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la morte cardiaca improvvisa: quale ruolo l
UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
FACOLTA‟ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
SEDE DIDATTICA VALLO DELLA LUCANIA
Tesi di Laurea
LA MORTE CARDIACA IMPROVVISA: QUALE
RUOLO L‟INFERMIERE?
(AREA FORMATIVA: INFERMIERISTICA)
RELATORE
CANDIDATO
Chiar.mo Prof. Dr.
Stefania Feola
Apolito Antonio
matricola 597/2788
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
1
LA MORTE CARDIACA IMPROVVISA: QUALE
RUOLO L’INFERMIERE?
2
INDICE
3
INDICE
Introduzione.................................................................................. pag. 6
Capitolo 1 - LA MORTE CARDIACA IMPROVVISA
1.1 Cenni storici………………………………………………………………pag. 9
1.2 Epidemiologia – casistica extra-ospedaliera……………………………. pag.10
1.3 Caratteristiche cliniche e prognosi……………………………………… pag.14
1.4 Aspetti psicologici della morte improvvisa……………………………. pag. 19
Capitolo
2-
LA
DEFIBRILLAZIONE
PRECOCE:
OPPORTUNITA’
CONCRETA PER L’INFERMIERE
2.1 La catena della sopravvivenza………………………………………….. pag. 23
2.2 Defibrillatore: uso ed etica……………………………………………….pag. 25
2.3 Defibrillazione ai laici: l‟importanza del DAE…………………………..pag. 29
2.4 Il pubblico accesso alla defibrillazione…………………………………. pag. 34
Capitolo 3 – RUOLO E RESPONSABILITA’ DELL’INFERMIERE
3.1 Autonomia e competenza in Area Critica………………………………..pag. 40
3.2 Formazione dell‟infermiere in Area Critica……………………………...pag. 41
3.3 Aspetti medico- legali nel soccorso……………………………………. pag. 47
4
Capitolo 4 – L’ INFERMIERE E ILSUO VISSUTO DI MORTE
4.1 L‟esperienza della morte del paziente in emergenza/ urgenza…………...pag. 54
4.2 Il rapporto con la famiglia………………………………………………..pag. 57
4.3 L‟esperienza della perdita in emergenza/ urgenza……………………….pag. 59
Conclusioni …………………………………………………………………..pag. 63
Bibliografia …………………………………………………………………..pag. 66
5
INTRODUZIONE
6
INTRODUZIONE
La morte cardiaca improvvisa rappresenta un tema oggi più che mai attuale, tuttavia
ancora poco adeguatamente discusso nell‟ambito della prevenzione socio-territoriale.
Si tratta di un‟evenienza imprevedibile, e forse la più terribile in termini di tempo a
disposizione per rianimare la vittima; essendo caratterizzata da perdita repentina
della coscienza e perdita delle funzioni vitali, entro pochi secondi dall‟insorgenza dei
sintomi acuti.
Sebbene nuovi metodi e campagne di prevenzione abbiano notevolmente ridotto
negli ultimi anni la morbilità e mortalità da cardiopatia in generale, l‟incidenza
percentuale della Morte Improvvisa è rimasta immutata, attorno al 50% di tutte le
morti cardiache. Pertanto resta un evento drammatico così rapido e spesso
inaspettato, che lascia poco tempo utile per un efficace intervento cardiorianimatorio. Tale problema rappresenta un obiettivo di salute pubblica, vista la sua
particolare frequenza specialmente tra soggetti giovani ed attivi. In Italia la stima è di
circa 1 caso su mille abitanti per anno. Di queste una su quattro non sopravvive e in
più della metà dei casi il decesso avviene prima di raggiungere l‟ospedale.
La salvezza di un paziente colto da arresto cardiaco improvviso dipende dalla sola
presenza accanto a lui di un testimone capace di riconoscere l‟emergenza, dare
correttamente l‟allarme e praticare la Rianimazione Cardiopolmonare di base, sino a
che sia possibile collegare il paziente ad un defibrillatore semiautomatico, che potrà
erogare la scarica salvavita. La defibrillazione precoce rappresenta dunque l‟anello
cruciale della catena della sopravvivenza sul territorio ed anche intraospedaliera, ed
è talmente irrinunciabile da aver portato alla diffusione dei defibrillatori
semiautomatici.
Tutti questi temi sono ampiamente e scrupolosamente trattati nei capitoli seguenti.
In dettaglio vengono affrontati i quattro anelli della sopravvivenza con particolare
attenzione a tutte le problematiche della defibrillazione precoce, da quelle tecniche a
quelle organizzative.
Dopo aver illustrato la patologia, nei suoi aspetti più noti e in quelli meno conosciuti;
e individuati i metodi per prevenirla, riconoscerla e combatterla, si è affrontato il
7
tema del ruolo e delle responsabilità dell‟infermiere, nonché degli aspetti medicolegali, con particolare riguardo all‟Area Critica di Emergenza/urgenza, quale aspetto
ontologicamente legato alla professionalità.
Considerando che in molti casi si possono presentare situazioni di insuccesso, e
l‟infermiere deve essere in grado di affrontarli, è stato anche trattato il tema della
morte e l‟importanza del sostegno del lutto alla famiglia e del ruolo infermieristico
nella sua gestione.
La presente pubblicazione tratterà della morte cardiaca improvvisa, tutto ciò con un
solo intento: far capire che l‟interruzione delle attività vitali che consegue ad una
morte improvvisa è solo “una morte clinica”; biologicamente l‟organismo è ancora
perfettamente in grado di recuperare tutte le sue attività purchè si intervenga in un
tempo massimo di 5-7 minuti.
Evitare la morte improvvisa è essenziale, incrementare le percentuali di
sopravvivenza è possibile: la vera sfida di questo nuovo secolo è creare
un‟educazione sanitaria che faccia comprendere questo messaggio ad un numero
sempre più vasto di persone e riesca a formare un esercito sempre più nutrito di
“volontari per la vita”.
8
Capitolo 1
LA MORTE CARDIACA IMPROVVISA
9
1.1 CENNI STORICI
Per Morte Improvvisa (M.I.) o Inattesa s‟intende un decesso per cause naturali che si
verifica entro breve tempo dalla comparsa dei sintomi, in un soggetto
apparentemente sano o comunque il cui stato di malattia non faceva presagire un
esito fatale così improvviso. Poiché questo tipo di morte è prevalentemente cardiaca,
ovvero l‟arresto cardiaco rappresenta l‟atto finale che sancisce la fine anche per altre
patologie,viene anche definita Morte Cardiaca Improvvisa (M.C.I.).
La rapidità dell‟insorgenza è la caratteristica che, per la sua essenzialità, è divenuta
parte integrante della definizione stessa della sindrome; eppure negli anni il tempo
massimo che deve trascorrere dall‟inizio della sintomatologia fino all‟evento finale
per definire una morte come “improvvisa”, ha subito innumerevoli variazioni. Si è
così passati da pochi minuti ad alcune ore, fino ad un intero giorno. L‟accordo più o
meno unanime è attualmente attestato su un‟ora.
L‟imprevedibilità si riferisce all‟essere l‟evento inatteso, nel senso che, anche se
molto spesso esistono dei prodromi nelle ore e giorni precedenti, il paziente non sa
attribuire a questi sintomi il valore di segni premonitori e di conseguenza non è in
grado di prendere le dovute precauzioni.
L‟apparente benessere sta ad indicare che questi soggetti, prima dell‟evento,possono
essere perfettamente sani (la patologia ha come prima manifestazione l‟arresto
cardio-circolatorio), ovvero essere clinicamente sani ma avere,a loro insaputa, una
patologia già avanzata ( ad esempio una coronaropatia aterosclerotica), o infine
possono avere una patologia già nota, magari in trattamento, ma stabile al momento
dell‟evento. Una definizione che forse meglio di altre puntualizza questo concetto è:
“cuore troppo sano per morire”.
La morte improvvisa rappresenta un problema noto sin dall‟antichità, se è vero
infatti,che Filippide morì improvvisamente subito dopo aver annunziato agli Ateniesi
la vittoria di Maratona. Ma ancor prima gli uomini primitivi già attribuivano al cuore
sia le manifestazioni della psiche umana che la stessa essenza della vita; avevano
infatti percepito la relazione esistente tra il battito tumultuoso del cuore e gli intensi
sforzi fisici o le profonde emozioni; e così anche lo spegnersi improvviso della vita
quando il sangue lascia rapidamente il corpo.
10
La prima vera opera che tratta della Morte Cardiaca Improvvisa si deve a Giovanni
Maria Lancisi che nel 1707, pubblicava un‟opera dal titolo “De subitaneis mortibus”,
prendendo spunto dalle numerose morti improvvise che avevano funestato ed
impressionato la città di Roma.
Dice infatti il Lancisi che “La vita, sta nel perfetto equlibrio di tre funzioni e di tre
organi: il cuore (circolazione), che col sangue porta al corpo ed al cervello lo spirito
vitale; il cervello che elabora lo spirito vitale e lo trasforma in spirito animale
eccitatore, per la via dei nervi, di ogni funzione e di ogni membro, ed i polmoni
infine, che purificano il sangue e lo arricchiscono di un quid che genera lo spirito
vitale”.
Tre fluidi dunque, cui corrispondono tre funzioni: il sangue che nutre, il fluido
nerveo che eccita, l‟aria che vivifica. Ovvio quindi che una morte improvvisa troverà
la sua ragione nel disordine di una o più di queste funzioni cardinali.
Sembra incredibile come ben trecento anni fa quando la medicina era ancora
governata dalla superstizione e dalla magia e gli eventi naturali improvvisi erano
ritenuti espressione di influssi astrali o demoniaci, c‟era chi aveva perfettamente
intuito l‟essenza della morte improvvisa e nel puntualizzare i tre organi e le tre
funzioni in essa implicate sembrava profetizzare l‟ABC delle manovre rianimatorie
(coscienza- respiro-circolo). [1]
1.2 EPIDEMIOLOGIA- CASISTICA EXTRA-OSPEDALIERA
La morte improvvisa da arresto cardiaco si configura come una delle sfide maggiori
per la medicina di oggi. È certamente l‟emergenza più drammatica in termini di
tempo a disposizione per rianimare la vittima senza danno cerebrale residuo.
Sicuramente rappresenta la principale causa di morte nei paesi industrializzati ed è
responsabile del 60-70% di tutti i decessi di origine cardiovascolare. Il numero di
soggetti che ogni anno muoiono improvvisamente in Italia, secondo i dati
epidemiologici particolarmente attendibili forniti dall‟OMS, è di: 156 persone al
giorno,ossia 1 soggetto ogni 9 minuti.( 1 ogni 1000 abitanti per anno). [Tabella I]
11
L‟incidenza varia con l‟età,il sesso e la presenza o meno di malattia cardiovascolare,
inoltre, mostra un ritmo circadiano con una prevalenza tra le ore sei del mattino e
mezzogiorno. I mesi più a “ rischio” sembrano essere quelli compresi tra febbraio e
giugno.
Questo ritmo circadiano risulta molto simile a quello osservato per l‟insorgenza di
altri eventi cardiaci acuti, quali l‟infarto miocardico e l‟ischemia miocardica
transitoria. Anche se il meccanismo di questo picco mattutino non è noto, si è
osservato come molti dei fenomeni potenzialmente coinvolti nella genesi della morte
improvvisa abbiano un comportamento analogo. Nelle prime ore del mattino si
osserva infatti,un aumento del tono vasocostrittore coronarico, della frequenza
cardiaca e della pressione arteriosa, delle catecolamine plasmatiche e dell‟adesività
piastrinica.
Il paradosso epidemiologico della MCI è rappresentato dal fatto che essa si verifica
non solo in una ristretta e ben individuabile popolazione di cardiopatici, ma
imprevedibilmente anche nell‟ampia popolazione di soggetti con molteplici fattori di
rischio coronarici (fumatori, dislipidemici, diabetici, ipertesi). C‟è una netta
prevalenza per il sesso maschile e l‟età più colpita da M.I. è quella tra i 60 e i 65
anni. [2]
Entrando nei dettagli e nelle curiosità dei dati epidemiologici e statistici,emergono
alcune considerazioni:
 La maggior parte degli arresti cardio-circolatori avviene presso il proprio
domicilio con testimoni i propri parenti (questo particolare aspetto sta
consigliando lo sviluppo di programmi di “home defibrillation” per i soggetti
a rischio).
 Oltre la metà dei pazienti colpiti da un evento coronario acuto preferisce
ancora raggiungere l‟ospedale con un mezzo proprio, spesso personalmente
alla guida.
 È
ancora
molto
evidente
una
scarsa
cultura
della
popolazione
all‟urgenza/emergenza cardiologica oltre che alla pratica delle prime manovre
rianimatorie.
12
 Sono ancora troppo elevati i tempi di trasporto in ospedale e,
indipendentemente dalla maggiore possibilità di subire un arresto cardiocircolatorio, sono sempre più evidenti le conseguenze di un arrivo tardivo.
Tre differenti modalità di intervento,dunque, si possono ipotizzare:
-
Prevenzione primaria: agire sui fattori di rischio che sono alla base non solo
della cardiopatia ischemica, ma anche di quelle di natura polmonare e
traumatica/ accidentale;
-
Prevenzione secondaria: identificare i soggetti “a rischio” di M.I. per trattarli
adeguatamente ( ad esempio impiantando un defibrillatore); [Tabella II]
-
Approntare sistemi di pronto intervento più efficaci ( defibrillazione precoce
territoriale).[3]
13
TABELLA I
M.I –EPIDEMIOLOGIA /Italia
 Incidenza
 1 x 1000 Abit.
 Numero casi x anno
 57.000
 Numero casi x giorno  156
 1 caso ogni 9 minuti
 10% di tutte le cause di morte
 40% dei decessi x causa cardiaca
TABELLA II
14
1.3 CARATTERISTICHE CLINICHE E PROGNOSI
L‟evento che più comunemente porta a morte cardiaca improvvisa è l‟innescarsi di
una tachicardia maligna, più comunemente una fibrillazione ventricolare o una
tachicardia ventricolare che, se non trattate tempestivamente portano a morte
l‟individuo. [Tabella III]
Queste aritmie trasformano in una vibrazione caotica la regolare azione di pompa del
sangue da parte del cuore. In nessun altra patologia come in questa, i sintomi
presentati al manifestarsi dell‟evento sono così improvvisi e drammatici.
La circolazione del sangue si arresta istantaneamente. Si ha l‟immediata scomparsa
dei polsi centrali; dopo 5-10 secondi perdita brutale della coscienza seguita da un
breve periodo di ipertonia muscolare generalizzata che si esaurisce rapidamente;
talvolta si verificano crisi convulsive. Dopo 15 secondi compare il gasping cioè un
respiro a sussulti caratterizzato da un innalzamento a scatto della mandibola.
La cute diventa pallido-grigiastra,le pupille si dilatano. Dopo 45-60 secondi
compaiono atonia muscolare generalizzata e arresto di tutti i movimenti respiratori.
Per un periodo di 4-5 minuti l‟organismo consuma la sua riserva di ossigeno poi, se
nulla interviene a ripristinare il ritmo e quindi la circolazione, gli organi entrano in
sofferenza, per primo il cervello. La morte da apparente diviene definitiva.[4]
La predisposizione all‟innesco di questi ritmi maligni è costituita per la maggior
parte dalle sindromi coronariche acute e da scompenso cardiaco come conseguenza
di una cardiopatia ischemica oppure per patologie non direttamente correlabili
all‟ischemia come la cardiomiopatia dilatativa idiopatica. L‟insieme di questi fattori
costituisce l‟80% dei casi di innesco di aritmie.
Minor importanza percentuale occupano le patologie congenite, quali la sindrome di
Brugada o la sindrome del QT lungo, che causano il 5% delle morti cardiache
improvvise; esse però assumono una certa rilevanza in quanto possono provocare
morte improvvisa anche in soggetti di giovane età.
La descrizione dei differenti tipi di cardiopatia sarà limitata a quelle che, per loro
stessa natura elettrofisiologica, portano più facilmente ad una M.I..
15
TABELLA III
16
Cardiopatia ischemica
La causa più importante di morte cardiaca improvvisa è rappresentata dalla
cardiopatia ischemica di cui rappresenta la manifestazione acuta più infausta. Il più
delle volte è associata ad una sindrome coronarica acuta ( Infarto miocardico senza
sopraslivellamento del tratto S-T, con sopraslivellamento S-T, angina instabile).
L‟infarto miocardico è la conseguenza di una degenerazione aterosclerotica del
circolo coronarico che acutamente va incontro ad ostruzione per trombosi acuta,
anche se in alcuni casi è possibile che coronarie anatomicamente sane vadano
incontro ad ostruzione per fenomeni di spasmo muscolare.
L‟estensione dell‟interessamento aterosclerotico, l‟importanza del vaso colpito e la
prossimalità del suo interessamento condizionano l‟estensione dell‟infarto e
conseguentemente la prognosi successiva.
L‟evento terminale è in genere correlabile a tachiaritmie ventricolari maligne.
La limitazione della perfusione determina infatti un‟alterazione delle proprietà
elettrofisiologiche del miocardio sito a valle della stenosi con possibilità di
precipitare in una FV.
Dal punto di vista patogenetico, l‟ischemia è coinvolta in modo differente nella
genesi d‟aritmia a seconda della distanza temporale dall‟esordio dei sintomi.
Nelle prime ore l‟ischemia acuta provoca molteplici alterazioni ioniche e
metaboliche che portano a disomogeneità elettrofisiologiche a livello cellulare, alla
base di circuiti da rientro; nelle 24-72 ore successive le alterazioni del potenziale
d‟azione provocano un‟anomala generazione degli impulsi nelle isole di tessuto
sopravvissuto alla necrosi e nella zona di confine: meccanismo d‟esaltato
automatismo. [5]
Nelle cellule ischemiche si hanno alterazioni ioniche di vario tipo tra cui un
incremento del potassio extracellulare: tale squilibrio è dovuto ad un efflusso
passivo, secondo gradiente di concentrazione e mediato dai canali ionici ATP
sensibili aperti in corso d‟ischemia, soprattutto a causa dell‟acidosi intracellulare.
Secondo numerosi studi è provata la capacità del sistema nervoso autonomo,
particolarmente l‟ortosimpatico, nell‟innescare aritmie durante la fase acuta
dell‟ischemia; infatti nelle aritmie che si creano durante questa fase, il simpatico
17
sostiene l‟aritmogenesi con l‟incremento della frequenza cardiaca e dell‟area
infartuale e con la riduzione del potassio.
Emerge chiaramente come le aritmie ventricolari associate alla cardiopatia
ischemica, rivestano un ruolo di primo piano nella genesi della morte improvvisa, sia
nel corso delle sindromi coronariche acute sia nell‟ambito della cardiopatia
ischemica cronica postinfartuale:i diversi meccanismi provocatori di aritmie variano
quindi a seconda del tempo d‟insorgenza dell‟aritmia. I meccanismi dei circuiti da
rientro mantengono comunque un ruolo rilevante nel determinare morte improvvisa
nel lungo periodo e , a seconda che sia presente un‟insufficienza ventricolare sinistra
o ci si trovi in prossimità di tessuto ischemico, anche il sistema nervoso
neurovegetativo può essere un fattore trigger nello scatenare aritmie maligne e
pericolose per la vita.
Per prevenire la morte aritmica nel post infartuato, si sono rivelati strumenti utili i
beta bloccanti poiché diminuiscono l‟influenza ormonale adrenergica e gli effetti del
sistema nervoso simpatico e gli ace inibitori, utili nella prevenzione del
rimodellamento cardiaco e nel mantenimento di valori stabili degli elettroliti, in
associazione a diuretici dell‟ansa. Un ruolo a parte merita il trattamento preventivo
tramite antiaritmici e dispositivi impiantabili ICD.[6]
Sindrome di Brugada
La sindrome di Brugada è una malattia aritmogena geneticamente trasmessa di
recentissimo inquadramento, descritta dai fratelli Brugada solo nel 1992.
Quest‟ultima causa sincope o morte cardiaca improvvisa in pazienti giovani e con
cuore strutturalmente sano. Tale patologia è caratterizzata da un pattern
elettrocardiografico tipico, rappresentato da blocco di branca destra, completo od
incompleto, e sopraslivellamento del tratto S-T nelle derivazioni V1, V3.
Finora è stato identificato un solo gene responsabile della malattia: si tratta del gene
SCN5A, lo stesso coinvolto nell‟eziopatogenesi della sindrome del QT lungo.
Le mutazioni che causano la sindrome di Brugada determinano una riduzione della
corrente depolarizzante i canali cardiaci del Sodio. Tuttavia, la diagnosi della
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sindrome può essere difficile, in quanto la malattia può non presentare sintomi
prodromici ed esordire come arresto cardiaco.
Le manifestazioni della sindrome si presentano più frequentemente in giovani maschi
( con rapporto maschi/ femmine di 8:1) con età compresa tra 30 e 40 anni. [7]
Non esistendo attualmente possibilità terapeutiche di alcun tipo, è indispensabile
identificare i pazienti a rischio e sottoporli preventivamente ad impianto di un
defibrillatore automatico permanente. (ICD).
È diventato, pertanto,di preponderante importanza definire i parametri su cui basare
la stratificazione del rischio aritmico dei pazienti, in modo da identificare quali
pazienti abbiano realmente necessità di un ICD.
Sindrome del Q-T lungo (LQTS)
In questo caso le aritmie sono in rapporto ad alterazioni della ripolarizzazione
ventricolare con il classico allungamento del Q-T.
L‟espressione “QT” lungo si riferisce a una conformazione anomala evidenziata
dall‟ECG (elettrocardiogramma), l‟esame che monitora l‟attività elettrica del cuore.
Il QT è l‟intervallo di tempo,che trascorre tra il momento in cui i ventricoli ricevono
l‟impulso a contrarsi e il momento in cui accumulano sufficiente potenziale per
contrarsi di nuovo. In condizioni normali l‟intervallo dura circa un terzo del tempo
totale del battito registrato dall‟elettrocardiogramma, invece nei pazienti che soffrono
di sindrome del QT lungo dura più del normale. La scansione temporale del battito
cardiaco risulta quindi alterata e si possono sviluppare anomalie del ritmo cardiaco,
ovviamente molto pericolose.
Si tratta di una patologia responsabile di sincopi e morte improvvisa soprattutto in
bambini o giovani, in risposta all‟esercizio fisico o allo stress, in assenza di anomalie
strutturali del cuore.
È una malattia genetica trasmessa come carattere autosomico dominante, dovuta a
mutazioni su almeno sei geni, tutti codificanti per canali ionici responsabili del
controllo dell‟attività elettrica delle cellule cardiache.
La sindrome è provocata da geni difettosi, in particolare quelli che controllano la
produzione di determinati tipi di canali ionici del cuore: in alcuni casi i canali ionici
19
possono essere in quantità insufficiente, oppure non funzionare correttamente,
oppure le due eventualità possono presentarsi contemporaneamente.
La LQT3 è ,invece, un‟anomalia del flusso degli ioni sodio attraverso i canali ionici
delle cellule cardiache. Anche in questo caso il cuore può iniziare a battere
rapidamente e senza controllo, eventualità che può essere fatale. Nella sindrome del
QT lungo 3 i problemi di solito si verificano nei momenti in cui il cuore batte più
lentamente, ad esempio durante il sonno.
Attualmente più di 50 farmaci si sono dimostrati in grado di causare la LQTS, tra
quelli di uso frequente ricordiamo: antistaminici, diuretici, antibiotici, antidepressivi,
farmaci anticolesterolo e alcuni farmaci antidiabetici.
Un intervallo QT prolungato può manifestarsi anche in presenza di alterazioni nei
valori di alcuni elettroliti, specialmente ipokaliemia e ipomagnesemia, lesioni del
sistema nervoso centrale, prolasso della mitrale e bradiaritmie estreme.
La stratificazione del rischio si basa soprattutto sull‟anamnesi di eventi sincopali, di
torsioni di punta o di arresto cardiaco.
L‟adeguamento dello stile di vita è molto importante nella prevenzione della MCI in
tutte le categorie di pazienti (sintomatici, asintomatici e portatori silenti del difetto
genetico). Tale intervento deve essere mirato ad evitare l‟esercizio fisico strenuo
(inclusa la pratica sportiva a livello agonistico) e l‟assunzione di sostanze che
determinano un prolungamento dell‟intervallo.
1.4 ASPETTI PSICOLOGICI DELLA MORTE IMPROVVISA
La morte improvvisa, è un momento particolare da affrontare per l‟infermiere,
soprattutto se quest‟argomento non si è prima affrontato con se stessi e non si è
riusciti a superare le paure. Confrontarsi ed aiutare persone così gravemente colpite,
piene di dolore, e anche così poco conosciute, alle quali non si sa come prestare
aiuto, con la paura di poter peggiorare la situazione, è certo difficile e angosciante.
Spesso si accompagna anche un senso di colpa per non essere riusciti a fare tutto il
possibile, o meglio, tutto il necessario. Inoltre per affrontare l‟evento della morte
bisogna riflettere sulla precarietà della vita e sulla propria morte. Il problema sta
20
proprio qui, tutti sanno che devono morire, ma è anche vero, che essa viene
considerata come evenienza al quanto remota. Affrontare l‟argomento della morte
improvvisa è un po‟ come cambiare modo di porsi nei confronti della morte: essa
diviene
come
qualcosa
di
incombente
che
potrebbe
colpire
chiunque,
inaspettatamente e in qualsiasi momento, quindi essa viene vista come il confine di
tutto.
Ciò suscita una reazione di rifiuto.
La morte è un‟esperienza unica e irripetibile per cui non ci sono esperienze alle quali
fare riferimento, nessuno può parlare della propria morte. È inoltre importante capire
come questo evento venga vissuto dai familiari della persona deceduta. Di fronte alla
scomparsa ci può essere la negazione o si può oggettivare il dolore e quindi riuscirlo
a superare. La perdita di una persona cara è accompagnata da dei sentimenti
soggettivi quali angoscia, collera, pena, disperazione.
Alla notizia della scomparsa di un proprio caro, segue l‟incredulità, tipici in questa
fase sono pianto e collera, il grido di dolore “tende a conservare la vita”. Le accuse, i
rimproveri alle persone, agli infermieri che hanno tentato il possibile per farlo
rimanere in vita devono essere lette come tentativo: cercando il colpevole si allevia il
dolore. In più la paura di non averlo capito, di non averlo amato abbastanza, di non
averlo salvato, alimentano sentimenti di colpa che finiscono per amplificare il dolore.
Quando si è superata questa fase e si è accettato il lutto, si passa alla seconda fase
caratterizzata da disperazione e apatia. Si giunge poi, alla terza fase in cui la persona
ha quasi del tutto superato il lutto, la morte, ed è in grado di nuovo di svolgere la
propria vita. Il compito dell‟infermiere, è quello di parlare con i parenti, non farlo
evita il carico emotivo e impedisce di capire la situazione rischiando in altre
circostanze simili di rifare lo stesso errore. L‟estraniarsi emotivamente dalla
situazione, alla lunga porta ad affaticamento maggiore, ad apatia e a quella sindrome
denominata dagli anglosassoni di BURN-OUT : “processo nel quale un
professionista si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione
sperimentata sul lavoro.”
Bisogna rendersi conto che i familiari vorrebbero riavere la persona cara, e si
accontentano di essere rispettati nel loro dolore, rassicurati dal sapere che ha fatto
una morte “buona” nel senso che non ha sofferto, che tutto il possibile è stato fatto.
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L‟infermiere deve aiutare la famiglia ad esprimere il dolore, a superare la situazione,
deve incoraggiare a parlare degli eventi che hanno preceduto l‟emergenza. Saper
ascoltare, stabilire una relazione di aiuto, soprattutto con la comunicazione non
verbale permette di creare una situazione di rispetto attorno al defunto. Tutto ciò non
è solo umanità, ma soprattutto professionalità nell‟interesse del paziente e anche di
tutti gli operatori.[8, 9]
22
Capitolo 2
LA DEFIBRILLAZIONE PRECOCE:
OPPORTUNITA’ CONCRETA PER
L’INFERMIERE
23
2.1 LA CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA
Dal momento in cui un arresto cardiocircolatorio si instaura, il tempo che trascorre
costituisce l‟elemento prognostico più importante ai fini del recupero del paziente. È
per tale motivo che già da qualche anno si è pensato di ottimizzare i tempi dando
uniformità ed ordine alle valutazioni da effettuare ed alle azioni da compiere. È stata
così ideata la cosiddetta Catena della Sopravvivenza, che guida l‟approccio
all‟emergenza dei volontari di tutto il mondo.
Essendo una catena, come tale presuppone che gli anelli non vengano sciolti: la
possibilità di successo dell‟intervento dipende dal rispetto delle sequenze proposte.
Eventuali deroghe sono possibili o in presenza di personale sanitario esperto o nel
caso in cui si abbia a disposizione un defibrillatore semiautomatico; in questo caso
infatti la precedenza assoluta va data alla macchina.
La catena classica è composta da 4 anelli:
1. Allarme immediato
2. Basic Life Support
3. Defibrillazione Precoce
4. Rianimazione avanzata
Il cittadino, ricoprendo il ruolo di protagonista nelle prime due fasi, diventa parte
integrante della catena insieme agli operatori sanitari; ecco perché è così importante
la formazione alla popolazione.
Allarme immediato
L‟allertamento della centrale operativa del 118 costituisce il primo passo essenziale
da compiere quando ci si trova testimoni di un possibile arresto cardio-circolatorio.
Senza l‟allertamento dell‟equipaggio medicalizzato ogni pur corretta manovra
rianimatoria non sarà seguita da successo per mancanza delle fasi successive.
Anche se questo anello può sembrare banale e, soprattutto, ovvio, in realtà molti,
troppi sono ancora i casi in cui un eccessivo ritardo della richiesta di soccorso
comporta il fallimento anche degli anelli successivi.
24
Se tutti avessero la sensibilità di sentirsi potenziali “cittadini salvacuore” si potrebbe
raggiungere un risultato favorevole almeno in un caso su quattro.
Basic Life Support
Viene tradotto “ assistenza delle funzioni vitali di base” e corrisponde a
Rianimazione Cardio Polmomare (R.C.P.).
Esprime una sequenza precisa di valutazioni da effettuare cui devono far seguito
determinate azioni. Le funzioni vitali da valutare e sulle quali intervenire sono:
A) Coscienza
B) Respirazione
C) Circolazione
La risposta negativa ad ogni singola valutazione richiederà un intervento specifico
 NO coscienza = apertura delle vie aeree
 NO respirazione = ventilazione polmonare
 NO circolazione = massaggio cardiaco esterno
 Defibrillazione precoce
Il B.L.S. impone quindi di iniziare la ventilazione o il massaggio cardiaco solo dopo
aver constatato l‟effettiva assenza di tali funzioni vitali e non dopo aver osservato
solo una perdita di coscienza. D‟altra parte i danni da B.L.S. mal eseguito esistono e
non è neanche vero che una frattura costale è una complicanza normale di un
massaggio e tanto meno che ne esprime la validità.
Defibrillazione precoce
È l‟applicazione di scariche elettriche di intensità opportuna sul torace del paziente al
fine di interrompere la Fibrillazione Ventricolare. È il punto cruciale di tutta la
catena essendo un arresto cardiocircolatorio nella grande maggioranza dei casi
secondario ad una F.V. ed assumerà sempre più importanza con l‟estendersi dei
programmi di defibrillazione precoce. In caso di arrivo sul luogo già con il
defibrillatore, dare sempre la precedenza alla defibrillazione stessa, limitando le
valutazioni a manovre precise ma rapide ed evitando le compressioni toraciche.
25
Advanced Life Support
È il supporto avanzato alle funzioni vitali ed è conosciuto dall‟insieme dei
provvedimenti messi in atto da personale del soccorso dotato di specifiche
competenze e attrezzature. Accanto al B.L.S. attuato con l‟ausilio di strumenti,
comprende l‟intubazione tracheale, la terapia elettrica esterna, l‟uso di farmaci e così
via.[1]
2.2 DEFIBRILLATORE : USO ED ETICA
La defibrillazione elettrica, unico trattamento potenzialmente “salvavita” in caso di
arresto cardiaco, è l‟erogazione, da parte di un apparecchio chiamato defibrillatore,
di uno shock elettrico di energia (ampiezza+ intensità+ durata) nota e variabile. Lo
shock viene portato sul torace del paziente per mezzo di piastre o di placche adesive
che fungendo da elettrodi di segno opposto chiudono il circuito attraversando il
cuore.
Il flusso di cariche elettriche di elevata potenza ( una scarica media di 200 J
corrisponde ad un voltaggio di alcune centinaia di Volts) che attraversa il cuore per
una frazione di secondo (pochi millesimi) è in grado di depolarizzare
contemporaneamente tutte le cellule cardiache.
La scarica azzera l‟attività elettrica presente nel cuore, interrompendo l‟aritmia
responsabile dell‟arresto. A questo “resettamento”elettrico può subentrare un ritmo
organizzato, con ripristino di una circolazione spontanea.
I defibrillatori possono essere: manuali, il cui uso è riservato esclusivamente al
personale sanitario medico in quanto sono richieste conoscenze specifiche; e
semiautomatici (defibrillatori semi-automatici esterni, DAE).
La defibrillazione è indicata, e potenzialmente efficace, solo nei casi in cui l‟arresto
cardiaco è determinato da due tipi di aritmie: la fibrillazione ventricolare e la
tachicardia ventricolare senza polso. Nei restanti casi, cioè asistolia e dissociazione
elettromeccanica , la defibrillazione non è indicata perché inefficace.
La fibrillazione ventricolare è un‟alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da caos
elettrico, che si traduce nell‟assenza di attività di pompa del cuore.
26
Nella tachicardia ventricolare, che spesso evolve in FV, gli impulsi elettrici, a
partenza del miocardio ventricolare, si succedono invece ritmicamente, ma con
frequenza talmente elevata da non consentire contrazioni cardiache valide.
In entrambi i casi, l‟unico trattamento potenzialmente efficace è costituito dalla
defibrillazione, che, mediante l‟erogazione della scarica elettrica che attraversa il
cuore, in brevissimo tempo (4/20 millisecondi), azzera i potenziali del muscolo
cardiaco, interrompendo l‟aritmia e consentendo, nei casi favorevoli, il ripristino di
un ritmo emodinamicamente valido.
Di tutta l‟energia erogata, solo il 4% circa attraversa il cuore; la maggior parte di
essa, infatti, si disperde.
L‟efficacia della defibrillazione dipende da numerose variabili quali:
1) Il tempo che intercorre tra l‟arresto cardiaco e l‟erogazione del primo shock,
2) La” disponibilità” del miocardio a lasciarsi defibrillare (la cosiddetta soglia di
defibrillazione;
3) La resistenza che la corrente incontra per raggiungere il cuore (impedenza
toracica);
4) La forma d‟onda di scarica utilizzata dal defibrillatore;
Il tempo
È il fattore più decisivo per il successo della defibrillazione:per ogni minuto che
passa la probabilità di sopravvivenza, in termini di risposta positiva alla
defibrillazione, si riduce del 7-10%.
Soglia di defibrillazione
Si riferisce alla “suscettibilità” del miocardio di “lasciarsi” defibrillare. Dipende da
numerose condizioni ed in particolare da quanto tempo si è instaurata l‟aritmia.
Altri fattori che la possono influenzare sono la stato metabolico,precedenti patologie
del cuore, la temperatura corporea, la presenza di farmaci in circolo ecc.
27
Impedenza trans toracica
È la resistenza che si oppone al passaggio della corrente. Tra i fattori che la
determinano, oltre all‟energia selezionata ,al materiale di interfaccia elettrodi-cute, al
numero e all‟intervallo di tempo intercorso da precedenti shock, ci sono anche:
 Dimensioni del torace ( più grosso è il torace, più elevata è l‟impedenza);
 Dimensione degli elettrodi: tanto più sono grandi gli elettrodi, tanto minore
sarà l‟impedenza;
 Posizione degli elettrodi:gli elettrodi devono essere posti in una posizione che
garantisce il passaggio del massimo flusso di corrente attraverso il miocardio.
La posizione raccomandata è antero-laterale. Nella quale l‟elettrodo anteriore è
posizionato in sede sottoclaveare destra e l‟elettrodo laterale in sede sottomammaria
sinistra. Posizione alternativa è quella antero-posteriore, in questa le placche sono
collocate l‟una anteriormente al centro dello sterno e l‟altra posteriormente,
leggermente spostata verso sinistra.[10]
Forme d’onda
Si possono classificare in monofasiche o bifasiche in base al numero delle fasi. Si
parla di onda monofasica quando la corrente che depolarizza la massa cardiaca si
dirige in un‟unica direzione, da un elettrodo all‟altro; quando invece la direzione
della corrente ad un certo punto s‟inverte, l‟onda è detta bifasica.
Una corrente bifasica, a parità di energia erogata, è ritenuta meno lesiva di una
corrente monofasica; in sostanza produce meno effetti lesivi su cellule e membrane
cellulari. [11]
Elettrodi per defibrillare
La scarica elettrica si applica al torace attraverso delle piastre metalliche.
Caratteristica essenziale è che esse devono essere ampie per permettere una
propagazione ottima della corrente.( 14 cm per gli adulti, 8 cm per i bambini più
grandi e 4,5 cm per i lattanti.)
Un‟ampia superficie di contatto è indispensabile sia per minimizzare l‟effetto Joule
(ustioni), sia per abbassare l‟impedenza toracica.
28
Oggi si dispone di due tipi di elettrodi per defibrillare: piastre rigide manuali, ed
elettrodi monouso.
Le piastre manuali presentano tuttavia alcuni inconvenienti:
 I tremori delle mani dell‟operatore, non solo per la tensione emotiva ma
anche, a volte, per la posizione scomoda, possono causare artefatti;
 La rigidità delle piastre non permette spesso una perfetta aderenza;
 Piastre non ben pulite possono condurre male.
 Spesso l‟operatore è impegnato più a prestare attenzione ai bottoni delle
piastre che non al paziente;
 Operatori poco esperti o timorosi di subire una scossa possono allentare la
pressione sul torace al momento della scarica, diminuendo l‟efficacia della
defibrillazione;
 Non sono utilizzabili nella defibrillazione semiautomatica e, perciò, non potrà
mai utilizzarli un operatore laico.
Pertanto, si consiglia di adoperare, quando possibile, sempre le placche adesive.
Gli elettrodi adesivi monouso per defibrillazione, infatti, presentano i seguenti
vantaggi:
 Si adattano bene alla parete toracica in quanto deformabili;
 Hanno una perfetta adesività;
 Sono già “ingellati” perfettamente;
 Permettono di operare senza contatto né col paziente, né con gli elettrodi
stessi.
Alimentazione dei defibrillatori
Un defibrillatore scarico è un defibrillatore morto, ed un paziente che dovesse aver
bisogno di una scarica, sarebbe anch‟egli, un paziente morto. È pertanto
indispensabile che un DAE sia sempre perfettamente efficiente, soprattutto nella
componente
che
più
facilmente
potrebbe
determinare
un
suo
mancato
funzionamento: l‟alimentazione.
L‟alimentazione dei DAE avviene generalmente per mezzo di batterie monouso.
Le batterie ricaricabili, molto usate nei monitor-defibrillatori più complessi
ed
utilizzati prevalentemente da personale medico in ambiente ospedaliero, non trovano
29
indicazione per un apparecchio che è nato per un uso non continuo, che potrebbe
rimanere a lungo inutilizzato e/o non verificato nel funzionamento.
Attualmente i defibrillatori in uso, sono alimentati o da batterie al piombo o,
soprattutto, al litio. Le prime sono presenti in tutti quegli apparecchi che sono in
dotazione ai servizi di emergenza o reparti ospedalieri, in posti cioè dove qualcuno si
prende cura della loro ricarica. Le batterie al litio usa e getta, invece, presentano il
vantaggio di non dover essere ricaricate e, rispetto a quelle al piombo conservano la
loro carica originale per lunghi periodi: da uno a tre anni se installati, da quattro a sei
se sigillati. Fortunatamente, oggi, i moderni defibrillatori presentano un sistema di
controllo automatico dello stato di carica delle batterie, avvisando con allarmi
acustici e/o visivi quando non sufficiente, evitando così spiacevoli inconvenienti
2.3 DEFIBRILLAZIONE AI LAICI : L’IMPORTANZA DEL DAE
L‟introduzione del DAE ha semplificato notevolmente le modalità di defibrillazione.
Si tratta di uno strumento semplice e di facile utilizzo tanto da poter essere affidato
anche a personale non medico. I DAE, non a caso, sono stati progettati con requisiti
di semplicità per permetterne l‟uso da parte di operatori privi della competenza
necessaria per interpretare l‟elettrocardiogramma. Essi incorporano un sistema
d‟analisi automatica del ritmo e vengono collegati al paziente mediante elettrodi
adesivi.
Con questo apparecchio l‟operatore è esonerato dal fare diagnosi (il riconoscimento
del ritmo è affidato al DAE): unico suo compito sarà garantire, in ogni fase del
processo, la sicurezza.
L‟operatore che eroga lo shock elettrico, infatti, è responsabile dell‟esecuzione di
tutte le manovre che concorrono a garantire le indispensabili condizioni di sicurezza
per se stesso e per tutte le persone presenti all‟evento.[12]
Il primo vantaggio è rappresentato dalla capacità di questo strumento di fornire una
diagnosi elettrocardiografica del ritmo cardiaco. In particolare, lo strumento è in
grado di riconoscere l‟aritmia e di avvertire il soccorritore con allarme acustico o
vocale se il paziente è in arresto cardiocircolatorio.
30
Il secondo vantaggio è rappresentato dalla capacità del dispositivo, una volta che sia
stata rilevata una tachiaritmia, di caricarsi automaticamente ad energie sufficienti,
per effettuare una valida defibrillazione secondo un protocollo di intervento
automaticamente predefinito. Infine, il defibrillatore avverte con allarme acustico e
vocalmente di essere pronto ad erogare lo shock che può essere effettuato dal
soccorritore mediante la semplice pressione di un pulsante situato sullo strumento.
Appare evidente che, in tal modo, il soccorritore è sollevato da problemi decisionali e
operativi.[13]
Esistono diversi tipi di DAE. Sono classificabili in quattro tipologie differenti:
 Senza monitor ( solo ON/ OFF e SCARICA)
 Con i due tasti + monitor ecg
 Con monitor ecg + funzione manuale
 Con monitor ecg + funzione manuale + altre funzioni
In generale possiamo dire che il tipo senza monitor dovrebbe essere in assoluto il più
utilizzato da parte dei “laici” che non devono essere minimamente distratti da
monitors ecggrafici e pulsanti, né devono avere la minima possibilità, anche solo per
errore, di passare alla funzione “manuale” del defibrillatore. La presenza di opzioni
e funzioni diverse (ossimetro, capnografo, stimolatore transcutaneo, etc ) possono in
qualche modo ritardare l‟operatività anche del medico se questi non ha familiarità
con tali macchine.
I DAE a “ due tasti” sono particolarmente indicati nei programmi denominati
“PAD” ( Public Access Defibrillation, ovvero “Defibrillazione Precoce nella
Comunità) per la semplicità dell‟acquisizione delle abilità per il loro utilizzo.
Ma il vero inizio della pratica della defibrillazione precoce deve essere attribuito agli
statunitensi, che già nei primi anni ‟80 avevano realizzato i primi programmi di early
defibrillation, con programmi di insegnamento dell‟ elettrocardiografia, e
dell‟aritmologia in particolare, a vigili del fuoco, polizia e personale di sicurezza,
specie nelle cittadine ove non erano presenti ospedali o centri di soccorso. Il vero
impulso alla metodica è stato dato dalla messa in commercio dei defibrillatori
semiautomatici. Con tali apparecchi hanno preso il via innumerevoli programmi
31
sperimentali di defibrillazione precoce che hanno dato in alcuni casi riduzioni della
mortalità vicine al 50%.
La cosa veramente innovativa è che anche chi non ha mai fatto un corso specifico di
addestramento all‟uso del DAE può (seguendo quella che negli USA è definita la
“legge del buon samaritano” ) prelevare il defibrillatore ed iniziare ad usarlo. Si
attiva un allarme che allerta i soccorsi professionali, ma intanto il volontario
occasionale è in grado di utilizzare con successo l‟apparecchio in quanto vengono
riproposte costantemente le istruzioni per l‟uso dei DAE. ( Sale d‟attesa, volantini,
cartellonistica stradale, mass media.)
I risultati che si stanno ottenendo sono molto buoni con percentuali di successo molto
alte, visti i tempi di intervento molto contenuti.
Anche in Italia, l‟affidabilità dei defibrillatori semiautomatici, ha consentito negli
ultimi anni, l‟avvio di progetti di defibrillazione extraospedaliera, nei quali anche
personale cosiddetto “laico”, ossia non medico o professionale, è stato addestrato
all‟utilizzo di questi apparecchi.
Col termine di laico s‟intendono tutte quelle persone che per lavoro o per hobby o
anche solo per caso possono trovarsi nelle immediate vicinanze di un paziente
colpito da arresto cardiocircolatorio. Ecco allora che i laici saranno anzitutto i
volontari del soccorso che molto più facilmente e con maggiore predisposizione di
altri sapranno intervenire, ma anche agenti della polizia stradale, carabinieri, vigili
del fuoco e vigili urbani, farmacisti, massaggiatori e addetti agli impianti sportivi,
uscieri, baristi ecc…
Il punto focale di un progetto del genere diviene allora: distribuirli capillarmente nel
territorio.
La distribuzione capillare sul territorio è l‟unica che può garantire la presenza
materiale di un defibrillatore a pochi minuti dal paziente. La scelta dei luoghi ove
collocare gli apparecchi deve privilegiare da un lato la densità o la concentrazione
della popolazione (principio della maggiore possibilità dell‟evento) e dall‟altro
l‟isolamento del gruppo ( ad un paesino di montagna con nessuna possibilità di
intervento del 118 in tempo utile bisogna dare una chance). È comunque fin d‟ora da
prevedere una futura distribuzione sempre più capillare del D.A.E. che dovrà arrivare
ad avere una distribuzione simile ad un estintore. In un futuro probabilmente neanche
32
troppo lontano si potrebbe e si dovrebbe arrivare a sostituire il “corso di formazione”
all‟utilizzo del DAE con le “istruzioni per l‟uso” dei DAE; un po‟ come avviene
attualmente con gli estintori antincendio che vengono normalmente utilizzati anche
da parte di chi non ha appreso il loro funzionamento da un corso dedicato.
In questo modo, i defibrillatori semiautomatici, data la loro diagnosi assolutamente
affidabile, renderanno sempre più ininfluente la presenza del medico.
A questo proposito, i DAE, infatti , fin dai loro primi utilizzi, sono stati guardati con
una certa diffidenza dalla classe medica che da un lato non credeva al loro grado di
appropriatezza diagnostica e dall‟altro si vedeva esautorata dall‟esclusività
d‟intervento. Il tempo ha dimostrato e confermato che non solo possiamo fidarci di
macchine che sono in grado di essere utilizzate con assoluta sicurezza anche da parte
di personale non medico, ma che, eliminando il fisiologico ritardo decisionale legato
all‟emotività del momento, sono di estrema utilità anche per il medico di medicina
generale o che non abbia dimestichezza con aritmie maligne.
Una serie di filtri valuta la presenza di segnali: di trasmissioni radio, d‟interferenze
elettriche, come anche di elettrodi staccati o mal funzionanti. Minima è la possibilità
d‟errore insita nell‟apparecchiatura.
L‟ormai vasta esperienza clinica ha dimostrato che raramente il DAE viene tratto in
errore
da
movimenti
del
paziente
(crisi
comiziali,
respiro
agonistico,
riposizionamento), o da artefatti. [14]
Per evitare che vi siano artefatti, durante la fase di analisi, bisogna evitare di toccare
il paziente, sospendendo la rianimazione ( compresa la ventilazione).
Se ci si trova in ambulanza, occorre fermarsi (spegnere il motore) perché le
vibrazioni del mezzo potrebbero creare errori di interpretazioni del ritmo da parte del
DAE. Durante il trasporto in ambulanza è in ogni caso opportuno mantenere sempre
collegato il DAE al paziente, anche perché, nel caso in cui il paziente tornasse in FV,
avremmo difficoltà a recepirla vista la persistenza dello stato di incoscienza. Inoltre,
in questo caso, l‟apparecchio che continua ad essere collegato ci avvisa e comincia
automaticamente la carica dei condensatori.
La diagnosi risulta corretta quasi nel 100% dei casi ( specificità = 99,87%), mentre la
sensibilità risulta pari al 98%.
33
Sicurezza nell’utilizzo del defibrillatore
Perché una defibrillazione sia efficace è necessario il corretto posizionamento delle
placche, ovvero che il flusso delle cariche elettriche attraversi almeno il 70% della
massa ventricolare. Il rischio maggiore nel posizionamento delle placche è che la
placca laterale sia troppo anteriorizzata, avvenendo così un passaggio troppo
superficiale delle cariche. D‟altra parte la posizione antero-posteriore, sicuramente
più efficace nel coinvolgere una massa maggiore, è di difficile attuazione in
condizioni d‟emergenza,sia per il maggior tempo richiesto, ma soprattutto perché
richiederebbe un sollevamento del paziente, sicuramente poco agevole nelle
condizioni in cui ci si trova.
Prima di posizionare le placche, tuttavia, l‟operatore deve rendersi conto se esistono
controindicazioni all‟applicazione della metodica, ovvero se devono essere prima
adottati provvedimenti o precauzioni particolari. ( In caso di acqua, bambini,
ipotermia, pazienti portatori di pacemaker o dispositivi impiantabili).
L‟acqua è un buon conduttore di corrente e può essere un mezzo attraverso il quale la
scarica si propaga ai soccorritori e /o ai presenti. Anche se la possibilità che questi
possano subire danni è estremamente bassa, è necessario, prima di applicare gli
elettrodi, spostare la vittima dall‟acqua. La presenza di acqua sul torace del paziente
può inoltre costituire un mezzo per il passaggio di corrente direttamente da un
elettrodo all‟altro con riduzione dell‟efficacia della scarica. Per tale motivo è
necessario sempre asciugare bene il torace prima di applicare gli elettrodi. Anche il
semplice sudore, sempre molto abbondante in caso di arresto cardiocircolatorio, deve
essere deterso con le garze in dotazione. Anche il contatto del paziente con le parti
metalliche della barella deve essere evitato interponendo del materiale isolante (
coperta-telo).
Nei casi in cui, siano presenti dei bambini, che abbiano meno di 8 anni o comunque
un peso inferiore ai 25 Kg non utilizzare un comune DAE, in quanto quelli
attualmente disponibili scaricano quantità di corrente eccessive ( superiori alle dosi
pediatriche consigliate che sono di 2-4 J/Kg).
Altra controindicazione potrebbe essere la presenza di ipotermia; in quanto i
pazienti in fibrillazione ventricolare con temperatura corporea interna inferiore a 30°
C generalmente non rispondono alla defibrillazione. In questi casi, non si deve,
34
comunque, rinunciare alla defibrillazione in un paziente ipotermico. La sequenza
andrà limitata ai primi tre shock per poi proseguire con le manovre di rianimazione
cardiopolmonare.
Prima di ogni scarica bisogna essere assolutamente certi che tutti si siano allontanati,
e controllare il paziente dalla testa ai piedi, in modo da accertarsi che nessuno lo
tocchi direttamente o indirettamente.
Un‟annotazione deve essere posta per i malati che sono portatori di dispositivi
impiantabili tipo pacemaker e/o defibrillatori impiantabili. In questi casi è da evitare
il posizionamento delle piastre direttamente su tali dispositivi, poiché anche se
protetti contro un‟eventuale scarica dall‟esterno, c‟è la possibilità che si alteri la loro
programmazione con conseguenti malfunzionamenti.[15]
Non deve essere dimenticato che efficacia della defibrillazione significa interruzione
dell‟aritmia e non risoluzione dell‟emergenza “arresto cardiaco”.
Successo della scarica, nel senso stretto del termine, significa assenza della
fibrillazione dopo 5 secondi dall‟erogazione stessa. Questo aspetto è essenziale per
comprendere la “filosofia” del DAE, il cui algoritmo prevede solo due modalità di
risposta: “scarica indicata” ( che presuppone l‟analisi di una FV) oppure “scarica non
indicata” qualora l‟analisi evidenzi qualunque altro tipo di ritmo; in tale evenienza è
opportuno praticare la rianimazione cardiopolmonare.
Infine
l‟evento
“arresto
cardiaco”
si
concluderà
positivamente
solo
se,
conseguentemente allo shock efficace, avremo anche il ripristino di un ritmo
emodinamicamente valido, il ricovero in ospedale e la dimissione.
2.4 IL PUBBLICO ACCESSO ALLA DEFIBRILLAZIONE
Il progetto P.A.D. (Public Access Defibrillation)
Con il termine PAD si definisce una nuova metodologia con la quale realizzare un
progetto di defibrillazione precoce sul territorio. Il P.A.D si basa sul concetto di una
catena, che coinvolge e correla in una sequenza temporale, enti pubblici e privati,
istituzioni quali: il 118, le forze dell‟ordine, il dipartimento d‟emergenza sanitaria,
l‟opinione pubblica, tramite la stampa e le agenzie pubblicitarie, i rappresentanti
della legge, le associazioni di volontariato, i vigili del fuoco, ecc., nel perseguimento
35
di uno stesso scopo, ridurre i tempi d‟intervento rianimatorio, per tutte quelle persone
che ogni anno muoiono di arresto cardiocircolatorio.
La P.A.D. è la catena della defibrillazione nelle comunità e si propone come
integrazione del sistema di emergenza. Mira a portare la defibrillazione entro 4-5
minuti dall‟arresto cardiaco, se necessario e se possibile prima dell‟intervento dei
mezzi di soccorso.
L‟obiettivo del programma, è il trattamento immediato ( entro 4 minuti), di una
persona colpita da arresto cardiocircolatorio, attivando la defibrillazione precoce
eseguita da “ First Responders”, primo a rispondere, opportunamente addestrati alle
manovre RCP e defibrillatorie, in attesa dell‟arrivo del soccorso avanzato.
Con l‟attivazione di questi progetti sul territorio italiano, ci si propone di aumentare
il tasso di sopravvivenza delle persone colpite da morte cardiaca improvvisa, sino al
30%.
Il progetto è coordinato da personale medico ed infermieristico, che ha anche il
compito di addestrare e verificare periodicamente il personale autorizzato.
Sarà realizzata, così, una rete di DAE sul territorio, alcuni fissi ed altri mobili in
pattuglia e ambulanza, tenendo anche in considerazione la mobilità e/o il flusso
turistico che eventi, spettacoli ed occasioni particolari possono periodicamente
concentrare. [16]
Otto sono le tappe fondamentali che regolano l‟organizzazione del progetto:
1. Consenso medico legale
2. Coinvolgimento delle istituzioni
3. Il consenso dell‟opinione pubblica
4. Reperimento fondi
5. Rapporti con il 118
6. La distribuzione territoriale dei DAE
7. Il training
8. La raccolta dati.
36
Consenso medico legale
L‟8.3.2001 il Parlamento ha approvato la legge che consente l‟utilizzo, di
defibrillatori semiautomatici in ambiente extraospedaliero anche da parte di
personale non medico purchè preventivamente addestrato al suo utilizzo e sotto il
controllo del 118. Con tale legge, si è potuto dare il via alla diffusione generalizzata
della metodica sul territorio.
Coinvolgimento delle Istituzioni
È essenziale non solo per una validazione legale del progetto, ma anche per il suo
accreditamento e sostentamento economico. Il coinvolgimento degli Enti e delle
Istituzioni è essenziale anche perché essi stessi trarranno benefici dal progetto, oltre a
vedere coinvolto il proprio personale. Il personale coinvolto ( First Responders) è
costituito da Vigili del Fuoco, Vigili Urbani, Polizia, Guardia di Finanza e Volontari
delle Associazioni. Occorre quindi il consenso del Sindaco, del Prefetto, del
Questore, dei Presidenti delle Associazioni, oltre che di quelli della Regione e della
Provincia.
Il consenso dell’opinione pubblica
Indispensabile per far conoscere il progetto alla popolazione ( mediante stampa,
televisione, radio) ottenendone in cambio una maggiore garanzia che il primo anello
della catena non venga a mancare. L‟allertamento rapido è infatti ancora il punto
debole dell‟intero progetto non consentendo in alcuni casi l‟allertamento ed il rapido
intervento del first responders.
La consapevolezza dei cittadini può condurre al finanziamento diretto del progetto
PAD da parte degli stessi. Non solo: un‟opinione pubblica informata è uno strumento
di pressione che può influenzare le scelte politiche locali, favorire erogazioni da parte
delle Asl, del Comune, della Provincia, della Regione.
Reperimento fondi
Ogni specifica realtà deve consentire l‟acquisto dei defibrillatori e la formazione del
personale. Una corretta informazione sugli scopi del Progetto può favorire, dunque, il
37
reperimento di fondi tramite ASL, Comune, Provincia, Regione, Cittadinanza
(donazioni, lotterie), aziende, industrie, banche, fondazioni ed associazioni culturali.
Rapporti con il 118
La nuova legge sulla defibrillazione precoce eseguita da laici responsabilizza le ASL,
i 118 e i servizi di emergenza territoriali, poiché devono assicurare questo servizio a
tutti i cittadini organizzando materialmente questo nuovo sistema di emergenza.
La legge giustamente prevede che non sia possibile un progetto di defibrillazione
precoce che non veda nel 118 chi addestra ed accredita i First Responders, decide
come e dove disporre i DAE, allerta con le modalità più idonee al luogo, gestisce i
risultati ed i dati statistici.
La distribuzione territoriale DAE
Compito specifico del 118 che dovrà valutare le zone da coprire in base al numero di
persone presenti nel distretto, alla distanza della località da una sede principale o
secondaria del 118, alle caratteristiche del territorio, nonché in base alla disponibilità
che esso offre in termini di mezzi e di personale.
Il training
La nuova legge, nelle poche righe di cui è composta, ricorda che possono utilizzare il
DAE anche i cosiddetti “ laici” purchè preventivamente addestrati ed accreditati.
I corsi sono tenuti da Istruttori BLS-D a loro volta addestrati ed accreditati secondo
le Linee Guida Internazionali.
La raccolta dati
La raccolta dati deve avvenire in maniera assolutamente scrupolosa e con
metodologia uniforme e confrontabile con tutti gli altri centri.
Oltre ad essere un utile strumento metodologico, la raccolta dati ha lo scopo di
valutare l‟aumento della percentuale di sopravvivenza, di verificare se ci sono lacune
sul territorio, di creare consenso nell‟opinione pubblica.
38
Con un intervento territoriale rapido ed efficace il 25-35% circa dei pazienti soccorsi
giunge in ospedale con respiro e polso spontanei. Questi risultati indicano
l‟affidabilità del DAE e incoraggiano l‟azione di sistemi territoriali di intervento che
ne contemplino l‟uso e l‟affidamento a infermieri e laici.
La legge, approvata dal Parlamento, (Legge 120 del 2 aprile 2001 “uso del
defibrillatore cardiaco semiautomatico in ambiente extraospedaliero”), facilita e, in
un certo senso, spinge le amministrazioni locali ad attuare programmi operativi di
formazione e di intervento sulle emergenze cardiologiche, volti soprattutto a
contrastare l‟arresto cardiaco responsabile di un numero rilevante di decessi. In un
tale scenario, l‟infermiere può svolgere un ruolo di primo piano, conseguendo
sempre maggiore autonomia professionale.[17]
39
Capitolo 3
RUOLO E RESPONSABILITA’
DELL’INFERMIERE
40
3.1 AUTONOMIA E COMPETENZA IN AREA CRITICA
In ogni campo della medicina e della chirurgia la figura dell‟infermiere è
fondamentale e assai spesso la cura soddisfacente del malato e addirittura della sua
stessa vita, dipendono dall‟infermiere più che dal medico, dalla sua competenza,
dalla sua esperienza, dalla sua disponibilità, dalla sua attenzione, dalla sua premura,
dal suo spirito critico.
Nel Pronto Soccorso o meglio, durante il soccorso sul territorio, il ruolo
dell‟infermiere è addirittura critico, specie quando è chiamato a stabilire una
gerarchia dei pazienti in funzione della loro gravità. Il suo contributo diventa
essenziale quando gli interventi non lasciano tempo al dialogo, quando la gestualità
deve essere all‟unisono, quando deve bastare uno sguardo, un gesto per indirizzare
un comportamento, quando la necessità di una variazione dal programma iniziale
deve essere percepita e condivisa all‟istante dal medico e dall‟infermiere. Chi sceglie
di assumere un ruolo in un servizio di Pronto Soccorso, sulle ambulanze, nei SAUT
(servizio assistenza urgenza territoriale), deve necessariamente tenere conto di alcune
importanti caratteristiche:
 Imprevedibilità degli eventi e delle patologie
 Responsabilità notevoli, anche di ordine medico-legale
 Variabilità delle tipologie e delle gravità delle patologie
 Attività stressante ( rischio elevato di sindrome di burnout)
 Molteplicità delle prestazioni da fornire
 Centralità delle funzioni del primo soccorso
 Complessività dei problemi e delle situazioni
 Particolarità dello stato emotivo-psicologico e di tensione dei pazienti e dei
loro familiari
 Contemporaneità di richieste assistenziali a carattere d‟urgenza e necessità di
selezionare la priorità ( TRIAGE)
 Necessità di un approccio culturale, adeguato e maturo in molte situazioni
particolari
 Gestione operativa secondo il lavoro di equipe, spesso come leader
dell‟equipaggio
41
 Necessità, talora, di decisioni rapide anche in condizioni di carenza di
informazioni, documentazione clinica e supporti diagnostici adeguati
 Attenzione, precisione, disponibilità, elasticità mentale, manualità tecnica,
iniziativa e senso critico di fronte a problemi insoliti
 Elevata preparazione professionale / specializzazione
 Sensibilità e tatto nei rapporti interpersonali
 Equilibrio e autocontrollo
 Spirito di osservazione, rapida valutazione e definizione dei problemi e
obiettivi
 Elevata e giustificata motivazione al lavoro
 Capacità di mettersi in discussione e di auto valutarsi.
Un ruolo, quello dell‟Infermiere di Area Critica, determinante ai fini del risultato
finale e ai fini degli obiettivi comuni del gruppo. L‟infermiere deve essere, inoltre,
consapevole che la sua attività non si esaurisce nell‟esercizio meccanico di compiti ,
ma si completa ed è efficace, nella misura in cui crede nel significato interpersonale
del suo rapporto con il gruppo operativo, l‟utente e i suoi familiari.
Da quanto sopra esposto, si può ben comprendere che il ruolo di un Infermiere, che
lavora in ambulanza, sul territorio, è tanto affascinante quanto complesso. Chiunque,
in termini teorici può essere un infermiere, ma non tutti saranno identificati come
“l‟Infermiere”.[18]
3.2 FORMAZIONE DELL’INFERMIERE IN AREA CRITICA
La
necessità
di una preparazione specifica dell‟infermiere nell‟Area Critica è
perfettamente in linea con la crescita professionale di un infermiere specializzato. È
stata avvertita la necessità di fornire un addestramento pratico e di sviluppare
un‟abilità particolare nell‟esecuzione di alcune procedure. Ciò è esattamente in linea
con lo sviluppo professionale di un infermiere qualificato in un settore dove, fino a
pochissimi anni fa, era fonte di discussione il problema dell‟assistenza al paziente
con atti i quali, non rientrando nel mansionario, potevano o dovevano essere
“delegati” dal medico soprattutto in alcune situazioni, in cui potevano assumere un
42
valore salvavita, se tempestivi e appropriati. ( In questo senso l‟introduzione del
DAE, ha rappresentato un‟opportunità concreta per l‟infermiere).
La preparazione dell‟infermiere in Area Critica va indirizzata verso la gestione di un
problema complesso, quale il contrasto della “situazione critica”, globalmente
considerata. La situazione assume particolare rilievo in Area Critica , dove i bisogni
del paziente si possono manifestare in qualsiasi momento: l‟assistenza, il trattamento,
in una parola, la gestione del malato.
La formazione deve essere perciò globale, nel senso di far raggiungere all‟infermiere
l‟obiettivo del saper essere che è caratteristica fondamentale per ognuno dei
componenti del “team dell‟urgenza”. Con il termine situazione critica si tiene conto
dei diversi luoghi ove ci si ritrova a prestare l‟intervento, della rapidità e
dell‟appropriatezza che devono caratterizzare certe procedure e manovre,
dell‟impatto emotivo dei
presenti e del paziente che potrebbero condizionare
l‟operatore.
In questo sistema l‟infermiere deve essere in grado nello stesso tempo di integrarsi
con il team dell‟urgenza, e di porsi in un ruolo di autonomia operativa.
Un infermiere di Area Critica deve saper rispondere a tutti i diversi bisogni che una
persona può improvvisamente presentare, fornendo una prestazione non solo
tempestiva, corretta e continua, ma anche globale, intendendo nella globalità i
bisogni bio-psicosociali dell‟individuo, e la relazione con l‟ambiente in cui si è
verificata la situazione d‟emergenza.
Si prevede la certificazione in BLS ( basic life support), ACLS ( advanced cardiac
life), PALS ( pediatric advanced life support) e PHTLS ( prehospital trauma life
support); è auspicabile che l‟infermiere sia certificato in assistenza in area critica.
Obiettivo è l‟orientamento assistenziale verso tutte le tipologie di pazienti, strategie
di prevenzione dei bisogni e dell‟insorgenza di complicanze relative. Le competenze
acquisite si traducono in responsabilità dirette nei confronti del trasporto, del
monitoraggio e del mantenimento della stabilizzazione ( attraverso interventi
terapeutici) della persona che versa in condizioni critiche.
In emergenza, risulta veramente difficile segnare in maniera netta il confine tra gli
ambiti medici e quelli infermieristici, che operativamente risultano strettamente
complementari e frequentemente sovrapposti; questo si riflette pertanto anche nella
43
natura delle informazioni erogate ai familiari del paziente critico, che generalmente
soddisfano il bisogno di rassicurazioni cliniche. Pertanto diventa non un diritto, ma
un dovere professionale trasmettere le rilevazioni cliniche effettuate ai familiari che
lo richiedano, senza pensare di aver sconfinato oltre le competenze caratteristiche del
nursing.
In ogni contesto clinico l‟infermiere e il medico sono tenuti a mantenere aggiornati i
familiari sulle condizioni del paziente, in particolar modo se presenti situazioni ad
alto potenziale evolutivo.
Il professionista infermiere non deve farsi cogliere impreparato, ma deve rispondere
in modo soddisfacente ai bisogni degli utenti con prestazioni e assistenza erogate
insieme ad altri professionisti in multidisciplinarietà. A tal fine, la sola formazione di
base non è assolutamente sufficiente, ma diviene indispensabile l‟orientamento verso
l‟aggiornamento professionale e la formazione permanente.
In un contesto in evoluzione come quello attuale, il professionista che opera in un
servizio territoriale o in pronto soccorso o in terapia intensiva, non deve farsi
cogliere impreparato ma deve formarsi e aggiornarsi continuamente (ECM), poiché
la qualità è da considerarsi come uno dei principi cardine per lo sviluppo della stessa.
Nello specifico, gli infermieri di area critica dovrebbero rientrare nei livelli di
competenza, quali:
-infermiere competente;
-infermiere abile,
-infermiere esperto.
L‟infermiere che opera in Area critica, infatti, deve avere conoscenze, competenze e
abilità specifiche che gli consentano di affrontare con rapidità e prontezza, tutte le
situazioni che determinano criticità ed instabilità vitale, dal verificarsi dell‟evento
scatenante, fino alla stabilizzazione, all‟iniziale recupero oppure alla morte.
L‟infermiere, esperto nell‟assistenza, deve essere in grado di:
1. rilevare ed interpretare i bisogni della persona in precarietà vitale soggetta a
repentini e non sempre prevedibili mutamenti clinico- assistenziali;
2. garantire il recupero, sostegno e compensazione delle capacità vitali dal
momento in cui si verifica l‟evento clinico fino alla stabilizzazione;
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3. accompagnare, con alta capacità empatica, la persona assistita ed i suoi
familiari nella fase terminale della vita e fino al momento della morte;
4. operare in maniera integrata;
5. agire con alta capacità relazionale;
6. utilizzare strumenti e presidi ad alta complessità e componente tecnologicoinformatica;
7. assistere con rapidità, precisione ed efficacia;
8. offrire costantemente informazioni e consulenza scientifico-assistenziale.
In poche parole, l‟infermiere di Area critica, deve essere in grado di garantire alta ed
efficace assistenza infermieristica in prima linea e nelle aree di confine.
Oggi, non c‟è posto all‟improvvisazione, vista l‟evoluzione continua nell‟approccio
al paziente critico. La distinzione tra i professionisti non è data semplicemente dal
titolo acquisito, ma tale distinzione viene determinata da una serie di elementi che
caratterizzano,l‟infermiere di Area critica, che sono:
-preparazione specifica;
-esperienza;
-professionalità;
-elasticità mentale.
PREPARAZIONE SPECIFICA
Il professionista deve acquisire tecniche e metodiche comportamentali che
permettano la padronanza in regime di urgenza, dove per tecniche si intendono:
-BLSD: cioè sostegno delle funzioni vitali di base mediante rianimazione
cardiopolmonare con l‟ausilio del defibrillatore semiautomatico;
-PBLS: per l‟acquisizione di tecniche di rianimazione di base come il BLS, ma nei
bambini che vanno da 0 a 8 anni;
- ACLS: per l‟acquisizione di tecniche di assistenza avanzata al paziento in arresto
cardiaco,
- profonda conoscenza e abilità nella gestione e impiego delle tecnologie,
strumentazioni e presidi assistenziali.
Per metodiche comportamentali si intende:
-gestione dell‟emotività;
-comunicabilità;
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-prevenzione della Sindrome del soccorritore da Burnout.
Ciò dimostra che anche nell‟area critica l‟aspetto relazionale ed educazione è
fondamentale, come indicato dal Profilo Professionale.
ESPERIENZA
Questa caratteristica è intesa come acquisizione diretta, teorico/ pratica di nozioni
che permettono all‟infermiere che opera nel settore dell‟emergenza sia la veloce
valutazione dello stato di gravità del paziente sia l‟assistenza mirata al problema.
L‟esperienza si acquisisce sul campo, ma non come l‟assistenza meccanica ad un
numero infinito di pazienti, ma come pianificazione dell‟assistenza mirata e
soggettiva, quanto alla ricerca infermieristica.
PROFESSIONALITA‟
La professionalità, qualità che non la si acquisisce solo attraverso un titolo, è una
caratteristica personale che nasce con il professionista, insieme alla sua
consapevolezza, ai valori e ai principi che rendono la professione così importante
nella società.
Particolare riguardo, quindi, all‟infermiere che opera nell‟area critica in quanto deve
avere la capacità di analizzare ed intraprendere in modo sistematico la situazione
assistenziale anche in condizioni di stress.
Infatti spesso si trova a dover prendere decisioni, ad organizzare e ad agire in regime
di urgenza con limitate risorse.
ELASTICITA‟ MENTALE
È una delle caratteristiche obbligatorie per il personale che opera nell‟emergenza,
soprattutto quella extraterritoriale, perché , ogni intervento non sarà mai
corrispondente all‟altro anche se a parità di codice e di patologia.
L‟emergenza , dunque,deve basarsi su una preparazione a tutti i livelli.
La possibilità di raggiungere risultati assistenziali soddisfacenti è determinata dalla
competenza a identificare il paziente critico, dall‟abilità a riconoscere e valutare le
condizioni di criticità/ precarietà vitale, dell‟assumere responsabilmente le decisioni
conseguenti ed effettuare le prestazioni infermieristiche in un ottica di
personalizzazione e di qualità; in sintesi dalla capacità di impostare il processo
assistenziale e intervenire con autonomia e responsabilità. Questo gli consente di
operare inserito organizzativamente sia nel soccorso territoriale, presso le Centrali
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Operative del 118, sia in Terapia Intensiva, sia nel DEA ( dipartimento di emergenza
e accettazione) di 1° o 2° livello.
Per quanto riguarda il contesto operativo reale, è necessario tenere presenti alcune
variabili che intervengono nella fase assistenziale e di cui, quindi, è necessario
conoscere il comportamento in area critica, variabili che possono sicuramente
incidere in modo cruciale nell‟evoluzione dell‟intervento infermieristico. Queste
variabili vengono identificate come:
-il tempo per intervenire;
-il luogo in cui si interviene intra ed extra- ospedaliero;
-i dati a disposizione;
-la tecnologia disponibile.
Rispetto alla disponibilità dei dati, tutto quello che riguarda l‟utente deve essere, ai
fini dell‟assistenza, registrato e documentato allo scopo di mantenere e garantire,
oltre l„aspetto legale, una gestione assistenziale ottimale.
Per quanto riguarda l‟assistenza in ambito di emergenza/ urgenza, l‟infermiere ha un
duplice compito: inizialmente, codificare la criticità del paziente con la maggiore
precisione possibile e, successivamente, applicare con proprietà strumenti come
procedure, protocolli o linee guida, impegnandosi ad integrarli con il sapere che
deriva dalla conoscenza ma, soprattutto con la necessità di agire rapidamente e in
modo rigoroso, determinando così il buon esito dell‟intervento. Nel mondo
scientifico e assistenziale il paziente critico viene definito come la persona che si
viene a trovare in una situazione di tale gravità da temere per la vita. Il rischio per la
vita è identificato in una serie di fenomeni negativi, ormai rigorosamente codificati,
tant‟è che a livello internazionale si è elaborato il cosiddetto Basic life support (BLS)
come un insieme di procedure “salvavita”, comprensive della rianimazione cardiopolmonare (RCP), che chiunque potrebbe essere in grado di applicare dopo aver
frequentato un adeguato corso di apprendimento.
Immediatamente dopo la prima fase, tuttavia, si rende però necessario l‟intervento
dei professionisti sanitari che si prendano in carico il paziente e ne gestiscano la cura.
Nell‟espletare il trattamento di emergenza, l‟infermiere si trova ad assistere pazienti
in condizioni vitali critiche. In queste situazioni verranno individuati criteri di
priorità d‟azione diversi da quelli utilizzati nella normalità.
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L‟infermiere dovrà essere in grado di erogare prestazioni assistenziali competenti in
ogni luogo in cui si presenta una situazione caratterizzata dalla criticità del paziente e
dalle conseguenti complessità assistenziale.
Il ruolo dell‟infermiere in una situazione di emergenza, dunque, dipende da una serie
di competenze o conoscenze tecniche e capacità organizzative. Deve saper valutare
le situazioni, gestire ogni momento, in modo preciso e precoce, e deve soprattutto
farsi carico di tutte le responsabilità in quanto ci si trova in emergenza.[19]
3.3 ASPETTI MEDICO- LEGALI NEL SOCCORSO
Il Pronto soccorso è un insieme di attività sanitarie complesse (es. defibrillazione,
intubazione, farmaci) che hanno come obiettivo il trattamento di emergenza di uno
stato patologico insorto improvvisamente. Generalmente tali manovre sono di
pertinenza sanitaria.
Con il termine Primo soccorso si intendono le manovre di assistenza di base (es.
chiamata al 118, massaggio cardiaco, respirazione bocca a bocca …) finalizzate al
miglioramento delle condizioni cliniche della persona colta da malore e alla
prevenzione delle complicanze.
Il soccorso è, dunque, un obbligo: morale, medico-legale e deontologico.
La gestione delle emergenze in ambito sanitario costituisce una delle situazioni che
più spesso giungono all‟attenzione del medico legale per le implicazioni di
responsabilità professionale, anche alla luce di fatti di cronaca riportati giornalmente
dai media, talvolta in modo incompleto.
Si tratta di eventi estremamente delicati, anche per la molteplicità di figure che
intervengono e che si realizzano in piena evidenza. Purtroppo, bisogna affermare che
l‟attuale organizzazione dell‟emergenza sanitaria extraospedaliera è regolata da leggi
nazionali e regionali e presentano alcuni aspetti operativi in disaccordo con il medico
legale.
Innanzitutto, bisogna ricordare la differenza che esiste tra due termini che spesso
vengono ancora usati impropriamente:
-emergenza: è una situazione connotata dalla necessità di un‟azione terapeutica
immediata per evitare la morte o gravissime lesioni del paziente, da parte del medico,
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dell‟infermiere, ma anche di altri operatori presenti sulla scena dell‟evento,
giustificando atti che vanno al di là delle specifiche competenze ( per esempio: una
tracheotomia eseguita da un infermiere);
-urgenza:è una situazione che impone la messa in atto di tutta una serie di
provvedimenti atti a dare un pronta ed adeguata assistenza, nel rispetto delle norme e
delle procedure correnti, ma dilazionabili nel tempo.
Con l‟abrogazione del mansionario con la legge del 26 febbraio 1999, n° 42, con
l‟approvazione del Codice Deontologico del 1999, unitamente ad altre fonti come per
esempio il Profilo Professionale del 1994, l‟operatività dell‟infermiere assume una
posizione fondamentale nell‟attuale scenario sanitario.
La nuova situazione comporta una maggiore libertà operativa e nel contempo una
maggiore responsabilità dell‟infermiere.
Situazioni in cui è necessario prendere una decisione in un breve lasso di tempo, in
una situazione d‟emergenza, si presentano costantemente nella normale attività
lavorativa.
Le linee guida e i protocolli attualmente in uso non risolvono però tutte le
problematiche che invece sorgono in condizioni di emergenza, come l‟intubazione
d‟emergenza o la defibrillazione precoce.
La responsabilità professionale
In ogni attività in cui ci sia una dose di rischio deve esistere una certa autonomia,
ovvero, la possibilità e la capacità di autodeterminarsi a seconda della situazione, in
base al principio che “ non può esservi responsabilità se non vi è autonomia
decisionale”.
Responsabilità professionale significa rispondere alle conseguenze dannose degli atti
e delle prestazioni che rientrano nella propria professione.
In sede penale e civile, è dovuta quasi sempre ad un comportamento colposo da parte
del medico o dell‟operatore sanitario.
La responsabilità può essere:
-penale: è personale, si estingue con la morte;
-civile: è patrimoniale, si trasmette agli eredi;
-amministrativa: inosservanza dei doveri d‟ufficio e di servizio.
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Affinchè sussista la responsabilità penale, occorre che ci sia comportamento colposo.
Tale comportamento, regolato dall‟art c.p., può dipendere da:
-imprudenza: caratterizzata dalla fretta;
-imperizia: caratterizzata dall‟ignoranza, dal non sapere;
-negligenza:caratterizzata dalla superficialità.
Si può configurare colpa per:
-negligenza: per esempio, non controllare le apparecchiature necessarie prima di
intraprendere l‟attività di soccorso. Il non corretto posizionamento delle piastre del
defibrillatore con conseguente ustione o folgorazione. L‟omesso controllo dei
farmaci.
-Imprudenza: l‟intraprendere l‟attività di soccorso pur sapendo di non poter
rispondere appieno alle richieste, e pur essendo a conoscenza dell‟alta probabilità che
il proprio comportamento produca danno. Caratterizzata da un comportamento
avventato.
-Imperizia: insufficiente preparazione, per cui non vengono compiuti atti che fanno
parte del bagaglio culturale, scientifico e pratico pari alle capacità della maggior
parte dei propri colleghi ( quindi ignoranza o incapacità professionale).
La giustizia di solito, per evidenziare una responsabilità professionale va alla ricerca
di una colpa “grave”, cioè quella derivante da un errore ingiustificabile o
dall‟ignoranza di principi elementari attinenti all‟esercizio di una determinata
attività.
Il codice penale non fa distinzione di colpa e il grado di gravità viene deciso dal
giudice che commisura la pena adeguata.
Interessante nell‟ambito del soccorso sanitario è lo stato di necessità, art 54 c.p..
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
salvare se od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui
non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia
proporzionato al pericolo.” Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare
dovere giuridico di esporsi al pericolo. Al di fuori di questi parametri il reato ritorna
ad essere “punibile”. Nel caso dell‟arresto cardiaco, la proporzionalità tra fatto e
pericolo è rappresentata dalle possibili complicanze della RCP (es. fratture costali)
rispetto al reale pericolo della progressione da morte clinica a biologica. In questo
50
caso, quindi lo stato di necessità trasforma il fatto “aver fratturato le coste” da reato a
non reato. (art 54 C.P.).
Omissione di soccorso, Art 593 c.p.
L‟art. 593 del codice penale recita: “chiunque, trovando un corpo umano che sia o
sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di
prestare l‟assistenza occorrente o di darne immediato avviso all‟autorità è punito con
la reclusione fino a un anno o con la multa ….”
Prestare soccorso a chi è in pericolo di vita è un imperativo morale da parte del
cittadino. L‟obbligo giuridico grava su tutti i cittadini ed in particolare, su tutti coloro
che esercitano attività sanitarie.
L‟infermiere soccorritore deve effettuare prestazioni di sua pertinenza entro i limiti
imposti dalle circostanze, dalle possibilità tecniche e dai protocolli operativi.
Qualora, l‟infermiere messo di fronte a dei problemi risolvibili dalle sue prestazioni,
preferisce astenersi dall‟agire, mettendo in serie pericolo la vita del paziente o
addirittura lasciandolo morire, può essere incriminato non solo per omissione di
soccorso ma anche per omicidio colposo. La magistratura ha l‟obbligo di aprire un
procedimento giudiziario nel caso venga a conoscenza che l‟infermiere abbia
prestato soccorso, ma non abbia agito in maniera pertinente al caso.
La defibrillazione elettrica cardiaca
La defibrillazione manuale è una atto medico non delegabile, non compreso tra le
competenze infermieristiche, in quanto necessita di peculiari conoscenze di
pertinenza esclusivamente medica. Al contrario, la defibrillazione cardiaca
semiautomatica, in quanto si sostituisce all‟operatore nella diagnosi del ritmo
cardiaco, è attuabile anche dagli infermieri e dal personale laico, adeguatamente
addestrato.
Legge 120 del 2 aprile 2001
Art. 1 - E‟ consentito l‟uso del defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera
anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia
ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare.
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Art. 2 – Le regioni e le province autonome disciplinano il rilascio da parte delle ASL
e delle AO dell‟autorizzazione all‟utilizzo extraospedaliero dei defibrillatori da parte
del personale di cui al comma 1, nell‟ambito del sistema 118 competente per
territorio o laddove non ancora attivato, sotto la responsabilità delle ASL o AO sulla
base dei criteri indicati dalle linee guida adottate dal Ministro della Sanità, con
proprio decreto, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Legge 69 del 15 marzo 2004: modifica il comma 1 dell‟Art. 1 della legge 120,
estendendo l‟uso del DAE alla sede intraospedaliera.
Gazzetta Uff. n° 71 del 26/03/2003, riporta l‟accordo fra lo Stato, le Regioni e le
Province Autonome di Trento e Bolzano, inerenti le linee guida per il rilascio
dell‟autorizzazione all‟utilizzo extraospedaliero dei defibrillatori semiautomatici. Il
testo riporta: “l‟operatore che somministra lo shock elettrico con il defibrillatore
semiautomatico è responsabile non della corretta indicazione alla defibrillazione, che
è decisa dall‟apparecchio, ma dell‟esecuzione di questa manovra in condizioni di
sicurezza”.
Presso le Centrali Operative del 118 deve essere istituito un registro che riporti i dati
identificativi e la localizzazione dei DAE (Defibrillatore Automatico Esterno)
presenti sul territorio, nonché l‟elenco delle persone autorizzate all‟uso.
Naturalmente, è opportuno che l‟attività di emergenza sia documentata al pari
dell‟attività infermieristica e alla stregua di ogni attività sanitaria in senso lato,
essendo la registrazione della propria azione l‟unica possibilità concreta che il
sanitario ha a disposizione per dimostrare la correttezza e la fondatezza del proprio
operato. [20].
Alla luce di queste norme penali potrebbe essere, dunque punito colui che in
presenza di un defibrillatore non lo utilizzasse nel tentativo di soccorrere una persona
che manifesti gravi problemi di natura cardio-respiratoria.
Le leggi sulla responsabilità di un individuo a prestare soccorso a una persona in
pericolo, variano da stato a stato. Nel caso dell‟infermiere, in qualità di soccorritore
professionista ovviamente, ci si aspetta molto di più che da un qualunque altro
cittadino. Le suddette leggi, sono state formulate al fine di fornire una
regolamentazione dei livelli di formazione ai doveri di pronto soccorso ed
eventualmente anche all‟incolumità del soccorritore. Nella maggioranza dei casi, se
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ad un ente viene affidata la responsabilità degli interventi di pronto soccorso e di tale
ente fanno parte alcuni infermieri, essi avranno la responsabilità di fornire
l‟assistenza nei casi d‟urgenza, spesso anche quando non sono in servizio. Ogni stato
possiede un diverso standard di assistenza che deve essere rispettato. Esso si basa su
specifiche norme, quali: “leggi dello stato e decisioni giuridiche, protocolli locali e
linee guida localmente accettate, pubblicate da organizzazioni e istituzioni di pronto
soccorso, ordini amministrativi ecc… Sulla base di questo standard di assistenza,
l‟infermiere può essere giudicato, qualora lo si ritenga necessario, in base a ciò che ci
si aspetterebbe da qualcuno con stessa formazione ed esperienza, che agisce nella
stessa situazione o in una simile.
53
Capitolo 4
L’INFERMIERE E IL SUO VISSUTO DI MORTE
54
4.1 L’ESPERIENZA DELLA MORTE DEL PAZIENTE IN EMERGENZAURGENZA
Di fronte un arresto cardiaco, in non pochi casi, gli interventi possono essere
inefficaci, si possono verificare situazioni di insuccesso, e l‟infermiere, dunque,
deve essere pronto ad affrontare taluna situazione. La morte del paziente suscita
emozioni molto intense nello staff. I medici vivono la morte come una sconfitta
terapeutica, da cui si sentono aggrediti ed oppressi e a cui reagiscono irritandosi.
Cercano di difendersi, prendendo le distanze dal paziente,che diventa sempre più un
caso, un problema clinico e delegano gran parte della componente emotiva e
psicologica del rapporto con il paziente e i familiari agli infermieri.
Anche gli infermieri si sentono minacciati dalla morte, ma reagiscono in modo
diverso, attuano anche loro strategie di spersonalizzazione del paziente, ma hanno un
rapporto più umano con il paziente e avvertono maggiormente la componente
emotiva della relazione terapeutica. Gli infermieri per la profonda natura “materna”,
di accudimento della loro professione, sentono di non poter irritarsi in modo diretto
verso il paziente, quindi proiettano il loro disagio sugli altri.
Il costante confronto- scontro con la morte è fonte di stress, che alla lunga può
portare a fenomeni di Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD) e burnout. “ Lo
stress è definito come una reazione psico-biologica dell‟organismo alle minacce al
suo equilibrio”, dovrebbe perciò essere una risposta fisiologica e funzionale a una
situazione che mette in discussione la stabilità mentale e fisica dell‟individuo; ma il
perpetuarsi delle situazioni stressanti senza una loro rielaborazione o risoluzione
porta a una sofferenza cronica, PTSD o burnout, che si manifestano con uno
squilibrio della sfera psico-sociale e con una riduzione del rendimento lavorativo
dell‟infermiere.
Il PTSD è una sindrome che colpisce individui coinvolti in esperienze traumatiche
che sviluppano una sintomatologia che denota una sofferenza psicologica e una
mancata rielaborazione dell‟evento: ricordi intrusivi, evitamento degli stimoli
associati al trauma, diminuzione della reattività generale e aumento dell‟eccitabilità.
Le prime diagnosi di PTSD furono fatte a veterani di guerra, a persone sopravvissute
55
a catastrofi naturali, incendi, incidenti maggiori. Più recentemente, da ricerche degli
anni Novanta è emerso che “anche le persone che vivono situazioni drammatiche sul
luogo di lavoro possono sviluppare un Disturbo Post-Traumatico da Stress.
I criteri che definiscono il PTSD sono:
A) La persona è stata esposta a un evento traumatico in cui erano presenti
entrambe le caratteristiche seguenti:
 La persona ha vissuto, assistito o si è confrontata con uno o più eventi che
hanno comportato la morte o una minaccia per la vita.
 La risposta della persona comprendeva intensa paura, sentimenti di impotenza
o orrore.
B) L‟evento traumatico viene persistentemente vissuto in uno o più dei seguenti
modi:
 Ricordi ricorrenti spiacevoli ed intrusivi dell‟evento
 Ricorrenti sogni spiacevoli dell‟evento
 Agire o sentire come se l‟evento traumatico si stesse ripresentando, mediante
un senso di rivivere l‟esperienza o flashback
 Intenso disagio psicologico all‟esposizione a fattori scatenanti interni o
esterni che simbolizzano o assomigliano a un aspetto dell‟evento traumatico.
C) Evitamento persistente degli stimoli associati al trauma e attenuazione della
reattività generale come indicato da tre o più dei seguenti:
 Sforzi per evitare pensieri, sensazioni e conversazioni associate al trauma
 Sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma
 Riduzione marcata dell‟interesse o della partecipazione ad attività
significative
 Sensazione di distacco o estraniamento dagli altri
 Affettività ridotta.
D) Sintomi persistenti di aumentata eccitabilità come indicato da uno o più delle
seguenti manifestazioni:
 Difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno
 Irritabilità o scoppi d‟ira
 Difficoltà nella concentrazione
 Ipervigilanza
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 Esagerate risposte d‟allarme.
E) La durata del disturbo è superiore a un mese
F) Il disturbo causa un disagio clinicamente significativo o un‟alterazione del
funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. [21]
Un evento traumatico che mette la persona che lo vive di fronte alla morte o a una
situazione di rischio reale per la vita, sua o di altri, porta di conseguenza alla
sperimentazione di emozioni forti come la paura, il senso di impotenza o l‟orrore.
Potenzialmente ogni giorno gli infermieri, in modo particolare del Dipartimento di
Emergenza-Urgenza possono trovarsi in una situazione simile: durante l‟assistenza di
un paziente critico, durante gli interventi di rianimazione, gli operatori si trovano ad
affrontare la morte, che non può lasciarli indifferenti.
Uno studio scozzese del 2003 ha approfondito la natura degli eventi traumatici
vissuti dagli infermieri impegnati nel soccorso sul territorio sottolineando come
questi eventi fossero fonte di stress fino al PTSD; la ricerca mediante i racconti degli
infermieri, dei loro vissuti traumatici, ha definito 6 elementi comuni a tutte le
descrizioni, questi sono di seguito elencati:
1) L‟incontro con l‟ignoto e il privo di senso;
2) La focalizzazione dell‟attenzione;
3) Una forte compassione;
4) Identificazione con la vittima o con colleghi, amici o familiari;
5) L‟impossibilità di lasciarsi dietro le spalle il privo di senso;
6) Raggiungendo la rielaborazione.
Sulla scena dell‟evento vissuto come traumatico gli infermieri trovano l‟ignoto e il
“privo di senso”, per affrontare la situazione
ansiogena concentrano tutta
l‟attenzione sul paziente, ma provano così anche un‟intensa compassione e
identificazione con lui. In seguito è impossibile lasciarsi alle spalle il trauma senza
rielaborare ciò che hanno vissuto.
L‟incontro con l‟ignoto è l‟incontro con la morte e la compassione, l‟empatia verso il
paziente e l‟identificazione, intesa come “processo di partecipazione emozionale per
cui si tende a vedere gli altri simili a se stessi”, portano l‟infermiere a sentire dei
sentimenti forti e coinvolgenti che sono anche di paura, impotenza e orrore, ecco così
il primo criterio diagnostico per il PTSD. In seguito viene percepita l‟impossibilità di
57
lasciarsi l‟accaduto alle spalle, con pensieri ed immagini intrusive, il secondo criterio
di diagnosi.
La risoluzione dell‟esperienza dell‟evento traumatico è nella sua elaborazione, che
avviene parlandone informalmente con i colleghi o mediante un supporto
professionale di stress debriefing.
Lo stress debriefing è un incontro gestito da specialisti competenti nelle tecniche di
debriefing durante il quale gli infermieri possono parlare dell‟evento traumatico,
delle loro emozioni e confrontarsi, per arrivare a una loro comprensione e
rielaborazione. La sua finalità è di “proteggere e sostenere il personale addetto alle
emergenze, in seguito a incidenti critici e di ridurre l‟insorgenza di sindromi da
abnorme risposta allo stress”, mediante l‟attribuzione di una struttura cognitiva
all‟esperienza traumatica che porta alla liberazione delle emozioni che aiutano il
soggetto a raggiungere una sensazione di distacco.
Gli infermieri incorrono anche nel rischio reale di burnout, l‟esaurimento emozionale
causato da una situazione cronica di stress. Il burnout si manifesta con una riduzione
della stima in se stessi, insicurezza, mancanza di soddisfazione rispetto il proprio
lavoro, incapacità di rilassarsi e divertirsi, impossibilità di vedere le cose in
prospettiva e obbiettivamente, sintomi che si traducono in assenteismo, estrema
sensibilità ed irritabilità, spersonalizzazione dell‟assistenza e del paziente.
Il PTSD e il burnout sono condizioni di sofferenza psico-sociale in cui possono
incorrere gli infermieri di Emergenza-Urgenza come conseguenza del loro continuo
contatto con la morte; al momento attuale la loro prevenzione e cura avviene tramite
incontri di debriefing, che però sono frequentati solo da una stretta minoranza degli
operatori. Di conseguenza la maggioranza degli infermieri con alle spalle vissuti
traumatici incorrono nel rischio di sviluppare una condizione di stress cronico con
ripercussioni negative anche sul loro rendimento lavorativo.
4.2 IL RAPPORTO CON LA FAMIGLIA
Stabilire un rapporto con la famiglia del paziente critico è inevitabile, ma
estremamente difficile: il trauma o la patologia critica sono vissuti dalla famiglia
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come “un significativo scompenso psico-sociale, un evento catastrofico che può
minare l‟equilibrio della famiglia, un‟esperienza spaventosa e disumanizzante, una
situazione di crisi e shock”. I familiari vivono una situazione destabilizzante, sono
insicuri, impauriti e ciò può portarli anche ad assumere atteggiamenti di aggressività
e ostilità nei confronti degli operatori. Essenziale è stabilire con loro un rapporto
empatico, di comprensione, tutela e supporto, non solo emozionale, ma anche
concreto, garantendo la loro privacy, il loro confort. I familiari necessitano di
rassicurazioni e informazioni rispetto le condizioni del paziente e il suo trattamento il
più frequentemente possibile, in questo modo si contiene la loro ansia e insicurezza.
Nel momento della patologia critica o del lutto l‟infermiere deve utilizzare tutte le
sue abilità di comunicazione verbale e non verbale, incluso il contatto fisico, tutto ciò
che ha la potenzialità di trasmettere comprensione e empatia.
La sofferenza, il provare dolore, ha essenzialmente due momenti l‟enduring, tradotto
alla lettera ” lo stoicismo” , e l‟emotionally suffering, la sofferenza emozionale.
L‟enduring è uno stato di sopportazione stoica nel quale le emozioni non hanno
spazio, sono represse, l‟attenzione della persona è totalmente focalizzata sul presente,
il passato e il futuro non esistono: l‟individuo tende a parlare poco, con una voce
inespressiva, monotonica,le espressioni del viso sono ridotte al minimo, trasmette
rigidità e impaccio con i movimenti del corpo. In questa fase “lo stoico” si isola,
cerca di stare in disparte e l‟atteggiamento dell‟infermiere deve essere di rispetto
della sua chiusura protettiva ai sentimenti, rispettando il suo silenzio e comunicando
con il contatto, la vicinanza. L‟emotionally suffering è lo stadio successivo: la
persona non può più trattenere le emozioni e piange, il suo viso è segnato dal dolore,
cerca il contatto e la vicinanza degli altri; l‟infermiere allora deve essere un supporto
attivo per la persona, sostenerla, rassicurarla, parlarle assumendo un atteggiamento
empatico. Una volta che la persona diventa “forte a sufficienza” per soffrire, entra
nella fase di emotionally suffering. In ogni modo, è possibile che la persona ritorni
nella condizione di enduring, poi di nuovo nell‟emotionally suffering o in una
condizione intermedia; è importante considerare che le fasi possono variare in
intensità e durata in base a fattori imputabili alla persona e al contesto.
Gli operatori incontrano notevoli difficoltà ad avvicinare i familiari in crisi,
arrivando spesso a scaricare e proiettare su di loro ansie e frustrazioni derivanti dal
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lavoro. I familiari invece vivono tale rapporto in termini sostanzialmente positivi,
dimostrandoci come la vicinanza e le informazioni del personale, anche se
scoraggianti e offerte con disagio, risultano in ogni caso più confortanti della
solitudine e del silenzio.
L‟assistenza della famiglia in lutto è molto complessa e l‟infermiere deve saperla
affrontare con tutte le sue abilità di sensibilità, rispetto, ascolto, comprensione;
inoltre è importante che l‟infermiere sia consapevole dei propri limiti e delle proprie
“questioni irrisolte”, una volta chiarite e superate queste, potrà essere efficacemente
di supporto alla famiglia.
4.3 L’ESPERIENZA DELLA PERDITA IN EMERGENZA- URGENZA
Negli ultimi anni abbiamo assistito all‟incremento della tendenza a relegare l‟evento
morte in contesti assistenziali istituzionali: la morte non è più un momento intimo e
familiare, ma è solitudine, paura, un tabù. L‟ospedalizzazione dell‟evento morte ha
portato la famiglia a dover iniziare il complesso processo di elaborazione del lutto in
un contesto istituzionale non familiare, poco accogliente, in cui spesso, soprattutto
nel Dipartimento di Emergenza-Urgenza, le sue necessità non sono riconosciute né
soddisfatte adeguatamente.
La perdita di una persona cara è sempre un‟esperienza difficile e dolorosa, ma può
diventare ancora più complessa se è vissuta negativamente nelle sue primissime fasi,
negli ultimi istanti di vita della persona amata.[22]
È un dovere degli operatori che si trovano ad intervenire su un paziente critico
rispettare la sua famiglia, stabilendo un rapporto di fiducia con i suoi componenti e
salvaguardandone i diritti. La famiglia ha il diritto di essere informata su ciò che
succede: la verità ha una grande importanza nel processo di elaborazione della
perdita, in particolare sulla presa di coscienza della realtà e concretezza della perdita.
Un altro fattore molto importante è il diritto della famiglia di vivere l‟emotività
legata alla perdita: non bloccare la loro reazione, ma rispettarla ed accoglierla,
legittimandola; la sua inibizione in questo momento può avere importanti effetti a
lungo termine sulla rielaborazione del lutto.
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Essenziale è la partecipazione, coinvolgere i familiari, per non creare un “vuoto”
assolutamente disfunzionale al lutto, a causa del quale diventerebbero “spettatori,
quasi sempre esclusi, di un dramma che li coinvolge in prima persona”.
La tendenza attuale è, però, la totale esclusione dei familiari dall‟assistenza in
urgenza dei loro cari, con la conseguente mancata presa in carico della loro
sofferenza. La motivazione principale è basata sulla necessità di focalizzare tutta
l‟attenzione sul paziente: in quei momenti la priorità è l‟intervento sul paziente, per
salvargli la vita. Ma solo nella metà dei pazienti sottoposti a Rianimazione cardiopolmonare si riesce a ripristinare il battito cardiaco e di questi solo la metà
sopravvive al ricovero ospedaliero: di conseguenza tre interventi di rianimazione su
quattro non hanno successo. Nonostante gli sforzi rianimatori, il 75% delle famiglie
di pazienti in arresto cardio-circolatorio vivrà un lutto, la cui elaborazione sarà
influenzata anche dal comportamento degli operatori durante l‟assistenza al loro
caro.
Kidby ha approfondito gli aspetti positivi e negativi della presenza dei familiari
durante gli interventi in urgenza, concludendo che gli aspetti positivi sono prevalenti
e più significativi. Tra i lati positivi della loro presenza definisce:
 Può essere vantaggioso per i familiari vedere che tutto il possibile è stato fatto
 I familiari hanno la possibilità di parlare con la persona cara quando è ancora
in grado di sentirli
 Dà ai familiari una sensazione di conforto, mentre stanno vivendo una
situazione critica
 Agevola il processo di elaborazione del lutto
 È possibile stabilire una relazione tra staff e familiari.
Tra i lati negativi troviamo:
 Essere presenti può essere troppo traumatico e lasciare ai familiari degli
ultimi ricordi negativi del loro caro
 I familiari possono interferire con il soccorso
 Lo staff teme eventuali denuncie legali, per errori compiuti davanti ai
familiari
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 Aumenta la pressione sullo staff infermieristico, che deve occuparsi di trovare
un operatore che affianchi i familiari
 Lo staff può avere difficoltà ad affrontare l‟aspetto emozionale correlato alla
presenza dei familiari.[23]
La letteratura sostiene il diritto della famiglia di essere coinvolta nell‟assistenza del
paziente, anche in emergenza, ma nella pratica incontra molte resistenze da parte
degli operatori.
Il lutto della famiglia è un processo lungo e complesso, è influenzato da molteplici
fattori, su cui però è possibile intervenire, anche attraverso un cambiamento nella
mentalità degli operatori.
Il compito dell‟infermiere è agevolarne il percorso,non ostacolarlo, ponendosi in una
posizione di ascolto e supporto.
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CONCLUSIONI
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CONCLUSIONI
La morte cardiaca improvvisa, da sempre ha rappresentato l‟emergenza più
drammatica; al contempo però, la diffusione di nuovi strumenti, (quali ad esempio i
defibrillatori semiautomatici), ha permesso di diminuirne la mortalità. Si tratta di un
problema vecchio, quotidiano, ciò nonostante questo tema, rispetto ad altri, soffre
ancora di una scarsa visibilità. Quasi sempre i familiari di chi è colpito non
classificano l‟evento sotto una precisa etichetta, ma soprattutto ignorano o
sottovalutano ampiamente l‟evitabilità dell‟evento stesso.
Viene così a mancare una forza che in altri casi ha contribuito in modo rilevante alla
diffusione ed utilizzo della tecnologia.
La cura dell‟arresto cardiaco improvviso è infatti, un problema della collettività e
non un problema medico. Questo perché per il trattamento di questa affezione non
serve molta esperienza; necessita solo rapidità. Si può essere rapidi soltanto se la
collettività è disposta a dotarsi di defibrillatori semiautomatici.
La sensibilizzazione sul tema, tesa a farne conoscere le dimensioni e le
problematiche connesse, può quindi risultare utile, a condizione che avvenga
attraverso processi di divulgazione qualificati e si ponga in una prospettiva
costruttiva.
In questo senso si può meglio esprimere il ruolo dell‟infermiere nella prevenzione e
nel trattamento della Morte Cardiaca Improvvisa; in quanto figura che può effettuare
in completa autonomia interventi di prevenzione alla popolazione tramite corsi BLS,
divulgando le principali regole per stare in buona salute e portare a conoscenza le
principali patologie che affliggono oggi la popolazione nonché le malattie
cardiovascolari in primo luogo nella nostra realtà.
L‟infermiere, infatti dovrebbe essere il primo a rendersi parte attiva negli interventi
di prevenzione alla popolazione per diminuirne la mortalità, organizzando sempre
più interventi (quali ad esempio corsi di formazione per l‟utilizzo dei DAE) volti a
salvaguardare lo stato di salute dei cittadini.
Il cittadino oltre modo ha la possibilità di essere il primo protagonista nella difesa
della propria salute e di quella del prossimo. Nell‟ambito, infatti, di questa tesi risulta
primaria l‟importanza dell‟intervento del cittadino come primo soggetto in grado di
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trattare un episodio di morte improvvisa attivando correttamente il mezzo di soccorso
ed eseguendo le manovre BLS durante l‟attesa dei professionisti sanitari.
La morte cardiaca improvvisa e tutti gli eventi che colpiscono la salute dell‟individuo
in maniera inopinata, creano quindi un‟emergenza sanitaria, di cui sia il cittadino che
l‟infermiere dovrebbero farsi carico in prima persona per poter salvaguardare la loro
stessa salute e quella del prossimo.
L‟infermiere che esegue interventi di educazione, e il cittadino responsabile del
proprio stato di salute, potrebbero essere i primi due anelli di una catena che mette in
relazione i pubblici servizi,(ospedali in particolare), con la società in generale,
cambiando così sempre più il concetto di salute, ampliando quindi i propri orizzonti e
determinando maggiore consapevolezza di tale problematica nell‟individuo.
In questo lavoro ho soffermato molto la mia attenzione su questi particolari aspetti ed
in special modo su quelli che riguardano la professione infermieristica.
Una buona preparazione, un aggiornamento relativo e una grossa attenzione alla
problematica possono sicuramente ridurre il pericolo latente ed emergente che la
morte improvvisa rappresenta.
L‟obiettivo non è solo di prevenzione, e quindi ipotetico, futurabile, tutto da
dimostrare, ma di terapia della morte, condizione che prima o poi coinvolgerà
ognuno di noi o comunque una persona a noi cara. Necessario e auspicabile, per un
futuro non troppo lontano, sarebbe, dunque, incrementare la distribuzione capillare
di defibrillatori semiautomatici su tutto il territorio. Il fine è buono, anzi il migliore
possibile; ci coinvolge tutti; muoviamoci nella stessa direzione.
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