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solo pregando insieme - Movimento Domenicano del Rosario

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solo pregando insieme - Movimento Domenicano del Rosario
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLIII - n. 4 - IV trimestre
Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”
4/2010
Speciale: la preghiera in famiglia
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s
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speciale:
la preghiera
in famiglia
La preghiera, soprattutto
il Rosario, è sempre stata
considerata un antidoto
ai mali della famiglia
La preghiera
in famiglia
C’
è una cattiva notizia: l’attacco alla famiglia – alla famiglia come luogo degli affetti, come
segno di comunione, come nucleo fondante la società – prosegue, incessante, vigoroso. Dopo le
macro-battaglie – divorzio, aborto, ora anche eutanasia –, che di fatto ne hanno intaccato e ne intaccano alla radice la natura tanto quanto la struttura, compromettendone l’equilibrio e la serenità dei
rapporti interni, ora anche degeneri campagne di sensibilizzazione, soprattutto mediatiche, tentano
di minarne le fondamenta, proponendo col “vestito della festa” modelli e schemi sociali in realtà
deviati, capaci di solleticare latenti pretese di autonomia o ambizioni libertarie sempre presenti nel
singolo, come il modello Zapatero in Spagna tristemente insegna. Par quasi che vi sia la paura dell’impegno, di considerare eterno l’amore giuratosi il giorno delle nozze, il dono reciproco degli
sposi; sembra che altre forme di convivenza siano addirittura da preferirsi alla famiglia, perché “più
comode”…
C’è però anche una buona notizia: la famiglia ha l’antidoto per reagire a tutto questo. E salvarsi. E
tale antidoto è la preghiera. Scrive Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica “Familiaris
Consortio”: “Solo pregando insieme con i figli il padre e la madre, mentre portano a compimento il
proprio sacerdozio regale, scendono in profondità nel cuore dei figli, lasciando tracce che i successivi eventi della vita non riusciranno a cancellare”. E, all’interno della preghiera, il Magistero individua in modo ripetuto ed insistente il Santo Rosario quale forma di orazione privilegiata e da privilegiarsi. Per mille motivi, sintetizzati da Papa Pio XII nell’espressione, ad esso riferita, di “compendio di tutto il Vangelo”.
Ben lo ha evidenziato Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, laddove constata proprio come “la famiglia, cellula della società” sia “sempre più insidiata da forze
disgregatrici a livello ideologico e pratico”, forze “che fanno temere per il futuro di questa fondamentale ed irrinunciabile istituzione e, con essa, per le sorti dell’intera società. Il rilancio del
Rosario nelle famiglie cristiane si propone come aiuto efficace, per arginare gli effetti devastanti di
questa crisi epocale” in quanto “preghiera della famiglia e per la famiglia”. Subito dopo Papa
Wojtyla aggiunge, con forza e fervore: “Bisogna tornare a pregare in famiglia ed a pregare per le
famiglie” (n. 41). Già Pio XII evidenziava nella Lettera Enciclica “Ingruentium Malorum”, quanto
vano sia cercare “di portare rimedio alle sorti vacillanti della vita civile, se la società domestica,
principio e fondamento dell’umano consorzio, non sarà diligentemente ricondotta alle norme dell’evangelo”.
Resistere, resistere a tale stato di cose vuol dire porsi in atteggiamento di umile e supplice ascolto
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del Signore: “La famiglia cristiana si presenta come una Chiesa domestica – scriveva Paolo VI
nell’Esortazione Apostolica “Marialis Cultus” – se i suoi membri innalzano in comune supplici
preghiere a Dio: ché, se non ci fosse questo elemento, le verrebbe a mancare il carattere stesso di
famiglia cristiana”. Nell’orazione, invece, si riattualizza quella stessa atmosfera spirituale viva e
fervente ch’era tipica delle prime comunità cristiane, del popolo dell’Antica Alleanza, si ripropone
il clima spirituale della Casa di Nazareth. Non perché qui i problemi mancassero, non perché fosse
tutto rose e fiori. Ma perché qualsiasi difficoltà, qualsiasi imprevisto era condiviso coi fratelli, anche
nelle preci quotidiane, come ponendo tutto ciò di fronte agli occhi ed al giudizio del Signore, come
a ricevere da Lui la giusta soluzione, la retta risposta, “perché si pone Gesù al centro, si condividono con Lui gioie e dolori, si mettono nelle Sue mani bisogni e progetti, si attingono da Lui la speranza e la forza per il cammino” (n. 41 “Rosarium Virginis Mariae”): “Ogni giorno tutti insieme
frequentavano il tempio e spezzavano il pane in casa,… lodando Dio” (At 2, 46). Grazie a questa
testimonianza ardente, “coloro che erano fuori, restavano attratti e chiedevano di unirsi a loro per
essere salvati” (At 2, 48). Se oggi i cosiddetti “lontani” non provano più quest’attrazione, v’è da
interrogarsi dunque sulla genuinità della nostra fede e sulle ragioni che abbiano conseguentemente
determinato la perdita di tale forte carica evangelizzatrice.
Come pregare? Insieme. Su questo punto il Sommo Pontefice è stato molto chiaro e determinato:
“La famiglia che prega unita, resta unita. Il Santo Rosario, per antica tradizione, si presta particolarmente ad essere preghiera, in cui la famiglia si ritrova. I singoli membri di essa, proprio gettando lo sguardo su Gesù, recuperano anche la capacità di guardarsi sempre nuovamente negli occhi,
per comunicare, per solidarizzare, per perdonarsi scambievolmente, per ripartire con un patto di
amore rinnovato dallo Spirito di Dio”. Non solo pregare. Ma pregare, contemplando. Giovanni
Paolo II parla espressamente della recita del Rosario come di ciò ch’è in grado di portare “al cuore
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stesso della vita cristiana, offrendo un’ordinaria quanto feconda opportunità spirituale e pedagogica per la contemplazione personale” (n. 3 della citata Lettera Apostolica). In silenzio. Soprattutto,
se silenzio interiore, affinché “le nostre voci non ‘coprano’ quella di Dio, il quale parla sempre
attraverso il silenzio, come ‘il sussurro di una brezza leggera’ (I Re 19, 12). Quanto è importante
allora curare questo silenzio pieno di Dio sia nella recita personale che in quella comunitaria!”.
Ed ancora: “Il Rosario, per essere preghiera contemplativa, deve sempre emergere dal silenzio del
cuore come risposta alla Parola, sul modello della preghiera di Maria” (Benedetto XVI,
Meditazione alla recita del Rosario a Pompei). Tanto nell’intimità della propria anima col suo
Signore, quanto comunitariamente, col coniuge, con i figli, con altri fedeli riuniti in gruppo. Del
resto, ha evidenziato Benedetto XVI nell’omelia a Pompei, “il Rosario è preghiera contemplativa
accessibile a tutti: grandi e piccoli, laici e chierici, colti e poco istruiti”.
Al centro vi sono, dunque, problemi interrelazionali: “Molti problemi delle famiglie contemporanee
dipendono dal fatto che diventa sempre più difficile comunicare. Non si riesce a stare insieme e
magari i rari momenti dello stare insieme sono assorbiti dalle immagini di un televisore. Riprendere a recitare il Rosario in famiglia significa immettere nella vita quotidiana ben altre immagini, quelle del Mistero che salva: l’immagine del Redentore, l’immagine della Sua Madre Santissima. La famiglia che recita insieme il Rosario riproduce un po’ il clima della casa di Nazareth:
si pone Gesù, al centro, si condividono con Lui gioie e dolori, si mettono nelle Sue mani bisogni e
progetti, si attingono da Lui la speranza e la forza per il cammino”. Con una certezza, quella offertaci in una propria riflessione dal beato Bartolo Longo: che cioè “chi propaga il Rosario, è salvo”.
Mauro Faverzani
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Pubblicazione trimestrale del
Movimento Domenicano del Rosario
Proprietà:
Provincia Domenicana S. Domenico in Italia
via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano
Autorizzazione al Tribunale di Bologna
n. 3309 del 5/12/1967
Direttore responsabile:
fr. Mauro Persici o.p.
Rivista fuori commercio
Le spese di stampa e spedizione
sono sostenute dai benefattori
Anno 43°- n. 4
stampa: Grafiche Lusar srl
Novate - via Vialba 75
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Il numero è stato chiuso il 20 dicembre 2010
Domenica, 5 settembre, il Capitolo Generale
ha eletto Fr. BRUNO CADORE’ Maestro
dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani).
Fr. Bruno Cadoré, 55 anni, era Priore provinciale della Provincia di Francia e, ora, succede
come 87° Maestro dell’Ordine all’argentino
fr. Carlos Azpiroz Costa.
Salutiamo il nuovo Maestro dell’Ordine
assicurandogli la nostra preghiera...
Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non vengono restituiti.
L’invio delle fotografie include il consenso per una eventuale pubblicazione.
INTERVISTA
a S.E. Mons. Enrico Solmi
Eccellenza,
che cosa pensa
della famiglia?
Come può essere definita la famiglia nella nostra società? Quali sono le caratteristiche che la
contraddistinguono?
Nella nostra società, oggi, dobbiamo ricondurre la famiglia al significato e al valore che ha in se
stessa. Parlando di famiglia noi parliamo di un uomo e una donna che si uniscono con un patto pubblico; da questo patto deriva la vita comune e la prospettiva di generare: questo patto per la fede cristiana è il Sacramento.
Dobbiamo rimanere fermi su questa idea perché è il fulcro attorno al quale poi si generano, non dal
punto di vista del diritto, ma nei fatti, anche altre unioni che, anche quando sono presentate come
“nuove famiglie”, in realtà non lo sono.
Da un punto di vista positivo si è, in particolare, enfatizzato il valore della relazione, intesa come
relazione “uomo-donna”. Questo è un fatto nuovo e positivo. Oggi viene anche dedicata molta più
attenzione alla persona del figlio o dei figli. Accanto a questi caratteri, che sono emersi positivamente, troviamo però anche delle difficoltà. È tolta alla famiglia la “convivialità”, cioè la possibilità
di avere tempo gli uni per gli altri. È tolto alla famiglia il senso della fermezza e della continuità
delle relazioni familiari. Il messaggio lanciato è che la relazione deve essere emotivamente forte e
conseguentemente breve. Questo è un grosso rischio per la famiglia. Ma è tolta alla famiglia anche
la dignità sociale, perché sembra che di fatto le urgenze della società oggi siano altre, legate al lavoro, alla produttività, alla mobilità e di fatto questi aspetti vanno a deteriorare la famiglia stessa.
Ci troviamo quindi davanti ad un grande bisogno di vita familiare, ma nello stesso tempo a un
impoverimento della famiglia, dovuto a questi e ad altri fattori. Vorrei sottolineare una cosa: la
famiglia non fa male ai suoi componenti, ma è proprio la mancanza di cura per la famiglia che alla
fine fa male ai suoi componenti.
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In questo quadro, che cosa vuol dire oggi parlare di preghiera in famiglia?
La preghiera in famiglia oggi è fondamentale, intendendo per preghiera la capacità e la possibilità
di creare il clima della preghiera, cioè il silenzio e il ritorno in se stessi. È uno degli aspetti che più
mancano alla famiglia: la capacità di fermarsi, di fare il punto della situazione, di prendere in mano
la bussola della propria esperienza personale e familiare, di capire dove sono e dove vado. La preghiera consente di fermarsi e di creare il silenzio dentro di sé. Condizioni, queste, necessarie per lasciarsi incontrare da Dio e lasciare che Dio parli, permettendo di riscoprire nel proprio cuore il
significato della relazione coniugale: una relazione nata il giorno in cui si è scelto di amare quella
persona con quell’amore totale, unico, fedele, fecondo che è l’amore coniugale.
Quale significato assume la preghiera alla luce degli affetti familiari?
La preghiera in famiglia è situata in uno stato di vita ed in una scelta di vita che è appunto quella
matrimoniale e, conseguentemente, familiare. Pertanto noi possiamo parlare di preghiera della coppia coniugale e di preghiera che si allarga alla famiglia. La preghiera della coppia coniugale è un
effetto del sacramento. Inviterei a leggere Familiaris consortio, che spiega come uno dei due effetti
del sacramento sia il formarsi della coppia. Allora anche la preghiera sarà vissuta in coppia, direi
anche nell’atteggiamento esteriore, vicini, forse anche tenendosi per mano, creando il clima ed il
contesto giusto, una preghiera che è sollecitata dalla vita della coppia.
La preghiera è un rendimento di grazie per quanto il Signore ha fatto e sta facendo, ma è anche una
richiesta di verifica e di perdono reciproco. Come sta andando la nostra vita? Che cosa abbiamo da
chiedere e da donare nel nostro reciproco perdono? È una preghiera che diventa anche richiesta –
perché no? – di un dono, di una grazia, di superare un momento difficile, di avvertire che si è in
crisi e di entrare insieme con la forza di Dio nella crisi.
Questa preghiera dalla coppia si estende alla famiglia, perché ad essa si associano i figli, in una preghiera che è educare alla preghiera. E volesse il Cielo che questo potesse verificarsi nella catena
delle generazioni: i genitori, la famiglia, i figli. Abbiamo testimonianze di questo genere legate a
particolari momenti (la preghiera del Rosario vissuta insieme), o a momenti celebrativi nel corso
dell’anno (feste della famiglia, feste legate all’anno liturgico) dove anche semplici, piccoli gesti
sono vissuti insieme.
Pensiamo alla riscoperta della preghiera dei pasti: ci si raccoglie insieme per lodare Dio e per condividere il dono dei pasti con tutte le famiglie del mondo. Anche queste sono forme di preghiera
domestica che hanno una valenza educativa veramente molto grande. Non dimentichiamo però che
la preghiera di coppia, di famiglia, è una preghiera di battezzati che mantengono con il Signore il
loro intimo, personale rapporto: non c’è una sostituzione, perché l’animo del coniuge, dello sposo,
della sposa, della madre, del padre è sempre l’animo di una persona battezzata, pensata da Dio per
sempre.
Quindi la preghiera personale resta sempre viva. I vantaggi, la soddisfazione possono essere anche
di natura familiare, ma logicamente il percorso di conversione prevede sempre il mio “sì” unico e
personale al Signore.
Come affrontare le difficoltà che nascono dall’indifferenza e, addirittura, dall’ostilità di chi in
famiglia è lontano dalla fede?
Anche qui manterrei sempre distinti due livelli: il livello personale, e quello della coppia e della famiglia. Chi è indifferente alla fede può essere un coniuge, o può essere un figlio, o può essere un
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S.E. Mons. Enrico Solmi
Nato a S. Vito (MO) il 18 luglio 1956.
Ordinato presbitero a Modena il 28 giugno
1980. Dottore in Teologia Morale presso
l’Accademia Alfonsiana. Specializzato in
Bioetica presso l’Università Cattolica del
Sacro Cuore. Eletto Vescovo di Parma il 19
gennaio 2008. Consacrato Vescovo a Modena il 9 marzo 2008.
È membro della Commissione Episcopale
per la Famiglia della CEI. Delegato Regionale per la Famiglia.
genitore. Resta il percorso personale, che diventa anche offerta e preghiera per il familiare che è
lontano. È molto doloroso quando questa indifferenza e questa ostilità sono all’interno della coppia,
perché viene a mancare – auspicando che ci sia amore umano, naturale, autentico – quel radicamento in Dio e quel completamento in Cristo che è l’amore coniugale, che è la preghiera insieme, che è
la forza della lettura della Parola di Dio e dell’invocazione dello Spirito. È chiaro che in questo caso
deve esserci una preghiera continua, una coerente testimonianza di vita, la convinzione che ci sia
una fede buona, che Dio esista e ti ami attraverso l’amore, la disponibilità, l’aiuto, il perdono della
persona che crede e che porta nella famiglia la luce della fede. In molte famiglie questo percorso ha
ottenuto dei risultati veramente grandi, per grazia di Dio. Abbiamo però anche situazioni dove si
vive un vero Calvario, ma sono certo che le preghiere di tanti, anche in famiglia, non vadano mai
perdute e diano frutto nei momenti più impensati, se la persona che non crede apre il suo cuore ai
disegni d’amore di Dio.
Se questo porta ad un dissidio?
Ci sono livelli diversi, credo. Ci sono forme di preghiera alle quali la persona credente può anche
rinunciare. Penso alla partecipazione a gruppi familiari, a pellegrinaggi, a momenti di preghiera,
alla lectio divina, che sono certamente molto efficaci per la vita di fede, ma che in qualche modo
possono essere vissute in forma privata. Diverso è se questa situazione impedisce la partecipazione
all’Eucarestia. Allora qui bisognerebbe vedere in che rapporto si pongono l’amore e la relazione
coniugale e il mantenimento dei propri diritti e doveri religiosi.
Questo tema va tenuto oggi debitamente in considerazione in quei matrimoni che si dicevano – in
termine analogico – “misti” (chi crede e chi non crede). Oggi ci troviamo di fronte con maggiore
frequenza a matrimoni “misti” nel senso tecnico della parola. La domanda a due fidanzati di fede
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diversa, che va fatta alla parte cattolica e conseguentemente anche all’altra parte, riguarda la possibilità di ottemperare alla propria vita di fede e all’educazione cristiana dei figli. Questo tema oggi
va tenuto in seria considerazione.
Come può, chi crede, aiutare un familiare che non crede?
Con la preghiera continua e con la testimonianza della vita. Nella vita familiare e nella pastorale familiare parrocchiale ci sono molte opportunità. Penso alla partecipazione a gruppi d’incontro o a
forme di vita che sono legate alla famiglia. Parto proprio dalla mia testimonianza personale. A volte
ci sono gruppi-famiglia talmente sapienti che sanno attrarre la persona non credente non proponendo immediatamente momenti di preghiera, ma ad esempio alcuni servizi utili al gruppo stesso.
«Vieni e ci prepari qualcosa da mangiare, vieni e stai con i bambini, vieni e parliamo dei problemi
della famiglia e dell’educazione dei figli».
E questo può avvenire anche all’interno di un’esperienza più dilatata, quale ad esempio un campofamiglia ben organizzato, chiarendo alla persona che può partecipare nelle forme e nei modi che
desidera e che è sempre accolto e benvoluto. A volte è proprio la frequentazione di altre famiglie, il
vivere l’amicizia con altri sposi o altre spose, l’interessarsi a un problema comune, che poi può sorprendentemente aprire anche a una domanda di fede.
Ho visto veramente dei miracoli. Persone che affermavano: «Io non entro in chiesa neanche se mi
dai una botta in testa» oppure un altro che mi diceva «Io nelle chiese ci farei tante birrerie», dopo
anni, mi porta suo figlio, dicendomi: «Voglio che si venga a confessare». E lo porta lui. Facciamo
dunque proposte umili, che partono da esperienze comuni e dalla vita quotidiana. E allora anche chi
non crede capisce che forse c’è qualcosa di più, e affronta quella crisi che probabilmente lo ha portato lontano dalla Chiesa.
Quali sono i benefici per una famiglia di un’esperienza di preghiera condivisa?
I benefici sono enormi. Innanzitutto per il dono che è la preghiera in se stessa: si riconosce che è
vero che ci si sposa nel Signore. Sposarsi nel Signore significa sposarsi in quanto battezzati e mettere il Signore al centro della famiglia.
La vita quotidiana di tutte le famiglie ha i suoi doni e le sue fatiche, ma è una vita che si affronta nel
coraggio, nella speranza che viene dal Signore. È Lui che aiuta a raccogliere una croce e a sopportarla perché, alla luce della fede, si capisce che quella croce è l’inizio di un percorso che porta alla
Risurrezione. E quindi vivere la vita di tutti i giorni con la forza della fede, chiesta e vissuta, significa condividere un’esperienza di autentica devozione e attingere in modo cosciente a quella grazia
che è stata data nel matrimonio, una grazia che viene sempre offerta dal Signore.
Nello stesso tempo la preghiera promuove la vita morale. Sollecita uno stile di vita vero e a aiuta a
riconoscere i rischi e le tentazioni di cui oggi è piena la vita di una coppia di sposi.
Questo credo che sia uno dei problemi più grossi, perché talvolta si perde anche la lucidità…
Il grosso problema di oggi è che non esiste più una gerarchia di valori, ma tutto viene posto su un
stesso livello: quello che prima era considerato un delitto, un’offesa al matrimonio, oggi viene considerato quasi un vanto ed un diritto. Lo diceva san Paolo, ma oggi questo modo di comportarsi è
entrato a far parte del sistema. Assistiamo a una frantumazione di tutte le certezze e di tutti i riferimenti morali.
La preghiera, se è vissuta con coscienza e serietà – e questo è un lavoro quotidiano – aiuta a ricono-
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scere le tentazioni e soprattutto a dare la forza di superarle. Altro fatto importante: la preghiera
sostiene nei momenti di crisi. La crisi è fisiologica. È il momento del discernimento, è la prova
biblica. Oggi molte coppie cadono nella tentazione di ritenere che la crisi significhi la morte della
relazione coniugale: qualcosa di ineluttabile, di insuperabile, che deve essere evitato a tutti i costi.
Invece no, quando la crisi bussa – e può essere una crisi fisiologica, un momento di maturazione –
bisogna entrarci insieme, tenendosi per mano e tenendo insieme la mano del Signore. E accettando
anche il percorso di conversione che la Grazia riesce a fare. È chiaro che nella vita matrimoniale –
questo ce lo insegna la teologia del sacramento – l’aspetto umano naturale e l’aspetto di Grazia
redentivo sono intrinsecamente fusi tra di loro.
Come fare ad avvertire la “scossa” per coglier il pericolo?
Ci sono due livelli, secondo me, e sono entrambi intimamente uniti.
Il primo è un livello di annuncio feriale, quotidiano, continuo, che tiene presente la peculiarità del
sacramento del matrimonio e i valori che sono in gioco.
L’altro livello riguarda il significato del sacramento. Il sacramento del matrimonio assume l’amore
naturale, lo purifica e lo eleva: questo è rivoluzionario. Dobbiamo essere capaci di dire a chi abbiamo di fronte: «Attenzione: tu dici che “etero” ed “omo” sia la stessa cosa? Fermati un attimo, non è
così. Tu dici che l’amore sia una realtà liquida che si esprime soltanto in relazioni fugaci? Fermati
un attimo». Così si mette in crisi la persona umana anche dal punto di vista esistenziale. Viviamo in
un mondo dove c’è uno tsunami che è più grande di noi: ma, dopo la distruzione, le cose costruite
male non sopravviveranno, resteranno solo quelle costruite sulla roccia.
Una famiglia può in se stessa – senza vivere un rapporto di comunione, una relazione con un
sacerdote, con un gruppo familiare, con la parrocchia, con un movimento – riuscire a superare lo scontro con lo spirito del mondo?
L’aiuto che viene offerto dall’incontro tra le famiglie è fondamentale: un incontro umile e possibile.
È infatti importante che le famiglie facciano quadrato, creando insieme un determinato clima e una
determinata cultura.
Un gruppo-famiglia di questo tipo può davvero essere “sale” di un ambiente e diventare capace di
favorire una cultura di comunione. Per esempio: due mamme si incontrano dal pediatra e una dice
all’altra: «Sai, stiamo organizzando un incontro per valutare l’opportunità di dare o meno il cellulare ai bambini». Oppure: «Sai che nel tale posto abbiamo fatto allestire un giardino dove puoi venire
anche tu a giocare con il tuo bambino? Se vuoi vieni!». Questo non vuol dire far parte di un gruppo-famiglia, ma coinvolgere in una dinamica familiare, e può essere molto utile nelle situazioni di
difficoltà.
L’essere insieme è un grande aiuto: ci si sostiene nei progetti educativi e in quelle scelte che, affrontate da soli, sembra riguardino esclusivamente noi. Guardandosi attorno si ha l’opportunità di capire
che molte altre persone condividono lo stesso problema. Per queste ragioni credo che si debbe dar
vita ai gruppi-famiglia dando spazio alla soggettività delle famiglie stesse, perché sanno di che cosa
hanno bisogno e sono capaci di educarsi reciprocamente. Teniamo sempre presente l’immagine
forte della famiglia che recita unita il rosario, ma lasciamo anche che le famiglie trovino il loro proprio modo di avere momenti di preghiera. Se i genitori si impegnano in questo cammino con serenità, con pace, con convinzione, i bambini – e poi gli adolescenti e i giovani – si educheranno alla
preghiera e non si sentiranno diversi perché alla sera pregano.
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INTERVISTA
a Dorotea Ravaioli
Una moglie e madre
che prega in famiglia
Come avete cominciato a pregare in famiglia?
In modo spontaneo, quasi di necessità: come per il mangiare vedemmo necessario anche il pregare.
Chi ha avuto per primo questo desiderio?
In modo sistematico, la mamma, ma anche i figli, una volta imparato, pregavano in modo naturale.
Come hanno risposto gli altri membri della famiglia?
I figli bene, il capofamiglia indirettamente seguiva, ma non con noi, sembra sempre prevalere per
alcuni l’impressione – ed è il nostro caso – che la preghiera sia un atto di debolezza. Ciononostante
al marito fa piacere vedere moglie e figli dedicarsi alla preghiera piuttosto che ad altro, ma sono
quei caratteri che non vogliono farsi coinvolgere.
Quali difficoltà avete avuto all’inizio e come le avete superate?
Nessuna difficoltà particolare, solo organizzare gli orari e i momenti opportuni, superando eventuali
ostacoli, ogni giorno, di volta in volta.
Oggi è cambiato il vostro modo di pregare?
Per certi versi sì! I figli sono cresciuti, ma hanno mantenuto la responsabilità di pregare, solo che
ognuno lo fa per conto proprio: un figlio è militare e mi ha promesso che la sera prega, io comunque glielo ricordo sovente, l’altra figlia più grande all’università non dimentica di pregare anche
quando si trova in treno, visto che fa la pendolare. Comunque quando possiamo e siamo nuovamente riuniti, andiamo alla Messa insieme e a tavola ringraziamo insieme.
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Che cosa si può fare quando non si riesce a creare il clima adatto perché forse i più piccoli
sono distratti e gli adulti sono preoccupati per i tanti problemi della vita quotidiana?
Intanto esercitare molta pazienza! Un clima adatto è quello in cui i bambini si sentono a proprio
agio, la distrazione è sempre in agguato: allora tocca agli adulti staccare la presa con i problemi del
mondo ed usare il momento di preghiera per nutrire le proprie energie. Non è difficile: molto dipende dalla frequentazione a questi momenti: più si fanno, più si riuscirà a renderlo un momento appetibile del quale non poter fare a meno. Meno si fanno e più diventa faticoso concentrarsi...
Proporsi e mai imporsi, tuttavia essere anche autorevoli (non autoritari) aiuta molto e i bambini
imparano la necessità di una certa disciplina...
Chi non condivide questa scelta perché è lontano dalla Chiesa come può “rimanere in famiglia” anche in questi momenti?
Nella mia esperienza ho constatato come al marito, che dice di non essere praticante, sia gradito che
la moglie preghi e che educhi i figli a questa “pietas”, ma spesso non è facile: occorre, come insegna Gesù, essere docili ma anche astuti!
Esteriormente bisogna prima “soddisfare” le necessità utili al marito e alla casa in modo tale che
non subentri la “gelosia” a che la moglie dedichi il suo tempo alla preghiera. Una volta svolte le
questioni di casa, allora si potrà procedere ad inserire il momento della preghiera. Molte volte dovevo farlo quando il marito non era in casa...
Occhio non vede e cuore non duole e la preghiera fa quanto deve fare!
Non si tratta di “nascondersi” al contrario, di correggere anche forme di bigottismo che potrebbero,
invece, scatenare una reazione contraria e di odio verso la Chiesa...
Non si può obbligare nessuno, neppure i figli, alla preghiera, ma sollecitare, invitare, rendere piacevole ed importante questo momento, è un dovere che dobbiamo esercitare.
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In tal modo anche chi non condivide questa scelta, dovrà per correttezza tollerare, in famiglia, il
momento della preghiera, e di conseguenza ne resta positivamente coinvolto. Il resto lo farà la
Vergine Maria!
Qualche consiglio pratico: avete scelto un luogo e un tempo specifici per pregare? Decidete
insieme le preghiere da recitare? Usate qualche libro di preghiere?
Solitamente nel pomeriggio, prima o dopo i compiti, in salotto, attrezzando il tavolo con la Bibbia,
una candela accesa e la statua della Madonna del Rosario, ad ognuno la sua Corona: questo ai bambini piace molto. Ma anche la mattina, prima di andare a scuola, si riusciva a fare una visita in chiesa, oppure per la strada, si cantava qualche canto tradizionale mariano, ai miei figli piaceva molto
cantare “Andrò a vederla un dì”, poi si finiva con qualche giaculatoria come: “Dolce Cuor del mio
Gesù...”.
Solitamente il Rosario, ma anche la Coroncina della Divina Misericordia seguendo, in certi tempi
liturgici, qualche Novena o Triduo, così come anche la Via Crucis nei Venerdì di Quaresima, in
casa, perchè non mi era possibile portarli ogni venerdì in parrocchia, e ai figli piaceva tenere a turno
il Crocefisso per la meditazione.
Avete utilizzato dei sussidi particolari?
Sì, ho usato i libricini distribuiti dal Movimento Domenicano del Rosario, ed anche altri.
Infine: quali sono i frutti della vostra preghiera per la vostra fede e per la vostra vita in famiglia?
Posso dire e possiamo dire, quand’anche il marito fa finta di non essere praticante, ma in cuor suo
segue tutto, che i frutti sono stati, e sono, davvero immensi e tanti: abbiamo salvato, grazie alla preghiera e a questa fede, oltre al combattimento contro varie tentazioni, il matrimonio a seguito di una
crisi, che oggi come oggi, non risparmia nessuno; i figli sono cresciuti cristianamente in tutti i sensi,
e conservano ancora, a 17 e 20 anni, un certo grado di purezza che oggi definiamo quasi prodigiosa... Il marito conquista ogni giorno che passa la serenità ed ha raggiunto un ottimo grado sia nel
lavoro sia nella sua vita personale, dal mio canto ho imparato davvero crescendo e maturando nella
Fede che senza Dio nella propria quotidianità, saremmo completamente persi e davvero disgraziati.
Le prove non ci sono mancate, e forse ancora altre ne dovremo superare. La preghiera in famiglia
non tiene lontane le prove, ma aiuta ad affrontarle e a superarle. Confidare in se stessi è deleterio, al
momento della tentazione si rischia di naufragare.
Ma, come si sgrana il Rosario, così abbiamo sgranato e snocciolato, giorno dopo giorno, i problemi
quotidiani, i sette trasferimenti avuti, i conti da pagare, i figli da crescere ed educare, le tante incomprensioni che minavano l’unità della famiglia, le tante tentazioni che ci spingono sovente a guardare
chi sta meglio di noi e mai chi sta peggio, la tentazione di credere che ognuno basta a se stesso....
Il Rosario, sia in famiglia o quando almeno un coniuge lo recita ogni giorno, è davvero “fortezza
inespugnabile”, è l’àncora di salvezza contro gli assalti del Demonio, è anche studio dottrinale del
Vangelo: chi dice il Rosario davvero può dire di conoscere “tutto” di ciò che insegna la Chiesa e
impara tutto sull’uomo, sul perché nasciamo, perché viviamo e dove siamo diretti.
Il Rosario non toglie nulla alla nostra vita, ma la arricchisce giorno dopo giorno, perché le promesse di Maria sono davvero attendibili e chiunque può farne esperienza.
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INTERVISTA
alla famiglia Carloni
Una semplice famiglia
come tante...
Anzitutto, come è composta la vostra famiglia?
La nostra famiglia è consacrata alla Madonna ed è composta da otto figli: quattro maschi e quattro
femmine, più uno in Paradiso. Abitiamo in provincia di Ancona nelle Marche. Io sono impiegato,
mia moglie è casalinga: chi ci conosce la definisce “mamma di clausura”, perché trascorre quasi
l’intera giornata in casa!
Come trascorrete la vostra giornata?
Ogni mattina la sveglia è alle 6,00 e ognuno dei figli – dal più grande di 19 anni alla più piccola di
6 anni – si prepara per recarsi alla santa Messa delle ore 7,00 accompagnati dal papà e dalla
mamma. Terminata la santa Messa e recitata una preghiera di ringraziamento, li accompagno a
scuola, e riporto a casa mia moglie. Poi mi reco in ufficio. Dalle 13,00 alle 13.30 “recupero” i figli
nelle varie scuole; rientrati a casa, pranziamo tutti insieme. Dopo pranzo ritorno al lavoro mentre
mia moglie, oltre a dedicarsi alla casa, controlla che i figli facciano il loro dovere di studenti.
Una giornata molto intensa! E come passate la serata?
Raramente riesco a rientrare a casa subito dopo l’uscita dall’ufficio, poiché ogni giorno c’è qualche
faccenda da sbrigare: andare al supermercato o dal meccanico, aiutare un bisognoso, dare una mano
in parrocchia, eccetera; comunque cerchiamo di trovarci tutti insieme verso le 19.30 per recitare il
santo rosario: questo è un impegno che ci siamo dati per tutto l’anno, come la santa Messa giornaliera. Anche le preghiere del mattino e della sera e il ringraziamento prima dei pasti si recitano con
tutta la famiglia.
Finalmente domenica!
La domenica, festa del Signore e anche festa della famiglia, nella prima mattinata parliamo insieme
dei problemi che ci sono stati durante la settimana, poi leggiamo la parola di Dio per animare bene
la santa Messa delle ore 11.00, anche con canti adeguati alla liturgia.
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Nella nostra famiglia infatti c’è chi suona strumenti musicali, chi canta nel coro e chi serve
l’altare come chierichetto. Il pranzo è una grande festa ed anche il pomeriggio lo trascorriamo
tutti insieme, anche con i figli adulti, facendo
passeggiate in luoghi molto belli o andando in
qualche santuario, anche se dobbiamo fare tanta
strada per arrivarci.
Mi parli un po’ dei vostri figli.
Vi rendo partecipi di una grande gioia: due
figlie, una di 20 anni ed una di 17 anni, a settembre del 2009 sono entrate in monastero come
postulanti di clausura nell’ordine delle Clarisse
dell’Immacolata. Domenica 17 ottobre 2010
abbiamo avuto il dono di vedere novizia una
delle due figlie, l’altra lo diventerà nel mese di dicembre. Fin dal giorno delle nozze abbiamo pregato perché nella futura famiglia potessero nascere vocazioni alla vita consacrata; siamo anche andati
a Medjugorje in viaggio di nozze per affidare alla Vergine il nostro matrimonio. I figli sono un
grandissimo dono di Dio, ma non sono nostri: essi appartengono a Dio e Dio ce li affida perché li
educhiamo all’amore di Dio e del prossimo. Questa è per noi una grande responsabilità, ma anche
una grande gioia.
La fede vi ha aiutato nelle prove della vita?
Con il rosario abbiamo affrontato la malattia di una delle figlie (la leucemia), l’amputazione di alcune dita della mia mano sinistra e pure le incomprensioni di tante persone, anche care, che non
condividevano la nostra scelta di dare alla luce tanti figli.
In poche parole con l’Eucarestia, con la Parola di Dio, con il rosario “tutto, e diciamo tutto, si supera”. Non diciamo che non ci sono le croci – altrimenti questo significherebbe che forse Dio non è
proprio vicino a noi – ma tutto si sopporta, tutto si supera, e questo è Grazia.
Portiamo sempre il rosario in tasca e lo recitiamo tutti i giorni, come ci ha sempre ricordato Sua
Santità Giovanni Paolo II e come ci ricorda Benedetto XVI.
Che cosa desidera dire alle nostre famiglie?
Quando veniamo in contatto con altre famiglie che ci chiedono di dare una testimonianza, diciamo
anzitutto che al primo posto devono mettere Gesù e l’Immacolata: allora la famiglia è fondata sulla
roccia. La famiglia è molto amata da Dio e su ogni famiglia Dio fa grandi progetti d’amore, ma per
accogliere questo patrimonio ogni famiglia deve nutrirsi dell’Eucarestia, della Parola di Dio e della
preghiera: e il rosario, vi assicuro, è la preghiera più bella.
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Il Rosario domestico è uno strumento
eccezionale per edificare in grazia la propria famiglia. Ma come si arriva a far sì
che dei bambini sotto
l’età della ragione (ma
anche sopra) riescano
a pregare meditando le
5 decine del rosario
ogni giorno?
Come si fa a farli star
seduti per una ventina
di minuti?
È davvero possibile?
Ecco alcuni spunti per
iniziare e mantenere il
rosario quotidiano in
famiglia.
Abbiamo 5 figli (di 8,
due gemelli di 6, 4 e 2
anni).
Preghiamo ogni sera
meditando il rosario,
con qualche eccezione,
naturalmente.
Non siamo perfetti.
Ma ci proviamo.
Consigli di un papà
per meditare il rosario
con i più piccoli
Dodici consigli per pregare il rosario in famiglia
1. Pregate usando l’alternanza (il papà prega la prima parte del Padre Nostro e Ave Maria, e
tutti la seconda parte…).
2. Pregate meditando il rosario dopo cena, ma subito prima di andare a letto: questo vuol dire
compiti finiti prima di cena. I compiti uccidono il rosario, se non ci si sta attenti. Inoltre bisogna
dire arrivederci ai programmi TV di prima serata o al telegiornale, poiché questa è la finestra
temporale ideale per pregare con tutta la famiglia.
3. Pregate meditando il rosario sempre nello stesso posto e nello stesso orario. Le devozioni
diventano forti, addirittura invincibili, attraverso la costante ripetizione e l’abitudine.
4. Pregate meditando il rosario in una stanza particolare, preparate un piccolo altare con una
Bibbia sopra, e delle candele o una statua o immagine sacra, acqua santa o una reliquia…
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5. Abbassate la luce e accendete le candele quando state per iniziare. Se lascerete ai più
piccoli il compito di accendere le candele, saranno contentissimi. I bambini amano il fuoco.
Rendete questo momento un “tempo speciale” diverso dagli altri. Noi, nelle feste, bruciamo
anche un po’ di incenso sul nostro altare domestico (è possibile farlo facilmente, mettendo una
sottile lastrina di metallo sopra un lumino e posando sopra questa qualche grano di incenso. È
veloce e rapido e non c’è bisogno di carboncini).
6. Si può iniziare con un canto o con una lettura dalla Bibbia, per rallentare un po’ e dare il tono
alla preghiera.
7. Il papà dà l’esempio. Io raccomando sempre che il papà stia in ginocchio durante il Rosario.
Questo comunica importanza e solennità al Rosario. I bambini danno importanza a quello che
fa il papà, come tagliare l’erba del prato, andare al lavoro, guidare la “macchina del papà”, ecc.
8. Mettete la regola che il bimbo che prega tutte le risposte e si offre volontario per guidare
un mistero del Rosario (10 Ave Maria) vince per quella sera di andare a letto 10 minuti dopo
gli altri, o di guardare un po’ di TV o sentire una storia… Questo è probabilmente il consiglio
più importante. I bambini sotto i 7 o 8 anni hanno bisogno di questo tipo di incentivi. Se dici a
un pargolo di 6 anni: “Prega il Rosario, così ricevi grazia e santità”, non capirà. Ma se gli dici:
“prega il Rosario così puoi stare su un po’ di più e leggiamo un libro insieme”, si getterà in ginocchio e pregherà come un angioletto.
9. Chi vince e sta in piedi un po’ di più potrà anche spegnere la candela alla fine della pre-
ghiera. Questo offre un ulteriore incentivo alla preghiera, specialmente per i più piccini. Per
una qualche oscura ragione, spegnere la candela è un ottimo affare per i bimbi (i piccoli amano
il fuoco!!!). Si rimane stupiti a vedere con quanto sforzo un bambino di 4 anni cercherà di star
fermo se solo sa di poter mettere un granello d’incenso sulla fiamma o spegnere la candela (vi
ho già detto che i bambini amano il fuoco?).
10. Concludete la preghiera invocando il santo patrono di ciascuno (il santo del nome di
battesimo dei vostri figli, e altri patroni). Ad esempio: “San Tommaso, prega per noi, santa
Chiara, prega per noi...”. Alla fine ricordatevi sempre di san Giuseppe e di Santa Maria Madre di Dio. Poi invocate “Sacro Cuore di Gesù, abbi pietà di noi”, tre volte. Se desiderate l’indulgenza plenaria, ricordatevi di pregare il Padre nostro e l’Ave Maria per le intenzioni del
Papa.
11. Se il Rosario in famiglia è qualcosa di nuovo, cominciate con una decina per una settimana.
Poi avanzate a tre per un’altra settimana. Infine arrivate a cinque la terza settimana. Poi non
fermatevi più e andate avanti così.
12. Quando il rosario quotidiano si sarà affermato anche in casa vostra, fate che ogni bambi-
no annunci un mistero e preghi un’intera decina. Questo li renderà ferrati nella preghiera e per
loro diventerà qualcosa di naturale. In più, impareranno a memoria i misteri del Rosario, e
questo significa memorizzare tutto il racconto evangelico della vita, morte e risurrezione di
Cristo! È per questo motivo che il Rosario viene anche chiamato “la Bibbia in grani”.
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Il Rosario
richiamo al mistero
della maternità
di Maria e della Chiesa
Proseguiamo la lettura del libro Il rosario tra devozione e
riflessione, che abbiamo presentato nel numero precedente
di Rosarium, proponendovi l’articolo di:
ERIO CASTELLUCCI
docente alla Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna,
Scuola di Anagogia.
Il volume è in vendita presso l’ESD:
via dell’Osservanza 72, 40136 Bologna
tel. 051582034 e-mail:[email protected]
Scrive Giovanni Paolo II:
«Nel Rosario noi ci affidiamo in particolare all’azione materna della vergine santa. Colei che di
Cristo è la genitrice, mentre è essa stessa appartenente alla Chiesa quale “membro eccelso e del
tutto eccezionale” (LG 53), è al tempo stesso la “Madre della Chiesa”. Come tale continuamente
“genera” figli al corpo mistico del Figlio. Lo fa mediante l’intercessione, implorando per essi l’effusione inesauribile dello Spirito. Ella è l’icona perfetta della maternità della Chiesa».
In questo passaggio del suo documento sul Rosario, il papa condensa una serie di categorie teologiche di grande interesse, relative alla maternità di Maria e della Chiesa. Vorrei semplicemente raccogliere alcune suggestioni, riflettendo su come la pratica del Rosario possa costituire un richiamo a
questa duplice maternità, intensificandone l’esperienza nel credente.
Il mistero della maternità di Maria e della Chiesa
Dalla maternità divina alla maternità ecclesiale di Maria
Dopo le note ed aspre controversie tra Cirillo e Nestorio, il Concilio di Efeso nel 431 proclamò Maria Theotokos, Madre di Dio.
Sappiamo bene che l’interesse di questa definizione dogmatica non era direttamente mariologico,
bensì cristologico: il Concilio intese cioè affermare l’unità radicale, nella persona di Gesù Cristo,
della sua umanità con la sua divinità; il pericolo a cui Efeso reagì – seguendo da vicino la dottrina
di Cirillo che identificava a ragione o a torto tale errore in Nestorio – era infatti quello di separare la
natura divina da quella umana in Cristo: riconducendo la prima a Dio Padre e la seconda a Maria, e
facendo dunque della Vergine la madre del solo Gesù uomo, i nestoriani sembravano appoggiare
non una vera e propria “unione ipostatica” ma semplicemente una sorta di “unione morale”, un mero accostamento tra l’umano e il divino in Gesù.
Per arrivare a una formale – benché non dogmatica – proclamazione di Maria come “Madre della
Chiesa” bisognerà aspettare più di quindici secoli: è infatti nel giorno di chiusura del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965, che Paolo VI, accogliendo un desiderio espresso da molti vescovi, proclamò Maria Madre della Chiesa: a gloria della Vergine e a nostro conforto,
Noi proclamiamo Maria Santissima “Madre della Chiesa”, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei
fedeli come dei Pastori, che la chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d’ora innanzi la Vergine venga ancor più onorata ed invocata da tutto il popolo cristiano.
Era stato lo stesso papa Montini, durante i lavori conciliari e di fronte ad un’assemblea su questo
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punto divisa a metà, a decidere che la trattazione su Maria venisse collocata nel documento sulla
Chiesa Lumen Gentium, del quale costituisce attualmente l’VIII capitolo, e non se ne facesse un
documento a parte. Le parole di Paolo VI a conclusione della seconda sessione conciliare spiegano
il motivo di questa scelta: la realtà della Chiesa non si esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella
sua liturgia, nei suoi sacramenti, nei suoi ordinamenti giuridici. La sua intima essenza, la sorgente
prima della sua efficacia santificatrice sono da ricercarsi nella mistica unione con Cristo; unione che
non possiamo pensare disgiunta da Colei che è la Madre del Verbo incarnato, e che Gesù Cristo
stesso ha voluto tanto intimamente a Sé unita per la nostra salvezza. Cosicché è nella visione della
Chiesa che deve inquadrarsi la contemplazione amorosa delle meraviglie che Dio ha operato nella
sua santa Madre. E la conoscenza della vera dottrina cattolica su Maria costituirà sempre una chiave
per la esatta comprensione del mistero di Cristo e della Chiesa.
Giovanni 19,25-27
Se la proclamazione della maternità ecclesiale di Maria giunge solo alla fine del XX secolo, non si
deve certo aspettare così a lungo per registrarne la percezione vissuta nel popolo cristiano; una percezione di cui la pratica del Rosario – come meglio vedremo – rappresenta un segnale eloquente.
Le radici di questa percezione sono presenti già nel Vangelo, specialmente nel noto brano giovanneo in cui Gesù affida reciprocamente Maria a Giovanni come Maria e la Madre al discepolo come
figlio (cf. Gv 19,25-27).
Osserva giustamente l’esegeta I. De La Potterie: Diversamente dai Padri (che vedevano qui solo un
gesto di pietà filiale di Gesù), i moderni, prolungando l’esegesi medievale, interpretano sempre più
questa scena dell’“ora” di Gesù come il momento della nascita della Chiesa e l’inizio della maternità spirituale della madre di Gesù. Qui infatti non si tratta solo di relazioni personali; nessuna delle
due persone presenti viene designata con il nome: è la loro funzione che conta, perché personificano due gruppi. Il discepolo amato rappresenta tutti i credenti. La madre di Gesù, chiamata “donna”
(cf. già 2,4) è l’immagine della “figlia di Sion”.
L’uso di categorie impersonali – “donna”, “figlio”
– contribuisce a “universalizzare” la scena e a renderla tipica, valida cioè per la Chiesa di tutti i
tempi. L’autore del Quarto vangelo codifica in questa piccola scena un’esperienza ecclesiale che già
godeva di non pochi decenni di vita, se accettiamo,
come sembra ragionevole, la datazione di questo
vangelo alla fine del I secolo: porre Maria come
“Madre” nell’atto stesso della morte di Gesù, che è
per Gv l’atto di nascita della Chiesa – lo spirito
emesso come ultimo respiro di Gesù e il sangue e
l’acqua dal costato sono per questo evangelista i
costitutivi della Chiesa, donati da Gesù nel momento supremo del suo “innalzamento” (cf. Gv 19,34) –
significa riflettere un’esperienza comunitaria nella
quale la maternità di Maria dovette essere avvertita
come elemento coessenziale dell’esperienza ecclesiale, insieme ai sacramenti e all’azione dello
Spirito. Senza poterne qui seguire lo sviluppo lungo la storia della Chiesa, va comunque almeno
segnalato che la presenza di Maria nell’esperienza ecclesiale segna profondamente il culto, la preghiera, la riflessione e la devozione dei cristiani nei secoli. Ne fanno fede le innumerevoli testimonianze letterarie ed artistiche facilmente accessibili.
Maria Madre della Chiesa nell’affresco di Subiaco
Tra queste testimonianze si può richiamare – una per tutte – la scena della maternità ecclesiale di
Maria, dipinta nel XIV secolo nella Cappella della Madonna del Sacro Speco a Subiaco. Mentre la
scena della maternità divina di Maria è antichissima – si incontra già nelle catacombe di solito in relazione all’adorazione dei Magi – quella della maternità ecclesiale della Vergine è più rara e tardiva.
La scena di Subiaco, dunque, rappresenta Maria incoronata che, in piedi tra due ali di folla, formata
da una dozzina di uomini alla sua destra ed altrettante donne alla sinistra, avvolge tutti con il suo
manto. È indubbiamente la “Madre della Chiesa”: le dimensioni gigantesche di Maria rispetto agli
altri personaggi – è alta più del doppio di loro – ne sottolinea le proporzioni teologiche; Maria, nella
gloria, è “protettrice” della Chiesa in cammino, che a lei si rivolge nella preghiera e dalla quale riceve aiuto premuroso. Le due schiere, maschile e femminile, non sono infatti rappresentate in ordine
sparso, ma si rivolgono verso il centro, verso Maria, con le mani giunte in segno di preghiera.
Dante, all’inizio dello stesso secolo, ne offre il miglior commento teologico: «... qual vuol grazia ed
a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali». La connessione tra la maternità divina e quella
ecclesiale di Maria è stata portata avanti anche attraverso la riflessione sulla Chiesa come “corpo di
Cristo”: «la Madre del Capo (…) è nello stesso tempo la Madre del corpo, perché capo e corpo
costituiscono l’unità dello stesso Cristo».
La maternità della Chiesa: Ap 12, 1-8
La maternità ecclesiale di Maria, tuttavia, non procede solitaria nella teologia e nella devozione
della Chiesa. Essa si incontra e si intreccia, già dall’inizio, con un’altra idea teologica: quella della
maternità della Chiesa stessa nei confronti dei cristiani. È un tema che ha ricevuto particolare sviluppo in epoca patristica e medievale e che è sfociato in alcuni testi importanti del Vaticano II. La
Chiesa è Madre in quanto genera i figli di Dio attraverso il battesimo, li nutre con l’eucaristia e la
parola, li irrobustisce con la pratica della carità. La maternità della Chiesa emerge con particolare
incisività nella simbologia del fonte battesimale come grembo verginale e fecondo.
Anche la maternità ecclesiale trova radici nel Nuovo Testamento, di nuovo nella teologia giovannea, che ha elaborato un’altra famosa pagina, nella quale la maternità della Chiesa è presentata in
modo drammatico: è il brano di Ap 12,1-8, dove si parla della “donna vestita di sole, con la luna
sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”; questa donna era incinta e gridava per
le doglie del parto; era insidiata da un enorme drago rosso (il diavolo, satana o il serpente antico),
che voleva divorare il figlio che stava per nascere; ma il figlio, appena nato, sfuggì al drago poiché
fu rapito verso Dio e il suo trono. La donna scappò nel deserto, dove fu protetta da Dio per tre anni
e mezzo.
È noto però che l’identificazione di questa “donna” percorre due linee interpretative: una ecclesiologica ed una mariologica. La linea ecclesiologica è corrente nel periodo dei Padri e nell’esegesi
moderna; la linea mariologica prevale invece nel Medioevo e nella liturgia. Alcuni esegeti oggi propongono di integrare le due interpretazioni, identificando la donna direttamente nella Chiesa e indirettamente in Maria. La Chiesa, in primo luogo: il travaglio della partoriente e il rapimento del suo
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neonato al trono di Dio non descrivono la nascita di Gesù a Betlemme, bensì il mistero pasquale,
ossia “l’ora” della passione e Risurrezione di Cristo; il “parto” è un modo figurato per rappresentare
la profonda angoscia che sommerse la comunità dei discepoli di Gesù quando il maestro fu loro
tolto dalla violenza del potere delle tenebre; il “rapimento” del bambino verso il trono è un’immagine plastica da riferirsi alla potenza del Padre che, liberando il Figlio dai vincoli della morte, lo fa
“rinascere” alla condizione gloriosa di risorto e gli conferisce la regalità universale; il figlio di Dio è
“rapito al cielo” (= glorificato) e la donna trova riparo nel deserto, dove è protetta (Dio protegge la
Chiesa nel suo pellegrinaggio terreno).
Ma la donna dell’episodio è in secondo luogo anche Maria: non è possibile che l’autore di Ap, che
se anche non è lo stesso del Quarto vangelo è però della medesima scuola teologica, non pensi
anche a Maria quando scrive Ap 12, dopo che già Gv due volte aveva chiamato Maria “donna” (Gv
2,4 e 19,26).
Nel momento in cui si riflette sulla maternità ecclesiale, in altre parole, non si può non pensare alla
maternità mariana, poiché Maria e la Chiesa non sono due realtà separate: Maria in un certo senso
“concentra” in sé tutta la Chiesa, ne rappresenta la madre ed anche il primo nucleo: è l’immagine del
popolo messianico, l’immagine della Chiesa fedele. Compendiando questa tradizione, il Vaticano II
inquadra Maria come “figura/typus” della Chiesa, poiché le offre «in maniera eminente e singolare
l’esempio della Vergine e della Madre» (LG 63; cf. anche n. 65); contemplando e imitando Maria, la
Chiesa, «per mezzo della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre, poiché con la
predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello
Spirito Santo e nati da Dio». Il testo conciliare, in questi densi passaggi, raccoglie una ricca eredità
patristica e medievale, della quale fanno fede le numerose citazioni nelle note. È su questa tradizione
che Giovanni Paolo II basa l’affermazione da cui siamo partiti: Maria come icona
perfetta della maternità della Chiesa.
«Per questo – nota Magrassi – nell’arte
carolingia spesso la figura di Maria ai
piedi della Croce è sdoppiata: accanto ad
essa è posta la figura della Madre Chiesa,
di cui Maria inizia e adombra la missione». Pur essendo quello della “doppia
maternità” un tema ecclesiologico e
mariologico di grande interesse, non possiamo qui seguirlo ulteriormente: piuttosto cerchiamo ora di mostrare come la
pratica del Rosario contribuisce a fare
crescere nel fedele l’esperienza di questa
doppia maternità e quale contributo offre
questa esperienza all’appartenenza ecclesiale.
Loreto
Testimonianze
C
he Loreto fosse gemellata con Czestochowa lo sapevo!
Ma che fosse della stessa “parrocchia” di Nazareth... no!
“La Santa Casa di Maria è divisa a metà: un
pezzo qui a Loreto e l’altro in Palestina!”. Padre Mauro con la sua voce vibrante e il suo
dolce accento bolognese vive questa frase con
la gioia negli occhi. Tutti attenti, noi pellegrini,
che, in questo 2 ottobre pieno di sole e pace,
tratteniamo nel nostro cuore parole che ci rendono felici di essere marchigiani. È il giorno
degli angeli custodi: i messaggeri dei desideri
di Dio! Quanti angeli intorno a noi, il cui volto
conosciamo bene perché lo stupore dell’incontro, avuto con loro, ci ha cambiato la vita! Grazie alla presenza di questi amici, che vogliono
il nostro bene, abbiamo riscoperto la modalità
per ritornare in noi stessi, convertendo il senso
di marcia della nostra vita, amando Dio! È perché ci sentiamo amati, è perché sentiamo di
La legge della relatività
e ... Maria!
essere nel cuore dei nostri “amici in Gesù”, che
possiamo riconoscere l’amore! e la madre dell’amore!
Il tempo dell’eternità, se così si può definire, lo
sperimentiamo quando siamo in compagnia
della Vergine Santa, quando la nostra mente, il
nostro cuore, la nostra voce sono all’unisono
rivolti al cuore di Maria, il tempo terrestre perde la sua scansione. La prima Ave Maria del
primo mistero è la stessa dell’ultima del ventesimo mistero che, con fede...
La sorpresa è quella di non stancarsi di pregare, di constatare che il tempo è letteralmente
volato: “ma davvero sono passate due ore?”
perché il tempo di Dio è l’eternità, e in quel
momento ha fatto irruzione nel nostro tempo!
Grazie padre Mauro, grazie Maria Pia, grazie Ilaria, grazie Roberta e Paolo, grazie “amici,
piccoli angeli di Dio”, che incontro nel cammino della vita, verso la Santa Casa: il Paradiso!
un abbraccio da Patrizia di Cagli
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Monti Lussari
Incontro regionale
del 18 settembre
U
n pullman più un furgone condotto
dall’amico Giorgio : questa è stata la risposta della parrocchia SS. Pietro e Paolo all’incontro regionale del Rosario avvenuto
sabato 18 settembre nel Santuario del Monte Lussari.
Un Santuario dove convergono, dalle tre
valli sottostanti, tre etnie, tre popoli: quello
germanico, dell’Austria, quello italiano e
quello sloveno.
La particolarità delle sante Messe sul Monte
Lussari è che sono trilingui. Tre popoli, che
nella storia hanno visto tante divisioni, riuniti insieme nella celebrazione eucaristica,
chiamati dall’unica Madre di tutti, Maria.
Una storia particolare, quella del Santuario,
che non vede apparizioni a persone come
tanti altri santuari ma… la leggenda vuole
che nell’anno 1360 un pastore, dopo aver
richiamato ripetutamente all’ovile il suo
gregge sparso sul pascolo in cima al monte,
non lo trovò più: le pecore non rispondevano al suo richiamo.
Le ritrovò poco dopo inginocchiate, in atteggiamento di adorazione, davanti a un cespuglio di pino mugo. Incuriosito, il pastore
guardò nel cespuglio e vi trovò una bellissima statua di Maria, in legno ricoperto d’argento, con Gesù Bambino in braccio.
L’indomani andò nella parrocchia di Camporosso, a valle, e raccontò al parroco l’accaduto, consegnandogli la statua. Il Parroco
la mise intanto in sacrestia, pensando al da
farsi. Il giorno dopo la statua non c’era più.
In cima al Monte, però, a quasi 1830 metri
d’altezza, al pastore si ripresentò la stessa
scena del giorno precedente: le pecore inginocchiate e, nel cespuglio, la statua di Maria.
Il pastore riportò nuovamente la statua al
parroco che, meravigliato, la chiuse a chiave in un armadio.
La storia si ripetè per la terza volta: la statua sparì dall’armadio per ritornare in cima
al monte.
Stavolta il parroco, riavuta la statua, informò subito il Patriarca di Aquileia, il
quale capì che Maria desiderava stare in cima a quella montagna. Il Patriarca ordinò
che in quel luogo venisse eretta una cappella a Lei dedicata e, subito dopo, iniziarono
tanti pellegrinaggi.
E così anche noi, sulle orme di tanti pellegrini che da 650 anni ripercorrono i sentieri
di quella montagna, siamo arrivati in cima
al Monte Lussari.
Buon gusto, quello di Maria, di voler essere
attorniata da splendide montagne che, a
causa del cattivo tempo, noi non siamo riusciti a vedere. Il paesaggio che si presentava ai nostri occhi era molto diverso da quello raffigurato sulle cartoline che trovavamo
nei negozi di souvenir: cielo coperto, gri-
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gio, nebbia e freddo. Eppure nel gruppo
c’era aspettativa, gioia…
Non eravamo saliti lassù per il paesaggio
ma per Lei, che ci ha chiamati per farci partecipi del mistero del Suo Figlio.
Faceva freddo, ed è stato ancora più piacevole stringerci in una stanza della canonica;
eravamo tanti, fianco a fianco: i più anziani
seduti, gli altri in piedi, accomunati da quel
desiderio d’incontro con Lei, come grani di
uno stesso rosario con lo stesso centro: Gesù Cristo.
Condividere la preghiera meditando i misteri gaudiosi, aiutati dall’ascolto della Parola di Dio che arricchisce la preghiera e ci
svela la vita di Nostro Signore: un rosario
lungo, dove il tempo si fermava con le riflessioni di Padre Mauro. Eppure alla fine è
sembrato così breve!
E poi il pranzo, il condividere la mensa, tra
chiacchiere, risa e buon vino: l’allegria di
chi ha incontrato l’Amore di Dio e lo condivide, lo mette a frutto.
E infine la Santa Messa… Eravamo in tanti
in chiesa, in silenzio, prima della Messa, il
silenzio “pieno” del Tabernacolo e della storia di Maria. Una bella osservazione di Padre
Mauro: “prepariamoci all’incontro con Gesù
nel silenzio, nel raccoglimento, in modo che
trovi in noi il “buon terreno” e poi, finita la
Messa, non scappiamo via subito, ma impariamo a gustare, a conservare…”.
Personalmente un ringraziamento a Maria
per tutte le grazie ricevute e per i fratelli e
le sorelle della parrocchia che, da seminarista, devo lasciare, per iniziare il servizio in
un’altra. Una sicurezza: Maria Madre che
mi accompagnerà.
Davide Zanutti
F
requento il Santuario di Fontanellato fin
da bambino e sono tornato proprio oggi per
ringraziare la Madonna dopo un lungo
periodo di malattia (è dallo scorso anno che
ho scoperto di avere un tumore; sono stato
operato a Parma e a Milano presso un centro specializzato). Ho sempre pregato la
Vergine durante questo difficile periodo e
l'ho sempre “sentita” al mio fianco, in ospedale e nei momenti di cupa disperazione; da Lei ho avuto quella grande serenità
che mi ha fatto superare senza ansia due
difficili interventi al rene.
Lo scorso 11 febbraio avrei desiderato essere a Lourdes, ma per motivi familiari non
sono potuto andare.
La Madonna mi ha però fatto un grande
regalo: quel giorno ho sperimentato la sensazione di essere stato avvolto – per un attimo – dal Suo Manto.
Ho scritto al riguardo una breve poesia che
propongo alla vostra cortese attenzione.
IL MANTO DI MARIA
Ascolta, o mio Signore,
accorato il canto
di colui che t’invoca
ricoperto di pianto.
Dal cuore con ardore,
grande più del mare,
sgorga una preghiera
tra l’aspro navigare.
La Vergine Santa
sempre al Tuo fianco,
m’accolga e protegga
col dolce Suo Manto.
Domenico De Marenghi
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DOMENICANI IN TURCHIA
La chiesa
del santo Rosario
di Alsancak
a Smirne
L
a presenza dei Padri Domenicani a Smirne risale all’inizio del XIV secolo. Il porto di
questa città era allora lo scalo obbligatorio di quei primi missionari che si recavano in
Persia, in Armenia, nel Caucaso e persino in Cina. Verso l’anno 1718 i domenicani della
regione del Naxivan (attualmente in Azebajan), situata tra la Persia e l’Armenia, fondarono a Smirne, con il permesso dei Sultani di Istanbul, un primo “ospizio” con una piccola
cappella, per l’assistenza dei numerosi correligionari e compatrioti armeni fuggiti dalla
loro patria dopo violente persecuzioni. Dopo la morte degli ultimi religiosi provenienti
dal Naxivan, nel 1811 i frati domenicani di Istanbul, di origine italiana, presero il loro
posto, e da allora la presenza di religiosi domenicani italiani è continuata fino ad oggi a
Smirne.
Prima di quei tempi, la storia ci tramanda la sporadica presenza di alcuni personaggi
degni di nota. Ricordiamone alcuni.
Il beato Venturino da Bergamo, domenicano, morì a Smirne il 28 marzo 1346, durante la
IV crociata. Si ignora il luogo della sua sepoltura.
Mons. Subiano, domenicano, Arcivescovo di Smirne tra il 1644 e il 1655, racconta, tra le
altre cose: “nel 1645 alli 10 di Febraro successe il famoso martirio di Fr. Alessandro da
Lugo dell’Ordine nostro, che era stato mio Compagno, e che da me mandato dalle
Smirne in Scio a predicare l’Advento, quale fu abbruciato a fuoco lento alla presenza di
quarantamila persone con giubilo della Chiesa Latina”.
Ancora più famoso personaggio, sebbene per tutt’altri motivi, fu padre Giovanni Battista
Boetti, anche lui domenicano, che soggiornò brevemente a Smirne. Esiste una lapide
commemorativa posta nella sua casa natale di Camino Monferrato sulla quale così è scritto: “In questa casa nacque il 2 giugno 1743 Giovan Battista Boetti, che sotto il nome di
Profeta Mansur, Sheikh-Oghan-Oolò, alla testa di ottantamila uomini, conquistò
l’Armenia, il Kurdistan, la Georgia e la Circassia e vi regnò per sei anni qual sovrano
assoluto. Morì nel 1798 a Solowetsk sul Mar Bianco”. La sua vita romanzesca si riassume in queste poche parole: fu frate domenicano, dongiovanni, medico, biscazziere, spia
di quattro nazioni, commerciante di armi, vescovo giacobita, riformatore dell’Islam, eroe
nazionale ceceno. Sconfitto dalle armate di Caterina II finì “piamente” i suoi giorni in
una prigione-monastero sul Mar Bianco.
Nel luglio del 1845 scoppiò un grande incendio che distrusse gran parte della città di
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Smirne. Anche la casa dei domenicani fu ridotta in cenere e andarono perduti tutti i documenti dell’archivio che riguardavano la storia della prima comunità armena. Dodici anni dopo, il padre
Clemente Adami comprò un terreno situato nella periferia della
città, detta allora la “Punta”, oggi Alsancak. Su questo terreno
venne costruita una chiesetta. I cattolici del quartiere, per la maggior parte di origine italiana e maltese, contribuirono a questa iniziativa. Sino al ’900, la comunità cattolica della ‘‘Punta’’ andò sempre più aumentando e si impose la necessità di costruire una chiesa
più grande. Il Padre Ilario Monti fu l’infaticabile realizzatore dell’attuale chiesa del Santo Rosario, aiutato anche questa volta dalla
generosità dei fedeli della “Punta”. In un solo anno, l’architetto italiano Rossetti edificò la chiesa.
La comunità levantina subì un forte calo a causa della Guerra
greco-turca che si concluse nel settembre del 1922 con l’incendio
della città di Smirne. Il grande incendio divorò quasi tutta la città.
In quei tragici avvenimenti si distinsero in modo particolare per
coraggio e dedizione i marinai della flotta italiana presente nella
rada di Smirne e la Croce Rossa italiana, che contribuirono a salvare migliaia di vite umane.
Le conseguenze dell’incendio furono terribili: sparirono in un sol
colpo i quartieri greci e armeni. Incalcolabile fu il numero delle vittime e dei profughi. La “perla del Mediterraneo” – come era definita la Smirne cosmopolita dell’800 – scomparve per sempre. La
chiesa e il quartiere della Punta si salvarono dall’incendio e diventarono il punto di riferimento dei resti della comunità levantina.
Un’altra dura prova, più vicina nel tempo, fu il terremoto del 1974.
L’edificio della chiesa, appena rimesso a nuovo con restauro generale, fu seriamente danneggiato dal terremoto del 1º febbraio del
1974. Dopo il sisma, la chiesa si presentava come se avesse subito
un bombardamento. Di terremoti ne aveva già sopportati tanti, ma
questo fu il più grave, tanto che il campanile originale della chiesa
dovette essere abbattuto. Ma non era l’ultimo terremoto. Infatti,
appena terminati, con grandi sacrifici, i restauri, ecco le altre scosse
del 9 e 16 dicembre del 1977 che causarono ancora gravi danni.
La Comunità Domenicana che serve la parrocchia del S. Rosario di
Alsancak è formata da padre Giulio Battolla, 84 anni, in Turchia
dal novembre del 1960; fra Paolo Ronco, 67 anni, in Turchia dal
luglio del 1975; padre Alpaslan Balcier (padre Stefano Negro)
(italo-turco), 62 anni, in Turchia dal febbraio del 1976, padre
Giovanni Bertelé, 57 anni, in Turchia dal dicembre 2004. E in tutti
questi anni sono sempre stati felici di incontrare e di conoscere i
connazionali italiani che, per lavoro o per altri motivi, hanno fissato, anche se solo temporaneamente, la loro residenza a Smirne.
Padre Giovanni Bertelè
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In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto
per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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