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ATTI DI P.G. CNR 347 C.P.P. © World`s Vehicle Documents www
ATTI DI P.G.
CNR
347 C.P.P.
COMUNICAZIONE NOTIZIA DI REATO ex art. 347. cp.p.
Norme di
riferimento
art. 347;
artt. 330 - 334
artt. 107 bis
108 bis
art. 112 att.
Organo
procedente
Ufficiali di p.g
Documentazione
Garanzie di difesa
Utilizzabilità
In forma scritta al p.m.
In casi di particolare urgenza,
oppure se si tratta di un reato di
criminalità organizzata o di grande
criminalità, può essere comunicata
in forma orale seguita senza
ritardo da quella scritta
Non sono previste
Piena fuori del
dibattimento e
anche nel
dibattimento
relativamente alle
parti in cui
costituisce atto non
ripetibile
Art. 347 Obbligo di riferire la notizia del reato
1. Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto, gli elementi
essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali
trasmette la relativa documentazione (1).
2. Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze
rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
2 bis. Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore della persona nei cui confronti
vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal
compimento dell'atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari (2).
3. Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6) e, in ogni caso, quando
sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale (3).
Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la documentazione previste dai
commi 1 e 2.
4. Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia.
Note
(1) Comma così sostituito dall'art. 4, comma primo, lettera a), D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni,
in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di
contrasto alla criminalità mafiosa.
(2) Comma aggiunto dall'art. 4, comma primo, lettera b), D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L.
7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto
alla criminalità mafiosa.
(3) Comma così modificato, da ultimo, dall'art. 21, L. 8 agosto 1995, n. 332. Nel testo precedente, già modificato dall'art.
4, comma primo, lettera c), D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356,
recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, il riferimento, anziché all'art. 407 c.p.p., era all'art. 375,
comma terzo, c.p.p.
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COSA FARE COME FARE
Competenza dell'atto
Dirigente, Comandante o Responsabile dell'Ufficio, Comando o Reparto, in assenza, Ufficiale di P.G. operante (art. 347).
Adempimenti della P.G.
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Nell'oggetto indicare brevemente il fatto a cui si riferisce l'informativa, le generalità delle persone indagate e delle
persone offese, le norme di legge violate (art. 347);
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Indicare il numero degli allegati e gli indirizzi;
Apporre i simboli grafici dell'arresto, del fermo o del decesso;
Iniziare il corpo dell'informativa facendo riferimento all'eventuale precedente segnalazione orale o scritta;
Indicare il giorno e l'ora (art. 347, comma 4), la qualifica ed il nominativo dell'operatore di polizia che ha acquisito la
notizia;
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Descrivere sinteticamente il fatto di cui si è venuti a conoscenza;
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Specificare le modalità con cui si è addivenuti alla identificazione della persona indagata;
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Indicare il luogo dove le altre cose, non conservabili negli uffici giudiziari, vengono custoditi e a chi sono state
affidate (art. 259);
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Indicare il luogo ove gli arrestati o fermati vengono custoditi;
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Se è inviata a mano, farsi rilasciare ricevuta ovvero far apporre timbro con datario ed in caso l’informativa contenga
atti soggetti a convalida farvi apporre l’orario di avvenuto deposito.
Riferire sulle indagini compiute ed i risultati conseguiti (accertamenti urgenti, identificazioni, sommarie informazioni,
perquisizioni, sequestri, eventuali arresti);
Elencare e numerare progressivamente gli atti assunti allegandoli all'informativa;
Indicare il numero dei reperti e il luogo dove vengono custoditi (segreteria del p.m., cancelleria del giudice o altro
luogo) (art. 259);
Se l'indagine non è conclusa, fare riserva di comunicare l'esito degli accertamenti in corso (art. 386);
Se l'informativa viene inviata per via telematica, indicare il giorno e l'ora di trasmissione (art. 108 bis, comma 2,
d.l.vo 271/89);
Termine di trasmissione
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Immediatamente per i casi urgenti e per i delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lettera a) numeri da 1 a 6 (art. 347,
comma 3);
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Al più tardi entro 48 ore, se sono stati compiuti atti a cui il difensore ha diritto di assistere (art. 347, comma 2 bis);
senza ritardo negli altri casi (art. 347, comma 1).
Organo destinatario
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P.M. presso la Procura della Repubblica del Tribunale territorialmente competente (art. 5, 6, 8, e 51 c.p.p.);
P.M. presso la Procura della Repubblica del Tribunale per i Minorenni territorialmente competente (artt. 2 e 3
D.P.R. 448/1988):
Norme di riferimento
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artt. 347, 330 - 334 c.p.p.;
artt. 107 bis , 108 bis, 112 D.L.vo 271/89.
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Stampato
INTESTAZIONE UFFICIO
N. PROTOCOLLO
Oggetto:
Xxxxxxxx, 00.00.0000
Comunicazione di notizia di reato ex art. 347 C.P.P..
per competenza:
Alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale
XXXXX
e per conoscenza a:
Al Compartimento Polizia Stradale
Squadra di Polizia Giudiziaria
XXXXX
Alla Questura
XXXXX
XXXXX
Persona/e sottoposta/e ad indagini preliminari
XXXXX Xxxxx, nato il 00.00.0000 a ( ), ivi residente in via ( ) n. ( ), sedicente identificato a mezzo di foto segnalamento.
C.U.I. : XXXXX
Alias:
XXXXX Xxxxx, nato il 00.00.0000 a ( ) e residente a ( ) in via ( ) n. ( )
Condizione della persona sottoposta ad indagini preliminari (libero/fermato/arrestato)
Arrestato.
Ipotesi di reato.
9 Art.
Descrizione del fatto e delle indagini compiute:
Xxxxxxxx
Difensore:
Di fiducia Avv. ( ) del foro di ( ).
Persona offesa
Nessuna
Testi / Verbalizzanti in grado di riferire sulle seguenti circostanze:
Il personale operante, in servizio presso questo Ufficio:
Ispettore Capo ( ), Assistente Capo ( ) e Assistente ( ).
Data e modalità di acquisizione della notizia di reato
9 In data 00.00.0000 ad iniziativa del personale operante.
Cose/Mezzi/In Sequestro o da sequestrare/ Utenze telefoniche da sottoporre a controllo
9 Xxxxxxx.
Allegati:
9 Verbale di xxxxxxxxxxx
IL COMANDANTE LA SQUADRA DI P.G.
Ispettore Capo ( )
VISTO:
IL DIRIGENTE ( )
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347 C.P.P.
MASSIMARIO
App. Milano, 5 giugno 2008
Ai fini della valutazione di tempestivo adempimento dell’obbligo della polizia giudiziaria di riferire la notizia di reato al
pubblico ministero, le espressioni adoperate dalla legge – quali la locuzione “senza ritardo” o l’avverbio
“immediatamente”, usati, rispettivamente, nei commi primo e terzo dell’art. 347 c.p.p. - pur se non impongono termini
precisi e determinati, indicano attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e cioè non appena possibile, tenuto
conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di lavoro. Invero, alla nozione del dolo di
omissione è estraneo il movente che induca il soggetto tenuto ad osservare l’obbligo ad astenersene. Non rileva, quindi,
in tema di omessa denuncia di reato che il pubblico ufficiale ritenga che l’informativa della notizia di reato di cui sia
venuto a conoscenza competa ad altro pubblico ufficiale o supponga che l’informativa sia già stata da questi fornita,
poiché l’errore non esclude la volontarietà dell’omissione, ma concerne se mai la sua legittimità, lo stesso è penalmente
inescusabile. (Nella specie, tuttavia, il concreto verificarsi dei fatti smentisce sia l’asserzione in ordine ad un errore di
valutazione operato sulla circostanza che altri avessero il compito di riferire all’A.G., sia la circostanza che l’imputato non
fosse a conoscenza di una vera e propria notitia criminis).
Cass. pen. Sez. IV, 11 aprile 2008, n. 19486
Relativamente alla fattispecie di reato di guida in stato di ebbrezza, il giudice ben può formare il suo libero convincimento
in base ad elementi probatori acquisiti, a prescindere dall'accertamento tecnico del livello effettivo di alcol contenuto nel
sangue, in forza dei principi generali in materia di prova e ciò in particolare, allorché il guidatore si rifiuti di sottoporsi a
detti esami. In tal caso gli agenti verbalizzanti devono indicare nella notizia di reato, ai sensi dell'art. 347 cod. proc. pen.,
le circostanze sintomatiche (alito vinoso, alterazione della deambulazione, eloquio sconnesso ed altro) dell'esistenza
dello stato di ebbrezza desumibili dallo stato del soggetto e dalla condotta di guida. La possibilità per il Giudice di
avvalersi, ai fini dell'affermazione della sussistenza dello stato di ebbrezza, delle sole circostanze sintomatiche riferite
dagli agenti accertatori va circoscritta alla fattispecie meno grave, quella di cui all'art. 186, comma 2, lett. a), D.Lgs. 30
aprile 1992, n. 285 (Cod. Strad.), imponendosi per le ipotesi più gravi l'accertamento tecnico del livello effettivo di alcol
nel sangue.
Cass. pen. Sez. VI Sent., 19 marzo 2007, n. 18457
Ai fini della valutazione di tempestivo adempimento dell'obbligo della polizia giudiziaria di riferire la notizia di reato al
pubblico ministero, le espressioni adoperate dalla legge - che ci si riferisca alla locuzione "senza ritardo" o all'avverbio
"immediatamente", usati, rispettivamente, nei commi primo e terzo dell'art. 347 cod. proc. pen. - pur se non impongono
termini precisi e determinati, indicano attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e cioè non appena possibile,
tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di lavoro. (Nella specie, relativa a
denuncia per ipotesi di tentato omicidio, che andava comunicata immediatamente, la Corte ha ritenuto sussistere il reato
di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale, per avere gli addetti al competente commissariato di polizia,
informati oralmente dei fatti dal posto di polizia presso un ospedale, trattenuto la denuncia per oltre un mese,
quantunque più volte sollecitati, inoltrandola al P.M. solo dopo che la vittima aveva provveduto a presentarne altra
direttamente agli uffici di Procura). (Rigetta, App. Genova, 12 aprile 2005)
Cass. pen. Sez. Unite, 17 ottobre 2006, n. 41281
La relazione di servizio limitata alla constatazione di un comportamento non rientra tra gli atti irripetibili e non è
acquisibile al fascicolo del dibattimento.
Trib. Pescara Sent., 6 ottobre 2006
La riproduzione a stampa di documenti informatici, desunti da un sito web nel corso di una operazione di polizia
giudiziaria, costituisce documentazione di scarsa valenza probatoria in quanto acquisita senza il rispetto delle formalità
previste per il rilascio di copie certificate, come disciplinate dalla normativa tecnica emanata dall'Autority per l'Informatica
nella Pubblica Amministrazione (AIPA, ora CNIPA) in tema di creazione, diffusione e conservazione della
documentazione informatica
Cons. Stato Sez. VI, 21 marzo 2006, n. 1504
Non si configura un comportamento legittimo e doveroso del dipendente, nell'ipotesi in cui l'ispettore capo della polizia di
Stato abbia adottato un'iniziativa (di non poco rilievo), quale quella di cui all'art. 347 c.p.p. nei confronti del proprio diretto
superiore, responsabile del Commissariato presso il quale prestava servizio, senza darne previa informazione al
questore (il quale doveva essere necessariamente coinvolto dato che non si doveva informare il proprio diretto superiore,
direttamente implicato). Da tale comportamento, che, appunto, non può ritenersi né legittimo né doveroso, deriva,
evidentemente una situazione di incompatibilità ambientale con il dirigente dell'ufficio e il relativo ambiente lavorativo tale
da giustificare l'adozione del provvedimento di trasferimento.
Cass. pen. Sez. III, 8 novembre 2005, n. 43984
Gli accertamenti e le verifiche svolte dalla Guardia di finanza in via autonoma, come previsto dagli artt. 51 e 52 D.P.R. n.
633 del 1972, non possono essere utilizzati per la ricerca di fonti di prova, con conseguente sequestro probatorio, nel
caso in cui la notizia di reato sia già sussistente e provenga da un esposto presentato da un soggetto identificato ed
informato dei fatti. In tal caso sussiste l'obbligo di informare il P.M., organo titolare delle indagini preliminari, che
dovranno essere attivate e completate nel rispetto dei termini di legge previsti per la loro durata. (Nel caso di specie, la
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S.C. ha dichiarato la nullità del provvedimento di sequestro e della relativa convalida del P.M. avvenuti oltre il termine di
sei mesi dalla ricezione della "notitia criminis"). (Annulla senza rinvio, Trib. lib. Palermo, 12 Maggio 2005)
Trib. Nola, 6 dicembre 2004
Non è responsabile l'operante di P.G. per avere omesso di impedire la perpetrazione del reato di traffico organizzato di
rifiuti posta in essere nell'espletamento dell'attività d'indagine, laddove abbia assolto a quanto prescritto dagli artt. 347,
348, comma 3 e dall'art. 354 c.p.p., inoltrando la notizia di reato al Procuratore della Repubblica e questi abbia assunto
la direzione delle indagini impartendo le direttive ritenute opportune, non sussistendo in capo all'operante un obbligo di
attivazione per impedire reati non ancora configurabili, seppur oggetto di ipotesi investigativa.
Cass. civ. Sez. III, 20 ottobre 2003, n. 15646
La denuncia di un reato perseguibile d'ufficio (nella specie il delitto di falsa perizia previsto dall'art. 373 c.p.) non è fonte
di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell'art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di
assoluzione, se non quando essa possa considerarsi calunniosa. Al di fuori di tale ipotesi, infatti, l'attività pubblicistica
dell'organo titolare dell'azione penale si sovrappone all'iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale e
così interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato.
Cass. pen. Sez. VI, 9 luglio 2003, n. 37042
Se la polizia giudiziaria non può costringere una persona a procurarsi il vomito, non per questo non può procedere a un
atto dovuto, quale quello di presenziare e assicurare alla giustizia il corpo del reato o le cose pertinenti a reato, se la
persona decide spontaneamente di vomitare (nella specie, ovuli contenenti sostanza stupefacente). Infatti, in tema di
attività della polizia giudiziaria, l'articolo 55 del c.p.p prevede che questa deve, anche di propria iniziativa, compiere gli
atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto altro possa servire per l'applicazione della legge
penale, di guisa che non è dubitabile che tale attività possa consistere in atti non propriamente tipici, come quello di
raccogliere quanto espulso con il vomito da una persona, laddove vi si possa trovare il corpo del reato o una prova
rilevante. Analogamente dispongono, del resto, gli articoli 347 e 348 del c.p.p, sia pure in una fase successiva alla
comunicazione della notizia di reato, laddove alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 348 si prevede la ricerca delle cose
e delle tracce pertinenti al reato, nonché la conservazione di esse.
T.A.R. Sicilia Catania Sez. II, 8 novembre 2002, n. 1969
Ai sensi dell'art. 331 c.p.p., i pubblici ufficiali (e segnatamente quelli di polizia giudiziaria, ex art. 347 c.p.p.) hanno un
vero e proprio obbligo di denuncia qualora acquisiscano una "notizia di reato". Il medesimo art. 331 c.p.p., rigidamente
interpretato, impone che la denunzia venga effettuata "senza ritardo". L'obbligo succitato, quindi, è da considerarsi
prevalente rispetto ad ogni possibile refluenza sulla onorabilità del Corpo, elemento questo, non solo garantito da norme
di rango inferiore rispetto al rigido precetto contenuto nella richiamata disposizione del c.p.p., ma, di più, espressivo di un
interesse pubblico di minor rilievo rispetto a quello della repressione dei reati. Ne consegue che la denunzia di un
ufficiale della guardia di finanza nei confronti di un diretto superiore, ritenuta dall'a.g., poi, infondata, non già per
"l'insussistenza dei fatti", ma per la loro irrilevanza penale, non può giustificare, di per sè, un provvedimento disciplinare
a carico del denunciante.
Cass. pen. Sez. V, 27 febbraio 2002
La localizzazione a distanza di una persona (o di un oggetto) in movimento, la sua presenza in un determinato luogo in
un certo momento, nonché l'itinerario seguito, degli incontri avuti, sono modalità, tecnologicamente caratterizzate, di
pedinamento, che rientrano nell'ordinaria attività di controllo e accertamento demandata alla polizia giudiziaria (artt. 55,
347 e 370 c.p.p.), attraverso i mezzi di ricerca della prova cosiddetti atipici o innominati e non necessitano di alcun
decreto motivato da parte del p.m. Tali attività non possono essere considerate intercettazioni, anche se realizzate con
modalità e tecnologie similari a quelle con le quali vengono portate a esecuzione le intercettazioni previste dal codice di
rito. Il concetto di intercettazione, infatti, è relativo a un'attività di ascolto (o lettura) e captazione di comunicazioni tra due
o più persone e comporta compressione della libertà e segretezza delle stesse, cioè di un valore costituzionalmente
tutelato (art. 15 della Costituzione), e dunque la necessità di autorizzazione motivata da parte dell'autorità giudiziaria con
l'osservanza delle disposizioni ex artt. 266 e seguenti c.p.p.
Cass. pen. Sez. V, 27 febbraio 2002, n. 16130
La localizzazione tramite sistema satellitare (così detto GPS) degli spostamenti di un soggetto nei confronti del quale
sono in corso indagini, benché comporti un controllo non poco invasivo a carico del soggetto medesimo, non è in alcun
modo assimilabile alla attività di intercettazione, prevista dagli artt. 266 c.p.p. e non necessita quindi di alcuna
autorizzazione preventiva da parte del giudice per le indagini preliminari.
Cass. pen. Sez. VI, 5 novembre 1998, n. 34460
La notificazione della richiesta di proroga delle indagini di cui all'art. 406 c.p.p. mira a realizzare il contraddittorio
cartolare fra le parti, che il p.m. non deve impedire qualora l'organo dell'accusa sia in possesso, oltre che delle
generalità, anche della indicazione del domicilio della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, indicazione
eventualmente già comunicata dalla polizia giudiziaria (art. 347 c.p.p.) ovvero altrimenti acquisita direttamente dallo
stesso p.m. (art. 330 c.p.p.). Pertanto, tale indicazione deve, se già emergente dagli atti dell'indagine, essere precisata
nella richiesta, formulata ai sensi della seconda parte del comma 1 dell'art. 406 c.p.p. Ne consegue ulteriormente che, in
presenza di istanza del p.m. di proroga del termine delle indagini preliminari, che non contenga anche l'indicazione di
almeno uno dei luoghi riferibili alla persona nei cui confronti si procede nè altra indicazione sulla impossibilità di
acquisizione del dato in questione, non è abnorme il provvedimento con il quale il g.i.p., investito della istanza, richieda
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all'organo dell'accusa di fornire, eventualmente, il dato mancante, necessario per la notificazione ex art. 406 comma 3
c.p.p.
Cass. pen. Sez. VI, 1 aprile 1998, n. 1235
Nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, la polizia giudiziaria dispone di un margine di autonoma operatività non
solo prima della comunicazione al p.m. della notizia di reato (art. 347 c.p.p.), ma anche dopo tale comunicazione (art.
348 c.p.p.), giacchè essa - oltre a dare esecuzione alle specifiche direttive impartite dal p.m. - ben può compiere ulteriori
attività investigative, a condizione che tali attività non siano incompatibili (o comunque in contrasto) con le specifiche
direttive impartite dal p.m. Ne consegue che nessun limite investigativo è ravvisabile nei casi in cui, nonostante
l'avvenuta comunicazione al p.m. della notizia di reato, questi non abbia in concreto emanato direttiva alcuna, non
potendosi nemmeno astrattamente prospettarsi (in tali casi) problemi di incompatibilità o contrasti; e dovendosi ritenere,
pertanto, l'esclusiva operatività, nei casi in questione, del disposto di cui all'art. 348 comma 1 c.p.p. (Fattispecie in
materia di eccepita inutilizzabilità di individuazioni fotografiche svolte in assenza di delega da parte del p.m.).
Cass. pen. Sez. III, 13 febbraio 1996, n. 4452
Gli art. 347 e 348 c.p.p. attribuiscono alla polizia giudiziaria, nel periodo antecedente alla comunicazione della notizia di
reato ed in quello successivo, il potere di espletare un ventaglio di attività ad iniziativa. Tra le attività - libere e tipicizzate
tutte tese all'assicurazione delle fonti di prova - che la polizia giudiziaria è autonomamente legittimata ad effettuare deve
ricomprendersi, dopo la modifica introdotta con il d.l. 14 gennaio 1991 n. 12 nell'art. 321 c.p.p. anche il sequestro
preventivo.
Cass. pen. Sez. III, 21 giugno 1995, n. 2390
Posto che, in virtù del principio di tassatività, l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è
causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge, sono abnormi e, dunque inesistenti, gli atti posti in essere fuori dagli
schemi processuali. Rispetto a tali provvedimenti che travalicano perfino il limite della nullità e nei cui confronti la legge
non ha previsto mezzi e forme di impugnazioni, l'unico rimedio è il ricorso per cassazione (fattispecie nella quale la Corte
ha ritenuto affetto da nullità di ordine generale ed assoluta il sequestro disposto dalla polizia giudiziaria a seguito di
delega del p.m. "di procedere di iniziativa a sequestro probatorio" dopo la scadenza del termine di indagini preliminari).
Cass. pen. Sez. III, 26 aprile 1994
Il verbale dell'ispettore del lavoro non costituisce mera informativa di reato ai sensi dell'art. 347 c.p.p., poiché contiene
l'accertamento o la descrizione di una situazione di fatto suscettibile di modifica nel tempo, per effetto di comportamenti
umani o di eventi naturali. Esso va, pertanto, annoverato tra gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria (art. 431,
lett. b), c.p.p.); e, come tale, va inserito nel fascicolo per il dibattimento e ne va data lettura a richiesta di parte o su
iniziativa del giudice (art. 511, comma 1, c.p.p.), essendo utilizzabile come fonte di prova. (Fattispecie relativa alla
contravvenzione di assunzione senza il libretto di lavoro di cui agli art. 5 e 12 L. 10 gennaio 1935, n. 112).
Cass. pen. Sez. V, 28 ottobre 1993
In tema di instaurazione del giudizio direttissimo, l'art. 450 comma 4 c.p.p., dispone che il fascicolo da trasmettere al
giudice competente è quello previsto dall'art. 431, il quale, nell'elencazione degli atti che debbono essere raccolti, non
indica la comunicazione della notizia di reato di cui all'art. 347 c.p.p. è l'utilizzazione di tal documento, non acquisito al
fascicolo del dibattimento, è consentita dall'art. 357 lett. f) c.p.p., dal momento che esso non costituisce atto descrittivo di
fatti e situazioni ovvero di attività svolte prima dell'intervento del p.m. (Fattispecie nella quale la S.C. ha annullato la
pronuncia assolutoria di merito, assunta sulla scorta d'una deposizione testimoniale, valutata alla luce della
comunicazione della notizia di reato, esistente nel fascicolo del p.m. e mai acquisita a quello del dibattimento).
Cass. pen. Sez. VI, 13 febbraio 1991
La polizia giudiziaria è autonomamente legittimata ad effettuare, sia tramite i propri organi tecnici sia richiedendo una
pubblica struttura, l'analisi ricognitiva, e non valutativa, della natura di una sostanza che ritenga stupefacente; e ciò non
quale accertamento urgente - non sussistendo il requisito della irripetibilità - ma quale indagine a corredo dell'informativa
di reato e a sostegno delle ragioni giustificanti l'arresto in flagranza.
Cass. pen. Sez. VI, 13 febbraio 1991
La documentazione di un atto di polizia giudiziaria, relativo all'analisi ricognitiva in ordine alla natura di una sostanza
ritenuta stupefacente senza che ricorra una situazione di irripetibilità, non può essere utilizzata come prova nel
dibattimento; tuttavia, qualora la persona indagata sia giudicata con il rito abbreviato, tale documento, essendo
legittimamente confluito nel fascicolo del p. m., può essere utilizzato ai fini della prova del reato.
Cass. pen. Sez. I, 18 dicembre 1990
Nella disciplina prevista dal nuovo codice di rito non esiste un divieto assoluto per la polizia giudiziaria di procedere ad
atti di iniziativa successivamente alla trasmissione della notizia di reato al p. m.; esiste invece soltanto un divieto di
compiere atti in contrasto con le direttive del p. m., come si desume dall'art. 348, 3° comma, c. p. p., il quale prevede il
potere-dovere della stessa polizia, dopo l'intervento del p. m., non solo di compiere “gli atti ad essa specificamente
delegati” in virtù dell'art. 370 c. p. p., ma anche tutte le altre attività di indagine ritenute necessarie “nell'ambito delle
direttive impartite”, per “accertare i reati”, ovvero “richieste da elementi successivamente emersi”; e tutto ciò, in ogni
caso, sempre che si sia realizzato il presupposto costituito “dall'intervento” del p. m., giacché, fino a quando siffatto
intervento non abbia avuto luogo, e cioè fino al momento in cui il p. m., pur avendo ricevuto la notizia di reato, non abbia
impartito specifiche direttive, opera esclusivamente il disposto di cui all'art. 348, 1° comma, c. p. p., secondo il quale la
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347 C.P.P.
polizia giudiziaria, senza necessità di specifica delega e operando, quindi, di propria iniziativa, nell'ambito della propria
discrezionalità tecnica, “raccoglie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole”.
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