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La Scuola del Vanvitelli

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La Scuola del Vanvitelli
Salvatore Costanzo
La Scuola del Vanvitelli
Dai primi collaboratori del Maestro
all’opera dei suoi seguaci
Copyright © 2006 CLEAN
via Diodato Lioy 19
80134 Napoli
telefax 0815524419-5514309
www.cleanedizioni.it
[email protected]
Tutti i diritti riservati
E vietata ogni riproduzione
ISBN 88-8497-014-8
ISBN 978-88-8497-014-5
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
Grafica
Costanzo Marciano
Con il patrocinio:
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Ordine degli Architetti e P.P.C. della Provincia di Caserta
Regione Campania
Provincia di Caserta
Comune di Napoli
Comune di Caserta
Ringraziamenti a:
Rosalia Bigliardi, Biblioteca Archivio Storico, Jesi
Gian Paolo Spinelli, Biblioteca Comunale, Caserta
Maria Grazia Forcina, Biblioteca Comunale, Genzano di Roma
Renzo Pepi, Biblioteca Comunale Intronati, Siena
Francesco Delli Paoli, Biblioteca Comunale, Marcianise
Maria Grazia Alberin, Biblioteca e Musei Oliveriani, Pesaro
Paola Errani, Biblioteca Malatestiana, Cesena
Alessandra Sfrappini e Anna Pieroni, Biblioteca Mozzi- Borgetti, Macerata
Luigi De Cicco, Biblioteca Nazionale, Cosenza
Michele Santoro, Biblioteca Soprintendenza BAPPSAD, Caserta
Federico Marcucci, Biblioteca Universitaria Centrale, Urbino
Daniela Branciani, Biblioteca Valentiniana, Camerino
Antonio Luccarini, Comune di Ancona
Luigia Nitrici, Comune di Bettona
Brigida Mantini, Comune di Bracciano
Luigi Falco, Comune di Caserta
Giordano Conti, Comune di Cesena
Rocco Rubino e Nilla Lagrutta, Comune di Moliterno
Valeria Graziosi, Comune di Monte San Vito
Rosa Russo Iervolino, Comune di Napoli
Loredana Costanza, Comune di Potenza
Franco Tellarico, Comune di S. Fili
Riccardo Ventre, Provincia di Caserta
Teresa Armato, Regione Campania
Pia Parodi, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Domenico De Cristofaro, Ordine degli Architetti e P.P.C. della Provincia di Caserta
Danila Jacazzi, II Università degli Studi di Napoli
Giovanna Petrenga, Soprintendenza BAPPSAD di Caserta e Benevento
Laura Alfani, Marika Costanzo, Domenico D’Amico, Giuseppe D’Anna, Albino D’Ascoli,
Elisabetta D’Errico, Emilio Di Maio, Michele Dipace, Enrico Gionti, Vincenzo Martone,
Rossella Minadeo, Umberto Panarella, Piero Rossano, Giuseppe Piccioni, Raffaella Salzillo, Pasquale
Salzillo, Maria Sassi.
Ringrazio il mio amico Donato Farro per il suo contributo all’esito dell’impresa e per la sua cortese
disponibilità mostrata.
Un pensiero di riconoscenza vada a quanti, Storici e Critici dell’arte, Docenti ed Architetti, hanno
espresso parole di elogio per i miei precedenti volumi, e mi auguro che questa ultima fatica desti
l’interesse che mi sono proposto e riscuota un’affettuosa accoglienza.
in copertina
Al centro: Luigi Vanvitelli
(ritratto di G. Diano, Palazzo
Reale di Caserta).
A partire dal basso a sinistra:
Paolo Soratini, Antonio
Rinaldi, Andrea Vici,
Giuseppe Lucatelli, Francesco
Sabatini, Marcello Fonton,
Giuseppe Piermarini,
Simone Cantoni, Gaetano
Barba, Giovanni Patturelli.
in retrocopertina
Inedito vanvitelliano. Disegno
per una chiesa, sezione
longitudinale. (archivio eredi De
Peruta,
v. scheda Appendice 1)
4
Indice
7 Indirizzi di saluto
8 Prefazione Danila Jacazzi
11 Quadro indroduttivo
17 1. La schiera dei protagonisti marchigiani
vanvitelliani della prima generazione nelle Marche: Francesco e Arcangelo Vici, Pier Francesco Palmucci, Girolamo Mezzalancia La posizione di Giovan Battista Bartoli e Gianfrancesco Buonamici nei confronti del Vanvitelli - Derivazioni vanvitelliane nell’attività
matura di Paolo Soratini - Le orme del Vanvitelli in Carlo Orazio Leopardi e Francesco Matelicani - L’opera anconetana di Carlo
Marchionni riconducibile all’attività del Vanvitelli - Le vicende sull’incarico del porto di Ancona e la sistemazione della zona
circostante - Cenni sulla produzione di Filippo Marchionni - Un vanvitelliano della “prima ora”: Francesco Maria Ciaraffoni - Gli
interventi maturi del Ciaraffoni - La collaborazione di Antonio Rinaldi, discepolo diretto del Vanvitelli - La produzione marchigiana di
Lorenzo Daretti e Virginio Bracci - Giovanni Andrea Lazzarini e Tommaso Bicciagli, imitatori locali del Vanvitelli - Andrea Vici: un
erede dell’arte del Maestro - Le opere del periodo tardo di Andrea - Ulteriori presenze di maestranze vanvitelliane nelle Marche:
Giuseppe Tranquilli e Mattia Capponi - La ricerca di Giuseppe Lucatelli: l'influenza dei modelli del Vanvitelli nelle architetture teatrali
e religiose.
I
65 2. Collaboratori e discepoli della stagione romana
I rapporti professionali tra Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli - I progetti per la fontana di Trevi, la facciata di San Giovanni in Laterano e
la cappella di S. Rocco - Cenni sull’influenza vanvitelliana nell’opera tarda del Salvi - Gaetano Sintes: dal concorso clementino del
1750 alla sua breve collaborazione col Vanvitelli- Introduzione alla figura di Carlo Murena, discepolo prediletto del Maestro - Gli
interventi del Murena per il nuovo convento di Sant’Agostino in Roma: problemi di attribuzione - I lavori per una casa dei Certosini
- Le difficili collaborazioni romane di Carlo Marchionni col Vanvitelli - Maestranze vanvitelliane minori: l’attività del lapicida Domenico
Giovannini - Le clamorose dispute tra il Giovannini e il Vanvitelli - Il percorso formativo e l’opera matura di Virginio Bracci - Gli
interventi di Antonio Rinaldi nelle architetture del Maestro - Intorno alla stagione romana di Andrea Vici - I rapporti di lavoro di
Ermenegildo Sintes col Maestro e la sistemazione di alcune fabbriche conventuali - Sintes e Vanvitelli: i principali progetti idrici - La
sfortunata collaborazione del Sintes nella vertenza dell’Acqua Felice.
105 3. Gli aiutanti dello scenario casertano
La vasta attività di Pietro Bernasconi, capomastro della Reggia di Caserta - L’operosità degli anni Sessanta - Le collaborazioni di
Francesco Sabatini e Marcello Fonton - I difficili rapporti tra il Giovannini e il Vanvitelli attraverso gli scritti del Maestro Testimonianze su Filippo Retrosi, successore del Giovannini a Caserta - L’allievo più dotato del Vanvitelli: Francesco Collecini Giovan Battista Vaccarini e Giuseppe Piermarini all’epoca dell’edificazione della Reggia - Notizie sull’attività formativa di Carlo
Vanvitelli, primogenito di Luigi - La sua prima collaborazione nell’immenso cantiere casertano - Martino Biancourt, capo giardiniere
del parco - Un “eccellentissimo nel suo mestiere”: Antonio Rosz, carpentiere ed ebanista - Carlo, Giovanbattista e Crispino
Patturelli: ulteriori collaborazioni vanvitelliane nell’area casertana - Alcune maestranze minori: Domenico Brunelli, Giovan Battista
Fontana e Leonardo Pinto - Ragguagli sulla formazione di Pietro Vanvitelli - Riferimenti epistolari sulla vita di Francesco Vanvitelli.
161 4. Personalità artistiche nell’area centro-settentrionale d’Italia
Carlo Murena, maggiore portatore dell’arte del Vanvitelli in Umbria - Le collaborazioni del Murena ai lavori nelle Marche - Gli scritti
del Vanvitelli sul periodo marchigiano del suo discepolo - Accostamenti stilistici di Alfonso Torreggiani ai modi del Vanvitelli - Giovan
Pietro Cremoni e le architetture senesi: legami con l’arte del Maestro - L’attività del Soratini nell’area romagnola e lombarda Attestazioni di maestranze vanvitelliane nei cantieri anconetani, maceratesi e perugini: Pietro Bernasconi e Antonio Stefanucci - La
produzione cesenate di Pietro Carlo Borboni e Giuseppe Antonio Landi - La partecipazione di Agostino Azzolini alla riedificazione
di edifici religiosi romagnoli e suoi ulteriori interventi - Altre personalità artistiche interessate al Vanvitelli tra le Marche e la
Romagna: Cosimo Morelli e Camillo Morigia - Giuseppe Pistocchi, un maestro “rivoluzionario” seguace del Vanvitelli - Cenni sul
soggiorno pesarese del Pistocchi - Il linguaggio architettonico del Piermarini: influenza della tradizione romana - Caratteri stilistici
della sua produzione a Milano - La collaborazione con Leopold Pollack - Ulteriori ragguagli sul volto vanvitelliano delle opere del
Piermarini - Simone Cantoni a Roma nell’entourage del Vanvitelli - Gli interventi del periodo lombardo.
205 5. Artefici ed epigoni nel meridione d’Italia fuori della capitale borbonica
Giovan Battista Vaccarini e la produzione monumentale in Sicilia: richiami all’arte del Vanvitelli - L’attività isolana di Stefano Ittar e
Venanzio Marvuglia, influsso della lezione vanvitelliana - Due seguaci del Maestro nelle “terre di Calabria”: Saverio Ricciulli e
Pompeo Schiantarelli - Gli interventi di Ermenegildo Sintes nell’area catanzarese: la nuova urbanistica di Tropea - L’operosità del
Sintes a Nicotera - Ignazio De Juliis e Antonio Magri, minori vanvitelliani: il loro apporto nell’edilizia sacra in Basilicata - Il disegno
del Magri per l‘incisione della nuova pianta di Filadelfia - Testimonianze vanvitelliane nelle vicende professionali di Giuseppe Pollio: i
lavori delle Saline di Barletta - Vincenzo Ruffo, seguace del Vanvitelli: ragguagli sul suo ruolo di trattatista e sull’attività edilizia nelle
Murge - Influssi vanvitelliani nell’opera pugliese di Giuseppe Astarita - Il coinvolgimento di Francesco Bernasconi nelle vicende
costruttive del ponte sul Calore - L’intervento di Francesco Sabatini per la fabbrica d’armi a Torre Annunziata - Rielaborazione di
forme e modelli del Vanvitelli nei progetti di Gaetano Barba: l’opera nelle province campane.
241 6. Gli echi del Maestro in Europa: pluralità di indirizzi di allievi in Spagna, Belgio e Russia
Cenni sugli altri maestri europei coevi al Vanvitelli - L’architettura in Spagna tra barocco e nuova ispirazione classica - Sui primi
allievi del Vanvitelli alla corte di Spagna: Marcello Fonton e la riproduzione dei disegni per il palazzo di Madrid - L’attività del Fonton
5
La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
per il complesso conventuale di Aranjuez - L’affermazione professionale di Francesco Sabatini, "principale architetto" del Re Dall’epistolario vanvitelliano: gli scritti degli anni Sessanta sul Sabatini - L’intervento di “Francisco” per lo scalone reale di Madrid, la
cappella di palazzo ad Aranjuez e l’ospedale generale di Atocha - Testimonianze su Giovanbattista Patturelli, Pietro e Francesco
Vanvitelli in “terra spagnola” - Appunti su alcuni aiutanti italiani del Sabatini: Antonio Valzania, Battista Pastorelli, Antonio di Carlo di
Borbone e Giovanni Bola - Risonanze vanvitelliane in Belgio: l’opera di Laurent Benoit Dewez - Cenni sull’architettura in Russia
all’epoca del Vanvitelli: diffusione di forme diverse tra gli imperi di Elisabetta e Caterina II - L'esordio ufficiale di Antonio Rinaldi: la
sua prima stagione artistica in Russia - Il rapporto con l’arte del Vanvitelli nel decennio Sessanta - Sulla corrispondenza epistolare
dei due Maestri, ragguagli - Approfondimenti sui caratteri stilistici delle opere del Rinaldi - Considerazioni conclusive sulla sua
produzione maggiore.
279 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
La sfera d’azione di autori minori non estranei ai richiami del Vanvitelli: Nicola Tagliacozzi Canale e Bartolomeo Vecchione - Intorno
all’opera di Luca Vecchione e Gennaro Papa: punti di contatto con l’esperienza professionale del Maestro - Nuove linee di ricerche
nel percorso artistico di Giovanni Del Gaizo: l’esiguo influsso dei modi vanvitelliani - Testimonianze sull’attività napoletana di
Giuseppe Pollio - L’opera di Giuseppe Astarita alla luce dell’arte del Maestro - La sua produzione nel periodo centrale del secolo L’attività matura dell’Astarita - Gli interventi di Gaetano Barba: l’adozione di motivi vanvitelliani - La collaborazione di Carlo Galli da
Bibiena col Vanvitelli - Carlo Vanvitelli e il padre Luigi: le principali opere napoletane - I raggiungimenti architettonici di Carlo dopo
la morte del padre - Suoi ulteriori interventi maturi - Ragguagli sul linguaggio progettuale di Pompeo Schiantarelli - Varietà di forme
costruttive nelle architetture di Ignazio Di Nardo e Giovanbattista Broggia - Il raggio d'influenza vanvitelliano di Francesco Sicuro
nella produzione di fine secolo - I concepimenti urbanistici del Vanvitelli in Vincenzo Ruffo: il piano per la città di Napoli - La
moderntà dei suoi interventi - Appunti e considerazioni sull’ingegnere Gioacchino Avellino.
347 8. I continuatori dell’opera del Maestro: l’eredità casertana
L’opera di Carlo Vanvitelli per il completamento della “Real Fabbrica” di Caserta: dalla conclusione dell’esperienza tardobarocca al
rinnovamento neoclassico - L’attività matura di Francesco Collecini, epigono del Vanvitelli: il grande laboratorio scenico casertano La rielaborazione del Collecini del progetto vanvitelliano di Carditello - Introduzione all’intervento urbano di San Leucio - Il ruolo
della città leuciana negli intenti del Collecini - Sugli incarichi minori di Francesco: i lavori per il monastero dell’Annunziata di Capua
- L’affermazione artistica di Antonio De Simone: l’apparato decorativo della Reggia tra tradizione e innovazione - Giovanni
Patturelli, ultimo erede della grande lezione vanvitelliana a Caserta - Il significato della continuità classica nel progetto della
cattedrale di Caserta - Conoscenza dell’opera matura di Giovanni attraverso gli interventi per la Real Casa.
382 Considerazioni finali
385 Appendici
401 Apparati
Riferimenti bibliografici
Indice delle illustrazioni
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Fonti iconografiche
i
All’autore di questo libro, Salvatore Costanzo, mi legano un’amicizia ed una stima datate. Ho sempre avuto ammirazione per i suoi lavori, per la passione profusa negli studi, per l’impegno che traspare in ogni singola nota. Posso dire
quindi che l’ostinazione mostrata nella ricerca di elementi e sfumature alla base di quest’ultima pubblicazione mi colpisce ma non mi sorprende. Questo volume dedicato alla Scuola vanvitelliana è figlio di quattro anni di approfondimenti. Un periodo di tempo lungo, ma evidentemente necessario per la maturazione di una ricerca che offre oggi rinnovati spunti per lo studio dell’architettura di un’epoca che ha lasciato intatte tante testimonianze anche in Terra di Lavoro. Di Luigi Vanvitelli si conosce tutto o quasi. Molto meno, forse, di tanti discepoli formatisi alla sua Scuola e che
hanno sviluppato, negli anni e nelle realtà più disparate d’Italia, quelle linee, forme e soluzioni che hanno fatto del primo uno degli architetti più ammirati, invidiati ed imitati.
Il libro di Costanzo non si limita solo ad una raccolta di lavori e testimonianze della Scuola vanvitelliana, ma va oltre.
Dove per oltre s’intende l’analisi delle relazioni fra modelli e scuole che, attraverso le opere degli allievi del Vanvitelli,
hanno enormemente influenzato le esperienze progettuali dell’epoca. Per ammissione dello stesso autore, altri aspetti e risvolti della Scuola vanvitelliana e dei suoi più validi esponenti restano ancora da indagare.
E fuor di dubbio, però, che il volume di Costanzo si offre come una più che fedele rappresentazione dell’eredità culturale lasciata dalla Scuola, costituendo un prezioso contributo scientifico allo studio e al dibattito sullo straordinario fascino che il modello vanvitelliano ha esercitato sull’architettura dell’epoca. Ed è certo, infine, che il libro rappresenta
anche un significativo apporto alla funzione di riscoperta e valorizzazione del Vanvitelli minore, ovvero di tutte quelle
opere che il grande architetto ha ispirato e ci ha lasciato oltre la Reggia di Caserta.
Sandro De Franciscis
Presidente della Provincia di Caserta
Nel disegno acquerellato di Giovan Battista Lusieri (XVIII-XIX sec.), pittore paesaggista erede della grande tradizione
italiana, la Reggia di Caserta si erge superba nella pianura alberata non trovando altro confronto che la mole del Vesuvio che fa da sfondo.
Viene così esemplificato degnamente il ruolo di grande protagonista che il prestigioso manufatto vanvitelliano assume
nel nostro territorio, segnandone profondamente la storia culturale, sociale ed economica.
In questo senso trova giusta collocazione l’impegno profuso dall’architetto Salvatore Costanzo nel ricostruire, attraverso questa sapiente e documentata ricerca sui collaboratori di Luigi Vanvitelli, le complesse vicende professionali e
personali che si sono susseguite per decenni intorno all’immane cantiere.
La costruzione della Reggia costituì, all’epoca, l’occasione per lo sviluppo di un’area a prevalente destinazione agricola e per la nascita di un’intensa attività culturale che trovava il suo punto di riferimento nella figura del progettista,
l’architetto romano voluto da Carlo di Borbone che, trasferendosi a Caserta, aveva portato con sé i suoi fidati collaboratori che, successivamente, si stabilirono nella città.
Questo vale per il figlio stesso di Luigi Vanvitelli, Carlo, come per Francesco Collecini, i Patturelli, i Brunelli la cui esperienza si trasferì di generazione in generazione, costituendo quel patrimonio di “sapere” e di “saper fare” che ha permesso, prima la costruzione del “Palazzo Reale”, poi la sua conservazione fino ad oggi.
Giovanna Petrenga
Soprintendente B.A.P.P.S.A.E. di Caserta e Benevento
6
7
La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
Vanvitelli e, pur dimostrando nella fase matura un’indubbia sensibilità verso i modi del sommo Maestro, occupa
un posto completamente a parte nella schiera dei seguaci della sua arte. Si ignora se la sua formazione sia avvenuta solo a Napoli, e con quali maestri.
Bartolomeo Vecchione trovò spazio nel quadro artistico
partenopeo del tardo periodo barocco per la sua spiccata invididualità (in questo ricorda un poco il Vaccaro, la cui
opera certo dovette tenere in considerazione). Ma sono
soprattutto gli influssi del Sanfelice genialmente commisti
con i fermenti e le decorazioni dell’architettura del Vanvitelli a conferire al suo stile forme e movenze originali.
Estroso e intuitivo, Bartolomeo sembra avere il dono tutto personale di una vivace freschezza, senza ripensamenti, e la sua invenzione si materializza con immediatezza perché, non limitandosi a disegnare, egli cura di
persona gli ornamenti delle sue fabbriche: così anche decorazione e plastica si fondono con l’architettura in unicità creativa e coerenza formale.
Le prime notizie certe lo danno attivo a Napoli negli anni
’60 come perito. Sicuri contatti professionali con Luigi
Vanvitelli, l’ingegnere Vecchione l’ebbe nel 1766 in occasione della redazione di un progetto finalizzato ad ovviare agli inconvenienti prodotti dalla “lava dei Vergini”; per
tale iniziativa la città di Napoli chiese l’intervento di alcuni
tra i più qualificati architetti del tempo. Re Carlo di Borbone aveva dato avvio, con la costruzione dell’Albergo
dei Poveri, ad un’ampia operazione - di urbanistica ed
edilizia insieme - tendente a dare vita ad una nuova importante arteria viaria di immissione nella città. Tale idea
sarà poi sviluppata sistematicamente dai suoi successori; ma occorrerà oltre un secolo perché tutta la strada,
dall’Ospizio al Museo, venga conclusa e sistemata effettivamente. Tra i tecnici che ebbero a collaborare a tale iniziativa borbonica, troviamo “in primis” il Vanvitelli. Ciò risulta da due importanti documenti, conservati presso la
Biblioteca Nazionale di Napoli, costituiti da due relazioni
autografe, dirette ai deputati del Tribunale della Fortificazione, Mattonata ed Acqua della città di Napoli. La prima
è del 9 agosto 1766, e ci informa che in quel tempo il
tratto “dopo la porta S. Gennaro fin al borgo di S. Antonio, deturpava viene da un fosso rustico, esistente nel
mezzo della via, che raccoglie le copiose acque della lava”17. L’accesso alla città era assai disagevole e si svolgeva, per ampi tratti, attraverso un alveo-strada. Dunque
gli amministratori della città decisero, nel 1766, di eliminare tale inconveniente, provvedendo ad una radicale sistemazione fognaria e viaria, che fu progettata e realizzata dal Vanvitelli. Per la verità quest’ultimo fu chiamato, in
un primo momento, soltanto per indicare, ai Deputati del
Tribunale di Fortificazione, Mattonata ed Acqua, il progetto migliore fra quelli che già erano stati presentati. Poi,
come in tante altre occasioni, finì per suggerire una sua
ulteriore soluzione, che venne senz’altro accolta. Infatti,
egli riferisce dapprima, di quattro progetti che erano stati elaborati da tecnici napoletani.
In questo contesto, Bartolomeo Vecchione, uno degli architetti interessati al progetto, approntò anche “un modelletto in legno”, per presentare la sua proposta che
prevedeva anch’essa la costruzione di una fogna, ma per
condurre l’acqua proveniente dai Vergini “fin alla muraglia
280
della fossa di città ove medita costruire un canale di fabbrica” che sfrutta le mura urbane per formare uno dei piedritti. Al termine del tratto di mutazione, il Vecchione riporta l’acqua sul basolato stradale; infine, prevede la costruzione di un ponte a due archi. Ma il Vanvitelli osservò
che un progetto simile a quello del Vecchione era stato
presentato, il 2 dicembre 1765 (cioè sei mesi prima) da
Luca Arinello, e scrisse: “quale dei due nominati sia l’Autore del suddetto Progetto: lasciane ad altri la decisione”18.
Numerose le testimonianze che documentano la collaborazione di Bartolomeo Vecchione con altri valenti architetti appartenenti alla “seconda generazione” dei vanvitelliani. Tra queste ci piace riportare quella relativa alla sua
assistenza per i lavori nella vicina Chiesa dell’Annunziata
di Giugliano.
“L’anno 1750…si fece il disegno dell’icona, altare, e balaustre dal Regio Ingegnere D. Giuseppe Astarita, e con
istrumento rogato per mano di Notaio Andrea Ciccarelli,
si convenne con Antonio di Lucca mastro marmoraro Napoletano, far l’icona, altare, e balaustri a tenore di quel disegno per ducati 2875, ma coli assistenza dell’altro Regio Ingegnere D. Bartolomeo Vecchioni. Principiata l’opera, pensarono nel 1752, aggiungere a questo altare quelle quattro colonne, che vi si veggono, in luogo di quattro
pilastri, ch’erano nel disegno. Onde lo Scrivano della Delegazione fece un atto pubblico, che queste colonne dovessero essere pagate oltre al convenuto. Ma perché
questa mutazione ne portò seco dell’altre di considerazione, s’uscì anche dal disegno, e per conseguenza dall’obbligo. Terminata l’opera, l’Ingegnere Astarita non solo
apprezzò le quattro colonne, ma l’intero altare ducati
5819 grana 19, ed avendone la Chiesa pagati ducati
4255 grana 70, lasciava debitrice in ducati 1564 grana
70. Morto il Delegato Castagnola, venne appresso Lorenzo Paternò, e colla sua solita esattezza dimandò conto di questa partita, asserendo col parere ancora dell’altro Ingegnere Vecchioni, aver la Chiesa pagato più di
quello, che doveva a tenore dell’obbligo…. Dopo un lungo litigio si venne ad una pacifica transazione”19.
Anche l’attività di perito esperto appare notevole nell’opera del Vecchione. Nel 1767, ancora nella provincia napoletana, l’architetto periziò la conclusione della costruzione dell’altare maggiore della Chiesa della SS. Annunziata e di Santa Maria della Purità a Giugliano, progettato e diretto a partire dal 1750 da Giuseppe Astarita, sotto la direzione di Gaetano Barba, che dal 1763 era stato
nominato architetto ordinario di quella fabbrica. Poco più
tardi (1769), il Vecchione, insieme a Carlo Zoccoli e Gaetano Barba, presentò una relazione sulle cause del dissesto e sul possibile intervento di restauro per il fronte
principale del Palazzo del Banco in Napoli e dell’Oratorio.
Andrà tenuto conto che a partire dal 1771 Bartolomeo
Vecchione compare come revisore dei conti (insieme a
Felice Bottiglieri), in numerosi pagamenti relativi alla costruzione del presbiterio della Chiesa dell’Arciconfraternita dei Pellegrini di Napoli, firmati dall’Astarita, confratello,
come direttore dei lavori20. Sull’operosità fuori dalla sua
veste di consulente tecnico, occorre riconoscere che essa, anche se non molto intensa, si svolse attraverso interventi mirati in alcune fabbriche religiose, la cui opera,
7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
Fig.235. Nicola Tagliacozzi
Canale e Bartolomeo de
Grado, Incisione, “Pianta
della Cuccagna erettasi avanti
il Real palazzo il di/16
Maggio 1734: per festeggiare
il felicissimo ingresso del
nostro/ Re D. Carlo Borbone,
che Dio guardi in questa
Fedelissima/ Citta di Napoli.
Nicol.ns Tagliacozzi Canale
Inv. Et del. Bartolomeo de
Grado Scu.”.
per ardimento e genialità decorativa, rimane una delle
espressioni più alte della cultura architettonica in Napoli.
Il Nostro raggiunse la sua maturità artistica fra il 1746 e il
1754, non sappiamo se in condizioni di particolari difficoltà: se pur non poteva stare, per tecnica e disegnato,
alla pari con l’arte innovatrice dei grandi (Luigi Vanvitelli,
in primis), e di quella di molti artefici vanvitelliani (Carlo
Vanvitelli, Ermenegildo Sintes, Pompeo Schiantarelli,
ecc.) pure lavorò con coscienza.
Di Bartolomeo Vecchione è degno di essere ricordato il
suo intervento per la facciata della fabbrica di S. Maria a
Cappella o delle Crocelle (di datazione ancora incerta), e
il rifacimento della Chiesa dell’Immacolata e San Vincenzo, i cui lavori terminarono nel 1758; qui lo stesso Vecchione fu l’autore della lunga cortina di case-botteghe
lungo il lato sinistro della strada (via S. Vincenzo).
In questo periodo troviamo ancora l’architetto intento ai
lavori di ristrutturazione, tra il 1747 e 1751, della Farmacia o Spezieria degli Incurabili, grazie ad un lascito di Antonio Maggiocco. L’importante fabbrica faceva parte del
complesso dell’Ospedale di S. Maria del Popolo fondato
nel 1521 dalla nobildonna Maria Longo e chiamata “Incurabili” perché destinata a coloro che non potevano permettersi le cure; l’opera è l’unica che si conserva intatta a
Napoli. Dall’Archivio Storico del Banco di Napoli (Banco di
S. Giacomo, Giornale di Cassa, Matr. 1064, 6 giugno
1747, p.79) apprendiamo che: “A Donna Eleonora Agnesa Pappacoda e Gennaro Minutolo D. 15 a conto del Legato del quondam Don Antonio Maggiocco per spendersi nella nuova Fabbrica dell’ospedale degli Incurabili e detti ducati 15 vanno a Crescenzo Trinchese Maestro Marmoraro per le Figure di basso rilievo di marmo ha fatto fare nell’Ovato sopra la Nuova Porta di marmo dell’Ospedale suddetto giusta il convenuto come dal biglietto del
loro Ing.re Bartolomeo Vecchione…”
Ed ancora, dallo stesso Banco di S. Giacomo (Giornale di
Cassa, Matr. 1065, 9 giugno 1747, p.107): “Alli Gov.ri del-
la Casa Santa degli Incurabili, D. 30 a Crescenzo Trinchese a compimento di 680 ed in conto di 700, convenuto
prezzo della Porta di marmo sta facendo per la Porta
maggiore dello Ospedale degli Uomini di detta Casa, giusta il Biglietto del loro Magnifico Ingegnere con ordine in
filza…”
E interessante annotare che sullo stato dell’Ospedale degli Incurabili, Luigi Vanvitelli aveva in precedenza stilato
una relazione; per esso l’architetto prevedeva un ampliamento, soffermandosi anche sulle norme igieniche21.
La facciata della Farmacia storica sulla corte monumentale, preceduta da un pronao, respira estendendosi in
avanti per mezzo di due rampe di scale ovali che tendono a convergere al centro, ornate di capriccioso disegno
sul parapetto. La proporzione tra le forti membrature del
pronao crea un’euritmia solidamente ritmata dai pilastri e
dagli archi, dal gioco vibrante delle masse e dagli spazi,
nel movimento dato dall’effetto di traforo del parapetto
delle scale: il tutto porta a un insieme che è ad un tempo
solenne e prezioso. Effetti di traforo come questo si ricollegano certamente all’architettura gotica, che, del resto,
a Napoli ha un’antica tradizione, e mostrano come il gusto barocco, nel suo fondo culturale, accolga ampiamente motivi nel tempo riuscendo tuttavia ad armonizzarli compiutamente nello spirito dell’epoca. Raffinati ed
eleganti i disegni di Bartolomeo Vecchione per i quattro
portali barocchi del porticato, quest’ultimo concluso da
solide voltine a crociera: il vibrar delle decorazioni nel loro estenderi, accompagnate da ritmi di linee ondulate
(stucchi e cartocci), che oltre a permettere le arditezze di
movimento e di modellatura, ci danno tutta la spiritualità
nervosa e raffinata di un artista che vive la sua opera in
profondità e in superficie, senza lasciare zone neutre.
L’insieme è di una solida massa, molta articolata e di
grande vigore plastico soprattutto nelle parti interne.
Roberto Pane, sulla Spezieria della Casa Santa degli Incurabili ebbe a scrivere che è tra le “testimonianze più
281
La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
Fig.236. Chiesa di S. Maria di
Costantinopoli, Napoli.
Particolare della facciata.
sontuose ed esplicative dei grandi valori - artistici e civili
insieme - di tutto il Settecento napoletano”. Ed ancora
che: “L’ambiente delle due più importanti fabbriche che si
affacciano sul cortile degli Incurabili, l’ospedale e la farmacia, può dirsi quasi intatto. Con i due curvi rampanti
che conducono al portico, la farmacia si presenta allo
stesso modo in una delle contemporanee ville barocche
della costa vesuviana. L’arredo interno è da ricordare, insieme con la biblioteca dei Girolamini, come uno dei più
unitari del Settecento napoletano”22.
Dopo i lavori eseguiti da Bartolome nella Spezieria, il cui
disegno per massima parte, è sicuramente dovuto al suo
talento, la Sala maggiore della fabbrica ci appare di grande unità stilistica e cromatica, rivestita da eleganti stigli; il
pavimento maiolicato è in parte di Giuseppe Massa. Il singolare edificio ospita una breve scala a doppia rampa che
conduce ad un atrio dal quale si accede ai due ambienti
della farmacia (Sala Grande e la Sala Laboratorio). L’opera è di alto interesse per se stessa ed anche per la mancanza di architetture settecentesche di questo genere a
Napoli.
Altri saggi delle sue capacità d’innovazione Bartolomeo
Vecchione dava, sempre in questi anni, nel genere del disegno per la transenna di piperno (1751) che in via S.
Chiara, superato l’omonimo campanile, fronteggia il goti-
282
co portale laterale del recinto conventuale e precede l’atrio di S. Francesco delle Monache. Alla creatività dell’architetto napoletano appartiene pure il progetto per il rifacimento della facciata della Chiesa della Pietà dei Turchini (ornata di stucchi rococò, rifatta tra il 1769-70), ed il disegno per il rifacimento della facciata della Chiesa delle
Crocelle al Chiatamone, i cui lavori sono da ascrivere alla
seconda metà del secolo.
Altre sue opere mature documentate, sono frutto di una
attiva e sempre più determinante collaborazione col fratello Luca. Non c’è dubbio che l’arte di Bartolomeo Vecchione va osservata in due momenti: dapprima per comprenderla nel suo valore stilistico e architettonico (che
mantiene chiari ritmi barocchi, con un elegante decorativismo), poi per affermarla nel suo significato culturale,
senza giungere mai, tuttavia, a una perfetta sintesi. E, in
realtà, vi è qui un’abbondanza di elementi che superano
il motivo unitario che li raccoglie - quel senso di fastosa
monumentalità che subito appare, - ed esigono di essere considerati a sé. Questa monumentalità si afferma subito: è nel volume delle parti che creano da sole lo spazio, nell’imponente preziosità dei decori, nella raffinata e
pur solenne concezione scenografica. Il suo stile, in generale, si caratterizza in concitati ritmi di un vibrante linearismo, espressione di un movimento spesso reso dal
susseguirsi di nitidi motivi curvilinei; quello stesso movimento che nel plasticismo di molti seguaci del Vanvitelli
era suscitato dal concatenarsi delle stesse masse murarie, di chiara ispirazione berniniana e da un arioso chiaroscuro di impronta rinascimentale, concepito su effetti
prospettici. Considerevole fu l’influenza esercitata da
Bartolomeo Vecchione sul gusto dei contemporanei, anche attraverso una numerosa scuola di maestranze minori, e il suo ascendente si spense solo col consolidarsi
del gusto neoclassico.
Intorno allʼopera di Luca Vecchione e Gennaro
Papa: punti di contatto con lʼesperienza
professionale del Vanvitelli
Una riflessione da fare sulla cerchia dei vanvitelliani a Napoli riguarda la diversità del tipo di influenza esercitata dall’architettura del Maestro Vanvitelli che, se nei casi più importanti fu diretta, e segnatamente, oltre naturalmente
che per gli allievi ed i collaboratori; in altri casi fu riflessa,
cioè fu diffusa da alcuni “portatori” che già avevano assimilato l’esperienza ad altri che meno dimostravano di
averla subita. Ciò avvenne, per fare qualche esempio, per
molti artisti, così come per tantissimi autori meno affermati, che risentirono particolarmente dell’elaborazione dei
modi del Vanvitelli effettuata dal “filone romano” della sua
Scuola.
Premessa questa considerazione di carattere generale,
andrebbe poi affrontato un altro problema fondamentale
che, anche in ambito napoletano, contribuisce a creare
non poca confusione: quello della definizione dell’influenza esercitata da una nuova architettura classicistica.
Andrebbe cioè chiarito con maggior precisione quando
l’influenza provenga nettamente dall’imitazione dei modi
vanvitelliani e dalla loro elaborazione operata dai seguaci
sia napoletani sia di altre aree, e quando invece non sia
piuttosto originata dalla diffusione di un “manierismo” di
7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
Fig.237. Nicola Tagliacozzi
Canale e Pompeo
Schiantarelli (collab. con
Luigi Vanvitelli), Lavori di
decorazione del
Foro Carolino, Napoli.
altre estrazioni, o dall’intervento alla fine del secolo del
neoclassicismo.
Perché appare chiaramente come non sia accettabile
un’estensione semplificatrice a questi ambiti. Sono diversi gli stessi ambiti, diversi i gusti, diverse le culture che, a
ben guardare, a Napoli stanno alla base del rinnovamento in senso moderno sia dell’architettura, sia dell’urbanistica dei numerosi partecipanti alle opere del Maestro.
Tra questi, notevole interesse riveste la figura dell’ingegnere tavolario Luca Vecchione (?-m.dopo 1775); fratello maggiore di Bartolomeo, egli fu stretto collaboratore di
Luigi Vanvitelli, di cui accolse non trascurabili influssi. Diversi suoi lavori di edilizia religiosa e civile che non si staccano dal clima progettuale del barocco napoletano presentano pure punti di contatto e interesse con le architetture del Vaccaro e soprattutto con quelli del Sanfelice
e con altri artisti meno noti.
Detto questo, dobbiamo ammettere che in gran parte il
segreto della personalità di Luca Vecchione ci sfugge. I
suoi progetti densi di idee che sondano nella fase matura e poi in quella tarda diversi percorsi di lavoro, sono
rappresentativi di una ricerca di uno stile che svela progressivamente - oltre all’accostamento sanfeliciano - un
buon estro inventivo unito ad un rigoroso senso spaziale,
dove il dominio della struttura viene portato avanti attraverso l’esplorazione di numerosi elementi compositivi
prossimi a quelli del Vanvitelli (chiarezza di impianto, rigore geometrico, razionalità costruttiva). Essi diventeranno
importanti soprattutto per la svolta dal classicismo barocco napoletano, a partire all’incirca dagli anni Sessanta-Settanta.
Cospicue le testimonianze interessanti l’attività del Nostro, già ingegnere camerale nel 1729; come alcuni apprezzamenti ed interventi per fabbriche napoletane,
ascrivibili al primo periodo della sua carriera professionale. Dallo studio dei “Documenti per la storia dell’architettura napoletana del Settecento” di Raffaele Mormone23,
riportiamo, in stretta sequenza cronologica, le seguenti
notizie:
1728, marzo 1°. - Luca Vecchione perizia lavori eseguiti
in una casa presso il monastero del Rosario a Portamedina.
1730, gennaio 7. - Paolo Lamberti paga ducati 509.3 a
Nicola Mazziotti per “undici balconi fatti” e per altre prestazioni “per le nuove fabbriche sta facendo nelle sue case site nella strada dell’Armieri di questa città…per esecuzione della relazione dell’ingegniero Luca Vecchione”.
1730, dicembre 30. - Giuseppe Attanasio paga ducati 25
a Giovanni Saggese per novi balconi “lunghi palmi 10 e
larghi palmi 4 1/2 e loro lavori che han servito per la sua
casa sita a S. Giovanni dei Fiorentini…secondo la stima
eseguita dal regio ingegniero Luca Vecchione”.
1731, gennaio 11. - Luca Vecchione riceve ducati 6 da
Gaetano Todaro “per li favori dal medesimo compartiti in
dirigere l’accomodationi di fabriche nella sua casa sopra
Pizzofalcone…”
1731, marzo 17. - Giuseppe Attanasio paga ducati 20 a
Giovanni Saggese per nove balconi “lunghi palmi 10 e
larghi palmi 4 1/2 e per altri diciassette balconi”.
1733, marzo 28. - Francesco Tramontano e Diego Magrino pagano ducati 50 a Luca Vecchione per aver periziato i lavori “per la rifrazione, riparazione ed accomodazione della casa da essi posseduta nel vicolo di S. Spirito di Palazzo…”
1733, settembre 22. - Luca Vecchione è chiamato da
Francesco Donnarumma ad apprezzare “l’opera fatta e
facienda nelle sue case site e poste alla Corsea de’ Scarpari e propriamente dirimpetto all’alloggiamento de’ Tre
Re…”
1734, dicembre 20. - Luca Vecchione viene incaricato di
periziare lavori fatti e da fare nella casa di Giovanni Battista Fera sita “nella strada detta sopra S. Matteo, nelli
quartieri Spagnoli”.
Dal 1735 il Vecchioni è nominato “Ingegnere-Architetto
del Monastero” dell’Egiziaca a Pizzofalcone per il quale
esegue innanzitutto il censimento di tutte le proprietà delle monache agostiniane al fine di conoscere “per loro
buon governo…il stato di tutte le case che possiedonsi…per loro futura cautela”. In questa sorta di inventario,
tra i molti appartamenti situati nei pressi del monastero,
alcuni “bassi” si affacciano sotto il porticato all’interno dello stesso cortile, sono segnalati come di maggiore interesse, quattro palazzi, due limitrofi al convento, gli altri
due, uno in via Egiziaca e l’altro nella strada del Grottone.
Viene infine descritto il palazzo che fa angolo con via San
Nicola alla Carità, con l’ingresso dalla parte del vicolo e
283
La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
Fig.238. Nicola Tagliacozzi Canale
(partec. ai lavori interni), Chiesa di
San Michele Arcangelo, Napoli.
Pianta
Fig.241. Nicola Tagliacozzi Canale
(parte superiore facciata),
Certosa di S. Martino, Napoli.
Fig.242. Nicola Tagliacozzi Canale,
Giuseppe Astarita e Giuseppe Pollio
(lavori di ristrutt. coro), Chiesa della
Certosa di S. Martino, Napoli.
Fig.239. Chiesa di S. Agnello (o
Aniello) a Caponapoli, Napoli.
Fig.240. Nicola Tagliacozzi Canale,
Chiesa di S. Giuseppe dei Ruffi,
Napoli. Scale.
con la particolarità di avere all’interno un macello. Sotto la
sua direzione il capomastro muratore de Luca interviene
nel 1745, ricevendo 120 ducati per “tutte le fabbriche così del coro come per le fondamenta della chiesa”. Al fianco del Vecchione, già nel 1746, lavorava l’ingegnere Attanasio, poi sostituito da Giuseppe Astarita24. Intanto nel
1730 (20 marzo) il Tavolario Luca Vecchione redige ancora una perizia per una vertenza sorta tra il monastero dei
SS. Severino e Sossio e il Palazzo de Laurentiis, per stabilire i confini e la pianta del fabbricato (casa palaziata) di
proprietà di Alfonso Capano. In questa perizia si chiarisce
che la casa Capano “…risiede ella dentro questa città e
propriamente in fine del vicolo, ò via pubblica à man sinistra andando, che lateralmente dalla casa e Monte di
Pietà, conduce alla porta carrese del ven. mon. Di S. Severino confinando da Settentrione con altra casa Palaziata dello stesso Sacro Monte della Pietà; da Ostro col detto monastero di S. Severino; da Levante con altra via
pubblica, che dalla strada maestra di S. Biase de’ Librari
parimenti diramandosi, cala alla taverna di S. Severino e
da Ponente col nominato vicolo, o via pubblica, che conduce alla porta carrese di detto monastero di S. Severino”.
Tra il 1740-45 l’architetto Vecchione cura gli stucchi e gli
armadi in veste rococò della sagrestia di S. Maria della
Stella e, nel ‘49, la messa in opera di un nuovo altare
marmoreo nella “Cappella del Casino” del principe di S.
Nicandro a Barra; nello stesso anno dirige i lavori di stucchi in due palazzi “siti alla contrada del Convento di S.
Maria della Stella”.
Alla produzione matura di Luca appartiene ancora il progetto del Seminario Vescovile di Nola, voluto dal vescovo
Troiano Caracciolo del Sole, ed inagurato nel 1754. Questo edificio, che risulta impostato su di un impianto plani-
284
metrico rettangolare, conserva un elegante e ampio cortile interno ed una notevolissima Biblioteca (la cappella e
lo scalone d’ingresso del fabbricato, insieme ai due piani
più alti, sono invece frutto di interventi postumi eseguiti
su progetto di Gaetano Genovese).
Appartengono ancora a Luca i lavori nella Chiesa dei SS.
Marcellino e Festo. A metà Settecento le prospere sorti
economiche di questa comunità religiosa indussero le
monache ad abbellire la loro chiesa, chiamando per un rivestimento marmoreo Mario Gioffredo, il regio ingegnere
Gaetano Pallante e il tavolario Luca Vecchione, che ebbero un incarico limitato ai cappelloni prospicienti l’altare
maggiore. Certamente lavorarono nella chiesa tra il 1754
e il ’56, tuttavia del loro intervento non sono rintracciabili
elementi visibili. Infatti nel 1759 le monache si rivolsero a
Luigi Vanvitelli, il cui intervento ebbe un carattere unitario
e omogeneo e investì certamente anche i due cappelloni25.
Riveste profonda importanza nella carriera professionale
di Luca Vecchione la ristrutturazione, in via dei Mille, di
Palazzo Roccella (oggi Palazzo delle Arti) e delle sue dipendenze26, opera questa, in cui l’arte del tavolario si inserisce nella concezione architettonica del Vanvitelli, raggiungendo uno dei suoi risultati più alti e più caratteristici. Nel 1717 la “casa palaziata” con relativi giardini e terreni fu ceduta per diecimila ducati ad Ippolita Cantelmo
Stuart, moglie di Vincenzo Maria Carafa, principe di Roccella. La donna dette incarico al Vecchione di ristrutturare l’intero stabile. I lavori di trasformazione e ampliamento si protrassero per un decennio, dal 1755 al 1765, anno in cui l’edificio risultò trasformato in un vero e proprio
palazzo residenziale, reso economicamente produttivo
grazie alla costruzione, lungo il viale di accesso principale, di numerosi locali da destinare all’affitto. Il progetto del
Vecchione, di ispirazione chiaramente vanvitelliana, è improntato a criteri di maggiore simmetria che conferiscono
al portone d’ingresso e allo scalone principale assoluta
centralità e sfruttano le coperture delle costruzioni laterali
come terrazze del primo piano.
Intanto su disegno di Luca Vecchione venne riedificata
nel 1760 la Chiesa di S. Aspreno fuori Porta S. Gennaro,
dei Padri ministri degli infermi, documento che bene ci
rappresenta l’architetto forse nel suo momento di maggior slancio creativo. L’operosità del Nostro fu estesa pure alla facciata del Castello mediceo di Ottaviano (intervento teso ad ingentilire il prospetto del monumento con
una serie di finestroni realizzati insieme ad alcuni discepoli
di Ferdinando Sanfelice), e all’edificazione del Palazzo
Ruvo in via Materdei, del quale, tuttavia, non si conosce
la data certa di ultimazione dei lavori. Qui la scala - come
in altri esempi simili non a composizioni vanvitelliane, ma
a quelle dell’Astarita - è completamente “aperta”: eliminata la quinta muraria costituita dalla parete traforata sul
cortile, è la struttura stessa della scala a manifestarsi, inquadrata da un unico grande arco a sesto ribassato.
Oltre queste interessanti opere, è qui il caso di arricchire
il registro degli interventi che Luca svolse, in assidua collaborazione, col fratello Bartolomeo: il Palazzo Borgia
(1749) di fronte S. Nicola alla Carità a Toledo; la distrutta
Santa Maria Porta Coeli, in origine composta da una sola navata, senza cupola, con sette altari, fu rinnovata e
ornata nel 1752 nella prospettiva e nella scala con disegno dei Vecchione (la chiesa nel 1870 venne demolita per
la nuova via del Duomo); soluzioni architettoniche adottate nella Chiesa di S. Aspreno ai Crociferi nel 1756 (il progetto originario a pianta stellare, disegnato probabilmente dal Sanfelice, non fu realizzato); i marmi e gli stucchi in
SS. Pietro e Paolo dei greci (1759); l’inedito Palazzo De
285
La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
Fig.243. Nicola Tagliacozzi Canale e
Giovanni Del Gaizo (ristrutt.),
Chiesa del Carmine Maggiore,
Napoli
Fig.244. Nicola Tagliacozzi Canale
(dis.), Palazzo Mastellone, Napoli.
Sangro, di fronte Cappella Brancaccio (1764); l’Immacolata Concezione e San Vincenzo Ferreri alla Sanità (175058); i disegni per il pavimento, l’altare e gli stucchi nella
cappella di S. Candida in S. Angelo a Nido (1750-51); gli
interventi nel Palazzo Cito (1758), nel Palazzo Montemiletto a Gesù e Maria.
Sulla tarda attività di Luca Vecchione coincidente col decennio Settanta, e sulla indispensabile collaborazione in
questi anni col fratello Bartolomeo, è utile riportare una
breve testimonianza del Tribunale napoletano in occasione della domanda presentata da Luca al re (insieme ad
altri otto ingegneri camerali soprannumerari), per essere
ammesso a godere della “piazza” vacante di ingegnere
camerale ordinario, cioè col soldo, a seguito della morte
di Giuseppe Astarita (1775). Dal parere del Tribunale, che
escludeva Luca Vecchione dalla terna perché anziano,
registriamo su di lui un giudizio positivo: “E persona molto esperta e pratica, ed ha per lo passato disimpegnato
diverse incombenze che se li addossarono da questo Tribunale: presentemente è però molto avanzato negli anni,
per cui il medesimo non è nello stato di disimpegnare gli
affari, tanto vero che in tutte le incombenze si avvale dell’opera d’un suo fratello o d’altri che presso di lui assistono…”27
Dalle cognizioni fin qui acquisite, sull’opera del Nostro si
può ritenere - come del resto su quella appena esaminata del fratello Bartolomeo - che essa rimane ad oggi ancora troppo legata a una superficiale conoscenza del suo
repertorio. La sua produzione è rappresentativa di una
continuità nella ricerca di uno stile personale, che trova
applicazione soprattutto in un linguaggio che si sforza di
assimilare elementi compositivi dell’arte del Sanfelice (più
raramente del Fuga) e del celebre Vanvitelli, di cui conserva però una profonda percezione emotiva grazie ai diversi contatti avuti con l’esperienza professionale del
Maestro. Con la sua architettura, sebbene moderata nei
suoi esiti vanvitelliani, Luca giunge a progettare edifici di
sufficiente chiarezza e pregnanza formale.
Significativa e feconda di sviluppi è la personalità di Gennaro Papa, la cui formazione artistica richiederebbe una
riflessione più specifica, per riuscire a collocare le sue
esperienze progettuali dalla fine degli anni Cinquanta agli
anni successivi, periodo di grande importanza per cogliere il mutamento di stile dell’architetto napoletano anche
se, inizialmente, sono solo delle “derivazioni impoverite”
del Vanvitelli quelle che appaiono nelle sue opere. Questo
artista sembra raccogliere in età matura taluni suggerimenti che gli giungono dalla cultura dell’insigne Maestro
attraverso i nuovi modi del classicismo intenti a trasformare profondamente gli strumenti linguistici del barocco
e a creare l’apertura a una nuova dimensione architettonica. Il gusto artistico del Papa che, da un avvio vaccariano e un proseguimento molto prossimo agli interessi
286
7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
fughiani (più che sanfeliciani), pur rilevando intimi legami
con l’architettura barocca del secolo precedente (vedasi
Fanzago), muove piuttosto debolmente su tali posizioni e
orienta la sua visione verso esiti più moderni, perseguendo con notevoli doti inventive, un senso più monumentale della forma e una diversa “coscienza” spaziale. Di sicuro egli non esce dai limiti d’una derivazione vanvitelliana, maturando un suo stile meditato ma sicuramente non
molto fine, ed evitando i preziosismi di superficie e i modi esteriori di molti minori napoletani seguaci del Vanvitelli. L’incontro con le maggiori determinanti stilistiche dell’architettura del Vanvitelli, nessuna delle quali è raccolta
con pienezza nella risoluzione dei nodi tematici del Papa,
non determina nell’architetto una brusca “conversione”,
ma un approfondimento e un arricchimento della sua cultura artistica.
La prima attività di Gennaro Papa fa registrare alcuni grafici di rilievo della gràngia di Sant’Anna fuori Porta Capuana di Napoli nel territorio di Sant’Anastasia; quello redatto nel 1723 dal Nostro registra, nel caso di insediamenti di dimensioni minute, quali fossero e come generalmente venissero distribuiti i vari organismi: “A il sito del
cellare. Stanza per abitazione del Personale e Grada per
la salita alle stanze superiori; B cappella incontro al medesimo cellaro sotto il titolo di Sant’Anna; C l’aria del fabbricato per battere le vettovaglie; D stalla grande per bovi conformata a tetto”. Abitazione per il colono, alloggio
padronale, cappella, cellaio, aia e stalla sono gli elementi
che configurano l’architettura rurale locale, dunque, a
prescindere dalla natura della proprietà28.
Nel periodo centrale del secolo, il Papa legò il suo nome
principalmente alla ristrutturazione della Chiesa dei Santi
Filippo e Giacomo, i cui lavori furono ultimati nel 1758. Riguardo questa fabbrica, merita sottolineare che venne
edificata sull’area occupata dal palazzo del principe Gaetani di Caserta, con l’annesso conservatorio, alla fine del
XVI secolo dai consoli della ”Arte della Seta”, una delle
corporazioni maggiori. La nuova facciata della chiesa,
piuttosto articolata, fu ornata nel primo ordine dalle sculture in stucco di Giuseppe Sammartino in basso, e quelle di Giuseppe Picano in alto. Di grande effetto cromatico
doveva essere il pavimento, oggi quasi tutto consunto, in
cotto policromato con lo stemma della Corporazione.
Contatti e frequentazioni con il Vanvitelli il Papa ebbe, fra
l’altro per alcune partecipazioni ad opere di carattere urbanistico. In tal senso, particolare significato assume il
suo intervento progettuale (in collaborazione con Gaetano de Tommaso e Ignazio Cuomo) per una soluzione in
grado di risolvere i disagi prodotti dalla “lava dei Vergini”29. Sui lavori portati avanti dalla commissione, rimandiamo a quanto si è già esposto in questo capitolo a proposito dell’affermazione artistica di Bartolomeo Vecchione, mentre sulla posizione del Vanvitelli, inizialmente chiamato dai Deputati del Tribunale di Fortificazione a giudicare il migliore progetto, c’è bisogno di fare una precisazione. A riguardo la proposta degli ingegneri Papa, de
Tommaso e Cuomo (giugno 1766), il Maestro si limitò ad
affermare che “essendo questo parere alquanto particolare”, ebbe a visitare attentamente i luoghi in esso richiamati, dopo aver “replicatamente letto” il testo della relazione: in realtà il Vanvitelli si astenne dal giudicare l’opera
Fig.245. Bartolomeo Vecchione,
Chiesa dell’Annunziata, Giugliano.
Altare.
o da produrne alcuna descrizione.
E lecito pensare, nel continuare ad approfondire l’attività
artistica del Papa, che gli anni legati al periodo della sua
tarda maturità, non furono pregni per l’artista di quelle
soddisfazioni che avevano caratterizzato la sua ricca,
precedente attività tardobarocca. Egli poteva tuttavia intravedere nella sua opera un momento particolare del
nuovo classicismo napoletano. E sul clima culturale nel
quale operarono le maggiori personalità artistiche del secondo Settecento a Napoli, nella cui cerchia figura anche
il Papa, vale la pena annotare un “passaggio” felicemente colto da Arnaldo Venditti. Lo studioso, nel suo saggio
sulla “Architettura neoclassica a Napoli” (1961) scrive:
“…Questi episodi sono troppo legati, insieme con i contributi forniti da Giuseppe Astarita, Gennaro Papa, Giuseppe Pollio, Gaetano Barba ed altri ancora - al gusto
dell’età barocca perché spetti alla presente rassegna lo
studio del loro significato; le nostre brevi notizie sugli architetti dell’ultimo ventennio del Settecento sono da intendersi soltanto in funzione di chiarimento per il graduale passaggio tra l’estremo gusto barocco e la nuova moda neoclassica”.
Sulla figura del Papa, noi riteniamo che rimane “un’anima
architettonica” considerevole, e come tale ha un suo posto e un rilievo originale nella cerchia delle maestranze
napoletane che si accostarono al Fuga e al Vanvitelli. La
287
La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
Fig.246. Bartolomeo Vecchione,
Chiesa di S. Maria delle Crocelle,
Napoli.
Particolare della facciata.
sua opera (e quella degli artisti a lui vicino), per ricchezza
qualitativa rappresenta un ulteriore elemento di opportunità ed efficacia nel generale clima di adesione al Vanvitelli, e costituisce una delle componenti di maggior riguardo per approfondire lo studio dell’architettura minore a Napoli tra il quarto e settimo decennio del secolo.
Egli, pur ampliando e approfondendo i suoi interessi progettuali con motivi legati alla fantasiosa morfologia barocca, si segnala per una disponibilità sperimentale che
sembra lasciar spazio a risonanze per alcuni colti riferimenti della cultura vanvitelliana.
Nuove linee di ricerca nel percorso artistico di
Giovanni Del Gaizo: lʼesiguo influsso dei modi
vanvitelliani
Grande importanza ebbe, in tutto l’arco della stagione
vanvitelliana, l’edilizia religiosa che nella capitale del Regno rivelò una perfezione tecnica compiutamente raggiunta e presentò bellissimi esempi anche con brani architettonici di più modesta produzione. Numerosi furono
i filoni di architetti che si affermarono sul territorio, ognuno con caratteristiche proprie, ma richiederebbe troppo
spazio accennare anche ai maggiori: ci limitiamo a presentare alcuni nominativi.
Nonostante non parta da punti di riferimento precisi con
la prima cerchia dei vanvitelliani, l’opera di Giovanni Del
Gaizo (1715?-1796) è legata a schemi dell’alveo borrominiano sia per quanto concerne la ritmica spaziale e la
dinamica modellazione delle pareti, sia per la scelta dell’estro decorativo di forme che liberamente si snodano
nello spazio e nelle prospettive; tale adeguamento, che
qualche volta ha l’apparenza di un vero e proprio ricalco,
288
può essere interpretato come cosciente e deliberato recupero, da artista colto intento a ravvisare in modelli sorpassati valori spaziali che gli preme di riproporre con intento personale.
Suoi lavori tardi affermano, nella più autonoma libertà formale, una singolarissima capacità strutturale che, anche
se non fa del Del Gaizo un esponente di spicco dell’architettura napoletana che si preparava ad assorbire lentamente gli influssi di un “secondo vanvitellianesimo”, lo
rivela come straordinario precursore delle soluzioni del
classicismo barocco, da aver indotto alcuni autorevoli
studiosi ad approfondire le sue imprese mature del secondo Settecento. Il linguaggio del Del Gaizo sente dunque con moderazione l’influsso della lezione del Vanvitelli
e a lui si volge per un’architettura piuttosto di rielaborazione; egli si presenta come una personalità artistica non
ancora bene definita per la sua ispirazione prevalentemente classicista, al punto che, nella corrente che ha nel
Vaccaro - di cui fu allievo ed aiutante - le sue radici, egli
nei confronti del Vanvitelli appare tra i più contemplativi e,
in apparenza, distaccati seguaci. Bisogna riconoscere
che nell’arte del Del Gaizo si unificano motivi di diversa
estrazione: egli rivela parentele con stilemi variamente interpretati del Vaccaro; talvolta sembra accostarsi ai caratteri dell’arte del Barba, i cui concepimenti spaziali,
sebbene prossimi al Gioffredo, rimandano più decisamente al Fuga; ed ancora, ma con rara unitarietà stilistica alle architetture del Canale.
Principio informatore della sua architettura è un decorativismo tutto pittorico, ottenuto mediante il gioco della luce
che, infiltrandosi sapientemente tra mosse superfici murarie e stucchi variamente aggettanti, esalta le strutture e
modella gli spazi, conferendo un personale accento barocco. E il Del Gaizo dimostra di conoscere la grande lezione stilistica di Luigi Vanvitelli proprio da una ragionata
combinazione di elementi desunti dalla produzione barocca che egli inserisce nelle strutture delle sue fabbriche, e
che chiamano in causa principi architettonici capaci di ricalcare soluzioni cinquecentiste per il raggiungimento di
nuove forme classiche.
Direttore dei lavori di diverse costruzioni religiose oltre
che progettista e abile restauratore di molti edifici civili,
tuttavia il Del Gaizo non ebbe incarichi di rilievo presso la
famiglia reale. Raffaele Mormone riporta che il Gaizo era
stato eletto Ingegnere Ordinario del Banco dei Poveri l’8
luglio 1745, pubblicando per primo la notizia della sua
estromissione dalla carica “a causa dei danni subiti da
una sua fabbrica”.
Si può osservare che lo sviluppo artistico di Giovanni costituisce un’ulteriore riprova della crisi di gusto che trasformò l’architettura tardobarocca napoletana sotto lo
stimolo della cultura neoclassica. La sua formazione culturale si ricollega alla tradizione rococò, per trasformarsi
quindi in direzione classicistica; essa si evidenzia, specialmente dopo il suo ritorno con nuova energia a stimoli
barocchi, che dimostrano come una mancata visione
unilaterale dell’architetto in chiave neoclassica non permetta di valutare adeguatamente la sua complessa personalità artistica. Tuttavia il Nostro fu valentissimo sia nel
tardobarocco che nel neoclassico, dirigendo essenzialmente i suoi interessi verso ristrutturazioni di fabbriche
7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
sacre. Deve essenzialmente la sua fama alla facciata della Chiesa di Santa Maria del Carmine Maggiore, che costituisce uno dei documenti fondamentali in nostro possesso per la conoscenza della sua architettura. Rifatta nel
1766, la facciata, sobriamente barocca in pietra vulcanica, fu eseguita su un suo disegno nel 1772.
In precedenza, tra il 1741-47, Giovanni aveva compiuto
dei radicali interventi nella Chiesa di S. Chiara, che rappresentano il punto d’incontro e la sintesi delle molte
esperienze tratte dalla tradizione barocca e insieme dall’assunzione del nuovo linguaggio classicistico. Per questi lavori il Nostro operò insieme a Gaetano Buonocore e
Domenico Antonio Vaccaro (quest’ultimo documentato
oggi solamente dall’ultima cappella a destra contenente
le tombe dei Borbone). L’intera struttura gotica della chiesa fu rivestita dalla festosa ornamentazione barocca e il
tetto a capriate fu coperto da una volta a incannucciata,
decorata con stucchi e affreschi. Ancora prima, a Giovanni Del Gaizo erano stati affidati i restauri della facciata
della Chiesa di S. Severino e Sossio, resisi necessari in
seguito ai danni prodotti dal terremoto del 1731. Detta
facciata è preceduta da “transenne” di piperno del Nauclerio, parte del recinto di un ampio sagrato soppresso
Fig.247. Ospedale degli Incurabili,
Napoli. Pianta del primo piano
(Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli).
Fig.248. Bartolomeo Vecchione,
Farmacia degli Incurabili, Napoli. Pianta
(Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli).
Fig.249. Bartolomeo Vecchione,
Farmacia degli Incurabili, Napoli.
Prospetto
(Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli).
Fig.250. Bartolomeo Vecchione,
Farmacia degli Incurabili, Napoli.
Prospetto sulla Corte Monumentale
(Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli).
nell’Ottocento per l’apertura di via Capasso. Della costruzione cinquecentesca è visibile il fianco sinistro, scandito da lesene scanalate; l’atrio fu ridotto nell’attuale forma nel 1737. Sulla produzione matura del Del Gaizo, si
289
La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
Figg. 251,252,253,254.
Bartolomeo Vecchione, Farmacia degli
Incurabili, Napoli.
Particolare delle Scale, sezione sul porticato,
portale sotto il pronao e porticato
(Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli).
può dire che ad essa appartiene, nella seconda metà del
secolo, il progetto della Cappella del SS. Sacramento a
Capua (1776) ubicata accanto al Duomo. I disegni redatti da Giovanni Del Gaizo nel 1776, - come scrive il Robotti30 - allorché era arcivescovo della diocesi Michele
Maria Capece Galeota (dal 1764 al 1777), riguardano il
gruppo di ambienti da realizzare, accanto al presbiterio,
in ricordo del Ruffo. Ma essi non ebbero svolgimento a
causa della “tristizia de’ tempi sopravvenenti che il vasto
sacro legato in opere civili invertendo, le speranze del
Gran Prelato lasciava in sogno”. I grafici del Nostro si riferiscono agli ambienti della nuova sagrestia, dello spo-
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gliatoio dei canonici e del cappellone ovvero la seconda
cappella del Tesoro. Dei numerosi elaborati approntati
sono state ritrovate soltanto cinque rappresentazioni che
comunque restituiscono l’idea complessiva degli ambienti da realizzare: tre di esse riguardano i prospetti-sezione della sagrestia, gli altri due grafici si riferiscono rispettivamente agli interni del nuovo cappellone e dello
spogliatoio dei canonici. Tali disegni autografi - sottolinea
ancora il Robotti - mostrano chiaramente l’idea progettuale rappresentata nei suoi dettagli costruttivi e decorativi. Un progetto elaborato da un attivo professionista nel 1776 Del Gaizo era impegnato soprattutto nei lavori
7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
per la ricostruzione della badia di Cava dei Tirreni31 - che,
carico di esperienze acquisite nella pratica del costruire,
lo portarono ad esprimersi con segni e forme aliene da
preziosismi formali, mettendo altresì in evidenza la sua
condotta progettuale che non lascia se non un trascurabile margine, nella fase esecutiva, alla improvvisazione o
libera interpretazione da parte delle maestranze.
L’attuale basilica di Cava fu eretta nel 1761 per iniziativa
dell’abate D. Giulio De Palma e su disegno del Del Gaizo,
il quale, qualche anno dopo (1772), progettò anche la
facciata sobriamente barocca, in pietra vulcanica di Paternò. Vi fu un tentativo di bloccare i lavori, ma i monaci
seppero blandire Carlo di Borbone sostenendo che “…le
povere parrocchie di Cava avevano chiese migliori che
non ha il monastero tanto ricco di rendite”.
Nel 1778, la nuova chiesa era pronta. Seguendo i criteri
dell’epoca, la vecchia basilica venne abbattuta, ad eccezione della cappella dei SS. Padri (ristrutturata e rivestita
di marmi policromi con mosaici fiorentini), e delle fondamenta che furono rinforzate.
Interessante è annotare che dopo la morte dell’architetto
Astarita (1775), tra i nove ingegneri camerali che rivolsero domanda al re per essere ammessi a godere della
“piazza” di camerale ordinario, figurava pure il Del Gaizo
che entrò nella terna degli ingegneri insieme a Gennaro
Papa e Michele Bonito32.
Ed ancora che più tardi, agli inizi degli anni Ottanta, Giovanni Del Gaizo si ritrovò a far parte, insieme ad Ignazio
Di Nardo e a Gioacchino Magliano, di una terna di architetti proposta dalla Camera della Sommaria per l’edificazione del ponte di Civitate sul Fortore, incarico che il sovrano assegnerà però direttamente al Di Nardo33.
Andrà tenuto conto, nel clima che fissa gli episodi più significativi dell’arte del Nostro, il ruolo determinante delle
sue collaborazioni svolte con altri valenti architetti della
capitale del Regno, personalità di primo piano dominanti
la cultura architettonica napoletana come Carlo Vanvitelli, Gaetano Buonocore, Domenico Antonio Vaccaro, Nicola Tagliacozzi Canale, Gaetano Barba, Giuseppe Pollio,
ecc.
Tra le numerose testimonianze sui rapporti di lavoro intercorsi tra il Del Gaizo e alcuni dei suddetti professionisti, un
cenno a parte merita l’incarico dei Deputati del Banco dei
Poveri, di rivedere “le misure e gli apprezzi” dell’architetto
Del Gaizo, relative ai lavori effettuati dal capomastro Cangiano in alcune case di proprietà dello stesso Banco. A riguardo, nell’Archivio Storico del Banco di Napoli si conservano delle preziose notizie (senza data) in cui troviamo
citati, oltre al Del Gaizo, anche gli architetti Barba e Pollio.
Questi i passi essenziali del documento che ha per titolo
“Ragioni per lo Sacro Monte e Banco dei Poveri contro il
Regio Ingegnere D. Giovanni del Gaiso34”:
“Nella relazione dell’Illustre Marchese Presidente della
Regia Camera D. Lorenzo Paternò Delegato del Sacro
Monte, e Banco dei Poveri ritrovasi in detto Tribunale
profferito decreto, col quale è stato l’Ingegnere D. Giovanni del Gaiso condannato a pagare in beneficio di detto Sacro Monte la somma di ducati 1174 e grana 90, per
tanti dal medesimo Banco pagati di più al Capomastro
Fabricatore Giuseppe Cangiano, per esecuzione di Biglietti firmati dallo stesso Ingegnere del Gaiso: avendo
Fig.255. Bartolomeo Vecchione,
Chiesa della Pietà dei Turchini,
Napoli. Facciata.
però il Tribunale della Regia Camera riferite le ragioni al
detto del Gaiso contro il detto Capomastro Fabricatore,
avverso di un tal decreto il detto Ingegnere ne ha prodotto molti capi di nullità.(…) Il quale (del Gaiso) per far rimanere il suo sentimento in salvo fé comparire il detto
Capomastro con un foglio di opposizioni alla sua relazione, e così dar ad intendere, che la misura da esso lui fatta fusse di danno piuttosto del Fabricatore, che del Sacro Monte, e Banco. Quindi si stimò dal Governo rimettere la cognizione di tale affare al Tavolario Pollio (…).
Ed inoltre: “Incominciate le dette nuove fabriche, allora fu
che il Banco venne in una giusta chiarezza delle frodi usa-
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La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci
7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli
essere soltanto indicativo per un maggiore approfondimento su un episodio che parrebbe lasciare qualche
dubbio sulle capacità professionali del Del Gaizo. Pertanto rimandiamo i molti punti oscuri emersi dalla vicenda ad
altri studiosi che scriveranno più diffusamente altrove, accrescendo così l’interesse biografico su questo architetto, ancora poco noto, la cui opera pure s’intreccia con i
saperi diversi della sfera d’azione vanvitelliana.
Fig. 256. Chiesa di S. Maria
Egiziaca a Pizzofalcone, Napoli
te così dal Fabricatore nella mala qualità delle Fabbriche,
che delli abbagli presi dall’Ing. del Gaiso nell’aver poste
nella sua misura fabriche ideali, e giammai fatte: onde si
stabilì che così l’Ing. del Gaiso, che l’Ing. D. Gaetano Barba rivedute avessero con esattezza le fabriche, le avessero misurate, e date loro il giusto prezzo“.
Sulla stessa vicenda, due precedenti documenti (29 aprile 1765 e 12 marzo 1766) rilevavano:
“Si è conchiuso che il Signor D. Antonio Maria Crisafulli
nostro Collega, assieme all’Ing. Giuseppe Pollio, e coll’Ing. Del Banco D. Giovanni del Gaiso, e D. Gaetano
Barba esaminano coll’intervento del Fabricatore Giuseppe Cangiano le partite dubbie che sono nate nella misura fatta dalli suddetti Ingegneri del Banco per il detto Fabricatore circa la fabrica fatta da esso per servizio delle
Case di nostro Banco”.
“Per la lite che il Banco tiene con il passato Fabricatore
Giuseppe Cangiano per li Furti e le Frodi da esso commesse nelle Fabriche fatte dal nostro Banco, si è conchiuso, che li nostri Magnifici Ingegneri D. Giovanni del
Gaiso, e D. Gaetano Barba accadiscano da D. Antonio
Maria Crisafulli passato Governatore, e Deputato delle
Fabriche, il quale sta pienamente inteso di un tal affare,
poiché in tempo del suo governo fu una tal Frode discoperta, e perciò debba il detto Ingegnere D. Gaetano Barba sollecitamente rivedere le suddette Misure, e Fabriche
fatte”.
L’argomento in realtà meriterebbe un discorso molto più
lungo e una più dettagliata disamina che la limitatezza di
queste pagine non permette di effettuare. Ma esso vuole
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Testimonianze sullʼattività napoletana
di Giuseppe Pollio
Oltre a dominare l’ampio scenario partenopeo con i raggiungimenti architettonici estremamente innovativi della
Reggia di Caserta, Luigi Vanvitelli svolse - come fin qui evidenziato - un’importante opera di coordinatore per le maestranze locali, nonché di educatore per le nuove generazioni di architetti, in un’epoca di transizione verso il nuovo
secolo.In questi anni sono presenti a Napoli moltissimi professionisti nelle cui stimolanti esperienze lavorative, accanto all’impiego di numerosi elementi di matrice barocca, si
registrano indubbi motivi classicisti e neocinquecentisti, a
riprova che l’evoluzione del gusto non è caratterizzata da
bruschi cambiamenti, ma avviene invece gradualmente e
con grande travaglio, e ci si predispone al passaggio al
neoclassicismo che configurerà il volto della città nelle zone d’espansione affiancandosi all’edilizia prima di derivazione vaccariana e sanfeliciana, poi fughiana e vanvitelliana.
Nel periodo che va dalla morte del Vanvitelli (1773) all’affermarsi del neoclassicismo troviamo nella capitale borbonica architetti che ricoprono incarichi di prestigio, soprattutto legati alla committenza reale; in primis Carlo
Vanvitelli, Francesco Collecini, Pompeo Schiantarelli,
Francesco Sicuro, ai quali vanno affiancati altri nomi importanti come quelli già citati di Gennaro Papa, Giovanni
Del Gaizo, Giuseppe Astarita, Gaetano Barba, ed ancora
Ignazio di Nardo, Gianbattista Broggia e Giuseppe Pollio.
Di quest’ultimo accenneremo in particolare a qualche suo
progetto più impegnativo e segnaleremo dei suoi interventi eseguiti insieme all’Astarita. Prima però occorre
considerare che il Pollio si avvicinerà solo momentaneamente al vanvitellianesimo, ma questo suo accostamento gli consentirà comunque di essere incluso nell’entourage del Maestro. L’arte del Pollio ci si presenta come
un’arte che si ispira all’arte stessa, non già per ripetizione
di motivi classicisti già noti, ma per rielaborazione personale di essi, creazione originale che avviene su di un’altra
creazione. Architettura, senza dubbio, meno potentemente creatrice, ma giustificata nel suo orientamento e, in
esso, coerente e continua. Nessuna meraviglia, dunque,
se in Giuseppe Pollio la variazione, il ritorno sui temi rinnovati in vari modi (tra cui quelli di derivazione vanvitelliana), non solo acquista un valore fondamentale, ma anche
un significato assai diverso da quello puramente decorativo che aveva nel primo Settecento: adesso la “variazione” è l’approfondimento, rigenerazione continua del tema. Ma in questa sua variazione, il Pollio non raggiunge
mai la totale adesione al nuovo spirito classicista: è invece nello stringersi dei rapporti con la cultura locale che va
ricercata la vera ragione delle sue scarse risonanze vanvitelliane in molte opere napoletane. Esse rivelano spesso
Fig.257. Luca Vecchione
(partec. ai lavori interni),
Chiesa di S. Marcellino e Festo,
Napoli. Facciata.
fermezza di impostazione e notevole rigorosità stilistica,
ma sembrano più accostarsi ad alcune produzioni del Fuga: pur possedendo una certa vivacità barocca, rimandano a schemi brunelleschiani e vignoleschi, già “filtrati”
però - con l’istanza rigoristica del Borromini - dall’arte del
Vanvitelli.
La posizione del Pollio nella storia dell’architettura napoletana del Settecento sembra essere, dunque, quella di
un intelligente “restauratore” di forme neocinquecentesche pur nelle assunzioni di intensi elementi pittorici desunti dalla tarda cultura barocca. Occorre riconoscere
che l’architetto non ha avuto né grande successo critico,
né numerosi studiosi che si siano occupati della sua produzione; cosicché molte sue opere - dove resta forte la
suggestione vanvitelliana - sono ancora in discussione.
L’argomento meriterebbe un discorso molto più lungo,
ma noi lasciamo ad altri il compito di interpretare ed approfondire gli elementi peculiari riconducibili alla prima
produzione del Nostro per accennare invece ad alcune
testimonianze sulle sue esperienze lavorative, a partire
dal 1754. In quell’anno, insieme all’Astarita, il Pollio eseguì la stima di una masseria sita a Scafati, per conto dei
padri di San Giovanni a Carbonara. Più tardi, nel 1757,
con l’Astarita ed il Tagliacozzi Canale, fu l’autore del progetto del nuovo coro della Chiesa di San Gregorio Armeno.
Tra gli interventi più significativi del Pollio segnaliamo
quelli connessi alla sua nomina (1757) a membro della
commissione di architetti invitati ad esprimere il loro pa-
Fig.258. Luca Vecchione
(partec. ai lavori interni),
Chiesa di S. Maria Egiziaca a
Pizzofalcone, Napoli. Interno.
rere sulle opere a farsi per il ripristino della Chiesa dell’Annunziata in Napoli, danneggiata gravemente da un incendio. Sulle posizioni della commissione, si rimanda a
quanto si è già esposto in questo capitolo sull’Astarita.
Riportiamo, invece, la testimonianza del Vanvitelli tratta
dall’epistolario della Reggia di Caserta:
“Napoli 15 Marzo 1757
Ieri mattina nella Casa della Deputazione della Nunziata
fu tenuto il gran congresso, che qua chiamano giunta,
per la restaurazione della Chiesa incendiata. Intervennero, oltre i Deputati, gli Architetti e furono Costantino Manni, Architetto del loco, Canale, Bibbiena, Pollio, Cioffrè,
Astarita, Fuga ed io, che fui posto al primo loco, cioè alla destra del Duca di Marsico Lagnì et alla sinistra il Fuga.
Durò una ora e 3; riepilogando io come l’ultimo quello
che avevano detto tutti, in poche parole restrinsi il mio
parere che fu di farvi la volta sopra, previe le mura di speroni da doversi adattare per rinforzo, che la Chiesa benché di cattiva simetria, non ostante senza venire alla
demolizione di nessuna parte, si puoteva manierare a cosa ragionevole, e che li depositi, statue, statuette, calcinate e distrutte dal fuoco, o tutte o in parte, sarebbe stata cosa molto dispendiosa ed inutile ristorare, tanto più
che coteste cose sono mobili di Chiesa che si vanno facendo dai particolari o benefattori nel lasso del tempo;
quali cose non formano la Chiesa, e perciò alla sola Chiesa si dovea pensare, mentre con memorie ed iscrizioni si
puoteva compensare nella rinovazione della medema, e
ciò sarebbe stato coerente alla mente di Sua Maestà, che
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