Rischi e aporie del procedimento legislativo a data certa
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Rischi e aporie del procedimento legislativo a data certa
FOCUS RIFORMA COSTITUZIONALE 2 MARZO 2016 Rischi e aporie del procedimento legislativo a data certa di Tatiana Guarnier Ricercatrice di Diritto costituzionale Università degli Studi di Camerino Rischi e aporie del procedimento legislativo a data certa* di Tatiana Guarnier Ricercatrice di Diritto costituzionale Università degli Studi di Camerino Sommario: 1. Ratio e inquadramento sistemico del procedimento legislativo a data certa; 2. I disegni di legge esclusi: alcune vistose mancanze; 3. La richiesta governativa; 4. L’ipotesi di rifiuto parlamentare di accogliere la richiesta; 5. I tempi del procedimento; 6. Il requisito dell’omogeneità; 7. Il decorso infruttuoso del termine: quali conseguenze?; 8. Alcune provvisorie conclusioni 1. Ratio e inquadramento sistemico del procedimento legislativo a data certa Sovente sottolineato, sia nei documenti istituzionali che in dottrina [Brunelli 2014; Chinni 2015; Romboli 2015], è lo stretto legame fra la proposta di introduzione del voto a data certa e la finalità di prevenzione del ricorso eccessivo al decreto-legge da parte del Governo. Assumendo, infatti, che quest’ultima “prassi”, così come i fenomeni di abuso degli strumenti del Governo in Parlamento, siano determinati dalle incertezze e dalle lungaggini del procedimento legislativo [ma si condivide qui l’opinione per cui non è tanto in questa sede che vanno ricercate le cause di tali abusi, quanto nelle difficoltà del sistema dei partiti e nella mancanza di correttezza istituzionale; cfr. Cerrone 2014, Chinni 2015], si è voluto introdurre in Costituzione un istituto che possa garantire all’Esecutivo la priorità di iscrizione all’ordine del giorno e tempi di discussione e deliberazione parlamentare contenuti entro una data certa, rientrante fra i 70 e gli 85 giorni dalla presentazione del disegno di legge. La proposta non è nuova. Se ne può trovare traccia, sia pur con diversa formulazione, già nella bozza di revisione costituzionale approvata dalla Commissione Bicamerale del 1997, dove il procedimento “a data determinata” veniva abbinato all’introduzione del “voto bloccato” alla francese, ossia alla previsione per cui, ove la data fissata fosse decorsa infruttuosamente, l’Esecutivo avrebbe potuto domandare la deliberazione (articolo per articolo e finale) sul testo Il contributo fa parte del focus di federalismi sulla Riforma costituzionale, ed è pubblicato previa approvazione di un Comitato di valutazione, come da regole contenute nella presentazione del focus. * 2 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 proposto dal Governo o sugli emendamenti da esso approvati, senza ulteriori possibilità di modifica da parte delle Camere [v. E. Longo 2014; Azzariti 2014]. Analoga combinazione si poteva rinvenire anche nelle varie proposte di revisione costituzionale che si sono succedute in questi anni e – ciò che in questa sede più conta – nel disegno di legge di revisione costituzionale presentato dal Consiglio dei Ministri ed il cui esame è attualmente in corso, dal quale però la Camera dei deputati, in seconda lettura, ha eliminato l’istituto del voto bloccato. Può essere importante ricordare l’originaria formulazione della disposizione, poiché da essa emergeva una rilevante finalizzazione del procedimento legislativo a data certa: quella di farsi mezzo per “blindare” i progetti di legge interessati, ossia di farsi strumento incidente non soltanto sui tempi della discussione e della deliberazione, ma anche sui contenuti della legge parlamentare. Occorre infatti domandarsi quale sia il “destino” di tale ulteriore finalizzazione, poiché se la sua rimozione si deve alla volontà di escludere una sì forte ingerenza governativa [Grisolia 2015], d’altro canto la mancata previsione di conseguenze alternative in caso di decorso infruttuoso del termine, combinata all’introduzione di una condizione di esperibilità del procedimento prima non prevista, rischiano di produrre surrettiziamente analoghi effetti. Si fa riferimento, in particolare, alla clausola secondo cui il disegno di legge deve essere «indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo»; clausola dai labili confini, che, come ha sottolineato la dottrina, si presta ad abusi ancor più della “straordinaria necessità ed urgenza” [Azzariti 2014]. Un primo ordine di problemi sollevati da tale requisito attiene alle reali possibilità del dibattito parlamentare sul disegno di legge interessato: può la Camera dei deputati modificare un disegno normativo ritenuto dal Governo essenziale per l’attuazione del suo programma? E, dinnanzi all’ipotesi di una legge che esca stravolta dall’esame parlamentare, ciò non dimostrerebbe l’esistenza di un dissenso su uno degli elementi essenziali su cui si articola il rapporto di fiducia? Allora, quali conseguenze immaginare per il verificarsi di tali eventualità? La mancanza di qualunque indicazione nel testo costituzionale attualmente proposto non aiuta alla soluzione del problema e, anzi, la affida con ogni probabilità al regolamento della Camera (cui fa espressamente rinvio per la disciplina di «modalità e limiti» del procedimento) ed alla legge attuativa dei poteri del Governo che sarà necessaria in caso di esito positivo della revisione costituzionale. Tali interventi però, ad opinione di chi scrive, dovranno ritenersi limitati e vincolati dalla sopra ricordata modifica della disposizione. In particolare, dovrà intendersi impedita la reintroduzione di ciò che la revisione costituzionale esplicitamente ha escluso: l’inemendabilità del disegno legislativo. 3 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 Il silenzio costituzionale, tuttavia, non consente di fare previsioni attendibili circa l’interpretazione che ne vorrà dare una Camera ove le istanze della maggioranza saranno particolarmente forti – se non sovrarappresentate – per via della nuova legge elettorale e, dunque, sarà necessario prendere in considerazione sia la prospettiva qui sostenuta sia quella opposta, con l’avvertenza che entrambe appaiono problematiche: quella qui preferita, perché svuoterebbe l’istituto di molta della forza che i proponenti intendono imprimergli; quella opposta, perché avvierebbe alla possibilità di ingerenze governative sul procedimento legislativo decisamente pericolose. 2. I disegni di legge esclusi: alcune vistose mancanze L’art. 72, comma 7, Cost., nel testo licenziato dal Senato in data 13 ottobre 2015, appare piuttosto scarno e offre solo – come sovente accade nelle disposizioni costituzionali – indicazioni essenziali circa le fasi nelle quali dovrebbe articolarsi. La non sempre felice formulazione della disposizione, inoltre, apre a diverse problematiche, sulle quali è opportuno riflettere con ponderazione. Un primo problema attiene ai disegni legislativi per i quali è esclusa l’esperibilità del procedimento a data certa. Il comma prevede infatti la possibilità di richiesta per i soli progetti di legge di competenza monocamerale, con esclusione delle leggi in materia elettorale, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, di amnistia ed indulto, di bilancio e di quelle contenenti le norme fondamentali, i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Non figurano invece nell’elenco, a differenza di quanto previsto originariamente, i disegni di conversione dei decreti-legge e i disegni di legge delega. Quanto ai primi, potrebbe ritenersi superfluo il ricorso all’iscrizione prioritaria, dato che la certezza del termine e la sua coincidenza con i 70 giorni sono già intrinseche al procedimento di conversione. D’altro canto, la possibilità che, nella configurazione concreta dell’istituto, vengano ricondotti al procedimento a data certa effetti che eccedono la mera dimensione temporale e che possano tendere verso il “blocco” dei contenuti normativi, non consente di escludere del tutto la possibilità di un ricorso ad esso anche in sede di conversione. In particolare, l’eventualità che il procedimento si possa tradurre in un mezzo per escludere o limitare l’intervento parlamentare sul disegno di legge di conversione (su cui la recente giurisprudenza costituzionale ha chiarito che l’unico limite è quello dell’omogeneità degli emendamenti) rischia di tradursi in una strada privilegiata per il Governo, il quale potrebbe così sovrapporsi, se non addirittura sostituirsi, al Parlamento nell’esercizio della funzione legislativa. Ciò ci pone dinnanzi ad una secca alternativa: 4 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 ove nel regolamento si introducessero forme di contenimento del dibattito parlamentare, dovrebbero contestualmente escludersi i disegni di legge di conversione; ove non lo si facesse, sarebbe inutile ricorrere al procedimento legislativo prioritario, poiché il termine di 70 giorni sarebbe già previsto per la conversione dei decreti-legge. Venendo invece all’eventualità di richiesta di procedimento prioritario in relazione a disegni di legge di delega, non si può che guardare con estrema preoccupazione a tale ipotesi, la quale ripropone – attraendoli però al livello costituzionale – tutti i problemi che attualmente solleva la prassi di combinazione della legge di delega alla questione di fiducia, imponendo di valutare il rischio che l’Esecutivo possa, incidendo sulla fase della delegazione, giungere ad una sostanziale autoattribuzione di un potere normativo primario, definendone limiti e condizioni o, quantomeno, contenendo estremamente il dibattito parlamentare sull’opportunità, i contenuti e i termini della delega. Vero è che l’art. 72, comma 5, impone per i disegni di legge di delega la «procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera», ma tale previsione potrebbe non essere sufficiente ad escludere il ricorso al procedimento prioritario poiché, astrattamente, quest’ultimo consta di tutte le fasi della procedura ordinaria (esame in commissione, deliberazione articolo per articolo e votazione finale), limitandosi a fissare per esse un termine ultimativo; e le attuali prassi di apposizione della questione di fiducia su legge di delega ben dimostrano come la mera compressione del dibattito parlamentare, a procedimento invariato, sfugga al controllo di costituzionalità, sia con riferimento alla tutela della riserva di Assemblea, sia con riguardo alla garanzia della necessaria alterità fra soggetto delegante e soggetto delegato [Paladin 1985; per le dovute spiegazioni sia consentito fare rinvio a Guarnier 2015]. Per di più, la mancata esplicitazione dell’esclusione di tali disegni legislativi – a differenza di quanto accade per gli altri contemplati dall’art. 72, comma 5 – potrebbe costituire un argomento portentoso a favore della legittimità del ricorso al procedimento prioritario in relazione ad iniziative governative di delega, lasciando prefigurare preoccupanti potenzialità dell’istituto di farsi strumento di costituzionalizzazione di prassi sinora considerate abusive, in quanto mezzi di espropriazione di quelle attribuzioni parlamentari nelle quali si sostanzia l’essenza della divisione dei poteri e nelle quali risiede la possibilità di porre un argine alle tendenze espansive dell’Esecutivo. Non può che auspicarsi, allora – ove la riforma costituzionale vada in porto – che venga chiarita inequivocabilmente dal regolamento della Camera l’inutilizzabilità del procedimento prioritario anche in relazione alle leggi di delega e di conversione dei decreti-legge, onde escludere con ogni 5 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 certezza la possibilità di affermazione in via di prassi di così preoccupanti utilizzi del procedimento. 3. La richiesta governativa Un ulteriore ordine di problemi si pone in relazione al requisito secondo cui il disegno di legge del quale si chiede l’esame prioritario sia stato «indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo»; indicazione che immaginiamo sia stata intesa come contestuale alla richiesta governativa. Tuttavia, il punto non è del tutto chiaro, non potendo escludersi una scissione fra il momento dell’“indicazione” (con il relativo, eventualmente distinto, atto) e quello della (eventualmente successiva e conseguenziale) richiesta di procedimento prioritario. Ove si ritenga che tale scelta debba assumersi e motivarsi contestualmente alla richiesta di voto a data certa, spetterebbe sicuramente al Consiglio dei Ministri, stante la lettera del comma, che riferisce il potere di richiesta al «Governo». Ove, invece, la si voglia collocare in un momento antecedente, occorrerebbe comprendere se si tratti di un potere del Presidente del Consiglio, del Consiglio dei Ministri o addirittura di un singolo Ministro. E, in quest’ultimo caso, potrebbe trattarsi tanto del Ministro proponente che di quello competente, ove l’iniziativa legislativa non fosse governativa. Seppure, infatti, l’eventualità di una richiesta avanzata su disegni di iniziativa governativa sia la fattispecie di gran lunga più verosimile (e, con ogni probabilità, a monte della ragione stessa di previsione dell’istituto), nulla esclude però, a norma dell’art. 72, comma 7, che il Governo possa indicare come essenziale anche un disegno di legge di iniziativa altrui, ma coincidente con il proprio programma [Bin 2014]. Anzi, in tal caso la richiesta di priorità di iscrizione all’ordine del giorno e di voto a data certa potrebbe essere un veicolo per consentire anche ad altri soggetti di godere del percorso privilegiato assicurato all’Esecutivo. In assenza di indicazioni, la soluzione preferibile appare senz’altro quella dell’assunzione della decisione (sia essa distinta o contestuale all’atto di richiesta) mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, per molteplici ragioni. Alcune, di natura politica, attengono alla delicatezza della decisione e alla necessità di una ponderata e condivisa riflessione circa le priorità dei punti del programma cui deve essere data attuazione. Altre, di natura giuridica, si sostanziano nell’opportunità che la decisione sia assunta con atto formale e motivato, ove possano rinvenirsi le argomentazioni a sostegno dell’essenzialità del disegno normativo; nel principio di presunzione di collegialità degli atti del Governo, in mancanza di espressa disposizione contraria [Ruggeri 1981; 6 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 Colapietro 2014]; nell’applicabilità in via analogica dell’art. 2, comma 2, della L. n. 400 del 1988, ove si accogliesse l’affinità fra “indicazione di essenzialità” e posizione della questione di fiducia. Venendo poi a una seconda, rilevantissima, problematica posta dalla laconicità della disposizione costituzionale in punto di richiesta di procedimento prioritario, occorre rilevare la mancata precisazione del momento in cui tale richiesta possa essere formulata. Se, infatti, parrebbe logico che l’“essenzialità” di un disegno di legge sia conosciuta – e dunque emerga – sin dal momento dell’iniziativa (e in questo senso sembrerebbe muovere anche la dichiarata funzione deflattiva del ricorso al decreto-legge, legata all’equivalenza della tempistica dei due procedimenti), ragioni di opportunità muovono invece nel senso di consentire il ricorso al procedimento speciale solo come extrema ratio, nel caso in cui la lunghezza della discussione parlamentare abbia già dimostrato di poter realmente pregiudicare l’attuazione del programma di governo. In particolare, ciò potrebbe garantire la possibilità di un dibattito parlamentare articolato ed effettivo su disegni di legge che, vista la dichiarata essenzialità per l’attuazione del programma di governo, sono destinati ad occupare una posizione centrale nell’ordinamento giuridico. Caratteristica che, come si vedrà meglio oltre, non solo giustifica, ma impone un’interpretazione ragionevolmente diversificata delle tempistiche previste per i due procedimenti normativi. 4. L’ipotesi di rifiuto parlamentare di accogliere la richiesta Non v’è alcun dubbio che bene abbia fatto il legislatore della riforma a prevedere la necessità di una pronuncia assembleare di approvazione del voto a data certa, onde immaginare un possibile contrappeso all’ingerenza governativa ed un possibile argine alla conseguente eventualità di abuso dello strumento. D’altra parte, non può trascurarsi un dato fondamentale che ruota, ancora una volta, intorno alla condizione di esperibilità del procedimento legislativo prioritario: dinanzi ad un’indicazione governativa di essenzialità del disegno di legge per l’attuazione del programma di governo, quali margini avrebbe la Camera dei deputati per discostarsi dalla richiesta? Porsi questa domanda significa interrogarsi intorno ad una questione cruciale per la definizione dell’istituto, poiché lo slittamento della ratio del procedimento dalla certezza dei tempi alla certezza del risultato si annida proprio dietro all’interpretazione che si vorrà dare del requisito dell’essenzialità. In particolare, quest’ultimo potrebbe essere inteso in due sensi. In un primo senso, si potrebbe ritenere l’essenzialità dimostrata dalla mera connessione con il programma di governo, intendendo come “essenziali” tutti i progetti di legge che di quest’ultimo costituiscano stretta attuazione. In tal caso dovrebbero ritenersi fondate – ed ineludibili – tutte le domande di procedimento a data certa che riguardino disegni legislativi attuativi del programma 7 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 su cui la Camera si è espressa in senso positivo al momento del conferimento della fiducia. Ma ciò, oltre ad espandere enormemente – e in maniera potenzialmente incontrollata – l’ingerenza governativa sul Legislatore, caricherebbe la mozione di fiducia di una particolare e sinora inedita rilevanza, poiché vincolerebbe la Camera dei deputati all’assenso ad ogni richiesta di priorità riguardante i punti di cui si compone il programma governativo, trasformando così una relazione di natura politica in un vincolo di natura giuridica, con le conseguenti rigidità (poco consone ad una relazione che dovrebbe lasciarsi modulare diacronicamente) e con il conseguente aumento delle ipotesi di conflittualità e di ricorso alla Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzioni. Inoltre, la scelta per questa alternativa richiederebbe quantomeno, a differenza di quanto è previsto attualmente, l’imposizione di un obbligo per il Governo di configurare il proprio programma precisamente e dettagliatamente al momento del voto di fiducia instaurativo del rapporto (auspicabilmente indicando pure quali siano i punti del programma ritenuti essenziali). In un secondo senso, invece, l’essenzialità potrebbe intendersi connessa al fattore temporale. Seguendo tale interpretazione rispetterebbero il requisito quei disegni di legge il cui differimento impedisca l’attuazione del programma di governo; ossia, quei disegni la cui essenzialità – per così dire – oggettiva (in termini di connessione inestricabile con l’attuazione ed il compimento del programma di governo) si combini con la necessità di approvazione in tempi celeri e certi. Di conseguenza, la condizione richiesta dall’art. 72, comma 7, sarebbe esaudita solo ove vi fosse un termine da rispettare o si dimostrasse che il provvedimento normativo è preliminare e propedeutico ad altri che – pure – fanno parte del programma di governo e che verrebbero ineluttabilmente preclusi da un ritardo sul primo. Che quest’ultima sia l’opzione da preferirsi può a nostro parere ricavarsi sia dalla lettera della disposizione, ove compare un aggettivo particolarmente forte, come «essenziale», sia da un argomento teleologico, ossia dalla finalità deflattiva del ricorso al decreto legge perseguita tramite l’assicurazione di tempi certi (ciò che lega chiaramente, nella voluntas legislatoris, l’essenzialità al fattore temporale), sia da una valutazione di ordine sistemico e attinente proprio alla questione dalla quale le presenti riflessioni hanno preso le mosse: ove non si disciplinasse adeguatamente il momento valutativo a disposizione della Camera dei deputati, si correrebbe il pericolo della trasformazione dell’indicazione di essenzialità in una mera «clausola di stile» [Azzariti 2014; Romboli 2015; Di Maria 2015] difficilmente controvertibile; ossia il rischio della trasformazione del potere governativo di richiesta in un potere di scelta del procedimento che la Camera dovrà adottare. Rischio, evidentemente, troppo elevato da potersi correre in un ordinamento che voglia definirsi democratico. 8 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 Se dunque, come qui si crede, l’essenzialità dovesse essere dimostrata dal Governo in relazione alla necessità che la legge sia approvata in tempi certi, allora alla Camera rimarrebbe un margine di discrezionalità nella valutazione se accordare o meno il procedimento prioritario; ove invece venisse svincolata da tale onere dimostrativo, l’indicazione di essenzialità diverrebbe una valutazione difficilmente controvertibile poiché ad altissima discrezionalità politica. O, quantomeno, sarebbe impossibile scindere il rifiuto parlamentare dalla messa in discussione della persistenza del rapporto di fiducia. Di conseguenza, se il requisito dell’essenzialità venisse inteso nel primo senso sarebbe assolutamente necessario prevedere – nelle leggi attuative e nel regolamento parlamentare – forme di assunzione di responsabilità politica (in particolare, l’obbligo di dimissioni del Governo) poiché altrimenti il procedimento a data certa si tradurrebbe in un’ingerenza governativa sul dibattito parlamentare senza alcun costo (e, dunque, senza alcun freno) per l’Esecutivo. E ciò, com’è evidente, non coincide con un principio fondamentale del costituzionalismo, ossia con la necessità di porre limiti a ciascun potere, di opporre pesi e contrappesi ad ogni attribuzione, specie ove si vada ad incidere e menomare quelle dell’organo rappresentativo della sovranità popolare. D’altro canto, l’opzione qui preferita mette in discussione la capacità del procedimento prioritario di farsi strumento deflattivo degli abusi governativi sul procedimento legislativo, rischiando di privarlo di gran parte della sua forza e trasformandolo in uno strumento meramente sollecitatorio. Emerge così – ma lo si è già visto e lo si vedrà anche altrove – la più grande delle ambiguità del procedimento prioritario: quella di potersi tradurre o in un istituto “di carta” o in un portentoso strumento nelle mani del Governo per blindare il dibattito parlamentare. Tertium, sembrerebbe, non datur. Al fine di evitare la seconda delle derive prospettate, anche ulteriori elementi meriterebbero di essere presi in considerazione quali possibili condizioni di valutazione della richiesta da parte della Camera. La reintroduzione, innanzitutto, del limite numerico ai disegni legislativi per i quali il Governo possa fare richiesta di priorità, facendo attenzione a che si tratti di un numero estremamente contenuto, che non consenta al Governo di incidere sull’ordine del giorno delle Camere al punto da sovrapporsi totalmente alle loro valutazioni [Cerrone 2014; Grisolia 2014; Tarchi 2014]. In secondo luogo, potrebbe essere utilmente valorizzata la condizione cui si fa cenno in chiusura del comma stesso, relativa alla necessità di valutare l’omogeneità del disegno di legge quale elemento cui correlare i limiti e le modalità del procedimento legislativo prioritario. Si potrebbe insomma 9 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 immaginare un rifiuto parlamentare ove il disegno di legge presenti un grado di eterogeneità tale da escludere la compatibilità con i tempi di esame e delibera estremamente contenuti previsti per il procedimento prioritario (in piena conformità, peraltro, con quanto previsto dal progetto di riforma costituzionale con riferimento al – temporalmente affine – procedimento di conversione in legge di decreti-legge). Tale ultima opzione, come si vedrà meglio al § 6, potrebbe altresì essere modulata a seconda del momento in cui intervenga la richiesta di procedimento prioritario. 5. I tempi del procedimento Il proposto art. 72, comma 7, prevede che, quando il procedimento sia a data certa, i tempi di esame per il Senato devono intendersi ridotti della metà (dunque: 5 giorni per decidere se esaminare il progetto; 15 giorni per avanzare proposte). Tempi che, secondo una scelta assolutamente criticabile, devono ritenersi inclusi nei 70 giorni complessivi. Ciò emerge dalla circostanza che l’originaria dizione «votazione finale» – che avrebbe consentito di optare per una differente interpretazione – è stata sostituita con il meno equivocabile «pronuncia in via definitiva», ossia con l’espressione che l’art. 70, terzo comma, utilizza per far riferimento alla votazione della Camera che interviene a seguito delle proposte di emendamento da parte del Senato [cfr. Rossi 2015, il quale sottolinea come, diversamente intendendo, il termine del procedimento non potrebbe più ritenersi certo]. Ciò significa che dai 70 giorni previsti in caso di procedimento a data certa devono sottrarsi almeno 20 giorni e che i rimanenti 50 per l’esame della Camera devono dividersi fra la prima e la seconda deliberazione. A meno che non si voglia privilegiare la prima fase, che è l’unica certa, svuotando però di senso l’eventuale delibera della seconda camera e trasformandola in un mero “costo” in termini di giorni (costo che si fa particolarmente gravoso, considerata l’estrema scarsità del tempo a disposizione per il dibattito parlamentare). Tale ultima ipotesi, peraltro, non appare verosimilmente perseguibile per i progetti di legge di cui all’art. 70, comma 4, ove si richiede il raggiungimento della maggioranza assoluta alla Camera per potersi discostare dalle modifiche proposte dal Senato. È chiaro, infatti, che in questo caso la necessità di un approfondito esame si ripresenti anche in seconda battuta e che sarebbe di conseguenza necessario dividere equamente i tempi previsti per il procedimento prioritario. La risultante sarebbe, insomma, al netto dei 20 giorni assegnati all’eventuale esame del Senato, 25-30 giorni per il primo esame della Camera dei deputati; 25-20 giorni per la votazione in via definitiva (nell’ambito dei quali occorre considerare tanto i tempi di esame della Commissione, che del voto articolo per articolo e del testo complessivo). La prima deliberazione potrebbe dunque doversi 10 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 svolgere entro 25-30 giorni, senza avere alcuna certezza dell’utilità del sacrificio: la seconda camera potrebbe optare di non procedere all’esame o di non suggerire modifiche. Tale privazione, inoltre, andrebbe a vantaggio di una camera – il Senato – non legata al Governo dal vincolo fiduciario ed il cui ruolo in sede di procedimento prioritario appare del tutto marginale, come emerge dalla circostanza che sulla scelta del procedimento (e, dunque, anche sulla scelta di dimidiare i tempi del Senato) decide la sola Camera dei deputati, o dalla considerazione che dell’eventuale proroga del termine può giovarsi solo quest’ultima, mentre al Senato sono assegnati sempre 15 giorni, quale che sia il grado di semplicità o complessità del disegno legislativo. Il comma 7 dell’art. 72 prevede infatti che possa domandarsi il differimento del termine finale del procedimento di massimo 15 giorni in caso di particolare complessità del disegno normativo o in caso di particolare lunghezza dell’esame in Commissione. Nulla dice, però, sulle modalità della richiesta, sui soggetti che possano avanzare tale richiesta o sul momento nel quale essa possa intervenire. Punto, in verità, molto delicato e tutt’altro che di agevole definizione poiché, se da un lato appare ragionevole l’ipotesi di ricorrere alla richiesta di differimento in limine (ossia in seconda lettura, all’esito delle eventuali modifiche del Senato), d’altro canto la circostanza che la seconda lettura potrebbe non verificarsi mai, ove il Senato decidesse di non avvalersi della possibilità di esaminare il disegno governativo, potrebbe suggerire di giovarsi sin da subito della richiesta di ulteriori giorni, a tutto discapito della seconda, eventuale, deliberazione e dell’esame delle possibili proposte di modifica avanzate dal Senato. Non occorre spendere ulteriori parole per dimostrare le incongruenze della tempistica prevista, che rischia di trasformare il procedimento legislativo in un mero passaggio formale, con scarsa possibilità di proposizione di interventi ponderati su progetti di legge che, data la dichiarazione di essenzialità, dobbiamo presumere siano chiamati ad assumere un ruolo cruciale all’interno dell’ordinamento giuridico. Basti qui evidenziare solo come tutto ciò costituisca un ulteriore argomento a favore di quanto si sosteneva sopra, ossia in favore dell’opportunità di contemplare l’ipotesi di richiesta di procedimento a data certa non già contestualmente all’iniziativa, ma una volta che il dibattito parlamentare sia stato avviato e abbia già dimostrato di tendere a dilungarsi oltremodo, in maniera tale da configurare l’istituto come una sorta di “ghigliottina” ad attivazione governativa, senza però pregiudicare completamente le attribuzioni del Legislatore. D’altra parte, non vale ad opporsi a questa ipotesi il parallelismo con i tempi prescritti per la conversione in legge dei decreti-legge. Se, infatti, esso dovrebbe esaudire il dichiarato fine di abbattere il frequente ricorso alla decretazione d’urgenza (ma, come si è già iniziato a vedere, questa finalità non appare perseguibile dall’istituto nella sua attuale configurazione e non rileva 11 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 mai per le materie assegnate all’esame bicamerale), tale parallelismo merita di essere letto in ottica sistematica. Mentre la decretazione d’urgenza, infatti, dovrebbe essere connotata da una spiccata provvedimentalità, dalla circoscrizione dell’intervento normativo a settori ben delimitati, dalla concretizzazione in norme semplici ed immediate, i disegni di legge per cui si immagina il ricorso al procedimento legislativo prioritario sono invece disegni di attuazione di parti essenziali del programma politico e dunque, verosimilmente, interventi organici e strutturali, afferenti al nucleo delle politiche sociali ed economiche; interventi, insomma, che non si prestano affatto all’elusione del dibattito parlamentare e a tempistiche contenute come quelle della conversione di provvedimenti straordinari ed urgenti. A ben vedere, anzi, si tratta proprio di quei disegni per i quali il ricorso ai tempi della decretazione – ed alle loro conseguenze sul dibattito parlamentare – è attualmente considerato abusivo e per i quali, dunque, non solo è lecito, ma anzi è doveroso immaginare una soluzione differente, in termini temporali, da quella della decretazione d’urgenza. Il pericolo, altrimenti, è che non solo il procedimento di voto a data certa non riesca a risolvere i problemi sistemici arrecati dall’attuale ricorso al decreto-legge per interventi normativi complessi, all’opposto attraendoli a sé [De Fiores 2014; Chinni 2015], ma che, per di più, abbatta i – sia pur fragili – argini ad oggi esistenti. Se fino ad ora, infatti, l’elusione del dibattito parlamentare per disegni complessi e di cruciale rilevanza conseguivano a prassi distorsive del dettato costituzionale, domani tale elusione potrebbe trovare nella Costituzione stessa la propria fonte di legittimazione. Con la conseguenza che il già difficile controllo delle tendenze espansive del Governo verso la funzione legislativa rischierebbe di farsi del tutto impossibile. 6. Il requisito dell’omogeneità Piuttosto sibillina appare la previsione con la quale si chiude il comma in esame, ove si prevede che «il regolamento della Camera dei deputati stabilisce le modalità e i limiti del procedimento, anche con riferimento all’omogeneità del disegno di legge». Non viene infatti chiarito in quale maniera ed in quali momenti il requisito dell’omogeneità possa venire in rilievo. Un’ipotesi è già stata sopra formulata e attiene alla possibilità di inserire il requisito fra gli elementi a disposizione della Camera dei deputati per valutare se accettare o meno il ricorso ad un procedimento la cui eccessiva speditezza potrebbe tradursi in un intollerabile svuotamento delle attribuzioni parlamentari in relazione a progetti di legge eterogenei. Ma altre potrebbero essere formulate, ad esempio immaginando un legame fra la condizione dell’“omogeneità” e quella della “complessità” dei disegni di legge (prevista – lo ricordiamo – fra i casi che consentono di domandare un differimento di non oltre quindici giorni del termine di 12 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 deliberazione). Il punto del coordinamento fra queste due condizioni è piuttosto importante poiché, ove le si ritenga connesse, non si potrebbe escludere il ricorso al procedimento legislativo prioritario per disegni eterogenei. Dal momento, infatti, che la disposizione in esame prende espressamente in considerazione l’ipotesi di complessità del disegno di legge, connettendovi specifiche conseguenze giuridiche, ove si ritenesse che nel genus “complessità” sia inclusa la species “eterogeneità”, allora se ne dovrebbe dedurre che il comma contempli l’ipotesi di disegni di legge eterogenei e che preveda per tale ipotesi la possibilità di un differimento del termine. Il che, o precluderebbe la perseguibilità della proposta sopra formulata di includere l’omogeneità fra i requisiti di ammissibilità della richiesta governativa, o richiederebbe di affidare alla piena discrezionalità della Camera la valutazione circa il grado di eterogeneità ammissibile, aprendo così alla possibilità di un’accesa conflittualità fra Parlamento e Governo. Chi scrive ritiene però che tale interpretazione possa essere ragionevolmente scartata. Quello dell’omogeneità appare fra gli elementi di continuità fra il procedimento legislativo prioritario e la decretazione d’urgenza. E a tal proposito la Corte costituzionale, con riferimento al decretolegge, ha esplicitato che la disomogeneità non solo si configura come un elemento sintomatico della mancanza dei presupposti straordinari di necessità ed urgenza, ma, proiettandosi sul “seguito” parlamentare, mina la possibilità per le Camere di esercitare realmente le proprie attribuzioni, non essendo per loro possibile svolgere un congruo dibattito su disegni di legge complessi ed eterogenei negli stretti termini previsti per la conversione [Corte Cost., sentt. nn. 171 del 2007; 128 del 2008; 355 del 2010; 22 del 2012; Cicconetti 2002; Carnevale 2008; Ruggeri 2008]. Allora, ove si ritenesse che i tempi previsti per il procedimento legislativo prioritario debbano coincidere con quelli della conversione, analoga sarebbe la necessità di difendere le prerogative parlamentari, ossia il bisogno di assicurare un esame reale delle disposizioni proposte ed un dibattito articolato sulle stesse, dovendosi di conseguenza escludere l’ammissibilità del ricorso al voto a data certa per disegni legislativi eterogenei. Ciò che implica la necessità di intendere il requisito della “complessità” di cui parla la disposizione come un quid differente dall’eterogeneità e dipendente – ad esempio – dalla difficoltà tecnica della proposta normativa. Ove invece si voglia seguire la proposta qui formulata di intendere la richiesta di procedimento prioritario come attivabile a seguito del protrarsi del dibattito parlamentare, si potrebbero distinguere le valutazioni sull’omogeneità del disegno di legge, ritenendola indispensabile ove la richiesta coincida con l’iniziativa, modulabile ove intervenga a dibattito già avviato. 13 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 Certo, la differenza della scelta operata in caso di procedimento legislativo prioritario rispetto a quella fatta con riferimento alla decretazione d’urgenza (ossia: il rinvio al regolamento invece della previsione espressa in Costituzione) non solo apre alla possibilità di interpretazioni differenti, ma pure – ove si voglia seguire quella qui suggerita – al problema dell’esperibilità del controllo di legittimità costituzionale in caso di mancanza del requisito, facendo dipendere tale controllo dal superamento dell’indirizzo giurisprudenziale – ad oggi indiscusso – che esclude l’utilizzo delle norme dei regolamenti parlamentari come norme interposte nel sindacato di costituzionalità. Inoltre, un siffatto controllo incontrerebbe tutte le difficoltà sino ad oggi rilevate dalla dottrina e legate al carattere estremamente sfuggevole e multiforme dell’omogeneità [v. Carnevale 2014]. D’altro canto, questo appare un problema non specifico dell’istituto in esame, dal momento la consistente valorizzazione del requisito nella proposta di riforma costituzionale imporrà comunque di affrontare le questioni connesse al sindacato di omogeneità normativa. 7. Il decorso infruttuoso del termine: quali conseguenze? Veniamo, infine, al problema già evidenziato in apertura del presente contributo: l’attuale formulazione della disposizione, avendo eliminato il riferimento al voto bloccato in caso di decorso infruttuoso del termine, rimane silente circa le conseguenze del raggiungimento dei 70-85 giorni senza che la Camera sia addivenuta alla delibera definitiva, non chiarendo se la scadenza abbia carattere ordinatorio o perentorio. Se la formulazione originaria, infatti, non lasciava dubbi circa la perentorietà, l’attuale mancanza di conseguenze farebbe propendere all’opposto per l’ordinatorietà. D’altro canto, com’è stato sottolineato in dottrina, tale interpretazione renderebbe il procedimento a data certa un procedimento a data sperata [Rossi 2015], svuotando l’istituto del suo carattere essenziale. Cosa rimarrebbe, poi, delle finalità deflattive del ricorso alla decretazione d’urgenza se la data non fosse più certa? Questi argomenti indurrebbero a propendere per la persistente perentorietà del termine; sennonché anche questa soluzione non appare in grado di assicurare – almeno di per sé sola considerata – il perseguimento della dichiarata ratio dell’istituto. Al momento, infatti, l’unica indicazione che possiamo trarre dalla disposizione, ove volessimo intendere il termine come perentorio, è quella della decadenza del procedimento legislativo e della necessità di avviarlo nuovamente ab origine. Ipotesi che, oltre a non assicurare al Governo un’utilmente percorribile via privilegiata per l’attuazione del programma politico, apparirebbe quantomeno problematica in relazione a disegni legislativi dei quali l’Esecutivo ha dichiarato l’essenzialità. 14 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 Anche in questo caso, peraltro, l’evidente incrinatura del rapporto di fiducia che emergerebbe dall’inerzia o dal dissenso della Camera che abbiano determinato il protrarsi del tempo, rimarrebbe sprovvista di qualsivoglia forma di assunzione di responsabilità politica, non essendo stata prevista, da un lato, la trasparenza del voto parlamentare e, dall’altro, l’obbligo di dimissioni. Starà, ancora una volta, al regolamento parlamentare e alla legge attuativa dei nuovi poteri del Governo disciplinare anche questo delicato punto, decidendo verso quale dei due poli indirizzare un istituto al momento “ibrido”, che – dobbiamo registrare ancora – si presta a divenire tanto un mero strumento sollecitatorio, quanto una pseudo-questione di fiducia (eventualmente priva dell’inemendabilità del disegno di legge, ma maggiormente preoccupante sul piano degli effetti parlamentari poiché, a differenza di essa, riguardante necessariamente l’intero disegno di legge e non mai un singolo articolo, comma o ordine del giorno). A tale ultimo proposito, occorre allora porsi un’ultima domanda: quid se nell’ambito di un procedimento legislativo prioritario il Governo ponesse anche la questione di fiducia? Il mancato divieto della combinazione dei due istituti, sul quale la dottrina ha giustamente appuntato una preoccupata attenzione [Rossi 2015; Romboli 2015], non farebbe altro che riproporre in rinnovati termini le medesime problematiche che oggi siamo chiamati ad affrontare quando guardiamo al ricorso alla decretazione d’urgenza combinata al voto di fiducia in sede di conversione o alla questione di fiducia posta nell’ambito di un disegno di delega legislativa o su un maxi-emendamento governativo. Per tali ragioni appare indispensabile che la legislazione attuativa e il regolamento della Camera siano conseguenti sino in fondo all’eliminazione del voto bloccato dalla disposizione in esame, non solo non introducendo vincoli all’emendabilità dei disegni di legge discussi in via prioritaria, ma anche prevedendo il divieto di apporre la questione di fiducia ove sia stato avviato tale procedimento. 8. Alcune provvisorie conclusioni Il quadro sin qui tracciato è decisamente ricco, per cui non è il caso di procedere oltre, appesantendo ulteriormente uno scritto che può procedere solo per ipotesi e valutazioni prognostiche. Certo è, però, che altre questioni meriteranno di essere esaminate ove la riforma dovesse essere accolta. E, in particolare, sarà necessario valutare i margini del controllo presidenziale su una legge approvata a data certa: quali conseguenze avrebbe un rinvio del Presidente della Repubblica? Il procedimento rimarrebbe prioritario o, come si crede, verrebbe avviato ex novo, secondo la procedura ordinaria? In tal caso il Governo potrebbe riavanzare la richiesta di 15 federalismi.it – Focus Riforma costituzionale |n. 5/2016 priorità? E la Camera potrebbe rifiutarla sulla base della necessità di valutare appropriatamente i rilievi presidenziali? Ma ciò non costituirebbe un’ingerenza eccessiva del Presidente della Repubblica su di una legge indicata come essenziale per l’attuazione del programma di governo? Si tratta di questioni evidentemente delicatissime, il cui esame non può essere affidato al pochissimo spazio residuo concesso per il presente scritto. Così come non si può neppure tentare di avvicinare l’immenso problema, più volte sopra accennato, del sindacato formale della legge: pensi solo al caso in cui una richiesta governativa venga avanzata, ed accolta, con riferimento ad un disegno di legge in relazione al quale si dubiti della competenza monocamerale e si sostenga la necessità di un esame bicamerale; o ai limiti (numerici, di omogeneità, ecc.) che si è visto potrebbero essere introdotti dal regolamento della Camera; o, ancora, al caso di approvazione della legge oltre il termine, ove questo venisse inteso come perentorio. Tutte questioni non solo insolute, ma di davvero difficile soluzione. Quel che rimane al netto di tutte queste domande è – al fondo – un istituto anfibologico, che, come più volte abbiamo potuto riscontrare, rischia di essere o incapace di perseguire il fine per esso dichiarato o, all’opposto, un nuovo strumento per riprodurre i medesimi abusi che pretende di prevenire. Con la differenza, di non poco rilievo, che la legittimazione governativa a schiacciare il dibattito parlamentare rischia di essere individuata nella Costituzione stessa, precludendo seriamente la possibilità di porre argini agli abusi governativi sulla funzione legislativa. Bibliografia G. Azzariti, Appunto predisposto per l’audizione in tema di Revisione della Costituzione del 15 ottobre 2014 presso la I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, in Osservatorioaic, 15.10.2014 R. Bin, Coerenze e incoerenze del disegno di legge di riforma costituzionale: considerazioni e proposte, in Forumcostituzionale.it, 22.04.2014 G. 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