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7 Luciano Galassi – “L`abbetiello è piccerillo, ma
Wellerismi Napoletani
Dicette ’o monaco:
“L’abbetiello è piccerillo,
ma è chino ’e devuzione!”
di
Luciano Galassi
G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com
Disse il monaco: “L’abitino è piccolino, ma è pieno di devozione!”.
Pasquale Ruocco, nella poesia “Piscatore”, dice:
Si fosse nato ’nterra a ’sta marina,
… io cumannasse a mare e ’nterra ’arena:
’mpietto purtasse sempe l’abbetiello
abbetiello
’e Mamma d’ ’a Catena.
Ma che cos’è l’abbetiello?
Secondo gli autorevoli Antonio Altamura e Francesco D’Ascoli, è
una reliquia o figurina di un santo o della Madonna, cucita in una pezzuola
(o contenuta in due pezzetti di stoffa cuciti insieme) e sospesa al collo con
nastri o fermata con una spilla sulla biancheria del fedele. L’Altamura l’ha
anche definito “un’immagine sacra stampata su stoffa… [che] si porta
legata al collo mediante un legaccio bianco”.
E quindi: l’abitino è piccolo ma il suo contenuto (la reliquia o
l’icona) è di grandissimo valore religioso (cioè di “devuzione”).
L’espressione sta a significare che come un piccolo scapolare assurge a
simbolo di intensa religiosità, così un modesto dono od un pensierino
possono essere segno di grande affetto; ma viene anche usata per intendere
che in determinate persone (ma anche cose, a volte) di piccole dimensioni
si celano un forte valore o particolari qualità, pure sul piano fisico. In
qualche modo corrisponde al detto dialettale “Dint’a ‘e vase piccerille ce
sta ‘o buono rusòlio” ed all’abusato adagio in lingua “Nella botte piccola
c’è il vino buono” nonché all’altro “Nella piccola pignatta sta spesso il
miglior brodo”.
Luciano Galassi: L’abbetiéllo.
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G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com
Giovanni Tucci però sostiene che la locuzione serve solo per
sottolineare le fattezze fisiche delle giovani di bassa statura ma prosperose,
e ritiene che la parola devuzione sia il sostantivo femminile plurale
devozioni: l’abitino quindi sarebbe pieno non di “devozione” (sostantivo
singolare astratto, di genere femminile) ma di “devozioni” (sostantivo
plurale concreto, di genere femminile), che per lui sono “le reliquie, le
figure o le immagini di Santi miracolosi custodite in speciali sacchetti, per
renderli ancor più pieni di valore religioso dei comuni abitini”.
Ma, a nostro avviso, il valoroso studioso incorre in errore perché
distingue arbitrariamente il contenente (cioè gli “speciali sacchetti” che
chiama ‘abitini’) dal contenuto (la reliquia o l’immagine) che chiama
“devozione”, laddove è chiaro che si tratta di un unicum binario costituito
da entrambi i componenti: in via concettuale non può esistere un abitino
senza le reliquie o le immagini perché dire “abitino” è dire immagine sacra
custodita in un pezzo (o in due pezzi) di stoffa.
Si vedano in proposito le definizioni date:
- dal “Novissimo dizionario della lingua italiana” di Ferdinando
Palazzi: “segno di divozione che si porta appeso al collo con un nastro, ed è
fatto di un’immagine, per lo più della Madonna, posta fra due pezzetti di
panno; è così chiamato perché lo usarono per primi i terziarî invece
dell’abito del loro ordine”;
Luciano Galassi: L’abbetiéllo.
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G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com
- dal “Vocabolario illustrato della lingua italiana” di Devoto e Oli:
“segno di devozione consistente in due pezzetti di stoffa, con l’immagine o
il nome della Madonna, attaccati a due nastri, da portare al collo come lo
scapolare dei religiosi: detto appunto così perchè cominciarono a usarlo i
terziarî, come distintivo, in luogo dell’abito dell’ordine cui appartenevano”.
Alla luce di quanto sopra non si comprende quali possano essere i
“comuni abitini” di cui parla il Tucci.
Vogliamo segnalare che l’abitino” compare in un breve ed anonimo
poemetto popolare stampato a Treviglio (Bergamo) intorno al 1840 per i
tipi del tipografo e libraio Francesco Messaggi:
il titolo è “MIRACOLO BELLISSIMO DELLA SS. VERGINE DEL
CARMINE AD UNA CORTIGIANA”
con il seguente sottotitolo: “Dove s’intende come per un Amante si
era data al Demonio in Anima ed in Corpo e per aver in petto l’Abito fu
da lei liberata. Caso seguito in Napoli”.
È la storia di una prostituta napoletana che, nonostante conducesse
una “vita assai sfrenata”, “si era dell’abito sacro ammantata” (cioè
dell’abitino con l’effigie della Madonna) e nelle giornate di mercoledì e
sabato “si riguardava di non far peccato” invocando “la Vergine beata”.
Quando il suo amante, pentito, si ritirò a sua insaputa nel “Chiostro
del Carmelo”, ella era pronta a scendere a patti col diavolo pur di sapere
dove si trovasse: perciò, in presenza del demonio,
Luciano Galassi: L’abbetiéllo.
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“mise le mani su l’abito santo
per volersel dal collo alfin cavare,
quella veste sì pia, quel sacro ammanto,
che l’inferno e i demoni fa tremare:
si sentì intenerir la donna alquanto
né le pareva di poterlo fare:
due volte il prende per gittarlo via
e due volte trattienla ancor Maria.
Già risoluta lo volea strappare
e la Vergine santa le apparia,
e disse: “Figlia, che pensi di fare?
…Son venuta in tuo aiuto, se nol sai,
per quell’abito santo che tu hai”.
Indi, rivolta al serpe maledetto:
“Empio - gli disse - che pensi di fare?
Sai che chi porta quest’abito in petto,
come divoto mio dêi rispettare?
… Pàrtiti presto e più non indugiare!”.
Tutto tremante si partiva quello
scellerato demonio iniquo e fello.
La donna allora si pentì e, spogliatasi “d’ogni pompa mondana”,
donò ai poveri tutto ciò che aveva e si ritirò in convento, dove “menò vita
santamente”.
Luciano Galassi: L’abbetiéllo.
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Nell’ultima strofa l’anonimo ammonisce:
“Per(ci)ò, cristiani, vi voglio avvertire,
ché non lasciate quest’abito
abito santo:
santo
Maria vi scamperà da ogni martìre
e vi difenderà da pena e pianto:
ché i suoi divoti non lascia perire,
coprendoli col suo sacrato manto”.
manto”
Il grande potere esorcistico attribuito agli “abitini” si rinviene anche
in un altro poemetto anonimo della prima metà del 1800, “LA CATALANA
PUNITA”, in cui si parla dell’amore incestuoso tra un fratello (Federigo) e
una sorella (Margherita), che, per dare libero corso alla loro unione,
ammazzano i genitori e la balia.
Lei procrea due gemelli e li uccide all’insaputa di Federigo, per il
quale addirittura li cucina; ma il ragazzo si accorge della cosa e Margherita,
sentendosi in pericolo, sopprime anche lui.
È sola, in mezzo a un bosco, con due scimmie che lei ed il fratello
avevano incontrato; all’improvviso le appare un cavaliere (che altri non è
se non il demonio travestito), il quale le propone di farla vivere da
principessa con lui purché ella getti via gli abitini della Madonna e di
Sant’Antonio che porta su di sé:
“Quelle divozion che porti addosso
di Maria e d’Antonio dietro mi fan stare.
E se vuoi venir meco in compagnia,
ti conviene ancor quelle gettar via”.
Luciano Galassi: L’abbetiéllo.
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Disse la donna:
“… ti voglio servire.
Eccomi dalle divozioni rispogliata.
Che cosa mi può mai intervenire?”.
Ed ecco cosa accade:
Vide in un punto quella disgraziata
quelle due scimmie incontro a lei venire,
che in due demòni esse si trasformorno
e, cantando, all’inferno la portorno”.
Nell’ultima strofa l’anonimo cantastorie ammonisce:
“Siate dunque divoti a Maria,
dite il rosario con attenzione;
e vi avvertisco quanto importante sia
portare addosso qualche divozione.
divozione
Restate in pace, o nobil compagnia,
vi lascio di Maria la divozione,
divozione
acciò per mezzo del suo santo zelo
godiamo pace in terra e gloria in cielo”.
Luciano Galassi: L’abbetiéllo.
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Peraltro, ai giorni nostri, Ettore De Mura, nella poesia -‘A carrozza-,
racconta come Padre Rocco redima ‘na puntunera vista per strada:
“ferma a ‘sta guagliona,
che asceva ‘a sera pe’ necessità,
‘a parla… le regala ‘n’abetiello
abetiello…
abetiello
essa chiagne e se vasa ‘na curona…
Po’ saglie dint’ ‘a carrozza aperta
‘nzieme cu’ Padre Rocco…
E ‘sta carrozza corre, e ‘sta figliola
chiagne p’ ‘a gioia e pare ‘na stunata;
dint’ ‘o ritiro nun starrà chiù sola…
E Padre Rocco n’ha salvata ‘n’ata”.
Luciano Galassi
Luciano Galassi: L’abbetiéllo.
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