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A pregare si impara pregando
Pregare la Parola
(Annina e Giampaolo Martinelli)
Monza, 4 marzo 2012
La prima citazione nel titolo è di S. Teresa d’Avila che nel suo Cammino di perfezione recita: "Certo
bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare
camminando".
La seconda, "Pregare la Parola", è il titolo di un libro di Enzo Bianchi del 1974.
Il Card. Martini nelle sue catechesi ha ampiamente fatto ricorso a questi concetti, per cui noi li
abbiamo sempre associati alla sua figura.
Chi siamo
Siamo stati indegnamente chiamati a proporre la nostra riflessione sulla preghiera di coppia.
Non essendo teologi ed esperti di preghiera, siamo stati costretti a ripercorrere il nostro
cammino personale ed a confrontarci per capire meglio cosa sia questa ospite a volte
sconosciuta della coppia: la preghiera!
Siamo Annina e Giampaolo, e siamo nati e cresciuti a Varese (Gp è in realtà nato nella
campagna bresciana). Siamo sposati da 39 anni, dopo uno e mezzo di fidanzamento, ed
abbiamo un figlio, Tommaso, laureato da 6 anni in Scienze della Formazione, Fotoreporter
per tre anni per il quotidiano locale ed ora in cerca di una occupazione stabile (definitiva pare
che non esista più) nel mondo della fotografia, dei siti web e della grafica che lo hanno
sempre appassionato. Sui suoi destini crediamo di condividere con molti di voi un po’ della
nostra fedeltà alla preghiera.
Annina è educatrice e, dopo ventidue anni di lavoro, è stata "costretta" a rimanere a casa per
occuparsi con più serenità della crescita di nostro figlio. Ha continuato comunque ad
occuparsi di bambini piccoli – dai neonati fino a 2-3 anni – curando quelli degli altri, di cui si
“innamora” regolarmente.
Giampaolo è in pensione da quasi tre anni, dopo 40 anni di lavoro, iniziato come geometra, e
proseguito per molti anni nel mondo dell’informatica, dove è rimasto fino ad ora, passando
per Olivetti ed altre aziende del settore.
Dal 1973, pochi mesi dopo il matrimonio, siamo entrati a far parte del Movimento delle
Equipes Notre Dame.
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Nelle END, come tanti di voi, abbiamo accettato di svolgere alcuni “servizi”, in funzione della
situazione personale, di coppia e famigliare, che di volta in volta vivevamo. Non avremmo
potuto portarli avanti senza il sostegno della preghiera nostra ma, crediamo anche di tanti
fratelli come voi. Ricordate ad es. che tra i compiti della CRE c’è anche quello di prendersi a
carico la propria equipe con la preghiera. E dato che l’equipe è fatta anche di CS, il nostro
Consigliere Spirituale di Regione don Roberto Rossi, ci chiedeva: "Vi ricordate di pregare per
il vostro CS?".
Intravediamo quindi una prima pista di riflessione sulla preghiera: ho bisogno, ed allora a chi
mi rivolgo? Oppure: qualcuno è nel bisogno e cerco di "dargli una mano" con questa
vicinanza misteriosa che travalica ogni ostacolo e differenza. Pregare per un altro non
realizza forse un pezzettino di quel Credo che parla della "Comunione dei Santi?" Non dà
visibilità a quello che S. Paolo chiama il "corpo mistico" della Chiesa, nella quale ciascuno
collabora al bene di tutti proprio rimanendo al proprio posto e nel proprio ruolo!
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Serve pregare?
E’ una domanda che ci troviamo a fare quando abbiamo sperimentato la risposta. Negativa
ovviamente.
Una realtà che ci ha sempre affascinato e, se volete, anche "incuriosito" e spaventato,
riguarda i canali attraverso cui la preghiera può giungere a destinazione ed ottenere,
diremmo, "il suo effetto". E poi: come si misura questo effetto? Abbiamo fede sufficiente per
capire la sua efficacia? Siamo all’altezza di dire "Signore non sono degno, ma di una parola
…" per sentirci rispondere: "ecco: la tua fede ti ha salvato" ? Il quesito è certamente retorico
e anticipiamo subito che non siamo in grado di rispondere. Ci facciamo aiutare a riflettere da
Pere Arnaud Gautier che nella lettera agli Intercessori di Gennaio 2012 dice così:
‛’ L’efficacia della preghiera di domanda è uno dei grandi problemi che spesso minacciano la fede di
molti cristiani. Quali sono i termini del problema? Se la mia preghiera è efficace, come può essere che
non sia esaudita? E se non è efficace, allora a che scopo pregare? Il problema soggiacente è quello
dell’influenza della preghiera sulle "decisioni di Dio". Questo grave interrogativo è dovuto ad una
errata concezione, o più precisamente, ad una concezione pagana della preghiera. Nelle religioni non
rivelate, la preghiera ha come scopo quello di attirare i favori divini perché un dio esaudisca delle
richieste. E per captare così i poteri celesti tutto può servire: sortilegi, offerta di cibi, di animali e
anche di esseri umani. La preghiera cristiana è tutt’altro. Non si tratta di captare i poteri divini perché
compiano la volontà di chi prega, fosse anche obiettivamente buona. Al contrario, attraverso la sua
preghiera, il credente entra nei pensieri e nei progetti di un Altro. [….] Bisogna passare da un mondo
dove io sono il centro, dove tutto gravita intorno a me, dalla mia percezione del mondo e della mia
volontà, a un mondo dove Dio è il centro e io devo liberamente consentire a "gravitare" intorno a lui.
Tuttavia, il problema è risolto solo in parte, perché, se Dio è effettivamente il centro e la sorgente di
tutto, in che cosa ha bisogno della mia preghiera? [….] Dopo di che: "La preghiera ottiene ciò che Dio
aveva da tutta l’eternità deciso di compiere attraverso di lei. [….] Quando santa Geneviève pregava,
ella non fa pressione su Dio. Ella mette a disposizione di Dio il mezzo con il quale Dio aveva deciso
di salvare Parigi, cioè la preghiera di questa umile donna." (Père Caffarel). ‛’
Vorremmo quindi, con la nostra riflessione, che queste domande, più che trovare risposta,
diventassero superflue. Se tutto si riducesse ad un bilancio di entrate/uscite sarebbe troppo
facile ma anche troppo riduttivo. La preghiera non è solo richiesta! Non è solo causa/effetto.
Anzi, in certi momenti di aridità della nostra vita chiediamo proprio che questo non avvenga,
perché se ottenessimo in base a quello che siamo in grado di chiedere ….!
Padre Cantalamessa tempo fa scriveva su Avvenire che dobbiamo imparare ad esercitare il
discernimento per saper distinguere tra le cose “urgenti” e quelle “importanti”.
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In tempi in cui tutti hanno poco tempo, si rischia di rincorrere le emergenze solo perché
hanno una scadenza, dimenticando di dedicare il tempo necessario alla preparazione per
affrontarle bene. Così può capitare con la preghiera: vi sono sempre cose "più urgenti da
fare" e l’obiezione che possiamo ascoltare più facilmente è "non ho tempo".
San Filippo Neri (se ricordiamo bene) diceva “oggi ho tante cose da fare che, se non imi alzo
due ore prima a pregare, non riuscirò a combinare nulla”. E noi? Chiediamo il discernimento
sulle cose “importanti” per intervenire con amore nelle cose “urgenti”?
Abbiamo voluto dare il titolo a questa riflessione con le due citazioni di "Martini-S.TeresaEnzo Bianchi" perché per la nostra vita di coppia sono state significative e di aiuto su come
iniziare a pregare in coppia. Per noi è stato un cammino lungo ed anche difficile. Anche la
preghiera, come la vita di coppia, è un cammino, che deve iniziare e che non può mai dirsi
concluso o perfettamente realizzato.
Ci piace completare il titolo di questo incontro, proprio per incoraggiare tutti, e soprattutto noi,
con Padre H. Caffarel che diceva in una lettera dei suoi “Cahiers sur l’Oraison” del 1967:
"Volere pregare è pregare [ ….] Questa formula, io lo so bene, ha la capacità di irritare i nostri
contemporanei che hanno la superstizione della spontaneità. Ai loro occhi, tutto ciò che si impone a
sé stessi è artificiale, convenzionale e posticcio".
Vedremo che non solo quello che è spontaneo e istintivo è vero! Ai fidanzati ricordiamo
sempre, ad es. di riflettere sulla differenza tra "innamoramento" (spontaneità, istintività) e
"amore" (che è il risultato di volontà, ragione, impegno, sacrificio …).
Cercheremo, con l’aiuto anche di chi ha studiato il tema e ci ha aiutato ad entrare nella
"Dimensione contemplativa della vita" (Lettera pastorale del card. C.M. Martini, 1980), di
ripercorrere qualche tappa del nostro tentativo di essere coppia che prega, per (ri)trovare
l’origine della preghiera, con la sua motivazione, per viverla con affetto e per non perderne il
significato e l’orizzonte, cioè "dove ci deve portare".
C.M. Martini invita alla preghiera con il silenzio: "All’inizio c’era il silenzio, poi Dio parlò". Noi
siamo l’eco di quella Parola di Dio, siamo il risultato di quel "Dio disse …". La preghiera di
Dio è la sua Parola, quella che genera vita, quella che possiamo pregare anche noi.
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Preghiera e Spiritualità
Il nostro Movimento propone un cammino di “spiritualità coniugale” per giungere alla
“santità”, attraverso la condivisione del proprio vissuto con altre coppie, per crescere e
tendere insieme felicemente a Dio. Padre Caffarel diceva che se le END non portano la
coppia a ricercare la santità, non servono a nulla.
Sappiamo che la parola “spiritualità” potrebbe spaventarci o allontanarci: come capitò a S.
Paolo sull’Areopago: "… Su questo ti sentiremo un’altra volta!". Ma noi non vogliamo
spaventare, anzi vogliamo incoraggiare! ......
Perché sappiamo che vuol dire, semplicemente, che cerchiamo di vivere la vita quotidiana
secondo lo Spirito del Vangelo – ecco tradotto il termine spiritualità -, aiutati come coppie ecco perché è coniugale -.
Non ci spaventi inoltre la parola “santità”, perché questa ci viene proposta in associazione
all’idea di cammino. Quindi tutti possiamo aspirare alla santità se ci mettiamo “in cammino
verso”. La preghiera dei Salmi, tanto cara a tutta la Chiesa, ricorre spesso all’immagine del
cammino, che è particolarmente adatto a indicare la vita umana. Il Salmo 23 (quello che
inizia con "Il Signore è il mio pastore") recita "Il Signore mi guida per il giusto cammino" e
non trascura la "paura di non farcela" perché sa che il cammino può essere difficile, allora
incoraggia: "se dovessi entrare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei
con me!".
La vita e la gioia
La santità è quindi una proposta di vita nella gioia, "perché tu sei con me". Ci piace riproporvi
brevemente a questo proposito l’incontro con il Card. Martini di E.I. riunita lo scorso
novembre a Gallarate presso l’Aloysianum dove ora egli risiede. Rileggiamo dal resoconto di
E.I. che trovate sulla Lettera END 166:
" Stiamo lavorando intorno ad un quadrato di tavoli, sono circa le dieci del mattino, quando la porta
della stanza si apre ed entra padre Serafino dicendo “ Scusate, c’è qui una persona che vorrebbe
salutarvi.” Su di una sedia a rotelle spinta dall’amico gesuita entra il Cardinale Martini, che con un
gesto delle mani ci saluta. Serafino ci spiega che ha difficoltà notevoli a parlare, ma lui con dei gesti
tremanti, sembra manifestare la volontà di farlo. Riesce a sussurrare con un esilissimo fiato che quasi
non si può dire voce :” Voi volete essere santi nel matrimonio!” e ancora “ Siate gioiosi, sempre. La
Chiesa deve essere gioiosa!.”
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Passano tre minuti indimenticabili, così nel silenzio: noi in piedi lo guardiamo commossi, e lui guarda
noi con le mani appoggiate sul bastone, che oscilla per il tremito. Poi ad un tratto, soffia ancora lo
Spirito attraverso quel corpo disobbediente, e bisbiglia “ Vi benedico”. Solleva come può il braccio
nel gesto della croce e benedice le nove coppie con i due preti, e tutto il Movimento che conosce
bene."
Ci sembra che nelle due uniche frasette che il "nostro" cardinale ha voluto (potuto!) dirci, sia
riassunto tutto il significato del nostro essere coppie cristiane in equipe: Siamo coppie che
credono in una santità possibile; siamo coppie che credono in una santità "nel matrimonio"
(non "nonostante" o "a causa del" matrimonio); siamo coppie cristiane che in questo
cammino "verso" la santità (non "di" santità ...) stanno con i piedi per terra, vivono e
testimoniano la gioia.
In questo cammino, la preghiera non è il "segno" della santità, di una "condizione acquisita",
quasi che bastassero un po’ di preghiere per essere santi. La preghiera è invece lo
strumento, l’aiuto, per camminare "verso" (la santità). É la premessa indispensabile, ma non
esaurisce il nostro essere con Dio. E’ curioso che il Cardinale non ci abbia detto "pregate"
ma: "siate gioiosi". Evidentemente se "prima" viene la preghiera, si vedrà per forza la gioia,
ed anche la gioia delle opere che la preghiera può generare. La Chiesa, per la quale il
"nostro cardinale ora vuole "solo pregare" (come afferma nelle sue "Conversazioni
notturne"), ha bisogno di questa gioia testimoniata.
Ricordo anche una mia zia, morta ormai da tanti anni, una persona semplice ed umile,
vissuta sempre in campagna con sette figli ed il marito (un uomo retto, ma spesso freddo e
autoritario). Mi disse che quando apprese, all’ospedale di Brescia, il risultato delle analisi del
marito per un tumore ai polmoni senza scampo, si sentì persa, come morta. Non sapeva più
cosa fare e pensare della propria vita e del futuro. Poi, mi disse, "Sono andata in chiesa a
pregare, mi sono confessata, ho fatto la comunione e mi sono riconciliata con Dio e con la
vita, ora sono convinta che il Signore non mi abbandonerà". Commuove ancora il ricordo di
tanta fede, ma soprattutto della potenza della preghiera e della pace - della gioia - che può
generare pur in situazioni umanamente senza scampo e senza speranza.
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Preghiera e Orazione
Anche le parole hanno la loro importanza.
Proprio su queste Caffarel ha tenuto numerose conferenze ed ha scritto molto per chiarirle
bene. La preghiera è il cammino che porta verso quella che egli chiama "Oraison",
l’Orazione, ciòè quella dimensione interiore che ci fa vivere ogni momento della
giornata rivolto a Dio.
La preghiera è un atteggiamento umano che incontriamo anche al di fuori della storia del
Popolo di Israele. Già tra i pagani, i greci, gli egiziani, si usava la preghiera per chiedere,
interrogare, supplicare, invocare, ma anche per ringraziare lodare, e benedire (dire-bene).
Non possiamo certo negare che questi atteggiamenti possano definire anche la preghiera
che stiamo cercando di scoprire noi.
L’Orazione per Caffarel è la dimensione dell’uomo completamente davanti a Dio.
Crediamo che non esistano ricette o modi "giusti" o "sbagliati" per pregare. Cristo ha pregato
soprattutto nel silenzio e nel deserto e ci ha insegnato poche cose indispensabili su come
pregare il Padre che egli conosceva bene.
Perché pregare con le "formule"
«Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli
angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro
ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo
nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando poi, non sprecate parole
come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro,
perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate». (Mt. 6, 5-8)
La preghiera è la ricerca della vicinanza e della benevolenza del nostro Dio. Sembrerebbe
però che, stranamente, Gesù stesso ci dica che è inutile pregare. Se il Padre sa già di cosa
abbiamo bisogno, allora perché pregare? Noi crediamo sia perché Dio vuole la relazione con
noi, vuole parlare con noi. Egli stesso lo ha fatto in quel modo misterioso che i profeti hanno
fatto echeggiare nell’Antico Testamento e lo ha fatto soprattutto parlandoci direttamente e di
persona attraverso Gesù Cristo. Non ci vuole più "in ginocchio", ma ci vuole "vicini". Noi, non
sapendo bene come essergli vicini, abbiamo imparato alcuni gesti convenzionali e gli
abbiamo detto: ecco, quando sono il questa posizione, in questo luogo o quando dico queste
cose, sappi che ti sto pregando. Ci inginocchiamo e recitiamo formule per dare evidenza alla
nostra disposizione di preghiera.
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Nelle religioni orientali, tra cui ad es. nella tradizione induista, la preghiera più profonda si
esprime, o si riduce, alla recita dell’OM (o AUM), che è il suono primordiale, il tentativo di far
risuonare in tutto il proprio essere la presenza della divinità per diventare con essa un
tutt’uno. Certo, è una tecnica e non una meta, però rende bene il significato della preghiera
interiore, quella che viene anche chiamata meditazione. Forse quella che Caffarel chiama l’
"Orazione" è questo echeggiare che cerca di esprimere la propria compenetrazione con Dio.
Noi usiamo degli strumenti, delle "convenzioni", ma quello che Gesù vuole nella preghiera, è
che lasciamo a Lui di essere l’attore. Noi dobbiamo solo dimostrare che gli prestiamo
attenzione. Il nostro "OM" è la dichiarazione che siamo li, attenti e disponibili solo a lui.
Pregare – se Gesù ci passa questa immagine – è da parte nostra solo uno spalancare la
finestra, affinché entri il Sole, Lui stesso. La nostra azione di aprire la finestra è tutto quanto
serve affinché Lui possa entrare.
Vi sono alcune condizioni che vanno rispettate per permettere al sole di entrare.
Per primo, il nostro gesto deve essere coerente con la richiesta del Signore: se
spalanchiamo la finestra in piena notte, il sole non potrà entrare. Se apriamo solo la finestra
della bocca per "recitare "e preghiere" ma non spalanchiamo il cuore alla Grazia, il Signore
potrebbe non farsi sentire.
Ci deve essere una concordanza tra i nostri gesti e le parole per accogliere la promessa di
Cristo che dice: " il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno". Egli sa di cosa abbiamo
bisogno, ma dobbiamo mostrarci, metterci a nudo, offrirgli la possibilità di entrare dentro di
noi. Sarà il suo calore, la sua Grazia, che ci riscalderà, proprio là, dove Egli sa che ne
abbiamo bisogno.
“Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà" (Os. 6.1) e’ l’invito
accorato di Osea al suo popolo a far penitenza dopo essersi allontanato da Dio: Egli ci ha
straziati ("ha permesso che fossimo straziati"), perciò Egli sa dove possiamo essere guariti.
Le formule da recitare, anche quelle ripetitive, che noi abbiamo a volte evitato per trovare
"qualcosa di più vero", "qualcosa che senti dentro", ci possono venire in aiuto.
Riconoscendo la nostra incapacità a generare il calore necessario nella nostra casa, ci
poniamo in atteggiamento umile, quello della preghiera per l’appunto, quella che ci porta a
spalancare la finestra all’ora giusta.
Le formule ripetitive possono diventare il nostro gesto, piccolo ma efficace, che spalanca la
finestra.
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Tanti anni fa, durante un ritiro predicato dall’attuale Vicario per la vita Sociale mons. Eros
Monti (allora era CS di equipe) una equipier chiedeva cosa dovesse fare durante la veglia di
adorazione, quali preghiere fossero più adatte per non "sprecare" la sua ora notturna davanti
al Santissimo. Don Eros disse: non serve dire e fare nulla, fa tutto Lui. Come fa tutto Lui ?
Mettiti davanti a Lui come davanti al Sole: è lui che ti riscalda. Tu devi solo essere disposta a
farti abbronzare dal suo calore. Tu devi solo aprire la finestra, uscire all’aperto.
A volte è sufficiente "esserci", essere lì. Come ad un evento importante, come ad un
concerto dove si rappresenta una sinfonia di Beethoven per poter dire: "Io c’ero!" - "Cosa
facevo?" - "Ero lì; ero lì per te, ero lì per Lui e Lui mi ha parlato". Vedete allora che non
conta ciò che "io ho detto", ma ciò che "Lui dice", la musica che suona per noi. Nella
preghiera ci è chiesto solo di "esserci": per ascoltare.
"Volere pregare è pregare" dice Caffarel. Perché nella preghiera non è importante ciò che
diciamo noi, ma quello che dice Lui.
Noi due stiamo vivendo un periodo di difficoltà nello stare vicini a nostro figlio, anzi nella
necessità di staccarci un po’, di lasciare che la freccia scoccata segua la sua traiettoria (K.
Gibran), per lasciare spazio alla sua crescita affinché sia artefice del proprio destino. Da anni
preghiamo affinché le cose cambino, affinché "si sistemi" (quale genitore non lo ha detto, o
almeno pensato, almeno una volta?). Se dovessimo stare ai "risultati" potremmo aver perso
la fede da tempo.
In realtà, ci siamo accorti che abbiamo continuato a chiedere al Signore di "cambiare le
cose", di "cambiare nostro figlio". Abbiamo sempre pregato con l’aspettativa di un ritorno
corrispondente al nostro impegno. Non è facile accettarlo. Ora cerchiamo di pregare per
accettare ciò che non sempre dipende da noi. Abbiamo imparato a pregare per un "nostro"
cambiamentoi, ad invocare lo Spirito per illuminare le nostre menti ed i nostri cuori. Nelle
scorse settimane la liturgia ambrosiana leggeva durante la settimana i libri sapienziali. Li
avevamo sempre intesi come una raccolta di detti e di proverbi per generare buoni
sentimenti. Abbiamo scoperto ora che la Sapienza, con S maiuscola, è il vero dono che
dobbiamo chiedere, quello che fa dire a Salomone "Per questo pregai e mi fu elargita la
prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai
un nulla la ricchezza al suo confronto," (Sap. 7, 7-8)
9
Pregare con il cuore e la mente: l’Orazione
Riprendiamo la riflessione sul tema dell’Orazione tanto cara a Caffarel.
L’orazione, letteralmente: l’azione della bocca, quella che si esprime nella parola.
L’orazione è quella dimensione della vita che porta a far affiorare alle nostre labbra tutto ciò
che è stato interiorizzato. E’ quando la parola entra in sintonia con l’azione. Quando "non
vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal. 2,20).
Per Caffarel, l’orazione è il luogo privilegiato dell’incontro con il Cristo. E’ talmente
imprescindibile per noi coppie cristiane che arriva a dire: «Tutto sta nel sapere se è vitale
mangiare, tutto sta nel sapere se è vitale pregare» (Lettera Novembre 1952).
Su L’Anneau d’Or del maggio-agosto 1967 dice ancora: "Perché per il Cristo, vivere è pregare.
Raggiungetelo; afferratelo, appropriatevi della sua preghiera. Oppure – i termini che ho appena
impiegato mettono troppo l’accento sulla vostra attività – lasciate questa preghiera prendervi,
invadervi, sollevarvi e trascinarvi verso il Padre. Non vi prometto che la percepirete; vi chiedo
solamente di crederci e durante l’orazione, di darle, di rinnovarle la vostra intera adesione.
Lasciatele il posto, tutto il posto. Che possa impadronirsi di tutte le fibre del vostro essere, come il
fuoco penetra il legno e lo rende incandescente. Pregare è esaudire la richiesta che Cristo ci rivolge:
“imprestami la tua intelligenza, il tuo cuore, tutto il tuo essere, tutto quello che nell’uomo è
suscettibile di diventare preghiera, in modo che possa fare risorgere da te la grande lode del Padre.
(.....). La nostra cooperazione consiste ancora nel ricercare, con tutta la nostra intelligenza, di cosa è
fatta la preghiera di Cristo in noi, tutti i suoi componenti: lode, azione di grazia, offerta,
intercessione… in maniera di integrarle perfettamente. Mi chiedete dei temi per la meditazione, non
ne conosco di migliori".
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Pregare in coppia: è possibile?
Abbiamo messo questo paragrafetto per ultimo perché, pur non essendo fondamentale la
nostra personale esperienza - può valere solo per noi due – serve a ricordare che ciascuno
può trovare il proprio modo di pregare in coppia. Non siamo qui a dirvi come siamo bravi,
anzi per noi pregare è sempre stata una conquista e sperimentiamo anche l’infedeltà. Perché
ciascuno ha i suoi tempi ed i suoi ritmi. Ne parliamo allora perché noi due abbiamo vissuto
per anni con profondo senso di colpa la difficoltà a dar voce ad uno degli impegni che ci
veniva chiesto proprio in quanto equipier: la preghiera di coppia.
Quando ci si confronta in coppia è facile, considerando il cammino che ciascuno ha fatto,
fare paragoni o considerazioni su chi è più avanti e deve "aspettare" chi è più indietro. In
realtà siamo sempre appaiati, perché l’unica unità di misura che conta è il tempo, che nella
coppia scorre uguale per entrambi. Siamo entrambi sullo stesso treno della vita e viaggiamo
quindi alla stessa velocità, la velocità della coppia, che è l’unica velocità possibile. Quando si
accettano e si codificano velocità diverse la coppia si stacca e si abitua a viaggiare separata.
Nella nostra personale esperienza abbiamo fatto fatica a capirlo, fino a quando, durante il
DDS di una giornata di ritiro, ci siamo annotati sul "libretto di coppia", provvidenzialmente
regalatoci dalla CRS, un impegno concreto e condiviso. Questo impegno era la preghiera di
coppia. Ma come fare, visto che tutti i pensieri, i concetti ed i preconcetti reciproci ci
ricordavano che per noi era impossibile metterci a pregare assieme?. Abbiamo deciso di dar
retta al card. Martini (che attingeva in realtà, come richiamato all’inizio, a S. Teresa d’Avila e
ad Enzo Bianchi). Abbiamo accettato il consiglio di imparare a pregare pregando. Iniziando.
Ma come? Abbiamo pensato di iniziare a pregare la Parola perché, diceva il cardinale, la
Parola genera vita di per sé, è Cristo stesso (il Verbo di Dio, la Parola di Dio) che penetra
dentro di noi. Va solo accolta senza mediazioni, anche senza commenti (almeno per i primi
tempi, ma negli anni non ne abbiamo sentito spesso la necessità), perché la Parola è quel
sole cui ci esponiamo attraverso la finestra del nostro cuore.
Abbiamo così imparato, ogni mattina, appena alzati, a leggere le letture del giorno.
Quando lavoravamo ancora in due, avendo tempi diversi, leggevamo a volte separatamente.
Quel libro, con i suoi segnalibri lasciati per chi leggeva dopo, ed il commento che ne
facevamo a volte la sera, è diventato con gli anni, ed è tuttora, il segno della nostra coppia
davanti a
Signore. Anche quando le cose fra noi non sono proprio tutte a posto, non
rinunciamo a questo incontro. Sappiamo che ciascuno ne fa tesoro per sé. Sappiamo che
un’altra Persona entra ogni giorno nella nostra cucina e ci espone entrambi alla sua voce. E’
diventata un’abitudine. Anche quando andiamo in viaggio, ed in questi anni con E.I. ci è
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capitato spesso, la Parola ci accompagna. Uno guida, l’altra legge. Come ci accompagna
sempre, anche fuori casa, magari in pizzeria, l’abitudine di fare almeno un segno di croce
prima di prendere il pasto.
Vista la capacità insospettata di mantenerci fedeli all’appuntamento quotidiano con la lettura
della Parola, abbiamo pensato di "costringerci" ad una scelta un po’ più impegnativa. Non
tanto per il tempo o la frequenza che ci avrebbe richiesto, ma per il senso e l’importanza che
avevamo intuito, ma compreso meglio nel seguito con la pratica quotidiana. Se non ci
bocciate subito come "bacchettoni" – temevamo anche noi il rischio di questo atteggiamento
– proviamo a suggerire anche a voi questo impegno. Sappiamo che diversi equipier già
hanno aderito alla bella proposta delle END di realizzare una profonda comunione nel
Movimento attraverso la preghiera. Conoscete sicuramente il Gruppo degli Intercessori.
Sono equipier come noi che dedicano un’ora al mese alla preghiera per gli altri equipier, e
non solo essi. Che bello! Sapere che anche in questo momento, in questa ora, qualcuno sta
pregando per noi! Si, perché l’idea, proposta agli equipier di tutto il globo, è stato pensata in
modo da avere continuamente, durante le 24 ore, qualcuno in preghiera. Una lampada che
brucia in continuazione senza spegnersi mai. Un falò incessante di preghiere che sale al
Cielo. Chissà quante volte la nostra vita ha beneficiato di questa Grazia continua che tanti
equipier alimentano in ogni ora di ogni giorno!
Un’altra esperienza che ci ha in qualche modo sorpreso per la nostra capacità di farlo
assieme, è quella del rosario. Dopo i divertenti rosari cui partecipavamo da giovani nelle sere
del mese di maggio per le strade del quartiere, soprattutto per le piacevoli occasioni di
incontro tra ragazzi, il rosario era poi diventato sinonimo di "vecchiette", di una sorta di lagna
per chi non sa dire altro.
Anche qui, la nostra difficoltà, il pudore reciproco di scoprirci con preghiere spontanee, ci ha
fatto scoprire questo modo di essere insieme nella preghiera.
Il rosario non richiede di pensare intensamente a ciascun Pater-Ave-Gloria. E’ difficile
rimanere concentrati sul significato di parole ripetute per 60 volte. Il rosario è diventato il
nostro semplice "essere lì, per pregare". E’ una convenzione che ci siamo dati per dire a noi
stessi ed al nostro Signore: "eccoci, siamo qui, non sappiamo dire altro, tu sai cosa c’è nel
nostro cuore e ad ogni preghiera che recitiamo tu sai che siamo qui per questo". Noi
abitiamo vicino al Sacro Monte di Varese e quando abbiamo un paio d’ore ci diciamo:
andiamo a fare una "cappellata?" Sappiamo entrambi che vogliamo percorrere le cappelle
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della Via Sacra perché abbiamo bisogno di pregare. Ecco: abbiamo imparato a "sentire il
bisogno" di pregare!
Mentre si recita il rosario il pensiero è libero di vagare su ogni argomento della nostra vita.
A volte, prima di iniziare il rosario, ci diciamo: preghiamo per questo o per quella? A volte
invece lasciamo che ciascuno pensi ad una intenzione che sente particolarmente sua. Però
siamo lì, insieme, e insieme preghiamo e sperimentiamo che "dove sono due o tre riuniti nel
mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Mt, 18,20).
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