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cliccando su questo link - Sbandieratori e Musici della Città dei
Liceo Scientifico Statale “G. Marconi” - Sassari
VC
Rosa Di Micco
Periodo storico - LE ORIGINI
•
Geologia della Sardegna
La Sardegna è una delle terre emerse più antiche del pianeta, di sicuro è la regione più antica in
Italia. A differenza delle altre regioni la Sardegna appartiene alla zolla africana, questo ne fa una
terra particolarmente stabile, non soggetta a terremoti o alla deriva dei continenti, tuttora in atto.
La storia della Sardegna è ricca di leggende che si perdono nella notte dei tempi, tramandate di
epoca in epoca che ancora oggi conservano il loro fascino quando vengono raccontate; esistono
leggende sulla formazione stessa della Sardegna e sui popoli che ci abitarono, su rocce, monti o
vallate; in Sardegna tutto è legato a leggende popolari, che contribuiscono a creare un alone di
mistero intorno a questa terra e questo popolo.
•
I primi abitanti
La Sardegna certamente fu popolata già dal 5.000 a.C. (anche se da una decina d'anni a questa
parte si fa risalire la presenza dell'uomo in terra sarda a 300.000anni fa), ma non si sa chi ne
furono i primi abitanti, si sa solo che popolarono delle grotte lungo le coste. Di questi misteriosi
abitanti sono arrivate a noi delle statuette in pietra che potrebbero rappresentare delle divinità,
delle costruzioni chiamate "Domus de Janas", letteralmente Case delle Streghe, dette anche
"Tombe dei Giganti", e i famosi Nuraghi. Le "Domus de Janas" presentano delle similitudini con
Stonehenge: in entrambi i casi si tratta di complessi formati da monoliti, costruiti in base a
complessi calcoli astronomici, come il moto dei pianeti o le fasi lunari
•
Le invasioni
Tra il 1000 e l'800 a.C. arrivarono in Sardegna i Fenici, grande popolo di navigatori, e
tecnologicamente avanzati rispetto ai nuragici (conoscevano già la scrittura), che si insediarono
sulle coste occidentali-meridionali dell'isola, fondando numerose colone: Karalis (Cagliari), Bithia
(Nora) e Tharros (Oristano). I fenici cercarono di inculcare la loro cultura e religione ai nuragici, che
però rifiutarono lo straniero e si rifugiarono nella zona del Gennargentu, roccaforte inespugnabile.
Furono i Fenici a chiamare la Sardegna "Shardana".
Successivamente, ma quasi in contemporanea, in Sardegna arrivarono i Cartaginesi, che fondarono
le loro colonie principalmente sulla costa occidentale dell'isola, anche se non riuscirono mai a
sottomettere i popoli dell'entroterra.
Dopo i Cartaginesi arrivò Roma, che sarebbe già voluta entrare in possesso della Sardegna, ma un
patto con Cartagine glielo impediva. Tuttavia tra la Prima e la Seconda guerra Punica i romani
riuscirono nell'impresa, anche se i primi tempi la situazione si rivelò piuttosto difficile a causa delle
ribellioni dei popoli costieri (punici) e soprattutto dei popoli dell'entroterra (nuragici), che
riuscirono a non farsi mai sottomettere, nemmeno dal potente esercito di Roma.
Anche per la Sardegna arrivò inesorabile il periodo nero del crollo dell'Impero Romano, con
periodi di estrema anarchia in cui l'isola era in balia dei Vandali, che facevano il bello e il cattivo
tempo lungo le coste, ma che non riuscirono mai a conquistare l'entroterra
L'isola era quindi tenuta sotto scacco dalle continue incursioni barbariche, finché i Vandali non
vennero ad insediarsi i bizantini, che instaurarono una breve dominazione in terra sarda, della
quale sono però rimaste tracce soprattutto in alcune abitudini ormai consolidate nella
consuetudine popolare.
La dominazione bizantina però venne vista come un governo inadeguato alle esigenze dei sardi,
che preferirono provvedere da se alla gestione dell'isola, soprattutto sul fronte difesa, dove le
incursioni saracene minavano sempre più gli equilibri politici dell'isola. Si organizzò quindi
un'organizzazione dei territori in cui un Giudice governava un territorio, Logu, e in cui aveva tutti i
poteri legislativi ed esecutivi; i Giudicati in Sardegna erano quattro: il Giudicato di Cagliari, con
Karalis come Capitale, il Giudicato di Arborea, con prima Tharros e poi Oristano come capitale, il
Giudicato di Logudoro, con capitale l'attuale Porto Torres, e il Giudicato di Gallura, con capitale
Olbia. Con questa forma di autogoverno la Sardegna raggiunse uno dei suoi momenti di maggior
splendore, anche perché arrivarono nell'isola alcuni ordini clericali, tra cui i frati Benedettini. Il
Giudice più conosciuto è senza dubbio Eleonora D'Arborea, Giudicessa del Giudicato di Arborea,
che emanò a Carta de Logu, una sorta di costituzione che fu per svariati secoli la principale fonte di
diritto dell'Isola
Periodo storico - DALLA DOMINAZIONE
PISANO/GENOVESE ALLA DOMINAZIONE SPAGNOLA
Per riuscire a sconfiggere i Saraceni che oramai facevano incursioni continue nell'isola i Giudici
pensarono di chiedere aiuto a due repubbliche marinare, Pisa e Genova, che con la loro potente
flotta riuscirono a liberare facilmente l'isola, ma che ben presto ne presero il comando,
spartendosi in modo equo la Sardegna: il Nord a Genova e il Sud a Pisa, finché quest'ultima non si
trovò pressoché padrona di tutta l'isola. Durante questo periodo non mancarono guerre e
problemi, ma la dominazione pisana favorì i rapporti commerciali della Sardegna con la penisola,
altrimenti inesistenti. In epoca pisana Cagliari divenne una città fortificata: il centro abitato si
estendeva principalmente su un colle, che venne completamente cinto da mura e dotato di torri
d'avvistamento; due di queste torri, quella dell'Elefante e quella di San Pancrazio, sono arrivate
praticamente intatte fino ai giorni nostri, passando quasi indenni 700anni di storia, guerre e
rivolte, diventando, la torre di San Pancrazio, ora torre d'avvistamento, ora prigione di sicurezza. Il
quartiere fortificato passò dalle mani pisane a quelle aragonesi, perchè il Papa di allora, al fine di
riportare la pace in Sardegna dopo decenni di guerra tra genovesi e pisani, decise di investire Re di
Sardegna a Giacomo II d'Aragona, che solo successivamente mandò un suo infante a conquistarla:
sbarcato nel Sulcis, non trovò resistenza in quasi nessun luogo, eccezion fatta per Iglesias, Cagliari
e altri piccoli centri fortificati; solo dopo 2 anni riuscì a sconfiggere i Pisani, che dovettero
definitivamente abbandonare il capoluogo. I Sardi sembrarono accettare a testa basta la nuova
dominazione, ma dopo alcuni leggi che soffocavano le libertà, il popolo sardo insorse e ci vollero
quasi vent'anni agli aragonesi per sedare i Sardi e quindi soffocarne ogni qualsiasi idea di libertà.
Alla morte di Ferdinando d'Aragona la corona passò a Carlo V: da allora la Sardegna dipese
direttamente dall'Imperatore di Spagna, che la governò affidandola ai viceré. Per i Sardi la
dominazione spagnola fu senza dubbio molto dura per le forti repressioni attuate dalla corona di
Spagna, per le tante incursioni barbare che ne minavano la sicurezza, ma a cui gli spagnoli
cercarono di porre rimedio costellando le coste di torri di avvistamento, qualcuna visibile ancora
oggi.
Con la caduta dei Giudicati di Cagliari, Torres e Gallura nella seconda metà del XIII secolo, negli exterritori giudicali sotto l'influenza pisana e genovese iniziò una nuova fase storica caratterizzata da
un nuovo assetto politico-amministrativo signorile e comunale ispirato ai modelli peninsulari, che
si protrarrà fino alla completa conquista aragonese e alla conseguente unificazione del Regno di
Sardegna. Altri territori caduti sotto l'influenza del Giudicato di Arborea manterranno istituzioni
simili a quelli degli stati precedenti, anche in questo caso fino alla conquista aragonese.
Ancora non si sa con certezza in quale anno Sassari, città al tempo di circa 15.000 abitanti e forse
la più grande dell'isola, si rese autonoma e divenne un libero comune medievale. Probabilmente
ciò avvenne giuridicamente dopo la morte dell'ultimo giudice turritano Enzo di Sardegna nel 1272,
ma già da anni il governo della zona era stato affidato a Michele Zanche.
La città, che si era data un proprio statuto nel 1283, venne amministrata inizialmente da podestà
pisani ma dopo la battaglia della Meloria furono sostituiti da podestà genovesi.
Dal marzo del 1294 il comune di Sassari infatti, tramite un trattato, divenne comune confederato
(pazionato) della repubblica di Genova. I podestà inviati dalla città ligure dovevano impegnarsi a
rispettare lo statuto, restavano in carica per un tempo ristretto, verosimilmente un anno per
evitare fenomeni di corruzione, e evitavano, essendo esterni ai potentati cittadini, l'instaurarsi di
lotte per il controllo del potere da parte delle fazioni locali.
Il Comune di Sassari smise di esistere allorché si alleò nel 1323 con i catalano-aragonesi,
costituendo insieme ad altri territori il primo nucleo del Regno di Sardegna.
Gli accordi con Giacomo II di Aragona prevedevano il diritto di mantenere i propri statuti, tuttavia
questi vennero mutati nell'estensione dei privilegi barcellonesi. Inoltre l'arrivo delle milizie
aragonesi, l'istituzione della figura del vicario che limitò la giurisdizione, divenne retribuito dalla
Corona e nominato a tempo indeterminato, portarono a una generale mutazione del diritto locale
in favore di quello straniero.
Tuttavia Sassari divenne così capoluogo dell'intero capo di sopra dell'isola, essendo sede del
Governatore. Nel 1331 Sassari ottenne il titolo di Città Regia. L'alleanza non fu duratura, tant'è che
i sassaresi si ribellarono numerose volte, gli aragonesi costruirono il Castello di Sassari per
difendersi dagli stessi abitanti e la città nel 1410-20 divenne l'ultima capitale del Giudicato di
Arborea.
Elenco dei podestà sassaresi noti
Periodo
Primo cittadino
Partito
Carica
1272 --
Arrigo da Caprona
Pisa
Podestà
1281 1282
Goffredo Sampante
Pisa
Podestà
1282 1283 Tano Badia de Sismondi Pisa
Podestà
1300 --
Genova
Podestà
1313 --
Rolando da Castiglione Genova
Podestà
1316 --
Cavallino De Honestis Genova
Podestà
1323 1323
Ottone Boccanegra
Guantino Catoni
Amministratore
Periodo storico – LA SARDEGNA PISANA
Con la fine dei Della Gherardesca ugoliniani nel Cixerri, Villa di Chiesa passò, dopo una breve
parentesi arborense, al comune di Pisa nel 1302. L'amministrazione cittadina era regolamentata
da un "Breve", il Breve di Villa di Chiesa di cui è rimasta una copia del 1327 (epoca aragonese). Villa
di Chiesa, che contava all'epoca circa 7.000 abitanti, era popolata in maggioranza da sardi e pisani
ma erano presenti anche altri immigrati, provenienti anche dall'area germanica. Importante centro
minerario, era dotata di una zecca che sopravvivrà anche durante la dominazione iberica.
corteo storico villa di chiesa - Iglesias
Nel 1288 la Repubblica di Pisa intraprese una politica di espansione dei suoi domini d'oltremare in
Sardegna attraverso l'annessione del giudicato di Gallura e la conseguente cacciata dell'ultimo
giudice Nino Visconti (che d'altronde era pisano). Il nuovo territorio venne amministrato da un
vicario e regolato da un Breve. Cominciarono a svilupparsi nelle "ville" ex-giudicali dei comuni di
tipo italiano con propri Brevi ed autonomie e governati da podestà, come nel caso di Orosei e di
Terranova, l'odierna Olbia.
Alla morte di Mariano II di Arborea nel 1297, Pisa ottenne inoltre, tramite eredità dal defunto
giudice arborense, il terzo dell'ex-giudicato di Cagliari che dopo la spartizione del 1258 era passato
agli Arborea. La repubblica entrò quindi in possesso delle curatorie di Gippi, Nuraminis, Trexenta,
Marmilla inferiore, Dolia, Siurgus, Gerrei, e Barbagia di Seùlo corrispondenti a larga parte della
Sardegna sud-orientale. Così come nei territori dell'ex-giudicato di Gallura, l'amministrazione era
affidata ad un vicario e ad un Breve.
Come già detto fra il 1301 e il 1302 Pisa venne in possesso anche di Villa di Chiesa e dell' intera excuratoria del Cixerri, in precedenza di proprietà dei Della Gherardesca ugoliniani.
Nella Sardegna pisana la moneta in circolazione era il grosseto detto anche aquilino che veniva
coniato nella zecca di Villa di Chiesa. Pisa all'alba del XIV secolo controlla quindi gran parte della
Sardegna meridionale e orientale. Dominio che durerà per soli vent'anni fino allo sbarco dei
catalano-aragonesi nel 1323 alleati del Giudicato di Arborea che in pochi anni costringeranno
militarmente la repubblica di Pisa a lasciare per sempre la Sardegna.
Definizione di bandiera
La bandiera per definizione è riconosciuta come un drappo di stoffa o di altro materiale
raffigurante uno o più colori o effigi araldiche; di norma è issata su un'asta o su una corda, ed è
individuata nella storia come emblema o mezzo di segnalazione. Rappresenta infatti
simbolicamente uno Stato, una Comunità Regionale, Linguistica o Etnica ma più generalmente è
riconosciuta come un simbolo di un insieme di persone unite da un filo logico comune.
Storia della bandiera
Francesco Ferdinando Alfieri
Non è possibile individuare con precisione quando la bandiera entra ufficialmente nella storia;
alcune fonti infatti la conducono addirittura alle Crociate, tuttavia però l'uso delle stesse non era
abbinato al gioco-movimento della bandiera bensì ad un uso prettamente etnico. Il gioco della
bandiera però ha le sue prime documentazioni nel medioevo e nel rinascimento Italiano, infatti la
bandiera veniva sventolata durante le manovre militari, con lo scopo di segnalare, anche a lunghe
distanze, movimenti prestabiliti destinati alle truppe durante la battaglia. Questo movimento
definito "gioco" è accostato alla figura dell'Alfiere, che era il militare designato ad effettuare
proprio questi movimenti. Le bandiere poi, venivano ampiamente utilizzate, durante i periodi di
sosta dalla battaglia, nelle parate, qui l'alfiere faceva roteare e volteggiare i vessilli; è proprio da
questo "volteggiare" che nasce il gioco della bandiera, ampiamente narrato da Francesco
Ferdinando Alfieri nel suo testo "La Bandiera" del 1638. In questo testo infatti sono presenti tutti i
principali movimenti della moderna "Sbandierata". Nel tasto dell'Alfieri sono presenti anche
numerose illustrazioni.
Il giuoco della bandiera
Estremamente difficile stabilire una data esatta dell’origine del “giuoco della bandiera”.
Certamente scaturì dagli allenamenti degli “alfieri”, dal loro spirito emulativo che li portò a
compiere con la bandiera qualsiasi evoluzione con movimenti difficili dal carattere anche
acrobatico. All’alfiere si richiedevano capacità speciali, oltre che una particolare destrezza nell’uso
delle armi, notevoli doti atletiche, acrobatiche, di potenza fisica, d’astuzia e, soprattutto, coraggio.
Illustrazione dal testo di F.F. Alfieri "La Bandiera" 1638
Tra i “giuochi militari” fu sempre considerato il più nobile e quello che richiedeva maggior perizia
esecutiva. Riguardo all’uso folkloristico della bandiera nei festeggiamenti, alcune fonti ci danno
per certo che gli Ebrei, dopo gli Assiri e Babilonesi, adoperarono le bandiere come “signum belli” in
guerra, mentre in tempo di pace le medesime venivano agitate in segno di giubilo durante le varie
cerimonie. Tale consuetudine fu seguita, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente,
soprattutto dai Principi della chiesa, tanto che, nel 687 d.C., il popolo romano rese omaggio al
Papa neo eletto (Sergio I) con sbandieramenti di drappi e vessilli. Da allora, e nelle varie epoche,
specialmente nell’Europa Occidentale, ogni corteo civile o religioso, i tornei, le giostre e i palii
furono caratterizzati dal “giuoco” di variopinte bandiere, ove erano ricamate le immagini dei santi,
le varie armi o stemmi araldici.
Illustrazione dal testo di F.F. Alfieri "La Bandiera" 1638
Le stesse corporazioni annoveravano un alfiere e un aiuto-alfiere, ai quali era demandato l’incarico
di eseguire la sbandierata durante i corteggi, le cerimonie ufficiali e le assemblee. La consuetudine
di movimentate evoluzioni ad opera di abili sbandieratori, era sostenuta dall’esultanza popolare e
si protrasse, nei corteggi papali, fino al sedicesimo secolo. Non solo in Europa, ma anche in Oriente
ed in modo particolare nel mondo islamico, le bandiere bianche (Omniadi), nere (Abbassidi), verdi
(Alidi) appaiono largamente usate specialmente durate i festeggiamenti per le vittorie. La
ritualistica millenaria cinese e giapponese, poi, ha sempre avuta nella bandiera il simbolo
immancabile di festa e di scongiuro. Lo “sbandieramento” rimane in auge fino al diciottesimo
secolo, conservatosi successivamente in vari corteggi e manifestazioni locali quali i Palii, ove, per
diversi secoli, ha rappresentato il non plus ultra della magistrale interpretazioni dei movimenti.
Il gioco della bandiera oggi
Tutto questo patrimonio espressivo, viene ereditato oggi dalla moderna figura dello sbandieratore
che diventa il depositario protagonista più atteso negli eventi spettacolari prodotti dalle
innumerevoli rievocazioni storiche, nate con lo specifico intento di recuperare in termini etici ed
estetici la memoria storica di specifici territori.
Infatti dal 1960 ha ripreso particolare vigore in Italia dove, nel 1966 fu fondata l’attuale
Federazione degli antichi giochi e sport della bandiera. Negli ultimi anni la bandiera è stata altresì
inserita sperimentalmente, con successo, nell’attività motoria di scuole elementari, medie e
superiori.
Anche se il gioco della bandiera non viene né pubblicizzato né riconosciuto ancora come sport,
viene piuttosto collocato quale attività folcloristica; in Italia infatti, unica nazione che detiene
documenti storici al riguardo, esistono ad oggi più di 300 gruppi di sbandieratori che mantengono
viva una tradizione e che partecipano a più di 1.500 manifestazioni in tutto il territorio nazionale.
Lo stile della "Sbandierata" moderna si riconosce in vari aspetti coreografici, dove le movenze usate
fin dall'antichità dai primitivi "Bandierai", sono coadiuvate alle più moderne tecniche di maneggio,
facendo assumere allo Sbandieratore un aspetto tra il giocoliere ed il danzatore, ma nello stesso
tempo spettacolarizzando al massimo sia il movimento, il lancio ed il volteggio della bandiera
stessa. Non esiste uno standard di esercizio ma la prevalenza di essi nel terriotiro, si suddivide in
esercizi di Singolo (un solo elemento), Coppia (due elementi) o a Squadre (quattro o più elementi).
Gli esercizi degli Sbandieratori vengono sempre accompagnati dai Musici, per lo più Timpani e
Chiarine, che con il loro apporto musicale confluiscono allo spettacolo un'enfasi unica. Spesso la
forza atletica e mentale impiegata nella sbandierata è tale da necessitare durante tutto l'anno di una
preparazione costante, sia essa coreografica, tecnica, fisica e mentale.
Storia degli sbandieratori
Gli sbandieratori nacquero alla fine del XIV secolo come "segnalatori" durante il periodo di guerra.
La presenza della bandiera tra le truppe comunali era il segno dell'orgoglio cittadino ed esprimeva
un'esigenza tattica, come punto di riferimento durante il combattimento. Gli sbandieratori, infatti,
servivano per comunicare con i reparti attraverso lanci e sventolii dei vessilli, indicando, in questo
modo, l'attimo più propizio per l'attacco, i movimenti da effettuare con le truppe e le fasi salienti
della battaglia, secondo un codice ben preciso. Il telo della bandiera era realizzato con una striscia
di stoffa o di pelle in diversi e molteplici colori, in modo tale che gli sbandieratori potessero essere
riconosciuti dalle proprie truppe.
Il maneggio delle bandiere era affidato a bravi militi che avevano il compito di difendere le proprie
insegne sino alla morte. Dovevano essere fedeli, discreti ed ingegnosi oltre che istruiti in diverse
lingue per comunicare coi nemici sul campo di battaglia. Se i nemici catturavano uno
sbandieratore, questi, nonostante violenze e torture, non doveva assolutamente rivelare i segreti
e i segnali che gelosamente custodiva.
Nelle accademie militari e nei collegi di educazione militare veniva insegnata "l'arte di sventolar la
bandiera", poiché i Signori d'Italia vedevano in questo un nucleo di difensori utili al mantenimento
del proprio principato. In seguito, nel Seicento, presso le corti dei grandi Principi italiani era
frequente l'esercitare dei giochi di bandiere in modo da intrattenere i cavalieri e le dame.
In Cina, l'antico SunTzu suggerisce l'utilizzo di bandiere e vessilli di giorno e di tamburi e campane
di notte per migliorare l'organizzazione dei reparti nella foga della battaglia: "essi sono gli occhi e
le orecchie delle truppe."
Se l'alfiere, sebbene giovane e forte, può essere sopraffatto, la bandiera deve essere salva.
Di tutto questo oggi e rimasto l'aspetto estetico e lo spettacolo che determinano un'atmosfera di
festa: uno sventolio preciso e multicolore scandito dai tempi indicati dai tamburi e dalle chiarine.
Esistono, in Italia, moltissimi gruppi di sbandieratori attivi, che usano la bandiera secondo
differenti scuole. Le esibizioni in seno alle due maggiori federazioni (Federazione Italiana
Sbandieratori e Lega Italiana Sbandieratori) sono prettamente di tipo tecnico/sportivo, grande
importanza è data alla tecnica e il tutto è accompagnato dal suono dei musici (tamburi e chiarine).
Le due federazioni si occupano anche dell' organizzazione dei campionati italiani di bandiera che
ogni anno si svolgono in differenti località.
Alcuni gruppi di sbandieratori (provenienti per lo più dalle marche: Servigliano, Corinaldo, Fermo,
Fano, ecc.), oltre alle esibizioni di tipo tecnico, affiancano veri e propri spettacoli narrativi di
piazza, in cui l'arte del maneggiare la bandiera è contaminata da elementi quali la danza e la
recitazione.
Il gruppo Sbandieratori e Musici della Città dei
Candelieri
Il Gruppo Sbandieratori e Musici della Città dei Candelieri – Sassari è un’associazione di
promozione sociale, cui piace promuovere la Cultura e le Tradizioni Locali. Abbiamo
usato la molla della storia locale per giungere alla promozione individuale attraverso un
processo di crescente autostima. Abbiamo così costituito un Gruppo capace di esibirsi in
manifestazioni storiche, religiose, folkloristiche, di rappresentanza, cene rinascimentali,
feste in… villa, hotel, centri commerciali…
La preparazione tecnica è curata da Danilo, Maestro di Bandiera, già Campione d’Italia
per la coreografia tradizionale e per il singolo tradizionale.
Il gruppo Sbandieratori e Musici della Città dei Candelieri si rifà alle origini della più
radicata tradizione della città di Sassari che, anche nel proprio nome, richiama: la grande
discesa dei Candelieri, ossia la “Faradda manna”. Se in periodi moderni il primo cenno
alla processione dei Candelieri si trova in un documento del 1504, l’istituzione della festa
avvenne nel 1528 come voto alla Madonna per ottenere la cessazione di una pestilenza.
Tale voto viene annualmente rinnovato, il 14 agosto, proprio con la processione dei
Candelieri.
Ma… la tradizione trae la sua origine dalla festa dell’Assunta che si celebrava a Pisa alla
vigilia della Solennità. Il Comune di Sassari fin dal secolo XI intratteneva con la città
toscana dei rapporti economici molto stretti e ospitava entro le sue mura una cospicua
colonia di pisani, che vi restarono fino al 1284 (anno nel quale, in seguito alla disfatta
della Meloria, i pisani furono costretti da Genova ad abbandonare la città).
È proprio il periodo della dominazione pisana che il gruppo Sbandieratori e Musici della
Città dei Candelieri si propone di rivisitare ponendolo all’attenzione dei propri
concittadini come spunto di riflessione sulle reali origini di quella tradizione così
sinceramente e fermamente vissuta da un’intera comunità.
sbandieratori e musici della città dei candelieri al trofeo marzocco – Firenze piazza della signoria –
1 maggio 2013
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