Covers Across the Universe L`enorme rilievo dei Beatles nella storia
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Covers Across the Universe L`enorme rilievo dei Beatles nella storia
Covers Across the Universe L'enorme rilievo dei Beatles nella storia della musica contemporanea ha oscurato il ruolo di Lennon-McCartney quali autori di canzoni incise da altri artisti, la cui folta produzione - nelle prove migliori - merita attenzione e permette un approccio innovativo ai brani immortalati dai Fab Four. L’esteso catalogo di cover conferma la validità intrinseca del canzoniere di Paul & John, e la sua straordinaria capacità di adattamento ai più diversi generi, dal Rhythm & Blues al Jazz. Se fosse possibile cancellare dalla memoria i Beatles e valutare Lennon-McCartney solo come autori di brani incisi da altri artisti, si vedrebbe confermato il giudizio del produttore George Martin, secondo cui Paul e John sono i Cole Porter e i George Gershwin della loro generazione. Addentriamoci dunque nel camaleontico ambiente delle cover: versioni pubblicate per competere con l'originale oppure ricalcate sul modello primigenio per capitalizzarne le potenzialità. In premessa bisogna ricordare che sino a metà 1965 gli stessi Beatles hanno ricorso alle cover, come d'altronde la generalità dei nuovi gruppi britannici, mentre da fine 1965, con Rubber Soul, il gruppo inciderà solamente proprie composizioni. - Le canzoni più gettonate Il ruolo di precursore va riconosciuto a Billy J. Kramer, che nella primavera 1963 porta al 2° posto della classifica britannica Do You Want To Know A Secret, in una versione romanticheggiante scandita da intriganti coretti. Ben più emblematica, pochi mesi più tardi, la registrazione di I Wanna Be Your Man da parte dei Rolling Stones, al loro secondo singolo, in un 45 giri salito sino al n. 12 della classifica. Nel 1963-66 una generazione di musicisti beat si forma sulle cover dei Beatles, provate e riprovate in garage e cantine. Da quei laboratori artigianali, fucine di futuri capi-scuola, esce la cover di I Saw Her Standing There pubblicata nel 1963 dal cantante blues Duffy Power, senza riscontri di pubblico nonostante la validità dell'interpretazione del tastierista Graham Bond e di due promesse: il bassista Jack Bruce (poi nei Cream) e il chitarrista John McLaughlin (futuro partner di Miles Davis e fondatore della Mahavishnu Orchestra). Analogo discorso per gli sconosciuti Paramounts, che nel 1964 registrano It Won't Be Long; presto cambieranno nome in Procol Harum. Il fenomeno delle cover dei Beatles assume dimensioni esorbitanti quando ancora il gruppo è attivo, tanto è vero che nell'aprile 1968 le versioni dei 10 brani maggiormente reinterpretati superavano il mezzo migliaio: Yesterday Michelle A Hard Day's night Can't Buy Me Love I Want To Hold Your Hand All My Loving And I Love Her She Loves You Help! Please Please Me 119 80 57 52 46 43 42 39 32 28 Yesterday – eseguita anche da Elvis Presley – vanta il record mondiale di interpretazioni, superiori alle cover tremila ma nella quasi totalità insoddisfacenti e banali; tra le eccezioni svetta il 45 giri lanciato nel novembre 1967 da Ray Charles (n. 25 negli USA e n. 44 nel Regno Unito), con vocalità roca e sofferta. L'approccio di Marvin Gaye è molto lento, con un sommesso arrangiamento soul che lascia il campo alla voce solista e valorizza le potenzialità romantiche del pezzo. Stralunata, in stile voodoo-funk, con cadenze recitate, sullo sfondo di insistenti cori femminili e con assolo centrale di sax, l'interpretazione del pianista-cantante Dr. John, ritagliata dal vivo in un night-club di Los Angeles per il 33 giri Hollywood Be Thy Name (1975). 2 Altra grande composizione ripresa in una varietà di esecuzioni è With A Little Help From My Friends, giunta al n. 1 della classifica inglese nel 1968 nella strepitosa interpretazione di Joe Cocker (che la riproporrà nel live Mad Dogs & Englishmen) e di nuovo, vent'anni più tardi - nel riarrangiamento neo-romantico dagli scozzesi Wet Wet Wet, piuttosto appiattito sull'originale e col lifting degli arrangiamenti. Bisogna peraltro ricordare che di questo brano (come di tutti gli altri inclusi nel Sgt. Pepper), i Fab Four non pubblicano singoli e ciò agevola gli altri interpreti. Dell'ultima produzione, è Let it Be ad avere incontrato il gusto del maggior numero di artisti, propensi ad interpretazioni accentuatamente melodiche. Tra le versioni più interessanti si segnala quella di Joan Baez, nel 45 giri pubblicato alla fine dell'estate 1971; merita un riascolto anche l'impostazione blues di Clarence Carter, chitarrista cieco dell'Alabama, compresa nel LP del 1970 Patches. L'impatto commerciale del fenomeno si può ricostruire dallo spoglio della classifica britannica, ovvero della situazione di mercato apparentemente più difficile, dato che i Beatles giocano in casa e collocano ben 17 singoli al primo posto. Ecco dunque la graduatoria delle vendite di 45 giri dal 1963 a inizio anni '90, per le prime cento posizioni: Brano With A Little Help From My Friends Yesterday We Can Work It Out Michelle Ob-La-Di, Ob-La-Da Help! esecutore Joe Cocker posizione 1 data 2 ottobre 1968 Wet Wet Wet 1 14 marzo 1988 Young Idea 10 29 giugno 1967 Joe Brown 32 29 giugno 1967 Matt Monro 8 21 ottobre 1967 Marianne Faithfull 36 4 novembre 1965 Ray Charles 44 20 dicembre 1967 Stevie Wonder 27 15 maggio 1971 Four Seasons 34 27 novembre 1976 Brass Construction 70 16 luglio 1983 Overlanders 1 13 gennaio 1966 David & Jonathan 11 13 gennaio 1966 Marmalade 1 4 dicembre 1968 Bedrocks 20 18 dicembre 1968 Tina Turner 40 25 febbraio 1984 Bananarama 89 25 febbraio 1989 Let It Be Ferry Aid 1 4 aprile 1987 Do You Want To Know A Secret Billy Kramer & The Dakotas 2 2 maggio 1963 3 I Wanna Be Your Man Rolling Stones 2 14 novembre 1963 Strawberry Fields Forever Candy Flip 3 17 marzo 1990 Lucy In The Sky With Diamonds Elton John 10 23 novembre 1974 Get Back Rod Stewart 11 20 novembre 1976 A Hard Day's Night Peter Sellers 14 23 dicembre 1965 Hey Jude Wilson Pickett 16 8 gennaio 1969 Please Please Me David Cassidy 16 27 luglio 1974 If I needed Someone Hollies 20 9 dicembre 1965 All My Loving Downlands 33 9 gennaio 1964 Can't Buy Me Love Ella Fitzgerald 34 30 aprile 1964 Eleanor Rigby Ray Charles 36 21 luglio 1968 Day Tripper Otis Redding 43 23 marzo 1967 La tabella evidenzia il «richiamo» esercitato dalle cover, in grado di riportare al successo una canzone anche dopo vent'anni, con un differente arrangiamento, per un nuovo pubblico. - Una manciata di interpretazioni Il capitolo delle esecuzioni concertiste annovera, tra i primi artisti in ordine di tempo, Johnny Rivers, intrattenitore di ottimo livello cimentatosi con A Hard Day's Night quando ancora il 45 giri dei Beatles domina le classifiche; Rivers ha inserito la canzone nella scaletta del LP Whisky A Go-Go Revisited, uno tra i suoi album più indovinati; il pubblico partecipa con battimani e incoraggiamenti vari alla riuscita dell'esecuzione, che documenta l'espansione della Beatlemania tra i giovani statunitensi bianchi della classe media, a metà anni ‘60. Anche i maggiori gruppi strumentali si affrettarono a inserire nel loro repertorio canzoni dei Beatles, affidando alle chitarre la supplenza della voce solista. Velocissima e scatenata, con due chitarre soliste, I Feel Fine nell'esecuzione degli americani Ventures (LP The Ventures Knock Me Out! di fine 1964), mentre i loro rivali britannici, gli Shadows di Hank Marvin, registreranno tardivamente Paperback Writer, Get Back e Something (nell'album Shades of Rock, dell'ottobre 1970). Anche Steve Cropper, chitarrista del gruppo Booker T. & The M.G.'s, ha firmato una valida 4 versione strumentale di With A Little Help From My Friends, nel LP omonimo d'inizio anni '70. George Martin, il produttore di tutti i dischi dei Beatles, ha impresso un contributo autorevole alle cover strumentali, in veste di direttore d'orchestra e di arrangiatore, con la pubblicazione di ben nove LP, da Off The Beatles Track del 1964 a Beatles To Bond and Bach del 1974, passando attraverso Plays Help!, Instrumentally Salutes The Beatles Girls e And I Love Her, e di una decina di 45 giri. In ambito dichiaratamente rock svetta Jimi Hendrix, con Day Tripper e Sgt. Pepper. Il primo brano - incluso nelle Peel Sessions edite nel 1988 - è scatenato e totalmente giocato su chitarra e voce; l'inizio suona poco originale, poi interviene un notevole l'assolo centrale, libero e ardito come solo Jimi sapeva ricamare, un assolo che apre la seconda parte del brano ad atmosfere più creative. Sgt. Pepper compare nel 33 giri Hendrix In The West, uscito postumo a fine 1971 con registrazioni concertistiche. I newyorkesi Vanilla Fudge hanno utilizzato come fulcro dell'omonimo 33 giri d'esordio (agosto 1967) Eleanor Rigby e Ticket To Ride; notevole l'interpretazione del primo dei due brani, dilatato sino agli otto minuti e virato in arrangiamenti psichedelici; l'introduzione è affidata alle tastiere elettriche, mentre il tema centrale viene avvicinato con gradualità e in modo suggestivo. Un'operazione in qualche modo analoga è stata tentata un quinquennio più tardi da Randy California, il compianto chitarrista degli Spirit, che ha inserito Day Tripper e Rain nel suo primo LP solista - lo stralunato Kaptain Kopter & The (Fabolous) Twirly Birds - con l'ottimizzazione delle potenzialità ritmiche. L'enigmatica e inquietante I Am The Walrus, perla di Magical Mistery Tour, ha stimolato approcci inusuali, tra i quali merita una particolare menzione l'ambientazione dark del gruppo londinese Spooky Tooth, dominata dalle tastiere e dalle percussioni, con la voce cupa di Mike Harrison (nel 33 giri The Last Puff, dell'estate 1970). Una buona versione dal vivo - al concerto tenuto con i Traffic al Palasport di Roma il 2 aprile 1974 - figura nel doppio CD bootleg Out Of The Gridlock (attribuito erroneamente ai soli Traffic). 5 I londinesi Yes, alfieri del genere Progressive, hanno ricavato il 45 giri Every Little Thing dal loro 33 giri d'esordio dell'estate 1969, senza però incontrare l'attenzione che avrebbero meritato; a fare la parte del leone sono la chitarra solista di Peter Banks e la voce cristallina di Jon Anderson. Si è trattato comunque di un episodio occasionale, in quanto i protagonisti della Progressive Music (oltre agli Yes, Genesis, King Crimson, Gentle Giant...) hanno mostrato un'estrema refrattarietà alle cover e, più che guardare all'indietro, si sono mossi verso nuovi orizzonti con composizioni di nuovo conio. (La cantante texana Lou Ann Barton, interprete di blues-rock elettrico, nel 1986 ha registrato Every Little Thing nel 33 giri Forbidden Tones con un'impostazione new wawe: la sua potente vocalità si dipana su un tessuto sonoro cui provvedono i migliori session-men di Los Angeles, dal chitarrista Dean Parks al tastierista Larry Knechtel). Un altro gruppo fondamentale del Rock britannico, i Moody Blues, ha infilato in un album (Procol's Ninth del 1975) Eight Days A Week, valida rivisitazione di un classico dei Beatles, affidato alla profonda voce di Gary Brooker e al suo tocco tastieristico. La palma della peggiore cover è aggiudicata da Lucy In The Sky With Diamonds di William Shatner (LP Decca The Transformed Man), giunto alla notorietà come attore nel ruolo del capitano Kirk nel serial fantascientifico Star Trek: versione sdolcinata, fiacca e addirittura al di sotto del kitch, con l'alternanza tra canto e recitazione enfatica. Nonostante tutto il brano ha incontrato una sua fortuna ed è stato selezionato nel CD Golden Throats (edito nel 1988 dalla Rhino Records, con in copertina una parodia del Sgt. Pepper); inoltre il mensile londinese «Q» ha collocato l'incisione di Shatner al decimo posto della Essential Playlist compilata dai suoi lettori (n. 232, novembre 2005). James Taylor, il cui ingresso sulla scena musicale è avvenuto nel lontano 1968 a Londra su etichetta Apple, dopo che in patria nessuno aveva preso in seria considerazione il ventenne aspirante, nella primavera 1979 ha inciso Day Tripper per l'album Flag; l'inconfondibile timbro vocale minimalista e sconsolato dell'artista di 6 Boston conferisce al brano accenti tristi, con un andamento lento e l'ultima strofa cantata in falsetto. Altra star statunitense legata ai Beatles è Melanie, interprete di We Can Work It Out e di Anytime At All (rispettivamente in Phonogenic e Old Bitch Warrior, 1978 e 1995), col tipico timbro vocale infantile e un'eco della fonte ispirativa di Melanie Safka, ricercata in Edith Piaf. Nel 1976 l'eclettico Todd Rundren, genio dell'elettronica e produttore di successo, ha registrato il 33 giri Faithfull, tributo alle canzoni determinanti nel suo approccio musicale: insieme a Good Vibrations dei Beach Boys, a Most Likely You Go Your Way And I'll Go Mine di Dylan e a If Six Was Nine di Hendrix compaiono Strawberry Fields Forever e Rain; in questo caso manca volutamente qualsiasi variante interpretativa, in quanto l'artista ha inteso riprodurre nota per nota i brani originali, con un'operazione di ricalco concepita come un omaggio a un'epoca. Assolutamente energico e al tempo stesso liricamente onirico il piglio con cui il chitarrista statunitense Nils Logfren - già accompagnatore di Neil Young - affronta Anytime At All, incluso nel doppio CD live Code Of The Road (1986). La migliore apertura sul nuovo secolo è fornita dall'emozionante resa di In My Life da parte del vecchio Johnny Cash, in una registrazione del 2002, di poco precedente alla sua scomparsa; si tratta di una versione molto partecipata, nella quale pare che il musicista tracci un bilancio della sua travagliata esistenza, con la solita voce ruvida e, in più, una venatura di rassegnata tristezza accompagnata a una dichiarazione d'amore per ciò da cui ci si separa con rammarico. - Gli artisti «più affezionati» Alcuni cantanti hanno trovato la loro dimensione più consona nella reinterpretazione delle composizioni di Lennon-McCartney, con esiti originali e piglio personale. Richie Havens, avvicinatosi ai Beatles con una versione di Eleanor Rigby incisa per l'LP Mixed Bag d'inizio 1967, ha poi inserito nel suo disco più riuscito - il doppio 7 Richie P. Havens, 1983 (genaio 1969) - ben quattro cover beatlesiane: Strawberry Fields Forever, Lady Madonna (lanciata anche come singolo), She's Leaving Home e With A Little Help From My Friends; le versioni trasmettono emozione e tensione interpretativa. Sono poi seguiti i 45 giri Rocky Raccoon (luglio 1969, spesso eseguito in concerto e incluso in Richie Havens On Stage del settembre 1972) e Here Comes The Sun (tratto dall'album Alarm Clock del gennaio 1971). A suggello di una passione è giunto nel 1990 il CD Sings Beatles & Dylan (registrazioni del 1987). Joe Cocker esordì ventenne nell'ottobre 1964 con la cover di I'll Cry Instead, incisa per la Decca e colata a picco impietosamente, nonostante l'interpretazione grintosa e i cori di The Ivy League; per quel singolo il cantante di Sheffield intascò l'irrisoria somma di 10 scellini di royalities. Un risultato così frustrante non troncò la passione per le composizioni di Lennon-McCartney e, come dice il proverbio, chi la dura la vince: With A Little Help From My Friends, pubblicato su 45 giri nel settembre 1968, fiondò Cocker al vertice della classifica britannica e lo indusse a ricavarne il titolo per il suo primo 33 giri, edito nel marzo 1969. Quello stesso brano, eseguito al festival di Woodstock in una tiratissima versione di 8 minuti, con consensi corali, ha costituito un punto di forza del film e del disco triplo ricavati dal celeberrimo raduno di metà agosto 1969. Altra cover utilizzata come singolo e inserita nell'album Joe Cocker! del novembre 1969 è la grintosa She Came In Through The Bathroom Window, poi registrata nella tournée statunitense immortalata dal doppio Mad Dogs & English Men del settembre 1970 (al 2° posto negli USA e al 16° in Inghilterra), sicuramente il migliore vinile di Coker, sia per la grande resa concertistica sia per l'ottimo sostegno fornito dai numerosi musicisti diretti dal fido Leon Russell. Altro aficionado di Lennon-McCartney è il portoricano Jose Feliciano, da noi noto più che altro per la partecipazione al Festival di San Remo con Che sarà. Egli ha interpretato in modo personalizzato e in veste strumentale And I Love Her, condotta dalla sua chitarra acustica spagnoleggiante, sorretta qui e là dagli archi; stessa formula e medesimi risultati positivi per Here, There And Everywhere (i due brani sono del 1968). L'abilità virtuosistica alle sei corde emerge appieno in Yesterday, in 8 veste flamenco, senza far rimpiangere l'assenza del canto. L'approccio vocale di In My Life dimostra sensibilità e senso della misura. In ambito country-rock si è distinta per delicatezza Mary McCaslin, misconosciuta cantautrice californiana interprete della musica Western e assai legata alle composizioni di Lennon-McCartney. Tra le sue prove meglio riuscite, con strumentazione acustica (inclusi banjo e violino) e con voce nitida e sicura, si segnalano Rain e I'm Looking Through You, registrate nel luglio 1967 e rimaste a lungo inedite (sino alla pubblicazione di Rain - The Lost Album, nel 1999), Things We Said Today e Blackbird (nel suo terzo LP, Old Friends, del 1977) esprimono maturità artistica e sprizzano musicalità. - Cover a 33 giri L'aspetto più curioso delle cover è la rivisitazione di un intero LP, operazione poco comune per le difficoltà di un approccio complessivo a un corpus compatto, con l'esigenza di cogliere il dato unitario del messaggio musicale senza trascurare alcun brano e al contempo la capacità di assicurare un livello artistico che giustifichi le ambizioni della registrazione. I pochi tentativi effettuati hanno riguardato prevalentemente la produzione della seconda metà della carriera dei Beatles, in quanto evidentemente i 33 giri incisi a partire dall'estate 1966 presentano maggiori spunti e consentono più estesi spazi ad interventi discrezionali. La cantante statunitense Ann Dyer e il suo gruppo No Good Time Fairies hanno registrato nel 1999 Revolver: A New Spin in modo assai creativo, con un'operazione di destrutturazione dei brani e un nuovo assemblaggio con venature iconoclaste e arrangiamenti orientaleggianti; in primo piano spiccano sax, violini e percussioni indiane. Sul pretenzioso esperimento, patrocinato da Robert Stigwood, di far rivivere - su film e su vinile - Sgt. Pepper, non vale la pena di spendere parole, se non di soddisfazione 9 per il fallimento commerciale dell'improvvida iniziativa, priva del necessario supporto artistico. Abbey Road, pubblicato il 26 settembre 1969, è l'album che ha fornito i più interessanti spunti creativi, forse per il legame a mo' di suite tra i suoi brani. A pochi mesi di distanza si sono avute ben due interessanti cover del 33 giri, da parte del tastierista Booker T. e del chitarrista George Benson, virtuosisti del loro strumento in ambito rispettivamente in ambito rhythm & blues e jazz-blues. George Benson, negli anni '60 astro nascente della chitarra jazz, ha realizzato la cover di Abbey Road a tempo di record, un mese dopo l'uscita dell'album originale; il suo contributo è influenzato dalle tipiche atmosfere fusion del produttore Creed Taylor e dell'arrangiatore Don Sebesky, factotum dell'etichetta discografica A&M. Mentre gli album precedenti erano strumentali, stavolta Benson si cimenta al canto, con esiti apprezzabili, tanto è vero che la seconda parte della sua carriera (con dischi di successo pubblicati dalla Warner Bros.) lo vedrà più nei panni di vocalist che in quelli di chitarrista. La chitarra del leader è validamente affiancata, nella parte solista, dalla tromba di Freddie Hubbard, dal sax di Sonny Fortune e dal flauto di Ronnie Hubbard, tre personaggi di primo piano del jazz anni '70; inoltre l'abilità del batterista Idris Muhammad non fa di certo rimpiangere il bravo ma monotono Ringo Starr. Il brano maggiormente riuscito è Golden Slumber, qui utilizzato come titolo d'apertura In conclusione, The Other Side of Abbey Road, seppure non riesce a riproporre l'unitarietà tematica del modello originale, è molto interessante e merita un attento ascolto. Il quartetto Booker T. & The M.G.'s - Booker T. Jones all'organo, Steve Cropper alla chitarra, Donald Dunn al basso e Al Jackson alla batteria - ha intitolato l'ellepì col nome della via dello studio di registrazione Stax a Memphis: McLenmore Avenue, ovviamente la foto di copertina ritrae gli artisti mentre attraversano la strada a imitazione dei Fab Four. La ricetta funky funziona al meglio in Come Together e The End, mentre qua e là affiorano momenti di scarsa originalità; il 33 giri non ha 10 incontrato grande successo commerciale, ma è stato comunque riedito in CD nel 1988. In ambito jazz l'operazione di Benson e di Booker T. è stata varata dopo una ventina d'anni da Mike Westbrook - figura carismatica dell'avanguardia jazz britannica - con Off Abbey Road, nel sapiente arrangiamento di chi, appresa la lezione di Duke Ellington, dilata la struttura rock e colloca le canzoni del classico album dei Beatles in un jazz sinfonico che coniuga la tradizione alla più ardita sperimentazione. Nella big band si mettono in luce Phil Minton e Kate Westbrook (voce), il chitarrista Brian Godding e ovviamente Mike Westbrook al piano. A complemento dell'album, lòa big-band ha allestito una tournée con l'esecuzione live di Abbey Road. Il doppio White Album è stato reinterpretato da vari artisti d'estrazione blues, nell'ambizioso progetto varato nel 2001 dalla Telarc The Blues White Album, con la scelta di una decisa di brani e con esiti altalenanti a seconda della statura degli interpreti e della loro capacità di adattare composizioni rock a moduli stilistici blues. Mentre ad esempio l'armonicista Charlie Musselwhite espande Dear Prudence in 8 minuti di fruttuoso intreccio tra armonica a bocca e chitarra (suonata da Colin Linden) senza necessità di accompagnamento vocale, Maria Muldaur annaspa in ObLa-Di, Ob-La-Da, peraltro poco adatto al blues. Tra i tributi a 33 giri merita almeno una segnalazione Songs Of The Beatles di Sarah Vaughan (1981), tredici interpretazioni di alto livello, con un gruppo di accompagnatori di vaglia, nel quale si ascolta con piacere l'armonicista Toots Thielemans. - Rhythm & Blues A dispetto degli sforzi profusi dai gruppi rock, le più valide interpretazioni di canzoni dei Beatles sono realizzate da musicisti neri. La prima cover che balza alla mente, per potenza e inventività, appartiene a Ray Charles: Eleanor Rigby, incisa nella primavera 1968 (n. 35 negli USA e n. 36 nel Regno Unito). La voce dell'alloa 11 trentottenne cantante ha reso al meglio - con una comunicativa profonda - la disperazione di tante esistenze trascinatesi nella solitudine del microcosmo urbano, nella quieta disperazione rappresentata da Lennon-McCartney con il funerale di una vecchia signora inglese. La medesima canzone è stata interpretata in arrangiamento blues dal violinista Don "Sugarcane" Harris, nel LP Fiddle On The Rock (1971), ed è un peccato che pochi se ne siano accorti. Una ritmatissima Day Tripper si ascolta nel 33 giri Otis Redding's Dictionary of Soul del novembre 1966; il brano venne pubblicato sei mesi più tardi come singolo; un'energica esecuzione concertistica del marzo 1967 è raccolta in Live in Europe, ultimo ellepì di Redding prima del tragico schianto aereo del 10 dicembre 1967; anche di A Hard Day's Night lo sfortunato cantante georgiano ha fornito convincenti registrazioni dal vivo. L'altro re del Rhythm & Blues, Wilson Pickett, il 27 novembre 1968 ha registrato Hey Jude per un 45 giri premiato da buone vendite, e ha intitolato a questa canzone il suo successivo ellepì; l'ottima resa vocale di Pickett è sorretta da accompagnatori di lusso quali il chitarrista Duane Allman e il batterista Ronnie Hawkins, oltre ai sax dei session-men del rinomato studio di Muscle Shoals, Alabama. Stessi accompagnatori d'eccezione per il cantante Arthur Conley in Ob-LaDi, Ob-La-Da (apertura del 33 giri More Sweet Soul, d'inizio 1969), canzone tra le più banali dei Beatles, qui cucinata in salsa soul, con spezie giamaicane. Per restare nello stesso ambito, anche Aretha Franklin si è cimentata col repertorio di Lennon-McCartney: Eleanor Rigby e Let It Be sono due singoli dell'autunno 1969 e '70; il primo brano si può ascoltare anche in versione concertistica nel 33 giri Live At Fillmore West del maggio 1971. L'estate 1970 il ventenne Stevie Wonder ha ritagliò We Can Work It Out dall'album Signed, Sealed & Delivered per ricavarne un 45 giri spigliato e affascinante, corredato da un bell'assolo di armonica a bocca; il singolo è salito sino al 13° posto della classifica americana. Il gruppo strumentale Booker T. & The M.G.'s, dominato dalle tastiere di Booker T. Jones, non poteva certo ignorare i Beatles, e difatti ha inciso Eleanor Rigby 12 nell'album Soul-Limbo del luglio 1968 e, un anno più tardi, Lady Madonna in The Booker T. Set, antipasto per la riproposizione integrale di Abbey Road (cui si è accennato nel paragrafo precedente). A fine 1969 Ike & Tina Turner hanno registrato Come Together, 45 giri di moderato successo negli USA; ovviamente il pregio della registrazione consiste nella sensuale vocalità di Tina Turner più che nell'accompagnamento pianistico del suo irrequieto partner. La definizione di cover risulta inadeguata a indicare il trattamento praticato da Isaac Hayes a Something (in The Isaac Hayes Movement, aprile 1970, n. 8 USA), nella dozzina di magici minuti nei quali il tema viene avvicinato nota dopo nota e quindi sviluppato in dimensioni inedite, ai confini del rap. Molto realistica la resa di Why Don't We Do It In The Road da parte di Lowell Fulson, precursore del R&B, con un'accentuazione delle implicazioni sessuali del brano scritto da McCartney dopo l'inatteso spettacolo della copulazione di due scimmie durante la vacanza mistica nell'India del santone Maharishi. Si può dire che tutte le stelle del Rhythm & Blues abbiano inserito nel loro repertorio almeno un brano di Lennon-McCartney. In particolare, si sono distinti in questa operazione solisti e gruppi del cosiddetto genere Motown: da Martha Reves & The Vandellas (Something, con raffinato accompagnamento orchestrale e il punto di forza nei cori) a Smokey Robinson & the Miracles (And I Love Her, in atmosfera soffusa), dai Four Tops (Michelle, con esiti alquanto monotoni, nel 33 giri Four Tops on Top dell'agosto 1966) ai Temptations (Hey Jude, in una varietà di toni vocali dal falsetto al basso, nel loro LP di maggiore successo: Puzzle People dell'ottobre 1969), da Gladys Knight & The Pips (Let It Be, in godibile arrangiamento gospel). Le Supremes di Diana Ross hanno saccheggiato il repertorio dei Beatles, tanto è vero che nel novembre 1964 realizzarono il 33 giri A Bit of Liverpool, con brani come A Hard Day's Night, You Can't Do That, Can't Buy My Love e I Want To Hold Your Hand; (per l'edizione inglese il titolo originale fu ritenuto eccessivamente provinciale e venne mutato, con un gioco di parole, in With Love - From Us To You). Il gruppo 13 vocale di Detroit mantenne l'attenzione al repertorio di Lennon-McCartney, registrando Yesterday (nel LP I Hear A Symphony, marzo 1966), Michelle e Yesterday (Live At London's Talk Of The Town, settembre 1968), Hey Jude (Cream Of The Crop, novembre 1969); attenzione confermata anche dopo l'uscita di Diana Ross, con brani quali Come Together (New Ways But Love Stays, ottobre 1970). - The Beatles go jazz (and beyond) La riprova dell'intrinseca validità del repertorio di Lennon-McCartney si ha nella quantità di interpretazioni da parte di musicisti jazz, che spesso hanno utilizzato il tema-base per introdurvi numerose variazioni e assoli ignoti alla dimensione rock. Il fenomeno si è manifestato a partire dalla metà degli anni '60 ed è proseguito in modo rigoglioso per più di un un ventennio. L'impatto dei Beatles sul jazz è stato decisivo nella transizione dalla strumentazione tradizionale (sax, trombe, contrabbasso ecc.) a quella elettrica, con la valorizzazione delle chitarre e delle tastiere elettrificate. La nuova leva di jazzisti, cresciuta con la musica dei Fab Four, ha portato dentro di sé quell'imprinting e ha affrontato le cover con piglio creativo, mentre i veterani si sono limitati a rifare nel loro stile le più popolari canzoni del momento e non sempre con risultati interessanti. Nel gennaio 1965 Duke Ellington, al culmine di una lunga carriera finalmente coronata da un lusinghiero successo, ha registrato con la sua orchestra All My Loving in arrangiamento latino-americano, con assoli dei sassofonisti Paul Gonsalves (sax tenore) e Johnny Hodges (sax alto), e I Want To Hold Your Hand, guidata dal trombone di Lawrence Brown. L'operazione, probabilmente suggerita dalla casa discografica per fare breccia nel pubblico giovanile, si è risolta più che altro in un'operazione commerciale di facciata, senza esiti artistici significativi. Stesso discorso per un altro grande pianista, compositore e direttore d'orchestra: Count Basie, che nel 1966 ha inciso per l'etichetta Verve Basie's Beatle Bag, un LP interamente dedicato a composizioni di Lennon-McCartney tra le più note (da A Hard 14 Day's Night a I Wanna Be Your Man); la critica jazz ha arriccia il naso e quelle registrazioni sono liquidate impietosamente dall'autorevole The Pinguin Guide to Jazz (ed. 2004): «We think that the less said about Basie's Beatle Bag, the better», ovvero «meno se ne parla, meglio è». La fotografia di copertina ritrae Basie attorniato da tre o quattro bimbi, a simboleggiare il rapporto esistente tra vecchie glorie del jazz e nuovi adepti del rock. Nonostante il buco nell'acqua, il prolifico pianista ha insistito nel dicembre 1969 con un secondo 33 giri-tributo ai Fab Four: Basie On The Beatles, con arrangiamenti di Bob Florence e il supporto di musicisti quali il trombettista Luis Gasca (collaboratore di Carlos Santana), il sassofonista Eddie "Lockjaw" Davis e il chitarrista Freddie Green; stavolta gli spunti originali non mancano e l'esperimento può ritenersi riuscito; tra i pezzi migliori svetta Something, seguito da Penny Lane e Get Back. L'approccio dei vecchi leoni del jazz ai Beatles è rimasto comunque condizionato da una diversità generazionale e culturale incolmabile, che ha impedito la realizzazione di un incontro per davvero significativo. Diverso è il discorso per la generazione nata negli anni '30, desiderosa di aprire nuovi sentieri e di impegnarsi in sperimentazioni di «fusion» con quanto di meglio maturava nel campo rock. Caposcuola, in questo settore, si è rivelato l'arrangiatore Quincy Jones, che il 15 settembre 1964 ha registrato A Hard Day's Night (per il 33 giri Golden Boy) con artisti del calibro del trombettista Freddie Hubbard, dei sassofonisti Phil Wood (autore di un notevole assolo) e Eddie Davis, del chitarrista Jim Hall e del batterista Grady Tate. L'esito è ...lussurioso, con contrappunti e l'emulazione dei componenti dell'orchestra. Quel pezzo è rimasto tra i classici arrangiamenti di Quincy Jones, tanto è vero che è stato incluso nell'antologia Talkin' Verve, che raccoglie il meglio della produzione anni '60 del direttore d'orchestra giunto alla notorietà come compositore di colonne sonore; le note di copertina aprono un'interessante squarcio d'epoca «Nel 1964 tutti volevano registrare un pezzo dei Beatles, ritenendoli l'equivalente contemporaneo di Irving Berlin. Artisti come Ray Charles o Ray Coniff salivano sul vagone liverpooliano per 15 galvanizzare i giovani. Quincy ha contribuito alla legalizzazione jazz dei Fantastici Quattro». Il multistrumentista Roland Kirk, una tra le figure più interessanti dei jazzisti che hanno lambito la demensione rock (al suo modo di suonare il flauto si è tra l'altro ispirato il leader dei Jethro Tull, Jan Anderson), ha inciso a New York il 16 novembre 1965 And I Love Her, con il clarinetto e tromba in primo piano; tra gli accompagnatori, si mette in luce il pianista Horace Parlan. Il grande chitarrista Wes Montgomery ha eseguito nel giugno 1967 A Day In The Life (inserito nel LP omonimo), pochi giorni dopo la pubblicazione del Sgt. Pepper; tra gli accompagnatori figuravano al piano Herbie Hancock e al basso Ron Carter; l'esito non è peraltro eccelso, a causa del discutibile arrangiamento di Don Sebesky. Un anno più tardi il medesimo brano è stato riadattato in chiave jazz dal tastierista Brian Auger e dal suo gruppo The Trinity, nella versione strumentale inserita nell'altalenante LP Definitely What! del 1968; la linea solista è affidata all'organo Hammond; l'esito è accettabile, a condizione, beninteso, di non azzardare paragoni con l'originale. Il sassofonista-flautista Yuseef Lateef ha registrato una versione di Hey Jude lunga oltre 9 minuti nel LP The Gentle Giant (1972), con una partenza lentissima e a volume appena percettibile, tanto è vero che le note di copertina preavvisano: «Non manipolate il livello del giradischi, ma riaggiustate la vostra mente!»; una graduale progressione di accordi porta l'ascoltatore nel bel mezzo del tema, e a un certo punto si aggiunge agli strumenti l'accompagnamento corale del gruppo The Sweet Inspirations. L'esperimento si caratterizza per eccentricità e può ritenersi complessivamente riuscito. Tra i jazzisti bianchi il ruolo di apripista è stato adempiuto dal vibrafonista Gary Burton, che il 7 aprile 1966 ha inciso una valida cover di Norwegian Wood (LP The Time Machine), in un'atmosfera rarefatta e in dimensione autarchica, registrando da solo - su piste diverse - le parti per vibrafono, piano e basso marimba; il suono è cristallino e il tema originale è variato e arricchito dall'improvvisazione 16 dell'esecutore. Burton, orgoglioso di quell'interpretazione, l'ha inserita nell'antologia Artist's Choice, pubblicata nel 1987 dalla RCA su compact disc. L'eretico sassofonista Lol Coxill, esperto in contaminazioni tra generi diversi e autore di alcuni dei più originali esperimenti del jazz britannico d'avanguardia, ha registrato per Ear of Beholder, nel 1970-71 (ora ristampato in CD dall'etichetta See For Miles), I Am The Walrus, eseguito da un coro di bambini; Coxill ha in questo modo riportato il brano alla dimensione gioiosa dello scherzo e alla dimensione infantile, in un paese delle meraviglia; all'epoca il vinile venne pubblicato dall'etichetta Dandelion del talent-scout John Peel, entusiasta di come il pezzo dei Beatles era tornato a nuova vita. Un altro grande rinnovatore del jazz Britannico, il pianista e direttore d'orchestra Bobby McFerrin ha fatto della sua voce lo strumento duttile e proteiforme in grado di ricreare in perfetta solitudine brani rock e jazz; la sua Blackbird (in The Voice, del 1982), registrata dal vivo, senza sovraincisioni né interpolazioni sonore, è strabiliante: McFerrin, canta la parte solista, fischietta, si fa da sé il controcanto e utilizza persino il respiro come mezzo musicale; l'ascoltatore immagina il piccolo merlo ferito, ne percepisce il tentativo di spiccare il volo... Degli stessi mezzi naturali - voci e suoni prodotti dal battito delle mani e dalle percussioni sul corpo - si è avvalso il quartetto californiano The Bobs nel luglio 1979 per registrare una scatenata You Can't Do That e una liricheggiante Come Together, nel LP The Bobs Sing The Songs of..., coraggiosa e curiosa cavalcata attraverso una dozzina di classici della musica rock, senza alcun supporto elettrico, con la compenetrazione di voci utilizzate come strumenti, il che è un bel paradosso per il genere che ha fondato la sua fortuna sulle chitarre iperamplificate. Il bello è che, in queste esecuzioni, non si avverte alcun bisogno di accompagnamento strumentale. Incasellabile la reinvenzione di Across The Universe da parte di Roberto Cacciapaglia, quattro minuti e mezzo di percussioni orientali sopra le quali si libra un'eterea voce femminile, aleggiante in un'aura atemporale e in arrangiamenti fantascientifici (in Angelus Rock. A tribute to ten rock angels, del 1992). 17 La cantante sperimentale Cathy Berberian (1925-1983), che ha esteso i confini della vocalità con reinterpretazioni sconvolgenti del repertorio classico e d'avanguardia, nel 1969 ha registrato negli studi radiotelevisivi della Svizzera italiana di Lugano alcune canzoni di Lennon-McCartney, arrangiate e accompagnate al pianoforte da Louis Andriessen; le versioni più stimolanti sono la lenta Michelle e, soprattutto, la movimentatissima Ticket To Ride. Nel 1988 è stato varato il progetto affidato all'ensemble L.A. Workshop da committenti nipponici dell'etichetta Denon, per Norwegian Wood, omaggio ai Beatles con una decina di brani presentati in arrangiamenti jazz e in versione strumentale (tranne cori soffusi in Hey Jude e The Fool On The Hill). Il risultato è gradevole, in termini di musica da sottofondo per situazioni rilassanti, grazie all'apporto del sassofonista Tom Scott e del percussionista Paulinho Da Costa. Ben altrimenti impegnativo e convincente, comunque il doppio tributo chitarristico Mike Mainieri presents Come Together (NYK Records, 1995), con una formula azzeccata e il coinvolgimento - fra gli altri - di maestri riconosciuti del calibro di John Abercrombie, Adrian Belew, Larry Coryell, Allan Holdsworth, Steve Khan, Terje Rypdal e Ralph Towner. - Versioni post-punk Nella seconda metà degli anni '70 il Punk ha scosso alle fondamenta il Rock, con furore iconoclasta. Dopo l'irruzione sulla scena di Ramones, Sex Pistols, Clash... nulla più poteva suonare come prima; travolti i castelli del Progressive Rock, l'onda sismica è ricaduta sui reperti del passato e ne ha tratto pepite per l'edificazione di nuovi edifici sonori. Tra i miti contestati dalla nuova corrente musicale vi erano inevitabilmente i Beatles, emblema del rock accademico. Tuttavia il rapporto col lascito musicale dei «baronetti» si è rivelato ben più complesso, considerato che alcuni brani di Lennon-McCartney delineavano scenari proto-punk: Helter Skelter su tutti. Fatto sta che dagli anni '80 il canzoniere dei Beatles ha ritrovato una nuova 18 stagione, da parte di interpreti finalmente svincolati da timori reverenziali e determinati a sviluppare nei brani nuovamente interpretati sonorità avveniristiche. Anche in questo caso ogni pretesa di completezza è utopica e ci si deve limitare a una selezione rappresentativa di artisti e di stili. Il disco che può fungere da strumento conoscitivo attraverso il baratro generazionale è l'opera collettiva Sgt. Pepper Knew My Father, nel quale spicca l'interpretazione di A Day In The Life da parte dei Fall (quintetto di Manchester costituitosi sul finire degli anni '70 e impostosi come rinnovatore del Punk), con un arrangiamento personalizzato culminante in un vorticoso finale e in una significativa prova del cantante Mark E. Smith. Helter Skelter figura nel primo LP di Siouxie & The Banshees, del 1978 (The Scream), con inflessioni apocalittiche nel canto della ventunenne Susan Janet Dallion, alias Siouxsie Sioux; un decennio più tardi i celeberrimi U 2 avrebbero inciso il brano nel loro Rattle And Hum. Billy Bragg, il bardo della nuova canzone politica inglese, ha registrato in duo con Clara Tivey al piano e nei cori She's Leaving Home, che nel maggio 1988 - ha raggiunto il vertice della classifica dei singoli, in un'edizione i cui proventi sono stati devoluti all'aiuto di bimbi con situazioni familiari problematiche; Bragg ha restituito freschezza alla canzone, riscoprendo il lato drammatico dell'allontanamento da casa da parte della giovane protagonista (sull'altro lato del disco spiccava la cover di With A Little Help From My Friends, eseguita dai già citati Wet Wet Wet). Altra dirompente cover di Bragg è Revolution (nel mini-CD Accident Waiting To Happen del 1992), in tono con le vedute ideologiche del musicista inglese. 19