Andremo in ufficio con la bicicletta piegata nello zaino
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Andremo in ufficio con la bicicletta piegata nello zaino
ATTUALITA’ IL TIRRENO LUNEDÌ 25 OTTOBRE 2010 7 IL FESTIVAL DELLA CREATIVITÀ Andremo in ufficio con la bicicletta piegata nello zaino dall’inviato Federico Lazzotti FIRENZE. Un uomo tira fuori una bicicletta che sta in uno zaino per tornare dall’ufficio, suo figlio gioca alle costruzioni in una tenda termica. Il fratello guarda il progetto di come sarà il suo quartiere che sta appeso a un container. Si connette a internet con l’i-phone e attraverso il satellite invia le coordinate agli amici per dirgli dove si troveranno. E sua madre? Cammina per il centro, in tasca ha un portafogli ricavato dalla camera d’aria di un’auto, ha appena fatto la spesa con i vicini di casa: un intero bue che si divideranno, in cambio di ortaggi e verdure coltivati nell’orto. La famiglia Creatività esce dalla quattro giorni nella città riciclante creata all’interno del Festival diffuso: trentatré spazi sparsi nel centro di Firenze dove la storia ha cercato di guardare al futuro per rispondere a una domanda: “Qual è l’idea che ti ha cambiato la vita?”. E a una teoria che a turno hanno ripetuto filosofi, economisti, scienziati, sociologi e urbanisti che si sono alternati tra workshop, incontri a based i tabelle e grafici: “Bisogna condividere per sopravvivere, alla faccia di bello, profitto e solitudine e in nome di utilità, tecnologia e risparmio energetico”. Così ha fatto Alessandro Belli, designer fiorentino che dieci anni fa ha avuto un’idea: progettare una bicicletta pieghevole che alla faccia dei ladri potesse stare dentro a uno zaino per essere trasportata ovunque, in casa come in ufficio. “Alla base — dice — c’è l’idea di appli- STORIE Karin Schirmer con alcuni dei cani nel suo allevamento in Garfagnana di Giuliano Fontani BARGA. La vita è dura, anche quando sembra che il sogno sia realizzato. Karin Schirmer, 48 anni, tedesca di Baviera, passa la giornata accanto ai suoi cani, un’ottantina, i cavalli, le tartarughe, i gatti e i pappagalli. E’ contenta, ma non le mancano i momenti di scoraggiamento. E allora la sostiene, psicologicamente, il suo cenerino - Romeo - che dalla gabbietta la incita: «Coraggio Karin...». L’approdo è un casolare della Garfagnana, alla fine di un saliscendi di due chilometri che lo separa dalla statale verso l’Abetone, nel mezzo alla fitta vegetazione di un bosco. La signora dei cani, come la chiamano a Barga, vive al primo piano del casolare ristrutturato, mentre tutto il piano terra è riservato agli animali. Karin si è fatta un nome e anche una fama per la passione e l’impegno nella conduzione del suo allevamento, cani di pregio che finiscono nelle case dei vip di tutto il mondo. Tra i suoi clienti ci sono personaggi del cinema e del teatro italiani, che la bionda tedesca mantiene rigorosamente riservati, ma anche il primo ministro del La bicicletta pieghevole care al mondo della bici le tecnologie più avanzate”. Così ha usato materiali compositi e creato un algoritmo simile a quello usato dalla Nasa per i satellite perché la bicicletta potesse chiudersi come fa il tetto di un macchina. “Peserà quattro chili — spiega — sarà messa in produzione tra due anni e costerà circa 500 euro”. Basta fare due passi due per lasciare il mondo a due ruote e entrare nel universo dei più piccoli: una tenda che arriva dalla Mongolia trasformata nel parco giochi Remida. “I bambini giocano con pezzi di legno riciclati — spiega Francesca Capolongo, responsabile di Viaggio nella fantasia cercando gli oggetti che ci faciliteranno la vita Uno dei giochi esposti a Firenze nel segno della creatività “Better life”, una delle sezioni all’interno di Festival Creatività — è la prova che basta mettere a disposizione un punto di aggregazione per attirare le persone fuori da casa e farle socializzare”. Seguendo il rosso, il giallo e il verde, i colori del Festival costato oltre un milione di euro pagati per circa metà dalla Regione, puoi arrivare nel cortile della facoltà di Architettura e imbatterti nell’idea di un gruppo di ragazzi che suona il jambé sotto una tenda costruita con le doghe di un letto. Ma al centro della creatività del futuro c’è tecnologia applicata all’informatica. Dice Derrick De Kerckhove, guru della sociologia e uno degli ospiti principali del Festival: “Il web non smette mai di maturare e la rete cambia le relazioni tra cittadini e potere all’insegna di un’obbligatoria trasparenza” Di questo assioma ne hanno fatto un’idea di vita e un business i ragazzi dell’istituto europeo di design di Firenze. “Lavoriamo unendo web, design e grafica — racconta il direttore Alessandro Colombo — in questi giorni, con un’azienda fiorentina che produce agende, i nostri studenti hanno creato delle idee da applicare al prodotto, ora l’azienda le valuterà e deciderà se metterne qualcu- na in produzione”. Il popolo degli artisti, architetti, pittori e pubblicitari, hanno scelto come officina l’ex carcere delle Murate, tre piani di mattoni a vista con in mezzo il patio. Hanno voluto raccontare gli oggetti che ti salvano, ieri come oggi. “Tra il 1969 e il 1970 in una di queste celle — racconta Marzia Lodi, curatrice dell’esposizione — è stato rinchiuso un innocente, il Signor G. Per tenersi in vita ha creato tre oggetti: Tagliando le bottiglie di vetro con uno spago creava posaceneri che rivendeva agli altri detenuti. Per fare il caffè, invece, aveva ideato un metodo a riscaldamento lento con due mattoni e pezzetti di carta. Mentre dai fili elettrici costruiva delle mensole”. Il futuro che ci aspetta è al secondo piano del palazzo, la sezione si chiama 2048, in nome del romanzo di George Orwell 1984. “C’è la visione del mondo con le sue paure e i suoi timori”. E non è incoraggiante. “Anche perché i primi a non avere futuro, soprattutto in Italia sono proprio gli artisti”, prosegue la Lodi. Ma una società — c’è scritto su un foglio fuori dalle Murate — non si giudica per quello che fa, ma per quello che sogna di fare. E allora la famiglia Creatività può esistere, forse già domani. Nel “Manifesto per la felicità” i soldi non danno il benessere FIRENZE. “La vera domanda è: che prezzo siamo disposti a pagare per la prosperità economica? Perché il pil non fa la felicità, non aiuta a vivere più a lungo, ma innesca il meccanismo dei consumi: comprare per riempire un vuoto, prima di tutto di relazioni”. Stefano Bartolini insegna Economia all’università di Siena, ed è uno dei teorici dell’economia della felicità: trovare altri indicatori, soldi a parte, per verificare se e quanto un popolo stia bene. Al centro del suo libro, “Manifesto per la felicità”, come passare dal bene-avere al bene-essese, presentato ieri mattina a Festival Creatività, c’è quello che lui chiama il paradosso della felicità. “Negli Stati Uniti nonostante la ricchezza procapite sia aumentata sono cresciuti tutti gli indicatori che riguardano il malessere reale a cominciare dalla criminalità. L’esempio opposto si trova in città come Bogotà, Parigi e Città del Messico dove i sindaci hanno deciso di investire in aree verdi, trasporti, piste ciclabile, ridando dignità alle piazze con l’idea di portare le persone fuori di casa. E’ occupando gli spazi che si elimina la criminalità. Le persone che non escono per paura si ritrovano sole e si rifugiano negli oggetti: comprano la tv al plasma, il computer, tutti beni che danno un sollievo apparente e che servono solo ad alimentare il sistema del consumo. Il paradosso sta nel fatto che il privato è costoso, il pubblico è gratuito. Per fare l’esempio di Bogotà, con questa politica, gli omicidi sono diminuiti del 40%”. (f.l.) La mia arca di Noè nei boschi della Garfagnana Karin Schirmer alleva cani di razza per attori, politici e sceicchi Nel suo casolare oltre a ottanta esemplari di pregio vivono cavalli, gatti, tartarughe e pappagalli Quatar, ricconi del Dubai che solitamente vengono chiamati sceicchi. Cani preziosi, i suoi. E anche un po’ difficili, Jack Russel Terrier, Chihuahua, Bassotti Kanimchen, Pastori tedeschi, Chinese Crested, Pastori dello Shetland (mini Collie), e poi gli elegantissimi levrieri, il Saluki (persiano), il Deerhound (scozzese) e lo Sloughi (arabo). «Non ci sono grandi guadagni - dice Karin - ma si può tirare avanti. Le spese sono tante, il lavoro enorme e faticoso e lo porto avanti da sola. Lo spirito che il quale conduco l’allevamento inoltre non è improntato assolutamente alla speculazione. Se ritengo che il possibile acquirente non sia adatto al cane che vuole comprare, non comincio neppure la trattativa. Se accade qualcosa di strano a un animale che ho appena venduto, me ne faccio carico. Inoltre non abbandono i cani vecchi, anche se non sono più buoni per la riproduzione. E tutti sappiamo che il buon mantenimento delle bestie anziane costa molto. Però le difficoltà sono anche altre, la burocrazia per il rilascio dei permessi, il mutuo da pagare, qualche reclamo dei vicini. Ma ci sono anche le soddisfazioni, quando vedo uno dei miei animali premiati anche in concorsi internazionali, oppure una delle mie bestiole che va a stare bene, perché lo prende la persona e la famiglia giusta». La storia di Karin sembra uscita dalle pagine di un ro- manzo. La passione per gli animali le venne fin da bambina, quando faceva le scuole elementari a Francoforte, scaturita dall’amore per il pastore tedesco del padre. Poi la decisione, dopo il liceo a Dusseldorf, di studiare veterinaria a Berlino. Una facoltà che non si intraprende senza un grande amore per gli esseri a quattro zampe. Ad un certo momento la necessità di interrompere gli studi, poi il sogno di completarli in Italia, a Pisa. Karin vi arrivò tredici anni fa, ma non furono rose e fiori. «Venni con la mia auto e tre cani, Yao, Odelia e Terzo - ricorda - ma per un lungo periodo di tempo non riuscii a trovare casa. Nessuno voleva affittare l’appartamento a una donna che si portava dietro tre animali. Allora passai dei mesi in un campeggio, vicino alla Torre pendente, quasi all’incrocio con il viale delle Cascine. Ma l’estate stava finendo, le giornate erano fredde e umide. Per fortuna trovai un bellissimo alloggio nella tenuta dei Salviati, a Migliarino. Riuscii a dare l’esame di ammissione all’università. E a Migliarino prese corpo l’idea dell’allevamento». Sembrava fatta, ma presto Karin dovette iniziare tutto daccapo. L’alloggio di Migliarino fu messo in vendita e la veterinaria tedesca dovette sloggiare. Nel suo girovagare per la Toscana, dove aveva comunque deciso di rimanere, possibilmente non lontano dall’università di Pisa, arrivò a Barga, le indicarono un casolare libero dove avrebbe potuto abitare in affitto e magari ampliare il suo parco-animali. Fu così. Senonché dopo poco tempo il proprietario morì e gli eredi decisero di mettere in vendita il casolare e il terreno. L’avventura era iniziata e non si poteva tornare indietro: «Ho fatto un mutuo con una banca e ho comprato il casolare e il terreno. E’ una grossa preoccupazione, senza contare le difficoltà burocratiche. Ho dovuto installare strutture prefabbricate ma ci vogliono permessi, autorizzazioni, licenze, neppure se avessi voluto costruire un grattacielo in piazza del Duomo». La bionda dagli occhi azzurri non si perde d’animo. La vita è fatta di sacrifici: «Lavoro anche quattordici ore al giorno e la sera mi sento veramente molto stanca. Poi magari c’è da fare ancora qualcosa e allora mi dico: Karin alzati, non hai ancora finito...». E’ difficile da credere, ma la grande fattoria degli animali non conosce altre persone all’infuori di Karin: «Non si trova nessuno disposto a fare questo mestiere, al massimo un piccolo aiuto occasionale, per il resto è tutto sulle mie spalle. E non ci sono giorni di festa o di riposo. Certo, insieme a un uomo, forse sarebbe più facile. Ma è difficile trovare una persona disposta a una vita nel bosco tra cani, gatti, cavalli, tartarughe. L’inverno è più difficile, spesso la strada è interrotta da frane, il collegamento con il mondo affidati a internet salta. Sulla montagna garfagnina la sera l’asticella del termometro scende a picco. Ma c’è sempre Romeo: «Brr, che freddo...» sussurra il pappagallino. Ed è la buona notte a tutta l’Arca.