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File - Accademia di Bevagna
A Arte Ascensidonio Spacca detto ‘Il Fantino’. Il pittore della vallata di Anton Carlo Ponti Il contesto Immaginiamo di vivere non alla fine del Novecento, il “secolo lungo”, anzi più correttamente del terzo millennio, ma di vivere nel Seicento, un secolo insieme beghino e barocco, quando la Chiesa: i frati, le monache, i sacerdoti e anche le comunità paesane, tendevano – con tutte le forze della questua e con tutte le armi delle donazioni dei fedeli per procacciarsi una fetta di Paradiso dopo l’avventura trascorsa nella valle di lacrime –, ad abbellire e decorare chiese, chiostri e refettori – come conveniva alla devozione tridentina e un po’ meno alla paupertas, amatissima sposa di Francesco d’Assisi, auspicata nella prima Regola. Non poche comunità conventuali o monastiche, in Umbria, chiamavano pittori dei dintorni, umbri indigeni, affidandogli decorazioni parietali, pale d’altare, affreschi negli edifici di culto annessi ai conventi o ai monasteri, mentre le comunità cittadine lo facevano attraverso i Canonici o parroci. Tutto un mondo religioso, mistico e non di rado pietistico, ruotava intorno al trionfo dell’illustrazione della teologia e dell’agiografia spiegate al popolo in forme, sovente, di alta sapienza stilistica e di raffinata spiritualità. Bevagna nel secolo di cui si sta scrivendo, tempi piuttosto cupi ma che pure videro la nascita della scienza – un nome per tutti Galileo Galilei –, ha la ventura di avere come suoi figli e cittadini ben due coevi pittori (in quei tempi non si parlava ancora di artisti, se mai di maestri Bevagna ha la ventura di aver come suoi figli e cittadini ben due coevi pittori: Ascensidonio Spacca detto il Fantino e Andrea Camassei, che nella bottega del primo forse ricevette i primi rudimenti della tecnica 16 conclamati e autorevoli nel mestiere poco più che artigianale della dipintura): il primo è Ascensidonio Spacca detto ‘il Fantino’ (Bevagna 1557/6-ivi 1646); il secondo, che nella bottega del Fantino probabilmente ricevette i primi rudimenti della tecnica, è Andrea Camassei (Bevagna 1602-Roma 1649), il quale – nella Collegiata di San Michele restano suoi segni pittorici di valore nella Cappella Spetia –, gran disegnatore, a Roma allievo e assistente del Domenichino (Domenico Zampieri, Bologna 1581-Napoli 1641), nella Città eterna troverà gloria non fuggevole alla ‘corte’ dei Barberini. Il Fantino non è legato alla propria terra, non aspira all’immortalità, è un artigiano attento e preciso, forse non esoso, uno che si accontenta di lavorare in Umbria, senza uggiosi e scomodi spostamenti. Un piccolo grande bevanate Ma chi era in verità il Fantino? Uno che si chiama Ascensidonio1 Spacca, non può essere nato che a Bevagna, la piccola città nella romanità chiamata Mevania, luogo ameno ma nebbioso per i molti fiumi che la circondano, e fatto di pianure umide dove il Clitunno – leggendario e letteratissimo corso d’acqua della Valle Spoletana –, dopo aver ‘lambito’ ai piedi la città di Trevi, più a nord-ovest qui verrà a morire, gettandosi proprio nel cuore della Heimat di Fantino e di Camassei, nei vortici lievi del serpeggiante e placido Teverone-Timia, subito dopo il lavatoio spumeggiante dell’Accorda. L’anno di nascita dello Spacca non è del tutto sicuro, deriva per deduzione, mentre, come si evince dal Registro dei Morti della Parrocchia della Collegiata di Bevagna, ora San Michele, se ne attesta la dipartita il 27 novembre 1646: «Ascenzidonio Spacchi detto il Fantino fu comunicato e gli fù data l’estrema A Arte Madonna del Rosario, Bevagna, chiesa di San Domenico (o del Beato Giacomo). 17 A unzione da me padre Loreto Giorgi, morse e fù seppellito nella chiesa di S. Francesco»2. Le poche righe documentali introducono nella figura del pittore, biograficamente non del tutto evanescente, ma un po’ nebulosa, almeno tre motivi di qualche interesse o curiosità. Il primo attiene alla sua sepoltura nella chiesa posta nel punto più alto del paese, a fianco di un ennesimo e assai vasto complesso francescano, dove egli, nel 1594, nella cappella della nobile famiglia Ciccoli aveva dipinto una struggente Pietà (firmandosi: FANTINI MEVANATIS OPUS A.D. MDLXXXXIIII). Il secondo informa che chi lo accompagnò, con la confessione e con il viatico, verso l’estremo confine, apparteneva alla famiglia Giorgi, imparentata con il committente di una delle sue più belle pale d’altare: La Madonna di Costantinopoli, l’Annunciazione, S. Giuseppe e il donatore Crispolto Giorgi (Bevagna, Santuario della Madonna delle Grazie, da poco restaurata dopo i danni subiti in seguito al terremoto del 1997). Questo splendido quadro, sulla cui tela il committente è di profilo ritratto in basso a destra, intento a guardare con benignità soddisfatta chi ammirerà il dipinto frutto della sua devozione generosa e narcisistica, rappresenta una delle più pregevoli e compiute opere dello Spacca, assai simile, per forti analogie nella metà superiore, a un’altra sua Madonna di Costantinopoli con l’Annunciazione e i santi Francesco e Bernardino, conservata nel Museo Comunale di Bevagna, datata, come ha scoperto Antonio Lanari, 1609, dipinta per l’altare della cappella dell’omonima Madonna nella chiesa di San Francesco di Bevagna, in adempimento delle Arte La Madonna di Costantinopoli, l’Annunciazione, San Giorgio e il donatore Crispolto Giorgi, Bevagna, Santuario della Madonna delle Grazie. Mentre Camassei ebbe fortuna a Roma, Fantino è legato alla propria terra, non aspira all’immortalità, è un artigiano attento e preciso, forse non esoso, uno che si accontenta di lavorare in Umbria 18 volontà testamentarie del defunto Loreto Duranti. Analoga immagine dipinta dal Fantino è sita a Torri di Barattano di Gualdo Cattaneo nella chiesa di San Giorgio. La Madonna del Santuario delle Grazie è opera veramente notevole e perfino originale, pur nell’iterazione del modello, e sembra smentire l’icastico severo giudizio sul pittore, stilato da Umberto Gnoli: «Deriva da Dono Doni. Disegno corretto, colore robusto, privo di fantasia. Ritardatario»3. Il prete che raccolse la sua anima mondata di peccati e in articulo mortis, era un discendente, attraverso intricate genealogie famigliari risalenti per li rami, del grande domenicano Beato Giacomo Bianconi (1220-1301), sorta di padre fondatore della comunità cittadina (forse discepolo a Colonia di Alberto Magno e a Orvieto compagno di studi di Tommaso d’Aquino), la cui madre Vanna era un’Alberti4. Le immagini di questa Madonna più volte teneramente narrata, si pongono come un culmine di quelle inclinazioni arcaicizzanti e ‘devote’ che costituiscono, a vario livello, una componente essenziale di tutta l’opera del pittore mevanate, evidentemente in consonanza con le predilezioni dei committenti per questa icona paleocristiana (un altro suo dipinto sul tema è nel Museo di Bettona). L’importanza del Fantino viene riconosciuta, in un commento alla Madonna di Costantinopoli e i santi Michele Arcangelo e Francesco d’Assisi di Marcantonio Grecchi, nella Pinacoteca di Spello5 (città dove questi muore nel 1651), opera proveniente dalla collegiata di S. Maria Maggiore; questo “dipinto riflette ricordi” dei dipinti simili del Fantino e di stilemi di Felice Damiani, nominati come ‘capiscuola’ nella particolare venerazione e devozione A di immagini mariane. Il terzo motivo concerne il suo nomignolo, ‘Fantino’, deriva dalla bassa statura (da infans, toscaneggiando si dà anche ‘fantolino’), grazie al quale egli è più conosciuto, limitatamente all’area della sua abbastanza prolifica attività pittorica su committenza, che va da Spello (S. Maria di Vallegloria, 1590: Natività della Vergine; Visitazione) a Montefalco (Cappella Bontadosi: Immacolata Concezione tra i Santi Francesco e Antonio da Padova e il committente Clemente Bontadosi, 1584-1586, e altre opere), da Papigno di Terni (chiesa dell’Annunziata, 1608: Madonna del Rosario) a Castelbuono di Bevagna (chiesa di S. Maria Assunta, 1592: Madonna col Bambino), da Bettona (chiesa di S. Maria, 1615: Madonna col Bambino) a Gualdo Cattaneo (chiesa dei SS. Antonio e Antonino, 1589: Ultima cena coi SS. Antonio e Antonino)6, a Foligno (Biblioteca Comunale, 1589: Veduta di Foligno) e, va da sé, alla sua Bevagna. Un pittore locale il Fantino, nulla quaestio, ossia non ci piove, ma assiduo, forte, non rozzo, capace perfino di raffinatezze squisite, tenero a volte e a volte pensoso, a volte robusto e pervaso di sano realismo plebeo. Per il Nessi, biografo del Camassei, il Fantino è «un buon artista locale, tra i migliori rappresentanti del manierismo locale»7. Il Fantino al lavoro Immaginiamo dunque il Fantino, mingherlino e dalle corte gambe, al contrario del Camassei che morì molto giovane, nel corso della sua lunga vita, una rarità in quei tempi. Immaginiamolo quando, chiamato a lavorare nella lontana Papigno, o nel Convento di San Martino o al Monastero di Vallegloria a Spello, città fra le perle di un’Umbria Arte Madonna di Constantinopoli, Torri di Barattano di Gualdo Cattaneo, chiesa di San Giorgio. Il 27 novembre 1646 “Ascenzido-nio Spacchi detto il Fantino fu comunicato e gli fù data l’estrema unzione da me padre Loreto Giorgi, morse e fù seppellito nella chiesa di S. Francesco” 19 impareggiabile, egli arriva in groppa non a un purosangue, ma a un mulo, o su un carro, solo o in compagnia di un giovane di bottega o di un garzone, munito dell’armamentario di pittore, dei ferri del mestiere: tavolozze, colori e terre, pennelli, emulsioni e acidi; un artigiano, dunque, non un artista, un artigiano di pregio come il fabbro del ferro battuto o come l’ebanista, il liutaio, il tintore, l’orafo, il calligrafo, lo stampatore. Uno che forse non viene neppure invitato a mangiare nel refettorio, ma frettolosamente consuma il pasto frugale con i famigli, anche perché ha fretta di finire, non ha tempo di ascoltare le letture sacre durante il pasto e i canti; altri incarichi premono. Tiene famiglia. I committenti lo chiamano dunque nel ‘cantiere’ conventuale, o della chiesa, che volevano rendere più leggiadri e più ‘pedagogici’, secondo le “direttive teologiche” tridentine (ma non opposte al pensiero di Francesco che la povertà la voleva soltanto per la vita monastica), un pittore eccellente, dalla firma se non di prima grandezza, molto di rispetto, dotato di puntualità e rapidità di esecuzione, di onestà nei materiali e nei pigmenti. Non di elevata fantasia, ma equilibrato e perfino elegante quando dipinge gli abiti delle dame, nei registri spaziali e nelle scale cromatiche. E allo Spacca, “pittore della vallata”, lasciano libero campo di prodursi nei loro conventi, consapevoli di affidare a un onesto e placido decoratore i fasti del martirio e durante i piatti di cibo semplice la visione confortante della cena fondatrice dell’eucarestia. Come si vede nella bella, robusta Ultima cena a San Martino di Trevi. Grazie alla quale, citando il S. Agostino del De civitate Dei, «Ibi vacabimus et videbimus, videbimus et amabimus, amabimus et laudabimus. Ecce quod A erit in fine sine fine»8. Ascensidonio, chi può dirlo, magari una volta o due, tornando a casa per una breve ‘licenza’ da Spello o da Bettona invitò poi la moglie Lampida (non poteva chiamarsi altrimenti) a seguirlo sul posto di lavoro. Sì, perché la vita che conosciamo di lui e della famiglia consta di scarne notizie, e se la data di morte ci è nota, quella della nascita, come detto, è nel buio anagrafico. Almeno fino a qualche decennio fa. Si pensi che perfino la sua persona subì, a causa di equivoci documentali, una sorta di condizione da “visconte dimezzato”, anzi no, la moltiplicazione in due distinti pittori: un Bartolomeo Fantini e un Ascensonio [sic] Spacca, come se fosse possibile, in una minuscola realtà paesana qual era quella di Bevagna nel Seicento, annoverare contemporaneamente non due pittori di calibro (Camassei e Fantino), ma addirittura tre, anche se, va detto, la cronaca registra, ma assai marginale, un Giacinto Camassei pittore e nipote di Andrea. Ma tornando alla data di nascita, in un documento del 1630 risulta un’attestazione dello Spacca medesimo a settantatré anni, il quale dichiara come trentacinque anni prima abbia dipinto nella chiesa della compagnia di San Giacomo a Spello (Madonna col Bambino e i SS. Caterina, Giacomo e Maria Maddalena), il che a rigore non è una novità: a Spello ha manifestato il suo gusto tardomanieristico pervaso di intenti sì devozionali ma, come s’è detto, sapido, realistico, addirittura naturalistico. La data di nascita di Ascensidonio, quindi, è il 1557 circa, e s’è detto vivrà una lunga vita, quasi novant’anni, e come ci raccontano i suoi testamenti, circondato da un’agiatezza compiuta e compiaciuta, sposato con due mogli, perché dopo la Arte Annunciazione, Bevagna, Pinacoteca Comunale. Le immagini di questa Madonna più volte teneramente narrata, si pongono come un culmine di quelle inclinazioni arcaicizzanti e ‘devote’ che costituiscono una componente essenziale di tutta la sua opera 20 morte di donna Lampida, una donna Lucrezia gli allieterà, con l’amore coniugale, le opere e i giorni. Chi commissionò opere al Fantino scelse oculatamente? Beh, il mercato disponeva di non poche griffes, perché la domanda era alta e alta era l’offerta. La Riforma Luterana era fresca ferita nel corpo della Chiesa, bisognava correre ai ripari con una sorta di bulimia iconografica, spesso di modesta stesura, ma che purtuttavia ha lasciato in Umbria nell’insieme un patrimonio del tutto rilevante. Il Fantino è probabilmente un ‘fapresto’, di modeste pretese rispetto a un Felice Damiani o a un Cesare Sermei. I Committenti hanno urgenza di celebrare i fasti dei campioni della Santità o del Misticismo, o della Predicazione, dunque affidano al pennello del Fantino la galleria dei “ritratti di famiglia” come i ventisette medaglioni di Santi e Beati dell’Ordine o a questo affini, richiesti a lui dai frati dell’Osservanza per il chiostro del Convento di San Martino di Trevi, tutti accompagnati da una targhetta posta sotto il tondo, con nome e ‘qualifica’. Il chiostro, antistante la chiesa, contiene così, secondo il disegno dei Frati committenti, i volti o i profili di chi è a loro esempio e rifugio nella preghiera, medaglioni che accompagnino la giornata comune o solitaria ogni volta che lo sguardo si alzi di poco in alto. Una presenza amica, ma anche un monito, specie per i pellegrini che dovessero avventurarsi sulla piaggia trevana e per i fedeli saliti a sentir messa. Ma se la galleria di ritratti è quasi un unicum almeno nell’area della Valle Umbra, è anche, quando si tratta di ritrarre il sangue dei martiri, una sorta di galleria degli orrori, un pulp o grand guignol, si veda il bellissimo san Samuele Martire, con quel ghigno rivolto al carnefice che pare dire: “Il A vincitore sono io”. Ma questi tondi non serafici di azzurro, concreti come la terra del sangue versato, sono come rarefatti, sublimati non soltanto dalla rozzezza della pittura e delle cromie (un ‘pantone’ di tutte le terre della tavolozza), quanto dalle posture, quasi mai ieratiche o estatiche, un po’ alla museo delle cere. Come congelate nel gesto subito. Il martirio è il dominio dell’abominio e la sorgente della fede. Non si sa quanto siano stati manipolati questi medaglioni, tuttavia l’effetto sull’intonaco bianco risulta efficacemente decorativo e suggestivo. Ammonitore. Forse questi ritratti non sono di mano diretta del Fantino ma di aiuti di bottega. La Vallata d’Umbria dalla quale emergono Assisi e Spello, Trevi e Montefalco e Spoleto, bagnata dal Clitunno e dal Marroggia e a est cinta dai monti di Pettino e più lontano i monti Brunette e Serano, oggi è di molto cambiata, è antropizzata oltre ogni più nefasto auspicio, in onore e lode di sua maestà l’automobile e di sua altezza reale il cemento. Un viaggiatore del Grand Tour ottocentesco resterebbe offeso e sconvolto dal ludibrio della modernità. E il Fantino, no? Modesto artigiano-artista, buon pittore manierista, probo e ordinato, non capirebbe. Non tanto per la velocità elevata a dogma dai Futuristi e spaventato dalla loro provocazione guerra sola igiene del mondo, che già di per sé son difficili da digerirsi, ma per il suo personale devoto contributo vilipeso per secoli; e solo oggi restituito alla visibilità dei fedeli e guidato da nuovi studi, e si spera di testimonianze di qualche viaggiatore intelligente, stanco di non-luoghi di cui disseminata è la vallata. Arte Deposizione nel Sepolcro, Madonna col Bambino e le Sante Caterina e Apollonia, Bevagna, chiesa di Santa Margherita. 1. Per approfondire questa peculiarità onomastica di Bevagna si veda: A. C. Ponti - A. Lanari, Mevaniae Nomina da Abele a Zopiro. Nomi strani e soprannomi di Bevagna, Perugia, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, 2012. 2. B. Ponti - C. Ponti, Ascensidonio Spacca detto il Fantino di Bevagna, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, Perugia, 1998, p. 10. 3. U. Gnoli, Pittori e miniatori nell’Umbria, con una premessa di F. Zeri, Foligno, Ediclio, 1980, Ristampa anastatica: Claudio Argentieri Edizioni d’Arte, Spoleto, 1923, p. 107. 4. Andava fiera di queste origini duecentesche la bevanate scrittrice e attrice Elsa De’ Giorgi, nata Giorgi Alberti (1915-1997). 5. Pinacoteca Comunale di Spello, a cura di A. Marabottini Marabotti, Electa Editori Umbri Associati, Perugia, 1995, p. 69. 6. La chiesa è un cantiere di restauro invalicabile, impossibile dunque un auspicato confronto con l’Ultima cena di San Martino. B. Sperandio, Trevi. Città d’Arte, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, Perugia, 2011; G. Pozzi, Il Cantico di Frate Sole di san Francesco, in Letteratura italiana. Le Opere. 1, Dalle origini al Cinquecento, Einaudi, Torino, 1992, p. 18: «Lì staremo in pace e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecco ciò che sarà la fine senza fine». 7. S. Nessi, Andrea Camassei. Un pittore del Seicento tra Roma e l’Umbria. Saggio introduttivo di L. Barroero, Quattroemme, Perugia, 2005, p. 27. 8. G. Pozzi, Il Cantico di Frate Sole di san Francesco, in Letteratura italiana. Le Opere. Volume primo, Dalle origini al Cinquecento, Einaudi, Torino, 1992, p. 18 «Lì staremo in pace e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecco ciò che sarà la fine senza fine». Per ulteriori approfondimenti: Guida al Museo Comunale di San Francesco a Montefalco, a cura di B. Toscano, Electa Editori Umbri Associati, Perugia, 2003. Pinacoteca Comunale di Bevagna, a cura di F. F. Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Perugia, 1999, p. 32 [scheda siglata A. V., A. Vannugli]. Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria. 2, a cura di L. Barroero et al., Electa Editori Umbri Associati, Perugia, 1989, p. 468. Pittura del Seicento e del Settecento. Ricerche in Umbria. 1, Libreria Editrice Canova, Treviso, 1976. Pittura del Seicento e del Settecento. Ricerche in Umbria. 2, Libreria Editrice Canova, Treviso, 1980. Il restauro della Cappella dello Spagna. Convento di San Martino, Spello, 2009. G. Urbini, Spello. Bevagna. Montefalco, Orfini Numeister, Foligno, 1997. (Ristampa anastatica dell’edizione: Istituto Italiano Arti Grafiche, Bergamo, 1913). 21