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L`inapplicabilita` dell`art. 1379 c.c., al divieto testamentario di

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L`inapplicabilita` dell`art. 1379 c.c., al divieto testamentario di
IL CASO
» Successione testamentaria
L’inapplicabilità
dell’art. 1379 c.c.,
al divieto testamentario
di alienazione
Andrea Natale
Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto privato
a) Se al negozio testamentario si applichi la discipli-
scono proprio allorché l’interprete cerchi di tracciare i
na generale del contratto
confini di validità della stessa.
SINTESI
Parte della dottrina riconosce l’applicabilita
l’applicabilità all’atto mortis causa delle norme generali che regolano il contratto,
c) Se il divieto testamentario di alienazione debba
nonostante il tenore lessicale dell’art. 1324 c.c. consigli la
rispondere ad un «apprezzabile interesse» del dispo-
a. A conferma della inapplicabilita
inapplicabilità al
soluzione negativa.
nente
testamento della disciplina generale del contratto, si ri-
Il testamento, secondo l’opinione preferibile, e
è un tipo legi-
leva come il testamento manifesti un potere di autono-
slativo che ha gia
già scontato in sede normativa il giudizio di
mia di straordinaria ampiezza, che trova nella liceita
liceità il
meritevolezza. Escludendo che vi possa essere una verifica
solo ed esclusivo vincolo.
delle ragioni che hanno spinto il testatore a fissare il divieto
(e dunque la apprezzabilità dell’interesse), sarà giocoforza
b) Se sia ammissibile un divieto testamentario di
riconoscere all’autonomia testamentaria uno spazio limi-
alienazione
tato unicamente dalla liceita
liceità dei motivi.
La soppressione dell’ult. co. dell’art. 692 c.c., che sanzionava la nullità di ogni clausola testamentaria diretta a
d) Se il divieto testamentario di alienazione debba es-
vietare all’erede di disporre dei beni ereditari per atto tra
sere «contenuto entro convenienti limiti di tempo»
vivi o per atto di ultima volontà,, ha posto all’interprete il
L’esigenza di temporaneita
temporaneità è una caratteristica comune a
dubbio se questa abrogazione avesse comportato l’auto-
tutti i rapporti obbligatori. Ammesso che il divieto sia valido
matica legalita
legalità dei divieti testamentari di alienazione.
a prescindere da un apprezzabile interesse sottostante, sa-
L’ammissibilità del divieto nell’ambito delle facoltà
L’ammissibilita
facolta rico-
rebbe contraddittorio che fosse proprio quest’interesse l’in-
e confermata dall’assenza di vanosciute al disponente, è
dice per la valutazione della congruità della durata. Il «ter-
lidi motivi per escluderla: in particolare, non varrebbe ad
mine non eccedente il quinquennio», previsto dall’art. 713
escluderla la diversità strutturale fra contratto e testa-
c.c. in materia di durata della sospensione della divisione,
mento, sebbene il primo è sembrato avere connaturato
sembra poter essere esteso per analogia al divieto testa-
un freno all’arbitrio del disponente. L’ammissibilità della
mentario di alienare, essendo entrambe le fattispecie di-
clausola, tuttavia, non può essere illimitata: i dubbi na-
rette a limitare la libertà di ‘‘disporre’’ dell’erede.
»
SOMMARIO
1.
Il fondamento del divieto di alienazione
2. Autonomia testamentaria e divieto di alienazione
3. Natura e apprezzabilità dell’interesse
Famiglia, Persone e Successioni 12
1013
dicembre 2007
☛
IL CASO
4. Temporaneità del divieto
5. Segue: l’intervento del giudice
6. La (in)trascrivibilità del divieto
7.
Il divieto
volontario
di alienare
non può essere
pregiudizievole
per i terzi,
altrimenti
equivarrebbe
a rendere
oggettivamente
inalienabile il bene
dicembre 2007
1014
Considerazioni conclusive
1. Il fondamento del divieto di alienazione
Il divieto di alienazione, sia contrattuale sia testamentario, ha conosciuto un’ostilità tanto accesa,
quanto immotivata. Infatti, pur riconoscendosene
l’utilità, e la necessità per sopperire ad esigenze
sicure e concrete, si è molto insistito sulla circostanza che, in definitiva, quel divieto costituisse
une «hèresie èconomique [...] et une anomalie juridique»(1).
Ammessa l’autonomia logica e concettuale della
facoltà di disposizione, rispetto a quella di alienazione, ne segue che – di fronte al vincolo di inalienabilità – l’alienante abbia comunque il libero esercizio della facoltà di disporre, dato che, in caso
contrario, non vi sarebbe stata alienazione valida(2).
In altri termini, le clausole di inalienabilita
inalienabilità non vincolano la facoltà di disporre, ma danno vita soltanto ad una obbligazione personale di natura autopossibilità,
noma, cui corrisponde la possibilità
possibilita per la parte
possibilita,
lesa, di chiedere soltanto il risarcimento del danno
in caso di inadempimento: la clausola de non alienando dà luogo, quindi, ad una obbligazione negativa(3). Sulla scorta delle indicazioni dottrinarie, e
riprendendo la disciplina prevista dal diritto romano per il pactum de non alienando, il Codice civile
vigente affronta espressamente il tema della validita di detta clausola contrattuale: i precedenti dello
tà
stesso art. 1379 c.c. consentono, tuttavia, di accertare che le soluzioni adottate dal nostro legislatore
non fossero le uniche che si potessero prospettare(4).
Una volta ammessa la validita
validità della clausola, un’ulteriore osservazione sembra opportuna, relativamente ai rapporti con i terzi: secondo la dottrina
meno recente, infatti, le clausole di inalienabilità
sarebbero delle pattuizioni a danno di costoro, in
quanto con i divieti contrattuali di alienare si verrebbe a disporre del diritto di altri(5). Più precisamente, con detta clausola non tanto si verrebbe a
disporre dei diritti dei terzi, quanto a danneggiarli,
facendo derivare dalla clausola effetti nocivi a loro
carico, più che propagando ad essi gli effetti diretti
della convenzione(6).
Questa opinione non sembra condivisibile, anche a
prescindere dal disposto dell’art. 1379 c.c.; il divieto
volontario di alienare, in nessun caso, puo
può essere
pregiudizievole per i terzi, dato che conferire allo
stesso qualsiasi effetto verso i terzi equivarrebbe a
rendere oggettivamente inalienabile il bene, evenienza (giustamente) considerata dalla dottrina
giuridicamente impossibile, prima che illecita(7);
al limite, si pone una questione di trascivibilità
del divieto, anche alla luce del nuovo art. 2645 ter
c.c. La constatazione che i patti non rappresentino
un limite alla disposizione, né un divieto in senso
tecnico, creando al contrario una mera obbligazione negativa, hanno portato la discussione, da un
lato ad affrontare il tema della portata generale
del principio contenuto nell’art. 1379 c.c., una volta
raffrontato con le numerose norme che prevedono
divieti di alienazione; dall’altro, la stessa appartenenza all’ordine pubblico economico del principio
di libera circolazione dei beni(8).
La convinzione che le clausole di inalienabilità limitino la libera circolazione dei beni e vadano contro l’ordine pubblico è ancora attuale, sebbene meno diffusa che in passato(9). Solamente quando fu
superata la condanna al divieto di alienazione, at-
(1) In termini: BONILINI, La prelazione volontaria, Milano,
1984, 63; quanto alle esigenze concrete cui risponde il divieto
testamentario, v. ROCCA, Il divieto testamentario di alienazione,
in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 475, spec. nt. 214, secondo il
quale il divieto persegue indiscutibilmente un interesse patrimoniale, in tutti i casi in cui è imposto per tutelare un’ulteriore
attribuzione.
(2) Si giustifica, cosı̀, l’efficacia obbligatoria del divieto: PUGLIATTI, L’atto di disposizione e il trasferimento dei diritti, in
Diritto civile. Metodo. Teoria. Pratica. Saggi, Milano, 1951, 14;
recentemente, anche per ulteriori richiami bibliografici, v. NATALE, I vincoli alla facoltà di disporre, in I contratti in generale,
VIII, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon,
Torino, 2000, 567 ss.
(3) Sul contenuto dell’obbligazione negativa, con particolare
riferimento al comportamento dedotto nel modo, v. L. COVIELLO
JR., L’obbligazione negativa, I, Napoli, 1931, 47 ss. Di fronte ad
una obbligazione positiva si pone quella negativa, o di non fare:
l’una e l’altra espressione sono adoperate dal legislatore. Si è
talora dubitato se il non fare possa costituire contenuto di una
prestazione, ma a torto, in quanto il non fare deve considerarsi
un comportamento attivo, al pari del fare: GIORGIANNI, Obbligazione (diritto privato), in Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1965, 601.
(4) Sulle contraddizioni della dottrina successiva all’entrata in
vigore del Code Napoleon, v. SACCO, Il contratto, II, in Tratt.
Sacco, Torino, 1993, 113.
(5) SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Tratt. Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1961, 199.
(6) MESSINEO, Il contratto in genere, I, in Tratt. Cicu e Messineo,
Milano, 1968, 197.
(7) Altrimenti, si assisterebbe all’aggiunta, per contratto, di un
nuovo diritto reale a quelli già previsti dal diritto positivo: LOJACONO, Inalienabilità (clausole di), in Enc. dir., XX, Milano, 1970,
896.
(8) FUSARO Il divieto contrattuale di alienazione, in I contratti
in generale, dir. da Alpa e Bessone, IV, 1, in Giur. sist. Bigiavi,
Torino, 1991, 60.
(9) A favore dell’ammissibilità di tale clausola, gioca, in primo
luogo, l’osservazione che non sarebbe sufficiente un interesse privato – necessario per riconoscere la validità della clausola di inalienabilità – per rendere queste ultime conformi all’ordine pubblico; in secondo luogo, si rileva che, in un sistema come il nostro, alla
libera circolabilità dei beni non può essere riconosciuta importanza tale da farne un vero e proprio postulato di ordine pubblico:
LOJACONO, op. ult. cit., 895. La scienza economica, dal canto suo,
considera le clausole di intrasferibilità alla stregua d’ogni altro
ostacolo alla libera circolazione dei beni: quest’ultima, invero,
prende in considerazione solo i beni scambiabili, ritenendo le
Famiglia, Persone e Successioni 12
IL CASO
tenuandosi l’ideale della libera circolazione dei beni, fu possibile – anche in Italia – riconoscere la
clausola di inalienabilità, purché giustificata dalla
durata temporanea e dall’interesse, serio, dello stipulatore. Tali insegnamenti possono accettarsi,
sebbene, in vista del divieto di fonte testamentaria,
entrino in gioco anche altri princı̀pi, che contribuiscono a rendere più ampi i confini di validità del
divieto.
è,, che il principio di ordine pubblico della
Certo
o è
e
e,
libera circolazione dei beni, in nessun caso viene
vulnerato da una clausola di inalienabilità
inalienabilita temporanea, come sarebbe per effetto di una clausola illimitata(10); da questo punto di vista, possiamo sin
d’ora ritenere indifferente rimettere al legislatore
ovvero all’apprezzamento del giudice, la valutazione circa la durata massima del vincolo.
È rilevante, invece, stabilire se occorra sempre la
necessita di giustificare il vincolo, sussistendo un
necessità
interesse privato, con cui si dovrebbe pur conciliare
l’interesse sociale. In materia contrattuale, è noto
che il disposto di cui all’art. 1379 c.c. componga –
escludendone il sacrificio – il contrasto dei due opposti princı
princıpi,
princı̀
libertà di
princı̀pi, quello della incondizionata liberta
circolazione dei beni e quello di un’autonomia negoziale scevra di limiti e tale, quindi, da poter spaziare al punto di sottrarre quei beni alla circolazione(11).
In altri termini, ci si accorse come, negando in ogni
caso validità ai divieti di alienare, si mortificava –
senza adeguata contropartita – il principio fondamentale, sicuramente d’ordine pubblico, dell’autonomia contrattuale, tanto più osservando come la
ininterrotta circolazione dei beni fosse economicamente non necessaria e dannosa, e come limitati
periodi di sosta potessero rivelarsi di non trascurabile utilità(12).
La legge, quindi, ammette la validità del divieto ne-
goziale di alienazione, allorquando un’utilità, valutata dal punto di vista oggettivo, sorregga il divieto
medesimo: il rischio che la collettività possa subire
un pregiudizio, è bilanciato dall’utilità che un contraente ritragga dalla imposizione del vincolo.
Possiamo, dunque, ritenere che il divieto contratgia perché
he
tuale di alienazione sia ammissibile non già
cosı̀ dispone l’art. 1379 c.c., ma in quanto il divieto
sia contenuto nei limiti ivi posti. Per contro, l’autonomia privata – non solo quella contrattuale – non
può essere mortificata al punto di escludere dal suo
àmbito la possibilità di confezionare clausole de
non alienando per il semplice sospetto che, se la
totalità dei consociati imponesse quelle clausole,
ne deriverebbe un danno economico incalcolabile(13).
Per quanto attiene alla volonta
volontà del testatore, e
è
principio acquisito che questi possa imporre, ad
eredi e legatari, una pluralita
pluralità di limitazioni alla
circolazione dei diritti soggettivi a contenuto patrimoniale. Ne sono esempio, il divieto di concorrenza, e quello di licenziare un dato dipendente
(disposizioni, queste, che integrano un legato);
per contro, alcuni divieti testamentari devono
considerarsi illeciti, vuoi ricorrendo a principi di
ordine pubblico (ad esempio, il divieto di impugnare il testamento)(14), vuoi per espressa disposizione di legge (ad esempio, l’art. 636 c.c. in merito al divieto di nozze).
È ricorrente l’affermazione per cui i divieti testamentari non operino diversamente da quelli contrattuali, essendo identico il campo di incidenza di
ciascuno. Segnatamente, si osserva che manca una
norma che conferisca al testatore il potere di stabilire il divieto di alienazione; per contro – abrogato il
4º co. dell’art. 692 c.c.(15) – non sono sembrate sussistere motivazioni per escludere, ma non senza
limiti, detto potere in capo al testatore(16).
clausole limitative solo fattori di attrito, che provocano ritardo
nell’adattamento dell’offerta alla domanda. Cosı̀ configurata, la
libera circolazione dei beni appare solo un’esigenza economica
d’interesse generale: G.B. FERRI, L’ordine pubblico economico (a
proposito di una recente pubblicazione), in Riv. dir. comm., 1963,
I, 471, secondo il quale l’esistenza stessa di una norma che disciplini la materia, da una parte, esclude che i limiti contenuti nella
previsione legale possano far parte dell’ordine pubblico economico, dall’altra conferma che i danni provocati dalle remore contrattuali alla trasferibilità dei beni non siano tali da mettere in forse
l’economia nazionale.
(10) L. COVIELLO JR., Il divieto negoziale di alienazione e l’art.
288 capo v. del progetto del III libro del codice civile, in Riv. dir.
civ., 1937, 392.
(11) Questa soluzione mediana – osserva BONILINI, La prelazione volontaria, cit., 68 – non poteva non incontrare, nel volgere del tempo, un favore sempre più ampio, prima dottrinale e
giurisprudenziale, poi legislativo. Le critiche vivaci mosse al
divieto di alienazione non potevano non risultare, ad un esame
più attento, e meno enfatico, ridimensionate. La minaccia che il
divieto porterebbe alla libera circolazione dei beni, in realtà, è
più di facciata, che concreta. I timori che un suo impiego generalizzato potesse rinverdire situazioni di manomorta (o potesse agevolare risultati similari a quelli ottenibili con il fedecommesso) si dimostrano, con l’esperienza, infondati.
(12) FERRARA, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, 1914, 253.
(13) BONILINI, La prelazione volontaria, cit., 72, secondo il quale il rischio di questo pregiudizio è smentito dalla forza reale
dell’esperienza che insegna come tenda a zero la probabilità di
una diffusione ampia e sconsiderata del divieto, la quale diffusione, appunto, integrerebbe gli estremi della dannosità sociale.
Il divieto in sé – il suo impiego da parte dei consociati affatto
non animati da spirito bizzarro – non presenta dunque quella
caratteristica, ed ha innata la liceità.
(14) Questo divieto, espresso quale condizione risolutiva,
sembra frequente nella prassi: MORELLO, La condizione di non
impugnazione del testamento, in Riv. notariato, 1965, 981; per
ulteriori esempi di divieti di fonte testamentaria, v. CANDIAN, La
funzione sanzionatoria nel testamento, Milano, 1988, 164 ss.
(15) Sotto il vigore del Codice del 1865, si era formata l’opinione che i divieti testamentari di alienazione in tanto fossero
vietati, in quanto assoluti o in quanto non corrispondenti ad un
apprezzabile interesse del testatore. Il 4º co. dell’art. 692 del
Codice vigente (oggi abrogato), attuava un’innovazione, disponendo che qualsiasi divieto di alienazione imposto dal testatore, sia con efficacia reale, sia con efficacia obbligatoria, sia di
portata relativa, sia di portata assoluta, fossero del tutto inefficaci. Per una disamina dello stato della dottrina antecedente
alla Novella del 1975, che ha stabilito la scomparsa della comminatoria della nullità del divieto, v. TALAMANCA, Successioni testamentarie, cit., 324 ss.
(16) Osserva BONILINI, La prelazione testamentaria, in Riv. dir.
civ., I, 237, che se il divieto di alienazione può essere disposto
Famiglia, Persone e Successioni 12
Il principio
di ordine pubblico
della libera
circolazione
dei beni non viene
vulnerato
da una clausola
di inalienabilità
temporanea
1015
dicembre 2007
IL CASO
L’autonomia
testamentaria
ha un significato
proprio,
svincolato
dal concetto
di causa previsto
dall’art. 1322 c.c.
dicembre 2007
1016
2. Autonomia testamentaria e divieto
di alienazione
Parte della dottrina riconosce l’applicabilita
l’applicabilità all’atto
mortis causa delle norme generali che regolano il
contratto, nonostante il tenore lessicale dell’art.
1324 c.c. consigli la soluzione negativa(17). Tuttavia,
la storia che accompagna la vicenda giuridica del
testamento e la diversità delle esigenze alle quali
questo corrisponde rispetto al contratto, conferma
l’idea che l’atto mortis causa debba essere sottratto
all’applicazione della normativa generale del contratto(18).
Rispetto all’autonomia contrattuale, quella testamentaria ha un significato proprio, svincolato dal
concetto di causa previsto dall’art. 1322 c.c.: il neo testamentario è,
e
e,
è, di per sé,
sé tipo legislativo che
se
se,
gozio
gia scontato in sede normativa il giudizio di meha già
ritevolezza(19).
Il testamento, dunque, è
e manifestazione di potere
di autonomia di straordinaria ampiezza, che trova
nella liceita
liceità il solo ed esclusivo vincolo(20); la dottrina, invero, non manca di rilevare come alla libertà testamentaria sia riservato uno spazio insuscettibile di verifica in termini di socialità dell’intenzione e dello scopo, essendo l’unico limite quello della
liceità dei motivi(21).
Prima della novella del diritto di famiglia, parte dell’invalidita del divieto tela dottrina riteneva che l’invalidità
stamentario di alienazione discendesse dall’ult. co.
dell’art. 692 c.c., che sanzionava la nullità di ogni
clausola testamentaria diretta a vietare all’erede di
disporre dei beni ereditari per atto tra vivi o per atto
di ultima volontà.
La soppressione formale della norma, ha posto all’interprete due questioni: da un lato, stabilire se
questa abrogazione avesse comportato l’automatica legalita
legalità di divieti testamentari di alienazione;
dall’altro, in caso di risposta positiva, rinvenire nel
sistema una norma per stabilirne i (necessari) limiti
liceità.
di liceita.
liceità
liceita
Quanto al primo aspetto, nell’ambito dei convincimenti contrari alla attuale ammissibilità di un divieto di alienazione testamentario, si colgono varie
motivazioni, tra le quali quella che ritiene superflua
la mancata riproduzione della norma, in quanto il
divieto si dedurrebbe, implicitamente, dal fatto che
l’attuale istituto della sostituzione fedecommissaria
non ammette altre situazioni analoghe(22): l’opinione negativa trae, dunque, argomento testuale dal 5º
co. dell’art. 692 c.c., a norma del quale «in ogni
altro caso la sostituzione è
e nulla»(23). In altri termini, secondo questa interpretazione, nonostante l’abrogazione della norma, al testatore non sarebbe
consentito imporre il divieto di alienazione, trattandosi di principio di ordine pubblico, implicito nel
sistema legislativo(24).
Tuttavia, non sembra rispondere al vero che il divieto testamentario di alienazione comporti, sempre e comunque, un’ipotesi di sostituzione fedecommissaria; anzi, di regola risponde alla sua funzione naturale, vale a dire di limitare il dominio del
beneficiario(25).
dalle parti contraenti, non si vede perché non debba esserlo dal
testatore; sicuramente non si può invocare, per escluderlo, la
diversità strutturale tra contratto e testamento. In senso contrario, v. VITUCCI, Clausole testamentarie sul potere di disposizione dell’istituito, in Riv. dir. fam. pers., 1983, 665.
(17) BIN, La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino, 1966, 177 ss., spec. 184.
(18) L’individuazione dei segni caratteristici ed univoci che
distinguono il testamento rispetto al contratto, sono, tra gli
altri, esposti da TRABUCCHI, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, in Riv. dir. civ., 1970, I, 39 ss.
(19) Si osserva, infatti, che le singole disposizioni contenute
nel testamento «non assumono la veste di autonomi tipi dotabili di causa propria»; sono, piuttosto, momenti di un unico
programma negoziale caratterizzato da una funzione unitaria,
vale a dire la regolamentazione dei vari interessi post mortem:
BONILINI, La prelazione testamentaria, cit., 247.
(20) TRABUCCHI, L’autonomia testamentaria e le disposizioni
negative, cit., 61 ss.
(21) Non sembra questa la sede idonea per ripercorrere il
dibattito sui limiti dell’autonomia testamentaria, e sulla necessità, o meno, che le singole disposizioni siano rette da una
autonoma causa; si rinvia, per tutti, a RESCIGNO, Interpretazione
del testamento, Napoli, 1952, passim; BIGLIAZZI GERI, Successioni
testamentarie, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma,
1993, 52, ove il rilievo che l’ordinamento riconosce al disponente, pur segnandone precisi limiti, una forza creatrice di autonomia.
(22) GIANNATTASIO, Delle successioni: successioni testamentarie,
in Comm. cod. civ., II, 2, 2ª ed., Torino, 1978, 370, ove paventato
il rischio che il divieto di alienazione possa eludere le sostituzioni fedecommissorie vietate. In questo senso, incidentalmente, Cass., 10.7.1979, n. 3969, in Riv. notariato, 1979, II, 1235,
secondo la quale la disposizione con la quale il testatore abbia
stabilito l’inalienabilità del suo patrimonio e ne abbia affidato
l’amministrazione ad alcuni esecutori, attribuendo nel contempo l’usufrutto dei beni che ne compongono il patrimonio stesso
ai discendenti in ordine successivo di una determinata linea
della sua famiglia, non dà luogo ad una fondazione avente personalità giuridica, facendo in tal caso difetto uno scopo che
funga da elemento unificante dei detti beni, bensı̀ dà vita a
un ente di mero fatto, il quale anche se sia stato validamente
costituito sotto il vigore di leggi antecedenti, deve ritenersi incompatibile con l’attuale ordinamento giuridico, in quanto, oltre a perseguire finalità analoghe a quella della sostituzione
fidecommissoria, si pone, altresı̀, in contrasto con divieti sanciti
da norme di ordine pubblico (artt. 462, 698, 699, 796, 979, 1379
c.c.) che fissano limiti all’autonomia privata.
(23) Il disconoscimento a priori dell’ammissibilità dei divieti
si fondava su un principio generale espresso dall’art. 692 c.c.,
per cui si riteneva estraneo all’autonomia testamentaria il potere di stabilire vincoli d’inalienabilità, seppur relativi: VITUCCI,
Clausole testamentarie sul potere di disposizione dell’istituito,
cit., 667.
(24) In questo senso, sembra C.M. BIANCA, Diritto civile. 2. La
famiglia. Le successioni, 3ª ed., Milano, 2001, 712 ss., secondo il
quale l’abrogazione formale della norma è dovuta certamente
ad una svista, e non comporta la liceità dei divieti testamentari
di alienazione. Secondo la Suprema Corte, la soppressione della
norma si spiegherebbe «per l’inutilità di una ripetizione della
sanzione della nullità, a fronte di una riduzione della validità
del fedecommesso al solo caso di tutela degli incapaci»: Cass.,
12.11.1981, n. 6005, in Mass. Giur. it., 1981.
(25) Ancora prima della novella, invero, la dottrina più attenta
aveva dimostrato come il divieto di alienazione non potesse mascherare un fedecommesso, in quanto mancherebbe un elemento
saliente di quest’ultimo istituto, vale a dire l’obbligo di restituire
(essendo presente solo quello di conservare): TALAMANCA, op. cit.,
325, secondo il quale la connessione fra i due istituti è meramente
topografica. In altri termini, l’abrogazione dell’ult. co. dell’art. 692
c.c., ha avuto l’effetto positivo di affrancare per sempre il divieto
testamentario di alienazione dalla sostituzione fedecommissaria,
la cui ammissibilità deve cercarsi unicamente nei principii che
assistono gli atti tra vivi. In particolare, il principio della libera
Famiglia, Persone e Successioni 12
IL CASO
In più, si riteneva che l’abrogata disciplina dell’art.
692 c.c. ponesse una profonda contraddizione logica, in quanto non suffragata da giustificazioni pertinenti o funzioni pratiche, relativa al diverso trattamento del vincolo, a seconda della diversità della
fonte(26).
Neppure il riferimento a princı̀pi di ordine pubblico, quale giustificazione della invalidità del divieto,
è soddisfacente: si è visto, come la libera circolazione dei beni abbia perduto ogni riferibilità ai confini
di questo principio. La scomparsa della comminatoria di nullità
nullita al divieto contenuto nell’ult. co. dell’art. 692 ante Novella del 1975, dunque, va salutata
con estremo favore
e giacché
giacche quella disposizione mal
si conciliava con la possibilità
possibilita del divieto di alienazione contrattuale, e, soprattutto, con l’ampiezza
dei poteri che vanno riconosciuti all’autonomia
del testatore.
Quanto al secondo aspetto, relativo ai limiti di liceita – dovendosi comunque escludere la illimitata
ceità
validita della clausola – si ricorre all’applicabilità,
all’applicabilità
all’applicabilita in
all’applicabilita,
validità
linea di massima, dell’art. 1379 c.c. Recentemente,
anche la giurisprudenza di merito ha confermato
validita del divieto in questione sia suborcome la validità
dinata alla presenza dei tre requisiti previsti dall’art.
1379 c.c.: l’avere efficacia obbligatoria; l’essere convenuto entro convenienti limiti di tempo; il rispondere ad un apprezzabile interesse di una delle parti(27).
Vero e
è che si nutrano dubbi sul funzionamento, per
il testamento, del rinvio di cui all’art. 1324 c.c.(28);
nondimeno,, l’art. 1379 c.c., dettato per i contratti, e
è
sembrato la fonte di una regola generale, quella dei
limiti dell’autonomia privata nella regolamentazioproprietà(29). La questione dell’apne del diritto di proprieta(
proprietà
proprieta
plicabilità della norma citata, anche al negozio
mortis causa, viene superata non tanto attraverso
il ricorso alla compatibilità ai sensi dell’art. 1324
c.c., quanto piuttosto attraverso la sua estensione
per analogia ai sensi dell’art. 12 disp. prel.(30). Scelta la strada del ricorso all’analogia – per colmare la
lacuna dell’ordinamento – occorre verificare se
questa abbia come termine di riferimento l’art.
1379 c.c., ovvero se debbano privilegiarsi altre norme, specificatamente dettate in materia di negozio
mortis causa.
Ad ogni modo, l’ammissibilità del divieto nell’ambito delle facoltà riconosciute al disponente, è confermata dall’assenza di validi motivi per escluderla:
in particolare, non varrebbe ad escluderla la diversità strutturale fra contratto e testamento, sebbene
il primo è sembrato avere connaturato un freno
all’arbitrio del disponente, assente nell’atto di ultima volontà. Se cosı̀ fosse, infatti, qualsiasi clausola
testamentaria che ponga un peso a carico di un
beneficiario sarebbe esposta al giudizio di inammissibilità(31).
L’ammissibilità
L’ammissibilita della clausola, tuttavia, non può
puo essere illimitata: i dubbi nascono proprio allorché
l’interprete cerchi di tracciare i confini di validità
della stessa, analogamente a quanto avviene in
campo contrattuale, ove è lo stesso legislatore a
porre il minimum.
Rispetto all’autonomia contrattuale, si e
è visto come
quella testamentaria abbia un significato proprio:
in particolare, si e
è notato come – in materia testamentaria – sia irrilevante l’apprezzabilità,
l’apprezzabilità
l’apprezzabilita in conl’apprezzabilita,
creto, dell’interesse, requisito richiesto solo per i
contratti atipici. Perché
Perche il divieto testamentario di
alienazione sia validamente posto,, dunque, si può
puo
prescindere dai limiti previsti dall’art. 1379 c.c.: detta norma sottoporrebbe l’apprezzabilità dell’inte-
circolazione dei beni sembra aver perduto la sua qualificazione di
principio di ordine pubblico, riducendosi ad esigenza economica
di interesse generale che può essere sacrificata; proprio l’art. 1379
c.c. ne sarebbe la conferma: LOJACONO, op. cit., 894; FUNAIOLI, Divieto di alienazione (diritto privato), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964,
401. Il problema del divieto di alienazione (anche testamentario)
deve, dunque, essere confrontato con il potere di disposizione che
caratterizza il diritto di proprietà: SACCO, Circolazione giuridica, in
Enc. dir., VII, Milano, 1960, 4. Per vagliare la validità dei limiti di
alienazione, non soccorre il principio della libera circolazione dei
beni, ma piuttosto il contenuto del diritto di proprietà, sia il potere
di disposizione, essenziale al contenuto minimo di quella situazione giuridica (art. 832 c.c.): NEGRO, Indisponibilità giuridica, in
Noviss. Dig. It., VII, 1962, 605; BOCCHINI, Limiti convenzionali del
potere di disposizione, Napoli, 1977, 104.
(26) Nell’ordinamento tedesco, la disciplina del fenomeno del
divieto di alienazione è unitaria, facendosi riferimento ai divieti
negoziali, comprensivi di quelli testamentari: ROCCA, op. cit.,
437, il quale ricorda come i divieti testamentari, nell’ordinamento tedesco, non trovino alcuna specifica disciplina, ed abbiano una efficacia obbligatoria con l’esclusione di quella reale,
senza alcun altro limite all’autonomia negoziale.
(27) Trib. Cagliari, 21.9.1998, in Riv. giur. sarda, 2000, 161, con
nota di CHELO, Brevi considerazioni sul divieto di alienazione
imposto dal testatore. Osserva la Corte, infatti, che deve essere
considerato nullo il testamento al quale sia apposta una clausola d’inalienabilità relativamente ad un immobile, qualora essa non sia contenuta in convenienti limiti di tempo e se non
risponda ad un apprezzabile interesse delle parti.
(28) Dubbii espressi da BONILINI, La prelazione testamentaria,
cit., 245.
(29) Secondo ROCCA, op. cit., 408, codesto limite varrebbe anche nella situazione che deriva dal trasferimento condizionale
della proprietà, rispondente ad un principio di ordine pubblico
che tende ad evitare la violazione della categoria chiusa delle
situazioni reali.
(30) Sostengono l’applicazione analogica delle norme sui contratti al testamento: BIN, La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, cit., 177; PIETROBON, L’errore
nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, 462; SCOGNAMIGLIO, op. cit., 52. Da altri, si ritiene che non possa raccogliersi,
in un senso o nell’altro, una soluzione unitaria, dovendosi ritenere applicabili al testamento solo quelle norme sul contratto
che risultino congrue in relazione alla struttura ed alla funzione
del testamento: C.M. BIANCA, Diritto civile. 2. La famiglia. Le
successioni, cit., 491. Più specificatamente, in materia di divieto
testamentario di alienazione, in favore del ricorso all’analogia,
v. ROCCA, op. cit., 438.
(31) Questa giustificazione provava troppo, perché potrebbe
adattarsi a qualsiasi clausola testamentaria che imponga una
condizione o un onere al lascito: gli elementi accidentali sono,
sia pure con un diverso grado di intensità, collegati alla disposizione attributiva il cui rifiuto impedisce il sorgere del ‘‘gravame’’ che il testatore intendeva imporre: ROCCA, op. cit., 419. Non
va trascurata la possibilità che la legge riconosce all’erede e al
legatario, di rinunziare a quel beneficio ridimensionato da un
onere, a seguito di una valutazione comparativa dei due interessi in gioco: BONILINI, La prelazione testamentaria, cit., 237.
Famiglia, Persone e Successioni 12
La validità
del divieto
testamentario
di alienazione
prescinde dai limiti
dell’art. 1379 c.c.
1017
dicembre 2007
IL CASO
3. Natura e apprezzabilità dell’interesse
Come noto, con la disposizione dell’art. 1379 c.c.,
venne riconosciuta ai contraenti autonomia riguardo alla pattuizione del divieto di alienazione; questa, peraltro, è subordinata alla necessità che il divieto oltrechè convenuto entro limiti di tempo
‘‘convenienti’’, fosse giustificato da un interesse ‘‘apprezzabile’’ di uno dei contraenti(33). In altri termini, il pregiudizio sociale – ravvisato nello ‘‘svuotamento’’’’ del diritto di proprieta
proprietà – deve essere controbilanciato dall’apprezzabile interesse di una delle parti.
Occorre domandarsi, se questo elemento sia un indice necessario di validita
validità del divieto testamentario
di alienazione. Secondo molti degli interpreti che
hanno studiato il tema del divieto testamentario
di alienazione, infatti, si ritiene applicabile al testamento la disciplina generale del contratto,
contratto vuoi per
sua compatibilita
compatibilità (art. 1324 c.c.), vuoi per una sua
estensione per analogia (art.
art. 12 disp. prel.)(
prel. 34). Diversamente,, abbiamo gia
già rilevato come sia preferibile la tesi di coloro che ritengono che il testamento
gia scontato in sede
sia un tipo legislativo che ha già
normativa il giudizio di meritevolezza; piuttosto
dell’interesse,
sse, è
e rilevante la liceità
liceita del motivo.
Una volta esclusa ogni considerazione per l’interesse, diviene inutile il confronto fra questo e il semplice interesse di fatto, e con l’interesse semplicemente rilevante. Ci si limita a segnalare, in questa
sede, che la norma di cui all’art. 1379 c.c., attesa la
natura obbligatoria del divieto contrattuale di alienazione, è stata confrontata con l’art. 1174 c.c., secondo il quale, la prestazione che forma oggetto
dell’obbligazione deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. La disciplina dettata dalle due norme appare, già a prima
vista, diversa sia per quanto concerne i soggetti ai
quali si riannoda l’interesse (che per l’art. 1174 c.c.
è esclusivamente il ‘‘creditore’’, mentre per l’art.
1379 c.c. è ‘‘una delle parti’’), sia per quanto concerne la natura dell’interesse (che l’art. 1174 c.c.
prevede possa essere anche non patrimoniale,
mentre il citato art. 1379 tace sul punto, ma richiede che sia ‘‘apprezzabile’’)(35). L’interesse di cui all’art. 1379 c.c. sembra dover essere messo in relazione, altresı̀, con il dettato dell’art. 1322 c.c., che
sottopone l’autonomia contrattuale alla necessità
di realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico, rilevando cosı̀ che il sistema mira a far soddisfare solo interessi degni di tutela. Interesse degno di protezione, o, con altro linguaggio, interesse apprezzabile, non è qualsiasi interesse individuale, ma è, per cosı̀ dire, un interesse
qualificato. Un interesse strettamente soggettivo,
dettato dal capriccio o dalla vanità, sconterebbe il
giudizio di indifferentia iuris, il che, trasferito al
nostro problema, comporterebbe la conseguenza
di considerare tamquam non esset il divieto di alienazione fissato per contratto.
L’interesse richiesto dall’art. 1379 c.c. è, quindi, differente da quello postulato dall’art. 1174 c.c. ed è, al
tempo stesso, non coincidente con quello generale
dello stipulante che del resto viene, in pratica, semplicemente supposto.
L’irrilevanza dell’interesse del disponente, non può
puo
non incidere sul regime delle invalidità
invalidita del divieto:
all’applicazione dell’art. 1379 c.c. anche al divieto
di fonte testamentaria, seguirebbe che, in mancanza di un apprezzabile interesse, lo stesso – sebbene
la lettera della norma sia generica – deve essere
considerato nullo.
Viceversa, escludendo che vi possa essere una verifica delle ragioni che hanno spinto il testatore a
fissare il divieto, sarà
sara giocoforza riconoscere all’au-
(32) In altri termini – osserva BONILINI, La prelazione testamentaria, ult. cit., 249 – l’istituito non può convincere il giudice che
a quella clausola egli non deve prestare rispetto perché priva di
una giustificazione apprezzabile: il giudicante potrà dichiarare
nulla la disposizione solo se si fondi su un motivo illecito.
(33) La stessa Relazione al Re (n. 93) osservava che era «anche
eccessivo un illimitato divieto di disporre, che praticamente
avrebbe svuotato il contenuto del diritto di proprietà. Perciò
si è stabilito che il divieto dev’essere ristretto entro convenienti
limiti di tempo, e deve rispondere a un apprezzabile interesse di
una delle parti. [...] l’interesse potrà avere carattere morale o
affettivo, potrà riguardare la protezione di un diritto proprio od
anche di un diritto altrui; ma in ogni caso dovrà apparire suscettibile di tutela».
(34) Ci riferiamo ai contributi di ROCCA, op. cit., 459 ss, il quale
ritiene che al divieto testamentario di alienazione siano riferibili solo due dei parametri di validità stabiliti dall’art. 1379 c.c.;
VITUCCI, op. cit., 669. Recentemente, evidenzia la necessità del
sottostante interesse meritevole di tutela, essendo l’art. 626 c.c.
implicitamente richiamato in molte norme sul testamento, TOTI, Condizione testamentaria e libertà personale, Milano, 2004,
415.
(35) BOCCHINI, op. cit., 58. Contrariamente a quanto potrebbe
far pensare la relazione ministeriale all’art. 1379, laddove è detto soltanto che in ogni caso l’interesse deve apparire suscettibile di tutela, cioè giuridicamente rilevante e lecito, è da ritenere che per conferire validità al divieto d’alienare non siano
sufficienti la rilevanza giuridica e la liceità dell’interesse; ma
occorra che quest’ultimo, anche se di natura morale, sia di tale
portata, individuale o comunitaria, da prevalere sul principio
generale per cui i privati non possono interdirsi in anticipo
l’esercizio di un diritto o di un potere normalmente a quest’ultimo collegato; per la qual cosa non basterebbe dimostrare, al
fine di conferire validità al divieto, che a muovere una od entrambe le parti non è il capriccio né il dispetto: LOJACONO, op.
cit., 898.
resse alla verifica giudiziale, mentre sembra condil’illiceita dell’interesse convisibile l’idea che solo l’illiceità
tingente che anima il divieto, possa contaminare la
clausola che lo recepisce(32). Analogamente, i con‘‘congruità’’ del
venienti limiti temporali (rectius,, la ‘‘congruita’’
‘‘congruità
‘‘congruita
termine) non possono che essere valutati in funzione dell’interesse apprezzabile di una delle parti;
possiamo osservare, infatti, come il giudizio di congruità si adatti allo scambio contrattuale (ad esempio: artt. 1454, 1563 e 1616 c.c.), non già all’atto
validita della
unilaterale. In altri termini: i limiti di validità
clausola, non sembrano quelli previsti dal legislatore in materia di contratti.
L’irrilevanza
dell’interesse
del disponente,
incide sul regime
delle invalidità
del divieto
dicembre 2007
1018
Famiglia, Persone e Successioni 12
IL CASO
tonomia testamentaria uno spazio limitato unicamente dalla liceità
liceita dei motivi(36). Solo il divieto testamentario retto da un motivo illecito porterà
portera alla
nullita della disposizione, a meno che, trattandosi
nullità
di motivo unico e risultante dal testamento, sia applicabile l’art. 626 c.c.
4. Temporaneità del divieto
L’esigenza di temporaneita
temporaneità è una caratteristica comune a tutti i rapporti obbligatori, e, dunque, anche a quelli ex testamento; è stata, infatti, sottolineata la presenza di un atteggiamento sfavorevole
della legge per il sorgere delle obbligazioni, siano
esse positive o negative, destinate a tenere vincolato il debitore in perpetuo, o anche per un lungo
lasso di tempo(37).
Anche in epoca antecedente al codice attuale, si
dava ampio risalto alla necessità che il divieto fosse
temporaneo, in quanto solo cosı̀ si poteva assicurare che l’inalienabilità non vanificasse il diritto del
proprietario, mutilandolo di una delle manifestazioni più rilevanti – la facoltà di disposizione – ovvero comprimendo in modo perdurante tale facoltà; «al di là della ricerca se l’art. 1379 c.c. riporti la
temporaneità del divieto al terreno del favor debitoris, è certo che, specialmente alle obbligazioni di
non fare, è connaturale un limite di tempo, in coerenza con i principi propri di un’economia di mercato che si affida alla libera competizione»(38).
La relazione del guardasigilli, riconoscendo la necessità di un limite temporale al divieto negoziale,
ha evidenziato la difficoltà di predeterminare un
termine fisso, giustificando cosı̀ il ricorso ai ‘‘convenienti’’ limiti di tempo(39). La congruità della durata del divieto contrattuale deve essere, quindi,
valutata (eccezionalmente) secondo criteri variabili, dipendenti dalle peculiarità del caso concreto,
non valendo il riferimento ai parametri stabiliti
per alcune fattispecie tipiche, quale il termine ventennale di cui al 3º co. dell’art. 965, ovvero quello di
cinque anni previsto nel capoverso dell’art. 2557, e
nell’art. 2596 c.c. La temporaneità del divieto, andrebbe cosı̀ intesa nel senso che non è questione
discettare, in astratto, sulla maggiore o minore congruenza di un termine, rispetto ad un altro; il divieto contrattuale potrà durare per tutto il tempo per il
quale sussiste il bisogno al quale risponde(40).
In altri termini, la durata del divieto contrattuale di
alienazione sarà correlata all’interesse apprezzabile
della parte.
L’affermazione di carattere generale, per cui il divieto debba essere contenuto in convenienti limiti
di tempo, esprime il proprio significante valore in
una duplice prospettiva: dell’obbligazione da un
lato, e dell’atto di autonomia privata dall’altro. È
evidente, infatti, che la fissazione dei ‘‘limiti di tempo’’ attiene alla (durata della) obbligazione (di non
alienare) e si risolve, pertanto, nella determinazione
del contenuto stesso della prestazione di non alienare (cosiddetta obbligazione di durata). Viceversa,
la rilevazione della ‘‘convenienza’’ dei limiti di tempo fissati, postula l’analisi del quadro (contrattuale)
nel quale l’obbligazione di non alienare è dedotta(41): anche da questo punto di vista, dunque, la
durata del divieto è strettamente connessa all’interesse del contraente.
Questi stessi princı̀pi sono stati tradotti in àmbito
di divieti testamentari: la valutazione della congruità dei limiti di tempo è stata condotta attraverso un
criterio variabile, imperniato su una valutazione
comparativa dei concreti interessi perseguiti dal disponente e dell’interesse dell’istituito gravato dal
vincolo di inalienabilità. Qualora quest’ultimo venga sacrificato senza che la considerazione dei primi
lo giustifichino, o quando appaia sproporzionata la
considerazione dell’interesse che ha dominato l’intento del testatore rispetto a quello del proprietario
del bene, la violazione dell’attributo sostanziale
della proprietà importa l’illiceità della clausola de
non alienando(42).
Queste considerazioni, tuttavia, non sembrano
esaurienti.
Anzitutto, una volta ammesso che il divieto sia valido a prescindere da un apprezzabile interesse sottostante, sarebbe contraddittorio che fosse proprio
quest’interesse l’indice per la valutazione della congruita della durata (ed invero,, se cosı̀
gruità
cosı fosse, ad un
interesse bizzarro del disponente dovrebbe corrispondere una durata del divieto pari a zero).
Inoltre, si deve limitare la discrezionalità del giudice
(specie in assenza di una norma che a questo lo autorizzi), nell’individuare quando un termine di inalienabilità espresso dal testatore sia congruo; infine, il
ricorso all’equità in materia di integrazione del negozio di ultima volontà non sembra ammissibile, giusta
la regola di inapplicabilità di cui all’art. 1324 c.c.
(36) TRABUCCHI, op. cit., I, 39; nello stesso senso, BONILINI, op.
cit., 247.
(37) GIORGIANNI, op. cit., 608. Quanto al fondamento del limite
di durata del divieto, questo è stato rinvenuto, talora, nell’impossibilità di comprimere il diritto di proprietà, in altre circostanze nel limite rappresentato dal numero chiuso dei diritti
reali, ed ancora nel rispetto della libertà contrattuale: FUSARO,
op. cit., 66.
(38) Esattamente, BONILINI, La prelazione testamentaria, cit.,
244.
(39) Data la varietà dei diritti che possono formare oggetto
della convenzione di cui si discorre, non era possibile stabilire
un termine massimo di durata del divieto, valevole per ogni
caso; si è preferito perciò rimettere la valutazione dei limiti,
caso per caso, al prudente arbitrio del giudice: Rel. al Re Imperatore, n. 93.
(40) BONILINI, op. ult. cit., 245.
(41) La valutazione della ‘‘convenienza’’ dei limiti di tempo, in
altri termini, interferisce con lo stesso giudizio di ‘‘apprezzabilità’’ dell’interesse al divieto; e ciò in quanto lo svolgimento del
divieto si pone, all’interno del programma contrattuale, anche
come un indice di valutazione dell’apprezzabilità dell’interesse
al divieto (valutato [...] nel tempo): BOCCHINI, op. cit., 66.
(42) ROCCA, op. cit., 450.
Famiglia, Persone e Successioni 12
Se il divieto
è valido
a prescindere
da un apprezzabile
interesse
sottostante,
non può essere
interesse l’indice
per la valutazione
della congruità
della durata
1019
dicembre 2007
IL CASO
Per delimitare
i limiti temporali
di validità
del divieto,
occorre individuare
una norma
applicabile
per analogia
dicembre 2007
1020
Per trovare una risposta soddisfacente al quesito
della durata del divieto, occorre individuare, nel silenzio del legislatore, una norma (diversa dall’art.
1379 c.c.) applicabile per analogia(43).
A tal proposito, rileviamo come vi sia un elemento
comune fra il divieto di alienazione e l’obbligo di
permanenza in comunione, di cui al 3º co. dell’art.
713 c.c.((44): in entrambe le fattispecie, il testatore
limita – con efficacia obbligatoria – la liberta
libertà di
e dubbio, infatti, che
‘‘disporre’’ dell’erede. Non vi è
dividere e alienare siano due modi di trasferire un
diritto(45). Anche la ratio delle due discipline, non è
distante, specie ove la sospensione della divisione
sia circoscritta ad alcuni beni: la dottrina evidenzia
come questo potere risponda ad un immediato ed
esclusivo interesse del testatore(46).
Il «termine non eccedente il quinquennio», previsto
in materia di durata della sospensione della divisione, dunque, sembra poter essere esteso per analogia al divieto testamentario di alienare, ferme le
notevoli differenze fra i due istituti coinvolti(47). Il
che, sara
sarà particolarmente utile laddove il divieto
non risponda ad un apprezzabile interesse del disponente (e ciononostante, valido in quanto lecito),
e dunque non sia possibile valutare il termine in
funzione del bisogno: la discrezionalità
discrezionalita del disposarà, in ogni caso, limitata temporalmente a
nente sarà
sara,
sara
cinque anni.
5. Segue: l’intervento del giudice
Si è osservato come, in assenza dei limiti di tempo,
il patto di inalienabilità sia nullo per mancanza di
uno dei requisiti essenziali; analogamente sarà nullo il divieto qualora si accerti che lo stesso si sia
protratto per un lasso di tempo superiore ai limiti
di validità(48).
In queste ipotesi, ci si deve porre il dubbio se sia
possibile porre rimedio attraverso la riduzione del
termine, o la fissazione di questo da parte dell’autorità giudiziaria(49).
La dottrina ha dimostrato come, non già la diffidenza verso i poteri del giudice, quanto piuttosto il
favor testamenti, inteso quale espressione generale
di un favore per la volontà testamentaria, e il principio di conservazione dell’attività negoziale, intesa
in senso lato, debbano trovare applicazione nel caso di specie: non sono sembrati esservi ostacoli, in
queste ipotesi, alla funzione suppletiva o correttiva
dell’intervento del giudice(50).
La dimostrazione della facoltà di intervento del giudice, in materia testamentaria, sarebbe data dal disposto dell’art. 645 c.c., che conferisce agli interessati – nel caso di condizione sospensiva senza termine – la facoltà di far stabilire al giudice il termine
entro il quale la condizione dovrà essere adempiuta(51): sarebbe incongruo che l’impiego del metodo
di fissazione giudiziale del termine mancante sia
(43) È questo, come noto, lo strumento messo a disposizione
dell’interprete nelle ipotesi di mancanza di una specifica previsione normativa: la somiglianza tra le fattispecie, è data dalla
corrispondenza di quegli elementi sostanziali che sono rilevanti
per la regola giuridica. Per tutti, v. BOBBIO, Analogia, in Noviss.
Dig. It., I, Torino, 1957, 602 ss.
(44) La sospensione per volontà del testatore è giustificata alla
luce di un particolare interesse del testatore a mantenere il più
a lungo possibile riunito il patrimonio ereditario e può leggersi
come espressione dell’ampia autonomia testamentaria. La
clausola testamentaria di sospensione, per un certo tempo, della divisione si ritiene che rientri nel più generale disposto del 1º
co. dell’art. 733, e che abbia la qualifica di modus: BONILINI,
Divisione, in Digesto civ., VI, Torino, 1990, 487.
(45) A favore dell’idea che la divisione sia un contratto traslativo, ma che – per finzione legale – si debba considerare dichiarativo si è pronunciata a lungo la dottrina, e, sotto certi aspetti,
l’idea vive anche ai giorni nostri; criticamente, MORA, Il contratto di divisione, Milano, 1995, 68 ss. Il passaggio dalla proprietà
collettiva a quella individuale costituisce (e non dichiara) un
nuovo diritto, del tutto diverso rispetto a quello preesistente:
di qui, la natura traslativa della divisione, cui aderisce, fra gli
altri, SANTORO PASSARELLI, La transazione, I, Napoli, 1963, 34.
Recentemente, evidenziano come la divisione, avendo un ruolo
distributivo fra condividenti, svolgerebbe una funzione traslativa, FORCHIELLI, ANGELONI, Divisione, in Comm. Scialoja e Branca, 2ª ed., Bologna-Roma, 2000, 65, secondo i quali distribuire
significa trasferire, seppure in un modo un po’ speciale: «la
species ‘‘distribuzione’’ non può insomma sottrarsi al genus ‘‘trasferimento’’!».
(46) FORCHIELLI, ANGELONI, Divisione, cit., 85.
(47) Contra, ROCCA, op. cit., 451, secondo il quale – sebbene
con specifico riferimento alla riducibilità del termine da parte
del giudice – del tutto inattendibile si rileverebbe estendere per
analogia il disposto relativo alla durata della sospensione testamentaria della divisione, al divieto testamentario di alienazione; nello stesso senso, v. BRANCA, Comunione, condominio negli
edifici, in Comm. Scialoja e Branca, 5ª ed., Bologna-Roma, 1972,
140 e 280, il quale evidenzia le differenze fra i due istituti, specie
con riferimento all’efficacia per i successori.
(48) BOCCHINI, op. cit., 83.
(49) Si è posto il problema, in particolare in materia di divieto
contrattuale, di stabilire se il giudice, tenuto alla valutazione di
congruità della durata del divieto, possa ridurre il termine pattuito, qualora lo ritenga non conveniente, ovvero possa fissarne
uno, qualora non ne sia stato previsto alcuno. Una lontana
decisione di merito lo escluse, osservando che i giudici, della
convenienza del termine, sono soltanto le parti, le quali possono valutarla e determinarla (App. Genova, 4.5.1944, in Foro it.,
1947, I, 51). Si era quindi osservato, contro la conservazione
della clausola mediante riduzione del termine, che l’art. 1379
c.c. non ammette altra alternativa all’infuori dell’invalidità del
divieto qualora il termine di durata sia giudicato eccessivo. La
dottrina più recente, tuttavia, è tendenzialmente favorevole ad
ammettere la facoltà del giudice di ridurre il termine, argomentando – non senza difficoltà – sulla possibilità di sostituzione
della clausola nulla (art. 1419, 2º co., c.c.), ovvero sulla base
degli artt. 1183 e 1187, c.c., o, ancora, dell’art. 1367 c.c. Il ricorso
all’art. 1367 c.c. non sembra però fondato, trattandosi di norma
destinata a conservare il contratto solo qualora, essendo stati
usati termini, espressioni o clausole non univoci, tecnicamente
non pertinenti, erronei ovvero in contrasto con il testo o lo
spirito dell’accordo, sia necessario e possibile individuare in
via preventiva l’effettiva volontà delle parti. «Nel nostro caso,
invece, lungi dall’aversi un’imperfetta ed incerta manifestazione di volontà, le parti hanno chiaramente assegnato al divieto
di alienare termini troppo lunghi di durata. Applicabile non è
nemmeno l’art. 1374 c.c., perché nel nostro caso non si tratta di
colmare, mediante integrazione legale o equitativa, lacune del
contratto o di obbligare le parti all’accettazione di conseguenze
da esse originariamente non previste. Né il giudice può intervenire a guisa di arbitratore, perché non sussiste la necessità di
aggiungere o determinare un elemento del contratto o una modalità della sua esecuzione e d’altro canto il giudice può intervenire solo se le parti hanno previsto il suo intervento»: LOJACONO, op. cit., 900.
(50) ROCCA, op. cit., 453.
(51) Criticamente, TOTI, op. cit., 420, secondo la quale non si
dovrebbe ammettere l’intervento del giudice perché le norme
che lo abilitano a sostituirsi alle parti per la fissazione di un
termine sono di carattere eccezionale, e perciò non applicabili
per analogia.
Famiglia, Persone e Successioni 12
IL CASO
consentito quando l’inalienabilità deriva da una
clausola condizionale, e precluso quando la stessa
è imposta come risultato di un comportamento obbligatorio(52). A fortiori, al giudice dovrà essere riconosciuta la facoltà di ridurre la durata del divieto
testamentario di alienazione.
Tuttavia, il ricorso analogico a norme relative alla
condizione sospensiva, non sembra convincente,
vuoi perché si tratterebbe, al limite, di condizione
risolutiva, vuoi perché si debbono manifestare dubbi in merito alla validità di un divieto formulato
attraverso una condizione, stante la retroattività degli effetti della stessa(53). Preferibile, anche da questo punto di vista, il ricorso all’art. 713, ult. cpv.,
c.c., che accorda all’autorità giudiziaria, in presenza
di gravi motivi, la facoltà di porre nel nulla, o di
ridurre il termine, del divieto di divisione imposto
dal testatore. Il potere discrezionale del giudice, in
tali ipotesi, non dovrà fermarsi alla valutazione in
concreto della congruità del limite temporale, ma
potrà estendersi alla riduzione del termine: in entrambe le ipotesi, la norma in materia di divisione
richiede la presenza di «gravi circostanze». Se, dunque, si ritiene ammissibile il ricorso all’analogia
con il disposto dell’art. 713 c.c., per la disciplina
del divieto testamentario di alienazione, questo
porterà con sé la valutazione della presenza di gravi
circostanze, perché il termine stesso possa essere
ridotto.
6. La (in)trascrivibilità del divieto
Il legislatore, nel riconoscere che l’autonomia contrattuale ricomprende il potere di vietare l’alienazione di un bene, impone un ulteriore limite: il
patto deve avere efficacia meramente obbligatoria
(art. 1379 c.c.). Occorre verificare, se, tale limite,
valga anche per il divieto testamentario, e se l’efficacia obbligatoria sia o meno compatibile con la
trascrivibilità dell’atto(54).
Tradizionalmente, si nega che il divieto possa essere trascritto(55); nondimeno, una recente giurisprudenza ha sancito che l’art. 2645 ter c.c., introducendo la trascrivibilità
trascrivibilita del vincolo di destinazione,
avrebbe scardinato il disposto dell’art. 1379 c.c. nel-
la parte in cui ammette l’effetto «solo tra le parti»
del divieto(56).
Non sembra questa la sede più idonea per evidenziare le differenze fra i due istituti; ad ogni modo,
l’applicabilità dell’art. 2645 ter c.c. al divieto contrattuale di alienazione, ha posto un tema di graduazione della indisponibilità, in funzione della ratio delle finalità perseguite con le singole figure. In
breve, si ritiene che rientri nel «normale esercizio
dell’autonomia privata, in ragione della peculiare
finalita che attraverso l’atto si
destinazione e delle finalità
vogliono realizzare, inserire una clausola di inalienabilita dei beni destinati»(57). Vale a dire, che in
nabilità
determinate ipotesi il vincolo di destinazione potrebbe ricomprendere un divieto di alienazione, e
dunque la trascrizione del primo comporterebbe la
opponibilita ai terzi (anche) del secondo.
opponibilità
Cosı̀, è agevole trasferire il rapporto fra detto vincolo e il divieto di alienazione all’indagine in materia
testamentaria: la ricostruzione di un negozio innominato di destinazione con respiro generale – di cui
l’art. 2645 ter c.c. costituisce solo un modello tipizzato per caratteristiche ed elementi strutturali – ha
permesso di considerare sicuramente ammissibile
un negozio testamentario di destinazione(58). Ove il
vincolo di destinazione sia di fonte testamentaria,
dunque, si ripongono alcune questioni: quella della
forma, quella dell’interesse meritevole di tutela e
quello della durata.
Quanto alla forma, non sembra si possa prescindere dal testamento redatto in forma pubblica: e
è il
ministero del notaio a conferire quel filtro di legalità che la norma prescrive(59).
Quanto alla realizzazione di interessi meritevoli di
tutela, valgono le medesime osservazioni esposte
dalla dottrina con riferimento al negozio di destinazione: per l’opponibilita
l’opponibilità ai terzi dell’atto di destinazione, infatti, è
e necessario non solo che l’atto sia
lecito, ma anche che sia volto a realizzare un interesse meritevole di tutela. In mancanza di quest’ultimo, l’atto di destinazione, pur rimanendo valido,
non potra
potrà produrre l’effetto della separazione e della opponibilita
opponibilità nei confronti dei terzi(60).
Infine,
e, quanto alla durata, se il divieto di alienazio-
(52) Ancora ROCCA, op. cit., 454, secondo il quale, cosı̀ facendo,
è possibile un ampliamento delle possibilità di recupero del
contenuto della disposizione testamentaria.
(53) Non manca chi ritiene applicabile l’art. 645 c.c. alla condizione risolutiva meramente potestativa: PELOSI, La proprietà
risolubile nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975,
303. La condizione risolutiva di non alienare è illecita, perché
consentirebbe di eludere il principio dell’efficacia obbligatoria
del divieto di alienazione, sancito dall’art. 1379: DI MAURO, Condizioni illecite e testamento, Napoli, 1995, 134 ss.; infatti, nel
momento del suo verificarsi, per l’efficacia retroattiva che le è
propria (art. 646 c.c.), rendendo nullo l’atto di alienazione ex
tunc, finirebbe col rendere il divieto opponibile ai terzi.
(54) Ancora recentemente, si è ricordato che la funzione della
trascrizione, nel nostro ordinamento, sia quella rivolta alla risoluzione dei conflitti tra più aventi causa di diritti incompatibili sulla
medesima res: GRASSO, L’articolo 2645-ter c.c. e gli strumenti tradizionali di separazione dei patrimoni, in Riv. notariato, 2006, I, 1192.
(55) Nel senso che il patto di non alienare sia intrascrivibile e,
se trascritto per errore, non sia opponibile ai terzi, v. Trib. Savona, 20.12.1950, in Foro it., 1951, I, 968.
(56) In questo senso, Trib. Reggio Emilia, 23.3.2007, in Guida
dir., 2007, 18, 58.
(57) M. BIANCA, L’atto di destinazione: problemi applicativi, in
Riv. notariato, 2006, I, 1189.
(58) DE DONATO, Il negozio di destinazione nel sistema delle
successioni a causa di morte, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, a cura di M.
Bianca, Milano,, 2007, 47, secondo il quale, rispettando tutti i
parametri della nuova
va norma, non è
e giustificabile l’esclusione
della possibilità
possibilita di destinare beni, con valenza segregativi, anche con la forma testamentaria.
(59) DE DONATO, op. ult. cit., 46.
(60) In questo senso, NUZZO, Atto di destinazione e interessi
meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, a cura di M. Bianca,
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Nel caso in cui
un vincolo
di destinazione
ricomprenda
un divieto
di alienazione,
la trascrizione
del primo,
ammessa
dall’art. 2645 ter
c.c., comporta
la opponibilità
ai terzi (anche)
del secondo
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dicembre 2007
IL CASO
7. Considerazioni conclusive
Alla luce di quanto esposto, possono trarsi alcune
brevi osservazioni in merito al rapporto fra l’art.
1379 c.c. ed il divieto testamentario di alienazione, per escludere l’applicazione analogica della
norma al negozio testamentario. Mentre il divieto
contrattuale di alienazione è caratterizzato da tre
requisiti (durata, interessi ed effetti), non altrettanto può dirsi per il divieto di fonte testamenta-
ria: quest’ultimo, infatti, non può eccedere la durata di cinque anni, e non deve rispondere ad
alcun interesse del disponente, pur se soggetto
al controllo di liceità. Rimane ferma, invece, secondo i principi generali, l’efficacia obbligatoria
del divieto.
Da altro punto di vista, la novella dell’art. 2645 ter
c.c. pone problemi di coordinamento con la disciplina del divieto testamentario di alienazione. Quest’ultimo,, infatti, può
puo essere funzionale al vincolo di
destinazione, ed allora: dovrà
dovra rispondere ad un interesse meritevole di tutela; potra
potrà essere valido «per
un periodo non superiore a novanta anni o per la
durata della vita della persona fisica beneficiaria»;
potrà, infine, essere oggetto di trascrizione.
potra,
potra
potrà
&
Milano, 2007, 66, il quale pone al centro della propria riflessione il diverso livello di valutazione della liceità, rispetto alla no-
zione di interesse meritevole di tutela, che giustifica la limitazione della responsabilità patrimoniale.
ne fosse effettivamente funzionale al vincolo di destinazione, dovrà riconoscersi – eccezionalmente –
la validità di un divieto che sopravviva sino a novantanove anni, come espressamente riconosciuto
dall’art. 2645 ter c.c.
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