediamo di avere la responsabilità di camminare insieme ai bambini e non in quanto coe tanei, ma in quanto adulti. Come abbiamo affermato in altre occasioni, crediamo nel diritto
del bambino di ricevere un buon esempio, di avere una guida, di confrontarsi nella relazio ne con l’adulto.
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L’educazione, in quanto arte, non è mai neutra, ma sempre portatrice di connotazioni cul turali, storiche, filosofiche. È un’illusione quella di pensare di poter rimanere sempre in un
presente neutro, estraneo a questo mondo, in un’«isola che non c’è». Occorre calarsi in
questo mondo e crediamo sia bene farlo nel modo adatto a ognuno. Tutti hanno il diritto di
essere accolti e accompagnati in questo percorso-progetto educativo, che vuole essere pro positivo, attento e accogliente nel rispetto dell’individualità.
Se il desiderio è l’impulso, la spinta motrice, e la relazione con gli altri come con noi stessi
rappresenta lo spazio in cui vivere quest’esperienza educativa, crediamo che il pensiero sia
la dimensione all’interno della quale il progetto educativo prende forma.
Al giorno d’oggi facilmente possiamo desiderare che nostro figlio viva la scuola a contatto
con la natura, abbia asini e pecore come compagni di gioco, corra scalzo e si arrampichi sugli alberi. Ma se vivessimo in campagna forse questo ci interesserebbe meno e del resto ne gli anni ’50 non esistevano le fattorie didattiche! Riteniamo legittimo fare scelte educative
ma invitiamo i nostri genitori a riflettere sul fatto che la loro possa essere una fuga, una
fuga dalla scuola statale che, forse, abbiamo vissuto quasi tutti come un posto poco piacevole. Con tutto il rispetto per la fuga e pur condividendo le riflessioni di Laborit in merito,
pensiamo che un progetto non possa crescere solo a partire dalla fuga, perché si tratta solo
di un desiderio. Dobbiamo elaborare un progetto e riflettere su chi si ha di fronte: il bambi no.
Quante volte ci lamentiamo perché non veniamo riconosciuti: all’ospedale siamo un’ulcera
o un tumore al fegato, al supermercato siamo consumatori, a scuola siamo un Dsa, un
bambino bravo in inglese ma un po’ meno in italiano, un bambino simpatico ma che si
muove troppo… Che pensiero abbiamo di noi stessi?
Pirandello ci ha insegnato che non è facile neanche avere un pensiero su noi stessi.
Sarà un pensiero limitato, parziale, difficoltoso, suscettibile a cambiamenti e trasformazioni, ma vogliamo iniziare ad avere pensieri che ci guidino, immagini cui fare riferimento
perché create insieme all’altro, non a priori dell’altro.
Ogni teoria crea un pensiero dell’altro e, ancora una volta, non possiamo rimanere neutrali, pensare di vivere in uno spazio privo di contaminazioni ideologiche. Esserne consapevoli, però, ci aiuta a fare chiarezza, ad essere spregiudicati, cioè aperti, e non pregiudicati,
cioè con pregiudizi, nel rapporto con l’altro.
Non ci siamo mai definiti come scuola, non abbiamo dato etichette al nostro metodo edu cativo. Come dicevamo prima, potremmo chiamarlo pedagogia esperienziale, o forse feno menologica o forse esistenziale, perché crediamo che tutto, in questa esistenza passi
dall’esperienza, dallo sporcarsi le mani, dal rischiare nel prendere posizione come nel cam biare idea quando ci si accorge dei suoi limiti.
I nostri riferimenti teorici si chiamano Steiner, Assagioli, Pestalozzi, Husserl, Rousseau,
Rogers, Illich, Tolstoij e altri ancora. Da essi traiamo le idee per formare il nostro pensiero
del bambino, la nostra antropologia educativa. Ma queste idee devono poi entrare in contatto con la realtà e aiutarci a formare la visione che abbiamo di ogni bambino, una visione
in continuo mutamento, come in continuo mutamento è il bambino stesso, e alla quale
possiamo rivolgerci, con cui possiamo relazionarci, per accompagnare il bambino nel suo
percorso.
Infine se il pensiero del bambino è il luogo in cui prende forma il progetto educativo,
l’azione, la volontà, sono la sua realizzazione. Prima di tutto è importante la volontà di lavoro su sé stessi in qualità di educatori. Il diritto del bambino al buon esempio è il nostro
dovere alla coerenza, al confronto con l’altro, alla ricerca sempre nuova, al non appoggiarci
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sul conosciuto e il predefinito. La nostra volontà deve essere la continua messa in discussione di fronte al nuovo (e ogni bambino è ogni giorno nuovo), per evitare la sclerotizzazione dei rapporti e l’istituzionalizzazione dei ruoli. È nostra volontà mantenere l’elasticità
del progetto, evitare che divenga istituzione istituzionalizzata, è una scommessa quotidiana che trova o meno conferma nella risposta che i bambini ci danno ogni giorno.
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Andrea Sola
Andrea Sola è redattore del sito www.educareallaliberta.org dedicato a raccogliere materiali e testimonianze italiane e internazionali sulle pratiche educative alternative; realizza documentari e
raccoglie materiali video su queste tematiche (tutti di libera fruizione e presenti nel sito); sta attivando una rete di contatti e scambi con realtà affini in diverse parti del mondo. È animatore del
Centro Pandora che ha sede a Mestre e promuove varie attività rivolte a un pubblico di adulti e
bambini che mettono al centro le pratiche artistiche e la manualità artigiana ed è impegnato nella
promozione e nel sostegno di progetti educativi basati sui principi della libertà (il «dopoNONscuola» e i centri estivi). Conduce laboratori di educazione all’immagine, in particolare con l’uso
dell’argilla (i laboratori di narrazione per immagini «Il gesto e la parola»).
Il sito www.educareallaliberta.org è realizzato nella convinzione che sia oggi necessario far rinascere l’attenzione al problema della relazione educativa, facendole riprendere quella centralità che
pure ha avuto in alcuni momenti alti della storia recente. «C’è un filo rosso» dice Andrea «che unisce una serie vastissima di esperienze, di sforzi, di tentativi di superare le concezioni e le pratiche
educative autoritarie e impositive. Chi vuole operare in nome di un riscatto della condizione giovanile deve essere capace di cogliere questo scontro in tutti gli ambiti della vita e non subordinarlo a
priorità che provengono da una visione adulto centrica del conflitto sociale: bisogna saper vedere
tutte le articolazioni in cui si manifesta questo conflitto. Quindi è necessario che tutti i soggetti
portatori di questa consapevolezza dei diritti dell’infanzia comincino a riconoscersi vicendevolmente e inizino ad agire in sintonia, ponendosi degli obiettivi comuni.
I numerosi gruppi che, oggi anche in Italia, stanno dando avvio a iniziative educative basate su
questi principi, siano esse all’interno o all’esterno dell’istituzione, rappresentano esempi importan tissimi di riappropriazione di un diritto all’autodeterminazione, particolarmente importante in un
ambito come il nostro tradizionalmente dominato da una logica statalista. Il sito si propone di con tribuire a porre queste tematiche all’attenzione generale e di favorire nel contempo campagne condivise di ordine culturale».
L’educazione libertaria: un modello di educazione alternativa
L’educazione libertaria è un filone del pensiero pedagogico che ha origini lontane e che è
stato teorizzato da numerosi autori e concretizzato in svariate esperienze pressoché in ogni
parte del mondo¹.
Non si tratta di un metodo educativo canonizzato e articolato in una serie di pratiche e di
strumentazioni didattiche, come avviene ad esempio nelle scuole montessoriane o steine riane, ma di una serie di valori che vengono messi alla base del rapporto educativo e che si
sono declinati in una serie di pratiche educative diverse a seconda dei contesti. L’educazione libertaria è tuttora fonte di ispirazione primaria per moltissimi gruppi di educatori e si
basa fondamentalmente sulla consapevolezza che i bambini sono una categoria oppressa e
quindi sulla necessità del superamento della visione adulto centrica nella relazione educa tiva e sul rispetto del bambino come individuo autonomo e portatore di bisogni e diritti
suoi propri.
L’educazione libertaria dunque si caratterizza per la centralità che assume l’atteggiamento
che gli adulti e i maestri, nel caso si stia parlando di contesti scolastici, hanno nei confronti
dei bambini e dei ragazzi.
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Se ci si chiede quali siano le finalità del rapporto educativo e si accetta che queste finalità
debbano mirare allo sviluppo di personalità autonome e indipendenti, com’è ormai riconosciuto da tutte le concezioni pedagogiche progressiste, allora il punto di vista che chiamiamo libertario adotta una posizione radicale: al centro dell’interesse non è più il cosa si
impara, ma come si impara, perché è dalle modalità attraverso cui avviene questo appren dimento che dipenderà il tipo persona che si andrà formando. Il rapporto adulto-bambino
viene dunque affrontato e analizzato nella sua valenza di rapporto di potere. È da questo
punto di vista che vorrei qui descrivere la specificità della visione libertaria dell’educazio ne, a mio parere alla base di questa concezione, anche se non è stato esplicitamente tematizzato da tutti i pensatori ed educatori che si rifanno ad essa.
L’attenzione non viene posta prioritariamente sui contenuti dell’insegnamento e nemmeno
sulle metodologie didattiche in quanto tali, ma sul modo in cui questo rapporto viene ge stito dall’adulto; questa concezione non vuole imporre una visione del mondo già strutturata che il bambino deve assimilare, ma parte da questa domanda: qual è l’intenzionalità
che regge il rapporto dell’adulto con il bambino? qual è la natura del potere che si sta eser citando nei confronti dei bambini, si tratta di un potere di tipo impositivo o è invece un potere che aiuta a sviluppare la sua autonomia?
Certamente è impossibile immaginare un’assenza totale di forme di imposizione diretta di
norme di condotta da parte dell’adulto, in ragione della condizione di estrema dipendenza
del bambino soprattutto nelle prime fasi della vita. Il bambino ha assolutamente bisogno
della forza diretta degli adulti per sopravvivere (è imboccato, coperto, portato, protetto dai
pericoli esterni, alimentato e provvisto del necessario per sopravvivere ecc.), ma il bambi no entra anche, e questo è l’aspetto che va evidenziato e compreso nelle sue implicazioni
future, in una relazione con l’adulto che si può definire di tipo mimetico-normativo. La
funzione di guida dell’adulto avviene attraverso l’esempio diretto o indiretto, la comunicazione simbolico-discorsiva. Il bambino forma le particolarità del proprio carattere attraverso questi due tipi di influenza, imperativa-forzosa e normativa-mimetica, esercitate dagli
adulti.
Se analizziamo quali siano le ripercussioni sulla personalità in formazione del bambino di
questi due tipi di assimilazione dei messaggi adulti riconosciamo facilmente come i messaggi di tipo forzoso-imperativo producano l’assuefazione a subire, l’imprimersi di un ge nerico sentimento di timore che configura in lui i primi tratti della coscienza servile, con i
conseguenti sentimenti di angoscia, odio, invidia e rispetto della forza in quanto tale. Le
relazioni di tipo mimetico-normative producono, invece, l’orgoglio del sapersi comandare
e ubbidire, il senso di emulazione e il rispetto di se stessi o fierezza, che sempre si accom pagna alla consapevolezza della propria capacità di comportarsi in modo controllato e responsabile.
In questa prospettiva è necessario che l’adulto metta in discussione preliminarmente il
proprio atteggiamento nei confronti del bambino; il genitore o l’insegnante devono saper
comprendere il modo in cui entrano in relazione con il bambino e rivedere le proprie
aspettative, sapendo riconoscere quanta parte in queste aspettative abbia il bisogno di af fermazione del proprio potere attraverso l’imposizione forzosa della propria conoscenza.
Solo così potrà assolvere al compito di essere di aiuto alla sua crescita e alla sua autonomia
futura.
Se si raggiunge questa consapevolezza e si assume tale atteggiamento ne discendono con siderazioni del tutto diverse sulle modalità dell’apprendimento ². La rinuncia a una tra-
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smissione diretta e impositiva o persuasiva, che è la sua versione edulcorata del sapere,
produrrà un rapporto educativo di scambio, circolare e un apprendimento condiviso³.
Bisogna quindi partire dal riconoscimento delle specifiche caratteristiche della mente in fantile e le sue peculiarità che sono, non dimentichiamolo, profondamente diverse da quel le adulte: qui entra in gioco l’affettività e l’importanza fondamentale che essa ha nella disposizione all’apprendimento nel bambino. Se sottovalutiamo questo aspetto rischiamo di
non capire chi ci sta di fronte; se ci ostiniamo a credere che i bambini possano aderire passivamente, direttamente, alla nostra logica basata sulla razionalità, ovvero su ciò che per
noi è evidente, rimarremo lontani dalla loro sensibilità e continueremo a sentirli inadegua ti e quindi a essere ossessionati dall’ansia di cambiarli. Quante volte ci diciamo che con i
bambini bisogna avere pazienza… perché sono piccoli e non possono capire! Dovremmo
invece essere noi a cercare di comprenderli perché solo così potremo entrare in sintonia e
quindi essere loro realmente utili.
Provate a leggere quello che i bambini dicono degli adulti (quando sono liberi di farlo na turalmente!) e vedrete che vi si aprirà un mondo del tutto sconosciuto. Resterete sorpresi,
ma solo perché non siete stati attenti ai segnali, a quel linguaggio cifrato attraverso cui i
bambini ci presentano in modo indiretto questo mondo. È quindi questo linguaggio infantile che noi dovremmo imparare a cogliere.
Vengono così messi al centro due caratteri che hanno una fondamentale importanza per
l’apprendimento: la motivazione all’apprendere, cioè l’interesse da parte del bambino ver so l’oggetto dello studio (è stato più che dimostrato come solo in presenza di un interesse
diretto si ha vero apprendimento; quando questo manca tutto quello che si pensava di
aver insegnato svanisce come per incanto in brevissimo tempo) e la fiducia che l’adulto
deve trasmettere nelle capacità del bambino (è un atteggiamento la cui presenza, pur non
essendo oggetto di alcuna dichiarazione esplicita, viene sempre percepita dal bambino).
Riconoscere la centralità di questi due aspetti significa rispettare l’autonomia e la dignità
dei bambini come persone indipendenti, e non come epifenomeni in via di diventare uguali a noi.
Da quanto detto conseguono le altre articolazioni che sono alla base delle pratiche educati ve libertarie e che qui andiamo ad esaminare per sommi capi.
In primo luogo consideriamo il carattere guida delle pratiche libertarie. Si tratta del ricono scimento del diritto del bambino alla libertà nell’apprendere. Questo è forse l’aspetto che
suscita più perplessità in chi si avvicina a questa prospettiva educativa, perché è quello
che mette maggiormente in evidenza la rinuncia da parte dell’adulto ai propri diritti di
guida, di regista della scena.Data l’importanza del «come» si apprende bisogna allora anche essere in grado di rispettare i tempi e le modalità personali dell’apprendimento, si de vono cioè saper riconoscere e tenere presenti le differenze individuali di ciascun soggetto,
rinunciando a qualsiasi atteggiamento omologante. Accettare questo principio porta quindi a rinunciare a imporre la propria «tabella di marcia» ai bambini, essere disponibili a lasciare loro la libertà di scelta e puntare sullo sviluppo della loro responsabilità personale.
Altri aspetti che caratterizzano fortemente questo tipo di approccio sono il riconoscimento
dell’importanza del gioco come forma di conoscenza, di esplorazione di sé nel mondo e di
tutte quelle forme di educazione «incidentale» (Paul Goodman) cioè determinata dall’«incidente», da una ricerca che produce inaspettatamente dei risultati. Proprio perché nascono da una occasione offerta dalla vita, dove il soggetto è parte attiva e motivata alla ricerca, queste forme di educazione «incidentale», per chi le sta scoprendo, diventano tanto più
importanti e significative.
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Ancora una volta, ciò che conta è prima di tutto il processo attraverso cui si arriva a raggiungere il risultato, di qui anche l’importanza dell’errore, delle incertezze, dei cambia menti di rotta nel percorso della formazione.
Vi è poi la pratica della condivisione delle regole su cui si basano i contesti educativi. La
democrazia è pratica viva e diretta dei gruppi; di qui la consuetudine delle discussioni col lettive sulle decisioni generali, le assemblee, e la pratica dei tribunali dei ragazzi, che sono
un elemento essenziale di tutte le sperimentazioni di questo tipo. Ciò che caratterizza que ste pratiche è dunque la condivisione e non l’imposizione delle regole.
Vorrei sottolineare incidentalmente come sia del tutto privo di fondamento il luogo comune secondo cui dove si rispettano i principi della libertà individuale le regole vengono
meno perché sono ritenute prive di importanza. Accade, invece, tutto il contrario: più la li bertà viene praticata, maggiore è la necessità di rispettare le regole che devono essere però
accettate e condivise da tutti in modo responsabile.
Importante è anche il rifiuto di qualsiasi gerarchizzazione dei saperi, basato sul riconoscimento delle diverse forme di intelligenza che sono proprie di ciascun individuo (Gardner).
Prendiamo ad esempio le pratiche della manualità e dell’espressività estetica (preferisco
usare questa parola piuttosto che «artistica» perché la categoria dell’artistico appartiene al
mondo adulto): i bambini attraverso la manualità, la produzione e l’uso delle immagini
imparano a conoscere il mondo secondo modalità diverse da quelle discorsivo-razionali tipiche del linguaggio; perciò queste pratiche devono essere parte ineliminabile delle espe rienze, senza limiti anagrafici di alcun genere.
A conclusione di questo sintetico excursus a proposito della modalità attraverso cui si ap prende quel rapporto particolare che prende il nome di insegnamento, riportiamo un’ulti ma riflessione. Ognuno di noi, nel momento in cui entra in relazione con un bambino o co munque con una persona molto più giovane di lui adotta inconsapevolmente gli schemi di
rapporto che a sua volta ha vissuto quando era lui il più giovane; solo un’attentissima e severa autoanalisi può renderlo consapevole del bagaglio che ha ereditato e che sta guidan do i suoi atti presenti. Per dirlo nei termini del discorso qui svolto, sta riproducendo il tipo
di potere che lui stesso ha subìto: il mestiere di maestro, educatore o insegnante sottostà
primariamente a questa regola ferrea ed è quindi da questo compito di conoscenza di sé
che deve partire qualsiasi progetto di cambiamento dei paradigmi educativi.
NOTE
1. Non è qui possibile fornire nemmeno un sommario elenco degli autori e delle esperien ze che si rifanno al pensiero libertario nell’educazione; mi limito a citare, solo come esempi
particolarmente significativi, alcuni autori: Tolstoj, Alexander Neill (fondatore della scuola
di Summerhill), Janus Korczak (pedagogista polacco morto in un campo di sterminio as sieme ai suoi bambini del ghetto di Varsavia), John Holt, ispiratore delle free schools Stau nitensi, e Paul Goodman, che ha introdotto l’idea di educazione incidentale. Un testo sinte tico ma molto esaustivo sull’argomento è Educare per la libertà di Michael Newman (ed.
Eleuthera).
2. Il processo dell’apprendimento è apparentemente un processo passivo, di pura trasmissione di un sapere da un soggetto a un altro; in realtà è insito nell’atto dell’apprendere un
tipo di relazione particolare, di tipo normativo, che implica una partecipazione attiva nel
processo di assimilazione di quel sapere da parte del soggetto in fase di apprendimento:
senza tale partecipazione l’apprendimento non potrebbe avvenire. Solo in apparenza si
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tratta di un’operazione univoca, cioè prodotta esclusivamente dall’atto comunicativo da
parte di chi ha un sapere verso chi non lo possiede; in realtà siamo di fronte a un’operazio ne di «mediazione» in cui la partecipazione attiva del discente è necessaria e senza di essa
non si darebbe alcun risultato concreto, non si potrebbe parlare di una trasmissione riusci ta. Questo per dire che, nonostante il processo dell’apprendimento venga considerato dal
senso comune come un’operazione a senso unico, condotta dal solo adulto/docente, di fat to è sempre in atto una compartecipazione attiva all’apprendere da parte del discente; in
questo senso si può parlare di un esercizio di una relazione di potere di tipo normativo e
non imperativo.
3. È questo l’aspetto che più segna la distinzione tra una prospettiva libertaria e una solo
«progressista» nell’educazione: il rifiuto di un rapporto «insincero» nei confronti del bambino, presente ad esempio nelle teorie di Rousseau, che è in atto anche nei casi in cui si
presenta sotto forma di «persuasione», e la conseguente autenticità della relazione che si
instaura con i bambini. Questa differenza è già stata evidenziata da William Godwin, il
primo ad aver teorizzato questo tipo di approccio, nella sua polemica con Rousseau agli
albori della discussione sull’educazione.
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Christian Mancini
Christian Mancini ha fondato Nature Rock, che propone corsi di formazione e laboratori. Nature
Rock nasce nel 2012 a Montopoli in Val d’Arno, provincia di Pisa, «dall’idea di intensificare e facilitare le dinamiche relazionali tra alunni e insegnanti sia nell’ambiente scolastico sia in quello extra
scolastico» spiega Christian. «Nell’anno scolastico 2013/14 abbiamo proposto diversi progetti, corsi
di formazione e collaborazioni con agenzie di formazione, abbiamo lavorato in vari contesti educa tivi-formativi e siamo riusciti a creare la prima realtà in Toscana che segue metodi provenienti
dall’educazione esperienziale dedicati alla crescita di una scuola felice e umana (Henry David Tho reau, John Dewey, Kurt Hahn, Werner Michl, D. Kolb, T. Senninger, Outward Bound). Il filo pedagogico usa principalmente metafore provenienti dall’outdoor-education, la pedagogia esperienzia le non direttiva, la formazione non formale in aula e l’arrampicata esperienziale. I progetti e le gite
in natura sono un’opportunità innovativa e un’alternativa potente alla classica uscita scolastica,
che permettono agli insegnanti di far emergere le capacità individuali dei ragazzi stessi e migliorano
molto le dinamiche emotive e relazionali in classe. In questo modo offriamo all’insegnante l’occasio ne rara di cambiare la propria prospettiva della classe osservando i propri alunni con una nuova di stanza, ma anche la possibilità di eguagliarsi agli allievi e mostrare l’appartenenza attiva al gruppo
classe come «persona» e non come ruolo in funzione». «Il cambiamento di luogo, ad esempio l’aria
aperta, modifica le abitudini quotidiane tra bambini e insegnante. Questo facilita lo sviluppo e
l’apprendimento di nuove strategie comportamentali. I percorsi esperienziali outdoor & indoor piacciono molto a ragazzi e insegnanti che hanno voglia di mettersi in gioco. Miriamo a sviluppare il
senso di appartenenza affinché sia stimolata e rafforzata la collaborazione. Trasformare il potenziale
del gruppo nella forza della squadra diventa il tema principale dei corsi esperienziali. Molti compiti
richiedono fiducia e interazione tra i partecipanti, per cui la qualità del risultato dipende fondamentalmente dal livello di cooperazione e conoscenza umana nel gruppo. In un gruppo il conflitto fa
parte di una dinamica sana. Deve essere interpretato come occasione per sviluppare soluzioni o
strategie più efficaci e positive e l’errore diventa una necessità per migliorare. Il superamento e
l’accettazione dei propri limiti, così come il riconoscimento delle proprie capacità e quelle altrui,
rappresentano un grande sforzo personale. L’arrampicata esperienziale, basata sul gioco, unisce
questi obiettivi pedagogici alla completa educazione della conoscenza di sé e degli altri». Christian
Mancini collabora anche al progetto Disimparando ed è coordinatore del seminario di educazione
esperienziale avviato alla facoltà di scienze dell’educazione dell’Università di Firenze.
Un approccio esperienziale all’educazione
Nella società digitale di oggi non si parla solo di ottimizzazione dei processi produttivi e
tecnologici, ma anche di processi umani1, «Generation Golf!» . Tutto sembra dedicato ad
ampliare il ventaglio del sapere nel minor tempo necessario e il maggior reddito futuro
possibile2. Creiamo tecnici altamente specializzati e professionalizzati in ogni ambito. La
definizione dell’identità è principalmente legata a ciò che facciamo e questo lo determina il
nostro agire all’interno del mestiere. Oggi i bambini sono spesso catapultati all’interno di
molteplici attività educative e formative spesso svolte in spazi chiusi. Riscontriamo che le
proposte per bambini offrono spesso situazioni «direttive», quindi limitanti per l’autonomia esplorativa e finalizzate a promuovere specifiche attività pensate dal punto di vista
dell’adulto. L’educazione infantile è scivolata verso una programmazione controllata e «si51
cura», determinando crisi nelle competenze psicomotorie, cognitive, sociali ed emozionali3.
Per contribuire alla discussione relativa a questa schematizzazione della vita quotidiana,
vorrei offrire alcune ipotesi provocatorie. In primo luogo «insegnare non è la missione primaria dell’insegnante» e «imparare non è il risultato primario dell’alunno». Per capire perché non si può insegnare niente a nessuno, prima è necessario comprendere i meccanismi
dell’organo maggiormente utilizzato per l’apprendimento: il cervello umano. È l’unico organo che riesce a funzionare in maniera «normale» anche con meno del 50% di se stesso 4
ed è dotato di un’immensa plasticità neuronale che permette che si creino o separino mi liardi di connessioni e nuove tracce neuronali ogni secondo 5. Questo processo è quello
dell’imparare. Il cervello è considerato oggi come un organo creato specificamente per ri solvere problemi. Contrariamente a quanto si affermava l’epoca scorsa durante il boom dei
primi computer, il cervello non può essere paragonato a un hard disk o a un computer in
grado di memorizzare facilmente grandi quantità d’informazioni disconnesse tra loro –
pensiamo alla vastità di materie e di informazioni che risultano importanti a scuola -. For se ci dimentichiamo di considerare che dopo anni di utilizzo, il pc, questa macchina inventata peraltro dal cervello umano, non migliora. Invece più usiamo il cervello e meglio fun ziona: un maggior numero di informazioni può essere memorizzato ed elaborato nella memoria a lungo termine6.
Molti sono i risultati scientifici che dimostrano come, sin dalla nascita, il cervello umano
filtri e connetta le informazioni più importanti senza sovraccaricarsi di dati inutili 7. Seguendo le ricerche di Daniel Goleman, le emozioni hanno un ruolo fondamentale nei mec canismi decisionali inconsci relativi a cosa possa essere davvero importante in un determi nato momento8. Nonostante l’immensa quantità di dati che accedono in maniera unilatera le dai canali sensoriali, il cervello è in grado di separare l’inutile, ovvero ciò che al momen to non interessa o non coinvolge emotivamente, dalle informazioni importanti creando
e/o modificando le tracce e le connessioni neuronali.
Un esempio pratico della potenza di auto insegnamento che i bambini possiedono nasce
dall’osservazione di come imparino autonomamente a camminare. In questa età giovanis sima, nessuno è in grado di spiegare e descrivere i dettagli «tecnici» necessari per mantenersi in piedi attraverso concetti verbali. Se proviamo a chiedere a dei tecnici di costruire
un robot che riesca a imitare il cammino in equilibrio, controllato e perfetto come quello
umano, possiamo immaginare i grandi sforzi di programmazione e ingegneria tecnica per
l’implementazione di tutte le leggi fisiche. Il controllo del coordinamento dell’apparato
motorio è un processo altamente complicato come dimostra la storia di tre decadi di ricer ca sul progetto ASIMO9, Honda. Da quest’osservazione, sorge spontanea la domanda riguardo a come riescano i bambini a camminare entro 9-18 mesi. Qualcuno ha forse inse gnato loro a farlo? I bambini sono a conoscenza delle leggi e dei meccanismi necessari? La
risposta è sì per quanto riguarda le informazioni e le nuove tracce neuronali formate nel
cervello5. Naturalmente nessun bambino saprebbe spiegare le leggi applicate, ma il cervel lo, tra una caduta «esperienziale» e l’altra, è stato in grado di filtrare le informazioni utili,
tramutarle in regole e dimenticare il singolo evento meno importante.
Sono i bambini ad apprendere e non gli adulti a insegnare: l’esempio dell’apprendimento
della lingua madre aiuta a riflettere in questo senso. All’età di circa sei anni i bambini han no sviluppato un linguaggio sufficientemente completo e comprensibile, senza avere mai
udito regole di grammatica italiana ma semplicemente attraverso la relazione con altre
persone che parlano 10. Rapportarsi con gli altri attraverso una dinamica di ascolto e dialo 52
go è il frutto del meraviglioso funzionamento del nostro cervello che non ha memorizzato
tutte le singole parole tramite un sistema “Excel-database”, ma che dalle prime esperienze
riconosce e cattura le regole dietro alla lingua ascoltata 5. Tutti siamo in grado di usare tempi e coniugazioni anche in riferimento a verbi o parole che non esistono (ad esempio ciapolare: io ciapolo, tu ciapoli ecc.) Questa capacità ci fa capire che non abbiamo mai creato un
database per la nostra lingua madre, ma che abbiamo inconsciamente appreso e fatte nostre le regole grammaticali.
L’approccio esperienziale nell’apprendimento
Dunque, se l’apprendimento è strettamente correlato all’esperienza 11 in prima persona, è
importante mettersi in discussione e riflettere sulle esperienze, sugli esempi reali che ab biamo offerto in passato ai nostri bambini. La somma delle esperienze (indoor, outdoor, relazioni, emozioni, decisioni) si sedimenta nei bambini e si creano centinaia di miliardi di
tracce neuronali legate alle emozioni che, sulla base della loro intensità, svilupperanno le
future opinioni e i valori etico-comportamentali 8. La spiegazione a un bambino di concetti
e significati della società o usanze civili diventa un compito molto difficile. Semplicemente,
quando si vive insieme ai bambini e si accompagnano con rituali positivi diamo loro uno
stimolo per provare a comprendere e seguire questi stessi rituali. Così, anche il rispetto
verso ogni forma di vita sarà da esempio per i bambini che, a loro volta, tratteranno altre
vite con più rispetto.
Che cosa possiamo fare per facilitare la crescita e lo sviluppo dei bambini? Fondamental mente abbiamo il compito di spiegare, mostrare, sentire e toccare la nostra vita ai bambini
e vorrei specificare che la vita non termina fuori dal cancello della scuola. Tutto ciò che ri veste il significato della dimensione «vita» potrebbe essere descritto in maniera comprensibile, sincera e originale anche all’interno dell’ambiente scolastico . Come si possono insegnare il rispetto, l’etica se non la viviamo in primo luogo davanti ai figli di tutti? Come
possiamo insegnare a comprendere il significato e l’importanza delle emozioni se non le
viviamo e non le spieghiamo davanti ai bambini di tutti? Come possiamo pretendere di insegnare, se noi stessi siamo i primi a non volere copiare dall’esempio che ci danno i bambi ni di tutti? Come possiamo proporre nuove esperienze o facilitare scelte individuali se sia mo noi a chiuderci nelle gabbie della nostra zona di comfort 10? Negli anni abbiamo notato
una scissione tra l’identità di una persona e i diritti e doveri dei ruoli lavorativi a scuola.
Proviamo a immaginare un rapporto di fiducia ed etica tra il personale scolastico e gli
alunni, di stabilire . un atteggiamento umano e amichevole, di rivolgerci ai bambini come
se fossimo insieme ai nostri amici che stimiamo. Come sarebbe una scuola condotta con la
testa, il cuore e la mano? Come potrebbe essere un ambiente, dove in primis contano la re lazione, la comprensione, la fiducia reciproca e l’essere trattati sempre come esseri specifici
e liberi?
Nonostante la buona volontà e dedizione nell’insegnare, spesso si possono creare situazioni che non favoriscono una crescita del bambino sana, libera e senza paure. La paura, in
particolare, si rivela sempre più come ostacolo cruciale all’apprendimento. Le informazio ni legate al modo in cui si riceve il sapere 8 si imparano facilmente. Se un adulto sgrida un
bambino, ad esempio, il messaggio verbale comunicato forse in modo troppo violento, diventa l’informazione primaria da scartare. Rimane nella memoria una paura e il comportamento subito comporta svariate conseguenze. Un’ampia scelta di autori 12, John Dewey, Daniel Goleman, David Kolb o Carl Rogers solo per nominarne alcuni, ritengono che l’esem-
53
pio pratico e ancorato a un’emozione positiva sia lo strumento più potente per lo sviluppo
individuale del «benessere» e per un «imparare a imparare».
Quindi, perché non introdurre nelle scuole dei progetti di educazione esperienziale che
siano svolti possibilmente all’aria aperta in modo tale da stimolare nel bambino e
nell’adulto tutte le loro infinite potenzialità? L’atto di insegnare, nell’educazione esperien ziale, prende forma e significato principalmente attraverso le azioni del far sperimentare,
del far vedere, incuriosire e accompagnare. «Non c’è peggiore insegnante di quello che dà
subito la risposta giusta» dice un proverbio indiano, pertanto è fondamentale preservare o
aumentare la curiosità, rafforzare l’iniziativa a sperimentarsi ed entrare in relazione con il
mondo interiore ed esteriore. Da sempre tutti noi abbiamo imparato le prime lezioni di
vita immersi nell’ambiente naturale e nelle relazioni tra coetanei, ma negli ultimi decenni
il rapporto con queste esperienze è profondamente cambiato e impoverito, ai bambini
spesso è negata la possibilità di costruire un legame con la natura. Credo fortemente che ci
sia la necessità di proporre percorsi di formazione a chi vuole «stare» con i bambini, percorsi che mirano a comprendere come funziona il sistema dell’apprendimento e quali sono
i vantaggi delle esperienze in prima persona. Fare esperienze di ogni genere aiuta a facili tare la scoperta di se stessi e quella del mondo circostante nella propria specificità.
Oggi l’educazione esperienziale, una filosofia senza bandiera e senza stemmi di apparte nenza, diventa un progetto pedagogico e olistico (in diversi paesi è una laurea universita ria13) che, attraverso percorsi rivolti ai minori e corsi di formazione al personale educativo,
cerca di riportare metodi e approcci dediti a facilitare l’accompagnamento e la crescita in dividuale dei bambini. Come finalità educativa ha quella di sviluppare una visione di se
stessi non tanto quanto ruolo, compito e obiettivo tecnico, ma piuttosto come «sviluppatore di potenziali», come mentore di benessere e libertà.
NOTE
1. Hachtmann F., Generation X and Generation Golf, University of Nebraska (2005).
2. Robinson Sir Ken, Changing Education Paradigms, sirkenrobinson.com
3. Farnè R., Agostini F., Outdoor education. L’educazione si-cura all’aperto (2015).
4. Feuillet L., Dufour H., Pelletier J. Lancet, Brain of a white-collar worker (2007).
5. Spitzer M., Lernen: Gehirnforschung und die Schule des Lebens, German Edition (2002).
6. Spitzer M., Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Italian Edition
(2013).
7. Zanto T. P., Gazzaley A., “Neural Suppression of Irrelevant Information Underlies Optimal Working Memory Performance”, The Journal of Neuroscience, (2009).
8. Goleman D., Intelligenza Emotiva, English Version, (1996).
9. Advanced Step in Innovative Mobility- Honda asimo.honda.com/asimo-history
10. Roseberry S., Hirsh-Pasek K., «Can Young Children Learn Verbs From Video?» Morris
J. P., Golinkoff R. M., Child Development, 8, (2009).
11. Panicucci J., Collinson R., Cornerstones of adventure education, Eds (2007).
12. Kolb D., Experiential Learning Theory: Previous Research and New Directions (1999).
13. Pubblicazioni internazionali in Adventure & Experiential Education (2015)
www.erlebnispaedagogik.de
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Gloria Germani
Gloria Germani, filosofa e scrittrice, si è dedicata soprattutto al dialogo tra Oriente e Occidente
«per costruire quella rivoluzione culturale che ci permetterà di fronteggiare le tante crisi che stiamo
vivendo», spiega lei stessa. Il suo libro Teresa di Calcutta: una mistica tra Oriente e Occidente in
cui espone il suo pensiero in rapporto all’India e a Gandhi è stato pubblicato in varie lingue e nel
2003 con la prefazione di Tiziano Terzani. Tra gli altri suoi lavori: Tutto è Uno: l’insegnamento
dell’Advaita Vedanta (Le Lettere 2009), Tiziano Terzani: la rivoluzione dentro di noi ( Longanesi
2008, 2012),A scuola di felicità e decrescita: Alice Project, con prefazione del Dalai Lama (Terra
Nuova Edizioni, 2014). Sotto la direzione di Serge Latouche, per la collana «I precursori della decrescita», è uscito Terzani: verso la rivoluzione della coscienza (Jaca Book 2014) e per «Il Punto
d’Incontro», Tiziano Terzani. La forza della verità. La biografia intellettuale di un saggio dei nostri
tempi (Il Punto d’Incontro 2015). Gloria Germani è attiva nel movimento per la localizzazione e la
decrescita, oltre a essere editrice della collana di film-documentari Satya.doc.
Educare alla felicità e alla decrescita: Alice Project
Grazie a tutti voi di essere qui, è un’occasione importante. Oggi le idee più potenti e ricche
di futuro sono l’ecologia, i cibi biologici, la decrescita, ma occorre afferrare che i semi più
importanti di tutti, da coltivare e proteggere, sono i bambini, le giovani generazioni.
La nostra crisi economica e finanziaria che distrugge l’ambiente e produce il surriscalda mento globale deriva soprattutto dalla formazione e dall’educazione mentale.
Infatti è evidente che la crescita (la crescita economica - l’ossessione del PIL - l’uso di sfruttare l’ambiente e la terra) è inseparabile da un insieme di idee e da un tipo di paradigma
occidentale e moderno ben preciso. La formazione di un pensiero più olistico, non violen to, è un momento indispensabile di quella che Serge Latouche definisce la “decolonizza zione dell’immaginario”.
Alice Project è un paradigma educativo radicalmente nuovo, messo in pratica da quasi 30
anni. Il suo fondatore, Valentino Giacomin, aveva compreso la crisi dei giovani già negli
anni ’80, nel ricco e sviluppato Veneto; ha poi scelto l’India e lì ha dato vita ad Alice Pro ject.
Alice Project trae il suo nome dal famoso libro di Lewis Carroll e insegna ai bambini a en trare nei meravigliosi anfratti della nostra mente, a esplorare il mondo interno dei pensieri,
delle sensazioni, delle emozioni e a superare i confini tra la nostra realtà interiore e quella
esteriore.
In questo senso, la scuola di Alice sviluppa la convergenza tra la scienza contemporanea e
la saggezza orientale, e mette in pratica i più moderni risultati delle ricerche scientifiche
che hanno scardinato i concetti di materia e di realtà esterna ( Il tao della fisica di Capra) nel
campo della fisica quantistica, delle neuroscienza e della PNEI.
Nelle scuole di Alice ovviamente sono insegnate le materie curricolari degli esami di Stato:
matematica, scienze, letteratura, geografia, storia e inglese, materie per cui viene privilegiato un apprendimento intuitivo ed esperienziale. Ma gran parte del tempo viene impie gato per attuare il Programma Speciale che prevede meditazione, visualizzazioni, esercizi
ludici di concentrazione, dialoghi di maieutica filosofica e racconti a sfondo etico in modo
da far capire quanto i nostri pensieri incidano sul mondo.
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Gli obiettivi del Programma Speciale sono: far percepire ai ragazzi la sostanziale unità tra
esterno e interno, tra corpo e mente, prendere coscienza delle proprie emozioni all’origine
dei pensieri e delle azioni, acquisire la consapevolezza che la felicità è una condizione inte riore non soggetta ai cambiamenti degli eventi esterni.
Giacomin chiarisce: «Fino a oggi l’educazione ha seguito il vecchio paradigma scientifico
di Galileo e Newton, la separazione e la frammentazione. Noi crediamo che sia necessario
andare oltre la pedagogia ispirata al paradigma scientifico galileiano. La scienza moderna
ha infatti compiuto un grande passo avanti con la scoperta della relatività, della fisica
quantistica che afferma il principio dell’interdipendenza di tutti i fenomeni e la non esi stenza dei confini in natura.Ciò che noi pensiamo sia indipendente è solo un’illusione, perché nel campo unificato dell’energia non esiste separazione. Ogni elemento è in relazione e
connesso con la totalità. Se la pedagogia non farà propri questi principi, se questi principi
non verranno integrati nel campo dell’educazione, non potremo mai aver un controllo reale sia sul mondo fisico che su quello psichico».
Questo metodo pedagogico rivoluzionario riesce a curare i disordini comportamentali, il
bullismo e le difficoltà degli studenti. Secondo Alice Project «i bambini sono ansiosi e vio lenti quando sono persi nel fuori e non trovano più un dentro». I risultati accademici della
scuola sono ottimi, gli studenti dell’Alice Project passano tutti e con i migliori voti, ma
inoltre essi dimostrano di aver risvegliato dentro di loro un potenziale di bontà, di fiducia
e di solidarietà, di cui avremmo anche qui un grande bisogno, e di coltivare l’altruismo e la
compassione verso tutto il genere umano e la Madre Terra.
La scuola si avvale del patrocinio del Dalai Lama, oltre ad aver ricevuto riconoscimenti da
parte di induisti, cattolici e laici .
Alice Project collabora con il Governo del Buthan per sviluppare una nuova idea di felicità
nazionale complessiva e di benessere.
Dal 2014 è nato Alice Project France con lo scopo di aprire nel 2018 scuole primarie in
Francia che adottino tutto il metodo collaudato di Alice Project.
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Domande e risposte. Prima parte
D. Sono una docente precaria di scuola primaria e ho insegnato solo un anno fino adesso,
come sostegno. Volevo chiedere come vengono inseriti i ragazzi disabili all’interno di tutte
queste nuove metodologie, dato che io comunque sono insegnante di sostegno. Purtroppo,
nella scuola classica ci sono grandi difficoltà a inserire bambini con patologie; penso che
abbiano bisogno di spazi differenti da quelli offerti dalla scuola tradizionale. Quindi vole vo sentire le opinioni e capire, in modo da ottenere qualche spunto utile anche a me nelle
mie esperienze nella scuola tradizionale.
Risponde Iselda Barghini
I bambini disabili, come in genere tutti i bambini in difficoltà con problemi di disgrafia, dislessia o che afferiscono all’area dei Des, vengono inseriti come tutti gli altri nel nostro modello, soprattutto perché, come dicevo stamattina, l’attenzione si rivolge prima di tutto alla
corresponsabilità dei docenti nei confronti di tutti i bambini della classe. Noi abbiamo un
sistema che prevede ad esempio che l’insegnante di sostegno sia un insegnante della classe
e quindi si possa avvicendare con l’insegnante di classe o con l’insegnante del consiglio di
classe a seconda delle competenze dell’insegnante di sostegno; quindi si ha uno scambio
continuo, specialmente nella scuola secondaria. Abbiamo adottato questo sistema dallo
scorso anno ma, rispetto al nostro rapporto con tutti i bambini, la differenziazione
dell’insegnamento, l’alternanza dei lavori ai tavoli ci ha risolto anche il problema della
poca permanenza dell’insegnante di sostegno nella classe. Noi abbiamo dei bambini e dei
ragazzi gravissimi, fino ai diciotto anni, che provengono da una fondazione, la Stella Maris,
e vengono inseriti nelle nostre scuole primarie e secondarie; questi bambini naturalmente
frequentano meno tempo del tempo-scuola, ma anche rispetto alla posizione dell’insegnante, alla posizione soprattutto rispetto al segmento della scuola primaria l’insegnante
che può lasciare gli altri ragazzi liberi di lavorare ai tavoli, con i materiali a disposizione
per le esercitazioni, per il lavoro differenziato ai tavoli o ai mini laboratori che sono inseriti
all’interno dell’aula, in autonomia, quindi con procedure concordate con gli stessi ragazzi,
cosa consente questo? Consente a qualsiasi insegnante presente, di sostegno o di materie
di classe di disciplina, di dedicarsi a un piccolissimo gruppo di ragazzi e ruotare via via fra
i gruppi di bambini. È vero che deve ripetere lo stesso rapporto, lo stesso lavoro, la stessa
lezione con vari gruppi di bambini, ma questo permette di prestare una particolare atten zione a tutti quei gruppi di bambini che hanno situazioni di difficoltà. Questa è un po’ la
scelta che abbiamo fatto ed è quello che comporta la presenza nell’aula di materiali strutturati di laboratori e quindi di una pluralità di strumenti, sia tattili che digitali.
D. Volevo chiedere quali strumenti vengono dati ai bambini che escono da una scuola,
come ad esempio una scuola Montessori o una realtà scolastica dove gli alunni vivono una
situazione «idilliaca», e vengono poi immessi in una scuola di tipo tradizionale. Mi ponevo
questa domanda perché i bambini che hanno frequentato queste scuole hanno bisogno di
strumenti per affrontare una realtà completamente diversa da quella vissuta, grazie.
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Risponde Micaela Mecocci
Allora la domanda era: «Cosa succede quando da una scuola Montessori si passa a una
scuola tradizionale?». È una cosa che capita spesso perché ci sono delle possibilità in Italia
e all’estero di concludere un ciclo di studi all’interno di una struttura Montessori, ma più
si va avanti con l’età, meno sono le possibilità che si trovano sul territorio, quindi molto
spesso, dopo un asilo, una scuola elementare si cambia e si entra in una realtà tradizionale.
Gli strumenti sono quelli di cui parlavo prima; nella migliore delle ipotesi, o almeno quello
sarebbe il nostro obiettivo, rimane intatta la gioia di apprendere, la capacità di meravigliarsi, la voglia di scoprire e imparare per sé, per il proprio bisogno, il proprio interesse, la
propria soddisfazione, non per compiacere un genitore o un insegnante, non per prendere
un voto. E quando, il mio caso personale fu così, si arriva in prima media e ci si confronta
con tutto questo, si ha dentro un’esperienza così forte, così positiva, così profondamente
radicata che veramente, come dicevo prima, nessuno ti può più togliere. Si può convivere
con queste cose perché si sta bene, si è forti dentro, si può conservare il ricordo che non lo
si fa per gli altri, lo si fa per sé e si può trovare un compromesso. Il benessere, la stabilità,
l’equilibrio, l’apertura mentale, l’integrazione, sono tutte risorse dell’individuo che saran no poi utili anche nel momento in cui quest’individuo finisce per confrontarsi con un sistema scolastico diverso o con tutte le esperienze della vita che si troverà ad affrontare. Spero
di aver risposto alla domanda.
D. Buonasera a tutti. Intanto vi voglio ringraziare perché, secondo me, da questo incontro,
da questo convegno lo spirito si risolleva enormemente. Noi siamo quella piccola realtà di
cui ha parlato la professoressa di Scuola Città Pestalozzi, siamo nella scuola pubblica, sia mo nella scuola primaria di un plesso dell’Istituto comprensivo di Calenzano e l’anno
scorso, da sole, sulla spinta delle nuove indicazioni, abbiamo pensato di proporre un per corso innovativo. Il nostro percorso si chiama scuola-comunità, quindi credo che dopo
averlo steso ed elaborato questo nome dica molto, perché la scuola comunità non si avvale
soltanto dei bambini e dei docenti ma soprattutto della partecipazione alla didattica da
parte dei genitori e credo che questa sia un aspetto molto importante del nostro percorso.
Inutile dire gli ostacoli che abbiamo davanti e abbiamo dovuto superare perché chiunque
li conosce. La domanda è questa: perché anche nelle nuove forze che si immettono nella
scuola pubblica c’è questa grande difficoltà ad accogliere il nuovo, a capire quali sono i bi sogni dei bambini, a mettere al centro il bambino? Quando abbiamo presentato il nostro
percorso nei diversi organi collegiali, come prevede la prassi, noi abbiamo detto che «il nostro percorso pone al centro il bambino» e ci è stato risposto che si tratta di un presupposto
comune a tutte le realtà scolastiche. Io credo invece che noi ci distinguiamo poiché, nella
maggior parte dei casi, al centro del percorso e dell’intervento, venga messa la progettazio ne e non la visione del bambino. Quindi io vi ripeto la domanda, la domanda di un’insegnante che, purtroppo data l’età, ha un po’ di esperienza, ma si è messa in gioco perché il
mestiere di maestra è comunque un mestiere che prevede innovazione, formazione e mi ri volgo soprattutto alle nuove generazioni che entrano. Per cui mi pongo i seguenti interro gativi: com’è possibile che una persona intraprenda questa professione senza pensare che
tutto intorno sta cambiando? Quindi, nelle nostre progettualità non dobbiamo considerare
e rispettare i cambiamenti dei bambini e i loro bisogni? Il nostro percorso non è più l’aula
come ambiente di apprendimento, ma è l’apertura al territorio, attraverso l’ingresso dei
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genitori e la ricerca di un contatto con tutto quello che sta intorno alla nostra scuola, gra zie.
Risponde Valentina Giovannini
No io non ho una risposta al perché queste resistenze siano ancora così pervicaci. Intanto
comunque da una singola esperienza non se ne può ricavare una legge generale. Probabil mente in altre situazioni, spero, anzi ne sono convinta, sono proprio le esperienze più gio vani invece che portano avanti il cambiamento e scardinano alcune convinzioni. Il secondo
aspetto che mi viene in mente è che nell’immaginario davvero collettivo l’idea di scuola è
ancorata a delle idee su cosa sia l’insegnamento, cosa è importante apprendere, come deve
essere allestita un’aula, com’è un tempo scuola, idee così radicate che c’è un esempio che
di fatto non ha niente a che vedere con gli argomenti affrontati stamattina. Ogni anno mi
stupisco quando escono le materie dell’esame di stato che iniziano sempre con il liceo clas sico. Il numero di studenti che frequentano il liceo classico è minore rispetto a molte altre
scuole secondarie di secondo grado, ma, penso, nessun giornalista, nessun opinionista, né
il ministero stesso ha mai ritenuto di dare le materie d’esame in un ordine diverso che non
cominciasse dal liceo classico. Ecco, questa è un’idea di che cosa sono la scuola, l’istruzio ne, ciò che conta e ciò che invece non conta e si tratta di convinzioni su ogni aspetto, a par tire dall’arredamento di un’aula. Queste idee sono così radicate nella mente non solo
dell’opinione pubblica ma anche degli insegnanti stessi che quella carrellata di sollecitazio ni affrontate in un percorso formativo per diventare insegnanti, finalizzate al superamento
di un esame, lo dico con una certa cognizione di causa, non è stata finora minimamente in
grado di scalfire.
D. La mia domanda verte sullo sbrogliare questa questione del pubblico e del privato.
Quanto il privato è pubblico e quanto il pubblico è privato. Se la scuola può essere solo
una cosa, cioè se i soldi sono dati dallo Stato abbiamo la scuola di qualità, se i soldi sono
procurati in altro modo non è più scuola di qualità. Ecco, su questo, mi piacerebbe attuare
un confronto, e poi capire quanto Tutta un’altra scuola può essere o è anche la buona scuo la, tra virgolette ovviamente, mi riferisco alla riforma.
Risponde Sabino Pavone
Per poter accogliere il senso di queste risposte bisogna che voi siate molto svegli. Lo siete
abbastanza? Dunque il tema della relazione esistente tra ordinamenti scolastici statali e sovranazionali e tutto ciò che riguarda gli articoli 30, 31, 32, 33 della Costituzione italiana,
che stasera andrete a leggervi, hanno molto a che fare col tema della libertà di educazione
e anche col sistema economico che lo Stato dovrebbe poter fornire. Purtroppo, però, come
in modo particolare affermano chiaramente gli articoli 32 e 33, tutti i cittadini italiani possono aprire scuole di ogni ordine e grado purché questo non sia onere per lo Stato. È una
bella idea di libertà. Bene, ma anche in questo c’è una logica. Allora facciamo un po’ di
chiarezza, una bella lezione che fa bene a tutti. In Italia esiste la scuola statale ed è quella
gestita dallo stato, dalla legge 62/2000 di Berlinguer esiste però una scuola che fa sempre
parte dell’ordinamento scolastico nazionale e che non si chiama scuola statale, ma scuola
paritaria. Per essere riconosciuta, questa scuola paritaria deve obbedire ad alcuni criteri tra
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cui gli stabili, i titoli di studio degli insegnanti e le abilitazioni. La scuola paritaria è sostenuta in misura minima che più o meno nel bilancio di una scuola paritaria incide circa sul
3-4%. Poi esiste una terza possibilità di fare scuola, ovvero le scuole iscritte all’albo regio nale come scuole non paritarie. Queste, a tutta prima, non appartengono al binomio scuole
statali-scuole paritarie, ma sono una sotto-tipologia di scuola che deve obbedire agli stessi
criteri della scuola paritaria, ma con una lieve differenza rispetto alle abilitazioni per gli in segnanti. Non mi sto riferendo ai titoli di studio, state svegli, ma alle abilitazioni. Esiste
questa possibilità dettata dall’articolo 30 della Costituzione italiana che permette a ogni
cittadino italiano di occuparsi dell’istruzione di suo figlio, si chiama istruzione parentale
ed è quella qui credo maggiormente diffusa. Chi è che la pratica? Prova ad alzare la mano
per avere un’idea. Ecco, coloro che approfittano dell’istruzione parentale devono semplicemente dimostrare presso il dirigente scolastico del proprio plesso di poter avere o i mezzi
economici o le condizioni culturali per farlo. E’ chiaro?
Nel 1919, Rudolf Steiner risolve così la questione dello stato in rapporto alla libertà di edu cazione. Vi prego di stare svegli nonostante i marmocchi, loro sono autorizzati a fare i marmocchi, noi no. Dunque, ci sono tre sfere, è veloce la cosa ma state svegli, ci sono tre ambiti
della vita che entrano sempre in gioco: la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza. Ma se non
le mettiamo al posto giusto si crea una gran confusione. Secondo voi, rispetto alla triade
del pensare che cosa ci vuole, la libertà, l’uguaglianza o la fratellanza? Proprio nel pensare,
l’attività del pensare. Libertà di pensiero. Bene, ci siamo qui? Ora viene il difficile. Quando
si toccano degli aspetti delicati anche il mondo spirituale si sveglia. Adesso esiste il mezzo,
non la libertà culturale, ma esiste la sfera giuridica. Secondo voi davanti alla sfera giuridica come dovrebbero essere tutti i cittadini dell’universo? Uguali, uguaglianza. Adesso di temi, se qualcuno di voi non avesse avuto i quattro euro per riuscire a pagarsi il panino
con la porchetta o quello vegano o di un altro tipo, che è un tema di libertà culturale, il vegano o l’amante della porchetta, avremmo dovuto fare leva su quale forza? Sulla fratellan za. Allora Rudolf Steiner parla di libertà culturale, uguaglianza sul piano giuridico, fratel lanza sul piano economico. Quando una di queste sfere invade l’altra abbiamo una patologia sociale e la patologia sociale nasce dal fatto che la sfera economica-finanziaria in Italia
ha invaso la sfera giuridica e la sfera giuridica ha invaso la sfera della libertà culturale.
Questo è l’unico vero problema. Il resto è una guerra fra poveri, tutto questo sistema con fuso ci porta drammaticamente ad avere pregiudizi verso l’altro, la Montessori, la Pesto lazzi, la Senza zaino. Una scuola è buona quando i bambini vanno volentieri e quando ge nitori, insegnanti e amministratori crescono insieme. Sono tutte buone e se poi i bambini
vivono della gioia di vedere con quale sguardo di stima e rispetto si incontrano gli occhi
degli insegnanti con quelli dei genitori, abbiamo reso felice un bambino. Infatti, quel bambino porterà per tutta la sua vita l’esperienza specialmente nei momenti in cui verranno
fatte delle scelte di carattere morale; ciò che ci sosterrà saranno gli impulsi culturali che so stenevano gli insegnanti durante la nostra prima infanzia. Questa è la verità, noi dobbiamo
lasciare questo ai nostri figli, che sia Montessori, che sia statale, non ha importanza. Qui
non è una guerra, conosco insegnanti di scuola statale bellissimi, bravissimi, perché è facile
lavorare in una scuola statale, siamo d’accordo sui principi generali, è anche relativamente
facile in metodologia, ma pensate a lavorare in una scuola statale con un cuore che pulsa
per i bambini e non riuscire a farcela. Non si tratta di un problema di scuola statale o scuo la paritaria, ma di un problema di umanità, sentimento che dovrebbe essere posto al cen tro.
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D. Io avevo una domanda per Sabino Pavone, perché lui ha detto che il bambino ha dei
meccanismi di «funzionamento» opposti a quelli dell’adulto, cioè volontà, emozione, impressione, giusto? Ecco, avrei alcuni dubbi e vorrei più che altro capire meglio come la pedagogia Waldorf segue questo «funzionamento» del bambino.
Risponde Sabino Pavone
Naturalmente stamattina abbiamo parlato pensando che questo non sarà l’unico incontro.
Durante il primo settennio abbiamo la volontà, nel secondo settennio si sviluppa una grinta interiore, il bambino si sveglia, sui tredici, quattordici anni ti fanno la domanda in treno:
«Professore, ma se io lascio andare un elicotterino qui nel corridoio, insieme al treno che
viaggia a 180 km/h, l’elicotterino avrà la velocità di 180/h più l’elicotterino o lui rimarrà
fermo e il treno andrà avanti?» Questa domanda conoscitiva avviene non prima dei quattordici anni, se avviene prima gliel’ha suggerita papà. Vuol dire che l’idea dell’educazione
non viene dall’alto verso il basso, ma dall’elemento cognitivo all’elemento sentimentale
finché diventa un progetto di volontà, prende il bambino dal suo essere per natura volenteroso nell’agire, prende l’aspetto quindi del bene del mondo, del bello e poi del vero.
Quindi, per dirlo con un’immagine che può essere scritta ovunque, invece di riempire un
secchio vuoto, l’atteggiamento interiore è accendere un fuoco.
D. Io faccio una domanda tecnica. Lavoro in una scuola secondaria di primo grado, in questi mesi nelle scuole ci stiamo occupando della nuova certificazione delle competenze, e
quest’estate mi sono chiesta, senza riuscire bene a darmi una risposta, se lavorare in questa
direzione ci apre degli spiragli per andare nella direzione di un curriculum un po’ meno
frammentato, oppure no. A me in certi momenti sembra di sì, ma mi interessa conoscere il
vostro punto di vista considerato che alcuni di voi lavorano con un’impostazione didattica
radicalmente differente. Noi adesso lavoriamo sulla nuova certificazione delle competen ze, che ci costringe in qualche modo a ragionare non più specificamente per materie, ma è
vero che si parte sempre da delle competenze attese identiche per l’universo mondo.
Risponde Sabino Pavone
La domanda è semplicemente questa: il corpo docente italiano si è trovato di fronte a una
rivoluzione perché il passaggio dal voto e dalla valutazione diciamo per disciplina, è arri vato nel corso del tempo alla valutazione per competenze. Le competenze non hanno a
tutta prima direttamente un legame con le discipline, ma sono il modo con cui metto tra sversalmente in relazione tra di loro gli ingredienti delle discipline così da poter tirare un
profilo delle competenze. Per esempio, la capacità di reagire di fronte a un problema x con
tutte le conoscenze che ho a disposizione è [problemi audio]. Quindi il problema adesso è
tipico di queste generazioni, mi permetto di dirlo, di chi non è stato abituato a valutare il
bambino diversamente che nel modo numerico. E quindi bisognerebbe avere il coraggio,
io parlo di coraggio, cioè raggio del cuore, di dire «cari signori noi abbiamo sentito, visto
che ci lavoriamo noi coi ragazzi e non voi, dovremmo stabilire noi docenti quali sono le
competenze che i ragazzi devono e possono poter raggiungere, in rapporto a delle coordinate che possiamo anche condividere», ma questo richiede una visione omogenea nel collegio che è praticamente Orwell 1984.
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Risponde Valentina Giovannini
Allora la mia risposta è personale nel senso che non riporto un’esperienza specifica su
questo aspetto, se non il fatto che abbiamo preso quel documento che illustra le linee guida
sulle competenze trasversali e l’abbiamo letto, l’abbiamo confrontato con altri gruppi di in segnanti anche fuori da scuola e ci è sembrato un documento molto interessante e in qual che modo anche coraggioso soprattutto in quanto insiste sul fatto che bisogna cambiare il
modo di fare scuola. Al di là di questo, il documento è in palese contraddizione con tutta
l’altra normativa che prevede il voto numerico. La mia opinione è che qualunque strumen to metta le scuole nelle condizioni di discutere sul modo con cui gli studenti esprimono e
comunicano i loro voti agli alunni e alle famiglie, è un buono strumento; quindi, al di là
delle griglie di valutazione, mi sembra, o almeno spero, che si valuti con molta leggerezza
perché non è il voto l’elemento fondamentale. Importante è invece mettersi intorno a un
tavolo a parlare dei bambini e dei ragazzi che si hanno di fronte e quando ci viene chiesto
di esprimerci sulla capacità di collaborare con gli altri, credo si possa dire che se manca la
collaborazione non siamo in grado di esprimerci, se non si mettono nella condizione di risolvere dei problemi autonomamente non riusciamo a spiegare come risolvere i problemi e
così via. Ma trovo che in questo momento la parte più interessante, più scardinante possa
essere proprio guardarsi negli occhi per quanti siamo, esprimerci su ogni singolo ragazzo e
interrogarsi su ciò che quel documento ci chiede.
Risponde Micaela Mecocci
Voglio solo aggiungere una cosa, riferita a quanto ho detto prima. Mi piacerebbe molto che
la scuola Montessori fosse veramente idilliaca, però vorrei dire anche questo: la scuola
Montessori è una scuola normale, dove c’è la vita vera, dove ci sono bambini diversi, con
caratteristiche, difficoltà e qualità differenti. Io attualmente lavoro in Svizzera, ma sono
nata e cresciuta a Roma, ho studiato in una scuola pubblica Montessori a Roma e ho vissuto questa realtà scolastica, un tempo da bambina, oggi da direttrice di un asilo Montessori.
Siamo radicati nella realtà, ci confrontiamo con problemi reali, con bambini con difficoltà
di vario genere; è una scuola nel «qui e ora», non è un idillio, forse è un modo altro, con
cui affrontare la realtà quotidiana in cui siamo tutti calati nello stesso momento. Non è fuori dal mondo e ci tenevo a specificare questa cosa.
D. Buonasera, io lavoro in un liceo delle scienze umane e insegnando questa materia mi
sono accorto che quando si parla di teste ben fatte, di mirare a migliorare le condizioni del la persona, del bambino, i ragazzi sorridono. È lì che si crea il nodo della contraddizione
della scuola: da una parte pedagogicamente si cerca di inculcare agli alunni l’idea che
l’importante è fare delle belle teste, dall’altra invece si richiedono dei programmi enciclo pedici. Quindi, i programmi richiedono contenuti sempre più vasti, sempre più alti, sempre più approfonditi?
Risponde Paolo Mottana
Provo a dare risposte, ma questa è una questione antica. Summerhill è un’esperienza che a
suo tempo è stata oggetto di molte critiche perché metteva in discussione alcuni dei mec62
canismi fondamentali della scuola tradizionale, come ad esempio la gerarchia dei saperi;
quindi una delle grandi discussioni fu il fatto che i ragazzi che uscivano da Summer Hill
non volevano diventare ingegneri o architetti o avvocati ma piuttosto uomini delle pulizie
ed erano felici lo stesso. Questo è un problema che si è sempre posto, ma credo che se un
modello educativo è sensato e funziona, come diceva già prima Micaela, quando un ragaz zo esce, esce con una consapevolezza diversa che lo rende capace di interagire con qualsia si realtà ad un altro livello. Lo studente ha incorporato innanzitutto il proprio valore, ope razione che purtroppo nelle nostre scuole è invece abolita, perché i ragazzi sono sempre
sotto pressione, sotto valutazione e sempre impauriti. Una delle cose che si impara in una
scuola è che la scuola non è né un idillio né un’utopia, ma un luogo dove finalmente, sensatamente, i ragazzi vengono trattati per quello che sono, per quello che possono dare,
senza venire messi continuamente alla prova, senza essere sotto pressione ecc e possono finalmente avere un po’ meno paura della realtà. Io ho sostenuto fermamente quest’idea,
credo che se i ragazzi possono fare l’esperienza di immergersi nella natura per poterla pia no piano conoscere e rispettare, nel futuro non saranno probabilmente fra coloro che accetteranno di distruggerla. Se i ragazzi imparano a scuola a collaborare fra di loro, quando
verranno messi nella condizione di dover competere e di dover sgomitare con gli altri, for se si ribelleranno a questo. Ma se avranno imparato a valorizzare il loro corpo, le loro emo zioni, forse quando si troveranno all’interno di un contesto lavorativo e verrà loro imposto
di sopprimerle, di reprimerle o addirittura di castigarle, forse si ribelleranno a questo,
quindi è possibile che questi ragazzi in futuro avranno delle difficoltà da questo punto di
vista, ma credo che si debba lottare per questo mondo perché è questo mondo che restitui sce un senso al nostro stare qui e non all’essere semplicemente sudditi. Vorrei aggiungere
anche una piccola osservazione al discorso sul pubblico e il privato, perché se è pur vero
che uno degli obiettivi a cui si deve mirare, anche con iniziative di questo tipo, è quello di
rendere legittime le molte vie per raggiungere un’educazione sensata, un’esperienza autentica, perché il problema fondamentale è rivendicare il senso di un’esperienza. Io sono
convinto che molti ragazzi possano anche non frequentare la scuola, ma se fanno delle
esperienze autentiche, cioè esperienze che li coinvolgono integralmente, e dove trovano
degli interlocutori che li rispettano e li valorizzano, in qualsiasi contesto ciò avvenga sia
esso una falegnameria o una barca, io credo che ne possano trarre dei valori molto superiori a quelli che potrebbero ottenere a scuola. Ma credo che noi dobbiamo comunque rivendicare questo tipo di esperienze per la scuola pubblica; il problema è che tutti, innanzitutto
a prescindere dall’offerta, devono poter fruire di un’offerta educativa sensata, quale che sia
la loro condizione oggi. Certo è vero che in un mondo ideale bisognerebbe avere l’uguaglianza effettiva di tutte le possibilità, ma poiché non è così la scuola pubblica va quindi a
sanare questa difficoltà, questa sperequazione, questa disuguaglianza attraverso la propo sta di un modello che accolga il sale autentico di ciascuna di queste lezioni che verranno. E
per sale autentico si intende il rispetto per l’unicità di ogni bambino, per la sua necessità di
esprimere se stesso e per il dovere che noi abbiamo affinché egli possa effettivamente vivere un’esperienza di vita autentica e non decine di anni passati nella noia, nella passività e
nel soggiogamento: questo è il punto più importante.
Risponde Sabino Pavone
Scusate completo questa risposta perché è un argomento importante. Allora, l’asse si sposta dalla libertà dell’offerta formativa, quella di cui parla Paolo Montana, a una libertà ge63
nitoriale di fruire delle offerte formative: sono due cose diverse, chiaro? L’una però riguarda l’altra. Vi faccio un esempio: la scuola steineriana è per figli di papà, lo so che nessuno
di voi lo pensa, ma comunque qualsiasi scuola si paghi è cara, siamo d’accordo? Perché?
Perché in Italia le tasse le avete già pagate. Ammettiamo che io faccia l’esperienza di geni tore, insegnante, amministratore, ad esempio nella scuola steineriana; quando ero insegnante e amministratore, io ero insegnante e pagavo la retta di mia figlia, avevo fatto una
scelta:nel 1991 pagavo 240 mila lire e ne guadagnavo 950. Dunque, il problema è che se vogliamo veramente vivere nella libertà, guardando la stessa stella, ma nel rispetto profondo
di tutte le individualità, dovremmo lasciar perdere l’aspetto delle singole realtà e invece
portare avanti la libertà genitoriale di scegliersi la propria scuola. Questo è il tema, è un
tema di libertà. Voi pagate già 300 euro al mese per mandare i vostri figli a scuola, ma non
potete scegliervela, e questo un po’ vi rode. Questo va in televisione? Allora vi rode due
volte: perché avete già pagato le tasse e inoltre se fate una scelta diversa da quella che vi
viene proposta-imposta dovete pagarvela, quindi la scuola paritaria è una mezza libertà,
non è una scuola libera. Quindi, qual è il denominatore comune? Il denominatore comune
è che quando ci si sveglia con l’animo genitoriale di voler avere, dal momento che l’abbiamo già pagata, la possibilità di scegliere la nostra scuola di essere simili a tutti i decreti di
Lisbona, Europa, Europa, Europa... Se quindici genitori decidessero di mettere su un’asso ciazione di scuola Waldorf a Eindoven o a L’Aia in Olanda, la richiesta sarebbe subito seguita dalla messa in atto e non dopo cinque anni. Questo non è un problema che riguarda
la scuola Waldorf, ma mostra come l’impulso culturale Waldorf, Montessori o Pestalozzi si
afferma e si conferma nella struttura politica-istituzionale del paese in cui questo seme
cade, è chiaro? Quindi non confondiamo ciò che è eternamente umano, la scuola Waldorf,
con il modello in cui deve incarnarsi in un determinato paese piuttosto che in un altro. In
Ungheria, dopo la caduta del muro, la scuola Waldorf si è molto diffusa ed è stata sostenu ta dallo Stato per sostenere le difficoltà che erano le conseguenze di un regime. È stata sov venzionata completamente dalla formazione di insegnanti alla scelta pedagogica, dell’istituto e degli edifici. È la stessa scuola in Ungheria.
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Domande e risposte. Seconda parte
D. Colgo quest’ultimo invito di fare rete con gli interlocutori che abbiamo qui al tavolo.
Tempesterò di domande il progetto Campovolo. Noi siamo l’associazione Seme d’oro di Rivoli, in provincia di Torino. Io sono un genitore e con altri ho dato avvio a un progetto
molto simile al vostro. Volevo chiedervi, visto che avete più esperienza di noi, quali sono
le problematiche, qualcuna la abbiamo già incontrata, che fanno sì che il gruppo si sgretoli
o che il progetto non vada a buon fine; come riuscite ad amalgamarvi e a mettere insieme
più punti di vista e come voi genitori siete stati capaci di dare mandato ai vostri educatori,
che linee guida avete dato loro e come avete espresso i vostri desideri a questo braccio ar mato, perché gli educatori sono un braccio armato che sta sul campo con i bambini quotidianamente. Poi, volevo ringraziare la signora Germani del suo bellissimo intervento; noi
a scuola già pratichiamo meditazione, yoga, riconoscimento delle emozioni. La mattina,
come prima cosa, sia noi che i bambini verbalizziamo i nostri sentimenti. Quindi esistono
queste realtà, è possibile farlo, anche se è faticosissimo e voi lo sapete, grazie.
Risponde Cecilia Fazioli
Allora, rispetto ai problemi per cui dicevi che certi progetti finiscono, non ce la fanno,
come accennavo prima, credo che siano fondamentali proprio gli aspetti relazionali, ovvero lo stare insieme e saper fare un passo indietro rispetto al proprio bisogno personale. È
un po’ quello che aveva accennato Valerio, la capacità dell’adulto di lasciare insoddisfatto
il proprio bisogno, perché spesso il genitore arriva nel tentativo di soddisfare un suo bisogno personale perde di vista che è lì per il proprio figlio. Noi ci scontriamo sempre con
questa problematica che assorbe tanta energia, impegno e dopo lì sta alla capacità di saperlo affrontare con dei mezzi adeguati. Noi quest’anno abbiamo iniziato un percorso con un
facilitatore e penso proseguiremo perché lo abbiamo ritenuto assolutamente necessario.
L’altro aspetto da considerare è sicuramente quello economico, dal momento che queste
scelte non sono facili. La motivazione diventa quindi importante in quanto questa diventa
la spinta per affrontare la difficoltà economica che la famiglia si trova a vivere e si tratta
perciò anche di una questione di priorità di scelte. Questo si collega a quanto dicevi circa
l’essere amalgamati, in effetti non so ancora se siamo amalgamati, nel senso che continuia mo ad avere alti e bassi in termini numerici, proprio riguardo alle presenze di famiglie, e
quindi questo ci mette sempre in gioco nel doverci occupare di questi aspetti relazionali
che sono legati poi di nuovo alle aspettative e alle motivazioni. Pertanto credo sia importante e lo possono dire meglio gli educatori, accompagnare i genitori in questo percorso.
Rispondo ora all’altra domanda, ovvero come abbiamo dato mandato ai nostri educatori.
Io conoscevo Valerio per sentito dire, l’ho contattato, finché la cosa rimane soprattutto a
me e all’altra mamma, è venuto, gli abbiamo raccontato del nostro progetto e da lì si è co minciato. Valerio si è dimostrato disponibile all’ascolto e ha cominciato a camminare insieme a noi. Poi, sempre per caso e dato che si era sparsa la voce, si sono uniti al progetto altri
educatori. Sicuramente nel nostro progetto c’è un salto che bisogna fare ed è quello di affi darsi, di dare fiducia agli educatori, ma è un passo che non avviene immediatamente.
Quando Valerio citava il genitore che dice «Visto che non fate le tabelline, allora io gliele
faccio a casa», è evidente che siamo di fronte a una questione che riguarda la fiducia ripo sta negli educatori o la scelta di sostenere o meno l’esame. Nel momento in cui scelgo di
sostenere l’esame vado chiaramente a misurare l’apprendimento di ciascun bambino con
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strumenti a noi non così vicini e questo può portare a dei risultati difficili da capire, proprio perché la valutazione si muove in un’altra direzione. Ma anche la decisione di non so stenere l’esame significa dare respiro a questo progetto e il genitore si mette nell’ottica di
orientarsi verso il futuro, non solo come progetto ma anche come scelta genitoriale. Infatti,
se immagino che ogni anno potrei decidere di andarmene è evidente che quell’esame di venta necessario per misurarsi con il mondo al di fuori del contesto, in questo caso il nostro contesto. Stiamo creando una rete con la nostra dirigente scolastica, con cui abbiamo
peraltro un’ottimo rapporto. L’idea non è di trovarci più solo in prossimità dell’esame ma
creare un ponte, un ponte che possa accompagnarci un po’ insieme tutto l’anno e crediamo
che questo sia importantissimo.
Risponde Valerio Donati
Aggiungerei rapidamente una cosa. Penso che un progetto come questo, oggi al suo terzo
anno di vita, assomigli a un essere vivente: è stato concepito, è nato e sta crescendo, passa
delle tappe simili a quelle di un essere umano. Col tempo, è anche giusto che da una situa zione molto centralizzata questo progetto impari a specializzare le proprie parti, a costituirsi, a strutturarsi e quindi anche noi ci siamo dati pian piano una struttura e ce la dare mo sempre di più, sempre con l’attenzione a non istituzionalizzarci, a non irrigidire la
struttura, come di solito accade quando si comincia a invecchiare. Ad esempio, io sono
vecchio e quindi inizio a sentire qualche acciacco, i miei muscoli cominciano a essere un
po’ irrigiditi, qualcosa si sta sclerotizzando. L’importante è mantenersi giovani, dico mantenersi giovani in senso assoluto perché prima o poi tutti dobbiamo morire e quindi anche
il nostro progetto dovrà morire, come tutti gli esseri viventi di questo mondo: Ma se noi
curiamo il nostro organismo fresco, sano, con una buona alimentazione e un buon nutrimento, in allenamento, lo facciamo giocare un po’ forse si mantiene più giovane. Nel nostro caso, dunque per quanto riguarda il nostro progetto, mantenersi giovani significa an che imparare a darci dei ruoli, riconoscere una specificità nell’altro ma tenendo sempre
aperto un dialogo. Noi abbiamo costituito un gruppo di educatori, ma i genitori si sono
formati in gruppo e l’organizzazione, l’amministrazione, la comunicazione sono diventati
parte di questo gruppo. Per ritornare a quello che diceva Sabino Pavone stamattina, esiste
il pensiero, la volontà e il sentimento, che devono interagire tra di loro ma riconoscersi anche un’autonomia, perché quando una di queste parti prevarica sull’altra si hanno degli ef fetti negativi e si manifesta una patologia, esattamente come accade nel fisico. Anche la no stra scuola, il nostro progetto, ha un suo corpo.
D. Una domanda per Germani. Noi siamo un’associazione di genitori e insegnanti e abbia mo una scuola parentale, dal nido fino alla quinta elementare e ci muoviamo sui principi
di Alice Project. Anche noi facciamo un po’ di meditazione, abbiamo la condivisione, la nostra base è la vita al centro, non più l’antropocentrismo ma tutte le forme di vita e un’edu cazione all’affettività agita, costruita con metodi. La cosa molto interessante per noi sarebbe poter contattare la scuola dell’India e abbiamo in progetto di andare in India a visitare
questa realtà scolastica.
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Risponde Gloria Germani
Sono ben felice, perché so che tante persone si sono avvicinate al progetto comunque attra verso la meditazione, stanno cercando di praticarla con i bambini e questo è assolutamente
bellissimo; nello spazio così breve di questo piccolo intervento volevo poi far conoscere
appunto questa nuova pedagogia soprattutto dal punto di vista dei suoi aspetti più inno vativi. In Italia un ruolo importante ha la figura fantastica di Regina De Blasi che sta tenen do i corsi di formazione per gli insegnanti, ma manca ancora evidentemente una scuola di
Alice project non c’è, anche per il fatto che, come dicevo prima, Alice project non si limita
ad applicare forse la meditazione e lo yoga, ma a ribaltare, perché volevo porre l’attenzio ne... Valentina diceva: «A scuola insegniamo che l’albero è diviso in tre parti, tronco, radici
e rami, ma alla fine è stato un botanico che intorno alla fine del ’700 ha stabilito questa di visione, ma in realtà l’albero è indiviso, è uno». Anche ai bambini a volte si chiede: «Dove
sei, dove finisci?», il bambino si tocca la pelle e dice: «Finisco qua», «Ah sì, davvero? Allora se metto un sacchettino intorno alla tua pelle va bene, sei finito lì» e lui dice: «No, come
faccio a respirare?»; così allargo un po’ il sacchettino: «Allora vedi, hai bisogno dell’aria
per respirare, questo ti basta?», «No» risponde il bambino «ho bisogno del sole, della
mamma, dell’albero, della luna, delle stelle» e capisce di essere un tutt’uno. Il raggiungi mento di questa consapevolezza non è assolutamente un aspetto scontato, perché questo ci
fa capire che l’atteggiamento che, nei confronti del mondo, dobbiamo avere un atteggia mento quasi agli antipodi di quello che, come civiltà occidentale, abbiamo attualmente.
Questo è un punto molto importante dell’Alice Project che ci tenevo a sottolineare.
D. Non avevo una domanda da porre, ma un’osservazione. Ho seguito con molto interesse
il programma di questo pomeriggio e mi è piaciuto ascoltare quanto è stato detto. Comin ciare da subito, cominciare presto, cominciare prima e anche le parole di Andrea Sola che
rimandava al percorso personale dell’adulto, alla responsabilità dell’adulto quindi di andare a guardare e crescere lui prima di... mi hanno interessato molto diversi punti
dell’intervento di Newman e anche il modello di Sandali è per me molto significativo, ma
mi ha colpito una scelta di vocabolario che vorrei rammentare qui, proprio perché su questa si basa la mia osservazione. Si è parlato di liberare il bambino, di diventare se stessi, di
diventare un essere umano; in fin dei conti sono un essere umano, io sono un essere umano da quando sono stata concepita, è chiaro che ho perso connessione con me stessa, è
chiaro che questo probabilmente è un destino comune a molti di noi, ma non a tutti, ed è
chiaro che anche con la buona volontà è difficile preservare i nostri figli dal perdere alme no parzialmente questa connessione, ma allora forse dobbiamo ritrovare la connessione.
Sono rimasta stupita anche che questo pomeriggio sia mancata una parola per me impor tante, ovvero integrità, e quindi dobbiamo porci come obiettivo la tutela dell’integrità di
ognuno senza pensare che sia un’utopia. Ciò è possibile cominciando da subito e a partire
dalle prime esperienze, noi dobbiamo poi costruire su quelle una pedagogia che sia rispettosa, grazie.
D. Io volevo fare una precisazione riguardo all’Alice Project, in quanto nell’introduzione è
stato detto che è andato in India e non è ancora tornato in Italia, ma in realtà in Italia c’è
Luigina De Blasi, cofondatrice del progetto che tiene costantemente corsi di formazione sul
progetto nel nostro paese. Io sono insegnante della scuola pubblica che odio [?] fra alti e
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bassi e, per quanto possibile sto cercando di cambiare la scuola da dentro; mi occupo di
fare formazione sull’Alice Project nelle scuole e fuori dalle scuole, anche se i passi compiu ti sono piccoli, qualcosa si sta comunque smuovendo.
D. Più che porre una domanda vorrei raccontare un’esperienza. Sono venuto qui stasera
dal Mugello e porto un’esperienza di scuola pubblica. Mi sono calato in questa realtà che
non conoscevo,quindi vi ringrazio. Come è stato detto nell’ultimo intervento, la scuola
pubblica si può trasformare dal dentro. Siamo un gruppo di genitori e insieme abbiamo
formato le consulte dei genitori, io sono a capo di una di queste. Siamo già in rete, nel Mugello siamo sette consulte: in sette comuni sono presenti sette scuole, tutte in rete. Cerchia mo un rapporto diverso con gli insegnanti per difendere i figli, questo il grosso del lavoro
svolto, anche attraverso lavoretti a scuola, ad altri progetti; gli insegnanti ci chiamano, siamo già diciamo insieme in tante fasi della vita scolastica. Questa mi sembra un’esperienza
bella. Dunque le consulte dei genitori sono nate anche a Trento ed è una realtà veramente
in espansione. Da noi, fino a quattro anni fa c’era solo una consulta, ora sono sette. Io sono
negli organi collegiali da venticinque anni; il primo figlio è ventottenne, adesso ho un fi glio di quattordici anni e sono ancora lì. Le consulte sono riconosciute all’interno dell’isti tuto, gli insegnanti hanno un approccio diverso, la nostra idea è quella di costruire insieme
e la nostra esperienza può essere un esempio anche per qualcuno di voi che ha i figli alla
scuola pubblica, ma anche nella scuola privata.
D. “Volevo intanto ringraziare il pubblico che è qui da stamattina perché c’è una bella boc cata di rinnovamento. Io lavoro nella scuola pubblica da 35 anni e mi sono trovata molto
d’accordo con Andrea Sola riguardo ad alcuni aspetti e volevo fare anche un appello agli
insegnanti della scuola pubblica e magari tramite voi, tramite un modulino, potremmo veramente ricominciare a unirci per combattere non solo la burocratizzazione, ma anche per
dire un altro problema grande è l’aumento dei bambini nelle classi, perché anche se ci sono
alcuni insegnanti e io mi ci metto un po’ con una battuta però dopo, cioè effettivamente se
uno si trova come la mia collega 21 maschi e 6 femmine in una classe, cioè diventa veramente difficile che ognuno abbia il suo spazio, il rispetto eccetera, oltre a levare cose. Quindi prima di tutto come diceva lui non ci sono, come invece ci dicono spesso gli insegnanti
“noi siamo abituati così, dobbiamo seguire il programma”; per dieci anni circa siamo riusciti a fare questo tentativo io ringrazio di essere fra queste, però ora io mi trovo a disagio
in una scuola dove appunto appena parli ti dicono: “Ah vabbè, ma lo facevi ai tuoi tempi”
e tutte queste cose. Io sono fortunata, sai perché? Perché son piccola, e quindi fin da ragaz za ero proprio all’altezza dei bambini, e poi oltre al fatto del lavoro su me stessa però ho
una grande memoria di quello che ho subito e allora mi ero proposta di non farlo mai vi vere.
Tutti gli aggiornamenti per l’edizione 2016 su:
www.tuttaunaltrascuola.it
Video integrali degli interventi su:
www.youtube.com/terranuovaedizioni
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