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Istituzione
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PROPRIETÀ LETTERARIA
00130836
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€ 35,00
PRINTED IN ITALY
N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO
2012
FONDATA E RETTA DA
WALTER BIGIAVI
(1955-1968)
E DA
ALBERTO TRABUCCHI
(1968-1998)
DIREZIONE
C. MASSIMO BIANCA FRANCESCO D. BUSNELLI
GIORGIO CIAN ANGELO FALZEA GIOVANNI GABRIELLI
ANTONIO GAMBARO NATALINO IRTI GIUSEPPE B. PORTALE
ANDREA PROTO PISANI PIETRO RESCIGNO RODOLFO SACCO
VINCENZO SCALISI PIERO SCHLESINGER
PAOLO SPADA VINCENZO VARANO
REDATTORE CAPO
VITTORIO COLUSSI
T. A
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NIO MILANI
TO
ISBN 978-88-13-31631-0
STAMPATO IN ITALIA
ANNO LVIII
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1) «ADL - Argomenti di diritto del lavoro» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia
€ 165,00, Estero € 195,00.
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per l’Italia € 211,00, Estero € 265,00.
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per l’Italia € 153,00, Estero € 203,00.
15) «Studium Iuris» (mensile): prezzo di abbonamento a 12 numeri per l’Italia € 150,00, Estero
€ 208,00.
ISSN 0035-6093
CASA EDITRICE
ELENCO E PREZZI DEI PERIODICI «CEDAM» per il 2012
2012
10/02/12
ANNO LVIII - N. 1
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CEDA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
PADOVA
Pubbl. bimestrale - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D. L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
ISTITUZIONE EX RE CERTA
E DIVISIONE FATTA DAL TESTATORE
Sommario: 1. Il tema. — 2. La norma sull’interpretazione delle disposizioni testamentarie.
— 3. Il lascito di bene determinato. — 4. Il lascito di tutti i beni. — 5. Intorno a presunti indici che escluderebbero l’intenzione di assegnare beni determinati come quota.
— 6. Determinazione della quota e beni non compresi nel lascito. — 7. Segue: la sorte
dei beni residui. — 8. Funzione della istituzione ex re certa. — 9. Disposizioni sulla divisione e disposizioni di divisione. — 10. Efficacia delle disposizioni testamentarie di divisione. — 11. Disposizioni testamentarie di divisione che non comprendano tutti gli
istituiti e divisione fatta dal testatore in violazione delle quote. — 12. Disposizioni testamentarie di divisione e istituzione di eredi in quota espressa. — 13. Segue: disposizioni
testamentarie di divisione e istituzione di eredi ex lege. — 14. Segue: disposizioni testamentarie di divisione e istituzione di eredi ex lege ed ex testamento. — 15. Disposizioni
testamentarie di divisione e istituzione ex re certa.
1. — La lettura di schede testamentarie olografe confezionate senza una
precisa consapevolezza giuridica del problema istitutivo e sorrette soltanto da
ansia di giustizia o ragione di vendetta, in uno con la convinzione e la consapevolezza che non si tratta di testi fuggevoli e occasionali, ma di quelli più comuni e frequenti, induce queste riflessioni, con le quali, senza aspirazione di
completezza o novità, arieggia, con tratto di padrone, il tema del rapporto tra
istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore (1).
Arduo rapporto in cui le possibili soluzioni sono avvinte in un circolo er( 1 ) Sull’indubbio legame sistematico tra le due norme, almeno, G. Amadio, La divisione
del testatore senza predeterminazione di quote, in questa Rivista, 1986, I, pp. 243 ss.; Id.,
La divisione del testatore, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, vol. II, Padova
1994, pp. 73 ss., spec. pp. 104-107, e L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., in R. trim. d. proc. civ., 1948, p. 762 e Id., La divisione testamentaria, Milano 1950, p. 70, secondo cui la heredes institutio ex re assume il profilo di
una divisione fatta dal testatore senza determinazione di quote. A. Cicu, Successioni per
causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, in Tratt. Cicu-Messineo, vol. XLII, 2,
Milano 1958, p. 432; S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, in questa
Rivista, 2008, I, pp. 395 e ss. e spec. p. 401. Contrari, invece, G. Bombarda, Osservazioni in
tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, in G. it., 1975, IV, c. 109 ss. e spec. c.c. 117-119, secondo la quale in difetto di quote astratte preventivamente determinate non si potrebbe configurare una divisione; G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Milano 1983, p. 49 e Id., Successioni e donazioni, II, Milano 1982, pp. 765 s., il quale distingue l’istitutio ex re certa dalla divisione
fatta dal testatore, assumendo che la prima « esclude la predeterminazione di quote »,
mentre la seconda, sempre, « la presuppone necessariamente ». In questo senso parrebbe
orientato anche G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, in Studi in onore di Giovanni Gabrielli, anche
in Le corti Salernitane, 2010, e in R. trim., 2011, p. 6, il quale, incidentalmente e al fine di
dimostrare che nel caso di chiamato ex re certa non trova applicazione la norma di cui al
comma 2o dell’art. 734 c.c., precisa che « la divisione del testatore presuppone, di regola,
l’espressa predeterminazione di quote da parte del de cuius ».
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meneutico mai semplice da sbrogliare e aperto dalle norme di riferimento a
soluzioni non facili da comporre, soprattutto nei casi in cui il testatore si limiti a « lasciare » taluni beni a taluni soggetti, senza preventivamente istituirli
eredi. Ponendo, cioè, l’irrimediabile problema della qualificazione (2) della
disposizione testamentaria, e, risolto questo nel senso delle istituzioni di eredi,
nei limiti in cui se ne postuli una compatibilità, mai premessa, ma tutta da
verificare e dimostrare, se tra costoro esista una comunione ovvero se essa difetti proprio in ragione della divisione (3).
Il tema, poi, è destinato ulteriormente a intricarsi nei casi, anch’essi assai
consueti, in cui le attribuzioni fatte dal testatore non valgano a coprire l’intero patrimonio e in cui l’indicazione dei soggetti non comprenda tutti gli istituiti (4). I problemi, cioè, diventano ancora più complessi quando le attribuzioni divisorie fatte dal testatore siano, cumulativamente o alternativamente
tra loro, oggettivamente e/o soggettivamente parziali.
Il difficile rapporto tra disposizioni testamentarie recanti l’indicazione di
un bene determinato e divisione fatta dal testatore muove, allora e di necessità, da due fondamentali e conseguenti l’una all’altra, premesse logico-giuridiche: che manchi un’espressa istituzione in quota (5) e che si possa dare, almeno in via d’interpretazione, più d’una istituzione di erede. Detto in altri termini e con formula di eco classicheggiante, occorre che via sia una istituzione sine partibus scripti e che vi sia una divisio inter coeheredes.
Le istituzioni di eredi in quote espresse, infatti, pur non facendo venire
meno i numerosi problemi sollevati dall’applicazione della disciplina sulla divisione fatta dal testatore, soprattutto nei casi in cui le assegnazioni fossero di
valore non corrispondente alle quote indicate o nei casi in cui non venisse apporzionato un erede pur nominato, nondimeno, escluderebbero un problema
di coordinamento con la disciplina di cui al comma 2o dell’art. 588 c.c. D’altra parte, la qualificazione dei lasciti di beni determinati siccome legati risolverebbe in radice la questione, posto che l’orizzonte di domande e problemi
sollevato dalle norme sulla divisione fatta dal testatore non avrebbero ragione
di porsi in assenza di pluralità di eredi testamentari (6). E, infine, non v’ha
( 2 ) Per tutti, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, in Tratt. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano
2009, pp. 239 s. e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, in Fam. Pers e Successioni, 2008, pp. 532 ss.
( 3 ) Ammessa la compatibilità tra le due discipline, va da sé, anche a giustificazione del
suo ampio ricorso, che la coincidenza tra momento istitutivo e divisorio pone il testatore al
riparo dai maggiori problemi applicativi che possono sorgere nel caso di preventiva determinazione di quote e cioè da problemi di preterizione, di rescissione e di difformità tra valori dei beni assegnati e valore della quota. Così, anche, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 267.
( 4 ) Rimane estraneo all’indagine il problema posto dalla presenza dei legittimari.
( 5 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 246.
( 6 ) Una tale considerazione credo debba valere anche nel caso, pur raro e di scuola,
PARTE II - COMMENTI
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dubbio che la presenza di una sola istituzione di erede, ove pure essa venga
realizzata mercé l’indicazione di tutti i beni, non porrebbe un problema di divisione, il quale, per definizione, presuppone l’esistenza di una pluralità di
istituiti.
2. — Converrà muovere, nel tentativo di ordinare i numerosi problemi
che popolano il rapporto tra istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, dalla prima disciplina.
La complessità e densità della quale suggerisce, anche in considerazione
dell’ampia e profonda letteratura e nella consapevolezza della non definitività
delle soluzioni, di considerare per acquisiti i principali e fondamentali risultati, limitandosi a indugiare sui profili che, più strettamente, si legano al problema del rapporto di questa disciplina con quella sulla divisione fatta dal testatore.
Condivisibile l’idea che la norma contenuta nell’art. 588 c.c. debba considerarsi una norma interpretativa.
Non già una norma di interpretazione, ossia una regola che fissa il significato da attribuire, una et semper, a talune espressioni usate dal testatore,
bensì una norma sull’interpretazione, ossia una regola che segna taluni criteri
in base ai quali è possibile attribuire il significato giuridico alla disposizione
scritta dal testatore.
Dubbio, però, che questa regola possa considerarsi una norma speciale
sull’interpretazione (7). Non tanto in ragione del suo contenuto, non tanto in
ragione della sua collocazione, quanto perché credo sia difficile recuperarne
il tratto di specialità o, più esattamente, scovare la norma o il complesso di
norme rispetto alle quali essa possa essere considerata tale. Non aiuta, in
questa direzione, il suo raffronto con le norme sull’interpretazione del contratto, dal momento che non sembra possibile istituire tra le due materie un
qualunque rapporto di genus-species, difettando una disciplina o un principio di disciplina rispetto al quale sia possibile predicare la specialità dell’una o la generalità dell’altra o, più rigorosamente, dell’una rispetto all’altra. Non giova, neppure, il richiamo alla figura del negozio giuridico. Pernondimeno possibile e plausibile, in cui il testatore disponga della totalità del proprio patrimonio mercé dei legati. L’erede non istituito con il testamento dovrebbe essere individuato, per necessità logico giuridica, secondo la disciplina, inevitabilmente, concorrente
della successione legittima. Sarebbe, quindi, erede il parente più prossimo. Il quale, non
risultando beneficiato da alcuna disposizione testamentaria, o, più esattamente, da alcuna
attribuzione patrimoniale, si limiterebbe ad assolvere una mera funzione di liquidatore
dell’eredità.
( 7 ) La considera speciale F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, Milano 1972,
pp. 98 ss., il quale, però, usa, come dichiara a p. 43, tale espressione, soltanto, per designare le norme diverse dalle generali e prive della attitudine di espandere il proprio ambito di
applicazione oltre gli istituti per la cui disciplina sono previste. La loro applicazione non
può concorrere con le norme generali, dipendendo esclusivamente dalla presenza degli elementi della fattispecie.
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ché, ove così si ragionasse, delle due, soltanto l’una: o si considerano contratto e testamento come negozî giuridici e, allora, entrambe le loro discipline sono speciali, ovvero, pur non contestando il condiviso e condivisibile
fondamento negoziale di entrambi, si prescinde dalla loro riconducibilità alla categoria del negozio, la quale, per altro, sprovvista di una disciplina generale, ha punto valore logico-ordinante, e si postula che entrambe sono discipline generali (8).
Il tratto della generalità, poi, parrebbe ulteriormente confermato dal suo
contenuto. Come tutte le norme sull’interpretazione della legge e degli atti
giuridici, essa finisce col dividere il significato della forma rappresentativa tra
il suo senso letterale e quello funzionale. Dimostrando come l’interpretazione
giuridica resti sempre divisa tra un dato letterale, vincibile e superabile, e un
dato funzionale, con valore di orizzonte euristico. Con l’avvertenza che, nella
prospettiva adottata, la superabilità e la vincibilità del testo non deve, né può
significare assegnazione di un senso di cui esso è totalmente incapace, bensì
scelta di uno dei suoi possibili significati (9), dacché la conquista della monosemia è orientata dal dato funzionale, il quale non è fine, bensì mezzo ermeneutico (10).
Ciò che muta, rispetto all’interpretazione della legge, all’interpretazione
del contratto e all’interpretazione dell’atto unilaterale in senso stretto, non è
tanto e soltanto la dinamica del difficile rapporto tra testo e contesto, tra dato
letterale e funzionale, quanto, la prospettiva attraverso la quale si deve svolgere l’indagine (11), in uno con la consapevolezza che quel testo ha, a differenza degli altri, il fragile tratto della definitiva e assoluta irripetibilità.
Non trascurando il punto di rilevanza ermeneutica e con la consapevolezza dell’effimera irripetibilità del testo, il comma 1o dell’art. 588 c.c., al pari di
quanto l’art. 1362 c.c. non faccia per il contratto e l’art. 12 prel. per la legge,
( 8 ) In senso contrario parrebbe orientato G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, in Successioni e donazioni, a cura di Pietro Rescigno, vol. I, Padova 1994, p.
905, il quale, istituendo un rapporto con le norme sull’interpretazione del contratto, precisa
che la norma in parola prescrive un modello di interpretazione a scopo prefissato che si pone in antitesi con la libertà di fini posta nel canone di cui all’art. 1362 c.c.
( 9 ) A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione testamentaria, in Scritti giuridici in onore di F. Carnelutti, vol. III, Padova 1950, pp. 688 ss., il quale ammette il ricorso
al dato extratestuale, purché sia volto a interpretare un testo e non a ricercare una volontà
presunta. Anche P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso
estranei, in G. it., 1956, I, 1, c. 445 ss. Sul primato del testo, N. Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano 1967, p. 37.
( 10 ) L’impianto è di N. Irti, Testo e contesto, Padova 1997; Id., Principî e problemi di
interpretazione contrattuale, in R. trim. d. proc. civ., 1999, pp. 1139 ss. Per uno sviluppo
sul tema dei contratti plurilaterali il mio Profili civilistici del leveraged buyout, Milano
2003, cap. III, sez. II, e sul tema dell’atto giuridico in senso stretto, La rinunzia all’eredità,
Milano 2008, cap. III, sez. I.
( 11 ) Sul punto di rilevanza ermeneutico, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Vassalli, 2a ed., Torino 1960, p. 370.
PARTE II - COMMENTI
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risolve il rapporto tra testo e contesto, segnando all’interprete il percorso che
quegli deve compiere per rendere intelligente le parole scritte sul testamento.
La superabilità del dato letterale sembra, nell’art. 588 c.c., ancora più
forte che negli altri luoghi normativi. Perché al fine di ridurre le disposizioni
testamentarie nel genere di quelle a titolo universale o a titolo particolare occorre verificare se esse comprendano, o meno, l’universalità o una quota dei
beni ereditari, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore (12).
Fermando l’attenzione sul dato letterale, non credo che possa essere trascurabile la circostanza che il legislatore, nel segnarne la misura di rilevanza,
usi, unitamente, le parole « espressione » e « denominazione ». L’ultima descrive qualcosa di più e di diverso della prima: non un semplice e qualunque
significante, bensì un nome che identifica e specifica la cosa denominata. Altro il generico riferimento all’espressione, ossia all’indefinito vocabolo o alla
impersonale locuzione a cui il testatore affida il suo pensiero, altro una denominazione, ossia un’espressione propria, recante un preciso e univoco significato scientifico.
Nel comma 1o dell’art. 588 c.c. il legislatore, riferendosi espressamente
anche alla denominazione, ha inteso limitare l’influenza non soltanto del linguaggio comune, bensì anche di quello tecnico, compiendo, così, una scelta
radicalmente diversa da quella consumata nell’art. 12 prel. Nell’una autorizza l’interprete a prescindere dal significato della denominazione usata dal testatore (13), nell’altra, invece, impone all’interprete di non attribuire altro
senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole. La ragione
della diversità è evidente: lì, l’autore del testo è il legislatore, ossia un soggetto
che dovrebbe sempre possedere una piena consapevolezza conoscitiva e
un’adeguata capacità critica per scegliere ciascuna denominazione; nella materia testamentaria, invece, non soltanto manca una presunzione di tale conoscenza e consapevolezza nell’autore, ma, addirittura, ne esiste, stante il tenore
letterale dell’art. 588 c.c., una eguale e contraria. La quale suggerisce al legislatore di condurre colui che tenti l’interpretazione del testamento, prescindendo dal significato primario e letterale delle parole comuni (espressioni) e
dal significato proprio delle parole tecniche (denominazioni).
( 12 ) Si tratta di una formula nuova la quale non compariva nel corrispondente art. 760
del previgente codice. Al pari di come nuova è la formulazione del comma 2o dell’attuale
art. 588 c.c. Per un analisi sul raffronto dei testi, C. Gangi, La successione testamentaria
nel vigente diritto italiano, I, Milano 1952, II ed., pp. 364 s.
( 13 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c.,
cit., p. 742, qualificare legato la disposizione in cui il testatore impropriamente usi la denominazione erede attua una comune applicazione del principio falsa demonstratio non nocet
relativamente, non all’oggetto, ma alla natura del negozio. Discorre, invece, di irrilevanza
della qualifica di legatario usata dal testatore, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, in Tratt. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, cit., p. 223 s.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Il testo, però, non può esser privo di qualunque rilievo (14), smarrisce,
soltanto, la sua precisa e preventiva funzione selettiva. Sicché, ove pure le parole scritte nel testamento fossero provviste di un significato proprio o di un
univoco significato primario, nondimeno il testo che le raccoglie avrebbe la
capacità di esprimere un significato esattamente uguale e contrario o, anche
soltanto e, più semplicemente, un significato diverso, ma non opposto, da
quello che il pre-concetto giuridico o letterale renderebbe preventivamente intelligente. Il legislatore pare escludere, allora, non la rilevanza, ma il valore
determinante, ossia la concludenza del segno. Denominazioni ed espressioni
non sono concludenti: rispetto alle prime è possibile predicare un significato
opposto o diverso da quello proprio, rispetto alle seconde un qualunque significato secondario.
Per superare la concludenza del testo, occorre avere riguardo al contenuto della disposizione testamentaria (15). Con la precisazione che la parola
« contenuto » viene utilizzata in questo caso nel duplice senso di cui essa è capace, sicché occorre non soltanto verificare l’oggetto della disposizione testamentaria (16), quanto e soprattutto far riferimento a ciò che, in termini obiettivi, essa specificamente contenga, essendo determinante il suo comprendere
l’universalità o una quota dei beni del testatore (17).
Il discorso, prima di aprirsi sul che significhi comprendere, reclama, inevitabilmente, qualche chiarimento sul significato delle espressioni universalità
e quota. Le quali, sebbene quando siano usate dal testatore non siano denominazioni concludenti ai fini della qualificazione, diventano determinanti e
concludenti quando le medesime risultino il parametro obiettivo di riferimento alla stregua del quale l’esegeta, a’ sensi dell’art. 588 c.c., è chiamato a interpretare e qualificare le disposizioni medesime.
Dal latino universalem, composto di universum e del suffisso -alem, la
parola universalità (18) indica un complesso di cose considerate nella loro to( 14 ) Almeno secondo la prospettiva che ho adottata nel testo.
( 15 ) G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 899, nella irrilevanza
del riconoscimento formale del nomen heredis v’è la differenza tra diritto moderno e diritto
romano.
( 16 ) Di riferimento esclusivo al contenuto obiettivo discorrono F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, VI ed., Padova 1973, p.
491.
( 17 ) Ma, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, cit., p. 240 e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù
espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 535, scrive « criterio sovrano, non può che essere la volontà reale del testatore, data l’ininfluenza delle espressioni o denominazioni impiegate dallo stesso ».
( 18 ) Si prescinde, qui, dal problema della eredità quale universitas, sul quale mi permetto di rinviare al mio, Note per uno studio intorno al significato della parola eredità, in
Rass. d. civ., 2011, in corso di stampa. Per una condivisibile critica della teoria della hereditas-universitas già L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., pp. 744 ss. e spec. 746.
PARTE II - COMMENTI
59
talità; non la constatazione di un mero dato fattuale e obiettivo, qual è una
totalità, bensì la valutazione di quella, attraverso un accertamento di tipo
deontologico e non meramente fenomenologico (19).
La mera circostanza che il destinatario della disposizione testamentaria
non risulti beneficiario della totalità dei beni del testatore, non può far meccanicamente escludere che la disposizione comprenda l’universalità dei beni.
Si pensi, infatti, al caso di un soggetto che, con testamento, istituisca unico
erede Tizio, legando, però, a Caio la proprietà di un immobile. Non v’ha dubbio che la disposizione testamentaria non offra a Tizio tutti i beni che sono
appartenuti al testatore e neppure tutti i beni che costituiscono la di lui eredità, perché è inevitabilmente esclusa la proprietà del bene legato a Caio. Nondimeno, pur non trattandosi della totalità, non v’ha dubbio che si tratti dell’universalità, perché a esclusione del bene specificamente indicato, Tizio risulta beneficiario del complesso di tutti i beni, indipendentemente dal loro essere indicati nel testamento e per il solo fatto di costituire l’eredità del testatore medesimo, ossia per il loro essere considerati siccome la totalità (20).
Non meno semplice, la parola quota, dal latino quotus, la quale, indicando la parte di un tutto, esprime un concetto di relazione, che non pone dinanzi a un mero dato fattuale e obiettivo, bensì alla valutazione di un rapporto. Il
quale, non essendovi limiti matematici o logici per descriverne e designarne la
misura, ossia la frazione, intesa come l’oggetto matematico che indica un
quoziente di due numeri interi, o la percentuale, intesa come l’equivalente oggetto matematico che descrive la grandezza di una quantità rispetto a un’altra (21), può essere espresso nel modo più vario (22). Sicché la quota è, da un
( 19 ) Precisa C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit.,
p. 370, che l’universalità è concetto che comprende tanto i beni quanto i debiti.
( 20 ) Problematico stabilire se il lascito di usufrutto universale sia da considerare una disposizione a titolo universale o particolare. Nel primo senso la dottrina maggioritaria, e per
tutti, G. Bonilini, La costituzione mortis causa, in Usufrutto, uso e abitazione, a cura di G.
Bonilini, Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi e diretta da G. Alpa, G. Bonilini, U. Breccia, O. Cagnasso, F. Carinci, M. Confortini, G. Cottino, A. Iannarelli e M. Sesta, 1, Torino 2010, pp. 718 ss., e spec. p. 734 ss. e C. Gangi, La
successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 383-386. Nel secondo senso, il nostro, L’eredità, in Usufrutto, uso e abitazione, a cura di G. Bonilini, cit., pp. 347 ss.
e spec. pp. 379 ss. e già A. Cicu, Natura giuridica della vocazione nell’usufrutto di eredità,
in Studi in onore di F. Mancaleoni, in Studi Sassaresi, XVI e in F. it., 1938, IV, c. 134 ss.;
Id., Successione legittima e dei legittimari, 2a ed., Milano 1943, pp. 118 ss.; Id., Usufrutto
d’eredità, in R. trim. d. proc. civ., 1950, pp. 821 ss.; Id., Usufrutto d’eredità, in R. trim.,
1951, pp. 584 s.; Id., Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria,
in Tratt. Cicu-Messineo, vol. XLII, 2, Milano 1958, p. 349 ss.; Id., Successioni per causa di
morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, cit., p. 26 ss., spec. par. 10.
( 21 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 374
s.
( 22 ) Su questo argomento anche la dottrina sul testo del codice previgente. Almeno, L.
Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinati, in F. it., 1931, I, 1, c.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
lato, l’oggetto matematico che segna la frazione o la percentuale, e dall’altro,
la rappresentazione parziale di un’unità costituita non già dalla totalità dei
beni del testatore, bensì dall’universalità dei medesimi (23).
Coerentemente alla non concludenza delle denominazioni ed espressioni
usate dal testatore, il legislatore precisa che la disposizione testamentaria va
qualificata come universale (24) per il sol fatto di comprendere, ossia di raccogliere e offrire al beneficiario, l’universalità o una quota dei beni del testatore (25).
Il verbo comprendere, nel suo esaltare il profilo del mero contenere, circondare e abbracciare, per un verso, pare prescindere dal modo in cui il testatore abbia manifestata la sua intenzione e, per altro verso, ammettere qualunque tecnica logico-linguistica che sia capace di far considerare compresa in
quel testo scritto l’universalità o una quota dei beni del testatore.
In conseguenza, non soltanto non è concludente il significato delle espressioni e denominazioni usate dal testatore, ma non è concludente, neppure, la
tecnica logico-linguistica alla quale il testatore affida le proprie intenzioni.
Essa può essere la più varia e congeniale sia alle consuetudini lessicali che al
modello socio-culturale del testatore (26), purché, però, quale che siano le parole e quale che sia la tecnica di formulazione del pensiero, la disposizione
comprenda l’universalità o la quota (27) dei beni del testatore.
Infine, sempre per restare al comma 1o dell’art. 588 c.c., un ultimo rilievo sembra necessario. Non credo, infatti, che possa considerarsi priva di rilie1157 ss. e, ivi, riferimenti di dottrina e giurisprudenza del regno. In giurisprudenza, almeno, Cass. 14 luglio 1926, in Corte di Cassazione, 1927, pp. 6 ss.; Cass. 9 gennaio 1929, in
G. it., 1929, I, 1, c. 386 ss. e, in senso contrario, Cass. 11 marzo 1931, in G. it., I, 1, c. 691
ss.
( 23 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c.,
cit., p. 756, la legge non richiede che la quota sia indicata mediante un preciso linguaggio
matematico, indi non v’è ragione per escludere la compatibilità logica della institutio ex re
certa.
( 24 ) A riprova che l’istituzione di erede non dipende, come nel diritto romano classico,
dalla formale attribuzione del titolo, bensì dalla sostanziale attribuzione dell’universalità o
di una quota dei beni. L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., p. 750, precisa « la qualità di erede non acquista più un’autonomia logico-funzionale, e si riduce a mera designazione del soggetto che è successo in locum et
ius »; Id., La divisione testamentaria, cit., p. 6.
( 25 ) Acutamente, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., pp. 246 ss. discorre di criterio oggettivo-contenutistico.
( 26 ) G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 912, esclude che
possa essere risolutiva per valutare la intenzione di cui all’art. 588 c.c. la consapevolezza
del testatore circa le conseguenze tipiche della chiamata.
( 27 ) Secondo S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 224, conta soltanto
l’attribuzione dell’intero patrimonio o di una quota di esso « non la precisazione della entità della quota ». Aggiungo, però, che è necessaria, almeno, non essendo diversamente neppure plausibile il riferimento al concetto di quota, se n on la precisazione diretta e immediata dell’entità, almeno una precisazione indiretta e mediata o anche per relationem.
PARTE II - COMMENTI
61
vo la tecnica di costruzione della fattispecie. La quale, mentre definisce in positivo e in relazione al suo contenuto la disposizione a titolo universale, affida,
invece, la disposizione a titolo particolare al tratto del residuale e a un giudizio di carattere puramente negativo (28). La residualità della seconda finisce,
inevitabilmente, per comprimere l’area delle prime, assorbendo al suo interno
non soltanto quelle che sicuramente non lo sono, ma anche quelle rispetto alle
quali non v’è conferma che lo siano (29). Conseguentemente, l’interprete che
si interroghi sulla idoneità della disposizione testamentaria a offrire al suo destinatario l’universalità o una quota dei beni ereditari, sappia che soltanto la
risposta positiva comporterà la riconducibilità di essa alle disposizioni a titolo
universale, mentre tanto quella negativa quanto quella dubbia farà rifluire la
medesima nella residuale categoria del legato (30).
3. — Il risultato raggiunto, nel paragrafo precedente, può essere così raccolto: il comma 1o dell’art. 588 c.c. contiene una norma generale sull’interpretazione del testamento. La quale, nel negare rilevanza concludente alle
espressioni e denominazioni e nel negare rilevanza concludente alla tecnica
logico-linguistica, assegna valore ermeneutico determinante e concludente al
suo contenuto o, più esattamente, al suo comprendere o escludere l’universalità o una quota dei beni del testatore.
Il che è affatto rilevante soprattutto in riguardo al rapporto tra il 1o e il 2o
comma dell’art. 588 c.c. Perché affermare l’irrilevanza normativa generale
della tecnica logico-linguistica del testatore può indurre a considerare il comma 2o dell’art. 588 c.c. una mera precisazione del 1o, ossia una norma pleona( 28 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 363.
G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 903; S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 396.
( 29 ) S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 404. In senso
contrario, M.C. Tatarano, Il testamento, in Tratt. Perlingieri, VIII; 4, Napoli 2003, pp. 360
s., secondo cui la disposizione testamentaria, in caso di dubbio, va interpretata, anche per
ragioni di ordine pubblico, come istituzione a titolo universale. In questo senso, recentemente, anche G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 8, il quale a ulteriore conferma di questa
ipotesi, aggiunge una considerazione di metodo che muove dal bilanciamento dei principi e
dalla valutazione comparativa degli interessi.
( 30 ) A questo profilo credo debba legarsi il tema del dubbio e, più precisamente, del
dubbio interpretativo, ossia del dubbio oggettivamente qualificato dalla circostanza che le
norme sull’interpretazione oltre a consentire la qualificazione del fatto sono, nel caso, anche
il modello normativo di riferimento. Il dubbio, ossia l’impossibilità di ricondurre sulla base
di un giudizio normativo di tipo positivo un dato fatto all’interno di un dato tipo normativo, esclude, di necessità, la riconducibilità del primo al secondo. In conseguenza, salva
l’ipotesi dell’esistenza di una categoria residuale assorbente, capace di attrarre ciò che non
può essere ricondotto alla prima, deve concludersi per l’irrilevanza del fatto, e, dunque, deve respingersi la domanda. Essendo il dubbio non una caratteristica ontologica del fatto,
ma l’esito di una valutazione che consente, all’esito del procedimento interpretativo normativo, di ricondurlo almeno a due modelli normativi alternativi.
62
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
stica, nella misura in cui voglia semplicemente chiarire che la tecnica logicolinguistica consistente nell’indicare beni determinati o un complesso di beni
non sia concludente ai fini della qualificazione (31). Con l’ulteriore conseguenza che non potrebbe istituirsi un rapporto di genere-specie o di regola-eccezione (32) tra la norma di cui al comma 1o e quella di cui al comma 2o, essendo l’ultima soltanto uno dei possibili e plausibili svolgimenti logici della prima (33).
Al fine di conservare la tenuta di questo risultato, bisogna, però, verificare se davvero possa escludersi ogni qualsivoglia carattere di originalità. Poiché, anche un solo tratto di novità, vi attribuirebbe o vi potrebbe attribuire
un diverso valore e, soprattutto, potrebbe e dovrebbe mettere in discussione il
rapporto di essa con la regola contenuta nel comma 1o (34).
La lettura del comma 2o dell’art. 588 c.c., mentre restituisce l’idea che
essa nulla aggiunge alla regola contenuta al comma 1o, nella parte in cui chiarisce che la tecnica logico-linguistica consistente nell’indicazione di un bene o
( 31 ) Si afferma, da più parti, che l’indagine sull’intenzione del testatore di lasciare la
certa res come quota sia possibile soltanto in caso di disposizione dubbia. Così, S. Delle
Monache, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Comm. Schlesinger, Milano
2005, p. 168; G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa,
in Fam., Pers. e Successioni, 2007, p. 244. Credo opportuno precisare che la chiarezza o il
dubbio è l’esito dell’attività esegetica, ma non il presupposto per poter dar corso a essa. Il
permanere del dubbio, nonostante siano stati sperimentati i criteri offerti dalla legge, costituisce, talvolta, il presupposto di una precisa scelta legislativa che, dovendo necessariamente rompere la tregua dell’indecisione, preferisce l’una o l’altra soluzione.
( 32 ) Nel senso che si tratti di norma eccezionale, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex
certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 758 e Id., La divisione testamentaria,
cit., pp. 16 s., per il quale solo nel caso di lascito di beni determinati sarebbe possibile
un’indagine, altrimenti esclusa, della volontà del disponente. Il portato di questa idea è che
nel dubbio, prevalendo il precetto di cui al comma 1o, la disposizione testamentaria va intesa come legato. Anche G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per
la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 120, la quale
considera il comma 2o di carattere suppletivo e F. Messineo, Manuale di diritto civile e
commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, IX ed., Milano 1962, p.
46. Esclude che si tratta di norma eccezionale, L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno, VI, Successioni , 2a ed., Torino 1997, p. 67.
( 33 ) Contrario, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 233, secondo cui
non si tratterebbe di una norma sull’interpretazione. Secondo S. Delle Monache, Revoca
tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 397, il capoverso dell’art. 588 c.c. si pone in linea
di continuità rispetto al primo comma in relazione alla istituzione di erede, ma in linea di
rottura rispetto alla figura del legato. A p. 399, l’A. precisa, infatti, che « Netta appare, per
contro, l’incrinatura sofferta da quella definizione generale, se si considerano le cose con
specifico riguardo alla figura del legato ».
( 34 ) Non mi sembra un caso che, pur vigendo il vecchio codice, il quale non contemplava una norma corrispondente all’attuale comma 2o dell’art. 588 c.c., la corte di legittimità,
nella importante decisione a Sezioni Unite del 3 ottobre 1925, in F. it., 1925, I, c. 1063 ss.,
fosse già pervenuta a tale risultato. Critico sulla decisione, avuto riguardo al tessuto normativo esistente, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p.
374.
PARTE II - COMMENTI
63
un complesso di beni determinato non esclude che il testatore abbia inteso assegnare quel bene o quel complesso di beni come quota del proprio patrimonio (35), ossia che la disposizione possa essere qualificata a titolo universale e
non necessariamente a titolo particolare (36), come si potrebbe a prima vista
ipotizzare, finisce con l’avere fondamentale rilevanza nella parte e per il modo in cui autorizza l’interprete a compiere tale valutazione (37). Il comma 2o
dell’art. 588 c.c. detterebbe una regola in linea di continuità (38) rispetto a
quella contenuta nel comma 1o, limitandosi a prevedere una classe di ipotesi,
sebbene essa risulti la più frequente e problematica, in cui la tecnica logicolinguistica, più che le denominazioni o le espressioni usate dal testatore,
smarriscono, come il comma 1o ben chiarisce a livello più generale, ogni specifico valore concludente (39). Tale comma, nondimeno, avrebbe un tratto di
novità nella parte in cui, con l’uso della forma verbale « risulta », legittima
l’interprete al percorso esegetico che la stessa derivazione etimologica della
parola inevitabilmente suggerisce.
A seguire questo ragionamento non sarebbe possibile istituire un rapporto di genere specie o di regola eccezione tra comma 1o e 2o dell’art. 588 c.c.,
non tanto e non soltanto perché la regola contenuta nel comma 2o è, piuttosto,
lo svolgimento (40) in chiave esemplificativa di quella posta al 1o, quanto e soprattutto perché comma 1o e 2o non offrirebbero due norme giuridiche, rispetto alle quali è possibile la verifica di un rapporto di relazione, ma un’unica e
( 35 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
249; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 914, precisa muta soltanto il
linguaggio utilizzato dal testatore, il quale, da aritmetico ed astratto, si fa concreto e immediato.
( 36 ) Anche ponendo rilievo all’uso della forma verbale « possa », si sostiene, opportunamente, che se l’intenzione di assegnare i beni come quota non risulti in modo sicuro, permanendo l’ambiguità del testo, la disposizione deve essere considerata a titolo particolare.
Così, G. Bonilini, I legati, in Comm. Schlesinger, Milano 2001, p. 34; S. Delle Monache,
Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Comm. Schlesinger, cit., p. 170; Id.,
Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 401; G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, cit., p. 245.
( 37 ) A. Burdese, « Institutio ex re certa » e divisione testamentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), in questa Rivista, 1986, II, p. 466, individua l’elemento oggettivo della fattispecie nella considerazione di cose determinate e non di una data quota astratta.
( 38 ) F.S. Azzariti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 494, discorrono, invece, di criterio meramente suppletivo.
( 39 ) S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 231, bene osserva che il dubbio non sorge dalla scheda, ma dalla scelta del legislatore che con il comma 2o dell’art. 588
c.c. « lo ha introdotto, in astratto, per ogni disposizione testamentaria » che si atteggi a lascito di bene determinato.
( 40 ) Discorre di continuità tra le previsioni contenute al comma 1o e 2o, V. Cuffaro, Art.
588, in Aa.Vv., Comm. Gabrielli, Delle Successioni, vol. 2, artt. 565-712, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, Torino 2010, pp. 180 s.
64
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
sola regola capace di descrivere un unitario percorso esegetico (41), differente
soltanto nella misura di rilevanza dell’intenzione, con la conseguenza che il
comma 2o avrebbe il medesimo tratto di generalità del 1o (42), anch’esso,
aperto, per effetto del secondo, al comune materiale interpretativo.
Non v’ha dubbio che oggetto dell’attività di interpretazione, anche avuto
riguardo al rigoroso formalismo che vige in materia testamentaria (43), non
può che essere il complesso delle parole scritte dal testatore nella scheda testamentaria, indipendentemente da quale sia il documento e indipendentemente dall’unità del documento in cui esse sono recate (44). Ciò che conta è il
complesso delle parole scritte che danno corpo all’atto. Altro, però, è l’oggetto
dell’interpretazione, altro è il materiale interpretativo (45). L’uno è il testo, ossia le parole scritte nella scheda testamentaria; la forma rappresentativa in attesa di ricevere il significato giuridico; l’altro è dato dal testo e dal contesto.
Inteso, quest’ultimo, come ciò che sta intorno al testo e, dunque, come il complesso degli atti, dei fatti e dei documenti circostanti alla forma rappresentativa.
La rilevanza ermeneutica del contesto non credo possa e debba essere messa in
discussione (46). Di là del problema dell’applicabilità diretta (47), analogica (48) o
( 41 ) In senso contrario parrebbe orientato G. Amadio, La divisione del testatore senza
predeterminazione di quote, cit., pp. 246 ss., secondo il quale l’indagine volontaristica di
cui al comma 2o sarebbe consentita soltanto qualora il criterio oggettivo-contenutistico, indicato al primo non sciolga il dubbio interpretativo. Anche Id., L’oggetto della disposizione
testamentaria, cit., p. 906.
( 42 ) In senso contrario, F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., p. 103.
( 43 ) P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso estranei,
cit., cc. 445 ss.; N. Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano
1967, pp. 36 ss. Efficace la considerazione di S. Delle Monache, Revoca tacita della istituzione ex re certa, cit., p. 402, secondo cui, in base a un solido argomento fondato sull’art.
588 c.c., il formalismo testamentario riguarderebbe soltanto il contenente, ma non anche il
contenuto.
( 44 ) Sul rapporto tra atto e documento testamentario, sia consentito il rinvio al nostro,
Distruzione di un testamento olografo, in Fam., Pers. e Successioni, 2010, pp. 356-368.
( 45 ) Così, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma
2 , c.c., cit., p. 759 e già C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano,
I, cit., p. 378.
o
( 46 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
250, a conferma di questa lettura, che l’utilizzazione di elementi extratestuali e la valutazione
della loro rilevanza costituisce, esclusivamente, problema giudiziario, ma non sostanziale.
( 47 ) Così, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 367 ss. e spec. p.
370.
( 48 ) C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici mortis causa (Diritto civile),
in Noviss. Dig. It., vol. VIII, Torino 1957, pp. 907 ss., ammette l’applicazione analogica
delle sole norme sull’interpretazione soggettiva e di quella contenuta all’art. 1367 c.c. N.
Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano 1970, p. 350, i quali, però, negano l’applicabilità del comma 2o dell’art. 1362 c.c.; L. Bigliazzi Geri, Delle successioni testamentarie,
in Comm. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Roma-Bologna 1993, pp. 118 ss.; G. Op-
PARTE II - COMMENTI
65
nei limiti di compatibilità (49), della norma contenuta all’art. 1362 c.c. (50), la
quale, nell’una come nelle altre prospettive condurrebbe a un tale risultato,
anche altri argomenti sospingono verso questa direzione (51).
Intanto non può essere irrilevante che il comma 2o dell’art. 588 c.c., nel
disegnare il percorso interpretativo, precisa che il lascito di beni determinati
vada inteso come disposizione a titolo universale quando risulta che il testatore intese lasciare quei beni come quota del patrimonio. Si badi, non « risulta
dal testamento » (52), ma, semplicemente, « risulta » (53).
Se, poi, si tengono in conto le peculiarità che caratterizzano l’interpretazione del testamento e, dunque, per un verso, il singolare punto di rilevanza
ermeneutica e, per altro verso, la fragile unicità e irripetibilità del testo, non
v’ha dubbio che, a fini conservativi, non si possa non aprire l’indagine interpretativa al materiale extratestuale (54). In mancanza del quale, la comprensione del testo potrebbe essere compromessa, mentre l’uso del quale, senza
violare il formalismo testamentario, può consentire di ricostruire l’intenzione
del testatore, anche al fine di individuare la disciplina da applicare al caso.
po, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna 1943, ora in Scritti
giuridici, III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova 1998.
( 49 ) G. Oppo, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna 1943, ora
in Scritti giuridici, Vol. III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova 1998, ammette l’applicazione delle norme sull’interpretazione del contratto al testamento sulla base del criterio di compatibilità di cui all’art. 1324 c.c. Il quale, però, per il suo specifico riferimento ad atti tra vivi,
non mi pare possa valere o servire per estendere al testamento le norme sul contratto.
( 50 ) Sull’interpretazione del testamento, almeno, P. Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli 1952. Per una sintesi R. Carleo, L’interpretazione del testamento, in L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, a cura di N. Irti, Padova 2000, pp. 539
ss. e Id., L’interpretazione del testamento, in Tratt. Bonilini, II, La successione testamentaria, cit., pp. 1475 ss. G. Baralis, L’interpretazione del testamento, in Successioni e donazioni, a cura di Pietro Rescigno, vol. I, cit., pp. 927 ss.; L. Bigliazzi Geri, La volontà nel testamento e l’interpretazione, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno, VI, cit., p. 77 ss.
( 51 ) Tra gli altri, ammettono il ricorso ai criteri extratestuali, A. Burdese, « Institutio ex
re certa » e divisione testamentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), cit., p. 466; C. Gangi,
La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 378; P. Rescigno, Interpretazione del testamento, cit.; P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso estranei, cit., cc. 445 ss.; L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 759; L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit.,
pp. 17 s.; F.S. Azzariti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., pp. 495 s.; G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex
re certa, cit., p. 245; F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., pp. 100 s.; S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., pp. 226 ss.; R. Carleo, L’interpretazione del testamento, cit., pp. 1517-1525; G. Perlingieri, La rilevanza del testo nell’individuazione
dell’incapacità naturale di testare, in Rass. d. civ., 2005, pp. 273 ss.
( 52 ) Come nelle norme di cui agli artt. 624, comma 2o, e 626 c.c.
( 53 ) Così, anche, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 226. Già, chiaramente, L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 18.
( 54 ) Contrario, L. Salis, L’istituzione di erede in una cosa determinata, in D. e giur.,
1946, pp. 87 ss., il quale, negli esempi utilizzati, non sempre resta coerente alla propria tesi.
66
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Determinante è, dunque, l’intenzione del testatore (55).
La quale, come pure la comune intenzione delle parti del contratto, non è
il fine dell’attività interpretativa, né può risolversi in una mera indagine psicologica (56) o intimistico-soggettivistica (57). Essa è, piuttosto, un autentico e
indispensabile strumento di interpretazione, che consente di selezionare tra i
plausibili e possibili significati di cui il testo è capace quello più coerente con
la mens testatoris, e la cui determinazione è offerta dalla valutazione del comportamento del testatore. Occorre, cioè, valutare il contesto, ossia gli atti, i
fatti e i documenti dai quali è possibile trarre e determinare l’intenzione del
testatore. Nella consapevolezza che tra intenzione del testatore e contesto v’è
un rapporto di derivazione logica tale per cui è possibile determinare la prima
soltanto valutando il secondo. Il quale è, sempre e soltanto, indice della seconda.
Testo e contesto diventano rilevanti (58). Perché se non v’ha dubbio che
molte volte il solo testo possa consentire di chiarire se vi fosse l’intenzione del
testatore di lasciare un bene o un complesso di beni determinato come quota
del proprio patrimonio, soprattutto nei casi in cui quegli abbia dichiarato nel
testamento, a esempio, di aver trattato i beneficiari in modo eguale oppure di
aver ricompensato l’uno in misura doppia dell’altro oppure nei casi in cui abbia fatta una stima dei beni o li abbia posti in relazione di proporzionalità oppure quando abbia lasciato il danaro al soggetto che credeva di dover ricompensare per aver avuto un bene di valore inferiore agli altri, occorre ed è utile,
negli altri casi, aver riguardo al contesto. Così, l’interpretazione del testamento con il quale Tizio lascia a Caio il bene X e a Sempronio il bene Y, non può
non essere influenzata dall’esistenza di una perizia commissionata da Tizio, la
quale accerta e stabilisce che il bene X rappresenta 1/3 del suo patrimonio,
mentre il bene Y i 3/5, oppure da altra scrittura con la quale il testatore abbia, ipoteticamente, stimato e raccolto in più lotti i propri beni o, ancora, delle lettere personali alle quali il testatore affida a taluno dei beneficiari compiti
e funzioni compatibili soltanto con la sua intenzione di istituirli eredi, ma non
legatari.
L’interpretazione del testamento è, dunque, l’interpretazione delle parole
( 55 ) Precisa L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, cit., p. 145, che il lascito di
bene determinato impone sempre di risalire alla volontà del testatore.
( 56 ) Così, G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 904 s.
( 57 ) F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., p. 99, considera ammissibile l’indagine sull’intenzione del testatore, che l’A. intende in senso psicologico e volontaristico,
soltanto in presenza di una diposizione costruita in termini di lascito di un ben determinato, rispetto al quale esista un indice idoneo a giustificare l’interesse « della speciale ricerca
ermeneutica ».
( 58 ) In questo senso, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano,
I, cit., p. 378, il quale ammette il ricorso a elementi extratestuali, precisando però, che l’indagine sulla volontà del testatore « non potrebbe esser fatta soltanto con elementi estranei
al testamento ».
PARTE II - COMMENTI
67
scritte nella scheda testamentaria. Colui che ne voglia intendere il significato
e stabilirne la riconducibilità alle disposizioni a titolo universale o a titolo
particolare, indipendentemente dalle denominazioni e dalle espressioni usate
dal testatore e dalla tecnica logico-linguistica di cui quegli si è valso, dovrà
indagare se con quella disposizione il testatore ha inteso comprendere l’universalità o una quota dei beni del testatore. Rilevante l’intenzione del testatore, la quale, ridotta a strumento interpretativo, può essere determinata valutando il contesto, che così, acquista, inevitabilmente, rilievo nell’attività esegetica. Confermando che il procedimento interpretativo ha struttura circolare:
muove da un testo e a esso ritorna, costituendo quest’ultimo un confine che il
giurista non può, né deve valicare.
4. — La ricostruzione proposta consente di offrire un principio di soluzione a quei casi che, tradizionalmente, sono ricorrenti e sui quali si è, principalmente, fermata l’attenzione della letteratura e della giurisprudenza.
Il riferimento è, ovviamente, al lascito di tutti i beni, al lascito di tutti i
beni immobili e, infine, al lascito dei beni mobili.
Intanto converrà muovere da una considerazione di carattere generale: il
faticoso problema di stabilire se il lascito di tutti beni del testatore debba essere risolto facendo applicazione della norma contenuta al comma 1o o di
quella contenuta al comma 2o dell’art. 588 c.c., smarrisce, nella prospettiva
disegnata, ogni tratto di rilevanza. Dal momento che stabilire se si tratta di
un lascito di un complesso di beni ovvero del lascito, seppur indiretto, dell’universalità del patrimonio, non è determinante, essendo, invece, essenziale
soltanto se il testatore intese, o meno, comprendere l’universalità dei beni. Il
problema pare assumere, allora, un valore meramente descrittivo, dovendosi
verificare, senza che ciò implichi, in punto di soluzione alcuna conseguenza,
se la tecnica logico-linguistica di lasciare tutti i beni si possa considerare, o
meno, corrispondente a quella specificamente descritta nel comma 2o dell’art.
588 c.c.
Al riguardo e ai soli fini classificatori e descrittivi indicati, mi pare che
tale tecnica difficilmente possa ricondursi a quella del lascito di un complesso
di beni determinati. Non tanto perché non vi sia un lascito di un complesso di
beni, quanto perché l’ipotesi descritta nel comma 2o dell’art. 588 c.c. parrebbe escludere che la designazione di beni determinati possa valere quale assegnazione dell’universalità. Il tenore letterale della disposizione parrebbe tradirlo in modo inequivoco. Il comma 2o, infatti, differentemente dal 1o, non si
riferisce all’universalità dei beni del testatore, bensì alla sola quota. Ingenerando il convincimento che questa tecnica logico-linguistica, pur potendo
consentire di qualificare a titolo universale la disposizione testamentaria che
la sfrutti, non possa, però, valere a comprendere l’universalità dei beni del testatore, ma soltanto una quota del patrimonio (59).
( 59 ) Così, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non
68
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
La disposizione testamentaria con la quale il testatore lascia tutti i suoi beni a un solo beneficiario può ben considerarsi, ove essa comprenda, effettivamente, l’universalità dei beni del de cuius, una disposizione a titolo universale (60), che attribuisce al beneficiario, con tutti i corollari che da ciò derivano, la
qualità di erede universale (61). Occorre soltanto che la disposizione, nei limiti
nei quali ho tentato di circoscriverne il significato, sia effettivamente attributiva dell’universalità dei beni. Non già della totalità di essi (62), perché il testatore ben potrebbe averne dimenticato uno o averne acquistati altri successivamente o, deliberatamente, deciso di tacere l’esistenza di alcuni, bensì del complesso dei beni considerati e valutati dal testatore medesimo siccome la totalità.
Diversamente, sebbene l’ipotesi appare di difficile verificazione, ove risulti che il testatore ha lasciato al beneficiario tutti i beni, ma non ha inteso
considerare i medesimi come l’universalità, si apre una difficile alternativa.
Che la disposizione testamentaria, per quanto esaurisca del tutto, o, quasi del
tutto, i beni del testatore debba considerarsi a titolo particolare, ovvero, e per
il solo caso in cui residuino ancora altri beni, che la disposizione sia a titolo
universale, ma che istituisca erede il beneficiario non per l’intero, bensì in
quota, seppur assai rilevante (63). Le conseguenze dell’una e dell’altra ipotesi
sono assai considerevoli. Nel primo caso il beneficiario, essendo legatario, acquista senza accettazione il diritto su tutti e soltanto i beni legati, mentre
l’erede, ove pure assuma la sola funzione di liquidatore, sarà designato secondo le norme sulla successione legittima. Nel secondo caso, invece, il beneficiario sarà erede, ma soltanto pro quota. Per la parte restante l’erede sarà designato secondo le norme sulla successione legittima e l’uno e l’altro concorreranno, in proporzione delle rispettive quote, al riparto dei beni.
Diverse considerazioni possono, invece, svolgersi con riguardo alle dispocontemplati nel testamento, cit., p. 241; Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù
espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 536, e già L. Mengoni, L’istituzione di erede
« ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 761. Contrario G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 925.
( 60 ) Così, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, cit., p. 241 ss.
( 61 ) Contrario, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., pp. 234 s., il quale si
limita ad aderire alla tesi di Amadio.
( 62 ) G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, cit., pp. 251 ss. e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù
espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 539. Contrario V. Cuffaro, Art. 588, cit., p.
183, secondo il quale la deliberata esclusione di un bene escluderebbe l’intenzione della
chiamata nell’universalità dei beni. Non credo, però, anche in relazione alla tesi sostenuta
nel testo, che questa interpretazione possa condividersi. Ben potrebbe darsi che il testatore
deliberatamente, per ragioni fiscali o di altra natura, ometta di indicare un bene, pur economicamente rilevante, intendendo, nondimeno istituire il beneficiario nell’universalità. Rimane sempre fondamentale la distinzione tra universalità e totalità. La carenza della seconda non esclude la prima.
( 63 ) Il caso è ipotizzato anche da G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria,
cit., p. 925.
PARTE II - COMMENTI
69
sizioni testamentarie con le quali il de cuius lascia a un certo soggetto la totalità dei propri beni immobili (64) o la totalità dei propri beni mobili (65).
Confermando l’idea che, nell’unità della norma, la riconducibilità allo
schema normativo disegnato al comma 1o o 2o dell’art. 588 c.c. abbia valore
meramente classificatorio e descrittivo, mi pare che il lascito di tutti i beni
immobili o il lascito di tutti i beni mobili, differentemente dal lascito di tutti i
beni, possa essere ricondotto alla figura descritta nel comma 2o della norma
evocata. Perché il testatore, consapevolmente o inconsapevolmente, finisce
con il disporre soltanto di un complesso di beni, i quali, ove la disposizione
dovesse risultare a titolo universale, varrebbero a istituire erede il beneficiario
non già nell’universalità, bensì nella corrispondente quota.
Di là di questo rilievo e, quindi, della riconducibilità delle ipotesi descritte al c.d. lascito di beni determinati, il vero nodo che disposizioni di tal sorta
sollevano è quello qualificatorio.
In linea puramente teorica e astratta esse possono essere considerate sia a
titolo universale che a titolo particolare. La risposta dipenderà dal testo e dal
contesto della disposizione, dovendosi verificare, indipendentemente dalle denominazioni, dalle espressioni e dalla tecnica logico-linguistica, se risulti che
il testatore intese assegnare il complesso dei beni mobili o il complesso dei beni immobili, quale quota del proprio patrimonio (66).
Questa considerazione, mentre conferma pienamente, anche rispetto a
ciascuna delle ipotesi abbozzate, il metodo interpretativo segnato nella norma
di cui all’art. 588 c.c., induce a dissentire con quelle ricostruzioni concettuali
secondo le quali il lascito di tutti gli immobili o il lascito economicamente rilevante debbono considerarsi, di necessità e senza altre valutazioni, come sicure ipotesi di istituzioni ex rebus certis.
Il risultato non credo che non possa essere questo e, anzi, in molti casi lo
sarà, senz’altro. Ma il metodo non convince e credo non possa e non debba
essere condiviso.
Considerazioni di carattere economico (67), come pure considerazioni sul beneficiario della disposizione o sulla natura dei beni assegnati, sono indici testuali
( 64 ) Sul punto le considerazioni di A. Burdese, « Institutio ex re certa » e divisione testamentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), cit., pp. 465 s.
( 65 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 26, esclude che il lascito dei mobili
debba considerarsi necessariamente a titolo particolare, ove pure concorra con il lascito di
tutti gli immobili.
( 66 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 379
s. S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 409, pur rilevando
che il lascito di tutti i beni mobili a taluno e dei beni immobili ad altri determina, in genere,
una divisione mediante più istituzioni in rebus certis, precisa che non può escludersi un diverso esito qualificatorio « quando risulti che il testatore intendeva semplicemente [...] distrarre dall’asse ogni e qualunque suo bene, senza alcun possibile residuo ».
( 67 ) Determinate nella decisione di Trib. Milano 14 dicembre 1990, in G. it., 1993, I, 2,
cc. 298 ss.
70
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
e, talvolta, extratestuali, utili al fine di verificare se la disposizione comprenda
l’universalità o una quota dei beni del testatore, ma non dati dai quali è possibile
trarre una inferenza necessaria, presupponendo un’intenzione in re ipsa (68) o
una valutazione legale tipica (69). Non di meno, la circostanza che un lascito considerevole abbia come beneficiario un familiare può essere un indice, ma non un
dato dal quale togliere, con certezza e senza la verifica necessaria, il tratto universale della disposizione testamentaria (70). Soprattutto se si considera che l’argomento che volesse far leva sull’intenzione del testatore di beneficiare il familiare,
non è detto che spinga l’interpretazione verso una istituzione ex re certa, dacché
un legato potrebbe reputarsi maggiormente favorevole.
5. — Le considerazioni che precedono debbono indurre un certo dissenso
anche verso quelle autorevoli ricostruzioni che leggono alcune e precise circostanze testuali o extratestuali siccome idonee a escludere la riconducibilità del
lascito di un bene determinato o di un complesso di beni entro la categoria
dell’istituzione ex re certa.
In particolare, dovrebbe escludersi l’intenzione di assegnare beni determinati come quota, quando il testatore non dispone di tutto il patrimonio,
quando sia incerto sulla misura della propria titolarità di un bene, quando
escluda il beneficiario dalla successione nel debito, quando escluda il beneficiario da acquisti ulteriori rispetto a quelli specificamente menzionati, quando, dopo aver attribuito un bene determinato, lasci il residuo ad altri.
Ciascuno di questi elementi credo possa, senz’altro, essere reputato un
importante indice dal quale trarre l’intenzione del testatore di non voler assegnare i certi beni come quota, ma non credo che alcuno di essi abbia o possa
avere l’esclusiva capacità di far desumere una tale intenzione. Anche le disposizioni con le quali il testatore escludesse espressamente il beneficiario del lascito dai debiti e pesi ereditari o dal riparto di beni ulteriori, ossia da quei
profili che paiono toccare l’essenza stessa dello statuto disciplinare dell’erede,
non mi pare che, da soli, possano essere assolutamente determinanti. Non soltanto perché la disciplina è piuttosto un corollario di qualificazione che non
un dato di essa (71), quanto perché non necessariamente esiste l’incompatibilità, altrimenti, denunciata.
( 68 ) S. Delle Monache, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Comm.
Schlesinger, cit., p. 211. Id., Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., pp. 405 e ss.
( 69 ) Così, F. Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano 2002, vol. II ed., pp. 636 s.
( 70 ) G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, cit., p. 251. Sul punto anche le efficaci considerazioni su un interessante caso di Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati, cit., pp. 538 ss.
( 71 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., pp.
247 s.; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 911. Vi aderisce, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235.
PARTE II - COMMENTI
71
Al riguardo, basti considerare che se è pur vero che ciascun erede risponde pro quota dei debiti e dei pesi ereditari, non è men vero che il testatore potrebbe diversamente disporre e, in forza dell’autonomia testamentaria (72),
porre a carico di un solo erede o di un legatario l’obbligo di pagare tutti i debiti e i pesi ereditari (73). Si tratterebbe di un legato a favore di uno degli eredi e a carico di altro erede o di legatario. Così confermando che l’esclusione
del destinatario del lascito di bene determinato dalla responsabilità per i debiti, non è un dato di disciplina dal quale trarre, necessariamente, la qualifica
di legato, bensì un’autonoma disposizione testamentaria a titolo particolare
avente a oggetto la limitazione o l’esclusione della responsabilità dell’onorato
e la correlativa obbligazione dell’onerato di tenere indenne il primo (74).
Sotto un diverso profilo, la disposizione con la quale il testatore espressamente estromettesse il beneficiario di un lascito di bene determinato da acquisti ulteriori (75), non potrebbe necessariamente escludere l’intenzione del testatore di considerare quel bene come quota del patrimonio. La disposizione,
infatti, potrebbe avere un diverso valore. Il testatore potrebbe aver voluto stabilire che la quota del beneficiario debba essere corrispondente a quella che il
bene assegnatogli rappresenta, con la precisazione, però, che ove il suo patrimonio dovesse, al tempo della apertura della successione, essere significativamente incrementato, nondimeno il valore della quota dovrebbe ridimensionarsi, di guisa che quegli non abbia, comunque, più e oltre del valore di quel
bene. Sarebbe a dire che il testatore potrebbe istituire il beneficiario in una
certa quota, limitando il valore dell’acquisto a un tetto massimo. Il destinatario, mentre non potrebbe conseguire più di quanto il bene determinato valga,
potrebbe, invece, nel caso in cui il valore del patrimonio al tempo dell’apertura della successione fosse inferiore rispetto a quello esistente al tempo della
confezione del testamento, conseguire meno. Questo risultato non sarebbe
possibile se il lascito venisse qualificato come legato, perché il beneficiario
avrebbe, comunque, diritto a quel certo bene e una riduzione del patrimonio
sarebbe ininfluente sul suo acquisto. Senza considerare, poi, che l’alienazione
( 72 ) Almeno, G. Bonilini, Autonomia testamentaria e legato. I legati così detti atipici,
Milano 1990.
( 73 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 447.
( 74 ) In senso contrario, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., p. 249; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 915, secondo
cui l’intenzione di escludere la responsabilità del beneficiario della disposizione è un indice
assolutamente univoco dal quale trarre l’intenzione del testatore di non istituirlo erede. Anche, S. Delle Monache, Revoca tacita della istituzione ex re certa, cit., p. 405. Vi aderisce,
S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235. Già, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 367.
( 75 ) Ma, secondo G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 249, la limitazione dell’efficacia acquisitiva del titolo alla sola res commemorata
è un indice assolutamente univoco dal quale trarre l’intenzione del testatore di non istituire
il beneficiario erede. Vi aderisce, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235.
72
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
e la trasformazione della certa res, soltanto in caso di legato, ma non anche in
caso di istituzione a titolo di erede, varrebbero quale revocazione tacita totale
o parziale dell’attribuzione (76).
Neppure determinante che il testatore non abbia disposto dell’intero patrimonio (77). Poiché credo che l’istituzione ex re certa è una mera disposizione testamentaria istitutiva, caratterizzata soltanto da una singolare tecnica logico-linguistica, come non si può dubitare della legittimità di un testamento
che si componga di una sola disposizione testamentaria con cui l’ereditando
istituisca erede in quota un certo soggetto, nulla disponendo del resto (78), al
pari non credo che possa escludersi che il testatore in luogo di istituire l’erede
in una quota espressa, possa istituirlo in quota inespressa e rappresentata
dalla certa res (79). Ove si volesse, in via di principio, escludere la configura( 76 ) Così, G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 920 s.; V.
Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente,
Milano 1974, p. 494. S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit.,
pp. 417 e ss., precisa che la mera alienazione del bene non può valere quale revoca della
istituzione ex re certa qualora non si accompagni a circostanze delle quali sia possibile
desumere che il testatore intendeva revocare la disposizione. La funzione di revoca, allora,
non è affidata alla mera alienazione, bensì alla valutazione ermeneutica della complessità
di circostanze del caso concreto. Diverso, allora, il problema della forma: ossia se possa
ammettersi una revoca della disposizione testamentaria per facta concludentia. In senso
contrario, M. Porcari, Alienazione del bene oggetto dell’« institutio ex re certa », in G. it.,
1993, I, 2, cc. 297 ss. e spec. 300. Il quale non convince, non soltanto perché postula,
senza una adeguata giustificazione, l’applicazione analogica di una norma eccezionale, ma
anche perché fonda la tesi su profili episodici e concreti, trascurando ogni rilievo dogmatico e sistematico. Di recente, con ben altri argomenti, G. Perlingieri, Heredis institutio
ex re certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit.,
p. 11 ss., il quale dopo aver negata la natura eccezionale alla norma di cui all’art. 686
c.c., assumendo che la revocabilità costituisce la regola, e, in ogni caso, considerata la
possibilità, nel rispetto della legalità costituzionale, di dare applicazione analogica anche a
regole eccezionali, osserva come tale norma serva a tutelare la libertà testamentaria e la
volontà del de cuius manifestata in vita, espressamente o tacitamente. In ragione di questi
argomenti l’A. ammette che, salva la prova di una diversa volontà, la alienazione o la trasformazione della cosa assegnata a titolo di erede, vale revoca, totale o parziale, della istituzione medesima.
( 77 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 436. In questo senso già, L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinati, cit., c. 1167.
( 78 ) Secondo L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 760, poiché la institutio ex re certa ha la funzione di istituire e approzionare l’erede, essa postula in atto almeno due istituzioni in rebus certis fra loro connesse,
traducendosi, di necessità, nella divisione fatta dal testatore. Va da sé, che avendo ammessa
la possibilità di una isolata istituzione ex re certa non credo necessaria la coesistenza di almeno due istituzioni, al pari di come non credo esistente una necessaria coincidenza del fenomeno con quello divisorio, potendosi dare, come tento di chiarire nel testo, divisioni non
istitutive e istituzioni ex rebus certis non divisorie.
( 79 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit.,
p. 257, il quale argomenta la soluzione con un esempio. Già C. Gangi, La successione testa-
PARTE II - COMMENTI
73
bilità di una istituzione ex re certa nei casi in cui il testatore non dispone di
tutto il patrimonio, si finirebbe, inevitabilmente, per comprimere la libertà
del testatore. Il quale, per l’ipotesi in cui non volesse disporre dell’intero, potrebbe istituire l’erede soltanto facendo espressa menzione della quota e non
anche mercé l’indicazione di un bene determinato.
Ragioni analoghe inducono dissenso verso l’idea secondo cui il lascito di
beni determinati non possa mai valere come istituzione ex re certa se, contestualmente, vi sia una disposizione con cui l’ereditando lasci ad altri il residuo (80). Credo, infatti, che una tale struttura della scheda testamentaria non
consente di affermare che il lascito di bene determinato debba essere considerato necessariamente un legato. Ben potendo la disposizione con la quale si
regola il residuo non già valere quale istituzione nell’universalità del patrimonio, bensì quale istituzione nella quota residuale rispetto a quella attribuita
all’istituito ex re certa. In altri termini, ben potrebbe risultare l’intenzione del
testatore di istituire tanto il beneficiario del lascito di bene determinato quanto il beneficiario del residuo come eredi (81). Il primo nella quota risultante
dal rapporto tra certa res e tutto; il secondo nella quota che residua al completamento dell’unità (82).
Infine, neppure assolutamente decisiva la circostanza che il testatore non
conosca o sia incerto sulla misura della propria titolarità di un bene. Tale dato, come gli altri, pur potendo essere un indice dal quale trarre l’intenzione
del testatore di non attribuire quel bene come quota del proprio patrimonio,
non credo che debba condurre a tale risultato con assoluta certezza. Soprattutto se si considera che sovente, nei casi dubbi, è anche opinabile che l’intenzione del testatore di lasciare un bene come quota dipenda esattamente dalla
conoscenza della titolarità sul bene, essendo, piuttosto, legata all’utilità che il
testatore trae dal bene medesimo. Perché, anche prescindendo dal tratto giuridico che giustifica l’utilità tratta dal bene, è tendenzialmente dall’ultima che
è possibile valutare il rapporto della certa res con il resto.
Tutti gli elementi indicati sono allora utili, perché, insieme ad altri, consentono di trarre l’intenzione del testatore (83). La quale, ricavata dal contesto, ossia da tutti gli atti, i fatti e i documenti del testatore, consente, indipendentemente da denominazioni, espressioni e tecnica logico-linguistica usate
mentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 380 s., il quale, condivisibilmente, ammette
una istituzione ex re certa anche in presenza di altre istituzioni in quota espressa.
( 80 ) Così, F. Degni, Delle successioni testamentarie, in Comm. D’Amelio-Finzi, Libro
delle successioni e donazioni, Firenze, 1941, sub art. 134, pp. 379 s.; L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinato, cit., c. 1169; L. Mengoni, L’istituzione di
erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 762.
( 81 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit.,
p. 251; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 916 s. e spec. p. 921.
( 82 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., pp. 20 s.
( 83 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 376
ss.
74
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
dall’ereditando, di verificare se la disposizione comprenda l’universalità o una
quota dei beni e attribuisca la qualità di erede ovvero se, non ricorrendo quella ipotesi, sia una disposizione a titolo particolare e attribuisca la qualità di
legatario.
6. — Il lascito di un bene determinato o di un complesso di beni determinato qualora, sulla base dei criteri segnalati, sia qualificabile come disposizione a titolo universale pone, almeno, due diversi ordini di problemi.
Verificare quale sia la quota nella quale l’istituito è chiamato a succedere
e, per l’ipotesi in cui il de cuius non abbia disposto di tutti i propri beni, determinare la sorte di quelli per i quali il testatore nulla abbia stabilito.
Muoviamo dalla prima questione.
Intorno alla quale parrebbe esistere una certa concordia della dottrina, la
quale, con coro quasi unanime, segnala che la tecnica logico-linguistica consistente nell’assegnare al beneficiario un bene o un complesso di beni determinato, consente di definire la misura astratta della quota riconosciuta al successore soltanto a posteriori, in base al rapporto di valore della res certa o
delle res certae col tutto.
Il vero nodo problematico, però, non è tanto l’assegnazione di tale funzione determinativa a posteriori, sulla quale v’è concordia, quanto l’esatta determinazione del « tutto » al quale raffrontare il valore della certa res o delle
certae res (84).
Sebbene il tema abbia una ricaduta concettuale e pratica di straordinaria
rilevanza, dal momento che a esso sono legati gli esiti del rapporto di relazione capace di marcare la misura astratta della quota, la questione pare, forse
in ragione di un antico pregiudizio, non essere considerata da parte della dottrina. La quale, movendo dall’idea che il « tutto » indica gli elementi attivi
del patrimonio (85), omette di interrogarsi sul tempo in cui tale tutto debba
avere rilevanza e, tralatiziamente, finisce con il valutare sempre e soltanto ciò
che il de cuius abbia lasciato al tempo dell’apertura della successione (86).
Omettendo di considerare che l’eredità è una variabile dipendente dal patrimonio, che quest’ultimo è una grandezza dinamica, la cui misura e composi( 84 ) In riferimento alla posizione di Forchielli, ripresa, per certi versi, anche da Burdese, bene osserva G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 87, che la tesi secondo cui nei
casi di istituzioni ex re certa la quantificazione a posteriori delle quote deve fare leva sulla
proporzione reciproca di valore tra le diverse assegnazioni, è inaccoglibile nel caso di divisione parziale.
( 85 ) Parrebbe esistere concordia sull’idea che nel tutto debba aversi riguardo ai soli beni e non anche ai debiti. L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art.
588, comma 2o, c.c., cit., p. 748, a conferma, osserva che la certa res non potrebbe che essere rapportata a elementi omogenei.
( 86 ) G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, in
Fam., Pers. e Successioni, 2007, p. 245; P. Boero, Il testamento, in Aa.Vv., Diritto delle
successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, vol. 2, Napoli 2008, p. 676; M. Porcari,
Alienazione del bene oggetto dell’« institutio ex re certa », cit., c. 300.
PARTE II - COMMENTI
75
zione dipende dall’attività giuridica del suo titolare (87) e che la grandezza del
patrimonio può essere sensibilmente diversa a seconda dell’istante temporale
nel quale essa venga valutata.
Il tempo di riferimento del tutto assume, quindi, una straordinaria importanza, al punto che la misura astratta della quota dell’istituito mediante l’indicazione di un bene determinato potrebbe essere sensibilmente diversa a seconda che si debba far riferimento al tempo di confezione del testamento o a quello
dell’apertura della successione. Ipotizzando che nel primo Tizio sia titolare dei
beni X, Y, e Z e che nel secondo sia, invece, titolare dei beni X, Y, W e K, è ovvio che una istituzione ex re certa relativa al bene X, consentirà di attribuire al
beneficiario una quota astratta diversa a seconda che si abbia riferimento all’uno o all’altro tempo. Perché nell’un caso il valore della quota astratx
x
ta è data dal rapporto xyz , mentre nell’altro è data dal rapporto xywk. Ciò sta a
significare, supponendo, per esemplificazione, che tutti i beni valgano 10, che
nel primo caso la quota astratta sarebbe pari a 1/3, mentre nel secondo a 1⁄4.
La norma contenuta al comma 2o dell’art. 588 c.c., pur non contenendo
alcun esplicito riferimento al tempo al quale far riferimento per valutare il
tutto, pare suggerire, contrariamente all’opinione che par dominare in dottrina (88), l’idea che si debba tener conto del tempo di confezione del testamento. Attraverso lo strumento dell’istituzione ex re certa il testatore, pur senza
indicare espressamente la quota astratta offerta al beneficiario, istituisce, comunque, quest’ultimo erede, assegnandogli il bene o il complesso di beni determinato come quota del patrimonio. Tale forma di istituzione, seppur in via
indiretta, ossia mercé la mediazione offerta dall’indicazione del bene determinato, assolve la medesima funzione di una qualunque disposizione testamentaria istitutiva in quota espressa.
Il testatore è, dunque, libero di istituire i propri eredi o in quote espresse
o in quote inespresse, mediante l’indicazione di beni determinati. Credo che
tale libertà non sarebbe, affatto rispettata se la misura della quota venisse a
posteriori determinata avendo riguardo al tutto esistente al tempo dell’apertura della successione, perché si assumerebbe a parametro determinante una
grandezza diversa da quella considerata dal testatore, ossia una grandezza diversa da quella che il testatore ha avuto presente, quando, indicando la certa
res o le certae res, ha considerato la medesima o le medesime siccome una
quota del proprio patrimonio (89).
( 87 ) Fare o ricevere una donazione, rispettivamente, riduce o aumenta il valore del patrimonio e, ancora, per restare ai casi più comuni e semplici, una vendita o una compera
modificano la composizione del patrimonio, la prima sostituendo un bene con denaro e la
seconda, all’inverso, sostituendo a un bene del danaro.
( 88 ) Vedi nota n. 85.
( 89 ) Così, chiaramente, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., p. 250 e, modificando la precedente opinione, L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 13.
76
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Ragionando in questi termini, in linea di rottura con la posizione della
dottrina maggioritaria, ma, credo, in linea di conformità al dettato positivo
del comma 2o dell’art. 588 c.c., la grandezza (90) alla quale bisognerebbe far
riferimento, per determinare la quota astratta, sembrerebbe offerta non già
dal complesso dei beni esistenti al tempo della apertura della successione,
bensì dal complesso dei beni, al netto dei legati, esistenti al tempo della confezione del testamento.
Una conferma di questa chiave di lettura credo si possa cogliere anche
nel tenore letterale della disposizione in commento. La quale discorre non già
di eredità, bensì di patrimonio. Proprio a voler indicare che la grandezza di
riferimento non è il complesso dei beni nei quali l’erede deve succedere, ossia
dei beni esistenti al tempo dell’apertura della successione, bensì il patrimonio,
inteso come il complesso dei beni del testatore esistente al momento di confezione della scheda testamentaria.
Questa chiave di lettura, nell’esaltare il valore dispositivo del testamento
e il ruolo della intenzione del testatore, reclama un’ulteriore precisazione.
Affermare che si deve aver riguardo ai beni esistenti al tempo di confezione del testamento, onde si possa determinare la misura della quota dell’istituito ex re certa, significa che si deve tener conto non già dei soli beni dei
quali il de cuius abbia effettivamente disposto con il testamento, ma, più generalmente, di tutti i beni che costituiscono il di lui patrimonio. Ciò imporrebbe di comprendere non soltanto i beni dei quali abbia disposto a titolo
universale, ma anche quelli che ha deliberatamente omesso di considerare e,
non ultimo, quelli di cui il testatore ignorava l’esistenza o, più esattamente,
dei quali ignorava di esserne titolare.
Gli è, però, che il prendere in considerazione l’ultima tipologia beni si
espone alla stessa censura alla quale si espone la tesi che vorrebbe utilizzare
come termine di raffronto il complesso dei beni esistenti al tempo dell’apertura della successione. Perché indurrebbe a considerare beni che il testatore non
ha potuto considerare nel momento in cui ha assegnato il bene determinato
come quota del proprio patrimonio, alterando, in minus, la quota nella quale
il testatore era convinto di istituire il chiamato ex re certa.
In conclusione, credo, allora, che la istituzione ex re certa ha la funzione
di determinare la misura astratta della quota del destinatario del lascito di
bene determinato, in base al rapporto di valore della res certa o delle res cer( 90 ) Precisa G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 917 s., che
per determinare il valore delle certae res deve aversi riguardo al tempo dell’apertura della
successione. Precisa l’A. che questo criterio è soltanto in apparenza in contraddizione con la
scelta di prendere in considerazione i beni esistenti al tempo di confezione del testamento.
Perché il rapporto tra beni non può né deve trasformarsi in rapporto tra valori. Non può,
dunque, essere chiesto di recuperare la valutazione fatta dal disponente. In senso contrario
S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 403 n. 21, secondo cui
il riportarsi al momento in cui la scheda è stata perfezionata non implica necessariamente
che ci si debba riferire alla « rappresentazione soggettiva di quei medesimi valori propria
del testatore.
PARTE II - COMMENTI
77
tae col tutto, ossia con tutti i beni esistenti e conosciuti dal testatore al tempo
della confezione del testamento. Nel tutto debbono, quindi, comprendersi non
soltanto i beni menzionati nel testamento, purché non si tratti di beni legati,
ma anche quelli di cui il testatore non abbia disposto, purché si tratti di beni
noti al testatore. Il che, in termini concreti, sta a significare che deve aversi riguardo, al netto dei legati, al valore di tutti i beni, comunque, esistenti al
tempo della apertura della successione, a meno che non venga offerta la prova, da parte di chi ne abbia interesse, ossia da parte dell’istituito ex re certa,
che l’esistenza di taluno di quei beni era, in quel tempo, ignota allo stesso testatore.
7. — Determinata la misura della quota nella quale l’istituito ex re certa
è chiamato a succedere, si pone, per l’ipotesi assai frequente, che il de cuius
non abbia disposto di tutti i propri beni, o perché li abbia deliberatamente
omessi o perché essi non facevano ancora parte del suo patrimonio, di chiarire quale debba essere la loro sorte (91).
Il tema è affollato di numerose posizioni di dottrina che spaziano, coprendo quasi tutti i possibili risultati intermedi, dalla tesi che vuole escludere
l’istituito ex re certa (92) e assegnare i beni non compresi esclusivamente agli
eredi legittimi (93), aprendo, dunque, la concorrente successione legittima (94),
alla tesi che, invece, pretende di assegnare i beni all’istituito ex re certa, assumendo che anche quegli, insieme agli altri eredi, debba concorrere. Il tessuto
normativo, per altro, non semplifica questo arduo compito, se soltanto si considera che, in tema, viene spesso evocata, non sempre a ragione, la disposizione normativa contenuta al comma 2o dell’art. 734 c.c.
La difficoltà della questione suggerisce di muovere da una prima considerazione di carattere generale che non credo possa essere revocata in dubbio.
Accertata l’intenzione del testatore di assegnare un bene determinato come
quota del proprio patrimonio, non è più controvertibile che il beneficiario sia
un erede, al pari di come lo è colui che viene istituito in quota espressa. La
( 91 ) V. Cuffaro, Art. 588, cit., pp. 182 ss.
( 92 ) D. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, s.d., ma
1951, III ed., p. 821.
( 93 ) Non si può escludere che questa tesi sia legata alla funzione che l’institutio ex re
certa aveva nel diritto romano, nel quale valeva a istituire il soggetto erede, mercé la formale attribuzione del titolo, ma limitava a essa l’acquisto. Per una efficace sintesi tra diritto
romano e moderno, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., p. 742; Id., La divisione testamentaria, cit., pp. 2 ss. e in sintesi, G.
Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 900 s.
( 94 ) G. Gazzara, voce Divisione ereditaria, in Enc. d., XIII, Milano 1964, p. 436, ammette il ricorso alla successione legittima a prescindere dalla individuazione degli eredi e
avendo esclusivo riguardo alla assenza nel testamento di specifiche disposizioni o indicazioni per la materiale attribuzione dei beni non divisi. Credo, invece, che l’individuazione degli
eredi e la determinazione delle loro quote siano l’unico criterio per la distribuzione dei beni
residui.
78
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
differenza tra le due istituzioni, poiché attiene soltanto alle modalità di determinazione della quota, non consente di segnare o assegnare ai due chiamati
discipline disuguali, né di lambire la conclusione che le modalità di designazione possano modificare il comune e unitario statuto disciplinare dell’erede (95). Il quale, pro quota, non soltanto contribuisce, salva una diversa ed
espressa volontà del testatore, al pagamento dei debiti e pesi ereditari, ma ha,
altresì, diritto al riparto dell’attivo (96).
Una volta che sia determinata la misura astratta della quota spettante all’erede, quegli ha diritto di conseguire, rispetto al complesso dei beni che costituiscono l’eredità, diritti per un valore corrispondente alla quota nella quale, direttamente o indirettamente, è istituito. Si discorre, al riguardo, della
c.d. virtù espansiva (97), ossia della capacità dell’erede di raccogliere a sé tutti
i beni dell’eredità in proporzione al valore della quota.
Questo principio di carattere generale, che insieme a quello sulla ripartizione dei debiti, costituisce le fondamenta dello statuto disciplinare dell’erede,
non credo possa essere derogato nel caso di chiamato ex re certa. La precisa
indicazione di beni determinati, infatti, non mi pare possa considerarsi un incontrovertibile indice dell’intenzione del testatore di escludere il beneficiario
dal riparto di beni ulteriori o diversi (98). Così ragionando, non soltanto si tradirebbe il senso della norma sull’interpretazione delle disposizioni testamentarie, ma si finirebbe, altresì, per violare la stessa libertà del testatore di istituire un erede con precisa indicazione di beni determinati.
La tesi che esclude, in via di principio, l’istituito ex re certa dal riparto
dei beni residui o ulteriori finisce, inevitabilmente, per un verso, per eludere
l’intenzione del testatore di considerare i medesimi quale quota del patrimonio, limitando l’acquisto a quelli e, per altro verso, per violare la norma sull’interpretazione del testamento che impone, sulla base del testo e del contesto, di assegnare alla disposizione testamentaria un significato che sia indipendente dalla tecnica logico-linguistica e vincolato al suo comprendere l’universalità o una quota dei beni del testatore.
L’indicazione di beni determinati non sfugge, dunque, all’alternativa: o
( 95 ) F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., p. 47. Recentemente, G. Perlingieri, Heredis institutio ex re
certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 8, il
quale, al fine di confermare l’identità dello statuto disciplinare dell’erede, quale che sia la
modalità della sua chiamata, invoca la norma costituzionale che pone il c.d. principio di
eguaglianza.
( 96 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 15.
( 97 ) Piena è l’adesione a G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, cit., pp. 239 ss., il quale preferisce alla formula « forza espansiva » quella più efficace di « virtù espansiva ». Id., Institutio ex re certa e
acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 538, par. 8.
( 98 ) Così era, invece, nel diritto romano classico, in cui tale istituzione consentiva di attribuire il titolo formale di erede, limitando, al contempo l’acquisto alla certa res.
PARTE II - COMMENTI
79
risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio e, allora, il beneficiario è erede nella quota che i beni ritraggono, con la
logica e consequenziale avvertenza che i beni indicati non esauriscono né costituiscono necessariamente la di lui quota, soltanto rappresentandola (99);
ovvero il testatore non ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio e, allora, il beneficiario è legatario, sicché succede esclusivamente e limitatamente in quei diritti.
Del resto, qualora si affermasse che l’istituito ex re certa non ha diritto al
riparto sui beni esclusi o sopravvenuti, la stessa logica che sottende una qualunque istituzione d’erede, ossia una chiamata a subentrare nell’intero o nella
quota dell’eredità, parrebbe violata. Atteso, infatti, che nell’eredità devono
comprendersi, indipendentemente dall’indicazione che ne faccia o dalla notizia che ne abbia il de cuius, tutti i beni, i diritti e le cose che, comunque, costituiscono l’eredità, non v’ha dubbio che postulare la limitazione dell’acquisto ai soli diritti menzionati esclude il necessario contenuto per relationem
della disposizione e, per l’effetto, la sua qualificazione nel genere di quelle a
titolo universale (100).
Assumere che la virtù espansiva sia un principio generale (101), il quale
prescinde dalle modalità logico-linguistiche con le quali l’erede viene chiamato in quota, in uno con l’esatta determinazione dei successibili, scioglie il problema intorno alla sorte dei beni residui e dei beni dei quali il testatore non
abbia disposto (102).
Essi andranno ripartirti, pro quota, tra gli eredi (103).
Il che riduce, drasticamente, il senso del difficile dibattito intorno al possibile concorso del successore legittimo con il chiamato ex re certa e, di necessità, la plausibilità delle tesi che, in via di mero principio, si propongono di
assegnare i beni residui o al solo successore legittimo o al solo successore testamentario o a entrambi.
I due temi, pur intrinsecamente connessi, vanno distinti.
( 99 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 19.
( 100 ) M. Allara, Principî di diritto testamentario, Torino 1957, p. 120 e s., chiarisce:
« la categoria della vocazione universale è [...] caratterizzata dal modo come è indicato
l’oggetto, in senso specifico, della successione a causa di morte ». L’oggetto è determinato
per relationem alla situazione patrimoniale del testatore.
( 101 ) Chiaro G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, cit., pp. 249 ss., il quale, anche tramite un esemplare caso,
dimostra il paradossale risultato al quale, altrimenti si giungerebbe. Anche Id., Institutio ex
re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 540. In senso parzialmente contrario, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 85, secondo cui l’apertura
della successione legittima è la regola, il funzionamento della quale può essere impedito
quando emerga una diversa intenzione del testatore.
( 102 ) Già, L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinati, cit., c. 1166.
( 103 ) Quale che sia la delazione. L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., pp. 764 e 766.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Il concorso del successore legittimo con il successore o con i successori ex
re certa, non credo, infatti, possa o debba dipendere dall’esistenza di beni residui (104). Più semplicemente, è legato alla scelta compiuta, consapevolmente
o inconsapevolmente, da parte del testatore che non assegni agli eredi, pur
frazionandola in quote, l’universalità del proprio patrimonio (105). Detto con
le parole dell’art. 457 c.c., si deve far luogo alla successione legittima soltanto
quando manchi in parte la successione testamentaria (106), ma non anche
quando essa sia, per così dire, completa (107).
Un esempio può chiarire. Dato il testamento con il quale vengano nominati
eredi, attraverso istituzioni ex re certa, Caio, Sempronio e Mevio, lo stabilire se
sia necessario aprire la successione legittima a favore del parente più prossimo
dipende non già dall’eventuale esistenza di beni ulteriori o di beni non menzionati, bensì dalla verifica sulla capacità delle disposizioni testamentarie di assegnare ai nominati l’universalità del patrimonio (108). Qualora risultasse l’intenzione del testatore di istituire Caio, Sempronio e Mevio, ciascuno nella quota di
1/3, non si darebbe luogo, quali che siano i beni ulteriori, a successione legitti( 104 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o,
c.c., cit., p. 761, esclude che un solo heres ex re possa concorrere con gli eredi legittimi,
dacché l’esistenza di un solo lascito di bene determinato non può mai qualificarsi quale institutio ex re certa. In senso parzialmente difforme Id., La divisione testamentaria, cit., pp.
24 ss. dove, conclude: « l’applicazione dell’art. 5882 non ammette limitazioni di sorta, all’infuori di quella, di ordine pratico, inerente all’indagine dell’elemento subiettivo della disposizione testamentaria ».
( 105 ) F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 667. Giu. Azzariti, Divisione fatta dal testatore, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno,
VI, cit., p. 425. G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, cit., pp. 252 s. Anche L. Mengoni, L’istituzione di erede
« ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., pp. 766 ss., il quale, in caso di divisone totale, esclude sempre il concorso, che, invece, ammette nel caso di visione parziale. Credo valga la pena precisare che quella proposta dall’A. debba considerarsi un’esemplificazione e che la soluzione non dipenda dal residuare o non residuare beni, ma, più esattamente,
dalla intenzione del testatore di assegnare l’universalità o no del proprio patrimonio. Al riguardo, infatti, si consideri che anche nel caso di divisione totale potrebbero residuare beni,
qualora, essi siano successivamente acquistati dall’ereditando.
( 106 ) Così, anche G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non
contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 9.
( 107 ) Ammette la possibilità del concorso di istituzione ex re certa e successione legittima, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 252 e
spec. p. 256, in cui precisa che l’apertura della successione legittima nei beni residui sarà
possibile solo nel caso in cui « la parziarietà riguardi non solo il riparto, ma la stessa volontà istitutiva ». Più di recente, Id., La divisione del testatore, cit., p. 86, in cui precisa che
presupposto per l’apertura della successione legittima è la parzialità nella volontà istitutiva.
La quale ricorre « quando il de cuius abbia avuto presente la circostanza che il complesso
dei beni assegnati non esauriva il patrimonio di cui si sarebbe potuto disporre ».
( 108 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote,
cit., p. 256, che il concorso tra successione testamentaria e legittima può verificarsi anche
nel caso in cui il testatore abbia diviso soltanto una parte dei beni.
PARTE II - COMMENTI
81
ma. Diversamente, ove si accertasse che Caio, Sempronio e Mevio sono stati
istituiti nella quota di 1⁄4 ciascuno, dovrebbe darsi luogo alla successione legittima, indispensabile per attribuire la restante quarta parte dell’eredità (109).
La considerazione che i beni non contemplati non pongono un problema di
distribuzione, bensì uno di individuazione degli eredi, esclude, in conseguenza,
anche la plausibilità delle tesi che pretendono di assegnare i beni residui, in via di
mero principio e di là del problema intorno al numero e alle quote dei successibili. Una volta che sia fatta chiarezza sugli eredi e sulla misura della quota nella
quale ciascuno di loro concorre (110), il problema del residuo smarrisce ogni appetibilità, relegandosi a profilo di mera distribuzione matematico-contabile.
Alcuni esempi possono aiutare la comprensione e offrire la dimostrazione (111).
Supponiamo che Tizio sia titolare, al tempo della confezione del testamento e al tempo dell’apertura della successione, dei beni 1, 2, 3, 4, 5, che i
beni siano tutti del medesimo valore, che con testamento lasci a Caio i beni 1,
2, 3, 4, che risulti l’intenzione del testatore di lasciare tali beni come quota
del patrimonio. Dati tali fatti, Caio sarà erede nella quota di 4/5. Per attribuire la restante quota di 1/5, rappresentata dal bene Z, si dovrà far luogo
alla successione legittima. Il parente più prossimo, Filano, sarà, dunque, chiamato nella restante quinta parte. In tale caso il bene residuo dovrà essere attribuito interamente a Filano. Non perché, in via di principio, il bene residuo
spetti all’erede legittimo, ma perché l’erede legittimo ha diritto a 1/5 dell’eredità e nel caso di specie il bene 5, che rappresenta esattamente 1/5 dell’eredità è il bene del quale il testatore non ha disposto (112).
( 109 ) Fin troppo ovvio che in un caso di questo tipo non si può mai far questione di devoluzione ereditaria. La quale, di là dell’idea che essa determini una vicenda di modificazione soggettiva o una doppia vicenda di estinzione e costituzione (sul tema, il mio La rinunzia all’eredità, cit.), non v’ha dubbio che il suo presupposto sia il non volere o non potere accettare l’eredità. In caso come quello proposto nel testo prescindiamo dal problema
della possibilità dei chiamati di accettare e, più a monte, ci poniamo il problema della c.d.
delazione dell’eredità, intendendo con l’ultima espressione, l’offerta dell’intera eredità o per
legge o per testamento.
( 110 ) Precisa acutamente L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art.
588, comma 2o, c.c., cit., p. 768 che in presenza di una divisone parziale, qualora risulti
l’intenzione del testatore di escludere la successione legittima, dovrà ripartirsi il patrimonio
tra i soli istituiti, calcolando le quote di questi ultimi non già in rapporto alla totalità dei
beni di cui il primo poteva disporre, bensì « in rapporto al valore complessivo dei beni colpiti dalla divisione, di guisa che la somma delle frazioni, così ottenute, è eguale all’unità ».
Va da sé che anche in questo caso non v’ha questione di divisione di beni ulteriori, ma di
individuazione, secondo l’intenzione del testatore, degli eredi e delle loro quote. Tema al
quale quello divisorio segue.
( 111 ) F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., pp. 667 s., propongono diverse ipotesi.
( 112 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 27, precisa che codesto risultato
non è effetto di un atto distributivo, ma un effetto riflesso. Gli acquisti dell’erede istituito e
di quello legittimo, pur risalendo a un unico autore, si fondano su titoli diversi.
82
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Fermi tutti gli altri presupposti di fatto, ipotizziamo che Tizio sia titolare
dei beni 1, 2, 3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento e titolare dei beni
1, 2, 3, 4, 5, 6 al tempo dell’apertura della successione. Caio sarà erede nella
quota di 4/5, mentre la restante quinta parte sarà devoluta a Filano, secondo
le norme sulla successione legittima. Individuati gli eredi e le loro rispettive
quote si tratta di assegnare loro i beni esistenti al tempo dell’apertura della
successione. A Caio andranno assegnati, certamente, i beni 1, 2, 3, 4, espressamente assegnatigli con testamento. Essi, però, non rappresentano 4/5 dell’eredità, bensì i 4/6. Ciò significa che Caio, essendo erede nella quota di 4/5,
ha diritto a ulteriori beni per un valore pari alla differenza tra 4/5 dell’eredità
ai quali ha diritto e ai 4/6 effettivamente conseguiti con le attribuzioni specifiche dei beni 1, 2, 3, 4 disposte con testamento. Considerando che i beni 5 ed
6, costituiscono 1/3 dell’eredità complessiva e che Caio deve ancora completare la propria quota, a quest’ultimo spetteranno 2/15 della terza parte, mentre all’erede Filano i restanti 3/15. Assumendo che ogni bene valga 10, a Caio
sono assegnati, per volontà espressa del testatore, beni per un valore di 40. I
restanti beni, per un valore complessivo di 20, andranno attribuiti a Caio per
un valore pari a 8 e a Filano per un valore pari a 12. In questo caso partecipano al riparto dei beni residui sia l’erede testamentario che l’erede legittimo,
non perché, in via di principio, il residuo spetti a entrambi, ma perché l’erede
legittimo ha diritto a 1/5 dell’eredità e l’erede testamentario a 4/5.
Infine, fermi gli altri presupposti di fatto, ipotizziamo che Tizio sia titolare dei beni 1, 2, 3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento, titolare dei beni 1, 2, 3, 4, 5, 6 al tempo dell’apertura della successione e che risulti l’intenzione del testatore di lasciare tali beni non già come quota del patrimonio, ma
come l’universalità del medesimo. Caio sarà erede universale, sicché non occorre aprire la successione legittima. Va da sé, che a Caio andranno assegnati
anche il bene non contemplato nel testamento e quello successivamente rinvenuto. Non per una petizione di principio, ma soltanto perché quegli è l’erede
universale del de cuius.
Gli esempi mi pare che chiariscano in modo inequivoco come l’assegnazione dei beni residui non dipende mai da una petizione di principio o da una
scelta astratta e preventiva, bensì dalla sola precisa identificazione degli eredi
e dalla determinazione esatta del valore delle loro quote.
Queste considerazioni consentono non soltanto di segnare la sorte dei beni residui, ma di risolvere anche il diverso caso, non meno frequente e assai
rilevante nell’economia complessiva del problema che intendo indagare, in
cui i beni esistenti al tempo dell’apertura della successione siano notevolmente inferiori rispetto a quelli esistenti al tempo della confezione del testamento.
Poiché, come ho cercato di dimostrare, la determinazione della quota dell’istituito ex re certa deve essere fatta rapportando il valore della res certa al complesso dei beni esistenti al tempo della confezione del testamento, l’originaria
proporzione astratta non può mai essere favorita o pregiudicata dalla successiva consistenza del patrimonio ereditario. Ciò ha conseguenze assai rilevanti.
PARTE II - COMMENTI
83
Perché nel caso in cui il patrimonio ereditario, al tempo dell’apertura della
successione, sia inferiore a quello esistente al tempo di confezione del testamento, l’istituito ex re certa potrebbe non soltanto non conseguire tutte le res
certae indicate, ma potrebbe anche dover dividere parte di quelle che gli sono
state assegnate con altri eredi.
Anche in questo caso, un esempio aiuta. Ancora, fermi tutti gli altri presupposti di fatto già stabiliti, ipotizziamo che Tizio sia titolare dei beni 1, 2,
3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento, e titolare dei beni 1 e 2 al tempo dell’apertura della successione. Caio sarà erede nella quota di 4/5, mentre
la restante quinta parte sarà devoluta a Filano, secondo le norme sulla successione legittima. Sebbene in tale caso sembrerebbe legittimo pensare che a
Caio debbano almeno andare integralmente i beni 1 e 2, la tesi sostenuta induce verso una soluzione di segno contrario. Poiché Caio non è erede universale, ma erede nei 4/5, a costui dovrà assegnarsi non l’intero dei beni 1 e 2,
ossia l’intero della massa da dividere, bensì i soli 4/5 dei beni 1 e 2, lasciando
il restante quinto all’erede legittimo. Il quale, nonostante i beni rimasti siano
inferiori a quelli originariamente assegnati all’istituito ex rebus certis, nondimeno, stante l’intenzione del testatore di non nominare l’ultimo erede universale, ma in quota, avrà diritto di conseguire sulla massa da dividere, ove pure
essa sia inferiore a quella assegnata nel testamento all’istituito ex re certa, beni per un valore corrispondente alla propria quota.
8. — Le note tracciate consentono di raccogliere e fermare qualche riflessione di sintesi sull’istituzione ex re certa.
L’interpretazione della disposizione testamentaria, orientata dal singolare
punto di rilevanza ermeneutica e dalla fragile irripetibilità dell’atto, divisa tra
un testo, vincibile e superabile, e un contesto, dal quale è possibile trarre l’intenzione del testatore, è retta, indipendentemente dalle espressioni e denominazioni usate dal testatore e dalla tecnica logico-linguistica assunta per disporre delle sostanze, dal comprendere o escludere l’universalità o una quota
dei beni del testatore. Il lasciare beni determinati risponde, dunque, a una
pura tecnica logico-linguistica, sicché ove risulti l’intenzione del testatore di
assegnare quei beni come quota del proprio patrimonio, non v’ha dubbio che
essa è disposizione a titolo universale, che attribuisce qualità di erede. L’irrilevanza della tecnica logico-linguistica segna la libertà dell’ereditando di istituire i propri eredi non soltanto in quota espressa, bensì anche in quota inespressa, risultante dall’indicazione di certae res.
La funzione dell’istituzione ex re certa non è di apporzionamento dell’erede (113) o di attribuzione delle certae res, ma, più genuinamente, di determinazione della quota astratta. L’indicazione di beni determinati o di un
( 113 ) Discorre, invece, di apporzionamento L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa
re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 742, il quale, però chiarisce che la indicazione non limita l’acquisto a quei beni.
84
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
complesso di beni non serve per assegnare i beni, ma per segnare la misura
astratta della quota (114). La quale attende al rapporto di valore tra la res certa o res certae, da un parte, e l’insieme dei beni esistenti e conosciuti dall’ereditando al tempo della confezione del testamento, dall’altra (115).
L’indicazione dei beni determinati, nella misura in cui essa rilevi sotto il
profilo interpretativo e qualificatorio della disposizione testamentaria, non
assegna né distribuisce, ma segna e misura. Soltanto ove si abbia mente a
questa considerazione si capisce come sia possibile che all’istituito ex re certa
possa non essere assegnata o possa non essere integralmente assegnata la certa res o le certae res che pure il testatore parrebbe avergli, expressis verbis,
« lasciato ». Né un tale risultato può stupire. La disposizione, sotto questo
aspetto, non ha un’essenziale funzione distributiva, bensì un’essenziale funzione istitutiva. La circostanza che l’istituzione si realizzi, poi, attraverso l’indicazione di un bene determinato o un complesso di beni non rende l’attribuzione di quel bene o di quei beni necessaria, sicura e certa, così come la assenza dei medesimi non importa l’esclusione dell’istituito dalla successione e
così come l’alienazione o la trasformazione della certa res non vale a revocare,
totalmente o parzialmente, la disposizione testamentaria.
Di là del solo ed esclusivo caso, quasi di scuola, in cui il patrimonio dell’ereditando sia identico al tempo della confezione del testamento e al tempo
dell’apertura della successione, la istituzione ex re certa difficilmente riesce anche ad assolvere una funzione perfettamente distributiva. Infatti, a seconda che
il patrimonio dell’ereditando sia al tempo della apertura della successione
maggiore o minore di quello esistente al tempo della confezione del testamento,
si porranno, rispettivamente, problemi di distribuzione di beni ulteriori, con la
conseguenza che la certa res o le certae res potrebbero non risultare sufficienti
nell’apporzionamento dell’erede o, viceversa, problemi di distribuzione della
massa inferiore, con la conseguenza che all’istituito potrebbero non risultare
attribuite tutte le res certae che, secondo il testamento, gli sarebbero spettate.
In tali ipotesi è fin troppo ovvio che se si volesse riconoscere alla istituzione ex re certa una funzione distributiva e, quindi, sovrapporre la funzione
istitutiva con quella della divisione fatta dal testatore, il risultato smarrirebbe
di coerenza logica e la disposizione stessa, per definizione, perderebbe la funzione che, altrimenti, gli si vuole assegnare.
( 114 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote,
cit., p. 249, che l’indicazione dei beni determinati non opera il distacco da resto del patrimonio (delibatio hereditatis), bensì il « titolo di concretamento di una quota ». G. Amadio,
L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 913.
( 115 ) Benché giunga a conclusioni esattamente opposte, negando ogni compatibilità tra
istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, sembra di questa idea G. Bombarda,
Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 117, secondo la quale la norma di cui all’art. 588,
comma 2o, c.c. non esige che sia « individuata proprio la quota rappresentatasi dal de
cuius ».
PARTE II - COMMENTI
85
La istituzione ex re certa è soltanto una istituzione in quota; non ha una
speciale funzione distributiva. La quale compete ad altre disposizioni, delle
quali mi riprometto di indagarne presupposti e disciplina, rilevando, sin da
adesso, come esse debbano essere diverse per struttura e funzione dalle prime,
con le quali condividono soltanto il loro indicare beni determinati o un complesso di beni, ma se ne separano per disciplina e per ruolo che l’indicazione
assume nelle une e nelle altre.
9. — Svolte le considerazioni che precedono sul difficile tema del lascito
di beni determinati, converrà, senza pretesa di completezza e nella consapevolezza di un’ampia letteratura sul tema che difficilmente è docile alla sintesi,
esporre anche talune considerazioni sulla disciplina della divisione fatta dal
testatore in funzione del suo problematico rapporto con la istituzione ex re
certa.
La disciplina è divisa tra due fondamentali e diverse norme: quella di cui
all’art. 733 c.c. e quella di cui all’art. 734 c.c. (116). Entrambe destinate a regolare disposizioni date dal testatore, entrambe collocate nella disciplina della
divisione ereditaria, ma ciascuna dotata di una fattispecie specifica e capace
di un risultato proprio (117). Perché nel primo caso si tratta di disposizioni
sulla divisione, mentre nel secondo di disposizioni di divisione (118). Nel primo
caso, il testatore si limita a dettare criteri e metodi attraverso i quali la divisione deve compiersi (119), mentre nel secondo provvede, immediatamente, a
dividere i beni tra gli eredi (120). Sicché mentre nel primo caso tra i coeredi si
( 116 ) Per una sintesi sul previgente istituto della divisio inter liberos, almeno, F.S. Azzariti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 660.
( 117 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., pp. 31 ss.
( 118 ) La struttura del primo sembra essere quella del legato obbligatorio a carico degli
altri coeredi e non già quella di un modo della istituzione. Così L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., pp. 71 s. G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore
per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., pp. 121 ss.
esclude che possano ricondursi al legato le disposizioni puramente distributive. Da ciò l’A.
esclude che il contenuto patrimoniale del testamento debba esaurirsi nelle forme di istituzione di erede e del legato. Tra le disposizioni patrimoniali accessorie del testamento l’A.
include, oltre agli assegni divisionali, anche i conguagli, ossia quelle disposizioni aventi la
mera funzione di ripartire valori patrimoniali. Per la conseguenza pratica di tale qualifica
del conguaglio l’esempio proposto dall’A. a p. 125. Larga parte della dottrina è nel senso
che si tratti di un onere e per tutti, C.M. Bianca, Diritto civile. 2. La famiglia e le successioni, 3a ed., Milano 2001, p. 536 e A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, in Aa.
Vv., Diritto delle successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, vol. 2, cit., p. 1201.
( 119 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 31, il testatore si limita a modificare la par condicio heredum, attribuendo a uno o più di essi la preferenza nell’aggiudicazione di certi beni. Anche G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore
per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 108, la
quale discorre di « preferenza nell’aggiudicazione ».
( 120 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
254; Id., La divisione del testatore, cit., p. 76, definisce la divisione fatta dal testatore come
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
istituisce una comunione, nel secondo essa parrebbe, a priori e almeno limitatamente ai beni divisi, preclusa ed esclusa (121).
Pur nella profonda diversità delle due fattispecie (122), la lettura delle discipline pare profilare all’interprete un tratto comune a entrambe. Il quale, di
là dello strumento tecnico con cui, mano a mano, esso viene realizzato o attuato, concerne il profilo dell’efficacia.
Le predette disposizioni testamentarie, infatti, ora mercé la categoria della validità, ora immediatamente e direttamente, ora mercé norme integrative
e suppletive, presentano una stabilità non ferma. Così, se il testatore può disporre che la divisione non abbia luogo prima di un certo tempo, tale tempo
non può eccedere i cinque anni e, in ogni caso, l’autorità giudiziaria potrebbe,
comunque, consentirla anche prima (art. 713 c.c.); se il testatore può dare
norme per la divisione, esse non sono vincolanti se l’effettivo valore dei beni
non corrisponde alle quote (art. 733, comma 1o, c.c.); se il testatore può stabilire che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata,
essa non può essere un erede o un legatario e, in ogni caso, non vincola se risulta manifestamente iniqua (art. 733, comma 2o, c.c.); se il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi, la divisione è nulla se non abbia compreso
qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti (art. 735 c.c.); se il testatore ha
diviso i beni e uno dei legittimari è leso, costui può esercitare l’azione di riduzione; se il testatore ha diviso i beni e uno degli istituiti è leso oltre il quarto,
può agire per la rescissione (art. 763 c.c.) (123).
La ragione della singolare instabilità delle predette disposizioni testamentarie credo che dipenda, di là del particolare caso della preterizione, in
un organico regolamento negoziale « sorretto e qualificato dall’unitario scopo distributivo,
ed attuato tramite un complesso di assegnazioni funzionalmente collegate e capaci di immediata e reale efficacia dal momento dell’apertura della successione ». Già L. Mengoni, La
divisione testamentaria, cit., p. 81, tra le disposizioni esiste un « nesso di reciproca subordinazione funzionale in vista di una causa unica: la distribuzione (per quote) di una massa
patrimoniale ». Precisa l’A. a p. 69 che la divisione non può mettere capo a legati, ma ad
attribuzioni a titolo universale.
( 121 ) In senso contrario, F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa
di morte e donazione, cit., pp. 661 ss., e Giu. Azzariti, Divisione fatta dal testatore, cit., p.
421 — anche se nella pagina successiva sembra negare il sorgere della comunione — i quali
ammettono, anche per un breve istante, il sorgere tra i coeredi di una comunione. Ma la
dottrina maggioritaria esclude la esistenza di una comunione.
( 122 ) Secondo P. Forchielli, Della divisione. Artt. 713-768, in Comm. Scialoja-Branca,
Roma-Bologna 1970, pp. 186 ss., la prima ipotesi si differenzierebbe dalla seconda, per
l’incompletezza. Contraria la dottrina maggioritaria, secondo cui si tratta di questione d’interpretazione. Ovvie le differenze tra gli uni e gli altri a seconda del ruolo attribuito al testo
e al contesto, alla lettera e all’intenzione.
( 123 ) Sui poteri spettanti al testatore, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 76
ss., il quale concede al testatore almeno ciò che la legge consente al giudice, al notaio o all’accordo dei condividendi. L’A. ammette anche la possibilità di apporre alla divisione una
condizione o un termine, precisando che l’effetto essenziale della fattispecie non è l’immediata divisione, bensì la sua automaticità.
PARTE II - COMMENTI
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cui si consuma una violazione di norme imperative che, sola, giustifica il ricorso alla categoria della nullità, dal loro rapporto con le disposizioni istitutive, avuto riguardo alla consistenza del patrimonio (124). Il quale, perché può
esservi una divaricazione tra la misura di esso al tempo di confezione del testamento e al tempo della apertura della successione o perché è stato stimato
non adeguatamente dallo stesso testatore o dalla persona da quello designata
o perché taluno degli istituiti ne è, astrattamente o concretamente, escluso,
potrebbe rendere le medesime incompatibili con le disposizioni istitutive.
La loro connessione con le disposizioni istitutive, avuto riguardo all’effettiva consistenza del patrimonio ereditario, e, quindi, la loro astratta attuabilità si spiega in ragione della loro funzione: sono volte a far cessare o a impedire il sorgere della comunione ereditaria, presupponendo già individuati i soggetti tra cui dividere. Perché vi siano disposizioni testamentarie divisorie occorre, allora, che, per testamento o per legge, siano determinati i successibili,
perché esse non istituiscono, né hanno questa vocazione, e che gli eredi siano
almeno due, perché non vi sarebbe ragione di dividere se non vi fosse più di
un erede. Perché, invece, esse siano efficaci, è necessario che esse siano tutte,
almeno astrattamente, attuabili, ossia che esistano beni per tutti gli istituti e
che i medesimi siano idonei a soddisfare le quote di ciascuno.
10. — Avere istituita una connessione tra disposizioni testamentarie di
divisione, disposizioni istitutive e patrimonio ereditario e da essa tolta una
giustificazione intorno alla singolare efficacia delle prime, consente di ipotizzare principi di soluzione ai problemi che si profilano quando i beni effettivamente esistenti al tempo dell’apertura della successione siano inferiori o parzialmente diversi da quelli esistenti al momento della confezione del testamento. In quanto l’assenza anche di un solo bene o la diversità della consistenza patrimoniale potrebbe incidere su tutte le disposizioni di divisione,
rendendole completamente inattuabili e, dunque, inefficaci (125).
Sebbene le questioni siano particolarmente complesse, aprendosi a molteplici e opposte soluzioni, esse non sono regolate da una precisa disposizione di
legge. Il legislatore si è, infatti, preoccupato e occupato del caso contrario, ossia quello in cui nella massa vi siano beni maggiori di quelli effettivamente
( 124 ) Sulla prevalenza delle disposizioni istitutive, G. Amadio, La divisione del testatore
senza predeterminazione di quote, cit., p. 255; G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p.
78. L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 84; F. Venosta, Art. 734, in Aa.Vv.,
Comm. Gabrielli, Delle Successioni, vol. 3, artt. 713-768 octies e leggi collegate, a cura di
V. Cuffaro e F. Delfini, Torino 2010, p. 187.
( 125 ) Non mi sembra che l’instabilità dipenda, in questo caso, dall’ammissibilità del
mezzo rescissorio. Il ricorso al quale, credo, presuppone l’astratta attuabilità della divisione
medesima, seppure essa importi la lesione. In ogni caso, ove pure non si condividesse questa impostazione, le considerazioni svolte potrebbero, nondimeno, essere conservate, con la
sola avvertenza che il risultato finale dipenderebbe dall’uso del mezzo rescissorio. Il quale
determinerebbe un risultato analogo a quello prospettato nel testo.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
divisi dal testatore e di quello diverso in cui vi sia la preterizione di un istituito o di un legittimario.
Con questa consapevolezza bisognerà tentare la soluzione, tenendo conto
dell’irripetibilità dell’atto, del punto di rilevanza ermeneutica, della necessaria prevalenza delle disposizioni istitutive su quelle divisorie e, infine, del comune principio espresso nella norma contenuta al comma 1o dell’art. 733 c.c.
e in quella contenuta al comma 1o dell’art. 735, comma 1o, c.c.
Nel caso in cui i beni effettivamente esistenti al tempo dell’apertura della
successione siano inferiori a quelli esistenti al momento della confezione del
testamento, sebbene in linea puramente astratta le disposizioni divisorie relative ai primi potrebbero essere attuate, non credo si possa dubitare del fatto
che esse non meritino di essere conservate. Dalla loro attuazione, infatti, deriverebbe, inevitabilmente, per un verso, la inattuazione della disposizione istitutiva e, per altro e consequenziale verso, l’estromissione dalla successione di
colui che, pur istituito erede in quota astratta, risulta assegnatario del bene
non più esistente (126). Il paradossale risultato induce la conclusione che in un
caso di tal sorta, ferme le disposizioni istitutive, deve negarsi efficacia alle disposizioni di divisione, con l’ovvia conseguenza che deve considerarsi esistente
tra i coeredi una comunione ereditaria.
Un esempio chiarisce.
Immaginiamo che Tizio, dopo aver istituto con testamento A, B e C eredi
in parti eguali, abbia, così, diviso i propri beni: ad A il bene 1, a B il bene 2 e
a C il bene 3. L’efficacia della disposizione di divisione è indubbiamente legata all’esistenza dei beni 1, 2 e 3. Se supponiamo che alla morte di Tizio residuino soltanto i beni 1 e 2 è fin troppo ovvio non soltanto che è inattuabile la
disposizione di divisione con cui è assegnato il bene 3, ma che sono, altresì,
necessariamente compromesse anche le disposizioni di divisione con cui sono
assegnati i beni 1 e 2. Per un evidente principio di non contraddizione, la disposizione istitutiva con la quale A, B e C, sono nominati eredi in parti eguali
diventa, mercé l’assenza del bene 3, incompatibile con quelle di divisione.
Poiché credo che la disposizione testamentaria istitutiva debba avere prevalenza su quelle di divisione, par d’obbligo concludere che, in un caso del genere, la disposizione testamentaria di divisione sia inefficace (127) e, che, di
conseguenza, tra i tre eredi A, B e C si istituisce una comunione ereditaria sui
beni 1 e 2, da dividere, tra loro, in parti eguali.
Diverso il caso in cui i beni effettivamente esistenti al tempo dell’apertura
( 126 ) Credo plausibile affermare anche la nullità della stessa divisione fatta dal testatore, applicando, analogicamente, la norma di cui all’art. 735, comma 1o, c.c. Sebbene la regola si riferisca all’ipotesi di preterizione formale, ossia al caso in cui il testatore non ha
compreso nella divisione qualcuno degli istituiti, credo che possa analogicamente valere anche per il caso in cui taluno degli istituiti pur essendo formalmente compreso nella divisione
sostanzialmente deve non considerarsi compreso per la deficienza del bene.
( 127 ) Addirittura nulla, mercé l’applicazione analogica della norma di cui al comma 1o
dell’art. 735 c.c.
PARTE II - COMMENTI
89
della successione siano parzialmente diversi da quelli esistenti al momento
della confezione del testamento. Possono darsi, astrattamente, tre casi: che i
beni della massa siano parzialmente diversi, ma non inferiori per valore a
quelli esistenti al momento della confezione del testamento; che i beni della
massa siano parzialmente diversi, ma esattamente corrispondenti per valore a
quelli esistenti al momento della confezione del testamento; che i beni della
massa siano parzialmente diversi, ma inferiori per valore a quelli esistenti al
momento della confezione del testamento.
Nel primo caso e per le medesime ragioni già espresse, non credo che la
soluzione possa e debba essere diversa da quella ipotizzata nel caso in cui i
beni effettivamente esistenti al tempo dell’apertura della successione siano inferiori a quelli esistenti al momento della confezione del testamento. L’attuazione delle disposizioni testamentarie di divisione potenzialmente eseguibili
determinerebbe, infatti, un non corretto apporzionamento dell’erede al quale
era stato assegnato il bene non più esistente, ove pure gli venissero assegnati
tutti i beni non esistenti al tempo della confezione del testamento. Sicché dall’attuazione della disposizione di divisione deriverebbe una violazione della
disposizione istitutiva.
Diversamente, nel secondo e nel terzo caso le disposizioni testamentarie
di divisione astrattamente attuabili credo che possano e debbano essere conservate. Sicché, ferme le medesime, le due ipotesi si distinguono tra loro soltanto per le modalità di assegnazione dei beni non attribuiti con il testamento (128), d’ora in poi, per brevità, beni nuovi.
Se i beni della massa, pur diversi da quelli divisi dal testatore, hanno il
medesimo valore dei secondi, va da sé che i beni nuovi dovranno essere integralmente attribuiti all’erede al quale era stato assegnato il bene non più esistente nella massa, con la conseguenza che non vi sarà nessuna comunione
ereditaria.
Se i beni della massa, pur diversi da quelli divisi dal testatore, hanno un
valore maggiore dei secondi, sui beni nuovi dovrà aprirsi la comunione ereditaria, alla quale concorreranno tutti gli eredi, in proporzione delle loro quote,
salvo l’obbligo di tener conto del valore dei beni già attribuiti a coloro a cui
sono stati assegnati singoli beni con le disposizioni di divisione conservate.
Per chiarire i tre casi, utilizziamo l’esempio precedente, supponendo, però, che alla morte di Tizio residuino i beni 1, 2, 4 e 5, ma non 3.
Nel caso in cui i beni 4 e 5 abbiano un valore inferiore a quello del bene
3, l’attuazione delle disposizioni sulla divisione, ossia l’assegnazione ad A del
bene 1 e a B del bene 2, non pare possibile, sicché deve ipotizzarsi la loro
( 128 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote,
cit., pp. 260 s., che la preterizione di un istituito importa la nullità della divisione soltanto
se essa sia autentica e sostanziale, ossia l’omissione « da un riparto divisionale che esaurisse
tutti i beni in favore degli apporzionati, non residuandone alcuno da imputare alle quote
degli esclusi ». Più di recente e in replica alla posizione assunta nel 1992 da Loi, Id., La divisione del testatore, cit., pp. 93-97.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
inefficacia e la necessaria apertura della comunione ereditaria. Supponendo,
infatti, che i beni 1, 2 e 3 valgano 15 ciascuno e che i beni 4 e 5 valgano 5
ciascuno, l’assegnazione di 4 e 5 a C gli attribuirebbe beni per un valore complessivo di 10, ossia per un valore inferiore a 15 che gli spetterebbe in quanto
erede nella quota di 1/3.
Nel caso, diremmo di scuola, in cui i beni 4 e 5 abbiano lo stesso identico
valore del bene 3, l’attuazione delle disposizioni sulla divisione, ossia l’assegnazione ad A del bene 1 e a B del bene 2, impone, per il rispetto della norma
istitutiva, di dover assegnare i beni 4 e 5 esclusivamente e direttamente a C.
Né, in questo caso pare plausibile tentare la conclusione che sperimenti la
possibilità di non dare esecuzione alle disposizioni di divisione pur attuabili,
assumendo che la diversa composizione del patrimonio suggerisce l’apertura
della comunione. A questa conclusione, astrattamente plausibile, osta, infatti,
il generale principio di conservazione della volontà testamentaria.
Nel caso in cui i beni 4 e 5 abbiano un valore maggiore del bene 3, l’attuazione delle disposizioni sulla divisione, ossia l’assegnazione ad A del bene
1 e a B del bene 2, è possibile, ma sui beni 4 e 5 deve, necessariamente, aprirsi la comunione ereditaria e la divisione andrà effettuata tenendo conto delle
quote nelle quali gli eredi sono istituiti e avendo riguardo a quanto gli altri
eredi hanno già conseguito in forza dell’assegno divisionale qualificato (129).
Supponendo che ciascun bene vale 15, i beni 4 e 5 del valore complessivo di
30, andranno divisi tra A, B e C, in modo tale che C abbia un controvalore di
15 e che A e B abbiano un controvalore di 5 ciascuno.
11. — Di là del problema intorno all’individuazione degli eredi e a quello
correlato intorno alla determinazione della quota esatta nella quale ciascuno è
chiamato alla successione, le disposizioni testamentarie di divisione presuppongono, certamente nei casi di divisione oggettivamente totale e con qualche
margine di apertura nei casi di divisione oggettivamente parziale, che la divisione fatta dal testatore comprenda tutti gli eredi e che l’effettivo valore dei
beni assegnati a ciascuno corrisponda esattamente alla sua quota.
Il comprendere la divisione tutti i beni o soltanto una parte dei medesimi
non è indifferente. Perché ove la divisione fatta dal testatore fosse oggettivamente parziale, rimarrebbero fuori dalla medesima taluni beni. L’esistenza
dei quali, ove pure la divisione non comprenda taluno degli eredi o non lo apporzioni correttamente, lascerebbe, nondimeno, un certo margine di correzione, consentendo di rispettare le prescrizioni in tema di istituzioni (130).
( 129 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 33: è qualificato dalla funzione
unitaria di apporzionamento degli eredi istituiti.
( 130 ) Così, anche, G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la
divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., pp. 114 s., la quale
precisa che nel caso in cui il testatore compone solo alcune quote lasciando valori sufficienti
per gli altri beneficiari, significa che ha inteso apporzionarli collettivamente. Precisamente,
G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 923.
PARTE II - COMMENTI
91
Così, se, per ipotesi, Tizio, con una divisione oggettivamente parziale,
avesse omesso di assegnare taluni beni a un erede o pur avendogli assegnato
qualche bene, gli abbia, comunque, fatto assegnazioni per un valore inferiore
rispetto alla quota a quegli spettante, i beni non specificamente assegnati potrebbero consentire di conservare le disposizioni testamentarie di divisione,
qualora fossero sufficienti ad apporzionare tutti in modo corretto (131).
Svolta questa precisazione e nella consapevolezza che, fin quando residuano beni con i quali apportare delle correzioni, la conservazione delle disposizioni testamentarie di divisione mi pare doverosa, anche avuto riguardo
alla fragile irripetibilità del testamento, al generale principio di conservazione
della volontà testamentaria e al singolare punto di rilevanza ermeneutica, occorre analizzare cosa accade nei casi in cui la divisione non abbia compreso
qualcuno degli eredi e nel caso in cui, pur comprendendo tutti gli eredi, il valore dei beni assegnati a ciascuno non corrisponda alle loro quote.
Ferma la convinzione che le disposizioni testamentarie di divisione hanno
la sola ed esclusiva funzione di impedire il sorgere della comunione ereditaria,
credo che la divisione fatta dal testatore che non abbia compreso alcuno degli
eredi, a meno che non risulti una diversa volontà del testatore, debba considerarsi nulla. E ciò indipendentemente dal fatto che l’erede pretermesso o
mal apporzionato sia un successibile testamentario o legittimo.
Trova sempre applicazione la norma di cui al comma 1o dell’art. 735 c.c.,
la quale commina la nullità alla divisione nella quale il testatore non abbia
compreso qualcuno degli eredi istituiti (132).
Sebbene tale ultima formula parrebbe voler evocare soltanto gli eredi
istituiti con il testamento, credo che essa possa e debba valere, in difetto di
quelli, anche nel caso di eredi istituiti per legge. Credo, quindi, che tale regola
possa trovare applicazione anche per il testamento con il quale il de cuius,
senza compiere alcuna istituzione, si limita a dividere i beni agli eredi legittimi. Ove quegli ometta di comprendere uno degli eredi legittimi non credo che
esistano ragioni per escludere l’applicabilità della richiamata regola. La norma, infatti, ove pure se ne volesse negare l’applicazione diretta, che, invero,
mi pare preferibile e ragionevole, nondimeno troverebbe applicazione analogica. Essendovi tra i due casi identità di ratio: come non può il testatore che
abbia istituito taluno erede, escluderlo dalla successione nel momento divisorio; del pari non può il testatore che si sia rimesso alla volontà della legge per
determinare gli eredi, escluderne uno nel momento divisorio. Ove il testatore
avesse voluto escludere quel tale erede dalla successione, ben avrebbe potuto
provvedere autonomamente alle istituzioni di erede in luogo di rimettersi alla
volontà della legge.
( 131 ) Sui problemi nascenti da una preterizione meramente formale di un legittimario,
almeno, le considerazioni di G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., pp. 259 s.
( 132 ) S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 424 e ss.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Risolto questo primo problema, rimane da esaminare il secondo, ossia il
caso in cui il testatore abbia compreso nella divisione tutti gli eredi, ma il valore dei beni non corrisponda alle quote nelle quali ciascuno è chiamato (133).
In questo caso, sempre a meno di non voler rintracciare nella predetta disposizione una diversa volontà istitutiva che prenderebbe il luogo della successione legittima, e sempre prescindendo dall’ipotesi in cui residuano dalla divisione beni che consentano le opportune correzioni nelle assegnazioni, non credo
che esistano valide ragioni per escludere la conseguenza generale indicata per i
casi di conflitto con le disposizioni istitutive. Poiché l’attuazione delle disposizioni testamentarie di divisione determinerebbe una violazione delle norme
sulla istituzione, attribuendo a taluno dei successibili beni per un valore inferiore alla quota spettantegli, non v’ha dubbio che le prime non potrebbero considerarsi efficaci, con la conseguenza che sussisterebbe tra gli eredi una comunione ereditaria. Anche a questo caso, al pari di quello esaminato nel paragrafo
precedente, credo che possa trovare applicazione il principio espresso dalla
norma di cui all’art. 733 c.c. e dalla norma di cui al comma 1o dell’art. 735 c.c.
Le disposizioni testamentarie di divisione ove siano in contrasto con le
istituzioni di erede, siano esse di fonte testamentaria o di fonte legale, debbono considerasi inefficaci, con la conseguenza che tra gli eredi, testamentari
e/o legittimi, sorge un’ordinaria comunione ereditaria.
Casi del genere pongono, piuttosto, una diversa domanda: se le disposizioni di divisione del testatore, una volta che siano considerate inefficaci, non
possano, per altra via e in ragione dei noti principi in materia di interpretazione e conservazione del testamento, avere un qualche valore. Se, infatti, è
pur vero che gli assegni divisionali qualificati non possono trovare applicazione, dacché la loro attuazione importerebbe una violazione delle regole istitutive, estromettendo o mal apporzionando taluno degli eredi, nondimeno, lette
nel loro complesso, in relazione all’eventuale disegno che esse lasciano trasparire e astraendo dalla concreta divisione, potrebbero essere considerate, almeno, come regole per formare le porzioni, ossia potrebbero considerarsi siccome
assegni divisionali semplici (134).
Così, se per ipotesi, in una divisione, il testatore avesse lasciato tutti i
propri quadri ad A, gli immobili a B e, infine, l’azienda a C (135), e risultasse,
( 133 ) Precisa A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1202, che in caso
di scarto minimo non si faccia questione di inefficacia della divisione, quanto, piuttosto, di
compensazione mediante conguaglio in danaro.
( 134 ) Nello stesso senso anche G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 96, mercé la
norma di cui all’art. 1424 c.c. La quale, però, non mi pare che possa essere applicata analogicamente al caso di specie, difettando la somiglianza e ostando la norma di cui all’art.
1324 c.c.
( 135 ) Si consideri che L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 19 considera l’assegnazione dei mobili e degli immobili, al pari dell’assegnazione dei beni di campagna,
piuttosto che di quelli di città, chiari indici dai quali ricavare l’intenzione del testatore di
considerare il complesso di beni come quota.
PARTE II - COMMENTI
93
altresì, che A è un noto appassionato d’arte, che B è un noto immobiliarista e
che C è un imprenditore di successo nel ramo merceologico dell’azienda dell’ereditando, non potrebbe escludersi che quelle disposizioni testamentarie,
pur non potendo valere quali assegni divisionali qualificati, potrebbero invece
valere quali assegni divisionali semplici. Recuperando, così, se non proprio la
divisione concreta, almeno i criteri che potevano averla ispirata e, quindi,
l’intenzione che aveva mosso il testatore a una divisione che, per varie ragioni, non può attendere alla sua attuazione.
12. — Le disposizioni testamentarie di divisione, non avendo alcuna vocazione istitutiva, presuppongono, necessariamente, l’istituzione di una pluralità di eredi (136). I quali, come è ovvio, potrebbero essere istituiti direttamente con il testamento oppure dalla legge o, infine, dal concorso di testamento e
legge.
Le ipotesi meritano tutte di essere distinte.
Muoviamo dalla prima.
Gli eredi potrebbero essere istituiti esclusivamente con il testamento. Il
quale, oltre a recare le disposizioni di divisione potrebbe recare disposizioni
istitutive con le quali il testatore ha compreso, frazionandolo in quote, l’intero
patrimonio.
Considerata, poi, la libertà del testatore di istituire gli eredi non soltanto
facendo espressa menzione della quota, ma anche mercé l’indicazione di un
bene determinato o di un complesso di beni, è ovvio che le disposizioni testamentarie di divisione potrebbero accompagnarsi tanto con le une quanto con
le altre (137).
Rinviando al prosieguo, dacché tocca il cuore del problema, il caso del
concorso tra istituzione ex re certa e disposizione di divisione, l’altro appare
di pronta e facile intelligenza. Rappresenta, anzi, il caso più semplice che si
possa immaginare. Tizio istituisce eredi più soggetti in eguali quote o in quote
diverse e, contestualmente, divide tra loro i beni, assegnandone uno o più di
essi a ciascuno (138).
Posta la differenza tra disposizioni istitutive e divisorie, non v’ha dubbio
che l’efficacia delle seconde è subordinata alla loro attuabilità, valendo, nel
caso in cui la massa da dividere sia inferiore o di diversa consistenza rispetto
a quella avuta presente dal testatore, le considerazioni già svolte intorno all’efficacia delle disposizioni di divisione.
( 136 ) Così anche L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano 1941, p. 318, il
quale precisa che « la disposizione testamentaria che contiene la divisione ha un contenuto
distributivo, non necessariamente attributivo ». Anche se, poi, l’A. precisa che i due caratteri debbono coincidere, lasciando il dubbio se nella sua prospettiva possa concorrere con
una divisione totale una istituzione testamentaria parziale.
( 137 ) G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 73 ss.; F.S. Azzariti-G. MartinezGiu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 664.
( 138 ) A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1206.
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Varrà soltanto precisare cosa accade nel caso in cui la massa da dividere
sia maggiore rispetto a quella avuta presente da testatore. In tale ipotesi, non
v’ha dubbio che i beni divisi dal testatore andranno assegnati a ciascun beneficiario, mentre sui beni nuovi si dovrà aprire la comunione ereditaria, alla
quale parteciperanno, in proporzione alla quota nella quale sono nominati,
tutti gli eredi testamentari. Le disposizioni testamentarie istitutive escludono,
infatti e senza dubbio, esprimendo una precisa volontà del testatore, la possibilità di un concorso di successori legittimi e, dunque, la possibilità di attribuire i beni non compresi nella divisione « conformemente alla legge » (139).
Questa conclusione credo, peraltro, che debba valere in tutti i casi di divisione parziale, indipendentemente dal fatto che la parziarietà provenga dall’esistenza di beni nuovi o, più semplicemente, da una mera scelta del testatore. Ove pure il de cuius avesse deliberatamente deciso di non dividere tra gli
eredi tutti i beni, ma di dividerne soltanto alcuni, nondimeno, stante l’esistenza delle disposizioni istitutive capaci di comprendere l’intero patrimonio, non
potrebbe mai ipotizzarsi un’intenzione di attribuire i beni non compresi agli
eredi legittimi. In altri termini, l’esistenza di disposizioni testamentarie istitutive che comprendono, pur frazionandolo in quote, l’intero patrimonio, esclude la possibilità di concorso di successione legittima. La quale, come è ovvio,
presuppone sempre che manchi in tutto o in parte la successione testamentaria.
Sotto un diverso profilo, è necessario che la divisione fatta dal testatore
comprenda tutti gli eredi testamentari e che l’effettivo valore dei beni assegnati a ciascuno corrisponda alle quote stabilite dal testatore.
Prescindendo, infatti, dai casi nei quali residuino beni che consentano,
pur conservando le disposizioni di divisione, di apportare le necessarie correzioni divisorie, non ci sono ragioni per escludere la nullità della divisione che
non comprenda qualcuno degli eredi istituiti per testamento e l’inefficacia
delle disposizioni testamentarie di divisione la cui esecuzione importerebbe
l’assegnazione di beni per valori non corrispondenti alle quote stabilite dal testatore.
13. — Veniamo, quindi, alla seconda ipotesi: pur in presenza di una divisione fatta dal testatore, gli eredi sono istituiti direttamente dalla legge.
Il caso, come ovvio, è molto complesso, presupponendo, necessariamente,
( 139 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 435, condivisibilmente, reputa più precisa la formula: « i beni in essa non compresi sono
attribuiti conformemente alle quote formate dal testatore se non risulta una sua diversa volontà ». Si dichiara contrario, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI,
Diritto delle successioni per causa di morte, cit., pp. 593 s., secondo cui l’inciso attribuisce
al testatore il potere di manifestare una diversa volontà « nel senso di stabilire che i beni,
da lui intenzionalmente non-divisi, siano attribuiti, secondo le sue disposizioni di carattere
non-divisorio e che, soltanto se manchino queste, si dovrebbe fare ricorso alla successione
per legge ».
PARTE II - COMMENTI
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che nel testamento il de cuius abbia diviso, totalmente o parzialmente, i propri beni, omettendo, però, di istituire gli eredi, la cui individuazione viene,
dunque, rimessa alla legge.
La complessità di esso, impone, prima di indagarne la disciplina, più
d’una precisazione.
Intanto, perché si possa, anche solo astrattamente, pensare a un caso del
genere è indispensabile che il testamento abbia un contenuto esclusivamente
divisorio (140), ossia che le sue disposizioni non possano in alcun caso essere
riconducibili a istituzioni ex rebus certis (141). Perché, ove così fosse, vi sarebbe, comunque, una istituzione e, in conseguenza, si rifluirebbe, necessariamente, o nel primo caso, se le istituzioni ex rebus certis valessero a comprendere l’universalità del patrimonio, ovvero nel terzo se le istituzioni ex rebus
certis comprendessero soltanto una quota, ma non l’intero. Con tutte le precisazioni e le cautele che la materia dell’interpretazione del testamento suggerisce, è palese che mentre formule del tipo « lascio il bene 1 ad A, il bene 2 a B
e il bene 3 a C » sono in odore di istituzioni ex rebus certis, diversamente formule del tipo « così divido i beni tra i miei eredi legittimi: il bene 1 ad A, il
bene 2 a B e il bene 3 a C » parrebbero più facilmente riconducibili alle mere
disposizioni di divisione, compatibili con la individuazione degli eredi conformemente alla legge.
È indispensabile, inoltre, non soltanto che il testamento abbia un contenuto esclusivamente divisorio, ma anche che la divisione fatta dal testatore
comprenda tutti i successori legittimi che avrebbero diritto e che l’effettivo
valore dei beni assegnati a ciascuno corrisponda alle quote virili. Il che, soprattutto in caso di divisione oggettivamente totale, rende la probabilità dell’ipotesi obiettivamente remota, aprendo maggiori spazi di verosimiglianza al
caso di divisione oggettivamente parziale, in cui l’esistenza di beni non divisi
lascia un certo margine di correzione, perché possano essere rispettate le pre( 140 ) A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1206; Giu. Azzariti, Divisione fatta dal testatore, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno, VI, Successioni, 2a ed., Torino 1997,
p. 425.
( 141 ) In senso contrario sembrerebbe orientato, F. Messineo, Manuale di diritto civile e
commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., p. 591, secondo il
quale la divisione fatta dal testatore implica sempre una chiamata a titolo universale. Ove
non risultasse l’intenzione del testatore di lasciare i beni determinati come quota, le attribuzione non implicherebbero necessariamente divisione fatta dal testatore. Nello stesso senso
anche L. Bigliazzi Geri-U. Breccia-F.D. Busnelli-U. Natoli, Diritto civile, vol. 4, tomo 2,
Le successioni a causa di morte, Torino 1996, p. 254, secondo i quali v’è sempre piena
coincidenza tra divisione fatta dal testatore e istituzione ex re certa e F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 669, i quali sembrano escludere una divisione non istitutiva, rilevando che « la istituzione di erede [...] non
può che essere implicitamente contenuta nell’attribuzione dei beni ». In questo senso parrebbe orientato anche S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p.
412, secondo il quale la « presunzione (legale) di legato » dovrebbe reputarsi vinta quando
il testatore opera un riparto tra tutti i soggetti che è legittimo « attendersi siano percepiti
dal testatore come propri eredi futuri (già in base ad una chiamata ex lege) ».
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
scrizioni normative in tema di successione legittima. Non v’ha dubbio, infatti,
che nei casi in cui la divisione non comprenda un successibile e nel caso in
cui, pur comprendendo tutti i successibili, il valore dei beni non corrisponda
alle quote virili, debbano valere le soluzioni che, in linea generale, ho già prospettate.
Infine, perché si possa ipotizzare un testamento con funzione esclusivamente divisoria, credo che qualche considerazione debba spendersi rispetto
all’ipotesi che il de cuius faccia esplicito riferimento alla disciplina sulla successione legittima, con formule del tipo « la mia successione sia regolata secondo la legge » o equivalenti.
Poiché si discute in questi casi intorno al carattere precettivo o pleonastico della formula, non v’ha dubbio, senza con ciò voler entrare nel merito dell’arduo dibattito, che a seconda che si preferisca la prima o la seconda lettura, si dovrà, in conseguenza, negare o affermare che il testamento che la contenga abbia un tratto esclusivamente divisorio (142). D’altra parte, però, non
posso nascondere che formule di questo tipo sollevano anche il problema della natura del rinvio, potendosi discutere se esso sia fisso o mobile (143).
Così chiarito il perimetro delle ipotesi riconducibili al testamento meramente divisorio, non v’ha dubbio, a livello generale, che anche a questa ipotesi debbano trovare applicazione tutte le considerazioni già svolte in merito a
eventuali problemi dipendenti dalla esistenza di una massa da dividere inferiore o maggiore rispetto a quella divisa con il testamento.
In via di estrema sintesi, indipendentemente dalla consistenza della massa, se essa sia inferiore a quella divisa dal testatore, le disposizioni di divisione debbono considerarsi inefficaci e tra i successori legittimi si deve aprire
una comunione ereditaria; se, invece, sempre indipendentemente dalla consistenza, la massa sia maggiore, perché ci siano beni nuovi o perché il testatore
non ha diviso tutti i beni, le disposizioni di divisione possono essere tutte conservate e i beni restanti, ossia i beni non divisi dal testatore, dovranno essere
divisi tra gli eredi legittimi, in proporzione delle loro quote.
14. — Veniamo, quindi, alla terza ipotesi: gli eredi sono istituiti in parte
dalla legge e in parte dal testamento.
Perché ricorra un tale caso è necessario, che il testatore, oltre ad aver diviso, totalmente o parzialmente, i propri beni, abbia anche istituito taluno come erede. Occorre, però, che le disposizioni testamentarie istitutive non comprendano l’universalità del patrimonio, ma soltanto una quota, ossia che
( 142 ) Secondo L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 77, allorché la vocazione
ex testamento coincida con quella ex lege, la manifestazione di volontà del testatore è inutile. Nel caso in parola, però, tale principio non potrebbe valere, perché la composizione concreta delle quote varrebbe, comunque, quale chiamata in beni determinati ex art. 588,
comma 2o, c.c. Con la conseguenza che gli assegnatari sarebbero eredi testamentari.
( 143 ) Sul tema del rinvio le considerazioni di M. Confortini, Problemi generali del contratto attraverso la locazione, Padova 1988, pp. 222 ss.
PARTE II - COMMENTI
97
manchi in parte la successione testamentaria (144); presupposto necessario e
sufficiente perché possa concorrere la successione legittima (145). Volendo
proporre un esempio, il de cuius, dopo aver istituito erede A in un terzo del
proprio patrimonio, immediatamente o mercé istituzione ex re certa, ha diviso, senza che risulti alcuna volontà istitutiva, il (o parte del) proprio patrimonio, assegnando il bene 1 ad A, il bene 2 a B e il bene 3 a C (146).
Posto che sarà, certamente, erede, nella quota espressa o inespressa, colui
che viene immediatamente istituito nel testamento, il problema è quello della
individuazione degli altri eredi. Al riguardo, facendo applicazione dei generali
principi in materia successoria, non v’ha dubbio che, per la parte in cui la
successione testamentaria manchi, deve aprirsi quella legittima. Ipotizzando
che il de cuius abbia istituito Tizio erede nella misura espressa di 1/3, nella
restante quota di 2/3 saranno eredi coloro che, secondo la disciplina sulla
successione legittima, ne abbiano titolo.
Il caso in parola è, tuttavia, complicato da un’importante circostanza. Poiché si presuppone che il de cuius, da un lato, abbia istituito uno o più eredi,
senza comprendere l’universalità del proprio patrimonio, e dall’altro, abbia diviso, totalmente (147) o parzialmente, i propri beni tra gli eredi, si potrebbe dare il caso che nella divisione abbia compreso non soltanto colui o coloro che abbia nominato eredi testamentari, ma anche eredi legittimi. In tale evenienza,
prima di poter affermare che la successione testamentaria non sia completa, sarà necessario verificare, secondo le norme sull’interpretazione del testamento,
che dietro la disposizione divisoria non si celi, altresì, una disposizione istitutiva che, con quella, conviva. Perché, ove così fosse, non si avrebbe concorso di
successione legittima con successione testamentaria, ma sola successione testamentaria. La quale sarebbe completa e non reclamerebbe altro da sé.
Anche in questo caso, come in quello precedente, è necessario che la divisione fatta dal testatore comprenda tutti gli eredi, testamentari e legittimi, e
che l’effettivo valore dei beni assegnati a ciascuno corrisponda alle quote stabilite dal testatore, per ciò che concerne i primi, e alle quote fissate dalla leg( 144 ) Anche, F. Venosta, Art. 734, cit., p. 193.
( 145 ) In senso contrario, almeno nell’ipotesi in cui con il testamento si istituisse un solo
erede, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c.,
cit., p. 761, secondo cui « non si può avere un heres ex re che sia l’unico istituito (heres ex
asse), oppure in concorso con l’erede legittimo ». Tuttavia, a p. 764, l’A. ammette il concorso tra eredi ex re certa ed eredi legittimi, nel caso in cui i primi siano almeno due.
( 146 ) G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 86.
( 147 ) Secondo A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit., p. 436, per poter far luogo a successione legittima occorre una divisione parziale.
In senso contrario, in linea con la tesi sostenuta nel testo, posso precisare che una divisione
totale non ostacola il concorso di una successione legittima, dacché quest’ultimo non dipende dalla divisione, ma dalla completezza della istituzione. Potrebbe, paradossalmente, darsi
un testamento con il quale il de cuius non copra con le istituzioni d’erede l’universalità del
proprio patrimonio (istituisco erede nella misura di 1⁄4 Tizio), ma nondimeno divida, tra
l’erede istituito e gli eredi legittimi, la totalità del proprio patrimonio.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
ge, per i secondi. Prescindendo, infatti, dai casi nei quali residuino dalla divisione fatta dal testatore beni che consentano, pur conservando le disposizioni
di divisione, di apportare le necessarie correzioni divisorie, non ci sono ragioni per escludere la nullità della divisione che non comprenda qualcuno degli
eredi istituiti, per testamento o per legge, e l’inefficacia delle disposizioni testamentarie di divisione la cui esecuzione importerebbe l’assegnazione di beni
per valori non corrispondenti alle loro quote.
Ragioni analoghe inducono a estendere al caso in parola le conclusioni
già tolte a livello più generale, per le ipotesi in cui la massa da dividere sia inferiore o maggiore rispetto a quella divisa con il testamento. In via di sintesi,
se la massa è inferiore a quella divisa dal testatore, le disposizioni di divisione
debbono considerarsi inefficaci e tra i successori legittimi e testamentari si
apre una comunione ereditaria; se, invece, la massa è maggiore, perché ci sono beni nuovi o perché il testatore non ha diviso tutti i beni, le disposizioni di
divisione possono essere tutte conservate e i beni restanti, ossia i beni non divisi dal testatore, dovranno essere ripartiti tra gli eredi legittimi e gli eredi testamentari in proporzione alle rispettive quote.
15. — Rientra, certamente, nella prima classe di ipotesi il concorrere nel
testamento di disposizioni di divisione e di istituzioni ex rebus certis. Si tratta
del caso in cui il testatore, purché risulti, secondo i noti principi sulla successione testamentaria, sia l’intenzione istitutiva che quella divisoria (148), in luogo di istituire gli eredi in quota espressa, preferisca istituirli in quota inespressa, limitandosi a indicare un bene determinato o un complesso di beni come
quota del patrimonio, il quale vale, anche, ai fini della divisione ereditaria.
L’ipotesi non avrebbe nulla di particolare e nulla di diverso da quella più
semplice, offerta dalla istituzione in quota espressa, se non vi fosse una singolare coincidenza e compenetrazione tra la disposizione istitutiva e quella divisoria (149). Dacché, con una medesima formulazione linguistica o, se si preferisce, mercé un’unica disposizione testamentaria, il de cuius non soltanto istituisce l’erede, al quale assegna un bene determinato o un complesso di beni
come quota del patrimonio, ma divide i beni medesimi, assegnando a ciascuno dei nominati esattamente quel bene determinato o quel complesso di beni
che ha utilizzato per la di lui istituzione (150).
( 148 ) In senso contrario parrebbe orientato L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa
re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 763, secondo il quale le institutiones ex re
certa dovrebbero sempre avere una funzione divisoria. Sicché, diversamente da quanto sostenuto nel testo, non potrebbero darsi casi, pur di difficile verificazione, in cui lasciti di beni determinati in funzione di quote non svolgano, anche, la funzione di divisione.
( 149 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
258, discorre di coincidenza dei due momenti volitivi e a p. 267 precisa che « l’unicità
strutturale della disposizione non esclude, ma anzi garantisce, l’assolvimento di una duplice
funzione, al contempo istitutiva e divisoria ».
( 150 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 84, discorre di struttura attributi-
PARTE II - COMMENTI
99
Per quanto sia ragionevole e condivisibile che, in questi casi, la istituzione ex re certa è lo strumento attraverso il quale la divisione ereditaria viene
realizzata (151) o, da una diversa prospettiva, che la divisione testamentaria
mediante assegni divisionali qualificati è un’estensione del principio della istituzione ex re certa (152), occorre, nondimeno, assumere consapevolezza della
circostanza che in un medesimo testo linguistico concorrono, purché tale possa essere il significato giuridico (153), due disposizioni testamentarie diverse
per funzione ed efficacia.
L’una l’istituzione ex re certa e l’altra la divisione fatta dal testatore.
Diverse per funzione, in quanto la prima serve a istituire il beneficiario
erede nella quota che la certa res rappresenta in relazione al tutto, mentre la
seconda serve a impedire il sorgere della comunione ereditaria. Il testatore,
mercé l’indicazione di beni determinati, per un verso, segna e misura la quota
dell’erede e, per altro verso, e nei limiti di compatibilità, assegna e distribuisce tra gli eredi.
Diverse in punto di efficacia, in quanto la prima risulta necessariamente
stabile, avendo la funzione di determinare la misura astratta della quota,
mentre la seconda ha una stabilità precaria, dal momento che la concreta attribuzione delle certae res dipende dalla attuabilità giuridica della divisione,
avuto riguardo alle disposizioni istitutive e alla consistenza della massa ereditaria.
va e funzione distributiva. Da ciò il criterio metodologico per la soluzione dei problemi di
disciplina: « la disciplina della divisione testamentaria deve elaborarsi sulla base della natura attributiva dell’istituto, mentre i principî della divisione, richiamati dalla funzione distributiva, entrano a costituire un limite alle conseguenze che, di per sé, sarebbero logicamente deducibili da quella natura ». S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re
certa, cit., p. 403, precisa, che in ipotesi del genere il c.d. lascito si « sdoppia in due determinazioni negoziali »: l’una avente funzione istitutiva e l’altra la funzione di apporzionamento.
( 151 ) È la tesi di G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., pp. 243 ss. e spec. pp. 267 s.; Id., La divisione del testatore, cit., p. 107. Nel quale
precisa che l’istituzione ex re certa è uno dei possibili mezzi tecnici della divisione del testatore.
( 152 ) È la tesi di L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., p. 762 e Id., La divisione testamentaria, cit., pp. 28, 70, il quale, nella
seconda opera, mitiga la propria posizione, precisando che l’heredes institutio ex re assume
costantemente ma non esclusivamente il profilo di una divisione fatta dal testatore senza
determinazione di quote. Il che, risulta chiaro anche all’A. il quale a p. 6, nt. 16, precisa
che alcuni punti del suo precedente lavoro sono « da ripudiare ».
( 153 ) Non si può escludere a priori che il testatore, benché abbia usate formule linguistiche, apparentemente idonee a essere lette sia come istituzioni ex re certa che come disposizioni di divisione, nondimeno possa avere avuta soltanto l’una o soltanto l’altra intenzione.
Sicché potrebbe darsi che, mancando l’intenzione di divisione, si tratta soltanto di istituzioni ex rebus certis, con la conseguenza che si tratta soltanto di istituzioni di eredi in quota
inespressa; viceversa, potrebbe esistere soltanto l’intenzione divisoria, sicché quelle disposizioni non potrebbero avere alcuna funzione istitutiva, la quale sarebbe rimessa alla legge.
Contrario a questa ipotesi, A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1207.
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RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Se solo si apprezza la coesistenza nel medesimo testo delle due diverse disposizioni testamentarie, quella istitutiva e quella divisoria, in uno con la diversa funzione di ciascuna, non stupisce che l’erede possa risultare assegnatario anche di beni ulteriori rispetto a quelli indicati o, au contraire, di beni diversi o, ancora, di alcuni soltanto dei beni indicati o, infine, non risultare assegnatario di alcuno dei beni che il testatore parrebbe avergli, expressis verbis, « lasciato »; al pari di come non stupisce che tra gli eredi possa sorgere,
comunque, una comunione ereditaria o rispetto a tutti i beni da dividere o
soltanto rispetto a beni nuovi e diversi.
I problemi che pone un testamento nel quale l’istituzione ex re certa è lo
strumento attraverso il quale la divisione ereditaria viene realizzata, si possono più semplicemente sciogliere, tenendo conto della singolare coesistenza nel
medesimo testo di diverse disposizioni. Con questa avvertenza, l’interprete
dovrà, in primo luogo, individuare tutti gli eredi, determinando la misura della quota nella quale ciascuno è chiamato, successivamente verificare l’attuabilità della divisione fatta dal testatore, mediante le istituzioni ex re certa, indi, verificare se, in che misura e rispetto a quali beni vi sia o non vi sia, tra loro, comunione ereditaria.
La particolare modalità attraverso la quale la divisione viene realizzata
esclude, in radice, la possibilità che il testatore nella divisione possa non aver
compreso qualcuno degli istituiti (154), ossia una divisione soggettivamente
parziale, dal momento che l’istituzione presuppone, per definizione, l’assegnazione almeno di un bene determinato (155). Esclude, altresì, che il valore
dei beni possa non corrispondere alle quote stabilite dal testatore o che la divisione possa essere rescindibile (156), dal momento che la misura delle quote
è data, nel caso di specie, proprio dal rapporto di valore della certa res indicata e assegnata a ciascuno degli istituiti rispetto al tutto (157).
( 154 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 90 s. Nella prospettiva che ho
tentato di disegnare, resterebbe, però, salva l’ipotesi dell’applicazione analogica del comma
1o dell’art. 735 c.c. al caso in cui la preterizione di un istituito non sia formale, ma sostanziale e dipendente dalla mancanza del bene al tempo dell’apertura della successione.
( 155 ) Possibile, invece, una divisione parziale in caso di istituzioni in quote espresse. Così, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 88.
( 156 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., pp.
258, 261 e 264. Nell’ultima si legge: « la coincidenza strutturale tra apporzionamento e disposizione istituiva esclude l’operatività [...] dell’art. 735 c.c., così la proporzionalità in re
ipsa tra quota e porzione rende inapplicabile il rimedio rescissorio ». Di recente, Id., La divisione del testatore, cit., p. 99.
( 157 ) G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 111. Ora, in senso favorevole, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 77 s. Osserva S. Delle Monache, Revoca
tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 427, che in ipotesi di beni insufficienti a soddisfare
l’assegnatario di res non più esistente al tempo della apertura della successione, la tutela
non può che essere offerta dall’azione di rescissione. Confermando, così, che il rimedio può
darsi anche in caso di divisione senza predeterminazione di quote. Nella prospettiva che ho
PARTE II - COMMENTI
101
Ne deriva, pertanto, che, in ipotesi di questo tipo, non potendosi mai farsi questione di divisione soggettivamente parziale, possono porsi soltanto problemi legati alla consistenza della massa, quando essa sia diversa da quella
esistente al tempo della confezione del testamento. Perché, come potrebbe
darsi il più semplice, lineare e scolastico caso in cui la massa da dividere sia
esattamente corrispondente, per valore e/o consistenza, a quella esistente e
nota al momento della confezione del testamento, nondimeno potrebbero darsi i casi in cui la prima sia maggiore o minore rispetto alla seconda.
Nella prima ipotesi, il caso non pone particolari problemi, soprattutto se
si versa in ipotesi di divisione oggettivamente totale. Si tratterà, soltanto, di
misurare il valore delle certae res in rapporto al tutto, al fine di individuare la
misura delle quote di ciascuno. Nelle quali, stante la corrispondenza tra massa da dividere e massa divisa dal testatore, saranno esattamente compresi i
beni assegnati come quota, con ovvia conseguenza che tra i coeredi non sorgerà alcuna comunione ereditaria. Diversamente, qualora la divisione e, in
conseguenza, le assegnazioni non fossero totali, si porrebbe il problema dell’attribuzione e della divisione dei beni non assegnati e divisi. Ovvio che,
stante la virtù espansiva della quota, i beni ulteriori andranno ripartiti pro
quota tra tutti gli eredi. Tra i quali sorgerà, quindi, la comunione limitatamente ai beni non divisi (158).
Supponiamo che Tizio sia titolare, al tempo della confezione del testamento e al tempo dell’apertura della successione dei beni 1, 2, 3 e 4, che ciascuno di essi valga 20, che il testamento rechi il seguente testo: « lascio ad A
il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e 4 » e che risulti l’intenzione istitutiva e
quella divisoria. Non v’ha dubbio che A e B sono eredi per 1⁄4 ciascuno e che
C è erede per 1/2, al pari di come non v’ha dubbio che non v’è comunione
ereditaria, risultando A titolare del bene 1, B, del bene 2 e C dei beni 3 e 4.
La soluzione sarebbe in parte diversa se, fermi tutti gli altri elementi, il
testamento recasse questo testo: « lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C il
bene 3 ». Diversamente dal caso precedente, A, B e C, sono eredi in parti
eguali, ossia per 1/3 ciascuno e non v’ha comunione ereditaria soltanto rispettivamente ai beni 1, 2 e 3, risultando A titolare del primo, B del secondo e
C del terzo. Da chiarire, invece, la sorte del bene 4. Il quale, in ragione della
virtù espansiva, spetterà, pro quota, ossia per 1/3 ciascuno, a i tre eredi, tra i
quali sorgerà, limitatamente a quel bene, una comunione.
Non molto diverso, il caso in cui la massa da dividere sia, per valore e/o
consistenza, maggiore della massa divisa dal testatore. Esso pone, infatti,
analoghe questioni e, di conseguenza, si apre alle medesime soluzioni del caso
in cui, pur essendovi identità tra massa da dividere e massa divisa dal testatotentato di tracciare nel testo, in casi di tal sorta, non si tratta, punto, di applicare il rimedio
rescissorio, bensì di rilevare la inefficacia della divisione.
( 158 ) Secondo G. Gazzara, Divisione ereditaria, cit., p. 437, si tratta di una comunione
ordinaria. Contrario, A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit., pp. 343 ss.
102
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
re, si abbia un’assegnazione e una divisione oggettivamente parziale. Perché
v’è sempre il problema dell’assegnazione e divisione dei cc.dd. beni nuovi. I
quali, per la virtù espansiva della quota, dovranno essere attribuiti a tutti gli
eredi in proporzione delle quote di ciascuno e, in assenza di una divisione, dovranno cadere in comunione. Con la precisazione che se la divisione fosse oggettivamente parziale, la medesima sorte dei beni nuovi avrebbero anche i beni non assegnati e non divisi.
Utilizziamo l’esempio precedente, ma ipotizziamo che Tizio sia titolare,
al tempo della confezione del testamento dei beni 1, 2, 3 e 4; al tempo dell’apertura della successione dei beni 1, 2, 3, 4, 5 e 6; che il che il testamento
rechi il seguente testo: « lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e
4 ». Non v’ha dubbio che A e B sono eredi per 1⁄4 ciascuno e che C è erede per
1/2, al pari di come non v’ha dubbio che non esista comunione ereditaria sui
beni 1, 2, 3 e 4, risultando A titolare del primo, B del secondo e C del terzo e
del quarto. I beni 5 e 6, non assegnati e non divisi, essendo beni nuovi, andranno assegnati per 1⁄4 ad A, per 1⁄4 a B e per 1⁄2 a C, tra i quali sussisterà, limitatamente a tali beni, una comunione.
Veniamo, quindi alla terza e più complessa ipotesi, ossia quella in cui la
massa da dividere sia, per valore e/o consistenza, inferiore alla massa divisa
dal testatore.
Diversamente dai casi precedenti, salvo il caso di una divisione oggettivamente parziale, dalla quale residuino beni comunque sufficienti per rispettare
le quote di ciascuno e la composizione delle medesime o nella quale non siano
compresi i beni non più presenti al tempo dell’apertura della successione, la
divisione fatta dal testatore risulta compromessa. Secondo i principi illustrati,
la divisione è costretta a essere inefficace, con la conseguenza, già anticipata,
che gli eredi potrebbero anche non risultare assegnatari della certa res che il
testatore gli ha espressamente lasciata. In tale caso, infatti, rispetto alla disposizione testamentaria mentre è ferma e sicura la funzione istituiva, può essere
dubbia e compromessa quella divisoria. La circostanza che al momento dell’apertura della successione esistano o no le certae res specificamente assegnate e divise nel testamento, mentre è irrilevante ai fini della istituzione, servendo, soltanto, a segnare astrattamente la quota nella quale i singoli beneficiari
sono chiamati, è, invece, straordinariamente rilevante nel momento distributivo, dal momento che dalla presenza o dall’assenza di esse dipende l’attuabilità della divisione medesima e che da quest’ultima, credo, dipenda l’efficacia
delle disposizioni di divisione.
Per chiarire, utilizziamo l’esempio precedente, ma ipotizziamo che Tizio
sia titolare, al tempo della confezione del testamento, dei beni 1, 2, 3 e 4 e, al
tempo dell’apertura della successione dei beni 1, 2 e che il che il testamento
rechi il seguente testo: « lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e
4 ». Secondo le considerazioni che ho svolto, A e B saranno eredi per 1⁄4 ciascuno e C per 1/2. Gli è, però, che l’assegnazione, ove pure fosse in funzione
divisoria, non è attuabile, perché dalla sua esecuzione deriverebbe una viola-
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PARTE II - COMMENTI
zione delle istituzioni e, in questo caso, addirittura, la preterizione dell’erede
che ha diritto alla maggior quota. Salva la funzione istitutiva, viene compromessa soltanto quella divisoria. In conseguenza, di là della disposizione testamentaria, sui beni residui 1 e 2 si aprirà una comunione ereditaria, alla quale
parteciperanno, in proporzione alle rispettive quote, tutti gli eredi istituiti.
Le considerazioni svolte valgono, naturalmente, non soltanto nel caso in
cui il testatore, mediante le istituzioni ex re certa comprenda l’intero patrimonio, ma anche nei casi in cui esse valgano a comprenderne soltanto una quota. Stante la parziale mancanza della successione testamentaria, si tratterà di
assegnare la quota vacante secondo le norme della successione legittima. Una
volta individuati gli eredi, ex testamento ed ex lege, e le quote di ciascuno, i
principi che ho cercato di tracciare, con qualche facilitazione dipendente dal
carattere necessariamente parziale delle assegnazioni e divisioni, consentiranno di offrire soluzioni ai diversi casi che si dovessero profilare, consapevoli del
valore binario delle predette disposizioni testamentarie.
Vincenzo Barba
Prof. straord. dell’Università di Roma
« La Sapienza »
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