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Percorso. Roma sulle orme di Caravaggio

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Percorso. Roma sulle orme di Caravaggio
ROMA. SULLE ORME DI CARAVAGGIO 31 marzo – 19 giugno 2011 UN PERCORSO ATTRAVERSO IL CENTRO STORICO PER RIVIVERE LE VICENDE UMANE E ARTISTICHE DI CARAVAGGIO A ROMA Inizio percorso: S. Ivo alla Sapienza, corso Rinascimento 40 PRIMA TAPPA / I COMMITTENTI PIAZZA MADAMA Vita violenta: i nemici e le aggressioni
Affaccio -> PIAZZA NAVONA
SECONDA TAPPA / LE GRANDI OPERE PIAZZA SAN LUIGI DEI FRANCESI Cappella Contarelli e il Ciclo Di San Matteo TERZA TAPPA / LE GRANDI OPERE PIAZZA SANT’AGOSTINO E LA MADONNA DEI PELLEGRINI QUARTA TAPPA / L’APPRENDISTATO A ROMA VIA DELLA SCROFA Bottega del garzone barbiere Pietro Paolo, del sellaio, del pasticciere, del pellaio Sinibaldi, stufa di Sant’Agostino, bottega di Lorenzo Carli. QUINTA TAPPA / GLI AMORI SANTI AMBROGIO E CARLO AL CORSO – ZONA DETTA “ALLI PANTANI” Casa di Maddalena Antognetti ‐ detta Lena ‐ “Donna del Caravaggio” SESTA TAPPA/ I NEMICI E LE AGGRESSIONI PIAZZA DI SAN LORENZO IN LUCINA Apprendistato a Roma
Sosta -> PIAZZA DELLA TORRETTA
SETTIMA TAPPA / VITA QUOTIDIANA VICOLO DIVINO AMORE L’uccisone di Ranuccio Tomassoni
Sosta -> PIAZZA FIRENZE
Vita violenta: i nemici e le aggressioni
Sosta -> VIA DELLA MADDALENA
Vita violenta: i nemici e le aggressioni
Sosta -> PIAZZA DELLA MINERVA
Vita violenta: il processo i nemici e le aggressioni
Sosta -> CHIESA DEL GESÙ
Fine percorso: palazzo Venezia, via del Plebiscito 1
I GRANDI TEMI DEL PERCORSO •
I COMMITTENTI Piazza Madama “dimora del Caradinal del Monte” (prima tappa) Vicolo del Salvatore – via Della Dogana Vecchia •
LE GRANDI OPERE Piazza San Luigi dei Francesi (seconda tappa) • Piazza Sant’Agostino (quarta tappa) •
APPRENDISTATO A ROMA Via della Scrofa “bottega Lorenzo Carli e Antiveduto Gramatica” (terza tappa) Piazza della Torretta “bottega del Cavalier d’Arpino” VITA VIOLENTA: I NEMICI E LE AGGRESSIONI • Piazza di San Lorenzo in Lucina (sesta tappa) Piazza Firenze “l’uccisione di Ranuccio Tomassoni” Via della Maddalena Piazza della Minerva Chiesa del Gesù •
VITA QUOTIDIANA Via della Lupa, 10 “Osteria della Lupa” Vicolo Divino Amore, 19, casa di abitazione e bottega (settima tappa) •
GLI AMORI Santi Ambrogio e Carlo al Corso (quinta tappa) 2
Inizio percorso: S. Ivo alla Sapienza, corso Rinascimento 40 I committenti 1. PIAZZA MADAMA Il potente cardinale Francesco Maria Del Monte accolse Caravaggio nella sua dimora a palazzo Madama, attuale sede del Senato, dove il pittore si fermò dall’estate del 1597 al 1600 circa. Il palazzo, denominato “Madama” perché vi abitò per molti anni Margherita d’Austria, vedova di Alessandro de Medici, tornò dal 1586 fra le proprietà della famiglia Medici che lo destinò a residenza romana degli ospiti e alti prelati della casa, fra i quali il cardinal Del Monte. Da sempre legato a Ferdinando de’ Medici, Del Monte era impegnato a curare presso la curia romana la politica medicea coltivando, contemporaneamente, anche la sua passione per le arti. Noto come collezionista e mecenate d’artisti, il cardinale aveva ammirato e probabilmente acquistato dal mercante d’arte Costantino Spata, che aveva bottega nella vicina piazza S. Luigi dei Francesi, due opere di Caravaggio: I bari, oggi a Forth Worth, e La buona ventura dei Musei Capitolini. Nel palazzo di Del Monte Caravaggio assapora finalmente un periodo di tranquillità dopo le difficoltà finanziarie dei primi anni romani descritte dai biografi secenteschi e ha modo di entrare in contatto con gli intellettuali e i mecenati più illustri, come il potente cardinale Alessandro Peretti Montalto, nipote di Sisto V, il cardinale Federico Borromeo, Vincenzo e Benedetto Giustianiani, il banchiere ligure Ottavio Costa, nonché le famiglie Aldobrandini, Mattei, o Crescenzi, solo per citarne alcune. Riflesso della vita colta che circonda Caravaggio sono le tele a soggetto musicale che rispecchiano gli interessi per musica e canto del cardinale Del Monte; fra queste I musici oggi a New York, dipinto espressamente per il porporato, e il Suonatore di liuto, di cui furono eseguite due versioni, una per Del Monte e una per Giustiniani (conservate rispettivamente al Metropolitan di New York e all’Hermitage di San Pietroburgo). All’epoca della sua permanenza in casa Del Monte, Caravaggio dovette eseguire anche il San Francesco riceve le stimmate acquistato dal banchiere Ottavio Costa nonché il Bacco degli Uffizi ed ebbe modo di cimentarsi nella pittura su parete, l’unico caso conosciuto della sua carriera: si tratta della raffigurazione ad olio su muro di Giove Nettuno Plutone nella stanza dedicata all’alchimia del Casino Ludovisi, a quel tempo proprietà del cardinale Del Monte. Agli anni conclusivi del secolo possono riferirsi altre due opere che riflettono il contatto con un ambiente ricco di sollecitazioni, ovvero la Medusa e la Canestra: la prima destinata dal cardinale al Granduca di Toscana e oggi agli Uffizi e la seconda per il cardinale Federico Borromeo, conservata nella pinacoteca Ambrosiana. Ancora per Del Monte Caravaggio dipinse, tra il 1598 e il 1600, un capolavoro assoluto in cui raggiunge il vertice della sua pittura giovanile: la Santa Caterina d’Alessandria oggi a Madrid, alla quale si accostano per ragioni stilistiche la Marta e Maddalena di Detroit, che una parte della critica individua in collezione di Olimpia Aldobrandini fin dal 1606, e la Giuditta e Oloferne Barberini per Ottavio Costa. E’ nell’ambito di fine secolo, fra luoghi familiari al pittore concentrati intorno al palazzo del cardinale Del Monte, quello della famiglia Crescenzi nei dintorni del Pantheon e il palazzo Giustiniani di fronte alla chiesa di San Luigi dei Francesi, che prende corpo la prima commissione pubblica. Forse grazie allo stesso Del Monte, Caravaggio nel 1599 ottenne il contratto per dipingere i quadri laterali della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi raffiguranti la Vocazione e il Martirio di San Matteo; poco dopo, nel 1602 il pittore realizzerà anche la pala d’altare con San Matteo e l’Angelo. 3
Vita violenta: i nemici e le aggressioni → Affaccio su PIAZZA NAVONA Ai margini del mondo artistico ufficiale e dei palazzi cardinalizi, innumerevoli pittori vivevano senza protezione dipendendo dai mercanti che rivendevano le loro merci in piccole botteghe nei rioni Parione e Campo Marzio, o sui banchi di Piazza Navona. Ed è proprio qui, in uno dei mercati più floridi dell’Urbe, che vivono ed operano alcuni dei personaggi, fra artigiani, artisti e committenti, legati a Caravaggio. Fra questi c’è Ottaviano Gabrielli, libraio e amico del pittore che nella piazza gestisce la propria attività e probabilmente, nel 1605, ospita la cortigiana Maddalena Antognetti, detta Lena, amante di Caravaggio, per darle protezione. E’ forse lo stesso Caravaggio a chiedere il favore all’amico, a seguito di un litigio avvenuto qualche giorno prima con il notaio Mariano Pasqualoni. Il 29 luglio, infatti, il giovane notaio denuncia di essere stato assalito alle spalle e colpito in testa con una spada; pur non avendo visto l’aggressore egli è convinto si tratti di Caravaggio, probabilmente già ai ferri corti con lui a causa della cortigiana Lena. La donna, probabilmente modella della Madonna dei Pellegrini e della Madonna dei Palafrenieri, aveva rifiutato la proposta di matrimonio del notaio e lo aveva reso oggetto di scherni e diffamazioni. A seguito di una querela, il tribunale aveva vietato la frequentazione fra Lena e Caravaggio ed è possibile che l’ordine sia stato recapitato al Merisi proprio dal Pasqualone, impiegato presso uno degli uffici legali del cardinale vicario di Roma. Dopo il reato, Caravaggio fugge e si trattiene qualche giorno a Genova, prima di rientrare a Roma e stipulare con il funzionario una pace firmata nel Palazzo del Quirinale dei Borghese il 26 agosto 1605. Aggressivo e spavaldo Caravaggio è spesso coinvolto in risse o arresti, come quello avvenuto nella notte del 3 maggio 1598. In quell’occasione il pittore è arrestato vicinissimo a casa Del Monte, tra Piazza Navona e Piazza Madama, per detenzione abusiva di armi (una spada e due compassi), e portato in carcere a Tor di Nona dove passa la notte. Interrogato dal magistrato il giorno dopo, dichiara di essere pittore del cardinal del Monte, di vivere in casa sua e di essere iscritto nella lista dei suoi familiari, cosa che lo avrebbe esentato dal divieto di portare armi in strada. È questa la prova del buon livello sociale ed economico raggiunto allora dall’artista, che purtroppo le intemperanze del suo difficile carattere non gli avrebbero consentito di mantenere a lungo. Qualche anno dopo, l’11 di settembre 1603, Caravaggio è arrestato di nuovo in Piazza Navona dopo la denuncia del pittore Giovanni Baglione. La denuncia diede inizio ad un famoso processo che vide imputati l’architetto Onorio Longhi e i pittori Michelangelo Merisi da Caravaggio, Orazio Gentileschi, e Filippo Trisegni, di aver diffuso versi offensivi contro la sua persona. Alla base della diffamazione, sostiene il Baglione, ci sarebbe l’invidia suscitata dallo scoprimento dell’enorme tela con la Resurrezione, realizzata dall’artista per la Chiesa del Gesù. Interrogato, Caravaggio dichiara di non conoscere la causa della sua incarcerazione, si dice del tutto estraneo alla vicenda delle poesie infamanti e risponde puntualmente alle domande che gli sono poste relative alla sua professione e allʹambiente artistico da lui frequentato. Quanto alla Resurrezione del Baglione, Caravaggio afferma che “Quella pittura della resurrettione lì al Giesù a me non me piace perché è goffa et l’ho per la peggio che habbia fatta, et detta pittura io non l’ho intesa lodare da nessun pittore et con quanti pittori io ho parlato a nessuno ha piaciuto”. Nel carcere di Tor di Nona l’artista viene trattenuto per tutto il tempo del processo e liberato il 25 settembre 1603. 4
Le grandi opere 2. PIAZZA SAN LUIGI DEI FRANCESI CAPPELLA CONTARELLI E IL CICLO DI SAN MATTEO Durante il XVI secolo la zona compresa tra la chiesa di Sant’Agostino e piazza S. Luigi dei Francesi fu oggetto di importanti trasformazioni che videro l’innalzamento o il consolidamento di imprese edilizie di notevole rilievo. Molti degli edifici che sorgevano nell’area fra piazza Navona e piazza della Rotonda, sui resti delle terme neroniano‐alessandrine, furono acquistati dai personaggi più facoltosi e importanti della corte pontificia, dai Giustiniani ai Medici, dai Crescenzi agli Aldobrandini, che li mutarono in magnifici palazzi sul finire del secolo. Il fulcro delle nuove costruzioni è l’edificazione della chiesa di S. Luigi dei Francesi (1519‐1589) costruita sulle rovine di antichissime chiesette e posta non lontano da palazzo Madama, residenza del cardinale Del Monte. La facciata, decorata dall’architetto Domenico Fontana su progetto di Giacomo della Porta, abbelliva lo spiazzo in cui terminava via della Scrofa e rappresentava il segno tangibile dell’alleanza fra la famiglia Medici e la nazione Francese a cui la chiesa appartiene tutt’ora. Dopo dieci anni dalla sua inaugurazione, la chiesa veniva arricchita internamente con tre dipinti destinati alla cappella Contarelli richiesti a Michelangelo Merisi da Caravaggio. La commissione, ottenuta probabilmente attraverso l’aiuto del cardinale Del Monte rappresenta per Caravaggio il debutto sulla scena artistica romana. Nel contratto firmato il 23 luglio 1599, lʹartista si impegna con la Congregazione della Chiesa, a realizzare entro l’anno, due grandi quadri raffiguranti Storie di San Matteo. La somma pattuita è notevole: 400 scudi complessivi, la stessa cifra offerta quasi due anni prima per lo stesso lavoro al Cavalier d’Arpino, un pittore, cioè, all’apice della sua fama. Il contratto viene rogato nel palazzo di Pietropaolo Crescenzi posto al Pantheon, poco lontano dalla chiesa di S. Luigi dei Francesi, da palazzo Giustiniani e da palazzo Madama. Caravaggio lavora inizialmente al Martirio di San Matteo confrontandosi per la prima volta con una composizione su larga scala animata da un gran numero di figure, ma il risultato non dovette soddisfarlo troppo perchè ricoprì la prima versione dipingendovi sopra la composizione definitiva che oggi è visibile nella cappella. Dipinta negli stessi mesi del Martirio, la Vocazione di San Matteo appare nelle sue modalità esecutive molto diversa e più matura, segno che Caravaggio è ormai consapevole delle sue potenzialità espressive anche in dimensioni monumentali. Qualche anno dopo, il 7 febbraio 1602, Caravaggio firma un contratto con l’abate Giacomo Crescenzi per l’esecuzione della pala raffigurante San Matteo con lʹangelo da collocarsi sopra lʹaltare della cappella Contarelli; la somma concordata è di 150 scudi. Questa prima versione (già a Berlino, poi distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale) non trova effettiva sistemazione nella cappella e viene acquistata dal marchese Vincenzo Giustiniani, che dell’artista è uno dei massimi collezionisti: nel suo palazzo nei pressi di San Luigi dei Francesi, ora sede del Senato, arriverà a possederne quindici opere. Michelangelo realizza una nuova tela nei mesi seguenti, cui si riferisce probabilmente il saldo di 65 scudi da parte di Francesco Contarelli, datato 22 settembre 1602. L’area di San Luigi sancisce per certi versi la consacrazione pubblica di Caravaggio ma curiosamente, la stessa zona, aveva assistito anche al tentativo del pittore di imporsi sulla scena romana all’epoca del suo arrivo nell’Urbe: qui infatti nell’isolato di fronte all’angolo della chiesa nel 1597 aveva bottega Costantino Spata, rivenditore di quadri, “attaccato alla Madonella acanto a san Luisci” Secondo le fonti secentesche Spada avrebbe esposto nel proprio negozio alcune primissime opere di Caravaggio, subito notate dal cardinal Del Monte. Sentito dalle autorità giudiziarie sul caso dei barbieri di SantʹAgostino, nel 1597, Costantino afferma di avere la bottega da quattro anni e di viverci sopra insieme alla moglie, Caterina Gori, e a quattro figli. 5
Le grandi opere 3. PIAZZA SANT’AGOSTINO E LA MADONNA DEI PELLEGRINI Tra i luoghi che videro protagonista Caravaggio durante la sua parabola romana, l’Isola di Sant’Agostino è quello che ne rappresenta lo snodo essenziale. La zona occupava una posizione strategica trovandosi a nord di piazza Navona, dove si svolgeva un vivace mercato settimanale, e a monte del Porto di Ripetta, scalo fluviale delle merci. Oggetto di eccezionale sviluppo fin dall’inizio del Cinquecento, l’area aveva subito interventi di riqualificazione da parte dei pontefici Giulio II e Leone X che avevano favorito l’apertura della via Leonina (via della Scrofa) con l’obiettivo di ripopolare un’area in gran parte disabitata. La costruzione del nuovo asse viario assunse l’aspetto di una grande operazione immobiliare poiché tutte le aree edificabili appartenenti agli agostiniani Osservanti di Lombardia vennero vendute e gli acquirenti furono prevalentemente architetti e muratori lombardi. La nuova via aveva lo scopo anche di collegare le chiese agostiniane di S. Maria del Popolo e S. Agostino e, più in generale, la zona nord di Roma. I lavori contribuirono a trasformare definitivamente l’aspetto dell’abitato, in gran parte ancora medievale, in una struttura moderna e funzionale e la sistemazione del nuovo asse viario determinò la riconversione della zona, ora eletta luogo privilegiato da nobili e ricchi mercanti che qui sceglievano di edificare la propria residenza. Nella chiesa di S. Agostino, la famiglia del marchese Ermete Cavalletti, morto nel 1602, aveva acquistato nel settembre del 1603 una cappella per ornarla, secondo le volontà del defunto, di un dipinto che onorasse la Madonna di Loreto, cui il loro congiunto era particolarmente devoto. Verso la fine dello stesso anno Caravaggio cominciò dunque a dipingere, per il primo altare sulla sinistra della chiesa, la famosa immagine della Madonna che con il Bambino in braccio si affaccia sull’uscio della porta della Santa Casa – che la tradizione vuole portata in volo dagli angeli da Nazareth per metterla al riparo dai pericoli della guerra, approdando a Loreto – e accoglie i due umili pellegrini. Il dipinto pone l’accento non tanto sulla casa, in cui si credeva la Vergine avesse vissuto, quanto sul pellegrinaggio rappresentato dai due personaggi in primo piano. Devotamente inginocchiati e rappresentati realisticamente con i piedi scalzi e sporchi, i pellegrini accedono al ricompensa della visione divina. Il quadro non venne rifiutato, anzi probabilmente ne fu apprezzato lo spirito pauperistico della scena, ma la scena dei pellegrini lasciò qualche perplessità e, a detta dei biografi, anche proteste da parte dei contemporanei. L’apprendistato a Roma 4. VIA DELLA SCROFA Posta nel Rione Colonna, a confine con Campo Marzio, la contrada della Scrofa si articolava intorno all’omonima piazza, al centro del quale era posta una fontana pubblica decorata con una piccola scrofa, attualmente murata nel fianco del convento degli agostiniani. Dalla piazza si dipartivano i vicoli diretti verso il palazzo dell’ambasciatore fiorentino, mentre la contrada raggiungeva gli isolati tra piazza Firenze, vicolo e piazza della Lupa e via dei Prefetti. La strada inoltre ospitava l’Osteria della Scrofa, ma non quella in cui si recarono Caravaggio e compagni la sera dell’8 luglio 1597 quando venne aggredito il musico Angelo Zanconi; l’osteria che li ospitò era quella della Lupa indicata però dai compagni con il toponimo “alla Scrofa”. A proposito della sera dell’8 luglio, vale la pena soffermarsi sui fatti accaduti in quanto trattasi delle prime vicende giudiziarie note in cui Caravaggio è coinvolto dopo l’arrivo a Roma. Quella sera, dunque, il musico Zanconi è aggredito mentre stava tornando a casa in via Pozzo delle Cornacchie, vicino a S. Agostino, e nella colluttazione perde il mantello. Nei pressi si trovava Caravaggio, in compagnia del mercante Costantino Spata e dall’amico/pittore Prospero Orsi, con i quali era stato a cena. I tre stavano tornando alle rispettive abitazioni verso S. Luigi dei Francesi e stando alle deposizioni, appena passata la chiesa di S. Trifone sentirono dei rumori verso S. Luigi 6
e all’altezza delle scale di S. Agostino sentirono un uomo che gridava correndo verso via della Scrofa. Camminando verso S. Luigi davanti alla bottega di barbiere “che va alla rotonda” trovarono per terra un mantello, Caravaggio lo raccolse e lo consegnò a Pietropaolo, garzone del barbiere Marco. Particolarmente interessante è la descrizione di Caravaggio fornita dai testimoni interrogati sulla vicenda: Luca, figlio del barbiere Marco, riferisce che “Questo pittore è un giovenaccio grande di vinti o vinticinque anni con poca di barba negra grassotto con ciglia grosse et occhio negro, che va vestito di negro non troppo bene in ordine che portava un paro di calzette negre un poco stracciate che porta li capelli grandi longhi dinanzi…”. Il garzone Pietropaolo è ancora più preciso: “Questo Michelangelo pittore è di età di 28 anni incirca, di giusta statura più presto grande che altrimente grassotto, non molto biancho in faccia ne anco bruno, et ha un poco di barba negra ma poca, e veste di negro di mezza rascia negra non troppo bene in ordine et alle volte va bene in ordine alle volte no et porta un cappello di feltro negro. Questo pittore che me dette il ferraiolo si dimanda Michelangelo, che al parlare tengo sia milanese […] mettete lombardo, per che lui parla alla lombarda, et lo cognosco da questa quaresima prossima passata ha fatto l’anno, con occasione che praticava nella bottegha di un pittore che stava in su la strada per andare alla Scrofa, vicino alla bottegha di mastro Marco barbiero, mio padrone, accanto un sellaro, qual morse questa quaresima prossima passata che si chiamava mastro Lorenzo…” Proprio su via della Scrofa, all’incrocio con il vicolo della Stufa di S. Agostino, era situata la bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli, che accolse Caravaggio subito dopo il suo arrivo a Roma, e dove il pittore lavorò fra 1596 e 1597 dipingendo “teste”. Altro particolare interessante nel tessuto viario era costituito dalla cosiddetta Stufa dei frati di S. Agostino posta poco lontano dalla bottega del Carli: si trattava di un esercizio, gestito da privati che pagavano un affitto ai padri agostiniani, volto alla cura e all’igiene della persona, un punto di ritrovo per gli abitanti che non avevano la possibilità di lavarsi in casa. In questa zona, oltre a quella del Carli si aprivano le botteghe di diversi personaggi noti attraverso le vicende caravaggesche come quella del barbiere Pietropaolo, o del più noto pittore Antiveduto Gramatica, mentre a pochi isolati si trovava la bottega anche del Cavalier d’Arpino situata “alla Torretta”. Gli amori 5. SANTI AMBROGIO E CARLO AL CORSO – ZONA DETTA “ALLI PANTANI” La zona era notoriamente conosciuta come luogo di malaffare, frequentato da balordi e cortigiane alcune delle quali, di alto rango, erano persino riuscite a comprare una dimora. A Piazza del Monte d’Oro vi era un muro con due porte, chiuso ad ore fisse per regolamentare il controllo sulla prostituzione, mentre verso il Mausoleo di Augusto si trovavano i cosiddetti “ortacci” e i campi della Pallacorda. Gli “ortacci” erano i quartieri abitati dalle prostitute, un vero e proprio ghetto chiuso, molte donne frequentate da Caravaggio hanno abitato in queste zone. I documenti parrocchiali della chiesa di Santa Maria del Popolo registrano dal 1602 al 1606, nei pressi della chiesa di Sant’Ambrogio, la casa della cortigiana Maddalena Antognetti, detta Lena, amante di Caravaggio. “Figlia dʹarte”, dato che anche sua madre e sua sorella si prostituivano, Lena è un bella ragazza romana, e come tale appare nei panni della Madonna di Loreto e, forse, della Madonna dei Palafrenieri, eseguite da Caravaggio per la chiese di SantʹAgostino e di San Pietro in Vaticano. Lena non è l’unica cortigiana a far da modella a Caravaggio. Molti studiosi hanno ipotizzato che a posare per la Maddalena (Doria) e per la figura della Madonna nel Riposo dalla fuga in Egitto (Doria) sia stata Anna Bianchini, curiale romana di origine senese. Non ci sono documenti che dimostrino la conoscenza e la frequentazione di Caravaggio con Anna, è però significativo il fatto che la donna fosse arrivata in città in compagnia di Fillide Melandroni, in seguito in contatto con il Merisi. Le 7
due donne, avviate alla professione di cortigiane, vivono insieme in via dell’Armata (una traversa di via Giulia verso il Tevere, tuttora esistente) e insieme sono arrestate nel 1594 per essere state sorprese fuori dalla zona riservata alle prostitute: all’epoca Anna ha quattordici anni e Fillide tredici. Mentre Anna intraprende ben presto un percorso in discesa, Fillide riesce, già nel 1603, ad affrancarsi dalla vita di strada come dimostrano gli spostamenti di casa verso Trinità dei Monti precisamente tra via del Gambero e via Belsiana dove nella Pasqua del 1603, la si trova condividere lʹabitazione con la zia e il fratello. Segni della sua ascesa sociale si concretizzano nella conquista di un protettore: si tratta di Ulisse Masetti, uomo al servizio del cardinale Benedetto Giustiniani e amico di Ranuccio Tomassoni, col quale ebbe, come affermò la stessa Fillide “conoscenza carnale”, ricevendone in dono un abito di taffetà “color fiamma”. Masetti in una deposizione resa in tribunale nel 1601 dichiarava che la loro relazione era finita da un paio di anni, ma quattro mesi prima aveva pranzato con lei e con Ranuccio Tomassoni. Nella zona dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso, Caravaggio è arrestato per due volte nel giro di tre mesi: la prima volta è sorpreso davanti alla basilica dei SS. Ambrogio e Carlo nella notte tra il 27 e il 28 maggio 1605, e arrestato per porto d’armi abusivo. Trasferito a Tor di Nona e interrogato, il pittore dichiara di aver ricevuto dal Governatore di Roma, allʹepoca il cremonese monsignor Benedetto Ala, per il quale dipinse un intenso s. Francesco, lʹautorizzazione “verbale” a girare armato. Il 19 luglio 1605 Caravaggio danneggia la porta dell’abitazione di Laura e Isabella della Vecchia, sulla medesima strada e viene rinchiuso nel carcere di Tor di Nona, ma ne esce il giorno dopo dietro la garanzia, e sotto la pena di 100 scudi, degli amici Cherubino Alberti, Girolamo Crocicchia, Prospero Orsi e Ottaviano Gabrielli. Un’altra delle prostitute con cui ha a che fare Caravaggio è Domenica Calvi, detta Menicuccia che risulta abitare in una grande casa sulla strada vicino al Collegio dei Greci come confermano il testamento della Calvi, rogato il 1 marzo 1601, e il rinnovo del suo contratto di affitto datato 3 aprile 1602. La donna non eʹ chiaramente rintracciabile nei quadri di Caravaggio e di lei non si sa molto: un documento rende noto il suo arresto la sera del 9 agosto 1601 quando viene fermata in carrozza dal Bargello a Porta Pinciana “incontro la porta della vigna del Cardinal del Monte”. Menicuccia si trova in compagnia di ad altre due donne e tutte vengono arrestate, forse, mentre si dirigevano proprio al casino di caccia di Del Monte. Nel suo interrogatorio Menicuccia riferisce di aver trascorso il pomeriggio nel giardino dei Medici in compagnia di alcuni gentiluomini e del loro seguito e tra questi annovera Caravaggio. L’episodio attesta il giro di rispettabilissime frequentazioni, tra nobili e alti prelati, tra cui ruotano le “oneste cortigiane” del tempo. Qualche anno dopo sembra che Caravaggio frequenti ancora Menicuccia. L’episodio si svolge allʹaltezza di via dei Greci dove il pittore viene arrestato la notte tra il 19 e il 20 ottobre 1604 per aver scagliato delle pietre insieme ad alcuni amici, tra i quali il libraio Ottaviano Gabrielli, il profumiere Alessandro Tonti, operante a Tor Sanguigna, e Pietro Paolo Martinelli, corriere e servo del cardinal Aldobrandini, detto Spaventa. Secondo le sue dichiarazioni, Caravaggio, dopo aver cenato allʹosteria della Torretta, si era diretto verso il Popolo con Spaventa e Onorio Longhi e verso SantʹAndrea aveva incontrato Ottaviano e un altro. “Quando io intesi tirare li sassi stavo a raggionare con Menicuccia che sta in detta strada et li sassi furno tirati avanti che io credevo fussero tirati alli miei compagni”. Durante l’arresto Caravaggio insulta i gendarmi, anche se, nel corso dellʹinterrogatorio, sostiene che si tratta dellʹillazione di un caporale suo nemico, tale Malanno, che “sempre quando me trova me fa di queste insolentie” e nega decisamente di aver detto agli sbirri “né che l’havevo in culo né che leccava la lume né cosa nesuna”. 8
Vita violenta: i nemici e le aggressioni 6. PIAZZA DI SAN LORENZO IN LUCINA La zona è nota per aver ospitato la residenza di Gian Francesco, fratello di Ranuccio Tomassoni, e caporione di Campo Marzio. Il 21 agosto del 1604 Ranuccio e i suoi fratelli vengono arrestati sulla piazza per episodi di violenza. L’esterno della chiesa di San Lorenzo accoglie la sepoltura della cortigiana Fillide Melandroni, morta nel luglio 1618 e precedentemente residente “alla strada de Borgognoni”; la donna è nota per aver posato come modella di Caravaggio per il Ritratto di Cortigiana (già Berlino, distrutto nella Seconda Guerra Mondiale). Fillide venne tumulata fuori del sagrato della chiesa perché rifiuta la confessione e la comunione, e dunque non può trovare sepoltura all’interno dell’edificio sacro. Di Fillide Melandroni è noto il testamento (8 ottobre 1614) e l’inventario dei beni, redatto il 3 luglio 1618 dopo la sua morte; in esso sono descritti gli orecchini pendenti in oro con due perle che la donna indossa nel quadro di Caravaggio, il quale dipingeva dal vero anche l’abbigliamento dei suoi modelli. Fillide dichiara di avere in casa sua un ritratto di mano di Caravaggio che appartiene a Giulio Strozzi al quale deve essere restituito. Lo Strozzi era uno scrittore fiorentino, un documento lo definisce addirittura nobile, dunque Fillide era una cortigiana di alto livello, frequentava letterati. Il Ritratto di Fillide Melandroni compare nell’inventario di quadri del Marchese Giustiniani del 1638, custoditi nel suo palazzo a San Luigi dei Francesi. Forse il marchese ottenne il quadro da Giulio Strozzi o forse lo comperò sul mercato antiquario dopo la morte della cortigiana. L’intreccio di conoscenze è senz’altro curioso: Fillide fu infatti l’amante di Ranuccio Tomassoni, l’uomo ucciso dal Caravaggio nel 1606 e il marchese Giustiniani fu forse il più grande ammiratore e mecenate di Caravaggio, arrivando ad avere nel suo palazzo ben quindici opere del pittore. Apprendistato a Roma
sosta → PIAZZA DELLA TORRETTA Si trova in questa zona la bottega del pittore Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, uno dei protagonisti assoluti sulla scena artistica romana all’epoca di Clemente VIII. Potente e rispettato il Cesari aveva creato una bottega numerosa, in grado di aiutarlo nei numerosi impegni di cantiere e in cui si distinguevano pittori specialisti di paesaggi e nature morte. Nella casa‐bottega del Cavaliere, che viveva in modo molto agiato tanto da riuscire a comprarsi un palazzetto sulla via del Corso, erano presenti anche quadretti da vendersi sul mercato e si eseguivano copie di opere famose. Degli otto mesi trascorsi da Caravaggio nella bottega del Cesari non è noto nulla e sono ricostruibili solo in via ipotetica, sulla base unicamente delle due tele che è noto con certezza essere nello studio dell’arpinate. Si tratta del Bacchino malato e del ragazzo con canestra di frutta (galleria Borghese) arrivate in collezione Borghese a seguito della confisca dei beni subita dal Cesari nel 1607. Il primo marzo 1607, infatti, il Cavalier d’Arpino è improvvisamente coinvolto in un procedimento giudiziario con l’accusa di avere organizzato il ferimento del pittore Cristoforo Roncalli detto Pomarancio. La questione risaliva probabilmente alla manovra, intentata da Roncalli, di sostituirsi al Cesari nella direzione dei mosaici che si stavano mettendo in opera nella cupola di S. Pietro dal 1603. Il procedimento giudiziario finì nel sequestro, da parte del Fiscale di Paolo V, dei beni di proprietà del Cesari, ovvero della sua preziosa collezione di dipinti che includeva anche opere di altri artisti fra le quali i dipinti giovanili di Caravaggio, eseguiti durante il soggiorno nella bottega arpinate e confluiti quindi nella raccolta di Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V. Interessante è rilevare che il Cesari, assolto dal sospetto di ferimento del Roncalli, è comunque incriminato per la detenzione di due pistole proibite in casa, reato per il quale era prevista la pena capitale e 9
soprattutto ‐ cosa a cui puntava Scipione Borghese ‐ la confisca del patrimonio Il periodo di duro apprendistato di Caravaggio presso il Cesari si sarebbe protratto circa otto mesi, durante i quali Michelangelo avrebbe dormito su un pagliericcio. A interrompere la collaborazione, oltre all’inevitabile insofferenza del pittore, potrebbe essere stato il ferimento piuttosto grave dell’artista ad una gamba, forse dovuto a una caduta da cavallo: necessitando di cure, Caravaggio viene ricoverato per diversi giorni presso l’ospedale della Consolazione. Dopo quest’oscuro episodio non fece più ritorno nella bottega di D’Arpino con il quale si interruppero i rapporti. Solo anni dopo, secondo quanto riporta Sandrart nel 1675 i due si incontrarono: “…accadde che Giuseppe d’Arpino, andando a corte a cavallo, incontrò Michelangelo da Caravaggio, il quale gli si accostò dicendo: “E’ il momento giusto per sistemare la nostra lite, dato che siamo entrambi armati” e gli ingiunse di smontare da cavallo e prepararsi a combattere. Ma Giuseppe rispose che come Cavaliere del papa non poteva degnarsi di combattere con uno che non era di quel rango. Questa risposta formale ferì il Caravaggio più profondamente di quanto avrebbe fatto un affondo di spada, e lo turbò e infuriò a tal punto che immediatamente (poiché non voleva por tempo in mezzo) vendette in contanti tutti i suoi beni agli Ebrei è partì per Malta per farsi nominare cavaliere dal Gran Maestro”.
Vita quotidiana 7. VICOLO DEL DIVINO AMORE ‐ VIA DEI PREFETTI L’8 maggio 1604 Caravaggio affitta una casa in vicolo S. Biagio (ora via del Divino Amore n. 19), stradina che costeggiava il palazzo dellʹAmbasciatore di Firenze; il vicolo prendeva il nome dal suo affaccio sulla chiesa dei SS. Cecilia e Biagio; nell’Ottocento la chiesa fu affidata alla Confraternita del Divino Amore e il vicolo assunse l’omonimo nome della confraternita. Tra le registrazioni degli Stati delle Anime della chiesa di S. Nicola dei prefetti nel giugno 1605 si trova citata la casa presa in affitto da Caravaggio, i documenti parrocchiali menzionano la presenza del pittore e del suo garzone Francesco. Dalla ricostruzione del percorso seguito dal parroco si evince che, dopo la prima casa posta sul lato destro del vicolo, venendo da S. Nicola dei Prefetti, si trova l’ abitazione di Prudenzia Bruni e che a fianco è la residenza di Caravaggio e del proprio aiutante. La casa era costituita da una sala con camere, scale, cantine, cortile, orto e pozzo. L’abitazione in realtà è di proprietà di Laerzio Cherubini ‐ il giureconsulto che aveva ordinato all’artista la Morte della Vergine ‐ ma l’usufruttuaria è una donna di nome Prudenzia Bruni che i documenti dicono sposata una prima volta con Pietro Forni bolognese, speziale a Tor Sanguigna e una seconda volta con Bonifacio Sinibaldi calzolaio, poi mercante di polli. Sinibaldi conosceva il marchese Vincenzo Giustiniani in casa del quale il calzolaio estinse il proprio debito per i lavori edilizi nella casa in vicolo San Biagio; i coniugi erano anche in rapporti con Pietropaolo Pellegrini garzone di Marco, barbiere a S. Agostino la cui bottega si trovava di fronte a quella di Sinibaldi. È possibile anche che il tramite fra l’artista e l’affittuaria Prudenzia sia stato proprio il giurista Laerzio Cherubini proprietario della casa. Sappiamo la casa subì lavori di ristrutturazione tra il 1601 e il 1604 e che venne adattata in due appartamenti per una rendita certa. L’8 maggio 1604 Prudenzia affittava così metà dell’abitazione al pittore con un atto di affitto e dietro pagamento anticipato del canone del primo trimestre. Curiosamente, dal contratto si apprende che Merisi volle mettere per iscritto la richiesta di scoprire la metà della sala e che la Bruni acconsentì tutelando però i suoi interessi garantendosi, al termine della locazione, il ripristino degli ambienti a spese del pittore. Caravaggio versò regolarmente il canone fino a gennaio 1605 poi, non si sa perché, smise; dopo sei mesi, da febbraio a luglio 1605, il suo debito ammontava a 22,50 scudi. Per questo la Bruni si rivolse al tribunale chiedendo e ottenendo un mandato di sequestro degli oggetti del pittore presenti in casa come risarcimento per gli affitti mancanti. 10
Si può pensare che tra i motivi della richiesta di Caravaggio di voler “scoprire metà della sala” c’era certo lo scopo era ottenere una luce più intensa sfruttando le finestre delle soffitte, ma anche una maggiore altezza nell’ambiente per consentire la sistemazione di tele di grandi dimensioni. A quest’epoca Caravaggio si apprestava ad iniziare la Morte della Vergine commissionatagli il 14 giugno 1601 proprio dal giurista Laerzio Cherubini, lo stesso che è proprietario della casa in cui vive il pittore e che potrebbe aver favorito la nuova sistemazione mosso dal desiderio di vedere finalmente terminato il dipinto che attendeva da ben tre anni. Creando le condizioni ideali per il compimento del quadro, Cherubini sperava forse, in questa maniera, di ottenere qualche diritto di precedenza su altre commissioni. L’uccisone di Ranuccio Tomassoni
sosta → PIAZZA FIRENZE La zona adiacente piazza Firenze è teatro di una delle ultime azioni di Caravaggio nella città papale, un omicidio, dopo il quale il pittore non potrà farvi mai più ritorno. L’area è nota, oltre che per la presenza di palazzo Firenze, di proprietà di Ferdinando de’ Medici e dimora dell’ambasciatore fiorentino a Roma, anche per l’esistenza di campi per il gioco della pallacorda. Questi ultimi si trovavano nella via che ora porta lo stesso nome, adiacenti al palazzo: l’episodio “criminoso” più noto del Caravaggio avviene proprio qui forse, ma non è certo, a seguito di una discussione per una partita di pallacorda in cui il pittore uccide Ranuccio Tomassoni. Una prima notizia è fornita da un documento che porta la data del 28 maggio 1606 e che racconta come il duello insorga tra gli otto partecipanti al gioco, quattro per parte, mentre tutta Roma festeggia il primo anno del pontificato di Paolo V Borghese. Nella squadra di Caravaggio compaiono Onorio Longhi, Petronio Troppa, soldato a Castel Sant’Angelo, e un quarto uomo non identificato. Nella banda di Ranuccio, i cognati Ignazio e Federico Iugoli e il fratello Gian Francesco, caporione di Campo Marzio. Non è possibile ad oggi stabilire le reali motivazioni che portarono alla morte di Ranuccio Tomassoni, dalle testimonianze e i pochi documenti sappiamo che egli fu ferito gravemente alla coscia e che ebbe appena il tempo di confessarsi per poi essere seppellito quello stesso giorno nella chiesa di Santa Maria ad Martyres, al Pantheon. Michelangelo fugge verso i feudi Colonna a nord di Roma. Lʹazione penale prende il via dal mese dopo ma, tranne il Troppa, tutti gli imputati risultano contumaci e pertanto non viene celebrato un regolare processo. La pena per tutti è l’esilio, mentre per Caravaggio, ormai in fuga, è la condanna alla pena capitale. È difficile dire se si trattò di delitto premeditato o di un infelice tentativo di umiliare ulteriormente un avversario che già giaceva a terra; è possibile però che di premeditato ci fosse lo scontro poiché i magistrati sospettarono che il Troppa fosse stato assoldato dunque ci si attendeva un combattimento pericoloso. Per il momento i documenti rinvenuti non permettono di dirimere la questione quindi l’omicidio del Tomassoni resta “solo” uno dei tanti casi in cui all’epoca si arrivava al sanguinoso regolamento dei conti privato. Vita violenta: i nemici e le aggressioni
sosta → VIA DELLA MADDALENA A via della Maddalena “nella strada che va dalla Rotonda a Campo Marzo” era posta l’Osteria del Moro dove il 24 aprile 1604 ha luogo uno degli episodi violenti che riflettono maggiormente il carattere iroso di Caravaggio: l’aggressione del garzone Pietro da Fusaccia contro cui il pittore scaglia un piatto di carciofi. Stando a un testimone, il Merisi aveva domandato allʹinserviente, sopraggiunto con le pietanze, se i carciofi erano allʹolio o al burro essendo tutti in un piatto. Il garzone disse di non saperlo “et ne pigliò uno et se lo 11
mise al naso”. Il gesto fa infuriare Caravaggio, che non riesce a trattenersi e ed alzandosi in piedi incollerito apostrofa al garzone: “Se ben mi pare, becco, fottuto, ti credi di servire qualche barone”, quindi afferra il piatto e lo tira in faccia al malcapitato. Denunciato dal cameriere spaventato, che asserì di essere stato minacciato dal pittore con una spada, Caravaggio venne processato, ma riuscì a non ottenere sanzione, forse grazie all’appoggio del potente cardinale Del Monte. Roma era campo di discordie e tumulti e durante l’autunno 1604, mentre le strade erano pervase da un’atmosfera violenta e brutale, la vita di Caravaggio divenne sempre più agitata, dominata da un clima di inquietudine che porterà spesso l’artista a incorrere in seri guai con la legge. Dopo l’episodio all’Osteria del Moro, tra il 19 e il 20 ottobre l’artista venne imprigionato nel carcere di Tor di Nona insieme con altri compagni per aver tirato pietre alla polizia in via dei Greci e il 18 novembre è di nuovo in galera per aver insultato un ufficiale alla chiavica del Bufalo che gli aveva chiesto se aveva il porto d’armi, ma dopo averlo prodotto, il pittore aveva sciorinato contro la guardia pesanti insulti “Ho in culo te e quanti par tui si trovano” tanto che poi si ritrovò nella prigione di Tor di Nona. Vita violenta: i nemici e le aggressioni sosta → PIAZZA DELLA MINERVA Il 16 novembre 1603 durante la messa mattutina nella chiesa di S. Maria della Minerva, volano ingiurie da parte dell’architetto Onorio Longhi contro i pittori Tommaso Salini e Giovanni Baglione. Tullio, luogotenente del Bargello il 16 novembre depone di aver arrestato in seguito a querela Onorio Longhi, colpevole di aver insultato, in compagnia di Andrea Rufetti, Salini e Baglione durante la messa e di averli minacciati anche con la spada fuori dalla chiesa e sulla porta di casa del Salini. Alcuni testimoni, tra i quali lo scultore Tommaso della Porta oltre al barbiere Lazaro Visca e al merciaio Giuseppe Veneroso, riferiscono (18 novembre) di aver visto il Longhi con la spada in mano. L’episodio è certo uno strascico del processo intentato qualche mese prima da Baglione contro Longhi, Caravaggio, Orazio Gentileschi e Filippo Trisegni, per aver diffuso versi offensivi contro la sua persona. In questo momento Caravaggio è impegnato a soddisfare le richieste dei suoi ormai numerosi committenti; nella tarda primavera del 1601 il pittore si era trasferito a palazzo Mattei dove rimase probabilmente fino al 1602‐103 in tempo per eseguire, fra 1601 e 1603, diverse tele per Ciriaco Mattei come la Cena in Emmaus (Londra, National Gallery), un San Giovanni Battista (Pinacoteca Capitolina) e la Presa di Cristo nell’orto (Dublino, National Gallery). Dopo il 1600, Caravaggio è al lavoro anche per il marchese Vincenzo Giustiniani e per suo fratello, il cardinale Benedetto: in tutto ben quindici tele, purtroppo non tutte pervenute. Al Suonatore di liuto dipinto qualche anno prima, si aggiungono fra 1601 e 1604 anche un Incredulità di San Tommaso (Potsdam), l’Amore Vincitore (Berlino), l’’Incoronazione di spine (Vienna) e un San Gerolamo identificato da alcuni con l’esemplare conservato a Barcellona (Abbazia di S. Maria di Montserrat). Il suo stile è ormai consolidato, ammirato e imitato da artisti che resero permeabile la propria pittura alle novità naturalistiche e luministiche rivelate dall’arte del maestro di cui intuirono, con acuta lungimiranza, le possibilità espressive adottandone forme e modelli, restando però spesso lontani da una reale e totale comprensione di essi. La breve esperienza caravaggesca di Baglione, pittore perlopiù tardo manierista, interrotta bruscamente dal famoso processo del 1603 che segnò il definitivo allontanamento del pittore dall’ambiente naturalistico, aveva portato alla creazione di opere come l’Amore sacro e Amore profano (Barberini) del 1602, eseguita per il cardinale Benedetto Giustiniani in aperta competizione con l’Amore vincitore del Merisi. 12
Fra i primi seguaci di Caravaggio, quelli cioè già attivi anteriormente al 1610, non è raro trovare personalità di formazione tardo manieristica, con esperienze maturate nell’ambito dei vivaci cantieri sistini e clementini come lo stesso Giovanni Baglione. Altri pittori come Antiveduto Grammatica, Carlo Saraceni e Orazio Borgianni pur appartenendo ai caravaggeschi di prima generazione aderiscono al naturalismo comprendendone le potenzialità del messaggio, ma raramente riescono ad attuarlo a pieno optando piuttosto per un’originale sintesi pittorica che vede la commistione del nuovo linguaggio con moduli compositivi tardo cinquecenteschi e con personali reminiscenze pittoriche di base. Tutto ciò riveste un’importanza fondamentale per capire appieno quale fu la reale influenza causata dalla maniera di Caravaggio e il tipo di risultati raggiunti sulla scena artistica romana nei primi anni del secolo. Vita violenta: il processo i nemici e le aggressioni sosta → CHIESA DEL GESÙ Di pari passo col crescere della fama e l’intensificarsi della produzione artistica tuttavia aumentano anche gli episodi di violenza e i guai giudiziari in cui Caravaggio si lascia coinvolgere. E’ del 1603 il processo che il Baglione intentò contro il Merisi, ritenuto autore di scritti diffamatori contro di lui, uno di questi inizia con “Giovan Bagaglia tu non sai un ah le tue pitture son pituresse volo vedere con esse che non guadagnerai mai una patacca” e ancora “Gioan Coglion senza dubio dir si puole quel che biasimar si mette altrui che può cento anni essere mastro di lui”. Dissapori tra i due artisti ce n’erano già stati in occasione della competizione artistica tra l’Amor vincitore e le due versioni dell’Amore sacro e Amore profano, che Baglione aveva eseguito per il cardinale Benedetto Giustiniani e che gli aveva fruttato, oltre ad una collana d’oro, la commissione di una Resurrezione per la chiesa del Gesù. A proposito del dono uno dei versetti sottolinea “..perdonami dipintore se io non ti adulo che della collana che tu porti indegno sei et della pittura vituperio”. Il lavoro più ambizioso di Baglione, eseguito probabilmente in quest’atmosfera d’invidia e accesa rivalità, fu esposto a Pasqua del 1603 e subito coperto di insulti da Caravaggio e dalla sua cricca, che misero in atto una vera e propria campagna diffamatoria a mezzo di poesie scurrili e offensive contro Baglione e il suo amico Tommaso (detto Mao) Salini. L’artista offeso querelò per diffamazione Caravaggio, Onorio Longhi e Orazio Gentileschi quali autori dei versi, aggiungendo in seguito Filippo Trisegni, che aveva dato i testi a Salini. La posta in gioco era la supremazia nell’ambiente artistico romano e le testimonianze del processo, in questa luce, appaiono come un regolamento di conti fra artisti in un clima di accesa rivalità e competizioni, di liti violente e bruciante invidia. Ed è proprio l’invidia, secondo quanto dichiarerà Baglione nella deposizione del 28 agosto 1603, ad aver mosso Caravaggio irritato e deluso di non aver ottenuto lui la commissione della Resurrezione. La tela “incriminata” verrà sostituita nel XVII secolo dal dipinto di Carlo Maratta, ancora in loco. → Fine percorso: palazzo Venezia, via del Plebiscito 13
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