Valle dell`Omo River. Andata e ritorno alla scoperta dell`uomo
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Valle dell`Omo River. Andata e ritorno alla scoperta dell`uomo
RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia Iran r e v i R o m O ’ l l Va l le de a n dat a e r i to r n o o. m o ’u l l e d a t r e p o a l la s c Da un OMO RIVER ETIOPIA gruppo Brioschi L Testo e foto di Jonathan Brioschi 140 - Avventure nel mondo 1 | 2015 a distanza, la lontananza in termini chilometrici è associata all’idea di un viaggio, specie in un altro continente: in questo caso, invece, la lontananza va declinata principalmente con riferimento al dato temporale. E’, questo, un viaggio che ci riporta indietro, come in una virtuale macchina del tempo, di secoli e millenni. Per scoprire come eravamo, prima di divenire ciò che siamo ora. Si coglie subito questo aspetto, non appena, ad Addis Abeba, si fa visita al museo ove è conservata Lucy, l’ominide datato più di 3 milioni di anni fa: un tempo così enorme che riesce difficile afferrarlo con la mente, un arco temporale oltre 1.500 volte la distanza che ci separa dalla nascita di Gesù. Appena un anticipo: le tribù della bassa Etiopia vivono ancora con usanze e costumi che si perdono nel tempo. Non solo quindi si entra in contatto con gli incredibili resti scheletrici di un australopiteco racchiuso in una teca di un museo, ma si può vivere, condividere quasi, la realtà di persone che hanno mantenuto immutato lo stile di vita dalla notte dei tempi. Lasciata Addis Abeba, il percorso punta deciso verso Sud, per raggiungere proprio quell’area della bassa Etiopia, là dove soffiano i venti del Sud Sudan e del Kenya. La strada corre su un altopiano di circa 2.000 m.s.l.: si ha il piacere della consapevolezza di trovarsi in un luogo, prima solo visto su una mappa, ora concretamente percepito e vissuto. Fuori dalla capitale etiope – tra l’altro anche capitale dell’Unione africana - ancora si trova il traffico caotico tipico di ogni capitale, ma il caos è ormai alle spalle e la cartina geografica comincia a srotolarsi tra le ruote della jeep: a est l’Eritrea, Gibuti RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia e la Somalia e a ovest la Rift Valley, una sorprendente spaccatura tettonica che attraversa tutta l’Africa, da nord a sud, dal Mar Rosso al Mozambico, una ferita che un giorno taglierà in due il continente africano. Il Sud è ancora da scoprire. La pista si snoda proprio lungo la Rift Valley, ben visibile ad ovest, e che appare come una catena montuosa disseminata di numerosi laghi, affascinanti quanto pericolosi: in quasi tutti non è consigliabile nuotare per il rischio di contrarre la bilarzia, malattia spesso mortale, e… soprattutto per la presenza di ippopotami e coccodrilli! I pescatori sfidano i pericoli e si avventurano con instabili e fragili canoe di legno alla ricerca del pesce fonte della loro sussistenza. E’ l’Africa forte, pericolosa ed ammaliatrice. Il pesce pescato verrà venduto nei mercati traboccanti di colori: una vera esplosione di colori, anche nei vestiti delle persone, così lontani, pure nell’abbigliamento, dalle abitudini dell’Occidente che preferisce, in genere, i colori sobri del neroblu-marrone. E qui i mercati non sono altro che una spianata di terra: quando non è giorno di mercato è impensabile anche solo intuire l’energia vitale che ne scaturisce. Per raggiungere il luogo deputato allo scambio dei loro beni, i commercianti si mettono in marcia anche uno o due giorni prima, un percorso di chilometri e chilometri, a piedi, o su carretti trainati da animali da soma. Sono uomini, donne, bambini, intere famiglie, animali, mandrie: un intero popolo in cammino, carico di ogni masserizia che procede lentamente lungo le strade. Spesso, lungo il nostro viaggio, la jeep deve farsi largo tra le mandrie che occupano la sede stradale. Il percorso che si segue ha il fascino dell’esplorazione: si tratta infatti di un’avventura che ripercorre l’impresa di Bottego di fine ‘800. Le mappe dell’epoca, riguardo al continente africano, non riportavano molto altro che la frase “hic sunt leones”: è pertanto quello il tempo delle grandi esplorazioni geografiche. Bottego decide pertanto, su incarico della Società geografica italiana, di scoprire il sistema idrografico etiope, all’epoca sconosciuto. Quanto oggi sappiamo del sistema fluviale delle zona è dovuto, in buona parte, anche alla sfida che lui decise di intraprendere. Una missione, la sua, che parte subito in salita: non riuscendo a reclutare compagni di viaggio migliori, dovrà accontentarsi dei detenuti del carcere di Addis Abeba, all’occasione liberati. “Compagnia” non chiaramente delle migliori: Bottego verrà ucciso verso la fine dell’esplorazione a seguito di un tradimento, ma troviamo fortunatamente messe in salvo le sue scoperte geografiche nei diari che ci ha lasciato: una, fra tutte, quella che ha svelato il mistero del fiume Omo. L’esploratore ha chiarito il percorso - tutt’altro che facile da decifrare - di questo importante fiume etiope e soprattutto dove esso sfoci: nel lago Turkana, ai confini con il Kenya. Ma, mistero nel mistero, il lago ha solo un affluente, l’Omo per l’appunto, e nessun emissario: siamo poco sopra l’equatore e l’acqua immessa nel lago evapora con incredibile rapidità. Ecco così svelato il mistero. Leggere le pagine del diario dell’esploratore fa sognare e questo viaggio ne ripercorre lo spirito, arrivando fino alla celebre Omo Valley, la valle che per l’appunto prende il nome dal noto fiume. L’arrivo alla valle è un momento di quelli che lasciano il segno. Davanti allo sguardo si apre un immenso “catino” verde lussureggiante, con piantagioni di cotone e bananeti a perdita occhio: se il mal d’Africa non ha ancora colpito, ora non vi lascerà più. Non appena si scende nella valle la vegetazione si trasforma, il caldo sempre più pressante: la clessidra del tempo corre velocemente all’indietro. La valle è popolata da numerose tribù che vivono proprio come se il tempo si fosse fermato: siamo catapultati indietro di migliaia di anni . Ci si tuffa in un mondo che ha del’incredibile: ragazzi che ti vengono incontro camminando su trampoli di legno, anziani decorati con maschere d’argilla, bambini con montature di occhiali create con pezzetti di legno. Nonostante si tratti di un’area geografica non eccessivamente estesa, le popolazioni che la abitano sono completamente differenti le uni dalle altre: la scarsità delle risorse vitali ha determinato una forte competitività tra le tribù, spesso in lite tra loro, impedendo di fatto ogni possibilità di omogeneizzazione. Tutt’ora molti uomini girano costantemente armati di rudimentali fucili con i quali aggrediscono le tribù limitrofe: proprio all’epoca della nostra permanenza si era appena verificata l’uccisione di un uomo da parte di un guerriero dell’etnia Mursi, una tra le più aggressive. E’ tale l’aggressività di questa popolazione che, per andare nei villaggi Mursi, è indispensabile farsi accompagnare da un ranger armato, anche per gli stranieri completamente alieni da qualsiasi diatriba del contesto territoriale. I mercati pertanto - occasione per lo scambio di beni di informazioni - sono in effetti l’unico punto di contatto tra le tribù. Dai mercati ai server di internet. Dal reale al virtuale. L’informazione corre nei nodi di scambio. Qui uomini e donne amano decorarsi il corpo con una fantasia incredibile: ghirlande di frutta adornano i capelli, monili di ogni tipologia e genere, comprendente anche l’uso di proiettili, sono utilizzati per decorazione personal, e i capelli - raggruppati in treccine impastate di terra ocra - sono acconciati con un richiamo fortissimo alla terra. Anche in questa parte di Africa il senso estetico è particolarmente sviluppato e ricercato. Si è facilmente portati a pensare che il bello sia conseguenza del benessere o che, quanto meno il primo sia presupposto del secondo. Nelle nostre latitudini l’accesso al bello è condizionato dal possesso del denaro: la bella casa, i bei vestiti sono concessi a chi ne ha le possibilità economiche. Qui la realtà è capovolta: la ricerca del bello è un valore primario. Il bello in quanto tale è importante quanto la ricerca del cibo tanto da essere uno dei capisaldi sociali che lega e disciplina i rapporti uomo/donna. Il piattello labiale va annoverato tra le più note decorazioni. Il senso estetico è lontanissimo dal nostro, ma sempre di estetica si tratta e la donna con il piattello più grande, tra l’altro, sarà colei che avrà una maggiore dote nuziale. Il piattello viene inserito fin dalla giovane età: spaccando il labbro inferiore e procedendo all’ablazione di alcuni denti dell’arcata inferiore per consentire l’introduzione di questo particolarissimo ornamento. Il senso estetico è sviluppato sulla pelle, nella carne, ma tutto è temporaneo, impermanente. Nulla è fatto per resistere al tempo: non vi sono palazzi, case, opere d’arte, libri. Nulla. Il sapere è volatile e tramandato solo mediante l’oralità. Le tribù sono nomadi o seminomadi. Tutto è come se Avventure nel mondo 1 | 2015 - 141 RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia fosse scritto sull’acqua, tutto si distrugge nel giro di una generazione e si ricrea. Da sempre. Non a caso lo scrittore Hampaté Bâ scrisse: “L’Africa perde una biblioteca, quando un vecchio uomo muore”. Solo la straordinaria capacità di adattamento al territorio e le caratteristiche sociali vengono tramandate. L’unica casa che si abita è il corpo, è lui ad essere oggetto di attenzione e decorazione. L’esempio più evidente sono le cosiddette scarificazioni, una sorta di tatuaggi “a secco” che determinano una serie di escrescenze cutanee posizionate in modalità tale da creare delle forme geometriche. La loro realizzazione è cruenta: con una spina di un arbusto locale si solleva la pelle, la si taglia poi con una lametta arrugginita e nella ferita si inserisce della cenere. L’infezione causata determinerà, intervenuta la guarigione, le cicatrici sulla pelle. Da noi c’è la chirurgia plastica, le protesi di silicone, le iniezioni di botulino e tatuaggi e dilatatori a naso e orecchie si stanno sempre più diffondendo anche nelle nostre città. I due mondi non sono poi così distanti. Le distanze si accorciano incredibilmente. Differenti nelle modalità esteriori, identici nella sostanza. Scoprire questi popoli è, anche, scoprire la nostra società. Tutto è così primordiale che neppure i ponti esistono. Neppure i ponti. Oggi. Nelle città italiane i ponti sui fiumi troneggiano in memoria di fasti passati. Qui per attraversare il fiume Omo bisogna affidarsi a canoe di legno. Chi si inoltra in questa regione deve preventivamente scegliere, prima della partenza, se visitare la parte Est o Ovest separata del fiume, poiché esso non è attraversabile con mezzi meccanici. Bottego necessitò di diversi giorni per guadare 142 - Avventure nel mondo 1 | 2015 il fiume e molti dei suoi uomini furono divorati da coccodrilli. Le canoe scavate a mano in tronchi d’albero, mentre scivolano sull’acqua, regalano il piacere tattile del legno lavorato a mano. La fatica fisica è una costante: dalle donne che macinano a mano il sorgo, agli uomini che estraggono a mano l’acqua dai pozzi, denominanti cantanti. Non esistono pompe idrauliche e l’acqua per abbeverare gli animali deve essere prelevata dai pozzi con la sola forza fisica. L’aspetto estetico, questa volta interpretato in forma musicale, anche qui non manca. Più uomini, dell’etnia dei Borana, al suono di canti ritmici riescono ad estrarre anche 250 litri di acqua al minuto. Non manca una sorta di direttore d’orchestra che dà il ritmo ai canti e al lavoro. Pozzi, acqua, animali, fatica, canto, sudore, ritmo si uniscono nel termine lavoro. La fatica fisica dovuta al lavoro a volte è brutale. Lo scenario è quello del cratere spento di El Sod, sul cui fondo si trova un lago salato da cui, per l’appunto, si estrae il sale. A mano. La discesa nel cratere, per più di 100 metri di dislivello, è lenta e faticosa, ancor di più la salita. Solo degli asini aiutano gli operai a riportare sull’orlo del cratere i sacchi di sale. Lo spettacolo naturalistico è di una bellezza impressionate. Giunti nel fondo del vulcano, le sue alte pareti ti avvolgono con una natura potente e maestosa. In alto il cielo, come sempre, è azzurro come non mai. Laggiù uno sforzo fisico che abbruttisce: i lavoratori, spesso completamente nudi, si tuffano nel lago salato, per poi procedere alla lavorazione manuale del magma salino raccolto. Il sale brucia loro la pelle, la corrode fino al punto da doversi bendare i piedi, le gambe e le mani con stracci per coprire le ulcere. Il naso e le orecchie vengono tappati con improvvisati tamponi per limitare l’ingresso dell’acqua salina. Per gli occhi non c’è rimedio. Il passaggio nell’età adulta è frequentemente segnato da un rito, in quasi tutte le culture del mondo, ma il rito di iniziazione dell’etnia Hamer è unico. E’ il coraggio la cifra comune che caratterizza il passaggio nell’età adulta di questo popolo. Per gli uomini e per le donne. Il giovane uomo, completamente nudo, deve riuscire a correre sulle groppe di tori, appositamente allineati, più volte, senza cadere. Se cadrà, sarà allontanato dal villaggio. Una prova, se non fisicamente, particolarmente forte dal punto di vista emotivo soprattutto per le conseguenze della stessa. Le donne, invece, dimostreranno il loro coraggio, chiedendo, insistendo affinché gli uomini le frustino. Il rumore secco della frustata si espande per tutta la foresta: non c’ è una smorfia di dolore, non c’è un lamento. C’è solo il sangue a rivoli che scende dalle schiene ferite. C’è dolore, c’è coraggio. Le cicatrici delle ferite rimangono visibili in maniera indelebile. Sono la prova di coraggio e vengono esibite dalle donne, a schiene scoperte, nei giorni di mercato. E’un filo rosso di sangue che lega la cultura di questo popolo e di molti altri. Spesso qui e altrove riti sociali o religiosi impongono il sacrificio fisico. In tutte le culture il passaggio all’età adulta è contrassegnato da un aspetto rituale, ed anche nelle nostre latitudini a volte il sacrificio fisico viene sublimato, e sostituito con altre regole sociali più astratte, ma non meno penetranti. Cambiano le forme, i modi, i tempi, i riti sociali, ma non l’uomo. Siamo andati indietro nel tempo e siamo ritornati nel nostro tempo: andata e ritorno alla scoperta dell’Uomo.