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La Scuola del Vanvitelli
Salvatore Costanzo La Scuola del Vanvitelli Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci Copyright © 2006 CLEAN via Diodato Lioy 19 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it [email protected] Tutti i diritti riservati E vietata ogni riproduzione ISBN 88-8497-014-8 ISBN 978-88-8497-014-5 Editing Anna Maria Cafiero Cosenza Grafica Costanzo Marciano Con il patrocinio: Ministero per i Beni e le Attività Culturali Ordine degli Architetti e P.P.C. della Provincia di Caserta Regione Campania Provincia di Caserta Comune di Napoli Comune di Caserta Ringraziamenti a: Rosalia Bigliardi, Biblioteca Archivio Storico, Jesi Gian Paolo Spinelli, Biblioteca Comunale, Caserta Maria Grazia Forcina, Biblioteca Comunale, Genzano di Roma Renzo Pepi, Biblioteca Comunale Intronati, Siena Francesco Delli Paoli, Biblioteca Comunale, Marcianise Maria Grazia Alberin, Biblioteca e Musei Oliveriani, Pesaro Paola Errani, Biblioteca Malatestiana, Cesena Alessandra Sfrappini e Anna Pieroni, Biblioteca Mozzi- Borgetti, Macerata Luigi De Cicco, Biblioteca Nazionale, Cosenza Michele Santoro, Biblioteca Soprintendenza BAPPSAD, Caserta Federico Marcucci, Biblioteca Universitaria Centrale, Urbino Daniela Branciani, Biblioteca Valentiniana, Camerino Antonio Luccarini, Comune di Ancona Luigia Nitrici, Comune di Bettona Brigida Mantini, Comune di Bracciano Luigi Falco, Comune di Caserta Giordano Conti, Comune di Cesena Rocco Rubino e Nilla Lagrutta, Comune di Moliterno Valeria Graziosi, Comune di Monte San Vito Rosa Russo Iervolino, Comune di Napoli Loredana Costanza, Comune di Potenza Franco Tellarico, Comune di S. Fili Riccardo Ventre, Provincia di Caserta Teresa Armato, Regione Campania Pia Parodi, Ministero per i Beni e le Attività Culturali Domenico De Cristofaro, Ordine degli Architetti e P.P.C. della Provincia di Caserta Danila Jacazzi, II Università degli Studi di Napoli Giovanna Petrenga, Soprintendenza BAPPSAD di Caserta e Benevento Laura Alfani, Marika Costanzo, Domenico D’Amico, Giuseppe D’Anna, Albino D’Ascoli, Elisabetta D’Errico, Emilio Di Maio, Michele Dipace, Enrico Gionti, Vincenzo Martone, Rossella Minadeo, Umberto Panarella, Piero Rossano, Giuseppe Piccioni, Raffaella Salzillo, Pasquale Salzillo, Maria Sassi. Ringrazio il mio amico Donato Farro per il suo contributo all’esito dell’impresa e per la sua cortese disponibilità mostrata. Un pensiero di riconoscenza vada a quanti, Storici e Critici dell’arte, Docenti ed Architetti, hanno espresso parole di elogio per i miei precedenti volumi, e mi auguro che questa ultima fatica desti l’interesse che mi sono proposto e riscuota un’affettuosa accoglienza. in copertina Al centro: Luigi Vanvitelli (ritratto di G. Diano, Palazzo Reale di Caserta). A partire dal basso a sinistra: Paolo Soratini, Antonio Rinaldi, Andrea Vici, Giuseppe Lucatelli, Francesco Sabatini, Marcello Fonton, Giuseppe Piermarini, Simone Cantoni, Gaetano Barba, Giovanni Patturelli. in retrocopertina Inedito vanvitelliano. Disegno per una chiesa, sezione longitudinale. (archivio eredi De Peruta, v. scheda Appendice 1) 4 Indice 7 Indirizzi di saluto 8 Prefazione Danila Jacazzi 11 Quadro indroduttivo 17 1. La schiera dei protagonisti marchigiani vanvitelliani della prima generazione nelle Marche: Francesco e Arcangelo Vici, Pier Francesco Palmucci, Girolamo Mezzalancia La posizione di Giovan Battista Bartoli e Gianfrancesco Buonamici nei confronti del Vanvitelli - Derivazioni vanvitelliane nell’attività matura di Paolo Soratini - Le orme del Vanvitelli in Carlo Orazio Leopardi e Francesco Matelicani - L’opera anconetana di Carlo Marchionni riconducibile all’attività del Vanvitelli - Le vicende sull’incarico del porto di Ancona e la sistemazione della zona circostante - Cenni sulla produzione di Filippo Marchionni - Un vanvitelliano della “prima ora”: Francesco Maria Ciaraffoni - Gli interventi maturi del Ciaraffoni - La collaborazione di Antonio Rinaldi, discepolo diretto del Vanvitelli - La produzione marchigiana di Lorenzo Daretti e Virginio Bracci - Giovanni Andrea Lazzarini e Tommaso Bicciagli, imitatori locali del Vanvitelli - Andrea Vici: un erede dell’arte del Maestro - Le opere del periodo tardo di Andrea - Ulteriori presenze di maestranze vanvitelliane nelle Marche: Giuseppe Tranquilli e Mattia Capponi - La ricerca di Giuseppe Lucatelli: l'influenza dei modelli del Vanvitelli nelle architetture teatrali e religiose. I 65 2. Collaboratori e discepoli della stagione romana I rapporti professionali tra Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli - I progetti per la fontana di Trevi, la facciata di San Giovanni in Laterano e la cappella di S. Rocco - Cenni sull’influenza vanvitelliana nell’opera tarda del Salvi - Gaetano Sintes: dal concorso clementino del 1750 alla sua breve collaborazione col Vanvitelli- Introduzione alla figura di Carlo Murena, discepolo prediletto del Maestro - Gli interventi del Murena per il nuovo convento di Sant’Agostino in Roma: problemi di attribuzione - I lavori per una casa dei Certosini - Le difficili collaborazioni romane di Carlo Marchionni col Vanvitelli - Maestranze vanvitelliane minori: l’attività del lapicida Domenico Giovannini - Le clamorose dispute tra il Giovannini e il Vanvitelli - Il percorso formativo e l’opera matura di Virginio Bracci - Gli interventi di Antonio Rinaldi nelle architetture del Maestro - Intorno alla stagione romana di Andrea Vici - I rapporti di lavoro di Ermenegildo Sintes col Maestro e la sistemazione di alcune fabbriche conventuali - Sintes e Vanvitelli: i principali progetti idrici - La sfortunata collaborazione del Sintes nella vertenza dell’Acqua Felice. 105 3. Gli aiutanti dello scenario casertano La vasta attività di Pietro Bernasconi, capomastro della Reggia di Caserta - L’operosità degli anni Sessanta - Le collaborazioni di Francesco Sabatini e Marcello Fonton - I difficili rapporti tra il Giovannini e il Vanvitelli attraverso gli scritti del Maestro Testimonianze su Filippo Retrosi, successore del Giovannini a Caserta - L’allievo più dotato del Vanvitelli: Francesco Collecini Giovan Battista Vaccarini e Giuseppe Piermarini all’epoca dell’edificazione della Reggia - Notizie sull’attività formativa di Carlo Vanvitelli, primogenito di Luigi - La sua prima collaborazione nell’immenso cantiere casertano - Martino Biancourt, capo giardiniere del parco - Un “eccellentissimo nel suo mestiere”: Antonio Rosz, carpentiere ed ebanista - Carlo, Giovanbattista e Crispino Patturelli: ulteriori collaborazioni vanvitelliane nell’area casertana - Alcune maestranze minori: Domenico Brunelli, Giovan Battista Fontana e Leonardo Pinto - Ragguagli sulla formazione di Pietro Vanvitelli - Riferimenti epistolari sulla vita di Francesco Vanvitelli. 161 4. Personalità artistiche nell’area centro-settentrionale d’Italia Carlo Murena, maggiore portatore dell’arte del Vanvitelli in Umbria - Le collaborazioni del Murena ai lavori nelle Marche - Gli scritti del Vanvitelli sul periodo marchigiano del suo discepolo - Accostamenti stilistici di Alfonso Torreggiani ai modi del Vanvitelli - Giovan Pietro Cremoni e le architetture senesi: legami con l’arte del Maestro - L’attività del Soratini nell’area romagnola e lombarda Attestazioni di maestranze vanvitelliane nei cantieri anconetani, maceratesi e perugini: Pietro Bernasconi e Antonio Stefanucci - La produzione cesenate di Pietro Carlo Borboni e Giuseppe Antonio Landi - La partecipazione di Agostino Azzolini alla riedificazione di edifici religiosi romagnoli e suoi ulteriori interventi - Altre personalità artistiche interessate al Vanvitelli tra le Marche e la Romagna: Cosimo Morelli e Camillo Morigia - Giuseppe Pistocchi, un maestro “rivoluzionario” seguace del Vanvitelli - Cenni sul soggiorno pesarese del Pistocchi - Il linguaggio architettonico del Piermarini: influenza della tradizione romana - Caratteri stilistici della sua produzione a Milano - La collaborazione con Leopold Pollack - Ulteriori ragguagli sul volto vanvitelliano delle opere del Piermarini - Simone Cantoni a Roma nell’entourage del Vanvitelli - Gli interventi del periodo lombardo. 205 5. Artefici ed epigoni nel meridione d’Italia fuori della capitale borbonica Giovan Battista Vaccarini e la produzione monumentale in Sicilia: richiami all’arte del Vanvitelli - L’attività isolana di Stefano Ittar e Venanzio Marvuglia, influsso della lezione vanvitelliana - Due seguaci del Maestro nelle “terre di Calabria”: Saverio Ricciulli e Pompeo Schiantarelli - Gli interventi di Ermenegildo Sintes nell’area catanzarese: la nuova urbanistica di Tropea - L’operosità del Sintes a Nicotera - Ignazio De Juliis e Antonio Magri, minori vanvitelliani: il loro apporto nell’edilizia sacra in Basilicata - Il disegno del Magri per l‘incisione della nuova pianta di Filadelfia - Testimonianze vanvitelliane nelle vicende professionali di Giuseppe Pollio: i lavori delle Saline di Barletta - Vincenzo Ruffo, seguace del Vanvitelli: ragguagli sul suo ruolo di trattatista e sull’attività edilizia nelle Murge - Influssi vanvitelliani nell’opera pugliese di Giuseppe Astarita - Il coinvolgimento di Francesco Bernasconi nelle vicende costruttive del ponte sul Calore - L’intervento di Francesco Sabatini per la fabbrica d’armi a Torre Annunziata - Rielaborazione di forme e modelli del Vanvitelli nei progetti di Gaetano Barba: l’opera nelle province campane. 241 6. Gli echi del Maestro in Europa: pluralità di indirizzi di allievi in Spagna, Belgio e Russia Cenni sugli altri maestri europei coevi al Vanvitelli - L’architettura in Spagna tra barocco e nuova ispirazione classica - Sui primi allievi del Vanvitelli alla corte di Spagna: Marcello Fonton e la riproduzione dei disegni per il palazzo di Madrid - L’attività del Fonton 5 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci per il complesso conventuale di Aranjuez - L’affermazione professionale di Francesco Sabatini, "principale architetto" del Re Dall’epistolario vanvitelliano: gli scritti degli anni Sessanta sul Sabatini - L’intervento di “Francisco” per lo scalone reale di Madrid, la cappella di palazzo ad Aranjuez e l’ospedale generale di Atocha - Testimonianze su Giovanbattista Patturelli, Pietro e Francesco Vanvitelli in “terra spagnola” - Appunti su alcuni aiutanti italiani del Sabatini: Antonio Valzania, Battista Pastorelli, Antonio di Carlo di Borbone e Giovanni Bola - Risonanze vanvitelliane in Belgio: l’opera di Laurent Benoit Dewez - Cenni sull’architettura in Russia all’epoca del Vanvitelli: diffusione di forme diverse tra gli imperi di Elisabetta e Caterina II - L'esordio ufficiale di Antonio Rinaldi: la sua prima stagione artistica in Russia - Il rapporto con l’arte del Vanvitelli nel decennio Sessanta - Sulla corrispondenza epistolare dei due Maestri, ragguagli - Approfondimenti sui caratteri stilistici delle opere del Rinaldi - Considerazioni conclusive sulla sua produzione maggiore. 279 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli La sfera d’azione di autori minori non estranei ai richiami del Vanvitelli: Nicola Tagliacozzi Canale e Bartolomeo Vecchione - Intorno all’opera di Luca Vecchione e Gennaro Papa: punti di contatto con l’esperienza professionale del Maestro - Nuove linee di ricerche nel percorso artistico di Giovanni Del Gaizo: l’esiguo influsso dei modi vanvitelliani - Testimonianze sull’attività napoletana di Giuseppe Pollio - L’opera di Giuseppe Astarita alla luce dell’arte del Maestro - La sua produzione nel periodo centrale del secolo L’attività matura dell’Astarita - Gli interventi di Gaetano Barba: l’adozione di motivi vanvitelliani - La collaborazione di Carlo Galli da Bibiena col Vanvitelli - Carlo Vanvitelli e il padre Luigi: le principali opere napoletane - I raggiungimenti architettonici di Carlo dopo la morte del padre - Suoi ulteriori interventi maturi - Ragguagli sul linguaggio progettuale di Pompeo Schiantarelli - Varietà di forme costruttive nelle architetture di Ignazio Di Nardo e Giovanbattista Broggia - Il raggio d'influenza vanvitelliano di Francesco Sicuro nella produzione di fine secolo - I concepimenti urbanistici del Vanvitelli in Vincenzo Ruffo: il piano per la città di Napoli - La moderntà dei suoi interventi - Appunti e considerazioni sull’ingegnere Gioacchino Avellino. 347 8. I continuatori dell’opera del Maestro: l’eredità casertana L’opera di Carlo Vanvitelli per il completamento della “Real Fabbrica” di Caserta: dalla conclusione dell’esperienza tardobarocca al rinnovamento neoclassico - L’attività matura di Francesco Collecini, epigono del Vanvitelli: il grande laboratorio scenico casertano La rielaborazione del Collecini del progetto vanvitelliano di Carditello - Introduzione all’intervento urbano di San Leucio - Il ruolo della città leuciana negli intenti del Collecini - Sugli incarichi minori di Francesco: i lavori per il monastero dell’Annunziata di Capua - L’affermazione artistica di Antonio De Simone: l’apparato decorativo della Reggia tra tradizione e innovazione - Giovanni Patturelli, ultimo erede della grande lezione vanvitelliana a Caserta - Il significato della continuità classica nel progetto della cattedrale di Caserta - Conoscenza dell’opera matura di Giovanni attraverso gli interventi per la Real Casa. 382 Considerazioni finali 385 Appendici 401 Apparati Riferimenti bibliografici Indice delle illustrazioni Indice dei nomi Indice dei luoghi Fonti iconografiche i All’autore di questo libro, Salvatore Costanzo, mi legano un’amicizia ed una stima datate. Ho sempre avuto ammirazione per i suoi lavori, per la passione profusa negli studi, per l’impegno che traspare in ogni singola nota. Posso dire quindi che l’ostinazione mostrata nella ricerca di elementi e sfumature alla base di quest’ultima pubblicazione mi colpisce ma non mi sorprende. Questo volume dedicato alla Scuola vanvitelliana è figlio di quattro anni di approfondimenti. Un periodo di tempo lungo, ma evidentemente necessario per la maturazione di una ricerca che offre oggi rinnovati spunti per lo studio dell’architettura di un’epoca che ha lasciato intatte tante testimonianze anche in Terra di Lavoro. Di Luigi Vanvitelli si conosce tutto o quasi. Molto meno, forse, di tanti discepoli formatisi alla sua Scuola e che hanno sviluppato, negli anni e nelle realtà più disparate d’Italia, quelle linee, forme e soluzioni che hanno fatto del primo uno degli architetti più ammirati, invidiati ed imitati. Il libro di Costanzo non si limita solo ad una raccolta di lavori e testimonianze della Scuola vanvitelliana, ma va oltre. Dove per oltre s’intende l’analisi delle relazioni fra modelli e scuole che, attraverso le opere degli allievi del Vanvitelli, hanno enormemente influenzato le esperienze progettuali dell’epoca. Per ammissione dello stesso autore, altri aspetti e risvolti della Scuola vanvitelliana e dei suoi più validi esponenti restano ancora da indagare. E fuor di dubbio, però, che il volume di Costanzo si offre come una più che fedele rappresentazione dell’eredità culturale lasciata dalla Scuola, costituendo un prezioso contributo scientifico allo studio e al dibattito sullo straordinario fascino che il modello vanvitelliano ha esercitato sull’architettura dell’epoca. Ed è certo, infine, che il libro rappresenta anche un significativo apporto alla funzione di riscoperta e valorizzazione del Vanvitelli minore, ovvero di tutte quelle opere che il grande architetto ha ispirato e ci ha lasciato oltre la Reggia di Caserta. Sandro De Franciscis Presidente della Provincia di Caserta Nel disegno acquerellato di Giovan Battista Lusieri (XVIII-XIX sec.), pittore paesaggista erede della grande tradizione italiana, la Reggia di Caserta si erge superba nella pianura alberata non trovando altro confronto che la mole del Vesuvio che fa da sfondo. Viene così esemplificato degnamente il ruolo di grande protagonista che il prestigioso manufatto vanvitelliano assume nel nostro territorio, segnandone profondamente la storia culturale, sociale ed economica. In questo senso trova giusta collocazione l’impegno profuso dall’architetto Salvatore Costanzo nel ricostruire, attraverso questa sapiente e documentata ricerca sui collaboratori di Luigi Vanvitelli, le complesse vicende professionali e personali che si sono susseguite per decenni intorno all’immane cantiere. La costruzione della Reggia costituì, all’epoca, l’occasione per lo sviluppo di un’area a prevalente destinazione agricola e per la nascita di un’intensa attività culturale che trovava il suo punto di riferimento nella figura del progettista, l’architetto romano voluto da Carlo di Borbone che, trasferendosi a Caserta, aveva portato con sé i suoi fidati collaboratori che, successivamente, si stabilirono nella città. Questo vale per il figlio stesso di Luigi Vanvitelli, Carlo, come per Francesco Collecini, i Patturelli, i Brunelli la cui esperienza si trasferì di generazione in generazione, costituendo quel patrimonio di “sapere” e di “saper fare” che ha permesso, prima la costruzione del “Palazzo Reale”, poi la sua conservazione fino ad oggi. Giovanna Petrenga Soprintendente B.A.P.P.S.A.E. di Caserta e Benevento 6 7 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci Vanvitelli e, pur dimostrando nella fase matura un’indubbia sensibilità verso i modi del sommo Maestro, occupa un posto completamente a parte nella schiera dei seguaci della sua arte. Si ignora se la sua formazione sia avvenuta solo a Napoli, e con quali maestri. Bartolomeo Vecchione trovò spazio nel quadro artistico partenopeo del tardo periodo barocco per la sua spiccata invididualità (in questo ricorda un poco il Vaccaro, la cui opera certo dovette tenere in considerazione). Ma sono soprattutto gli influssi del Sanfelice genialmente commisti con i fermenti e le decorazioni dell’architettura del Vanvitelli a conferire al suo stile forme e movenze originali. Estroso e intuitivo, Bartolomeo sembra avere il dono tutto personale di una vivace freschezza, senza ripensamenti, e la sua invenzione si materializza con immediatezza perché, non limitandosi a disegnare, egli cura di persona gli ornamenti delle sue fabbriche: così anche decorazione e plastica si fondono con l’architettura in unicità creativa e coerenza formale. Le prime notizie certe lo danno attivo a Napoli negli anni ’60 come perito. Sicuri contatti professionali con Luigi Vanvitelli, l’ingegnere Vecchione l’ebbe nel 1766 in occasione della redazione di un progetto finalizzato ad ovviare agli inconvenienti prodotti dalla “lava dei Vergini”; per tale iniziativa la città di Napoli chiese l’intervento di alcuni tra i più qualificati architetti del tempo. Re Carlo di Borbone aveva dato avvio, con la costruzione dell’Albergo dei Poveri, ad un’ampia operazione - di urbanistica ed edilizia insieme - tendente a dare vita ad una nuova importante arteria viaria di immissione nella città. Tale idea sarà poi sviluppata sistematicamente dai suoi successori; ma occorrerà oltre un secolo perché tutta la strada, dall’Ospizio al Museo, venga conclusa e sistemata effettivamente. Tra i tecnici che ebbero a collaborare a tale iniziativa borbonica, troviamo “in primis” il Vanvitelli. Ciò risulta da due importanti documenti, conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, costituiti da due relazioni autografe, dirette ai deputati del Tribunale della Fortificazione, Mattonata ed Acqua della città di Napoli. La prima è del 9 agosto 1766, e ci informa che in quel tempo il tratto “dopo la porta S. Gennaro fin al borgo di S. Antonio, deturpava viene da un fosso rustico, esistente nel mezzo della via, che raccoglie le copiose acque della lava”17. L’accesso alla città era assai disagevole e si svolgeva, per ampi tratti, attraverso un alveo-strada. Dunque gli amministratori della città decisero, nel 1766, di eliminare tale inconveniente, provvedendo ad una radicale sistemazione fognaria e viaria, che fu progettata e realizzata dal Vanvitelli. Per la verità quest’ultimo fu chiamato, in un primo momento, soltanto per indicare, ai Deputati del Tribunale di Fortificazione, Mattonata ed Acqua, il progetto migliore fra quelli che già erano stati presentati. Poi, come in tante altre occasioni, finì per suggerire una sua ulteriore soluzione, che venne senz’altro accolta. Infatti, egli riferisce dapprima, di quattro progetti che erano stati elaborati da tecnici napoletani. In questo contesto, Bartolomeo Vecchione, uno degli architetti interessati al progetto, approntò anche “un modelletto in legno”, per presentare la sua proposta che prevedeva anch’essa la costruzione di una fogna, ma per condurre l’acqua proveniente dai Vergini “fin alla muraglia 280 della fossa di città ove medita costruire un canale di fabbrica” che sfrutta le mura urbane per formare uno dei piedritti. Al termine del tratto di mutazione, il Vecchione riporta l’acqua sul basolato stradale; infine, prevede la costruzione di un ponte a due archi. Ma il Vanvitelli osservò che un progetto simile a quello del Vecchione era stato presentato, il 2 dicembre 1765 (cioè sei mesi prima) da Luca Arinello, e scrisse: “quale dei due nominati sia l’Autore del suddetto Progetto: lasciane ad altri la decisione”18. Numerose le testimonianze che documentano la collaborazione di Bartolomeo Vecchione con altri valenti architetti appartenenti alla “seconda generazione” dei vanvitelliani. Tra queste ci piace riportare quella relativa alla sua assistenza per i lavori nella vicina Chiesa dell’Annunziata di Giugliano. “L’anno 1750…si fece il disegno dell’icona, altare, e balaustre dal Regio Ingegnere D. Giuseppe Astarita, e con istrumento rogato per mano di Notaio Andrea Ciccarelli, si convenne con Antonio di Lucca mastro marmoraro Napoletano, far l’icona, altare, e balaustri a tenore di quel disegno per ducati 2875, ma coli assistenza dell’altro Regio Ingegnere D. Bartolomeo Vecchioni. Principiata l’opera, pensarono nel 1752, aggiungere a questo altare quelle quattro colonne, che vi si veggono, in luogo di quattro pilastri, ch’erano nel disegno. Onde lo Scrivano della Delegazione fece un atto pubblico, che queste colonne dovessero essere pagate oltre al convenuto. Ma perché questa mutazione ne portò seco dell’altre di considerazione, s’uscì anche dal disegno, e per conseguenza dall’obbligo. Terminata l’opera, l’Ingegnere Astarita non solo apprezzò le quattro colonne, ma l’intero altare ducati 5819 grana 19, ed avendone la Chiesa pagati ducati 4255 grana 70, lasciava debitrice in ducati 1564 grana 70. Morto il Delegato Castagnola, venne appresso Lorenzo Paternò, e colla sua solita esattezza dimandò conto di questa partita, asserendo col parere ancora dell’altro Ingegnere Vecchioni, aver la Chiesa pagato più di quello, che doveva a tenore dell’obbligo…. Dopo un lungo litigio si venne ad una pacifica transazione”19. Anche l’attività di perito esperto appare notevole nell’opera del Vecchione. Nel 1767, ancora nella provincia napoletana, l’architetto periziò la conclusione della costruzione dell’altare maggiore della Chiesa della SS. Annunziata e di Santa Maria della Purità a Giugliano, progettato e diretto a partire dal 1750 da Giuseppe Astarita, sotto la direzione di Gaetano Barba, che dal 1763 era stato nominato architetto ordinario di quella fabbrica. Poco più tardi (1769), il Vecchione, insieme a Carlo Zoccoli e Gaetano Barba, presentò una relazione sulle cause del dissesto e sul possibile intervento di restauro per il fronte principale del Palazzo del Banco in Napoli e dell’Oratorio. Andrà tenuto conto che a partire dal 1771 Bartolomeo Vecchione compare come revisore dei conti (insieme a Felice Bottiglieri), in numerosi pagamenti relativi alla costruzione del presbiterio della Chiesa dell’Arciconfraternita dei Pellegrini di Napoli, firmati dall’Astarita, confratello, come direttore dei lavori20. Sull’operosità fuori dalla sua veste di consulente tecnico, occorre riconoscere che essa, anche se non molto intensa, si svolse attraverso interventi mirati in alcune fabbriche religiose, la cui opera, 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli Fig.235. Nicola Tagliacozzi Canale e Bartolomeo de Grado, Incisione, “Pianta della Cuccagna erettasi avanti il Real palazzo il di/16 Maggio 1734: per festeggiare il felicissimo ingresso del nostro/ Re D. Carlo Borbone, che Dio guardi in questa Fedelissima/ Citta di Napoli. Nicol.ns Tagliacozzi Canale Inv. Et del. Bartolomeo de Grado Scu.”. per ardimento e genialità decorativa, rimane una delle espressioni più alte della cultura architettonica in Napoli. Il Nostro raggiunse la sua maturità artistica fra il 1746 e il 1754, non sappiamo se in condizioni di particolari difficoltà: se pur non poteva stare, per tecnica e disegnato, alla pari con l’arte innovatrice dei grandi (Luigi Vanvitelli, in primis), e di quella di molti artefici vanvitelliani (Carlo Vanvitelli, Ermenegildo Sintes, Pompeo Schiantarelli, ecc.) pure lavorò con coscienza. Di Bartolomeo Vecchione è degno di essere ricordato il suo intervento per la facciata della fabbrica di S. Maria a Cappella o delle Crocelle (di datazione ancora incerta), e il rifacimento della Chiesa dell’Immacolata e San Vincenzo, i cui lavori terminarono nel 1758; qui lo stesso Vecchione fu l’autore della lunga cortina di case-botteghe lungo il lato sinistro della strada (via S. Vincenzo). In questo periodo troviamo ancora l’architetto intento ai lavori di ristrutturazione, tra il 1747 e 1751, della Farmacia o Spezieria degli Incurabili, grazie ad un lascito di Antonio Maggiocco. L’importante fabbrica faceva parte del complesso dell’Ospedale di S. Maria del Popolo fondato nel 1521 dalla nobildonna Maria Longo e chiamata “Incurabili” perché destinata a coloro che non potevano permettersi le cure; l’opera è l’unica che si conserva intatta a Napoli. Dall’Archivio Storico del Banco di Napoli (Banco di S. Giacomo, Giornale di Cassa, Matr. 1064, 6 giugno 1747, p.79) apprendiamo che: “A Donna Eleonora Agnesa Pappacoda e Gennaro Minutolo D. 15 a conto del Legato del quondam Don Antonio Maggiocco per spendersi nella nuova Fabbrica dell’ospedale degli Incurabili e detti ducati 15 vanno a Crescenzo Trinchese Maestro Marmoraro per le Figure di basso rilievo di marmo ha fatto fare nell’Ovato sopra la Nuova Porta di marmo dell’Ospedale suddetto giusta il convenuto come dal biglietto del loro Ing.re Bartolomeo Vecchione…” Ed ancora, dallo stesso Banco di S. Giacomo (Giornale di Cassa, Matr. 1065, 9 giugno 1747, p.107): “Alli Gov.ri del- la Casa Santa degli Incurabili, D. 30 a Crescenzo Trinchese a compimento di 680 ed in conto di 700, convenuto prezzo della Porta di marmo sta facendo per la Porta maggiore dello Ospedale degli Uomini di detta Casa, giusta il Biglietto del loro Magnifico Ingegnere con ordine in filza…” E interessante annotare che sullo stato dell’Ospedale degli Incurabili, Luigi Vanvitelli aveva in precedenza stilato una relazione; per esso l’architetto prevedeva un ampliamento, soffermandosi anche sulle norme igieniche21. La facciata della Farmacia storica sulla corte monumentale, preceduta da un pronao, respira estendendosi in avanti per mezzo di due rampe di scale ovali che tendono a convergere al centro, ornate di capriccioso disegno sul parapetto. La proporzione tra le forti membrature del pronao crea un’euritmia solidamente ritmata dai pilastri e dagli archi, dal gioco vibrante delle masse e dagli spazi, nel movimento dato dall’effetto di traforo del parapetto delle scale: il tutto porta a un insieme che è ad un tempo solenne e prezioso. Effetti di traforo come questo si ricollegano certamente all’architettura gotica, che, del resto, a Napoli ha un’antica tradizione, e mostrano come il gusto barocco, nel suo fondo culturale, accolga ampiamente motivi nel tempo riuscendo tuttavia ad armonizzarli compiutamente nello spirito dell’epoca. Raffinati ed eleganti i disegni di Bartolomeo Vecchione per i quattro portali barocchi del porticato, quest’ultimo concluso da solide voltine a crociera: il vibrar delle decorazioni nel loro estenderi, accompagnate da ritmi di linee ondulate (stucchi e cartocci), che oltre a permettere le arditezze di movimento e di modellatura, ci danno tutta la spiritualità nervosa e raffinata di un artista che vive la sua opera in profondità e in superficie, senza lasciare zone neutre. L’insieme è di una solida massa, molta articolata e di grande vigore plastico soprattutto nelle parti interne. Roberto Pane, sulla Spezieria della Casa Santa degli Incurabili ebbe a scrivere che è tra le “testimonianze più 281 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci Fig.236. Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, Napoli. Particolare della facciata. sontuose ed esplicative dei grandi valori - artistici e civili insieme - di tutto il Settecento napoletano”. Ed ancora che: “L’ambiente delle due più importanti fabbriche che si affacciano sul cortile degli Incurabili, l’ospedale e la farmacia, può dirsi quasi intatto. Con i due curvi rampanti che conducono al portico, la farmacia si presenta allo stesso modo in una delle contemporanee ville barocche della costa vesuviana. L’arredo interno è da ricordare, insieme con la biblioteca dei Girolamini, come uno dei più unitari del Settecento napoletano”22. Dopo i lavori eseguiti da Bartolome nella Spezieria, il cui disegno per massima parte, è sicuramente dovuto al suo talento, la Sala maggiore della fabbrica ci appare di grande unità stilistica e cromatica, rivestita da eleganti stigli; il pavimento maiolicato è in parte di Giuseppe Massa. Il singolare edificio ospita una breve scala a doppia rampa che conduce ad un atrio dal quale si accede ai due ambienti della farmacia (Sala Grande e la Sala Laboratorio). L’opera è di alto interesse per se stessa ed anche per la mancanza di architetture settecentesche di questo genere a Napoli. Altri saggi delle sue capacità d’innovazione Bartolomeo Vecchione dava, sempre in questi anni, nel genere del disegno per la transenna di piperno (1751) che in via S. Chiara, superato l’omonimo campanile, fronteggia il goti- 282 co portale laterale del recinto conventuale e precede l’atrio di S. Francesco delle Monache. Alla creatività dell’architetto napoletano appartiene pure il progetto per il rifacimento della facciata della Chiesa della Pietà dei Turchini (ornata di stucchi rococò, rifatta tra il 1769-70), ed il disegno per il rifacimento della facciata della Chiesa delle Crocelle al Chiatamone, i cui lavori sono da ascrivere alla seconda metà del secolo. Altre sue opere mature documentate, sono frutto di una attiva e sempre più determinante collaborazione col fratello Luca. Non c’è dubbio che l’arte di Bartolomeo Vecchione va osservata in due momenti: dapprima per comprenderla nel suo valore stilistico e architettonico (che mantiene chiari ritmi barocchi, con un elegante decorativismo), poi per affermarla nel suo significato culturale, senza giungere mai, tuttavia, a una perfetta sintesi. E, in realtà, vi è qui un’abbondanza di elementi che superano il motivo unitario che li raccoglie - quel senso di fastosa monumentalità che subito appare, - ed esigono di essere considerati a sé. Questa monumentalità si afferma subito: è nel volume delle parti che creano da sole lo spazio, nell’imponente preziosità dei decori, nella raffinata e pur solenne concezione scenografica. Il suo stile, in generale, si caratterizza in concitati ritmi di un vibrante linearismo, espressione di un movimento spesso reso dal susseguirsi di nitidi motivi curvilinei; quello stesso movimento che nel plasticismo di molti seguaci del Vanvitelli era suscitato dal concatenarsi delle stesse masse murarie, di chiara ispirazione berniniana e da un arioso chiaroscuro di impronta rinascimentale, concepito su effetti prospettici. Considerevole fu l’influenza esercitata da Bartolomeo Vecchione sul gusto dei contemporanei, anche attraverso una numerosa scuola di maestranze minori, e il suo ascendente si spense solo col consolidarsi del gusto neoclassico. Intorno allʼopera di Luca Vecchione e Gennaro Papa: punti di contatto con lʼesperienza professionale del Vanvitelli Una riflessione da fare sulla cerchia dei vanvitelliani a Napoli riguarda la diversità del tipo di influenza esercitata dall’architettura del Maestro Vanvitelli che, se nei casi più importanti fu diretta, e segnatamente, oltre naturalmente che per gli allievi ed i collaboratori; in altri casi fu riflessa, cioè fu diffusa da alcuni “portatori” che già avevano assimilato l’esperienza ad altri che meno dimostravano di averla subita. Ciò avvenne, per fare qualche esempio, per molti artisti, così come per tantissimi autori meno affermati, che risentirono particolarmente dell’elaborazione dei modi del Vanvitelli effettuata dal “filone romano” della sua Scuola. Premessa questa considerazione di carattere generale, andrebbe poi affrontato un altro problema fondamentale che, anche in ambito napoletano, contribuisce a creare non poca confusione: quello della definizione dell’influenza esercitata da una nuova architettura classicistica. Andrebbe cioè chiarito con maggior precisione quando l’influenza provenga nettamente dall’imitazione dei modi vanvitelliani e dalla loro elaborazione operata dai seguaci sia napoletani sia di altre aree, e quando invece non sia piuttosto originata dalla diffusione di un “manierismo” di 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli Fig.237. Nicola Tagliacozzi Canale e Pompeo Schiantarelli (collab. con Luigi Vanvitelli), Lavori di decorazione del Foro Carolino, Napoli. altre estrazioni, o dall’intervento alla fine del secolo del neoclassicismo. Perché appare chiaramente come non sia accettabile un’estensione semplificatrice a questi ambiti. Sono diversi gli stessi ambiti, diversi i gusti, diverse le culture che, a ben guardare, a Napoli stanno alla base del rinnovamento in senso moderno sia dell’architettura, sia dell’urbanistica dei numerosi partecipanti alle opere del Maestro. Tra questi, notevole interesse riveste la figura dell’ingegnere tavolario Luca Vecchione (?-m.dopo 1775); fratello maggiore di Bartolomeo, egli fu stretto collaboratore di Luigi Vanvitelli, di cui accolse non trascurabili influssi. Diversi suoi lavori di edilizia religiosa e civile che non si staccano dal clima progettuale del barocco napoletano presentano pure punti di contatto e interesse con le architetture del Vaccaro e soprattutto con quelli del Sanfelice e con altri artisti meno noti. Detto questo, dobbiamo ammettere che in gran parte il segreto della personalità di Luca Vecchione ci sfugge. I suoi progetti densi di idee che sondano nella fase matura e poi in quella tarda diversi percorsi di lavoro, sono rappresentativi di una ricerca di uno stile che svela progressivamente - oltre all’accostamento sanfeliciano - un buon estro inventivo unito ad un rigoroso senso spaziale, dove il dominio della struttura viene portato avanti attraverso l’esplorazione di numerosi elementi compositivi prossimi a quelli del Vanvitelli (chiarezza di impianto, rigore geometrico, razionalità costruttiva). Essi diventeranno importanti soprattutto per la svolta dal classicismo barocco napoletano, a partire all’incirca dagli anni Sessanta-Settanta. Cospicue le testimonianze interessanti l’attività del Nostro, già ingegnere camerale nel 1729; come alcuni apprezzamenti ed interventi per fabbriche napoletane, ascrivibili al primo periodo della sua carriera professionale. Dallo studio dei “Documenti per la storia dell’architettura napoletana del Settecento” di Raffaele Mormone23, riportiamo, in stretta sequenza cronologica, le seguenti notizie: 1728, marzo 1°. - Luca Vecchione perizia lavori eseguiti in una casa presso il monastero del Rosario a Portamedina. 1730, gennaio 7. - Paolo Lamberti paga ducati 509.3 a Nicola Mazziotti per “undici balconi fatti” e per altre prestazioni “per le nuove fabbriche sta facendo nelle sue case site nella strada dell’Armieri di questa città…per esecuzione della relazione dell’ingegniero Luca Vecchione”. 1730, dicembre 30. - Giuseppe Attanasio paga ducati 25 a Giovanni Saggese per novi balconi “lunghi palmi 10 e larghi palmi 4 1/2 e loro lavori che han servito per la sua casa sita a S. Giovanni dei Fiorentini…secondo la stima eseguita dal regio ingegniero Luca Vecchione”. 1731, gennaio 11. - Luca Vecchione riceve ducati 6 da Gaetano Todaro “per li favori dal medesimo compartiti in dirigere l’accomodationi di fabriche nella sua casa sopra Pizzofalcone…” 1731, marzo 17. - Giuseppe Attanasio paga ducati 20 a Giovanni Saggese per nove balconi “lunghi palmi 10 e larghi palmi 4 1/2 e per altri diciassette balconi”. 1733, marzo 28. - Francesco Tramontano e Diego Magrino pagano ducati 50 a Luca Vecchione per aver periziato i lavori “per la rifrazione, riparazione ed accomodazione della casa da essi posseduta nel vicolo di S. Spirito di Palazzo…” 1733, settembre 22. - Luca Vecchione è chiamato da Francesco Donnarumma ad apprezzare “l’opera fatta e facienda nelle sue case site e poste alla Corsea de’ Scarpari e propriamente dirimpetto all’alloggiamento de’ Tre Re…” 1734, dicembre 20. - Luca Vecchione viene incaricato di periziare lavori fatti e da fare nella casa di Giovanni Battista Fera sita “nella strada detta sopra S. Matteo, nelli quartieri Spagnoli”. Dal 1735 il Vecchioni è nominato “Ingegnere-Architetto del Monastero” dell’Egiziaca a Pizzofalcone per il quale esegue innanzitutto il censimento di tutte le proprietà delle monache agostiniane al fine di conoscere “per loro buon governo…il stato di tutte le case che possiedonsi…per loro futura cautela”. In questa sorta di inventario, tra i molti appartamenti situati nei pressi del monastero, alcuni “bassi” si affacciano sotto il porticato all’interno dello stesso cortile, sono segnalati come di maggiore interesse, quattro palazzi, due limitrofi al convento, gli altri due, uno in via Egiziaca e l’altro nella strada del Grottone. Viene infine descritto il palazzo che fa angolo con via San Nicola alla Carità, con l’ingresso dalla parte del vicolo e 283 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli Fig.238. Nicola Tagliacozzi Canale (partec. ai lavori interni), Chiesa di San Michele Arcangelo, Napoli. Pianta Fig.241. Nicola Tagliacozzi Canale (parte superiore facciata), Certosa di S. Martino, Napoli. Fig.242. Nicola Tagliacozzi Canale, Giuseppe Astarita e Giuseppe Pollio (lavori di ristrutt. coro), Chiesa della Certosa di S. Martino, Napoli. Fig.239. Chiesa di S. Agnello (o Aniello) a Caponapoli, Napoli. Fig.240. Nicola Tagliacozzi Canale, Chiesa di S. Giuseppe dei Ruffi, Napoli. Scale. con la particolarità di avere all’interno un macello. Sotto la sua direzione il capomastro muratore de Luca interviene nel 1745, ricevendo 120 ducati per “tutte le fabbriche così del coro come per le fondamenta della chiesa”. Al fianco del Vecchione, già nel 1746, lavorava l’ingegnere Attanasio, poi sostituito da Giuseppe Astarita24. Intanto nel 1730 (20 marzo) il Tavolario Luca Vecchione redige ancora una perizia per una vertenza sorta tra il monastero dei SS. Severino e Sossio e il Palazzo de Laurentiis, per stabilire i confini e la pianta del fabbricato (casa palaziata) di proprietà di Alfonso Capano. In questa perizia si chiarisce che la casa Capano “…risiede ella dentro questa città e propriamente in fine del vicolo, ò via pubblica à man sinistra andando, che lateralmente dalla casa e Monte di Pietà, conduce alla porta carrese del ven. mon. Di S. Severino confinando da Settentrione con altra casa Palaziata dello stesso Sacro Monte della Pietà; da Ostro col detto monastero di S. Severino; da Levante con altra via pubblica, che dalla strada maestra di S. Biase de’ Librari parimenti diramandosi, cala alla taverna di S. Severino e da Ponente col nominato vicolo, o via pubblica, che conduce alla porta carrese di detto monastero di S. Severino”. Tra il 1740-45 l’architetto Vecchione cura gli stucchi e gli armadi in veste rococò della sagrestia di S. Maria della Stella e, nel ‘49, la messa in opera di un nuovo altare marmoreo nella “Cappella del Casino” del principe di S. Nicandro a Barra; nello stesso anno dirige i lavori di stucchi in due palazzi “siti alla contrada del Convento di S. Maria della Stella”. Alla produzione matura di Luca appartiene ancora il progetto del Seminario Vescovile di Nola, voluto dal vescovo Troiano Caracciolo del Sole, ed inagurato nel 1754. Questo edificio, che risulta impostato su di un impianto plani- 284 metrico rettangolare, conserva un elegante e ampio cortile interno ed una notevolissima Biblioteca (la cappella e lo scalone d’ingresso del fabbricato, insieme ai due piani più alti, sono invece frutto di interventi postumi eseguiti su progetto di Gaetano Genovese). Appartengono ancora a Luca i lavori nella Chiesa dei SS. Marcellino e Festo. A metà Settecento le prospere sorti economiche di questa comunità religiosa indussero le monache ad abbellire la loro chiesa, chiamando per un rivestimento marmoreo Mario Gioffredo, il regio ingegnere Gaetano Pallante e il tavolario Luca Vecchione, che ebbero un incarico limitato ai cappelloni prospicienti l’altare maggiore. Certamente lavorarono nella chiesa tra il 1754 e il ’56, tuttavia del loro intervento non sono rintracciabili elementi visibili. Infatti nel 1759 le monache si rivolsero a Luigi Vanvitelli, il cui intervento ebbe un carattere unitario e omogeneo e investì certamente anche i due cappelloni25. Riveste profonda importanza nella carriera professionale di Luca Vecchione la ristrutturazione, in via dei Mille, di Palazzo Roccella (oggi Palazzo delle Arti) e delle sue dipendenze26, opera questa, in cui l’arte del tavolario si inserisce nella concezione architettonica del Vanvitelli, raggiungendo uno dei suoi risultati più alti e più caratteristici. Nel 1717 la “casa palaziata” con relativi giardini e terreni fu ceduta per diecimila ducati ad Ippolita Cantelmo Stuart, moglie di Vincenzo Maria Carafa, principe di Roccella. La donna dette incarico al Vecchione di ristrutturare l’intero stabile. I lavori di trasformazione e ampliamento si protrassero per un decennio, dal 1755 al 1765, anno in cui l’edificio risultò trasformato in un vero e proprio palazzo residenziale, reso economicamente produttivo grazie alla costruzione, lungo il viale di accesso principale, di numerosi locali da destinare all’affitto. Il progetto del Vecchione, di ispirazione chiaramente vanvitelliana, è improntato a criteri di maggiore simmetria che conferiscono al portone d’ingresso e allo scalone principale assoluta centralità e sfruttano le coperture delle costruzioni laterali come terrazze del primo piano. Intanto su disegno di Luca Vecchione venne riedificata nel 1760 la Chiesa di S. Aspreno fuori Porta S. Gennaro, dei Padri ministri degli infermi, documento che bene ci rappresenta l’architetto forse nel suo momento di maggior slancio creativo. L’operosità del Nostro fu estesa pure alla facciata del Castello mediceo di Ottaviano (intervento teso ad ingentilire il prospetto del monumento con una serie di finestroni realizzati insieme ad alcuni discepoli di Ferdinando Sanfelice), e all’edificazione del Palazzo Ruvo in via Materdei, del quale, tuttavia, non si conosce la data certa di ultimazione dei lavori. Qui la scala - come in altri esempi simili non a composizioni vanvitelliane, ma a quelle dell’Astarita - è completamente “aperta”: eliminata la quinta muraria costituita dalla parete traforata sul cortile, è la struttura stessa della scala a manifestarsi, inquadrata da un unico grande arco a sesto ribassato. Oltre queste interessanti opere, è qui il caso di arricchire il registro degli interventi che Luca svolse, in assidua collaborazione, col fratello Bartolomeo: il Palazzo Borgia (1749) di fronte S. Nicola alla Carità a Toledo; la distrutta Santa Maria Porta Coeli, in origine composta da una sola navata, senza cupola, con sette altari, fu rinnovata e ornata nel 1752 nella prospettiva e nella scala con disegno dei Vecchione (la chiesa nel 1870 venne demolita per la nuova via del Duomo); soluzioni architettoniche adottate nella Chiesa di S. Aspreno ai Crociferi nel 1756 (il progetto originario a pianta stellare, disegnato probabilmente dal Sanfelice, non fu realizzato); i marmi e gli stucchi in SS. Pietro e Paolo dei greci (1759); l’inedito Palazzo De 285 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci Fig.243. Nicola Tagliacozzi Canale e Giovanni Del Gaizo (ristrutt.), Chiesa del Carmine Maggiore, Napoli Fig.244. Nicola Tagliacozzi Canale (dis.), Palazzo Mastellone, Napoli. Sangro, di fronte Cappella Brancaccio (1764); l’Immacolata Concezione e San Vincenzo Ferreri alla Sanità (175058); i disegni per il pavimento, l’altare e gli stucchi nella cappella di S. Candida in S. Angelo a Nido (1750-51); gli interventi nel Palazzo Cito (1758), nel Palazzo Montemiletto a Gesù e Maria. Sulla tarda attività di Luca Vecchione coincidente col decennio Settanta, e sulla indispensabile collaborazione in questi anni col fratello Bartolomeo, è utile riportare una breve testimonianza del Tribunale napoletano in occasione della domanda presentata da Luca al re (insieme ad altri otto ingegneri camerali soprannumerari), per essere ammesso a godere della “piazza” vacante di ingegnere camerale ordinario, cioè col soldo, a seguito della morte di Giuseppe Astarita (1775). Dal parere del Tribunale, che escludeva Luca Vecchione dalla terna perché anziano, registriamo su di lui un giudizio positivo: “E persona molto esperta e pratica, ed ha per lo passato disimpegnato diverse incombenze che se li addossarono da questo Tribunale: presentemente è però molto avanzato negli anni, per cui il medesimo non è nello stato di disimpegnare gli affari, tanto vero che in tutte le incombenze si avvale dell’opera d’un suo fratello o d’altri che presso di lui assistono…”27 Dalle cognizioni fin qui acquisite, sull’opera del Nostro si può ritenere - come del resto su quella appena esaminata del fratello Bartolomeo - che essa rimane ad oggi ancora troppo legata a una superficiale conoscenza del suo repertorio. La sua produzione è rappresentativa di una continuità nella ricerca di uno stile personale, che trova applicazione soprattutto in un linguaggio che si sforza di assimilare elementi compositivi dell’arte del Sanfelice (più raramente del Fuga) e del celebre Vanvitelli, di cui conserva però una profonda percezione emotiva grazie ai diversi contatti avuti con l’esperienza professionale del Maestro. Con la sua architettura, sebbene moderata nei suoi esiti vanvitelliani, Luca giunge a progettare edifici di sufficiente chiarezza e pregnanza formale. Significativa e feconda di sviluppi è la personalità di Gennaro Papa, la cui formazione artistica richiederebbe una riflessione più specifica, per riuscire a collocare le sue esperienze progettuali dalla fine degli anni Cinquanta agli anni successivi, periodo di grande importanza per cogliere il mutamento di stile dell’architetto napoletano anche se, inizialmente, sono solo delle “derivazioni impoverite” del Vanvitelli quelle che appaiono nelle sue opere. Questo artista sembra raccogliere in età matura taluni suggerimenti che gli giungono dalla cultura dell’insigne Maestro attraverso i nuovi modi del classicismo intenti a trasformare profondamente gli strumenti linguistici del barocco e a creare l’apertura a una nuova dimensione architettonica. Il gusto artistico del Papa che, da un avvio vaccariano e un proseguimento molto prossimo agli interessi 286 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli fughiani (più che sanfeliciani), pur rilevando intimi legami con l’architettura barocca del secolo precedente (vedasi Fanzago), muove piuttosto debolmente su tali posizioni e orienta la sua visione verso esiti più moderni, perseguendo con notevoli doti inventive, un senso più monumentale della forma e una diversa “coscienza” spaziale. Di sicuro egli non esce dai limiti d’una derivazione vanvitelliana, maturando un suo stile meditato ma sicuramente non molto fine, ed evitando i preziosismi di superficie e i modi esteriori di molti minori napoletani seguaci del Vanvitelli. L’incontro con le maggiori determinanti stilistiche dell’architettura del Vanvitelli, nessuna delle quali è raccolta con pienezza nella risoluzione dei nodi tematici del Papa, non determina nell’architetto una brusca “conversione”, ma un approfondimento e un arricchimento della sua cultura artistica. La prima attività di Gennaro Papa fa registrare alcuni grafici di rilievo della gràngia di Sant’Anna fuori Porta Capuana di Napoli nel territorio di Sant’Anastasia; quello redatto nel 1723 dal Nostro registra, nel caso di insediamenti di dimensioni minute, quali fossero e come generalmente venissero distribuiti i vari organismi: “A il sito del cellare. Stanza per abitazione del Personale e Grada per la salita alle stanze superiori; B cappella incontro al medesimo cellaro sotto il titolo di Sant’Anna; C l’aria del fabbricato per battere le vettovaglie; D stalla grande per bovi conformata a tetto”. Abitazione per il colono, alloggio padronale, cappella, cellaio, aia e stalla sono gli elementi che configurano l’architettura rurale locale, dunque, a prescindere dalla natura della proprietà28. Nel periodo centrale del secolo, il Papa legò il suo nome principalmente alla ristrutturazione della Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, i cui lavori furono ultimati nel 1758. Riguardo questa fabbrica, merita sottolineare che venne edificata sull’area occupata dal palazzo del principe Gaetani di Caserta, con l’annesso conservatorio, alla fine del XVI secolo dai consoli della ”Arte della Seta”, una delle corporazioni maggiori. La nuova facciata della chiesa, piuttosto articolata, fu ornata nel primo ordine dalle sculture in stucco di Giuseppe Sammartino in basso, e quelle di Giuseppe Picano in alto. Di grande effetto cromatico doveva essere il pavimento, oggi quasi tutto consunto, in cotto policromato con lo stemma della Corporazione. Contatti e frequentazioni con il Vanvitelli il Papa ebbe, fra l’altro per alcune partecipazioni ad opere di carattere urbanistico. In tal senso, particolare significato assume il suo intervento progettuale (in collaborazione con Gaetano de Tommaso e Ignazio Cuomo) per una soluzione in grado di risolvere i disagi prodotti dalla “lava dei Vergini”29. Sui lavori portati avanti dalla commissione, rimandiamo a quanto si è già esposto in questo capitolo a proposito dell’affermazione artistica di Bartolomeo Vecchione, mentre sulla posizione del Vanvitelli, inizialmente chiamato dai Deputati del Tribunale di Fortificazione a giudicare il migliore progetto, c’è bisogno di fare una precisazione. A riguardo la proposta degli ingegneri Papa, de Tommaso e Cuomo (giugno 1766), il Maestro si limitò ad affermare che “essendo questo parere alquanto particolare”, ebbe a visitare attentamente i luoghi in esso richiamati, dopo aver “replicatamente letto” il testo della relazione: in realtà il Vanvitelli si astenne dal giudicare l’opera Fig.245. Bartolomeo Vecchione, Chiesa dell’Annunziata, Giugliano. Altare. o da produrne alcuna descrizione. E lecito pensare, nel continuare ad approfondire l’attività artistica del Papa, che gli anni legati al periodo della sua tarda maturità, non furono pregni per l’artista di quelle soddisfazioni che avevano caratterizzato la sua ricca, precedente attività tardobarocca. Egli poteva tuttavia intravedere nella sua opera un momento particolare del nuovo classicismo napoletano. E sul clima culturale nel quale operarono le maggiori personalità artistiche del secondo Settecento a Napoli, nella cui cerchia figura anche il Papa, vale la pena annotare un “passaggio” felicemente colto da Arnaldo Venditti. Lo studioso, nel suo saggio sulla “Architettura neoclassica a Napoli” (1961) scrive: “…Questi episodi sono troppo legati, insieme con i contributi forniti da Giuseppe Astarita, Gennaro Papa, Giuseppe Pollio, Gaetano Barba ed altri ancora - al gusto dell’età barocca perché spetti alla presente rassegna lo studio del loro significato; le nostre brevi notizie sugli architetti dell’ultimo ventennio del Settecento sono da intendersi soltanto in funzione di chiarimento per il graduale passaggio tra l’estremo gusto barocco e la nuova moda neoclassica”. Sulla figura del Papa, noi riteniamo che rimane “un’anima architettonica” considerevole, e come tale ha un suo posto e un rilievo originale nella cerchia delle maestranze napoletane che si accostarono al Fuga e al Vanvitelli. La 287 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci Fig.246. Bartolomeo Vecchione, Chiesa di S. Maria delle Crocelle, Napoli. Particolare della facciata. sua opera (e quella degli artisti a lui vicino), per ricchezza qualitativa rappresenta un ulteriore elemento di opportunità ed efficacia nel generale clima di adesione al Vanvitelli, e costituisce una delle componenti di maggior riguardo per approfondire lo studio dell’architettura minore a Napoli tra il quarto e settimo decennio del secolo. Egli, pur ampliando e approfondendo i suoi interessi progettuali con motivi legati alla fantasiosa morfologia barocca, si segnala per una disponibilità sperimentale che sembra lasciar spazio a risonanze per alcuni colti riferimenti della cultura vanvitelliana. Nuove linee di ricerca nel percorso artistico di Giovanni Del Gaizo: lʼesiguo influsso dei modi vanvitelliani Grande importanza ebbe, in tutto l’arco della stagione vanvitelliana, l’edilizia religiosa che nella capitale del Regno rivelò una perfezione tecnica compiutamente raggiunta e presentò bellissimi esempi anche con brani architettonici di più modesta produzione. Numerosi furono i filoni di architetti che si affermarono sul territorio, ognuno con caratteristiche proprie, ma richiederebbe troppo spazio accennare anche ai maggiori: ci limitiamo a presentare alcuni nominativi. Nonostante non parta da punti di riferimento precisi con la prima cerchia dei vanvitelliani, l’opera di Giovanni Del Gaizo (1715?-1796) è legata a schemi dell’alveo borrominiano sia per quanto concerne la ritmica spaziale e la dinamica modellazione delle pareti, sia per la scelta dell’estro decorativo di forme che liberamente si snodano nello spazio e nelle prospettive; tale adeguamento, che qualche volta ha l’apparenza di un vero e proprio ricalco, 288 può essere interpretato come cosciente e deliberato recupero, da artista colto intento a ravvisare in modelli sorpassati valori spaziali che gli preme di riproporre con intento personale. Suoi lavori tardi affermano, nella più autonoma libertà formale, una singolarissima capacità strutturale che, anche se non fa del Del Gaizo un esponente di spicco dell’architettura napoletana che si preparava ad assorbire lentamente gli influssi di un “secondo vanvitellianesimo”, lo rivela come straordinario precursore delle soluzioni del classicismo barocco, da aver indotto alcuni autorevoli studiosi ad approfondire le sue imprese mature del secondo Settecento. Il linguaggio del Del Gaizo sente dunque con moderazione l’influsso della lezione del Vanvitelli e a lui si volge per un’architettura piuttosto di rielaborazione; egli si presenta come una personalità artistica non ancora bene definita per la sua ispirazione prevalentemente classicista, al punto che, nella corrente che ha nel Vaccaro - di cui fu allievo ed aiutante - le sue radici, egli nei confronti del Vanvitelli appare tra i più contemplativi e, in apparenza, distaccati seguaci. Bisogna riconoscere che nell’arte del Del Gaizo si unificano motivi di diversa estrazione: egli rivela parentele con stilemi variamente interpretati del Vaccaro; talvolta sembra accostarsi ai caratteri dell’arte del Barba, i cui concepimenti spaziali, sebbene prossimi al Gioffredo, rimandano più decisamente al Fuga; ed ancora, ma con rara unitarietà stilistica alle architetture del Canale. Principio informatore della sua architettura è un decorativismo tutto pittorico, ottenuto mediante il gioco della luce che, infiltrandosi sapientemente tra mosse superfici murarie e stucchi variamente aggettanti, esalta le strutture e modella gli spazi, conferendo un personale accento barocco. E il Del Gaizo dimostra di conoscere la grande lezione stilistica di Luigi Vanvitelli proprio da una ragionata combinazione di elementi desunti dalla produzione barocca che egli inserisce nelle strutture delle sue fabbriche, e che chiamano in causa principi architettonici capaci di ricalcare soluzioni cinquecentiste per il raggiungimento di nuove forme classiche. Direttore dei lavori di diverse costruzioni religiose oltre che progettista e abile restauratore di molti edifici civili, tuttavia il Del Gaizo non ebbe incarichi di rilievo presso la famiglia reale. Raffaele Mormone riporta che il Gaizo era stato eletto Ingegnere Ordinario del Banco dei Poveri l’8 luglio 1745, pubblicando per primo la notizia della sua estromissione dalla carica “a causa dei danni subiti da una sua fabbrica”. Si può osservare che lo sviluppo artistico di Giovanni costituisce un’ulteriore riprova della crisi di gusto che trasformò l’architettura tardobarocca napoletana sotto lo stimolo della cultura neoclassica. La sua formazione culturale si ricollega alla tradizione rococò, per trasformarsi quindi in direzione classicistica; essa si evidenzia, specialmente dopo il suo ritorno con nuova energia a stimoli barocchi, che dimostrano come una mancata visione unilaterale dell’architetto in chiave neoclassica non permetta di valutare adeguatamente la sua complessa personalità artistica. Tuttavia il Nostro fu valentissimo sia nel tardobarocco che nel neoclassico, dirigendo essenzialmente i suoi interessi verso ristrutturazioni di fabbriche 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli sacre. Deve essenzialmente la sua fama alla facciata della Chiesa di Santa Maria del Carmine Maggiore, che costituisce uno dei documenti fondamentali in nostro possesso per la conoscenza della sua architettura. Rifatta nel 1766, la facciata, sobriamente barocca in pietra vulcanica, fu eseguita su un suo disegno nel 1772. In precedenza, tra il 1741-47, Giovanni aveva compiuto dei radicali interventi nella Chiesa di S. Chiara, che rappresentano il punto d’incontro e la sintesi delle molte esperienze tratte dalla tradizione barocca e insieme dall’assunzione del nuovo linguaggio classicistico. Per questi lavori il Nostro operò insieme a Gaetano Buonocore e Domenico Antonio Vaccaro (quest’ultimo documentato oggi solamente dall’ultima cappella a destra contenente le tombe dei Borbone). L’intera struttura gotica della chiesa fu rivestita dalla festosa ornamentazione barocca e il tetto a capriate fu coperto da una volta a incannucciata, decorata con stucchi e affreschi. Ancora prima, a Giovanni Del Gaizo erano stati affidati i restauri della facciata della Chiesa di S. Severino e Sossio, resisi necessari in seguito ai danni prodotti dal terremoto del 1731. Detta facciata è preceduta da “transenne” di piperno del Nauclerio, parte del recinto di un ampio sagrato soppresso Fig.247. Ospedale degli Incurabili, Napoli. Pianta del primo piano (Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli). Fig.248. Bartolomeo Vecchione, Farmacia degli Incurabili, Napoli. Pianta (Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli). Fig.249. Bartolomeo Vecchione, Farmacia degli Incurabili, Napoli. Prospetto (Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli). Fig.250. Bartolomeo Vecchione, Farmacia degli Incurabili, Napoli. Prospetto sulla Corte Monumentale (Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli). nell’Ottocento per l’apertura di via Capasso. Della costruzione cinquecentesca è visibile il fianco sinistro, scandito da lesene scanalate; l’atrio fu ridotto nell’attuale forma nel 1737. Sulla produzione matura del Del Gaizo, si 289 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci Figg. 251,252,253,254. Bartolomeo Vecchione, Farmacia degli Incurabili, Napoli. Particolare delle Scale, sezione sul porticato, portale sotto il pronao e porticato (Archivio Soprint. Beni A.A. di Napoli). può dire che ad essa appartiene, nella seconda metà del secolo, il progetto della Cappella del SS. Sacramento a Capua (1776) ubicata accanto al Duomo. I disegni redatti da Giovanni Del Gaizo nel 1776, - come scrive il Robotti30 - allorché era arcivescovo della diocesi Michele Maria Capece Galeota (dal 1764 al 1777), riguardano il gruppo di ambienti da realizzare, accanto al presbiterio, in ricordo del Ruffo. Ma essi non ebbero svolgimento a causa della “tristizia de’ tempi sopravvenenti che il vasto sacro legato in opere civili invertendo, le speranze del Gran Prelato lasciava in sogno”. I grafici del Nostro si riferiscono agli ambienti della nuova sagrestia, dello spo- 290 gliatoio dei canonici e del cappellone ovvero la seconda cappella del Tesoro. Dei numerosi elaborati approntati sono state ritrovate soltanto cinque rappresentazioni che comunque restituiscono l’idea complessiva degli ambienti da realizzare: tre di esse riguardano i prospetti-sezione della sagrestia, gli altri due grafici si riferiscono rispettivamente agli interni del nuovo cappellone e dello spogliatoio dei canonici. Tali disegni autografi - sottolinea ancora il Robotti - mostrano chiaramente l’idea progettuale rappresentata nei suoi dettagli costruttivi e decorativi. Un progetto elaborato da un attivo professionista nel 1776 Del Gaizo era impegnato soprattutto nei lavori 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli per la ricostruzione della badia di Cava dei Tirreni31 - che, carico di esperienze acquisite nella pratica del costruire, lo portarono ad esprimersi con segni e forme aliene da preziosismi formali, mettendo altresì in evidenza la sua condotta progettuale che non lascia se non un trascurabile margine, nella fase esecutiva, alla improvvisazione o libera interpretazione da parte delle maestranze. L’attuale basilica di Cava fu eretta nel 1761 per iniziativa dell’abate D. Giulio De Palma e su disegno del Del Gaizo, il quale, qualche anno dopo (1772), progettò anche la facciata sobriamente barocca, in pietra vulcanica di Paternò. Vi fu un tentativo di bloccare i lavori, ma i monaci seppero blandire Carlo di Borbone sostenendo che “…le povere parrocchie di Cava avevano chiese migliori che non ha il monastero tanto ricco di rendite”. Nel 1778, la nuova chiesa era pronta. Seguendo i criteri dell’epoca, la vecchia basilica venne abbattuta, ad eccezione della cappella dei SS. Padri (ristrutturata e rivestita di marmi policromi con mosaici fiorentini), e delle fondamenta che furono rinforzate. Interessante è annotare che dopo la morte dell’architetto Astarita (1775), tra i nove ingegneri camerali che rivolsero domanda al re per essere ammessi a godere della “piazza” di camerale ordinario, figurava pure il Del Gaizo che entrò nella terna degli ingegneri insieme a Gennaro Papa e Michele Bonito32. Ed ancora che più tardi, agli inizi degli anni Ottanta, Giovanni Del Gaizo si ritrovò a far parte, insieme ad Ignazio Di Nardo e a Gioacchino Magliano, di una terna di architetti proposta dalla Camera della Sommaria per l’edificazione del ponte di Civitate sul Fortore, incarico che il sovrano assegnerà però direttamente al Di Nardo33. Andrà tenuto conto, nel clima che fissa gli episodi più significativi dell’arte del Nostro, il ruolo determinante delle sue collaborazioni svolte con altri valenti architetti della capitale del Regno, personalità di primo piano dominanti la cultura architettonica napoletana come Carlo Vanvitelli, Gaetano Buonocore, Domenico Antonio Vaccaro, Nicola Tagliacozzi Canale, Gaetano Barba, Giuseppe Pollio, ecc. Tra le numerose testimonianze sui rapporti di lavoro intercorsi tra il Del Gaizo e alcuni dei suddetti professionisti, un cenno a parte merita l’incarico dei Deputati del Banco dei Poveri, di rivedere “le misure e gli apprezzi” dell’architetto Del Gaizo, relative ai lavori effettuati dal capomastro Cangiano in alcune case di proprietà dello stesso Banco. A riguardo, nell’Archivio Storico del Banco di Napoli si conservano delle preziose notizie (senza data) in cui troviamo citati, oltre al Del Gaizo, anche gli architetti Barba e Pollio. Questi i passi essenziali del documento che ha per titolo “Ragioni per lo Sacro Monte e Banco dei Poveri contro il Regio Ingegnere D. Giovanni del Gaiso34”: “Nella relazione dell’Illustre Marchese Presidente della Regia Camera D. Lorenzo Paternò Delegato del Sacro Monte, e Banco dei Poveri ritrovasi in detto Tribunale profferito decreto, col quale è stato l’Ingegnere D. Giovanni del Gaiso condannato a pagare in beneficio di detto Sacro Monte la somma di ducati 1174 e grana 90, per tanti dal medesimo Banco pagati di più al Capomastro Fabricatore Giuseppe Cangiano, per esecuzione di Biglietti firmati dallo stesso Ingegnere del Gaiso: avendo Fig.255. Bartolomeo Vecchione, Chiesa della Pietà dei Turchini, Napoli. Facciata. però il Tribunale della Regia Camera riferite le ragioni al detto del Gaiso contro il detto Capomastro Fabricatore, avverso di un tal decreto il detto Ingegnere ne ha prodotto molti capi di nullità.(…) Il quale (del Gaiso) per far rimanere il suo sentimento in salvo fé comparire il detto Capomastro con un foglio di opposizioni alla sua relazione, e così dar ad intendere, che la misura da esso lui fatta fusse di danno piuttosto del Fabricatore, che del Sacro Monte, e Banco. Quindi si stimò dal Governo rimettere la cognizione di tale affare al Tavolario Pollio (…). Ed inoltre: “Incominciate le dette nuove fabriche, allora fu che il Banco venne in una giusta chiarezza delle frodi usa- 291 La Scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci 7. La cerchia dei vanvitelliani a Napoli essere soltanto indicativo per un maggiore approfondimento su un episodio che parrebbe lasciare qualche dubbio sulle capacità professionali del Del Gaizo. Pertanto rimandiamo i molti punti oscuri emersi dalla vicenda ad altri studiosi che scriveranno più diffusamente altrove, accrescendo così l’interesse biografico su questo architetto, ancora poco noto, la cui opera pure s’intreccia con i saperi diversi della sfera d’azione vanvitelliana. Fig. 256. Chiesa di S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone, Napoli te così dal Fabricatore nella mala qualità delle Fabbriche, che delli abbagli presi dall’Ing. del Gaiso nell’aver poste nella sua misura fabriche ideali, e giammai fatte: onde si stabilì che così l’Ing. del Gaiso, che l’Ing. D. Gaetano Barba rivedute avessero con esattezza le fabriche, le avessero misurate, e date loro il giusto prezzo“. Sulla stessa vicenda, due precedenti documenti (29 aprile 1765 e 12 marzo 1766) rilevavano: “Si è conchiuso che il Signor D. Antonio Maria Crisafulli nostro Collega, assieme all’Ing. Giuseppe Pollio, e coll’Ing. Del Banco D. Giovanni del Gaiso, e D. Gaetano Barba esaminano coll’intervento del Fabricatore Giuseppe Cangiano le partite dubbie che sono nate nella misura fatta dalli suddetti Ingegneri del Banco per il detto Fabricatore circa la fabrica fatta da esso per servizio delle Case di nostro Banco”. “Per la lite che il Banco tiene con il passato Fabricatore Giuseppe Cangiano per li Furti e le Frodi da esso commesse nelle Fabriche fatte dal nostro Banco, si è conchiuso, che li nostri Magnifici Ingegneri D. Giovanni del Gaiso, e D. Gaetano Barba accadiscano da D. Antonio Maria Crisafulli passato Governatore, e Deputato delle Fabriche, il quale sta pienamente inteso di un tal affare, poiché in tempo del suo governo fu una tal Frode discoperta, e perciò debba il detto Ingegnere D. Gaetano Barba sollecitamente rivedere le suddette Misure, e Fabriche fatte”. L’argomento in realtà meriterebbe un discorso molto più lungo e una più dettagliata disamina che la limitatezza di queste pagine non permette di effettuare. Ma esso vuole 292 Testimonianze sullʼattività napoletana di Giuseppe Pollio Oltre a dominare l’ampio scenario partenopeo con i raggiungimenti architettonici estremamente innovativi della Reggia di Caserta, Luigi Vanvitelli svolse - come fin qui evidenziato - un’importante opera di coordinatore per le maestranze locali, nonché di educatore per le nuove generazioni di architetti, in un’epoca di transizione verso il nuovo secolo.In questi anni sono presenti a Napoli moltissimi professionisti nelle cui stimolanti esperienze lavorative, accanto all’impiego di numerosi elementi di matrice barocca, si registrano indubbi motivi classicisti e neocinquecentisti, a riprova che l’evoluzione del gusto non è caratterizzata da bruschi cambiamenti, ma avviene invece gradualmente e con grande travaglio, e ci si predispone al passaggio al neoclassicismo che configurerà il volto della città nelle zone d’espansione affiancandosi all’edilizia prima di derivazione vaccariana e sanfeliciana, poi fughiana e vanvitelliana. Nel periodo che va dalla morte del Vanvitelli (1773) all’affermarsi del neoclassicismo troviamo nella capitale borbonica architetti che ricoprono incarichi di prestigio, soprattutto legati alla committenza reale; in primis Carlo Vanvitelli, Francesco Collecini, Pompeo Schiantarelli, Francesco Sicuro, ai quali vanno affiancati altri nomi importanti come quelli già citati di Gennaro Papa, Giovanni Del Gaizo, Giuseppe Astarita, Gaetano Barba, ed ancora Ignazio di Nardo, Gianbattista Broggia e Giuseppe Pollio. Di quest’ultimo accenneremo in particolare a qualche suo progetto più impegnativo e segnaleremo dei suoi interventi eseguiti insieme all’Astarita. Prima però occorre considerare che il Pollio si avvicinerà solo momentaneamente al vanvitellianesimo, ma questo suo accostamento gli consentirà comunque di essere incluso nell’entourage del Maestro. L’arte del Pollio ci si presenta come un’arte che si ispira all’arte stessa, non già per ripetizione di motivi classicisti già noti, ma per rielaborazione personale di essi, creazione originale che avviene su di un’altra creazione. Architettura, senza dubbio, meno potentemente creatrice, ma giustificata nel suo orientamento e, in esso, coerente e continua. Nessuna meraviglia, dunque, se in Giuseppe Pollio la variazione, il ritorno sui temi rinnovati in vari modi (tra cui quelli di derivazione vanvitelliana), non solo acquista un valore fondamentale, ma anche un significato assai diverso da quello puramente decorativo che aveva nel primo Settecento: adesso la “variazione” è l’approfondimento, rigenerazione continua del tema. Ma in questa sua variazione, il Pollio non raggiunge mai la totale adesione al nuovo spirito classicista: è invece nello stringersi dei rapporti con la cultura locale che va ricercata la vera ragione delle sue scarse risonanze vanvitelliane in molte opere napoletane. Esse rivelano spesso Fig.257. Luca Vecchione (partec. ai lavori interni), Chiesa di S. Marcellino e Festo, Napoli. Facciata. fermezza di impostazione e notevole rigorosità stilistica, ma sembrano più accostarsi ad alcune produzioni del Fuga: pur possedendo una certa vivacità barocca, rimandano a schemi brunelleschiani e vignoleschi, già “filtrati” però - con l’istanza rigoristica del Borromini - dall’arte del Vanvitelli. La posizione del Pollio nella storia dell’architettura napoletana del Settecento sembra essere, dunque, quella di un intelligente “restauratore” di forme neocinquecentesche pur nelle assunzioni di intensi elementi pittorici desunti dalla tarda cultura barocca. Occorre riconoscere che l’architetto non ha avuto né grande successo critico, né numerosi studiosi che si siano occupati della sua produzione; cosicché molte sue opere - dove resta forte la suggestione vanvitelliana - sono ancora in discussione. L’argomento meriterebbe un discorso molto più lungo, ma noi lasciamo ad altri il compito di interpretare ed approfondire gli elementi peculiari riconducibili alla prima produzione del Nostro per accennare invece ad alcune testimonianze sulle sue esperienze lavorative, a partire dal 1754. In quell’anno, insieme all’Astarita, il Pollio eseguì la stima di una masseria sita a Scafati, per conto dei padri di San Giovanni a Carbonara. Più tardi, nel 1757, con l’Astarita ed il Tagliacozzi Canale, fu l’autore del progetto del nuovo coro della Chiesa di San Gregorio Armeno. Tra gli interventi più significativi del Pollio segnaliamo quelli connessi alla sua nomina (1757) a membro della commissione di architetti invitati ad esprimere il loro pa- Fig.258. Luca Vecchione (partec. ai lavori interni), Chiesa di S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone, Napoli. Interno. rere sulle opere a farsi per il ripristino della Chiesa dell’Annunziata in Napoli, danneggiata gravemente da un incendio. Sulle posizioni della commissione, si rimanda a quanto si è già esposto in questo capitolo sull’Astarita. Riportiamo, invece, la testimonianza del Vanvitelli tratta dall’epistolario della Reggia di Caserta: “Napoli 15 Marzo 1757 Ieri mattina nella Casa della Deputazione della Nunziata fu tenuto il gran congresso, che qua chiamano giunta, per la restaurazione della Chiesa incendiata. Intervennero, oltre i Deputati, gli Architetti e furono Costantino Manni, Architetto del loco, Canale, Bibbiena, Pollio, Cioffrè, Astarita, Fuga ed io, che fui posto al primo loco, cioè alla destra del Duca di Marsico Lagnì et alla sinistra il Fuga. Durò una ora e 3; riepilogando io come l’ultimo quello che avevano detto tutti, in poche parole restrinsi il mio parere che fu di farvi la volta sopra, previe le mura di speroni da doversi adattare per rinforzo, che la Chiesa benché di cattiva simetria, non ostante senza venire alla demolizione di nessuna parte, si puoteva manierare a cosa ragionevole, e che li depositi, statue, statuette, calcinate e distrutte dal fuoco, o tutte o in parte, sarebbe stata cosa molto dispendiosa ed inutile ristorare, tanto più che coteste cose sono mobili di Chiesa che si vanno facendo dai particolari o benefattori nel lasso del tempo; quali cose non formano la Chiesa, e perciò alla sola Chiesa si dovea pensare, mentre con memorie ed iscrizioni si puoteva compensare nella rinovazione della medema, e ciò sarebbe stato coerente alla mente di Sua Maestà, che 293