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LETTERATURA FRANCESE François de Malherbe
LETTERATURA FRANCESE François de Malherbe: François de Malherbe è stato un poeta e scrittore francese di nobili origini. Tra le prime opere, compose il poemetto "Le lacrime di San Pietro" di ispirazione barocca. Nel 1605 su commissione di Enrico IV scrisse la "Preghiera per il re che va nel Limosino" e nello stesso anno viene nominato poeta ufficiale e gentiluomo della camera del Re da Enrico IV, rimasto impressionato dalle sue opere successivamente di Maria de' Medici e di Luigi XIII. Nelle sue opere è chiaro l'intento di superare i modelli del manierismo e del barocco, a tal scopo propone uno stile in cui la chiarezza provenga dalla logica, come riteneva fosse giusto per tutte le opere d'ingegno, e a cui si aggiunga la semplicità e il buon senso. Per questo può essere considerato primo teorico del classicismo e riformatore della lingua francese, nonché ispiratore della Académie française; la sua dottrina poetica infatti, raccolta dai discepoli, esercitò un'enorme influenza sull'evoluzione della poesia francese. Malherbe esigeva un linguaggio poetico di assoluta purezza e semplicità, privo di arcaismi, neologismi, provincialismi, al fine di preservare la lingua francese, ma proprio a causa di questa sua volontà di "spogliare" la lingua,si verificò un impoverimento delle possibilità espressive della poesia francese. Per Malherbe il primo stimolo alla poesia non è la tradizione umanistica italiana né l'antichità classica, alla quale attingevano il manierismo e il barocco in voga ai suoi tempi, ma la corte e i rapporti cortesi; ed è per questo che riesce a raggiungere la massima perfezione stilistica anche in brani altrimenti minori, come una richiesta di grazia o il testo di un balletto di corte. Il concetto di “purezza linguistica” era un ideale propugnato dal classicismo, ma aveva anche una valenza politica in quanto la preservazione della lingua francese era uno degli scopi principali di Luigi XII e XIV. Boileau dedicò a Malherbe un verso, cioè “Enfin, Malherbe vient”, che faceva riferimento alla sua capacità di dare alla lingua francese una specifica sonorità. Vi è una citazione importante da ricordare, "Per quanto assoluto voi siate, non sapreste, Sire, abolire o permettere una parola che l'uso non autorizzasse." Malherbe quindi si era già accorto dell'opposizione tra langue e parole di Saussure. Dalla Consolation à M. du Périer, citiamo il verso "Mais elle était du monde où les plus belles choses, ont le pire destin, et rose, elle a vécu ce que vivent les roses l'espace d'un matin." cioè "Ma lei era di quel mondo dove le più belle cose, hanno il peggior destino, e rosa, lei ha vissuto quel che vivono le rose lo spazio d'un mattino. Questi versi celebri meritano una spiegazione: inizialmente Malherbe aveva scritto «Rosette a vécu…», utilizzando il nome della figlia di du Périer. La modifica - molto felice - dei versi per creare l'apposizione («Rose, elle a vécu…») testimonia la cura incessante per la perfezione manifestata da Malherbe. Per la cronaca, quando l'autore pubblicò questa Consolazione, du Périer aveva già avuto il tempo di risposarsi e d'avere due altri figli. Composti verso il 1600, questi versi sono tra i più melodiosi della poesia francese e non possono non essere comparati se non con quelli dalla celebre «Ode à Cassandre» di Pierre de Ronsard: « Mignonne, Allons voir si la rose...». Tuttavia per il lettore italiano, il richiamo più diretto sono i versi «E come tutte le più belle cose | vivesti solo un giorno | come le rose» tratti da La canzone di Marinella di De André. Théophile de Viau: Théophile de Viau è stato un poeta e drammaturgo francese nato in una famiglia ugonotta, che ebbe una vita movimentata. Studiò in una accademia protestante e prese parte alle guerre di religione, dopo la guerra divenne un brillante poeta giovane nella corte reale. Era un seguace di Giulio Cesare Vanini (che mise in discussione l'immortalità dell'anima) e a causa della sua appartenenza radicale al gruppo libertino, Viau fu bandito dalla Francia e si recò in Inghilterra per poi tornare in Francia ed essere riammesso a corte. Lo stile poetico di De Viau rifiutava le forme razionali e classiche di François de Malherbe, infatti le sue opere erano di ispirazione barocca, come nella sua ode "Un corbeau devant moi croasse" ("Un corvo davanti a me gracchia") con immagini pittoresche e fantastiche di tuoni, serpenti e fuoco, come in un dipinto di Salvator Rosa. Nel 1622, Viau fu denunciato e condannato a causa di una raccolta di poemi licenziosi "Le Parnasse satyrique", che uscì a suo nome, sebbene molte composizioni fossero state scritte da altri. La vicenda diede luogo a varie discussioni fra gli studiosi e gli intellettuali: furono pubblicati 55 saggi, sia a favore che contro de Viau. Egli scrisse poemi satirici, sonetti, odi ed elegie, come "Piramo e Tisbe" (tragedia in 5 atti, rappresentata nel 1621 che diede origine a Romeo e Giulietta), Traité de l'immortalité de l'âme, traduzione libera del Fedone di Platone e "La Maison de Sylvie" dieci odi dedicate al suo ultimo protettore. Biencéances: è una forma di rispetto per la formalità, sia sociale che letteraria, tipica del classicismo, teorizzata da Boileau nel 1671. Tristan L'Hermite: dopo aver soggiornato in Inghilterra e in Norvegia, fu al servizio del duca d'Orléans, poi del duca di Guisa. Nel 1649 entrò all'Académie Française, caratterizzato da uno spirito che lo accomunava ai libertini. I suoi componimenti furono di ispirazione poetica diversa, alcuni di forma più ufficiale altri meno formali, le sue opere erano anche caratterizzate da un clima malinconico e scrisse anche un romanzo picaresco "Le page disgracié" ("Il paggio disgraziato", del 1643) in cui narrava della sua partecipazione alla battaglia de La Rochelle, al servizio di Luigi XIII, che costituisce una sorta di "primo ingresso dell'Io" (insieme alla 1° Journé di Theophile) perchè ha una matrice autobiografica, ma effettivamente non è un'autobiografia, in quanto parla di se non per mettere la sua vita come esempio ma per il semplice gusto di raccontare. Per arrivare all'autobiografia si dovrà arrivare alle "confessioni di Sant'Agostino e poi alle confessioni di Rousseau, ma prima di allora un autore non poteva parlare di se stesso. Scrisse poi alcune tragedie, la prima delle quali, Mariane, del 1636, è una delle più intense del secolo, e riscosse un successo paragonabile al Cid di Corneille, anticipandone in parte alcuni temi. Saint Amant: era un rappresentante del seicento letterario francese, era un rappresentante dell'accademia francese sotto la reggenza di Maria de Medici e Richelieu, che aveva capito che la letteratura e soprattutto il teatro riuscivano a influenzare la massa, e per questo porta sotto la sua ala i letterati e gli artisti. Egli era un amante dei piaceri della vita, un amante dell'arte a cui non importava vantarsi della sua appartenenza all'accademia, infatti rifiuta di pronunciare il suo discorso per l'inserimento all'accademia francese barattandolo con il programma poetico del grottesco. Egli utilizzava termini semplici, famigliari e triviali, lo stile era di ispirazione barocca e le sue opere erano per la maggior parte lunghi e divertenti componimenti da cui si poteva carpire la sua arguzia e il suo spirito di osservazione. Possiamo dire che egli incarna la contraddizione del secolo tra classicismo e barocco, una contraddizione che possiamo notare maggiormente nella contrapposizione d'ispirazione fra le opere "solitude" e "Fumeur". Solitude è uno dei componimenti più famosi e imitati dell'epoca, vi è un costante riferimento a Ovidio e alle sue opere (Tristia) e alle divinità del classicismo. Le Fumeur invece è un sonetto di matrice barocca in cui possiamo trovare tematiche che rendono di Saint Amant un precursore di Baudelaire. Barocco: il barocco in letteratura è un periodo storico in cui molti letterati furono influenzati dal gusto per l'estrosità, la fantasia, l'esagerazione e il gusto per il bizzarro. Veniva da molti assimilato al cattivo gusto. In Francia il barocco mira ad arrivare al modernismo; v'era un forte rifiuto per le regole, per i canoni e ci si affidava al potere dell'innovazione e soprattutto all'individualismo. Corneille parlava di "je ne sais quoi", un dono dell'artista che proveniva dall'anima, in questo modo si poteva conciliare insegnamento e piacere. Dal barocco presero poi vita nuove correnti moderne, come il preziosismo. Voiture e Benserade: erano due letterati seicenteschi che portarono alla metà del secolo ad una sorta di scontro fra due schieramenti di intellettuali, i jobelins e i uranistes. Lo scontro fra i due schieramenti cominciò in seguito alla morte di Voiture e si basava su due opere; raggruppati intorno alla duchessa di Longueville e alla Duchessa di Montausier ( Julie d'Angennes ) gli Uranists si erano schierati per "Sonnet d'Uranie", di Voiture, considerandolo capolavoro assoluto; mentre presieduto dal principe de Conti, fratello di Madame de Longueville, i Jobelins (come Mademoiselle de Scudéry), si schierano per il "Sonnet de Job" di Benserade, che aspirava ad avere successo e sostituire Voiture come punto di riferimento nel buon gusto e nella bella lingua. Preziosismo: il preziosismo fu un fenomeno di costume e di gusto sviluppatosi nel Seicento in Francia ed ebbe la sua massima diffusione nei decenni centrali del secolo dove costituì, accanto al genere burlesco e prima del definitivo affermarsi del classicismo, una delle manifestazioni letterarie del barocco. Gli autori si dilettano sfidandosi a creare componimenti in grado di attrarre il favore del pubblico, spesso soprattutto dai salotti mondani (come il famoso salotto di Madame de Rambouillet), frequentati anche da donne, che avevano la possibilità di esprimersi e giudicare. In questo caso, i componimenti dovevano essere più semplici possibili, un tono leggero, sia per la loro istruzione che per la maggior parte non contemplava le stesse materie dell’uomo, sia perché giudicate intellettualmente meno capaci degli uomini. L’uomo però scriveva quasi sempre in funzione della donna. Vi si intrecciò quasi subito un elemento femminista: una reazione contro la condizione di passività riservata alla donna e una ricerca di una compensazione nella vita mondana. Si creò quindi la figura della "preziosa", caratterizzate dalla “tandresse” cioè la capacità di amare in un modo che solo le preziose potevano fare; le preziose erano contro la maternità e l’amore passionale, l’amore per loro veniva inteso come cortese, un amore cavalleresco e platonico, un amore simile all'amicizia. Le preziose dovevano quindi allontanarsi dalla passione, perché era fondamentale per una donna mantenere l’autocontrollo e la lucidità. Possiamo citare opere come l'Astrée di Honoré d'Urfé o i romanzi di Madeleine de Scudéry. Il Romanzo nel seicento: il genere che si avvicina più al romanzo – prima che effettivamente esso si affermasse – era l’epopea. Il romanzo nasce nel seicento, si sviluppa settecento e raggiunge il suo massimo nell’ottocento. In questo nuovo genere letterario possiamo notare una molteplicità di intrighi, solitamente esso cominciava con un evento significativo, come duello, v’era spesso un uso di eventi storici e soprattutto un fine morale. Si predilige un eroe più umano rispetto ai miti, il cui ruolo è quello di insegnare qualcosa, dare una morale e mostrare valori. Questo nuovo genere assumeva due variazioni, opere di immaginazione (romanzo sentimentale e eroico come L’Astrée) e storie borghesi (come “Histoires Comiques”, che dava un ritratto della vita quotidiana con un clima tipico della commedia, riprendendo anche il picaresco). Al fine di rendere perfetto questo nuovo genere letterario, vennero create le “regole delle tre unità”, che si rifacevano ad Aristotele e ad Orazio, che scrive “l’arte poetica”. A partire dal 1630 fino al 1660 abbiamo la teorizzazione di queste regole, fra i teorici spicca la figura di Chapelain che scrive gli “Opuscules”. Queste regole furono create al fine di creare l’opera perfetta, rifacendosi al concetto di bello eterno, Chapelain infatti parlava di “regole invariate dei dogmi di invariata verità”, si sviluppa quindi una convinzione secondo la quale gli antichi avrebbero creato capolavori perché uniformati, per cui se ci si rifaceva ai dogmi e alle regole, a prescindere dal genio, si poteva creare qualcosa di perfettamente bello. Le tre regole facevano riferimento all’unità di tempo (per la quale il tempo dell’azione doveva coincidere con quello della rappresentazione, poi si decise che dovesse girare intorno alle 24 ore, ma in ogni caso la cosa più importante era la “liasons des scenes” che dovevano essere ben concatenate temporalmente), l’unità di luogo (Per rispetto alla verosimiglianza il luogo doveva essere preciso, se c’erano più luoghi dovevano essere vicini. Nella rappresentazione invece il luogo doveva coincidere con quello che lo spettatore riusciva a vedere, solitamente si optava per una piazza per le commedie e la corte per le tragedie) e l’unità d’azione (cioè dall’inizio alla fine l’opera deve avere un’azione principale, nessun intrigo parallelo, tutto deve essere finalizzato all’azione principale per permettere al pubblico di intravedere il destino dei personaggi senza confusione.). Honoré d'Urfé: fu uno scrittore francese, autore del primo romanzo fiume della letteratura francese, L'Astrée, un romanzo pastorale francese, l'opera letteraria maggiore del XVII secolo, L’Astrée è chiamata a volte "romanzo dei romanzi", in primo luogo per le sue dimensioni, che fanno sì che venga considerata come il primo romanzo fiume della letteratura francese (5 parti, 40 storie, 60 libri, più di 200 personaggi, più di 5000 pagine), ma anche per il notevole successo che ha avuto in tutta quanta l'Europa (tradotta in un gran numero di lingue e letta in tutte le corti europee). Sarebbe difficile, per non dire impossibile, fare una specie di riassunto de L'Astrea, che non a caso viene definita romanzo fiume o anche opera ad incastro. il cui nucleo narrativo è costituito dagli amori del pastore Céladon e della pastorella Astrea; solo dopo mille e mille avventurose peripezie, e altrettante interminabili digressioni, tuttavia, i due protagonisti potranno coronare il loro idillio, trovando la tanto sospirata felicità. L'Astrea, situata cronologicamente in un remoto e poco credibile V secolo d.C., è ambientata nel Forez (paese d'origine di d'Urfé) e presenta numerosi riferimenti alla biografia dell'autore e alla società dell'epoca. Ai dissoluti e materiali costumi dell'aristocrazia cortigiana, l'Astrea veniva a contrapporre un ideale amoroso naturale, puro e fondato sulla fedeltà. Quest'opera ha avuto nei secoli un enorme successo ed è stata letta da moltissime persone, influenzando in tal modo numerosi autori francesi come Jean-Jacques Rousseau, Jean de la Fontaine o Molière, che la lessero durante la loro infanzia o la loro adolescenza. Madeleine de Scudéry: è la prima autrice romanziera francese, scrisse "Le Grande Cyrus", non era una poetessa perchè la metrica della poesia non rientrava nelle materie di studio delle donne, quindi anche se alcune donne si dilettavano non diventavano importanti. Era un'abituale frequentatrice dell’Hôtel de Rambouillet, un proprio salotto letterario che diede lungo al Preziosismo, del quale fu una delle più note esponenti. Tale salotto era anche frequentato dalla maggior parte delle celebrità dell’epoca come Madame de La Fayette e Chapelain. Con Madeleine de Scudéry inizia a insinuarsi lo psicologismo nella letteratura; le scrittrici infatti tendevano a scrivere ponendosi il problema di cosa stesse pensando il personaggio e delle conseguenze su lui e sugli altri personaggi. Paul Scarron: è stato uno scrittore francese. Semiparalizzato e storpio dall'età di trent'anni a causa di un'artrite, reagì alle avversità con la sua socievolezza e il suo spirito brillante. Fu tra i maestri della letteratura burlesca, con opere come il poema incompiuto in sette libri "Le Virgile travesty en vers burlesques" e Quinet, una sorta di parodia dell'Eneide in chiave burlesca. La sua opera più importante però, su Il Roman comique, romanzo comico e incompiuto, che narra la vita e le peripezie di una compagnia di attori girovaghi, una delle opere più pittoresche tra i romanzi realistici del Seicento. Con quest'opera Scarron vuole descrivere il teatro, vi sono però dei riferimenti autobiografici, i personaggi infatti rappresentano l'autore. Destin, possiede grazie fisiche e virtù morali (l'autore prima della malattia), viaggia molto e a Roma conosce la donna della sua vita, un personaggio positivo il cui nome si riferisce proprio al destino favorevole. Ragotin invece è l'opposto; semina catastrofi ha un corpo deformato dalle vicende e la sua sofferenza è motivo di derisione. Lo stesso titolo fa comprendere l'essenza dell'autore, Roman (immaginazione) e Comique (realtà). Cyrano de Bergerac: è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e soldato francese del Seicento. La sua figura ha ispirato la celebre opera teatrale Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand del 1897. Grazie ai suoi romanzi fantastici è oggi considerato uno dei precursori della letteratura fantascientifica. In altro senso e specialmente per il suo linguaggio fortemente laicistico e poco rispettoso delle istituzioni religiose egli è considerato un intellettuale libertino, un libertino anticattolico. Nelle sue opere egli unisce l'osservazione della natura e della realtà, un naturalismo che è però diverso da quello novecentesco. Fa molto uso del tema del fantastico ed è proprio per questo che si ispira alla natura e all'universo, perchè non crede che ci sia qualcosa di più fantastico di questi elementi. Vuole fare conoscere al lettore le conquiste della scienza e per ciò utilizza il genere del romanzo, utilizzando la fantasia per parlare di temi scomodi. E' anche importante per la sua concezione di "universo", cioè un immenso organismo vivente in cui tutti gli esseri formano una catena solidale. Egli quindi rovescia il concetto di antropocentrismo e propone una diversa visione del mondo in cui l'uomo non è al centro di tutto. Libertinaggio: è un’attitudine seicentesca critica e ironica degli intellettuali nei confronti di ogni forma di potere e della religione. I precursori del libertinaggio sono Vanini e Giordano Bruno. I libertini sono personaggi che criticano i dogmi, non hanno paura di essere ambigui o bisessuali, rischiando la galera. Il libertinaggio è caratterizzato da un comportamento deciso e senza timore. Col libertinaggio si afferma la libertà individuale. Razionalismo: è una corrente filosofica basata sull'assunto che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza. In generale i filosofi razionalisti sostengono che, partendo da «principi fondamentali», individuabili intuitivamente o sperimentalmente, come gli assiomi della geometria, i principi della meccanica e della fisica, si possa arrivare tramite un processo deduttivo ad ogni altra forma di conoscenza. In generale si definiscono razionalisti quei sistemi filosofici in cui la realtà è vista come governata da una serie di leggi e principi che sono perfettamente comprensibili con la ragione umana e che coincidono con il pensiero stesso. La filosofia razionalista si contrappone all'irrazionalismo, il quale privilegia invece altre facoltà umane legate all'istinto, alla volontà cieca, allo scetticismo, ecc. Appartengono alla corrente razionalista moderna personaggi come Thomas Hobbes, Galileo Galilei, Cartesio e Newton. Cartesio: opera come scienziato e filosofo per tutta la prima metà del 1600 e ha grande importanza non solo in ambito filosofico e scientifico, ma pure letterario: é infatti considerato insieme a Pascal il fondatore della prosa francese; caratteristiche del suo stile sono la chiarezza e la linearità, caratteristiche che finiranno poi per influenzare anche l'illuminismo. Il linguaggio di Cartesio é il linguaggio della ragione illuministica per diversi motivi. Innanzitutto l' epoca in cui vive Cartesio é stata definita l' età del razionalismo, ossia l' età dell' indiscussa onnipotenza della ragione umana: é evidente come vi siano analogie con l' illuminismo, che prende il nome proprio dai lumi della ragione. Scrive il "Discorso sul Metodo", una sorta di suo manifesto, in cui unisce scienza e l'esigenza di trovare un metodo per raggiungere la verità, questo metodo è il dubbio. Si parte quindi dal dubbio, nel senso che ogni principio, che sia di matrice matematica, filosofica, metafisica o morale deve essere messo in discussione per arrivare alla verità, verità che può essere raggiunta solo se guidati dal buonsenso e dalla ragione. La ragione ha quindi due facoltà, intuizione (cioè l'istinto intellettuale) e la deduzione (legata alla metodologia). Individua quindi 4 principi che porterebbero alla verità: 1) Non ritenere che una cosa è vera a priori ma stabilirlo con l'analisi. 2) Semplificare ogni tipo di percorso dividendolo in piccoli momenti. 3) Seguire una linea di pensieri che vanno dalle deduzioni più semplici a quelle più complesse. 4) Fare una sintesi di tutte le analisi fatte e risolvere il caso. Cartesio quindi apre il passo alla filosofia moderna, ponendo come vero oggetto della conoscenza le "idee", che hanno il potere di farci vedere "ciò che è fuori". E' poi importante parlare della distinzione fra anima e corpo; partendo dal principio del dubbio, bisogna mettere in discussione ogni esperienza, pensando a che sia falsa, ma per per pensare è necessario che si esista (cogito ergo sum), da qui nasce il primo principio della filosofia, l'esistenza dell'Io pensante. La prima natura dell'uomo è proprio quella di pensare, che è una cosa che prescinde dalle necessità del corpo, quindi secondo questo concetto possiamo dividere la "sostanza espansa" cioè il corpo, dalla "sostanza pensante" cioè l'anima. Giansenismo: è una dottrina teologica che tentò di modificare il cattolicesimo, elaborata nel XVII secolo da Giansenio, il quale fondò la sua costruzione teologica sull'idea che l'uomo nasce essenzialmente corrotto e quindi destinato a fare necessariamente il male, e che, senza la grazia di Dio, l'uomo non può far altro che peccare e disobbedire alla sua volontà, e che alcuni umani sono predestinati alla salvezza mentre altri no (teoria della predestinazione), egli credeva anche che permettere all’uomo di potersi salvare da solo era come sminuire il potere di Dio e rendere vano il sacrificio di Cristo. Ovviamente, la conseguenza della promulgazione di questa teoria fu diversa: alcuni letterati si unirono a questa visione di pensiero, come Madame de Lafayette. Il cattolicesimo invece rispose con indignazione, definendo i giansenisti come “eretici”, un’ira che portò alla distruzione di Port-Royal. Pascal: un matematico, fisico, filosofo e teologo francese, è uno dei personaggi legati al Giansenismo. "Les Pensées" è un’opera di Pascal in cui vi sono nove riflessioni, di cui una prima parte fa riferimento all’analisi dell’uomo e a i suoi comportamenti (descrive la miseria dell'uomo, il suo posto nella natura fra i due infiniti - il tutto e il nulla -, l'abitudine che lo schiavizza, l'immaginazione che lo inganna, l'amor proprio che lo seduce, il divertimento che lo distrae ed infine l'affermazione della necessità di cercare Dio) e una seconda parte che fa riferimento all’analisi dell’apologia cristiana (Bibbia, dogmi). All’interno dell’opera Pascal cerca di spiegare le contraddizioni dell’uomo derivanti dal peccato originale. Inizialmente l’uomo è creato sano, puro, poi viene segnato dal peccato originale a causa del suo orgoglio e non può più evadere dalla situazione di corruzione. Pascal pone in discussione Cartesio perché giudica la ragione incapace di comprendere la realtà e il senso della vita, ritiene che solo il cristianesimo rende comprensibile l'uomo e spiega ciò che la pura ragione (scienza e filosofia) è incapace di chiarire. Sosteneva l’inconsistenza del mondo, dell’uomo e la fragilità dell’esistenza. Esprime poi il concetto dei "due infiniti", vuole sottolineare la situazione tragica dell’uomo nell’Universo, ponendosi una domanda: Che cos’è l’uomo nella natura? Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla. L'uomo, per Pascal, è tra due infiniti: l'”infinitamente grande” e “infinitamente piccolo: 1) l’infinitamente grande, rispetto al quale l’uomo non è nulla; 2)l’infinitamente piccolo, rispetto al quale l’uomo è tutto. L’uomo però non è in grado di conoscere né l’uno né l'altro e prova tremore e sbigottimento perché sperimenta da un lato la sua grandezza e da un alto la sua miseria (impotenza). Secondo Pascal il percorso obbligato, lo strumento per arrivare alla verità è la carità (cioè la volontà di aiutare chi si ama,il prossimo, è una forma di intelligenza). Bisogna anche parlare del concetto di "cuore" di Pascal, secondo cui il cuore è la parte più spontanea, è più importante della ragione. Il cuore include la volontà, da esso dipendono le conoscenze e si trovano desideri coscienti e libere decisioni. Pascal attacca il razionalismo e tutti quelli che sono gli strumenti della ragione. Il razionalismo non si deve ricercare, poiché la ragione è qualcosa di ingannevole, bisogna essere guidati da due elementi fondamentali, cioè il cuore e la volontà. Il Dio di Pascal è nascosto,è difficile da trovare soprattutto a chi non è stata concessa la Grazia. Gassendi: fu un sacerdote, scienziato e filosofo, è autore delle Quinte Obiezioni, nelle quali, pur condividendo alcune conclusioni di Cartesio - come l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima - egli critica il "metodo" attraverso cui esse sono conseguite. Gassendi polemizza innanzitutto l'adozione del concetto stesso di evidenza. Mancando un criterio oggettivo per stabilire quando un'idea possa dirsi chiara e distinta, anche ciò che ci appare tale potrebbe essere frutto di un'illusione. Molte pagine sono dedicate da Gassendi alla critica della separazione tra corpo e anima. L'anima non è per lui che un corpo più sottile, ma ontologicamente non diverso dalla rimanente materia estesa . E' dunque errato presupporre due sostanze distinte. Ma lo stesso concetto di sostanza dev' essere evitato. Secondo Gassendi, può conoscere soltanto i fenomeni: infatti, egli può avere conoscenza compiuta solamente di ciò che fa egli stesso ( nel caso degli oggetti artificiali ) o di ciò che può scomporre e ricostruire mentalmente, in modo da coglierne la costruzione interna ( nel caso della realtà naturale ). Le sostanze, la cui esistenza tuttavia non viene negata , rimangono al di là di queste possibilità e sono conoscibili solo da parte di Dio. Tuttavia va subito detto che i testi cartesiani riportati da Gassendi e indicati come citazioni testuali sono spesso riassunti o parafrasati. Ciò fa sì che egli a volte polemizzi con affermazioni che non corrispondono al dettato del suo interlocutore. Di ciò ebbe a lamentarsi Cartesio stesso nelle Risposte alle Quinte Obiezioni: "Voi non combattete le mie ragioni, ma, dissimulandole come se fossero di poco valore, o riportandole imperfette, cogliete così l' occasione di farmi molte obiezioni che le persone poco versate nella filosofia sogliono opporre alle mie conclusioni". Corneille: drammaturgo francese nato a Rouen da una famiglia borghese, compì i suoi studi al collegio dei gesuiti di Rouen. Eccellente allievo, specie in latino, si rifece poi sovente alla letteratura antica, sia per gli aspetti declamatori, sia per i temi. Cominciò la professione di avvocato ma l'amore per una fanciulla gli ispirò un sonetto e, non è escluso, la stessa commedia Mélite, in cui lo inserì. L'opera, rappresentata prima a Rouen, poi a Parigi nel 1629, ebbe un discreto successo e lo stimolò a dedicarsi al teatro. Nel 1632 scrisse Clitandre ou l'Innocence délivrée e prima del 1635 aveva già al suo attivo altre quattro commedie, nelle quali l'argomento romanzesco è sostenuto da uno stile pieno di vivacità. La sua prima tragedia, Médée, è del 1635. Si era intanto trasferito a Parigi e godeva della protezione di Richelieuu. Faceva parte anzi delle compagnie dei “cinque autori” con Boisrobert, Colletet, L'Estoile e Rotrou, che avevano l'incarico di mettere in versi gli argomenti nati dalla fantasia del cardinale. Ma Corneille, che non ebbe mai la virtù del cortigiano, ben presto perdette le simpatie del protettore, e probabilmente anche le sovvenzioni. Il successo di Médée, in cui l'influsso di Seneca era fin troppo palese, fece da prologo al trionfo che fu poi consacrato dalla sua opera più famosa, Le Cid. Tragedia dell'amore e del dovere, rivela, nel conflitto dei sentimenti, la profondità dei caratteri dei protagonisti, in una dinamica teatrale che delle regole aristoteliche osserva, se non l'unità di luogo, rigorosamente quella di tempo. Corneille, in realtà, mal accettava il concetto delle tre unità di luogo, azione, tempo, ma cercò sempre di restarvi fedele. Di carattere fiero, Corneille approfondì le sue doti poetiche con principi critici dei quali fecero fede i suoi discorsi e le sue prefazioni e gli stessi Examens con cui accompagnava la pubblicazione delle opere. La risposta più valida agli attacchi la diede con drammi nuovi. Due in un solo anno (1640): Horace (Orazio) e Cinna. Horace è ancora una volta dramma dell'amore e del dovere, per i sentimenti che legano i duellanti (Orazi e Curiazi) alle donne delle opposte famiglie. Corneille lo dedicò a Richelieu, forse con una parvenza di ironia, forse per dimostrare che le tre “unità” (rispettate) non potevano impedirgli di creare opere egualmente valide. Anche Cinna, ispirata al trattato De clementia di Seneca, ebbe successo. In seguito con Luigi XIV e il nuovo classicismo delle lettere e delle arti, la corte e il pubblico preferivano Quinault e Racine. Un mondo poetico nuovo aveva preso il posto di quello basato, come i grandi modelli dell'antichità, sul contrasto delle passioni: motivo caro a Corneille, la cui tragedia fu definita teatro della volontà e del dovere. Continuò a scrivere, senza più raggiungere, tuttavia, i vertici. Onore, virtù, grandezza, valore sono temi delle tragedie di Corneille le quali rispettano le tre unità aristoteliche. Quattro virtù ideali sono rappresentate da quattro eroi: onore (Le Cid), patriottismo (Horace), generosità (Cinna); santità (Polyeucte). I personaggi delle tragedie di Corneille sono eroi, artefici del proprio destino, fuori del comune per estrazione sociale e forza morale. Hanno una volontà di ferro e la gloria è la legge alla quale il loro animo obbedisce fino a condurli, dolorosamente, alla solitudine a causa della rinuncia alla felicità e ai valori comuni nella collettività. Corneille esalta quindi la libertà dell'uomo, il libero arbitrio secondo quanto teorizzato dai gesuiti che si contrapponevano alla dottrina del giansenismo. LE CYD, CORNEILLE Le Cid è un'opera teatrale di Pierre Corneille composta nel 1636. Il romanzo è ambientato in un tempo lontano ma con riferimenti alla temporaneità del regno di Luigi XII. I temi principali dell'opera sono l'eroismo e l'onore, Rodrigo e Chimene fanno parte della nuova aristocrazia e incarnano gli ideali di questa nuova classe aristocratica, cioè dovere, virtù, generosità, gloria e onore. La figura dell'eroe in realtà ha qualità definite sin dall'antichità, la novità che porta Corneille è il dramma interiore dei personaggi che influenza le loro azioni e quindi l'intrigo e gli ostacoli. La sua opera viene rappresentata al Louvre e al teatro di Richelieu, ma riceve presto accuse dalla stampa e da molti letterati, tra i critici che condannarono l'opera, vi fu il cardinale Richelieu che non aveva perdonato a Corneille l'abbandono dalla Società dei cinque attori, che egli aveva creato. Per attaccare Corneille, si appoggiò alle regole del teatro classico: Le Cid, in quanto tragicommedia, non rispettava le unità aristoteliche di azione, tempo e luogo, in più le altre accuse facevano riferimento all'inverosimiglianza e assurdità della vicenda, al mancato rispetto del tempo reale dell'azione, alla discutibile originalità delle scene, alla mancanza di logica, ai brutti versi o addirittura fanno accuse di plagio. Corneille quindi si difende dalle accuse con una lettera (Exuse d'Ariste), puntualizzando anche che in realtà lui aveva già detto che si era ispirato all'opera spagnola, tuttavia alla fine si sottomette alla sentenza dell'Accademie Française, che gli impone una mitigazione dell'opera. Corneille allora rivede il testo e riscrive il finale, dandogli una maggiore ambiguità e facendo capire che alla fine il matrimonio potrebbe non esserci. Atto primo: il giovane Rodrigo e la bella Chimena si amano, ma i loro padri sono in contrasto tra loro; come precettore di suo figlio, il re ha preferito il padre di Rodrigo, Don Diego, a quello di Chimena, il conte Don Gomez. Durante la disputa il padre di Chimena dà uno schiaffo a Don Diego. Egli non può vendicarsi per la sua vecchiaia e dunque chiede al figlio di farlo per lui. Rodrigo si trova di fronte ad un forte e straziante dilemma: se egli non vendica l'onore del padre, perderà l'amore di Chimena, perché non c'è amore senza stima; se vendica il suo onore e uccide il padre della sua fidanzata, Chimena non sposerà mai l'assassino di suo padre. Atto secondo: Rodrigo sceglie di battersi ed è vincitore; nella scena del duello vi è un completo rispetto della bienceances, all'interno del secondo atto vi è una doppia storia, un intrigo giuridico e una storia d'amore. Rodrigo durante il duello usa frasi incalzanti e provocatorie nei confronti del padre di Chimene; parliamo di intrigo politico perchè il duello afferma la posizione sociale e il clima è enfatizzato da termini come "sangue, onore e nome". All'interno di questa scena però troviamo anche lo "sfogo" dell'infante che vorrebbe che il suo sentimento d'amore verso Rodrigo venisse rispettato, intanto però, Chimena, a sua volta, si trova nello stesso dilemma: per salvare il suo onore, non potendo farlo lei di persona in quanto donna, chiede al re la morte di Rodrigo, mentre Don Diego lo difende, sembra un vero processo; lei non ha scelta: se non lo farà, Rodrigo non la sposerà mai. Atto terzo: Rodrigo, intimamente scosso per l'atto compiuto, si reca a casa di Chimena, ma trova la sua governante Elvira, che lo prega di nascondersi per non ledere l'onore della figlia del conte qualora venisse vista in sua compagnia. La giovane rientra dal palazzo del re assieme a Don Sancio: questi le si offre come vendicatore, ricevendo il rifiuto della fanciulla determinata, prima, a ottenere giustizia dal sovrano. Rimasta sola con Elvira, confida di amare ancora l'uomo di cui chiede la testa. Questi, d'un tratto, esce dal nascondiglio e prega Chimena di ucciderlo con le proprie mani, così da restituirle ciò che le ha tolto: l'onore di Don Gomez. La donna riconosce la vendetta di Rodrigo quale reazione giusta e inevitabile, e afferma altresì come, pur non mutando proposito, rimandi la sua morte al verdetto del re. La parte incriminata di questo atto è proprio l'amore ancora vivido della donna verso Rodrigo, in quanto si credeva impossibile da concepire. Possiamo trovare un lessico particolare che rende palpabile il dissidio dei personaggi fra il sentimento d'amore e la necessità di vendicare l'onore della famiglia: amore come il fuoco, miracolo, calore. Tuttavia, infine sembra che il dovere filiale venga prima del sentimento d'amore, ed è qui che anche Chimene diventa eroina, decidendo di dover uccidere Rodrigo. Atto quarto: i Mori, intanto, arrivano alle porte della città; Rodrigo riporta una grande vittoria su di loro, è riconosciuto come Cid, Signore degli Arabi sconfitti, e salva così la patria dall'invasione. Nonostante tutti cerchino ormai di convincere Chimena che la situazione è cambiata, e che sacrificare il Cid vorrebbe dire attentare al bene della patria, Chimena è irremovibile. Il re si trova in grande imbarazzo; non potendo rischiare di perdere il suo salvatore, ricorre a uno stratagemma. Di fronte a Chimena, venuta a reclamare giustizia una volta di più, finge che Rodrigo sia morto in combattimento. La donna rimane turbata, tradendo il suo amore per l'eroe ma, dopo aver appreso la verità, torna sulle sue posizioni chiedendo che il padre sia vendicato. Siccome il sovrano tenta in tutti i modi di dissuaderla da questi propositi, Chimena ricorre ad un'antica usanza, quella del duello. Promette di concedere la sua mano a colui che ucciderà Rodrigo. Don Sancio, mediocre combattente per il quale Chimena non ha alcuna stima, si offre volontario. Atto quinto: prima di andare ad affrontare Don Sancio, il Cid torna da Chimena, comunicandole la volontà di farsi uccidere per, lasciando così che la vendetta dell'amata possa compiersi. Tuttavia, la fanciulla lo sprona a combattere lealmente, tradendo nel parlare un amore ancora vivo nei suoi confronti. Rodrigo, completamente rinfrancato, parte per il duello. Mentre la sfida ha luogo, Chimena sfoga il proprio strazio interiore con la confidente Elvira. A questo punto, vede Don Sancio venire verso di lei e deporre la spada ai suoi piedi. Interrompendolo, dà voce a tutta la passione per l'uccisore del padre. I suoi sentimenti sono ormai inequivocabili. La fanciulla, inoltre, ha interpretato male: il Cid è vivo. Vincitore, ha risparmiato la vita del rivale. L'opera finisce con la promessa di matrimonio tra i due protagonisti, non prima che Rodrigo abbia offerto per la terza volta la sua vita a Chimena. La donna, pur avanzando ancora qualche perplessità, non si oppone più, mentre il re concede che il matrimonio possa essere posticipato di un anno, in modo che l'offesa venga gradatamente dimenticata. Rodrigo, intanto, guiderà una nuova spedizione contro i Mori. Racine: fu un drammaturgo e scrittore francese, il massimo esponente, assieme a Pierre Corneille, del teatro tragico francese del Seicento. Venne educato dai giansenisti alla cultura greca e latina. I personaggi del teatro classicista di Racine sono antieroi a differenza di quelli delle tragedie di Corneille. Essi sono in balìa delle passioni dell'animo, dell'odio, dei rapporti di sangue (odio tra fratelli, amore incestuoso), travolti dai propri insanabili conflitti interiori. La passione piega i destini degli uomini e l'amore, sentimento devastante, è spesso esasperato dalla gelosia. La debolezza d'animo dei personaggi ed il pessimismo dell'autore riflettono una visione giansenista dell'esistenza (Fedra). Frequenti sono le scene sanguinose e macabre e lo sfondo delle vicende è cupo. La trama è semplice e lineare ed il linguaggio è elevato. Ifigenia e fedra rappresentano le due opere che segnano l'introduzione del sacro all'interno delle tragedie (giansenismo velato). La Fedra, Racine. Fedra è una tragedia in cinque atti scritta da Racine nel 1677. Si rifà ai classici ellenici e latini di Euripide e Seneca, ma il mito è rivisto sotto la luce di una nuova morale e di una nuova religione: il Cristianesimo monoteista, non più il paganesimo politeista. Prefazione: nella prefazione dell'opera l'autore dice "Ecco un'altra tragedia il cui soggetto è tratto da Euripide". Nello stendere questa tragedia l'autore apporta però alcune modifiche rispetto al tragediografo greco in particolare nel delineare i protagonisti: Fedra, per Racine non è né del tutto colpevole né del tutto innocente: "E' vincolata dal proprio destino e dalla collera degli dei ad una passione illegittima di cui lei per prima ha orrore". Essa compie ogni sforzo per sconfiggerla, preferendo di gran lunga la morte, ma alla fine è proprio l'eroina tragica ad essere sconfitta confessando il suo tremendo amore; ed è la voce della morte di Teseo, che porta Fedra a fare la sua confessione che non avrebbe mai osato fare finchè avesse creduto vivo il marito. Proprio per questa parziale innocenza Racine ha tentato di renderla meno odiosa di quanto non fosse nell'originale greco, affidando l'accusa contro Ippolito alla nutrice: a questa infatti s'addiceva meglio una simile bassezza piuttosto che ad una principessa capace poi di esprimere sentimenti tanto nobili e virtuosi. Inoltre, Ippolito, mentre in Euripide e Seneca è accusato di aver realmente violentato la matrigna, nella Phèdre viene accusato solo di averne avuto l'intenzione. Inoltre Racine gli ha attribuito "...qualche punto debole che lo avrebbe reso un poco colpevole nei confronti del padre", chiamando debolezza la passione che suo malgrado prova per Aricia, figlia e sorella dei mortali nemici di suo padre. Primo atto: Ippolito intende partire alla ricerca del padre che si trova nell'Epiro e del quale non si hanno più notizie. Teramene lo rassicura: il re sarà incappato nell'ennesima avventura galante. Ma la vera ragione di Ippolito è un'altra, egli vuole sfuggire al fascino di Aricia, di cui è innamorato. Nel frattempo Fedra, moribonda confessa a Enone il motivo delle sue tribolazioni: è ardentemente innamorata del figliastro sebbene abbia sempre e solo ostentato odio nei suoi riguardi. Panope annuncia la dipartita di Teseo e la nutrice, perciò, dà alla regina una nuova speranza: lottare per i suoi figli e preservare il trono da Ippolito e Aricia, possibili eredi. Secondo atto: Ismene, confidente di Aricia, svela alla ragazza la morte del suo persecutore e la possibilità che il giovane Ippolito, restituisca lei la libertà e forse anche il trono. Ippolito parla alla ragazza confermando gli auspici di Ismene e rivelandole il suo amore. Enone annuncia al principe che la regina intende parlargli: Fedra è infatti preoccupata che Ippolito, da lei oltremodo odiato, una volta al potere, si vendichi sui suoi figli. Ma il giovane la tranquillizza: non nutre simili sentimenti e non ha alcun proposito di vendetta. La regina si lascia trasportare e finisce col svelargli la sua passione, un sentimento obbrobrioso instillato in lei da qualche dio vendicativo, un amore colpevole che la rende miserabile agli occhi del mondo: è lei la prima a detestarsi. Invoca il giovane di ucciderla ma Ippolito fugge lasciandole avventatamente la spada. Teramene lo avvisa che il partito di Fedra, i suoi figli, sono in vantaggio nella corsa alla successione al trono e che, secondo alcune indiscrezioni, Teseo sarebbe ancora in vita. Terzo atto: Fedra supplica Enone di trovare uno stratagemma che faccia ritornare Ippolito: è disposta pure a cedergli il trono o a fargli addestrare i figlioli. Rimasta sola, si abbandona a un monologo in cui sollecita l'intervento di Venere; in fondo respingendola, Ippolito ha commesso uno sgarbo nei confronti della regina dell'amore. Enone la avvisa che Teseo è prossimo al ritorno: lei si dispera, sarebbe stato meglio morire prima anziché ora, disonorata e adultera. Ma Enone ha un piano diabolico: accusare Ippolito di aver tentato di stuprarla, presentando la spada perduta come prova inconfutabile del misfatto. Teseo punirà il figlio con l'esilio ma se lo uccidesse tanto meglio. Fedra infatti, al suo arrivo, non va ad abbracciare il marito, informandolo che un grande disonore è piombato sulla sua famiglia. Il re è sbigottito da questa accoglienza e cerca di vederci chiaro. Ippolito rifiuta di fuggire perché convinto della propria innocenza, e decide di affrontare il genitore. Quarto atto: Enone confessa il misfatto di Ippolito a Teseo. Il dialogo che segue tra i due è acceso: il padre ha parole durissime nei confronti del figlio, intende esiliarlo in una regione lontana, dove nessuno possa riconoscerlo e difenderlo. Il giovane si difende debolmente e appellandosi alla rinomata castità; per Teseo questa è un'autoaccusa: respingevi le altre poiché bramavi soltanto Fedra! Il poveretto confessa il suo unico peccato: amare Aricia trasgredendo la volontà paterna, ma per il re si tratta di una scusa grossolana. Alla fine il solo lampo di Ippolito in tutto o il dialogo: Non bisogna credere alle parole di Fedra poiché origina da un razza tarata. Teseo invoca la vendetta del dio Nettuno, che gli era debitore. Il monarca si reca dalla moglie e spiattella la giustificazione cercata dallo sciagurato Ippolito, l'amore per Aricia. Alla notizia Fedra (che voleva dissuadere Teseo da severi propositi di vendetta) rimane basita dal momento che non sapeva di avere una rivale. Va da Enone a farsi spiegare perché le fosse stata nascosta la relazione tra Ippolito e Aricia. Sta per commissionare alla nutrice un altro inganno, stavolta ai danni della fanciulla, quand'ecco che la coscienza la riporta alla ragione. Caccia via la serva accusandola di essere la causa delle sue sciagure. La misera Enone riflette sulla sua fiducia mal ripagata dalla padrona. Quinto atto: Ippolito propone ad Aricia di scappare verso Sparta, ma prima vuole giurarle amore eterno presso il tempio che punisce i bugiardi. Teseo ha un dialogo con la ragazza, nel corso del quale cerca di mettere Ippolito in cattiva luce. Ma lei è sicura dell'innocenza dell'amato e rivolge una stilettata al re: di tutti i mostri che avete combattuto uno solo ne avete lasciato vivere (allude a Fedra). Teseo inizia a sospettare; intende di nuovo parlare alla nutrice, ma apprende da Panope che Enone si è suicidata lanciandosi nel mare. A questo punto Teramene racconta al re l'eroica morte del figlio: dopo aver ucciso un mostro marino, i cavalli del carro, spaventati non si sa bene se da un dio nascosto o dalla pesante caduta del mostro, sono precipitati tra gli scogli. Le ultime parole del giovane: se mai mio padre riuscisse a scoprire la mia innocenza, se vuole essere da me perdonato, deve prendersi cura di Aricia e restituire lei ...(sicuramente allude al trono). Teseo, resipiscente, sta per andare a piangere sui resti del figlio quand'ecco che si imbatte in Fedra. Lui non vuole sapere più nulla, oramai immagina come stanno realmente le cose, ma lei che si è da poco avvelenata con un unguento portato in Atene da Medea, confessa tutto. Addolorato, Teseo piange amaramente e promette di ottemperare alle ultime volontà del figliolo: Aricia sarà la nuova regina e la sua nuova figlia. Corneille e Racine, differenze: anche se dello stesso periodo storico, influenzati dagli stessi avvenimenti culturali, Corneille e Racine sono due autori completamente diversi ed è difficile cercare qualcosa che possa in qualche modo accomunarli eccetto l'amore per le opere teatrali forse. Sono i due massimi esponenti della letteratura del loro tempo, tuttavia vi sono alcuni punti in cui i due autori divergono. Corneille risente dell'influsso del barocco, i suoi personaggi sono eroi, in preda a dei dissidi interni tra amore e enore, tuttavia Corneille tutela la loro libertà rendendoli artefici del proprio destino, viceversa, in Racine, che ha una formazione del tutto classicista, troviamo personaggi antieroi, in balia delle passioni, queste passioni tormentano i suoi personaggi e piegano i destini degli uomini e dell'amore. Corneille tende a descrivere le parti forti dell'uomo, il coraggio, le virtù, la libertà, mentre Racine parla delle debolezze dell'uomo, come appunto l'incapacità di resistere alle proprie passioni e alla debolezza d'animo che li rende malvagi. Molière: è stato un commediografo e attore teatrale francese. Alla metà del seicento si assiste al trionfo della commedia e della farsa, la commedia era caratterizzata dalla dissimulazione dei sentimenti, comicità, ironia, intrighi tra dame e cavalieri, malintesi e travestimenti, le farse invece erano costruite sullo schema triangolo marito-moglie-amante e talvolta si ispiravano anche alle farse italiane che si rifanno alla commedia dell’arte. Molière crea con Madeleine Bejare l'"Illustre Théatre" che fallisce per la concorrenza delle altre compagnie, in seguito abbandona il progetto e si mette in viaggio con una compagnia di attori. Il successo arriva quando grazie al fratello del re, recita davanti a Luigi XIV che vedendone la grandezza decide di fargli condividere il suo teatro (Petit Bourbon) con gli italiani. Molière sembrava un diffidente, ma in realtà non era un libertino anche se le sue opere sembravano lasciarlo trasparire. In seguito alla messa in scena di "Le tartuffe", venne accusato di ateismo militante e venne invitato a scrivere un'altra opera rappresentabile al posto di quest'ultima, Don Juan. Le caratteristiche principali del teatro di Molière sono il realismo de suoi personaggi, dei quali venivano messi a nudo i vizi e le ipocrisie, la critica nei confronti della borghesia che stava conformandosi alla nobiltà (il periodo era segnato dall'importanza del denaro) e dalla comicità verbale, il qui pro quo. Nel teatro di Molière vi è una libertà rispetto alle regole classiche, una libertà che Molière si prende nei confronti della regola classica: non vi è un’esposizione di eventi che prepara il pubblico, in quanto secondo Molière il pubblico non deve essere preparato, deve essere colto di sorpresa,non deve avere delle anticipazioni su quello che capiterà di atto in atto. Don Juan, Molière. Si rifà a un soggetto nobile cioè il don Giovanni che divenne un mito moderno per l’epoca, ed era un nuovo modo di affrontare il tema dell’amore, un mito che avrà nella letteratura, nella musica, nelle arti in generale una rappresentazione continua e sempre diversa. Scrive in prosa e rappresenta l’opera il 15 febbraio 1665, rappresentata 15 volte. Il suo "sembrare libertino" è anche percepibile dalla sua libertà nelle tre unità: l'unità di tempo non dura 24h ma due giorni, ogni atto viene rappresentato in un luogo diverso e non rispetta neppure l'unità d'azione. Nel 5 atto Don Juan dichiara esplicitamente la sua ipocrisia religiosa sembrando così l’erede del tartufo, così sin dalla seconda rappresentazione questa scena fu tagliata, censurata e con questa anche quella dell’incontro di don Juan con un povero morto di freddo in cui il povero chiede l’elemosina, e don Juan chiede lui di giurar su dio di essere davvero povero e ciò venne considerata una vera e propria bestemmia. Molte parti furono censurate. Dopo la morte di Molière, Thomas Corneille trasforma in versi l’opera di Molière, modifica parti troppo audaci, elimina diverse scene come la scena del povero. Don Juan ebbe poco successo rispetto al Tartufo perché Don Juan professa l'ateismo, attacca la religione in maniera diretta, scandalosa a differenza del tartufo. I soggetti scandalosi urtarono quella che era la maniera tradizionalista del pubblico che si mantiene tradizionalista in merito alla religione. Atto I: la scena inizia con Sganarello e Gusmano che discutono sulla inaspettata e segreta partenza di Elvira, al seguito del marito Don Giovanni. Durante la discussione, Sganarello si lascia andare, confidandosi e confessando al Gusmano chi realmente è Don Giovanni: un padrone perfido, cinico e libertino, che prova diletto nel conquistare le donne e consumare i piaceri carnali, per poi abbandonarle con disprezzo. Dopo la dipartita di Gusmano sopraggiunge Don Giovanni, il quale ha un lungo discorso con Sganarello sul suo modo di vivere: egli gli confessa che non riesce a restar legato a una donna perché dopo la prima consumazione dell'atto sessuale, quest'ultima perde di fascino e di interesse per lui, il quale, quasi per istinto, è costretto a cercarne nuovamente un'altra, alla quale riservare il triste e perfido trattamento della precedente. Il loro dialogo si interrompe improvvisamente alla vista della “prossima designata” alle crudeltà di Don Giovanni, il quale ordisce insieme al mal volenteroso Sganarello un piano per rapirla in barca durante una gita col suo legittimo fidanzato, sul mare. Sganarello obbedisce come sempre agli ordini del padrone che però cerca sempre di dissuadere in qualche modo dalle sue iniquità. Infatti durante il dialogo, Sganarello chiede a Don Giovanni se sia realmente il caso di rapirla con la forza, dato che 6 mesi prima era addirittura arrivato ad uccidere un Commendatore, padre di una delle sue innumerevoli vittime, reato per il quale era stato assolto dal giudice. Successivamente Elvira riesce a trovare per strada il suo consorte, il quale ipocritamente afferma di sentirsi colpevole di averla sottratta al convento in cui lei stava e di averla sposata, perché adesso sente che il Cielo gli è avverso e finalmente lui se ne è accorto. Un altro dei temi ricorrenti dal I fino al V atto è il concetto del Cielo come sommo giudice, che non si può beffare, e che dopo aver concesso un'innumerevole quantità di chance di redenzione, punirà chi gli volterà le spalle. Un Dio quindi inteso come una forza esterna che va temuta; vagamente rassomigliante al concetto che i greci avevano dei propri dei pagani, anziché all'attuale Dio del cattolicesimo. Ritornando al dibattito tra Don Giovanni ed Elvira, quest'ultima non crede alle fandonie inventate seduta stante dal marito, al quale giura di vendicarsi in maniera terribile. Atto II: il piano del malefico Don Giovanni e Sganarello viene sventato da un'improvvisa burrasca che li scaraventa sulla battigia della costa. Qui vengono recuperati e tratti in salvo da due contadini: Pierotto e Carlotta, promessi sposi. Una volta recuperati i sensi Don Giovanni, accortosi della bellezza di Carlotta, si rinfranca dal suo recente fallimento, e si getta nella sua arte della seduzione, con encomi ed elogi iperbolici alla umile contadina, che dapprima non si fida molto dei grandi paroloni adorni di Don Giovanni. Alla fine però cede alla tentazione di poter abbandonare il suo misero rango di contadina e divenire un'agiata signora. A nulla servono le esortazioni a mantenere la sua promessa di matrimonio, che le vengono ricordate dal fidanzato Pierotto, accortosi di quello che accade. Dopo aver usato, in maniera vile, Carlotta come scudo per difendersi dalle percosse di Don Giovanni, Pierotto si dilegua in preda all'angoscia. A riguardo del matrimonio, va ricordato che a quell'epoca si usava sposarsi prendendo fisicamente la mano della presunta moglie, senza la presenza di testimoni. Non appena Pierrot se ne va, sopraggiunge Maturina, un'altra contadina, alla quale Don Giovanni precedentemente aveva promesso di sposarla, che, sospettando dell'infedeltà del futuro marito, rivendica davanti ai presenti di essere la sola designata a maritarsi con lui. Ha quindi luogo un acceso dibattito tra Carlotta e Maturina, senza esclusione di offese e scherni, nel quale entrambe affermano di essere le promesse consorti di Don Giovanni. Quest'ultimo riesce ad evitare il medesimo confronto e le eventuali scuse con uno scaltrissimo stratagemma il quale consiste nel negare e allo stesso tempo affermare quello che ognuna delle due asserisce. Tale dibattito si conclude con la promessa, ad entrambe, di matrimonio che viene così posticipato all'indomani mattina. In quell'istante sopraggiunge Ramaccio, uno spadaccino al servizio di Don Giovanni, che reca a quest'ultimo la notizia che dodici uomini a cavallo lo stanno cercando, con cattive intenzioni. All'udire tali parole, Don Giovanni escogita all'istante lo stratagemma di scambiarsi d'abito con Sganarello, il quale, afferrando subito lo scopo di tale manovra e compresi i rischi che corre, escogita a sua volta un piano migliore. Atto III: Don Giovanni asseconda e adotta quindi l'idea di Sganarello, che consiste nel vestirsi da viaggiatore lui, e da medico il servo. Ha luogo quindi un altro dialogo tra Don Giovanni e Sganarello, dal quale emerge lentamente il carattere vile del servo. Egli infatti si diverte nel raccontare al padrone di aver abusato dell'abito da medico che indossa, per prescrivere medicine puramente a casaccio, al primo malcapitato, che supplicava il suo parere e/o supporto medico. Tale scena va a riprendere il “tema dell'abito che fa il monaco”, assai ricorrente in quasi tutte le pièces di Molière, soprattutto ne il Medico Volante. Strada facendo Don Giovanni e Sganarello incontrano Francesco, un povero mendicante, al quale chiedono informazioni per giungere in città. Il pover'uomo accetta di buon grado di aiutarli, indicandogli la strada e inoltre avvertendoli che l'intera zona è da diverso tempo battuta da predoni. Al momento dei ringraziamento per le preziose informazioni, il povero chiede gentilmente a Don Giovanni, in cambio di una perpetua preghiera, di fargli un'elemosina: il libertino accetta, a patto che egli bestemmi. Il pover'uomo dimostra di essere povero economicamente, ma riccamente volitivo e saldo alla fede che non tradisce nemmeno in cambio di un Luigi d'Oro, preferendo morire di fame. Don Giovanni allora, mosso da un barlume di inaspettata compassione, gli dona ugualmente un Luigi d'Oro, asserendo di darglielo per amore dell'umanità. In quel medesimo istante Don Giovanni intravede da lontano un uomo assalito da tre banditi, scena di enorme vigliaccheria (come asserisce lo stesso Don Giovanni), che lo chiama in suo aiuto. Grazie alla sua destrezza nella spada mette in fuga i banditi, e ottiene così una devotissima riconoscenza dall'assalito. Si scopre però che questi è Don Carlos, uno dei fratelli di Elvira, giunto insieme a suo fratello ed a un seguito di uomini per saldare una faccenda d'onore. Il consanguineo di Elvira quindi si confida con il libertino, confessandogli che più precisamente devono saldare i conti con la spada con un certo Don Giovanni, il quale ha oltraggiato l'intera famiglia, approfittando dell'innocente Elvira. Don Giovanni, apprendendo che Don Carlos non conosce il volto di questo suo oltraggioso nemico, coglie l'occasione per inscenare un piano per arruffianarsi il consanguineo di Elvira, ed evitare il duello, offrendosi di presentargli lui stesso questo fantomatico Don Giovanni interpretato da uno dei suoi servi, abbigliati come lui, e mandati come capro espiatorio alla morte, proprio come voleva fare precedentemente con Sganarello. Sfortunatamente per Don Giovanni, sopraggiunge Don Alonso, fratello di Don Carlos ed Elvira, il quale, a quanto pare, conosce o comunque è in grado di riconoscere l'oltraggioso libertino che ha lordato l'onore della loro famiglia. Don Alonso dunque si appresta ad adempiere alla sua vendetta, quando viene fermato da Don Carlos, che dopo un lungo e controverso dibattito con il fratello, lo convince a lasciarlo andare, riproponendosi di saldare il loro conto in un secondo momento, dato che se non fosse per lui, quei tre banditi lo avrebbero ucciso. Non appena si allontanano i fratelli di Elvira, Don Giovanni rimprovera Sganarello di non aver tentato di aiutarlo contro i due fratelli. Prima di incamminarsi nuovamente verso casa, Don Giovanni intravede tra gli alberi limitrofi alla strada un superbo edificio che si rivela essere la tomba del medesimo commendatore da lui ucciso sei mesi prima. Quindi, Don Giovanni e il suo servo (quest'ultimo con grande ribrezzo e contrarietà), aprono la tomba ed accedono al mausoleo nel quale trovano la rinomata statua del Commendatore, in abiti da imperatore romano. Dopo aver biasimato l'immotivato lusso del luogo, Don Giovanni, per beffarsi della statua incredibilmente rassomigliante al suo proprietario, ordina al servo, oramai più contrariato che mai, di invitare tale statua a cena, per quella sera. Con grande costernazione e terrore di Sganarello, la statua gli risponde chinando la testa a guisa di consenso. Don Giovanni, incredulo, formula una seconda volta, personalmente, l'invito, che la statua riaccetta nel medesimo modo, suscitando in Don Giovanni la voglia di uscire dal mausoleo. Atto IV: una volta usciti dal mausoleo, Sganarello ha un breve dibattito con il padrone, il quale nega la strana realtà dei fatti appena accaduti. Dunque Don Giovanni rincasa, e non appena dà ordine che gli venga servita la cena, si presenta alla porta un commendatore, nonché suo creditore: il signor Domenica, che viene infine ricevuto con grandi cerimonie, scuse per l'attesa, inviti a banchettare insieme, moine ed atteggiamenti ruffiani, che hanno la funzione diversiva di cambiare repentinamente discorso, ogni qual volta il commendatore accenna ai soldi che il libertino gli deve. Don Giovanni riesce dunque a dominare il signor Domenica: creditore che era più che deciso a essere rimborsato proprio quella sera, tanto che aveva aspettato tre quarti d'ora nell'atrio, totalmente incurante delle esortazioni dei servi di Don Giovanni, che volevano convincerlo che il proprio padrone non era in casa. Sganarello, infine, irritato dalle parole del commendatore che gli ricordano di avere anche lui un conto monetario in sospeso, butta fuori di casa il povero e sconcertato Domenica. Subito dopo Violetta annuncia l'arrivo del padre, Don Luigi, giunto sin lì per rimproverare il figlio per la vita sregolata e dannata che conduce. Don Luigi ricorda come abbia a lungo desiderato e pregato il cielo per avere un figlio; figlio che adesso è solamente motivo della sua vergogna e del suo dolore. Don Luigi poi se ne va, deluso dalle parole sarcastiche e denigratorie del figlio. Non appena Don Luigi si congeda, Don Giovanni mostra tutta la sua contrarietà alle parole del padre, augurandogli addirittura di morire presto. Prima di potersi sedere per la cena, Ragotino giunge nella sala, annunciando al padrone libertino che una signora velata desidera parlargli. Tale donna si rivela essere Donna Elvira. Ella, non più carica di ira ed astio nei confronti dell'uomo che l'ha illusa, lo supplica, in nome dei sentimenti che provò per lui in passato, di redimersi dal suo stile di vita scellerato e peccaminoso, salvandosi dall'imminente punizione celeste. Anche Donna Elvira si congeda, annunciando che si ritirerà a vita solitaria, nonostante le incitazioni del suo falso sposo, quasi ammaliato dal suo stato d'animo, a rimanere. La cena viene finalmente servita, ma prima che Don Giovanni e Sganarello possano iniziare a mangiare, vengono interrotti da una terza visita. Don Giovanni si trova infatti a ricevere colui che ironicamente aveva invitato a cena quello stesso pomeriggio, che altri non è che la statua del Commendatore. La statua che va dai vivi rispecchia il rito dei morti e inoltre rappresenta la religione cattolica che punisce il male. Tale ospite inconsueto ed inatteso invita a sua volta Don Giovanni a venire alla sua cena, la sera successiva, chiedendogli se ne avrà il coraggio. Don Giovanni accetta di andarci, portandosi il servo Sganarello, assolutamente contrariato e sgomentato. Come al solito, il libertino accetta la sfida, non tirandosi mai indietro dinnanzi a niente e a nessuno, sicuro di sé e sicuro di essere padrone del suo stesso destino. All'uscita, Don Giovanni si offre di far luce con una fiaccola al suo strano ospite, che però dice di non averne bisogno, perché è guidato dal cielo. Atto V: l'indomani Don Giovanni, mosso dal proposito di riavvicinarsi al padre, per mettersi al sicuro da svariati spiacevoli incidenti che potrebbero accadere (soprattutto il duello con Don Alonso e Don Carlos), finge una totale redenzione. Credendo a tali parole, il padre, in preda alla più grande felicità, afferma di averlo perdonato di tutte le sue malefatte passate, abbracciandolo amorosamente. Quindi Don Luigi colmo di gioia corre a casa da sua moglie, per darle la buona notizia. La notizia di redenzione suscita commozione e felicità anche a Sganarello, il quale viene subito smentito dalla confessione del padrone, che lo lascia basito. Don Giovanni ammette di lasciarsi andare a tali confidenze solo perché ha piacere ad avere un testimone del fondo della sua anima, e un confidente dei veri motivi che lo costringono a comportarsi così: confessa che la sua finta conversione altro non è che uno stratagemma utile ed una mossa politica. Si giustifica inoltre asserendo che l'ipocrisia è un fattore comune tra le persone, e che molte di queste usano la stessa maschera per ingannare il mondo. Infine conclude il suo monologo, elogiando l'ipocrisia, la quale, secondo lui, offre meravigliosi vantaggi, tra i quali quello di non essere esposti al biasimo collettivo. Successivamente, Don Giovanni si incontra con Don Carlos, al quale cerca di far credere la sua redenzione. Inizialmente Don Carlos è lieto di tali parole, e del fatto che si potrà risolvere la questione in modo pacifico, con il matrimonio tra Donna Elvira e Don Giovanni, in modo di mettere il salvo l'onore della famiglia. Ma quando Don Giovanni gli confessa che anche lui, proprio come Donna Elvira, si ritirerà a vita privata e solitaria in un convento, su consiglio del Cielo, Don Carlos ritorna sui passi del fratello, rinnovando la sfida a duello, che avverrà in un luogo più opportuno di quello. Prima dell'appuntamento con la statua del Commendatore, il libertino ed il servo Sganarello incappano in uno Spettro con le sembianze di una donna velata, che proclama che Don Giovanni ha poco tempo per approfittare della misericordia del Cielo, prima che la sua dannazione sia irrevocabile. Dopo di ché lo spettro cambia forma, tramutandosi nel Tempo con la falce in mano. Dinnanzi a ciò, Sganarello rimane completamente terrorizzato, ed esorta ancora una volta il padrone alla redenzione. Don Giovanni invece, dopo aver curiosamente detto di conoscere tale strana voce, sguaina scetticamente la spada, gettandosi sullo spettro, il quale vola via. Don Giovanni dunque riconferma a Sganarello che nessuno riuscirà mai a farlo pentire. Poco dopo, il libertino ed il suo servo incontrano la statua del Commendatore, che gli ricorda l'appuntamento a cena. Don Giovanni dunque gli chiede le indicazioni della sua abitazione, e la statua, come se volesse cortesemente accompagnarlo, gli chiede la mano, che il libertino gli dà. La statua dunque proclama che il perseverare nel peccato comporta una morte funesta, e che chi respinge il cielo apre il cammino alla sua folgore. Detto ciò Don Giovanni inizia a sentirsi ardere da un fuoco invisibile, dunque un grande fulmine, accompagnato da gran fracasso, lo investe, e la terra si spalanca, inghiottendolo tra fiamme fuoriuscenti. La battuta finale dell'opera spetta a Sganarello, che si lamenta della paga che non potrà più ricevere dal momento che il suo padrone è stato appena ucciso. François de La Rochefoucauld: è stato uno scrittore, filosofo e aforista francese, fu un moralista inteso come sociologo e psicologo, infatti il suo obbiettivo era quello di leggere il cuore umano, una sorta di antropologo che studiava il comportamento e le conseguenze dell'agire umano, dando importanza agli umori, responsabili delle gesta umane. Un punto focale del pensiero di Rochefoucauld era la sorte che decide le nostre azioni, il fato che tutto decide e tutto ha già scritto. Di famiglia nobile, fu introdotto a corte giovanissimo, partecipò a vari complotti contro il cardinale Richelieu e contro il cardinale Mazarino, per questo conobbe la prigione e l'esilio, finché, deluso, abbandonò ogni impegno politico e si dedicò alla vita mondana. Animatore di salotti letterari, si legò di tenera amicizia con Madame de La Fayette. Nel 1665 pubblicò la raccolta Riflessioni o sentenze e massime morali, la raccolta comprende 504 massime, successivamente ne aggiungerà altre. Tali massime nacquero come un gioco letterario fra intellettuali. Madame de Sévigné: figlia di un aristocratico parigino di antica nobiltà e di una giovane della ricca borghesia, rimase orfana in tenera età. Avviata agli studi letterari, ricevette un'educazione molto accurata. Nel 1644 sposò un gentiluomo bretone, da cui ebbe due figli. Rimasta vedova, si stabilì a Parigi e frequentò i salotti del preziosismo, entrando in contatto con gli scrittori dell'epoca. La separazione dall'amatissima figlia Marguerite-Françoise, che aveva seguito in Provenza il marito, conte di Grignan, costituì l'occasione di un epistolario protrattosi per venticinque anni. Nelle 1115 Lettres (Lettere, di cui 798 alla figlia) appaiono episodi di vita quotidiana accanto a eventi memorabili, protagonisti della cronaca mondana accanto a uomini e donne del popolo, alternanza di festa e funerale, dramma e piacere, aneddoto leggero e meditazione religiosa. Tutto degno dello stesso interesse, segnato dal medesimo amore per la vita e dalla stessa attenzione per l'interlocutore, specie quando le lettere sono indirizzate alla figlia lontana e fanno trapelare una struggente nostalgia. La freschezza dell'ispirazione, l'autenticità dei sentimenti, la vivacità delle immagini, lo stile che dissimula lo studio e la ricercatezza dietro la naturalezza fanno di questo epistolario un capolavoro ineguagliato del genere. Jean de La Fontaine: è stato uno scrittore e poeta francese, autore di celebri favole con intenti moralisti. I personaggi nelle sue favole sono per lo più animali parlanti, ma ricche di riferimenti critici e ironici al potere, sono caratterizzate da uno stile allo stesso tempo raffinato e semplice, e vengono considerate capolavori della letteratura francese. Nonostante fosse di spirito indipendente, visse quasi tutta la sua vita sotto la protezione dei nobili dell'epoca. Visse a corte sotto la protezione di Nicolas Fouquet, politico che amava circondarsi di letterati; per compiacerlo, la Fontaine scrisse per lui varie opere, come poemi, madrigali, commedie, e perfino libretti d'opera. Quando però Fouquet cadde in disgrazia, La Fontaine coraggiosamente prese le parti del suo protettore scrivendo un trattato in sua difesa: questo lo fece cadere a sua volta in disgrazia e in gravi difficoltà finanziarie. Visse in esilio finchè poco tempo dopo, divenne "gentiluomo servente" sotto la protezione di Madame d'Orleans di Lussemburgo e dopo la morte di questa passò sotto la protezione di Madame de la Sablière, intenditrice di filosofia e scienza, il cui salotto era frequentato dai personaggi più ingegnosi dell'epoca. Frequentò letterati del calibro di Jean Racine, Molière e Madame de La Fayette. Nel 1683 fu eletto membro dell'Académie Française. Riuscì a pubblicare una prima raccolta di Favole nel 1668 (dal primo al sesto volume in centoventiquattro episodi) intitolata "Fables choisis mises en vers" e una seconda nel 1679 (dal settimo all'undicesimo, mentre un dodicesimo fu pubblicato successivamente). All'inizio la prima raccolta, destinata al delfino di Francia, non ha molto successo, aveva un fine didattico, tematica leggera, con una morale ed era scritta per i bambini, successivamente trasforma il genere didattico in genere letterario, togliendo tutti gli ornamenti, evitando il linguaggio aulico, alleggerendolo ma facendo restare la morale, l'intento era anche quello di raccontare la natura umana. In seguito il genere delle favole subisce un'evoluzione; quelle della seconda raccolta infatti sono più complesse e mostrano più punti di vista. Nella seconda raccola si ispira più a Esopo ed è dedicata alla preferita del re e all'interno ci sono morali più filosofiche, più difficili da interpretare. Nel dodicesimo episodio vi è un contrasto tematico, una parte parla della cattiveria, dell'invidia e della follia, l'altra invece della gioia di vivere e dell'amicizia. Facendo riferimento a due favole prese dalla prima raccolta, possiamo notare l'intento di La Fontaine nel voler inviare un messaggio, contestualizzandolo in diverse situazioni, ma che fondamentalmente hanno un tema comune, nella fattispecie il rifiuto per la morte. Nella prima favola, quella dello "sfortunato" possiamo notare la voglia del protagonista di andarsene, egli infatti evoca la morte più volte, ma quando finalmente essa si presenta egli la rifiuta terrorizzato. Nella seconda storia invece, quella del "boscaiolo", assistiamo ad un intero calvario dell'uomo, stanco e affamato, che solo alla fine evoca la morte, una sola volta e subito essa appare. Le differenze fra le due storie sono che intanto nella prima favola troviamo un vocabolario elegante, gentile e "prezioso", una allitterazione della M che rievoca la morte e un imperfetto che sottolinea le invocazioni ripetute nel tempo, un'ansiosa attese della morte. Nella seconda favola invece c'è un impulso diverso, è più un grido, non una preghiera quotidiana, ma un impeto di disperazione e all'interno di essa troviamo un linguaggio più schietto e semplice, più realistica e tormentata della prima. Charles Perrault: fu uno scrittore francese, membro dell'Académie française dal 1671, e autore del celebre libro di fiabe "I racconti di Mamma Oca", raccolta di undici fiabe fra cui Cappuccetto Rosso, Barbablù, La bella addormentata, Pollicino, Cenerentola e Il gatto con gli stivali. Madame de La Fayette: è stata una scrittrice francese. Viene considerata l'inventrice del romanzo moderno, un romanzo prezioso, psicologico, intimista, con una struttura elaborata e soprattutto il primo romanzo breve. Ella sposa il conte de Lafayette e per questo si avvicina alla corte, prendendo rapporti coi letterati, diventando amica di La Rochefoucold e creando un salon letteraire. Rimane vedova e si allontana dalla corte, convertendosi al giansenismo e al pensiero di Pascal. Le sue eroine le somigliano molto, nella solitudine, nell'assenza del marito, nella vita agiata e nella concezione pessimistica dell'amore. In quanto "preziosa" rifiuta le passioni, preferendo l'amicizia, concependo l'amore come "forza perturbatrice, peste del genere umano e una cosa scomoda". I suoi romanzi vengono scritti in forma anonima, in una prosa raffinata che analizza il cuore umano, ella infatti cerca di capire in che modo le persone possono arrivare alla "saggezza senza passioni". Nelle sue opere è importate l'argomento storico legato alla finzione: ella infatti sceglierà la corte di Enrico II, dietro la quale però, si nascondono situazioni e personaggi della corte di Luigi XIV, a lei contemporanea, in questo modo può fare una critica indiretta, con lo scopo di dare un insegnamento e correggere la condotta degli uomini e i loro costumi. La principessa di Clèves, Madame de La Fayette. Scritto in uno stile sobrio e raffinato, è considerato il primo romanzo psicologico moderno e modello di un consistente filone della letteratura francese - tra cui Manon Lescaut, dell'abbé Prévost, La vita di Marianna di Pierre de Marivaux e Madame Bovary di Gustave Flaubert. Le vicende sono ambientate nella corte di Enrico II, dietro la quale però, si nascondono situazioni e personaggi della corte di Luigi XIV, a lei contemporanea, in questo modo può fare una critica indiretta, con lo scopo di dare un insegnamento e correggere la condotta degli uomini e i loro costumi. L'argomento scritto in prosa è l'amore, analizzato nelle relazioni fra i veri personaggi, al fine di dare una morale, cioè la purificazione dalle passioni. Troviamo uno scontro fra il sentimento d'amore e la fedeltà matrimoniale. Parliamo di un amore tormentato, questo possiamo notarlo dalla scelta dell'autrice di non far incontrare subito la protagonista col suo amore, ma li fa incontrare solo dopo il matrimonio col marito. Ciò che rende verosimile il romanzo è il fatto che all'interno dell'opera vengono indicati intrighi reali connessi a fatti veri. Per quando riguarda la corte e i suoi protagonisti, possiamo notare che i due elementi caratterizzanti sono l'ambizione e la galanteria. La galanteria è intesa come eleganza e bravura nel fare la corte, elemento che da un "vestito aristocratico" all'amore, inconciliabile col matrimonio, legato a ragioni sociali, in realtà l'unico che riesce a conservare un equilibrio fra entrambi gli elementi è proprio il principe di Clèves. L'ambizione si manifesta in guerre e tornei, il valore virile degli uomini che vogliono conquistare la donna vieni dimostrato in battaglia. La bienseance in quest'opera è un aspetto importante, interpretata come la regola che porta l'individuo a rispettare la propria carica e i titoli, reprimendo ogni sorta di sentimento e passione, considerati non convenienti e poco rispettosi. Caratteristica dell'autrice, è l'eliminazione di tutte le descrizioni degli ambienti, a meno che non siano funzionali agli eventi, preferisce concentrarsi sui comportamenti dei personaggi (es. la preparazione della principessa). Personaggi: Principessa di Clèves: la protagonista, moglie moralmente esemplare ma innamorata del duca di Nemours, è fedele e sincera al proprio marito al punto di confessargli la propria passione amorosa per il duca. Viene educata dalla madre lontana dalla corte con dei valori e una moralità ferma. E' diversa dalle altre donne di corte, arrossisce se le fanno i complimenti, è modesta ed è proprio questa sua semplicità che fa nascere la passione degli altri personaggi. Ella vive continuamente - per scelta dell'autrice - situazioni per le quali non è preparata, sondandone i comportamenti in occasioni che non si aspetta. Principe di Clèves: innamorato gelosamente della propria moglie, è consapevole di non esser ricambiato e alla fine sembra accettarlo; ma, dopo la scoperta della passione amorosa della moglie per il duca, ne muore di dolore. Duca di Nemours (Giacomo di Savoia-Nemours): spasimante di Elisabetta I, decide di abbandonare l'impresa per amore della principessa. Affabile e galantuomo libertino per eccellenza, dimostra un certo rispetto per la moralità della protagonista. Madame di Chartres: madre della principessa, è la prima a capire i veri sentimenti della figlia per il duca; esempio morale per la protagonista, morirà in maniera "stoica". Notiamo questa sua forte tendenza a seguire la moralità anche alla sua morte, quando esorta la figlia a mantenere la sua buona reputazione, utilizzando un linguaggio quasi giudiziario alla quale la figlia sembra doversi difendere, è un discorso processuale ma drammatico. Storia: la protagonista, Mademoiselle de Chartres, è una delle dame più affascinanti e corteggiate della corte di Enrico II di Francia; sposa il principe di Clèves, uomo che stima ma non ama. La novella sposa conosce l'amore dopo il matrimonio nella persona del duca di Nemours, corteggiatore di Elisabetta I d'Inghilterra: l'amore è corrisposto, ma la fedeltà matrimoniale impedisce alla principessa di Clèves di tradire il proprio sposo, anche dopo la morte di quest'ultimo (causata in parte dalla confessione della moglie di essersi innamorata del duca). Nonostante le pressioni del duca di Nemours, la protagonista si ritira in un monastero nei pressi dei Pirenei per intraprendere una vita umile e di carità, morendo ammirata da tutti per le sue buone opere. Scena del ballo: i due si incontrano in occasione del ballo; il re chiede alla principessa di ballare col primo che entrerà dalla porta, entra quindi il duca di Nemours e i due - senza essersi presentati - ballano. In seguito i due vengono invitati dalla regina a presentarsi e intanto assistiamo ad una sorta di bilancio della madre della principessa che parla dell'incontro fra i due e del fatto che tutti in sala si sono accorti della bella coppia che si era appena formata. La scelta dell'autrice è quella di fare vivere alla ragazza situazioni per le quali non è preparata, sondandone i comportamenti in occasioni che non si aspetta. Scena della morte della madre: durante la scena della morte della madre della principessa, assistiamo ad una sorta di processo giudiziario da parte della madre, la quale con un linguaggio tragico e processuale, invita la figlia a mantenere la propria dignità e la propria morale, sapendo del suo amore verso il duca. Scena del furto del quadro: durante la scena del furto del quadro notiamo effettivamente quanto profondi siano i sentimenti che legano la principessa al duca, un amore così forte che non potrà più reprimere, decidendo di parlarne al principe. Scena della confessione: nella scena della confessione assistiamo ad un monologo della protagonista, che possiamo dividere in due parti, una prima in cui fa una sorta di resoconto, con un linguaggio diretto e subordinato, e una seconda in cui regnano le interrogative, importarti perchè creano un crescendo sentimentale che porterà alla confessione. Questa scena è stata criticata perchè si credeva che non rispettasse la verosimiglianza (il duca nascosto che ascolta la conversazione), qui nasce il sentimento di gelosia del marito, che tuttavia prova anche rispetto verso la sincerità della donna nell'ammettere il suo amore verso il duca. Il sapere dai suoi uomini che la donna non aveva detto la verità, ma che trascorreva del tempo col duca, porteranno il principe a morire di dolore. Scena della morte del principe:assistiamo ad una confusione sentimentale del principe, combattuto nel credere o no alla donna, geloso per il fatto che una volta morto la moglie si sarebbe potuta sposare di nuovo. Assistiamo anche alla disperazione della principessa per non essere creduta dal principe. In effetti dopo la sua morte ella si ritirerà, rifiutando di sposare il duca. Les Caractères: è un'opera di Jean de La Bruyère del 1688. L'opera si divide in due parti, la prima parte è un riadattamento in chiave moderna del testo di Teofrasto, noto discepolo di Aristotele, nella seconda è più originale, scritta da lui. E' una raccolta di massime e ritratti morali con una forte critica politica e sociale data dall'uso dell'ironia. I primi due capitoli sono generici, parlano della natura dell'uomo in generale, negli altri invece noteremo delle tematiche ben precise. La parte che riguarda Teofrasto dura una ventina di pagine, poi se ne discosta per parlare non dei costumi greci ma di quelli contemporanei, descrivendo sia i ceti più elevati che quelli meno abbienti. Possiamo notare un rispetto della bienseance, dei canoni classicisti e dell'obbiettivo educativo dell'arte. Dietro questa profonda analisi dei vizi c'è il ritratto perfetto dell'Honet Homme, modello da seguire, acculturato, elegante, riflessivo, discreto, galante ma non prezioso, pedante o indisciplinato. La forma utilizzata è la scrittura frammentaria, che è un elemento che ritroviamo nella letteratura classica greca e latina, una forma caratterizzata dalla discontinuità una scrittura a sé che non si lega agli altri, questa forma tra l'altro, rappresenta anche la sua visione frammentaria del mondo. Illuminismo: Punto di vista Storico: è un periodo storico che caratterizza il settecento, dopo la morte di Luigi XIV, sale il duca D'Orleans, che riesce a dare un certo potere al Parlamento, potere che prima non aveva, un periodo in cui la situazione finanziaria è grave, Luigi XIV aveva sperperato tutto. Il duca D'Orleans continuò a perseguire i giansenisti. Dopo lui, a soli diciotto anni sale Luigi XV, che lascia governare Fleuri, il suo precettore; in questo periodo il giansenismo assume una portata politica molto forte, assistiamo all'intromissione del papa all'interno del parlamento, facendo crescere il contrasto fra le due fazioni. Il re era guidato da madame de Pompadour, che contribuì alla crisi finanziaria influenzando la politica estera. Luigi XVI, eredita quindi una Francia in bancarotta e non riesce a proporre riforme necessarie per la ripresa, sposa Maria Antonietta, detta l'austriaca, un personaggio non molto apprezzato dai francesi e in seguito convoca gli stati generali con lo scopo di imporre nuove tasse, con una sorta di furbata a discapito del terzo stato che reagisce unendosi a nobili e clero fondano l'Assemble Nazionale Costituente, affermando che ogni decreto dovesse passare attraverso tale ente. Il re rispose armando le sue truppe e in poco tempo fu la rivolta, che vide Luigi XVI morire, proclamando la repubblica. Punto di vista letterario: la cultura illuminista fa molto riferimento a personaggi come Locke (con l'Empirismo e la sua esperienza esterna, sensazione, ed interna, riflessione) e Kant, con la sua forte critica verso il mondo. Assistiamo quindi ad uno sviluppo della scienza e della cultura, alla supremazia della ragione da parte di queste nuove figure che si fanno chiamare "Philosophes", non intesi come filosofi, ma come uomini di mondo, di cultura, viaggiatori e dall'interesse verso la cultura a 360°. Si impone il Deismo, diverso dalla religione, cioè una "religione" naturale, si crede ad una divinità al di fuori del dogmatismo. Gli illuministi sono materialisti, empiristi, vogliono combattere il principio di autorità, mettono in discussione ogni sorta di verità. Si rifanno a forme letterarie come il saggio, il racconto filosofico o il giornale, utilizzando un linguaggio semplice, efficace, ironico e polemico. Gli illuministi proclamano l'uguaglianza di tutti gli uomini, il filantropismo, l'accettazione delle diversità, il cosmopolitismo, la fiducia nel risolvere i problemi con la ragione e la positività, l'ottimismo, la speranza di poter creare una società giusta. Importante è anche il sensismo, cioè un'attenta considerazione della fantasia, dell'immaginazione e dell'affettività, non ripudiano il sentimento ma esso deve essere regolato dalla ragione. Credono nell'utilizzo educativo della letteratura, nella divulgazione del sapere e ripudiano l'oziosità. La storia viene considerata come un insieme di errori. Encyclopédie: è una vasta enciclopedia pubblicata nel XVIII secolo, in lingua francese, rappresenta un importante punto di arrivo di un lungo percorso teso ad avvicinare tutte le discipline in un unico progetto. Grazie alla Societé des Arts, un insieme di scienziati, assistiamo ad un primo tentativo di avvicinare diverse discipline mettendo insieme il loro sapere scientifico e tecnico. Nel 1739, un anno prima della sua morte, Chambers rifiutò l'offerta di pubblicare in Francia un'edizione tradotta della sua Cyclopaedia, da dedicare a Luigi XV. Negli anni immediatamente successivi, tuttavia, la traduzione in francese fu iniziata da John Mills, un letterato inglese, da tempo residente in Francia, il quale prese come assistente il professore tedesco Gottfried Sellius, stabilitosi da diverso tempo a Parigi. Essi si rivolsero quindi al tipografo reale, il libraio ed editore André Le Breton, perché ottenesse per loro conto il permesso di pubblicazione ed i relativi privilegi di stampa; questi, invece, se li fece concedere a proprio nome, provocando il risentimento di Mills. Più tardi Le Breton si mostrò estremamente insoddisfatto del lavoro svolto da Mills, accusandolo di avere un'insufficiente padronanza del francese, quindi riuscì a posticipare il progetto per riprenderlo nel 1745 accordandosi con tre librai ed editori, tra cui Diderot, in seguito si aggiunse anche De L'Ambert. Questi due si fecero portatori di questo progetto, riacquistarono i manoscritti tradotti da Mills e cercarono altri dizionari da tradurre per apliare gli argomenti dell'enciclopedia. Diderot era convinto che questo doveva essere un'impresa della quale dovevano occuparsene una intera società di persone, letterati e artisti, sparsi in tutto il mondo ma legati da un unico interesse verso l'uomo, doveva essere un opera libera, un'opera non asservita al potere del governo. in effetti però, l'enciclopedia fu uno strumento politico perchè aiutò a sottolineare la "lotta" fra le fazioni: l'aristocrazia era pro all'enciclopedia perchè vi vedeva un sostegno contro i gesuiti e i giansenisti, i gesuiti non la volevano perchè loro aveva creato "le dictionaire de Trévoux" che non ebbe lo stesso successo e fece loro rimpiangere di aver sottovalutato un tale strumento sociale, i giansenisti erano contro perchè erano troppo intransigenti nelle loro regole per condividere la libertà dell'enciclopedia e il clero la appoggiava perchè contro i gesuiti. Montesquieu: è definito un "lettorato impuro". Ha la capacità di dre ad ogni argomento (politico, scientifico, storico) una fisionomia letteraria. Fra le sue opere è molto famoso "Les Lettres Parsanes" (1721), in cui propone una corrispondenza fittizia fra tre viaggiatori persiani e di altri personaggi, in realtà lui dirà di avere trovato queste lettere e di averle tradotte, una sorta di sotterfugi per declinare le responsabilità di una eventuale critica. Spicca il tema del viaggio, un tema particolarmente apprezzato nel periodo illuministico, lo ritroveremo in Voltaire per esempio. La particolarità del romanzo epistolare è la coesistenza di più voci, che permette una polifonia ideologica e stilistica, scrive in modo diverso a seconda del personaggio che interpreta. Nelle su opere è palpabile la critica nei confronti di ogni forma di tirannia, rivendicando la libertà. L'esprit de Loi è un'altra opera importante, un saggio considerato la prima opera di scienza politica. Nella prefazione l'autore spiega il suo metodo di ricerca: ha esaminato gli uomini, le leggi e i costumi delle società, poi stabilito dei principi universali. Parla della divisione delle due leggi; le leggi positive quelle emanate dall'uomo, e naturali quelle che vigono a prescindere dall'intervento dell'uomo, sono due leggi che non sono mai contraddittorie fra loro. Queste due leggi dipendono dal Clima, che secondo Montesquieu influenza politica e morale. Egli collega anche ad ogni forma di governo una legge e il principio su cui si fonda. Repubblica; virtù, Monarchia; onore, Dispotismo; paura. Propone anche come modello l'Inghilterra, col suo bilanciamento dei poteri, perché pensa che la monarchia tenda sempre ad estendere il proprio potere. Romanzo nel settecento: genere più libero, la poesia classica vive un momento di stasi e il romanzo prende campo in un periodo di sperimentazione. La poesia vive un momento di crisi fomentata anche dalla "querelle des anciens et des moderners" che divideva i lettorati in due fazioni, chi pensava che per raggiungere la perfezione bisognava rifarsi ai classici e chi invece voleva sperimentare nuove forme. E' una questione che durerà fino a fine secolo, finchè Chenier farà rivivere la poesia dandole riferimenti classici ma ponendo attenzione alle scienze. Il romanzo è esente da questa crisi, scatenando dibattiti per la sua "libertà" e troverà in personaggi come Marivot e Prevost un pretesto per diventare un modo per affrontare i conflitti dell'epoca e le tensioni morali contemporanee. A differenza dei romanzi del seicento, nel settecento emergono innovazioni particolari, come il rapporto fra Personaggio e Autore; il personaggio infatti scrive spesso in prima persona come se fosse un racconto autobiografico, questo lo possiamo notare specialmente in Manon Lescaut. Lesage: fu un autore di romanzi di costume e di tipo psicologico. Si rifà al picaresco spagnolo, utilizzando uno stile forte, insolente, carico di ironia e forza satirica. Utilizza personaggi che analizzano la società in chiave ironica, creando polemiche mascherate da romanzi di formazione, da una rappresentazione realistica del mondo. Una sua opera famosa è "Histoire de Gil Blas de Santillane", che narra dello studente di Oviedo Gil Blas, di umili origini, che si mette in viaggio per andare a studiare all'Università di Salamanca. Inesperto del mondo, gli capitano le avventure più diverse: viene truffato, è sequestrato dai banditi, salva una signora caduta nelle loro mani, finisce innocente in prigione, diviene servo, poi segretario, poi medico. A Madrid conosce il mondo del teatro e quello della corte: torna a Oviedo in tempo per assistere il padre morente e qui si sposa con Antonia. Tornato a Madrid, diviene favorito di un conte che tuttavia cade in disgrazia; nuove disgrazie, come la morte della moglie, e nuove avventure che hanno tuttavia un lieto fine con il matrimonio di Gil Blas con la bella Dorotea. La morale complessiva può essere tratta da queste avventure, essa consiste nel rilevare come l'astuzia sia il motore delle azioni umane: così come con l'astuzia gli uomini soddisfano i loro vizi – la passione per il denaro, la volontà di farsi largo a qualunque costo nella vita, l'imbrogliare gli ingenui – così ancora con l'astuzia i buoni devono imparare a difendersi e difendendo la propria virtù è lecito trarre anche qualche vantaggio. Di Lesage è da notare anche il tema dell'esperienza, considerato come un modo per l'uomo di migliorarsi, ma non trasformarsi. Una scelta particolare del narratore è anche il modo di scrivere, egli infatti fa raccontare la storia al protagonista quando è anziano e maturo, con un occhio critico verso i suoi sbagli e le sue debolezze. Pierre de Marivaux: è stato un drammaturgo e scrittore francese considerato il più importante commediografo di Francia del XVIII secolo, ha composto numerosi testi per la Comédie-Française e la Comédie-Italienne di Parigi. Egli usa personaggi stereotipati, che affrontano l’apposizione tra l’essere e l’apparire, ognuno di essi porta una maschera, un travestimento, egli si rifà al modello della “doppia coppia”, cioè fa prendere i ruoli opposti a quelli reali per vedere le reazioni dell’altro (es. Il gioco dell'amore e del caso). Utilizza un linguaggio ambiguo e allusivo, è il teatro dell’equivoco. Si rifà alla drammaturgia di Molière, ne riprende e ne completa alcuni aspetti coltivando sia il romanzo che il teatro. Aggiunge al teatro dell'illustre predecessore una componente amorosa, un nuovo modo per affrontare l’amore, egli studia la psicologia amorosa, un amore più puro e onesto, un amore che prevale sugli interessi personali. E’ importante l’uso della conversazione. Troviamo innamorati di rango e innamorati servitori, Nello specifico gli interessa soprattutto l'innamoramento che diventa un gioco teatrale dove i personaggi cercano di mascherarsi per scoprire se sono corrisposti, il gioco del mascheramento dei sentimenti è presente in tutte le sue commedie, gioco sottile e psicologico. Nella lingua francese il suo nome ha dato origine al verbo marivaundage che indica lo scambio di proposte galanti o comunque molto raffinate, con un linguaggio delicato e ambiguo, ma non volontario, giusto perché viene mal interpretato. Una sua opera importante è I due romanzi più importanti sono La vie de Marianne e Le paysan Parvenue, considerate due opere autobiografiche immaginarie in cui si presenta lo stesso conflitto tra l'individuo e la società, i due eroi affrontano avventure che rendono la storia drammatica, piena di introspezione psicologica, entrambi i due eroi sono attori e spettatori. La vita di Marianna è un romanzo rimasto incompiuto, nel quale si raccontano le avventure di una giovane ragazza, orfana e incerta delle proprie origini che prova a conquistarsi un posto nella società grazie alla sua bellezza e alla sua intelligenza. Marivaux, fedele alle dinamiche dei suoi tempi, inizia l’opera con una prefazione particolare, un avvertimento al lettore nel quale sostiene di non essere lui l’autore della storia,ma di aver semplicemente “trovato” il manoscritto. Questa tecnica gli consente di creare l’illusione della realtà, di elevare Marianne da personaggio di finzione a persona realmente esistita, riuscendo così a stabilire un legame speciale, quasi di confidenza, tra lettore e narratore. Anche Il villano rifatto utilizza lo schema delle memorie, ma qui il personaggio, per la sua stessa estrazione contadina, non si abbandona all'analisi dei sentimenti e si limita a ragionare sui fatti della sua vita; l'autore ne rappresenta il successo, conseguito in modo ambiguo con il fascino esercitato sulle donne, senza ombra di giudizio morale. "Il gioco dell'amore e del caso" è uno dei suoi capolavori teatrali. Si tratta di una commedia che fu rappresentata la prima volta dagli attori della Comédie italienne il 23 gennaio 1730: il successo fu grande e si tennero quindici repliche. Il 28 gennaio l'opera venne allestita a Versailles. L'intreccio dell'opera si basa sullo scambio di ruoli che avviene, per caso, tra alcuni dei personaggi della commedia. Orgone ha una figlia, Silvia, alla quale concede di vestire i panni della sua cameriera, Lisetta, allo scopo di studiare segretamente i comportamenti del suo futuro sposo, il giovane Dorante. Anche Dorante, però, ha usato lo stesso stratagemma: mascherato da Arlecchino, suo servitore, studierà il comportamento di Silvia. Silvia e Dorante, nei panni dei rispettivi servi, si innamorano e la stessa cosa accade anche ai due servitori che indossano le vesti dei loro padroni. Silvia è amareggiata dal fatto di essersi innamorata di quello che crede un servo ma Dorante le rivela la sua identità e Silvia, per vendetta, non gli svela di non essere Lisetta e chiede a suo fratello Mario di fingersi uno spasimante per farlo ingelosire e testarne la tempra. La commedia termina con il doppio matrimonio che si celebra tra Silvia e Dorante e tra Arlecchino e Lisetta. Prévost: autore caratteristico per i suoi elementi classici e anticlassici. Fu educato dai gesuiti ma si avvicina al giansenismo. Nelle sue opere possiamo trovare una scarsa attenzione per l'ambientazione ma una particolare cura per i personaggi. In una sorta di autobiografia mascherata, troviamo uno spiccato senso della fantasia e una predisposizione per l'eccesso che spesso sfocia nel macabro. I personaggi di Prévost sono eroi borghesi, allo scopo di illustrare le conseguenze della passione amorosa. Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut, Prevost E' l'opera più famosa di Prévost, è il settimo e ultimo volume di Mémoires et aventures d'un homme de qualité, preceduta da "Histoire de M. Cleveland", dando ai due racconti dei finali del tutto diversi (da una parte Fanny resta in vita, dall'altra Manon muore). Quando questo libro venne pubblicato in Francia per la prima volta fu bandito, ma divenne molto popolare, anche grazie alle edizioni pirata che furono ampiamente diffuse. In una delle edizioni successive, quella definitiva del 1753, Prévost attenuò alcuni aspetti ritenuti scandalosi e introdusse maggiori considerazioni moralistiche. Nel racconto l'autore inserisce i due personaggi all'interno di un contesto storico caratterizzato da una crisi economica e sociale, inserendo quindi tematiche come l'ossessione per il denaro, considerato fondamentale per trovare la felicità, utilizzando un certo realismo, questo elemento lo ritroviamo soprattutto nel rapporto fra i due protagonisti e nella fattispecie in Manon, che più volte si allontana da Des Grieux ogni qual volta può vivere una vita più agiata. E' un opera dalla tragicità così alta che viene paragonata a una tragedia raciniana, anche se effettivamente lo schema "lui, lei, l'amante" è di Moliere. L'intrigo della storia è per l'epoca inaccettabile e inverosimile, perchè l'idea che un nobile si innamori di una prostituta rovinandosi è impensabile. Dissemina l'opera di allusioni e suspance così da ottenere l'attenzione del lettore. Nella prefazione troviamo una riflessione morale con riferimenti classici volta a dare una dignità letteraria all'opera. Troviamo uno stile malinconico, raffinato, con una forte capacità di riflessione, sembra quasi di leggere un lunghissimo monologo. Il protagonista è un giovane di 22 anni, di cui Prevost dipinge le passioni ma anche le qualità, è un personaggio che trova in se stesso una certa virtù, ma che non è proprio in pace con se stesso. E' rivoltoso e dopo la morte dell'amata molto malinconico anche se con una grande voglia di tornare in se (dissidio tipico anche di Racine), infatti è oggettivo e riconosce i difetti della sua storia d'amore con Manon, tanto che alla fine non sa se l'amore sia un bene o un male. La storia è caratterizzata da un forte contrasto fra alcuni elementi che creano una particolare ambiguità: infatti vengono mischiati passione e negatività, buoni sentimenti e azioni cattive, sta quindi al lettore credere cosa sia giusto e cosa sbagliato. E' da analizzare anche il concetto di "provvidenza" diverso da quello personale di Prevost, il protagonista infatti spesso evoca la fortuna intesa come "chance" e "argents", quindi non è intesa come la intende il giansenismo. Secondo Prevost l'eroe è colui che arriva a conoscere lo stato limite dei suoi sentimenti superando le crisi più nere, Des Grieux infatti, è chiamato dai critici "L'orfeo di Prevost", perchè quando torna dall'America racconta dei suoi tormenti amorosi come farebbe un poeta, egli stesso infatti si definisce un esploratore di terre sconosciute quando si riferisce ai suoi sentimenti e alle sue passioni. Des Grieux rimane un personaggio aristocratico nei suoi atteggiamenti, è disperatamente attaccato alla sua veste da nobile, la sua ingenuità è dovuta al fatto che crede che la società possa accettare la sua situazione. Una eccezionale particolarità utilizzata da Prevost è il modo in cui egli spiega l'incontro fra i due: in pratica narra del primo incontro, poi del secondo dopo due anni e successivamente parte una sorta di flashback in cui racconta l'inizio della storia, quindi abbiamo un tempo della narrazione diverso dalla storia. Nella prima parte possiamo notare una elevazione dei protagonisti che vengono elevati rispetto agli altri personaggi dell'ambientazione, per una nobiltà di portamento, una grazia particolare che ispirano sentimenti dignitosi. Lo sconosciuto rivolge domande a 4 persona diverse, ogni persona contribuisce alla crescita del registro patetico e alla tragicità, fino ad arrivare a Des Grieux, che ispira compassione per la sua condizione sofferente, il lettore quindi viene incuriosito e vuole sapere di più della sua storia, Manon invece viene descritta con termini come aggraziata, modesta e nobile, anche se concretamente è una prostituta. E' quindi un incipit che lascia tre casi di suspance: il mistero sui personaggi, sulla loro relazione e sulle cause che li hanno portati fin li. Il motore di tutto è ovviamente la passione, citata spesso da Des Grieux. Vi è quindi una introduzione approssimativa dei personaggi, anche se non descrittiva a livello fisico, e si capisce già che saranno due persona molto diverse fra loro che si innamoreranno poi per un colpo di fulmine, che possiamo notare dai superlativi. Il finale richiama molto la tragedia e il giansenismo, Manon non era destinata alla grazia, fin dall'inizio questo amore è definito "fatale" e si assiste all'evocazione di Dio da parte di Des Grieux, stavolta non distante ma di conversione e approccio alla fede, lui era destinato alla grazia. La passione: Lo scopo principale, l'intento morale dell'opera è quello di mostrare come i giovani, guidati dalla passione, possano perdere se stessi. Il tema della passione è utilizzato da Prevost come forza tragica, le emozioni sono crude, che è diverso da Racine che identifica la tragicità in una forma più trascendentale e meno terrena, la passioni di Prevost deve essere una fora che deve fare lottare contro le convenzioni, una sensazione elementare vissuta come una sorta di malattia. Ci ricorda molto "il trattato delle passioni" di Cartesio, all'interno della quale troviamo passioni primitive come l'odio, l'amore, il piacere, l'ammirazione e la paura, Prevost riporta nella sua opera tutte queste passioni cambiando però l'ammirazione con la speranza. Tuttavia la passioni dominante è l'amore, che è descritta come "exptionelle", resa soggettiva dal fatto che è una passione formata da tutte le passioni primitive, arricchite dalle passioni secondarie, cioè fierezza, vergogna, generosità, gelosia e inquietudine. Secondo Prevost l'uomo nasce con una grande voglia di trovare la felicità, ma è un desiderio impossibile da realizzare, perchè preferendo il bene soggettivo a quello collettivo non può essere davvero felice, l'eroe che si accorge di provare amore verso un'altra persona è destinato alla tragicità. Trama: ambientato principalmente in Francia e, nel finale, in Louisiana, agli inizi del XVIII secolo. La storia narra del Cavaliere Des Grieux e della sua amante Manon Lescaut. Des Grieux proviene da una famiglia nobile, ma rinuncia a tutta la ricchezza ereditaria scappando via con Manon. I giovani amanti si stabiliscono a Parigi, dove Des Grieux si cerca in tutti i modi di soddisfare le abitudini lussuose di Manon, per esempio chiedendo soldi al fedele amico Tiberzio e barando al gioco. In varie occasioni, Des Grieux perde le sue ricchezze in circostanze accidentali e Manon più volte lo abbandona per uomini più ricchi, poiché non può sopportare di vivere nella miseria. Dopo l'ennesima truffa ai danni del ricco signor G*** M***, i due amanti vengono fatti imprigionare ma, mentre Des Grieux riesce a salvarsi grazie all'intervento del padre, Manon viene condannata all'espatrio in America. Des Grieux cerca di salvarla, ma non può far altro che seguirla fino a New Orleans. In America, riescono a vivere in pace per un certo periodo di tempo, sotto il favore del governatore della città. Quando però Des Grieux gli comunica la sua volontà di prendere in moglie Manon, il governatore, che li credeva già sposati, vuole darla in sposa a suo nipote, Synnelet, innamorato di lei. Des Grieux sfida a duello Synnelet e, pensando di averlo ucciso, decide di scappare da New Orleans con Manon. I due amanti si avventurano nelle regioni selvagge della Louisiana, sperando di raggiungere un insediamento inglese, ma Manon muore per la fatica e gli stenti. Dopo aver sepolto Manon, Des Grieux decide di tornare in Francia con il fedele amico Tiberzio, che nel frattempo l'aveva raggiunto in America, dove decide di riprendere la carriera ecclesiastica. Diderot: è stato un filosofo, enciclopedista e scrittore francese. Fu uno dei massimi rappresentanti dell'Illuminismo e uno degli intellettuali più rappresentativi del XVIII secolo. Fu promotore ed editore dell' Encyclopédie, avvalendosi inizialmente dell'importante collaborazione di d'Alembert, che però alle prime difficoltà con la censura si ritirerà. Oltre al colossale lavoro enciclopedico, Diderot scrisse opere filosofiche e teatrali, romanzi, articoli e saggi su disparati argomenti. Fu un autore eclettico, un "philosophe" per eccellenza. Scrive un romanzo libertino "Les bijoux indiscretes", combatte i dogmatismi e non accetta le credenze non dimostrate. Troviamo due vecchietti seminudi che giocano con le bolle di sapone, che rappresentano i sistematici, filosofi che non dimostrano le propri idee, e un fanciullo gigantesco che distrugge tutto, lui è l'esperienza (impostazione allegorica). Dopo questo romanzo si dedica al teatro, e tra il 1760-61 scrive romanzi nuovi ispirati a Richardson e alle sue riflessioni sul dramma patetico e borghese, secondo cui il dramma deve parlare dei costumi veritieri della società di ogni classe. Fino ad adesso abbiamo avuto solo tragedie, commedie e tragicommedie, il dramma è un genere nuovo, un po' un mix fra tragedia e commedia, in cui però la borghesia è al centro. Scriverà anche La Religeuse, un romanzo a impianto tradizionale ma particolare, che ebbe come scopo quello di criticare l'istituzione conventuale, qui da un parte si immedesima in Suzanne prendendo il suo punto di vista, dall'altra si commuove da esterno delle sue vicissitudini. Questo atteggiamento lo ritroveremo soprattutto in "Il nipote di Rameau", un dialogo satirico fra Diderot e il nipote di Rameau, nel quale vengono discusse questioni di etica ed estetica, come l'esistenza della virtù e se essa porta alla velocità o la centralità del genio nella creazione artistica. Scrive anche "Jacques il fatalista" un romanzo che racconta dei viaggi che intraprendono Jacques e il suo padrone. Durante i loro viaggi i due affrontano discorsi vari che vengono continuamente interrotti sia dall'incontro di nuovi personaggi, sia dall'intervento dell'autore che si rivolge direttamente al lettore. Romanzo molto ironico e apparentemente frammentario, sfugge a ogni regola precedente; questa caratteristica ne fa un'opera originale e moderna. I suoi personaggi si sottomettono alla mente del lettore, che trae da solo le conclusioni. Voltaire: è stato un filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, poeta, aforista, enciclopedista, autore di fiabe, romanziere e saggista francese. Il nome di Voltaire è indissolubilmente legato al movimento culturale dell'Illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali, insieme a Montesquieu, Locke, Rousseau, Diderot e d'Alembert, tutti gravitanti attorno all'ambiente dell’Encyclopédie. La vasta produzione letteraria di Voltaire si caratterizza per l'ironia, la chiarezza dello stile, la vivacità dei toni e la polemica contro le ingiustizie e le superstizioni; deista, cioè seguace della "religione naturale" che vede la divinità come estranea al mondo e alla storia, ma scettico, fortemente anticlericale e laico, è considerato uno dei principali ispiratori del pensiero razionalista. Durante il suo esilio scrive "le lettres philosophes" o "anglaises", perchè anche lui (come Montesquieu) vede l'Inghilterra come punto di riferimento, infatti parla di questa terra lodandone la libertà politica e di religione, mentre la Francia è vista come sorpassata e i francesi come schiavi dei pregiudizi (sono più dei trattati che delle lettere), lo scopo non è quello di proporre un modello ma più che altro quello di sollecitare i francesi a svegliarsi. Un'altra sua importante opera è l"Essai sur les moeurs", un opera storica dove domina l'idea del progresso. Secondo Voltaire la storia dell'uomo è legata alla istituzioni, ai costumi, alle nazioni e alle leggi, quindi è un cammino faticoso. La maggior parte degli uomini vengono considerati "massa passiva" che non riesce a compiere il proprio cammino, l'unico modo per distinguersi dalla massa è affidarsi alla ragione (propone l'idea del formicaio), contrappone alla natura ostile la forza razionale, l'ingegno, la capacità di valorizzare gli aspetti positivi, è un ottimista. Le "Comtes Philosophiques" sono una trasposizione narrativa del pensiero di Voltaire in cui ogni personaggio rappresenza una concezione filosofica di cui l'autore dimostra l'infondatezza e il pericolo portandola all'eccesso paradossale, in un ambiente esotico o immaginario, perchè il genere fantastico giustifica gli elementi che altrimenti sarebbero inverosimili o non credibili. L'obbiettivo è ovviamente dare una morale attraverso dei personaggi legati fra loro dalla tematica del viaggio a cui Voltaire da diverse interpretazioni. Tra i racconti più importanti troviamo "Zadig e il viaggio nella storia", "Voltaire nel viaggio immaginario" e "Micromega e il viaggio fantastico", quest'ultimo è stato scritto dopo l'analisi di Newton. Il racconto filosofico di Voltaire è un genere breve, un po' un romanzo di formazione, che presenta un eroe che impara attraverso il viaggio, incontri ed esperienze particolari. L'esperienza trasforma il protagonista e lo spinge a ricavare una morale. Ogni capitolo permette di affrontare un tema e in ognuno si sostiene una tesi. Fa una critica morale, sociale, politica e filosofica della società, denuncerà la condizione della donna, la schiavitù e il dogmatismo religioso. Per quanto riguarda la critica, lo strumento più importante è l'ironia, tutto avviene facendo della satira e una volta che riesce ad aggirare la censura comincerà a parlare di ogni sorta di argomento. Il Candido, Voltaire E' un romanzo breve, un po' un romanzo di formazione, che presenta un eroe che impara attraverso il viaggio, incontri ed esperienze particolari. L'esperienza trasforma il protagonista e lo spinge a ricavare una morale. Ogni capitolo permette di affrontare un tema e in ognuno si sostiene una tesi. Fa una critica morale, sociale, politica e filosofica della società, attraverso l'uso dell'ironia. Per quanto riguarda l'ambientazione, il protagonista farà un viaggio davvero lungo, visitando i cinque continenti, andando da Westfalia, dove è inizialmente ambientata la vicenda, l’Olanda, il Portogallo, il Paraguay, la terra di Eldorado, la Francia, l’Inghilterra, Venezia e Costantinopoli. La narrazione si svolge nel 1700 in un periodo di circa un anno e mezzo. Si alternano tempi lenti, come le riflessioni dei personaggi o i dialoghi, e scene di azione dei personaggi. Sono presenti molte analessi: i personaggi, quando si rincontrano dopo molto tempo (sempre in luoghi impensabili), narrano le loro vicende passate che li ha condotti fino in quel particolare luogo. L’autore adopera a volte termini stranieri, utilizzati dei vari personaggi dei luoghi attraversati dai protagonisti. Fa esprimere i personaggi in modo formale o informale a seconda della situazione in cui si trovano. Per quanto riguarda lo stile l’autore utilizza una scrittura semplice, per dar modo al lettore di non soffermarsi sull’interpretazione del modo di scrivere, ma di renderlo partecipe delle vicende e delle riflessioni dei personaggi e dell’autore stesso. Il narratore è onnisciente e racconta i fatti come uno spettatore esterno: non è altro che il cronista del viaggio del protagonista. Il narratore non assume il punto di vista dei personaggi, ma ne esprime, a volte, i pensieri, tramite il discorso indiretto libero. Il tema centrale del romanzo è la comprensione della situazione del mondo: questo è evidenziato dai ripetuti ragionamenti di Pangloss, di Candido, di Martino e dai fatti narrati dagli “sventurati” del romanzo. Allevato dal filosofo Pangloss, Candido cresce con la convinzione che il loro sia il migliore dei mondi possibili. Nonostante i vari viaggi lo portino a riscontrare realtà diverse rispetto alla propria ideologia, Candido rimane ottimista per tutta la durata del romanzo. L’autore è, in un certo modo, furbo ad accostare poi Martino con Candido, che nonostante le lunghe e ripetute riflessioni rimangono sempre della propria convinzione personale. Al termine delle vicende non si comprende bene quale delle due posizioni sia preminente sull’altra, ma si riconosce che nessuna delle due è completamente vera o falsa: Martino ha ragione nel dire che nel mondo molta gente non è felice, ma non che tutte le persone non lo sono; Candido e Pangloss, hanno ragione quando dicono che molte cose vanno bene perché necessitano di andare bene, ma non quando affermano che tutto va bene. Tutta questa riflessione porta però questi filosofi alla “conquista” di una conoscenza particolare: ammettono che, per dare un valido significato alla propria vita devono lavorare, affrontare la quotidianità e coltivare il proprio orticello. Bisogna anche sottolineare che questa consapevolezza non viene rivelata loro da un filosofo o da un dotto, ma da un contadino turco, che sicuramente non si sarebbe mai soffermato a ragionare su questioni quali quelle dei protagonisti del romanzo, ma che aveva trovato comunque il modo più utile per “sopportare” la vita. Capitolo 1 Nel primo capitolo troviamo un linguaggio ironico, allusioni, figure iperboliche e la descrizione dei personaggi come un ritratto in chiave ironica. Il tutto si muove sotto lo schema cause/effetto, che fa ridere il pubblico. Troviamo anche un riferimento a Liebniz, "tout est bien" diventa "tout est pour le mieux". Una volta ceduto alla tentazione per la donna, Candide viene cacciato e comincia il suo viaggio. Capitolo 2/3 Il secondo e terzo capitolo girano attorno alla critica sulla guerra con un punto di vista distaccato ed estraniato, notiamo una descrizione della parata militare in cui spicca l'ossimoro "boucherie eroique", che fa riferimento alla carneficina e all'eroismo. Qui la guerra viene caratterizzata da immagini forti e crude, un linguaggio violento riferito a morte e sofferenza, che da una sensazione di indignazione per l'uccisione di donne, anziane e bambini. Vi è soprattutto una critica ai re, che credono entrambi di aver vinto, quando in realtà a causa di questa carneficina hanno perso entrambi. Alla fine del terzo capitolo Candide scappa. Capitolo 5 Nel quinto capitolo notiamo una critica alla provvidenza, quindi non sono la critica alle azioni degli uomini ma anche degli eventi naturali, come il terremoto, evento per il quale Voltaire metterà in discussione l'ottimismo. Candide quindi assume un tono diverso, constata che nulla va più bene, si sente impotente e inizia ad approcciarsi a un atteggiamento più drammatico. Capitolo 14 Il quattordicesimo capitolo del racconto è probabilmente quello più importante perchè è li che Candide matura grazie al viaggio e incarna alcune delle tematiche che sono più care a Voltaire. Il protagonista arriva (come naufrago) quindi in questa isola caratterizzata dal tema del meraviglioso, in cui un cicerone gli farà da guida e attraverso diverse domande lo aiuterà a maturare. Vi è poi l'incontro con la società de ElDorado, una società utopica, che vive in pace, che non ha più bisogno del progresso. Vi è una coesistenza del lusso e dell'umiltà, i personaggi non si curano del lusso anche se vivono in una terra di ricchezze, ma sono soprattutto caratterizzati da ricchezze immateriali, come la generosità, la bontà e la gentilezza. Ritroviamo la critica verso la condizione della donna, le guardie sono delle donne. infine, Candide impara l'importanza del viaggio, diversamente che al principio in cui il castello era il luogo prediletto, assumendo la consapevolezza che il mondo ideale sarebbe un mondo con una tolleranza religiosa, senza un prevaricare del sistema giudiziario e spinge una critica verso la Spagna, terra di colonizzatori che causano schiavitù. Capitolo 30 In questo capitolo Pangloss si rivela non ottimista del tutto, dopo la sua sofferenza continuerà a sostenere l'ottimismo ma senza crederci. Qui si chiude il racconto per mano di una riflessione di Candide, circa l'importanza del lavoro, affrontando la quotidianità ma non dimenticando di coltivare la propria anima, nasce da qui l'espressione "coltivare il proprio orticello". Jean-Jacques Rousseau: è stato un filosofo, scrittore e musicista svizzero di lingua francese. Nato da una famiglia calvinista ginevrina di origine francese, ebbe una gioventù difficile durante la quale si convertì al Cattolicesimo, visse e studiò a Torino e svolse diverse professioni, tra cui quella della copia di testi musicali e quella di istitutore. Trascorse alcuni anni di tranquillità presso la nobildonna Françoise-Louise de Warens; quindi, dopo alcuni vagabondaggi tra la Francia e la Svizzera, si trasferì a Parigi, dove conobbe e collaborò con gli enciclopedisti. Nello stesso periodo iniziò la sua relazione con Marie-Thérèse Levasseur, da cui avrebbe avuto cinque figli. Il suo primo testo filosofico importante, il Discorso sulle scienze e le arti, vinse il premio dell'Accademia di Digione nel 1750 e segnò l'inizio della sua fortuna. Dal primo Discours emergevano già i tratti salienti della filosofia rousseauiana: un'aspra critica della civiltà come causa di tutti i mali e le infelicità della vita dell'uomo, con il corrispondente elogio della natura come depositaria di tutte le qualità positive e buone. Questi temi sarebbero stati ulteriormente sviluppati dal "Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini" del 1754: da questo secondo Discours emergeva la concezione di Rousseau dell'uomo e dello stato di natura, la sua idea sull'origine del linguaggio, della proprietà, della società e dello Stato. Secondo Rousseau l'uomo per natura e' buono, sono le arti e le scienze che lo allontanano dalla sua natura primitiva e lo corrompono. L'evoluzione storica allontana l'uomo dal suo stato di natura, infatti prima di sviluppare il linguaggio ha una sensibilità sviluppata verso la natura, poi, con lo sviluppo del linguaggio e la nascita della civiltà, l'uomo perde tale sensibilità. Il linguaggio e' il mezzo attraverso cui l'uomo riesce ad imporre il diritto di proprietà sulle cose. Un altro testo, il Contratto sociale del 1762, conteneva la proposta politica di Rousseau per la rifondazione della società sulla base di un patto equo – costitutivo del popolo come corpo sovrano, solo detentore del potere legislativo e suddito di sé stesso. Scrive un trattato pedagogico, L'Emilio dell'educazione. La prima parte studia l'educazione del bambino dai 0 ai 12 anni e definisce questo tipo di educazione negativa. Secondo Rousseau l'allievo non deve seguire un obbligo ma deve essere lasciato libero di sviluppare la sua sensibilità senza lo studio. Ciò viene chiamato eta' della natura. In questo modo il bambino si preserva dall'errore e sviluppa la propria sensibilità. Vi è invece un'educazione definita positiva dai 12 anni all'adolescenza, qui è necessaria la guida del maestro per lo sviluppo delle passioni e della ragione, si sviluppa un giudizio morale e religioso e per la prima volta si analizza il periodo dell'adolescenza. Dopo la pubblicazione l'opera viene "messa al rogo". Questi e altri suoi scritti vennero condannati e contribuirono a isolare Rousseau rispetto all'ambiente culturale del suo tempo. Le sue relazioni con tutti gli intellettuali illuministi suoi contemporanei, finirono per deteriorarsi a causa di incomprensioni, sospetti e litigi, e Rousseau morì in isolamento quasi completo. Considerato per alcuni versi un illuminista, e tuttavia in radicale controtendenza rispetto alla corrente di pensiero dominante nel suo secolo, Rousseau ebbe influenze importanti nel determinare certi aspetti dell'ideologia egualitaria e anti-assolutistica che fu alla base della Rivoluzione francese del 1789; anticipò inoltre molti degli elementi che, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, avrebbero caratterizzato il Romanticismo, e segnò profondamente tutta la riflessione politica, sociologica, morale, psicologica e pedagogica successiva, alcuni elementi della sua visione etica essendo stati ripresi in particolare da Immanuel Kant. Le Confessioni, Rousseu. Dopo la condanna al rogo dell'Emilio, Rousseau si trasferisce in Inghilterra, agitato da queste manie di persecuzione e ridotto a vivere in miseria. Scrive le confessioni a Parigi. L'opera riprende il punto di vista dello stile de le confessioni di Sant'Agostino. Rousseau nella sua prefazione dice ''scrivo queste confessioni perché al momento del giudizio universale andrò davanti a Dio con questo libro e gli faro' sapere chi sono veramente". Si parte dal racconto della sua nascita, racconti della sua adolescenza fino a capire come sono nate le sue manie di persecuzione e le sue attrazioni sessuali, attribuisce le sue inclinazioni sessuali a quando la sua tata da al piccolo lo sculaccio'. Les reveries vengono concluse nel 1778. Sono composte da 10 passeggiate. La decima passeggiata resterà incompleta' poichè Rousseau morirà. L'immagine che lui ci da all'interno dell'opera e' quella di uomo vecchio e dai capelli bianchi che ha anche difficoltà a ricordarsi della sua vita passata. Uno degli argomenti principali dell'opera e' la solitudine poichè lui si sente isolato dal resto del mondo. Non vuole quasi piu' ricercare l'altro. Nella prima passeggiata Rousseau interpella il lettore rendendolo partecipe della sua solitudine e del suo progetto di scrittura. Lo scrittore inizia il libro con una riflessione. E' un uomo vecchio, solo e deriso da tutti. L'ultima cosa che gli resta da fare e' studiare se stesso. Mette per iscritto I pensieri che nascono durante le sue passeggiate. Per Rousseau il sonno e' simile alla morte. Morte vista come discesa nelle tenebre. L'autore trova dopo 10 anni la serenità nella solitudine. Chi l'ha perseguitato gli ha permesso di trovare la tranquillità, traspare la calma, e' piu' felice della sua solitudine di quanto lo fosse insieme agli altri. Scriverà l'opera solo per se stesso, perchè ama scrivere, ci descriverà le sensazioni che l'autore prova durante le sue passeggiate. Nella quinta passeggiata, Rousseau ha un incidente, cade, sbatte la testa e perde quasi i sensi. Questo incidente gli fa provare una sensazione piacevole perchè in questo stato di euforia, si sente bene. L'euforia avvicina l'uomo allo stato di natura, quando ancora non era corrotto dalla societa'. Rousseu cercherà allora l'estasi, un modo per uscire da se stessi, cosa che può avvenire solo con l'abolizione dell'"io", la perdita di identità ottenibile soltanto per mano della fantasticheria, si ritrova quindi sull'isola di San Pierre, un luogo che per lui è una sorta di porta per il paradiso, una dimensione surreale che permette di trovare la solitudine e l'ozio (inteso come meditazione), questa solitudine preziosa gli permette di aprire un mondo attorno a se e di osservare con altri occhi ciò che sta attorno a lui, come le piante. Laclos, Les Liaisons Dangereuses: Questo romanzo epistolare è un classico conosciuto per la sua esplorazione della seduzione, vendetta e malizia umana, nonostante l'autore lo avesse concepito soprattutto per far riflettere, tramite i personaggi principali, sul biasimevole stato dell'educazione femminile e sulle sue conseguenze sulla morale nella Francia del XVIII secolo. Ispirato dalla città di Grenoble, inoltre un racconto moralistico sulla corruzione e lo squallore della nobiltà della Francia dei Borbone. Il romanzo suscitò notevole scalpore sin dalla sua prima pubblicazione nel 1782 e continuò ad essere pubblicato in numerose edizioni. E' caratterizzato da una forte introspezione psicologica. La grandezza dell'opera sta nella sua polifonia, troviamo un tono diverso a seconda del personaggio che scrive la lettera, inoltre ogni personaggio fornisce un punto di vista diverso dell'amore: libertinaggio (marchesa e visconte), amore passionale (madame de Tourvel), amore cortese (Danceny) e l'amore sensuale (Cecile). Il punto di forza del libro resta il registro che cambia a seconda dell’ autore delle lettere: pudico quando scrive Cécile, ingenuo per Danceny, elegante e audace lo stile di Valmont, arguto e a tratti strafottente quello della marchesa di Merteuil. La bravura di Laclos sta proprio nel suo essere stato in grado di calarsi in tanti personaggi diversi tra loro Individuiamo tre gruppi di lettere, il primo gruppo va dalla lettera 1 alla lettera 50, scambio di lettere fra marchesa e visconte e fra Cecile e Danseny. Il secondo gruppo va dalla lettera 51 alla lettera 87, in questo gruppo troviamo la lettera 81 che è la più importante forse per l'autobiografia della marchesa. Il terzo gruppo infine va dalla lettera 88 alla 175, in cui vediamo il cuore della storia e la sua conclusione. Il visconte e la marchesa sono due libertini per cui hanno la grande capacità di dissimulare i sentimenti, la marchese è probabilmente il personaggio più importante della storia perchè sarà lei a muovere la sorte dei personaggi. Cecile rappresenta il fallimento dell'educazione conventuale, mentre madame de Tourvelle la "femme naturelle". Letterà 1: caratterizzata dallo stile ingenuo di Cecile, scrive nella lettera della vita di convento, facendo carpire un po' la sua predisposizione per la sensualità, utilizzando un linguaggio eccessivamente semplice (frasi brevi l'una accanto all'altra). Nel penultimo paragrafo l'uso della prima persona sottolinea l'egocentrismo della ragazza. Lettera 2: la seconda lettera è scritta dalla marchesa al visconte con un tono imperioso, qui possiamo notare il rapporto sottomesso del duca rispetto alla marchesa e si nota come essa si metta al livello dello scrittore, è lei a manovrare il fato dei personaggi. Lettera 4: nelal quarta lettera notiamo la caratterizzazione del visconte, che scrive alla marchese rifiutandosi di aiutarla nel suo intento perchè la facilità dell'opera che gli chiede di compiere nuocerebbe alla sua reputazione di don giovanni, e ci presenta madame de Tourvel. Lettera 33: questa lettera è importante perchè ci fa capire l'importanza della lettera come metodo di seduzione, cosa che non crede la machesa. Essa fa della retorica al visconte dicendo che le lettere non bastino per accattivare una donna, è il discorso immediato che funziona. Qui v'è una critica agli scrittori (cita Rousseau), gli scrittori fanno di tutto per scrivere cose profonde ma fondamentalmente il lettore davanti a questo resta freddo alla situazione. Lettera 81: questa è probabilmente la lettera più importante del romanzo, qui possiamo notare la descrizione della marchesa, una vera e propria analisi psicologica, un'autobiografia scritta per mano della stessa donna. Essa vanta il suo "essersi fatta da sola", lei stessa dice "io sono l'opera di me stessa", vanta la sua capacità di essere autodidatta utilizzando termini quasi teatrali e un linguaggio molto schietto. Le caratteristiche fondamentali del suo personaggio carpibili da questa lettera sono la sua lucidità, utilizzata per controllare gli altri attraverso la sua capacità di analizzare la psiche del prossimo e soprattutto la dissimulazione, cioè la capacità tipica dei libertini di nascondere i propri sentimenti. E' l'unica lettera in cui non porta una maschera. Lettera 90: diversamente dalla marchesa, madame de Tourvel non porta una maschera, non è una libertina, non sa dissimulare. Lei è una donna fedele, mostra una sensibilità e una morale forte. Non potrebbe mai amare l'uomo di qualcun'altra, anche se effettivamente così è. Essa vede il buono nelle persone e si nota quanto la sensibilità trasformi l'atteggiamento verso le persone, notiamo qua la trasfigurazione progressiva dell'amore verso il visconte, il suo dolore per le parole del visconte (che le scrive la 99esima lettera per dirle del suo piano) si manifesterà nella lettera 143 e si parlerà della sua morte nella lettera 165, lettera nella quale si manifesterà la sua grandezza nelal capacità di chiedere perdono. Lettera 130: qui viene descritta Rosmunde, una donna preziosa che si fa portavoce dell'amore prezioso. Dimostra la superiorità della donna, che conosce il benessere dell'amore concepito dalla femme tandre. Nella lettera 175 infine, assistiamo alla fine del racconto che termina con il manifestarsi dell'animo della marchese a livello fisico, ella infatti verrà sfigurata dal vaiolo e si ritirerà dalla società. Trama: la storia narra del tentativo di vendetta da parte di madame de Merteul, una libertina abbastanza furba e scaltra per i suoi tempi, la quale dopo essere stata abbandonata dal suo amante e avendo scoperto che questi deve sposare una ragazzina quindicenne appena uscita dal convento (la timida e inesperta Cecile) decide di fargliela pagare 'educando' a suo modo la futura sposa, e facendola diventare preda delle cattive voci e dei falsi virtuosismi e moralismi dell'epoca. Per far questo madame spera nell'aiuto di un suo ex amante e amico di vecchia data, per l'appunto il visconte di Valmont (con cui la donna ha la complicità tipica di un rapporto tra libertini che, prima che amanti, sono anche amici e confidenti) e a cui chiederà di sedurre la ragazzina e di 'iniziarla' al sesso. Sfortunatamente per lei, Valmont è troppo preso da un'altra impresa, ovvero quella di sedurre la bellissima moglie di un comandante d'esercito al momento occupato in Corsica, la presidentessa Tourvel. Se inizialmente la figura della presidentessa sembra una delle tante prede del libertino, ad un certo punto notiamo che la donna, così decisa nel rifiutare la corte serrata dell'uomo, lo porta all'esasperazione, tanto che alla fine, stremato,egli stesso finirà preda dell'amore.. Proprio quando questo amore potrebbe essere rivelato e messo allo scoperto, con una signorina Tourvel che cede alle lusinghe del libertino e un Valmont sempre più attirato da questa donna così irragiungibile e allo stesso tempo così seducente, la perfida madame de Merteul presa da un sentimento di gelosia e di possesso, ferita nell'orgoglio, consiglierà al libertino di abbandonarla, e nel più feroce dei modi: facendogli confessare di fronte alla donna che ama di averla presa in giro con una lettera semplice ma allo stesso tempo atroce, una lettera che segnerà una vera e propria rottura degli equilibri del racconto. Valmont non oserà scegliere tra la sua figura di seduttore e il sentimento puro che nutre per questa donna, perchè il personaggio, che non ha nessuno scrupolo e nessun ritegno, non accetterà mai di cadere nel ridicolo davanti alla società fallendo quindi nella sua impresa di seduzione. Il romanzo, fino ad allora abbastanza comico e ironico, diventerà tutto ad un tratto il triste specchio dei costumi dell'epoca, ed è proprio in questo punto che De Laclos denuncerà maggiormente la sua società e i falsi moralismi della gente comune. La lotta fra i due libertini è ormai inevitabile e la marchesa rivela a Danceny la relazione fra Valmont e Cécile. I due si battono in duello e Valmont muore, ma non prima di aver consegnato al giovane le lettere che smascherano le trame della marchesa di Merteuil. La marchesa, sfigurata dal vaiolo e conosciuta finalmente nella sua reale natura, si isola dalla società mentre M.me de Tourvel e Cécile si ritirano in convento dove M.me de Tourvel morirà poco dopo. Beaumarchais e Le Mariage de Figaro: è stato un drammaturgo e polemista francese, vive una vita un po rocambolesca, entra in corte come maestro di musica e lavora in Inghilterra come agente segreto. E' famoso per la trilogia composta dalle opere Il barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro e La madre colpevole. L'originalità di Beaumarchais va ricercata non tanto nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi, quanto nel modo personale con cui racconta le vicende: ritmo, gaiezza, piglio e un linguaggio spontaneo e autentico. La scrittura delle sue opere è talvolta precipitosa, come autore di teatro si fa guidare più dall'intuito che dalla tecnica, il suo utilizzo di motti di spirito è fin troppo abusato, nonostante tutto questo la sua opera ha assunto una rilevanza storica e il teatro dell'Ottocento, deriva da lui. Nelle sue opere egli propone una visione dell'uomo furbo che riesce a prendere in pugno la propria vita e va del senso di volontà e della furbizia un modo per cambiare le carte in tavola e raggiungere uno status più alto, fa della satira politica, e milita per la difesa e per l'emancipazione delle donne, ma le maltratta, parla dell'importanza della libertà ma pensa di fare denaro col commercio di schiavi, un ipocrita. Il barbiere di Siviglia è un'opera rappresentata per la prima volta nel 1775, propone una satira lieve ma efficace dell'ottimismo della classe borghese in ascesa prima della rivoluzione, nello stile tipico del drammaturgo francese. Essa parte inizialmente come opera comique (quindi in musica) ma successivamente la trasforma in commedia, in quattro atti, poi in cinque. Ebbe un grande successo grazia alla sua abilità di far osservare la realtà accattivando il pubblico senza mai risultare noioso. Con Beaumarchais per la prima volte viene inserito il politichese, infatti Almaviva rappresenta il parassita sociale, il desiderio libertino, a lui si opponeva Figaro, che rappresenta i valori di innovazione e rivoluzione, guidato da intelligenza a incompetenza, rappresenta la dignità del terzo stato. Dalla trama, il Barbiere sembra una commedia tradizionale, basata su uno schema classico. Eppure, all'interno di quel quadro, Beaumarchais pone le basi di un'arte comica nuova, capace di fondere in un abile dosaggio la satira con "l'imbroglio". Il meccanismo perfetto dell'intrigo, la verve brillante del dialogo, i brani satirici, il ritmo dell'azione teatrale: Beaumarchais si rivela un autore sicuro e rigoroso. I personaggi, Figaro, Rosina, il conte Almaviva, Bartolo, Basilio, non sono caratteri stilizzati, ma sono tratteggiati in modo nuovo, realistico, sono già eroi dotati di personalità propria. Il capolavoro di Beaumarchais è senza dubbio Il matrimonio di Figaro, che arricchisce e approfondisce i caratteri già individuati nel Barbiere, qui troviamo nella parte finale la rappresentazione in musica di tutti i personaggi, troviamo una celebrazione dell'arte a 360°, pittura, musica ecc, troviamo riferimenti alla pittura seicentesca (conversazione spagnola). La struttura si fa più complessa: l'autore domina magistralmente un imbroglio composto da innumerevoli intrighi. Già il Barbiere celebrava il trionfo di Figaro, un personaggio affascinante, ingegnoso e astuto, intraprendente e senza scrupoli. Qui la novità rilevante è che il valletto ottiene il successo non "per" il suo padrone, ma per se stesso, anzi addirittura "contro" le ambizioni del conte. Nelle didascalie possiamo notare la descrizione degli ambienti. Beaumarchais si fa portavoce di un nuovo modo di approcciarsi alla commedia, trasformandole nello stile e nelle tematiche. I temi dell'amore e della giovinezza, già centrali nel Barbiere di Siviglia, acquistano nel Matrimonio di Figaro sfumature più ricche: si va dai primi battiti del cuore del paggio Cherubino ai turbamenti della contessa, alla malinconia di fronte all'usura del tempo che appanna fatalmente anche i sentimenti più vivi. L'opera dunque presenta una gamma di toni più ampia, più intensa. Il Conte di Almaviva è un libertino tiranno, un personaggio fondamentale che caratterizza la satira politica contemporanea all'autore. Non esita a imbrogliare Figaro, è un violento, in lui ritroviamo i temi dell'autorità, della vendetta e della gelosia. Figaro agisce per amore ma anche per denaro, per salire di status. Lui riesce ad evolvere, sa ordire bene i suoi piani, con astuzia uscire da situazioni imbarazzanti, replicare con spirito. AttoI: è il mattino del giorno delle nozze fra Figaro e Susanna e questi sono nella stanza che il Conte ha loro destinato. Figaro misura la stanza e Susanna si prova il cappello che ha preparato per le nozze. Figaro si compiace della generosità del Conte, ma Susanna insinua che quella generosità non è disinteressata: il Conte vuol rivendicare lo "ius primae noctis", che egli stesso aveva abolito. Figaro si arrabbia e trama una vendetta, ma il pericolo non viene solo dal Conte, anche la non più giovane Marcellina vuol mandare all'aria i progetti di matrimonio di Figaro così come Don Bartolo, che hanno un conto in sospeso con l'ignaro Figaro. Quando Susanna resta sola nella camera, entra il paggio Cherubino che racconta le sue sventure, ma l'arrivo del conte lo costringe a nascondersi e ad assistere alle proposte galanti che il Conte rivolge alla cameriera. All'arrivo di Don Basilio anche il Conte si nasconde e ascolta le chiacchiere di Don Bortolo sulle attenzioni amorose rivolte dal paggio alla Contessa. Spinto dalla gelosia, il Conte esce dal nascondiglio, poi, scoprendo che il paggio era lì nascosto, si arrabbia. Entrano i contadini e Figaro che ringraziano il Conte per aver abolito il famigerato ius primae noctis. Il Conte si sente giocato e, con un pretesto, rimanda il giorno delle nozze e ordina la partenza immediata di Cherubino per Siviglia dove dovrà arruolarsi come ufficiale del suo reggimento; è a questo punto che Figaro si prende gioco del paggio con una delle arie più celebri dell'opera, "Non più andrai, farfallone amoroso". AttoII: la Scena si svolge nell'appartamento della Contessa: una magnifica camera, con un'alcova, la porta d'entrata alla destra, un gabinetto alla sinistra, una porta in fondo che conduce alle stanze delle cameriere. Susanna sta raccontando all'addolorata Contessa le pretese del Conte, ma arriva Figaro ed espone il suo piano di battaglia: ha fatto pervenire al Conte un biglietto anonimo dove si afferma che la Contessa ha dato un appuntamento a un ammiratore per quella sera, nel contempo Susanna dovrà fingere di accettare un incontro segreto con il Conte e, Cherubino, (che non è ancora partito) andrà al posto di lei vestito da donna, così la Contessa potrà cogliere il marito in fragrante. Mentre il paggio sta travestendosi sopraggiunge il Conte che, insospettito dai rumori provenienti dalla stanza dove la Contessa ha rinchiuso Cherubino, decide di forzare la porta. Intanto Cherubino fugge, saltando dalla finestra, e Susanna ne prende il posto. Così quando dal guardaroba esce Susanna invece di Cherubino, il Conte è costretto a chiedere perdono alla moglie. Vista la situazione d'imbarazzo del Conte, Figaro spera di poter finalmente affrettare la cerimonia nuziale, ma la sorte gli gioca un brutto tiro: arriva il giardiniere Antonio che afferma di aver visto qualcuno saltare dalla finestra della camera della Contessa. Figaro cerca di parare il colpo sostenendo di essere stato lui a saltare, ma arriva Don Bartolo con Marcellina che reclama i suoi diritti matrimoniali su Figaro. Atto III: la scena si svolge in una ricca sala, con due troni, preparata per la festa di nozze. Il Conte si trova solo nella libreria: è sconcertato. La Contessa vuol convincere Susanna a concedere un appuntamento galante al Conte che però si accorge dell'inganno e promette di vendicarsi. Il giudice Don Curzio entra con le parti contendenti e dispone che Figaro debba restituire il suo debito o sposare Marcellina, ma da un segno che Figaro ha sul braccio si scopre ch'egli è il frutto di una vecchia relazione tra Marcellina e Don Bartolo, i quali sono quindi i suoi genitori. Marcellina è felice di aver ritrovato il figliolo, ma mentre abbraccia Figaro arriva Susanna con la somma necessaria per scioglierlo dall'obbligo di sposare Marcellina. Vedendoli abbracciati Susanna dapprima s'infuria, poi, compresa la felice situazione, si unisce alla gioia di Figaro e dei due più anziani amanti. Marcellina acconsente alla tardiva proposta di matrimonio dallo stesso Don Bartolo e condona il debito come regalo a Figaro per le nozze con Susanna. Don Bartolo aggiunge altro denaro, mentre il Conte schiuma di rabbia. La Contessa, determinata a riconquistare il marito, detta a Susanna un bigliettino, sigillato da una spilla, per l'appuntamento notturno da far avere al Conte. Modificando il piano di Figaro e agendo a sua insaputa, le due donne decidono che sarà la stessa Contessa e non Cherubino a incontrare il Conte al posto di Susanna. Mentre alcune giovani contadine recano ghirlande per la Contessa, Susanna consegna il biglietto galante al Conte che si punge il dito con la spilla. Figaro è divertito, poi si festeggiano due coppie di sposi: oltre a Susanna e Figaro, anche Marcellina e Don Bartolo. Atto IV: la scena si svolge di notte in un folto giardino con due padiglioni praticabili, l'uno a destra e l'altro a sinistra. Nell'oscurità del parco del castello, Barbarina sta cercando la spilla che il Conte le ha detto di restituire a Susanna, ma che ha perduta. Figaro capisce che il biglietto ricevuto dal Conte gli era stato consegnato dalla sua promessa sposa e credendo ad una nuova trama, si nasconde con un piccolo gruppo di persone da usare come testimoni del tradimento di Susanna, che però ha udito, non vista, le rampogne di Figaro e si sente offesa dalla sua mancanza di fiducia. Entra Cherubino che, vista Susanna, (che è in realtà la Contessa travestita) decide di importunarla. Nello stesso momento giunge il Conte il quale, dopo aver scacciato il Paggio, si mette a corteggiare quella che crede essere la cameriera. Fingendo di veder arrivare qualcuno, la Contessa travestita da Susanna fugge nel bosco mentre il Conte va a vedere cosa succede; nel contempo Figaro, che stava spiando gli amanti, rimane solo e viene raggiunto da Susanna travestita da Contessa. I due si mettono a parlare ma Susanna durante la conversazione dimentica di falsare la propria voce e Figaro la riconosce e per punirla fa esplicite avances alla Contessa. In un turbinio di colpi di scena, alla fine Figaro chiede scusa a Susanna per aver dubitato della sua fedeltà mentre il Conte vede Figaro che corteggia quella che crede sua moglie. La Contessa e Susanna, chiariscono l'inganno al Conte profondamente allibito che chiede con sincerità il perdono della Contessa. Le nozze tra Figaro e Susanna si possono finalmente celebrare; la "folle giornata" si chiude così in modo festoso. Chénier: è un poeta che dipinge la natura, un poeta figurativo che cura il dettaglio, le immagini e lo stile. Soprattutto per la poesia scritta la sera prima della sua morte, egli viene descritto come "pre-romanticista", questo per i sentimenti che trasparono dalle sue parole, ciononostante, egli incarna in realtà il perfetto neoclassicista, ha un'adorazione particolare per la cultura greca, e per il 'bello' della cultura ellenistica. In lui notiamo anche una sorta di tentativo di restituire una "verginità" alla lingua, cerca di usare la lingua spogliandola di ogni sorta di influenze storiche. Dopo aver lavorato come segretaria 1787-1790 presso l'Ambasciata di Francia a Londra, ha partecipato al movimento rivoluzionario, pur rimanendo un forte sostenitore della monarchia e Luigi XVI. Lavora presso le Journal de Paris, condannando gli eccessi della Rivoluzione in articoli violenti contro Jacques Pierre Brissot e Jean-Paul Marat. Il poeta è stato arrestato e incarcerato a Saint-Lazare, 7 marzo 1794. Là, è stato condannato a morte dal e ghigliottinato il 25 luglio, con l'accusa di essere nemico del popolo. Chenier scrive La Jeune Captive la notte prima della sua morte, sembra che l'abbia scritta in onore di Aimèe de Coigny, una giovane donna di cui era innamorato, anche lei imprigionata. La cosa stupenda di questa poesia è il fatto che nonostante egli l'abbia scritta il giorno prima della sua morte, essa non è drammatica e triste, ma al contrario è un inno alla vita. Elogia la natura e alla disperazione dei suicidi oppone la sua spensieratezza.