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Moduli finitamente generati su domini a ideali principali

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Moduli finitamente generati su domini a ideali principali
Moduli finitamente generati su domini a ideali
principali
Settembre 2015
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Moduli noetheriani
Una delle proprietà fondamentali degli spazi vettoriali a coefficienti in un
campo consiste nel fatto che i sottospazi di uno spazio vettoriale finitamente
generato sono a loro volta finitamente generati. Questa proprietà non si estende
a R-moduli qualunque:
Esempio 1. Sia R := K[x1 , x2 , . . . ] l’anello dei polinomi a coefficienti in un
campo K nelle infinite indeterminate x1 , x2 , . . .. Anche se le indeterminate
sono infinite ciascun polinomio f di R ne coinvolge solo un numero finito.
L’anello R, pensato come R-modulo destro RR su sé stesso, è generato da 1
(ciò è vero per ogni anello pensato come modulo su di sé). Consideriamo ora
il sottoinsieme N di RR formato dai polinomi a termine noto nullo: è facile
vedere che N è un R-sottomodulo. Pur essendo sottomodulo di un modulo
finitamente generato, N non è finitamente generato. Supponiamo per assurdo
che f1 , f2 , . . ., fr generino N . Questi polinomi coinvolgono complessivamente
solo un numero finito di indeterminate: sia allora xj un’indeterminata che non
appare in nessuno degli fi . Poiché xj è anche un polinomio con termine noto
nullo, appartiene a N e, dunque, dovrebbero esistere p1 , p2 , . . ., pr in R tali che
xj = f1 p1 + f2 p2 + · · · + fr pr . Nella combinazione lineare a secondo membro
otteniamo termini di grado 1 solo quando moltiplichiamo un termine di grado
1 in fi per un termine di grado 0 in pi . Ma allora le incognite che appaiono
nei termini di primo grado sono solo quelle che appaiono nei termini di primo
grado in qualcuno degli fi : in particolare xj non può apparire.
Risulta di particolare interesse studiare allora i moduli i cui sottomoduli
sono tutti finitamente generati. Cominciamo con la caratterizzazione:
Proposizione 2. Sia M un R-modulo. Le seguenti condizioni sono equivalenti:
i) ogni sottomodulo di M è finitamente generato;
ii) ogni successione ascendente di sottomoduli M1 ⊆ M2 ⊆ · · · ⊆ Mi ⊆ · · · di
M si stabilizza, cioè esiste un intero k tale che Mk = Mk+1 = Mk+2 = · · ·
(questa condizione è detta condizione catenaria ascendente);
iii) ogni famiglia non vuota F di sottomoduli di M ammette un elemento
massimale, vale a dire un sottomodulo della famiglia F che non è contenuto
strettamente in nessun altro sottomodulo della famiglia F.
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Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Dimostrazione. Supponiamo che valga la condizione i) e proviamo che vale la
condizione ii). Sia allora M1 ⊆ M2 ⊆ · · · ⊆ Mi ⊆ · · · una successione ascendente
di sottomoduli di M . L’unione insiemistica N degli Mi è un sottomodulo di N .
Se infatti x e y sono due elementi di N e k è un elemento di R, allora esistono
i1 e i2 tali che x ∈ Mi1 e y ∈ Mi2 . Detto i il massimo tra i1 e i2 abbiamo allora
che x e y appartengono a Mi : pertanto x + y e xk appartengono a Mi e, di
conseguenza, a N . Poiché vale la proprietà i), il sottomodulo N è finitamente
generato, diciamo dagli elementi x1 , x2 , . . ., xt . Esistono allora j1 , j2 , . . ., jt
tali che x1 ∈ Mj1 , x2 ∈ Mj2 , . . ., xt ∈ Mjt . Detto j il massimo tra questi interi
abbiamo allora che x1 , x2 , . . ., xt appartengono a Mj e, di conseguenza N ⊆ Mj :
ma allora N = Mj = Mj+1 = · · ·.
Supponiamo ora che valga la condizione ii) e proviamo che vale la condizione
iii). Sia allora F una famiglia non vuota di sottomoduli di M . Scegliamo M1
nella famiglia F: se M1 è massimale in F abbiamo finito, altrimenti esiste M2
in F contenente strettamente M1 ; se M2 è massimale in F abbiamo finito,
altrimenti esiste M3 in F contenente strettamente M2 . Se questo processo
non avesse termine otterremmo una catena infinita strettamente ascendente di
sottomoduli M1 ( M2 ( · · · ( Mi ( · · · appartenenti alla famiglia F: poiché
vale la proprietà ii) ciò non è possibile, e, dunque, esiste un elemento massimale
di F.
Infine, supponiamo che valga la condizione iii) e proviamo che vale la
condizione i). Sia allora N un sottomodulo di M . Consideriamo la famiglia
F dei sottomoduli di M che sono contenuti in N e sono finitamente generati.
La famiglia F è non vuota: il sottomodulo banale {0} appartiene a F. Per
la condizione iii), la famiglia F ammette un elemento massimale L. Questo è
finitamente generato, diciamo dagli elementi y1 , y2 , . . ., yt . Mostriamo che in
realtà L = N ottenendo così che N è finitamente generato. Sia y un qualsiasi
elemento di N : il sottomodulo K generato dagli elementi y1 , y2 , . . ., yt e y
è finitamente generato, contenuto in N e contenente L. In altri termini K è
un elemento di F contenente L: per la massimalità di L in F ciò significa che
L = K. In particolare y ∈ L: poiché ciò vale per ogni y ∈ N abbiamo che N ⊆ L
e, dunque, N = L, come richiesto.
Definizione 3. Un modulo che soddisfa una delle condizioni (e quindi tutte)
della Proposizione 2 è detto noetheriano1 .
Osservazione 4. Se R è un dominio a ideali principali, allora gli R-sottomoduli
di RR non sono altro che gli ideali di R: questi sono tutti generati da un
elemento (sia come ideali che come sottomoduli) e, pertanto, RR è un modulo
noetheriano.
Proposizione 5. Sia M un modulo e N un suo sottomodulo. Allora M è
noetheriano se e solo se N e M /N sono noetheriani.
Dimostrazione. Sia M noetheriano. Ogni sottomodulo di N è anche sottomodulo
di M ed è dunque finitamente generato: pertanto N è noetheriano. I sottomoduli
di M /N sono del tipo L/N con L sottomodulo di M contenente N : poiché L è
finitamente generato, diciamo da x1 , x2 , . . ., xt , il quoziente L/N è generato
da x1 + N , x2 + N , . . ., xt + N . Pertanto M /N è noetheriano.
1 Emmy
2
Noether 1882–1935
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Viceversa siano N e M /N noetheriani: dobbiamo mostrare che ogni successione ascendente M1 ⊆ M2 ⊆ · · · ⊆ Mi ⊆ · · · di sottomoduli di M si
stabilizza. Le successioni ascendenti M1 ∩ N ⊆ M2 ∩ N ⊆ · · · ⊆ Mi ∩ N ⊆ · · · e
M1 +N
⊆ M2N+N ⊆ · · · ⊆ MiN+N ⊆ · · · di sottomoduli di N e M /N rispettivamenN
te si stabilizzano: esiste quindi k tale che Mk ∩N = Mk+1 ∩N = Mk+2 ∩N = · · ·
+N
+N
e MkN+N = Mk+1
= Mk+2
= · · ·. Sia allora x ∈ Mk+i con i > 0: poiché
N
N
Mk+i +N
Mk +N
=
abbiamo che x = x0 + y con x0 ∈ Mk e y ∈ N . Ma allora
N
N
0
y = x − x ∈ Mk+i ∩ N = Mk ∩ N , da cui segue che x = x0 + y ∈ Mk . Per
l’arbitrarietà di x in Mk+i otteniamo che Mk+i ⊆ Mk e, quindi, Mk+i = Mk .
Corollario 6. Se M e N sono moduli noetheriani, allora M ⊕ N è un modulo
noetheriano.
Dimostrazione. Basta applicare la proposizione precedente al modulo M ⊕ N ,
⊕N
osservando che M e MM
' N sono noetheriani.
Abbiamo già osservato che i sottospazi vettoriali di uno spazio vettoriale
finitamente generato sono finitamente generati. Ciò può essere riespresso dicendo
che se K è un campo, allora ogni K-modulo finitamente generato è noetheriano.
Esistono altri anelli per cui si può dare una proprietà simile: ad esempio i domini
a ideali principali.
Corollario 7. Se R è un dominio a ideali principali e M è un R-modulo
finitamente generato, allora M è noetheriano.
Dimostrazione. Sappiamo che R pensato come R-modulo su sé stesso è noetheriano (Osservazione 4). Pertanto il modulo libero Rn è noetheriano per
ogni n (Corollario 6). Un R-modulo generato da un numero finito n di elementi è immagine (e, quindi, quoziente) di Rn ed è, pertanto, noetheriano
(Proposizione 5).
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Annullatori e torsione
Se x è un elemento di un R-modulo M (con R anello qualunque) e a è
un elemento di R, il prodotto xa si annulla nel caso in cui x = 0 o a = 0 (il
simbolo 0 indica nel primo caso lo zero del modulo mentre nel secondo caso
indica lo zero dell’anello). Se R è un campo, cioè M è uno spazio vettoriale,
queste sono le uniche possibilità per cui xa = 0. In generale, però il prodotto xa
si può annullare anche senza che né x né a si annullino. Ad esempio, prendiamo
l’anello Z/6 delle classi di resto modulo 6 e consideriamolo come modulo destro
su sé stesso: abbiamo allora (2)(3) = (0) (dove pensiamo (2) come elemento del
modulo e (3) come elemento dell’anello). Questo suggerisce la
Definizione 8. Dato un elemento x di un R-modulo M , l’annullatore di x è il
sottoinsieme Ann(x) di R formato dagli elementi a tali che xa = 0.
Proposizione 9. L’annullatore di un elemento x di un modulo è un ideale
destro di R.
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Università degli studi dell’Insubria
Dimostrazione. Ovviamente Ann(x) è non vuoto perché contiene 0. Se a e b
sono elementi di Ann(x), cioè xa = xb = 0, allora x(a+b) = xa+xb = 0+0 = 0,
cioè a + b ∈ Ann(x). Infine, se a appartiene a Ann(x) e r è un elemento di R
allora x(ar) = (xa)r = 0r = 0, cioè ar ∈ Ann(x).
Fissato un elemento x di un modulo M , è immediato verificare che la mappa
da RR in M definita da a 7→ xa è un omomorfismo di R-moduli. L’immagine
di questa mappa è il sottomodulo ciclico xR generato da x e il suo nucleo è
esattamente l’annullatore di x (tra l’altro questo fornisce un’altra prova del
fatto che Ann(x) è un sottomodulo di RR , cioè un ideale destro di R). Pertanto
xR ' RR / Ann(x) (in particolare xR ' RR se Ann(x) = 0).
Possiamo estendere la definizione di annullatore a un sottoinsieme S di un
modulo M : più precisamente l’annullatore Ann(S) di S è formato dagli elementi
a di R tali che xa = 0 per ogni x di S: in altri termini l’annullatore di S è
l’intersezione degli annullatori degli elementi di S ed è, dunque, anch’esso un
ideale destro di R.
Nel caso in cui l’anello dei coefficienti sia un dominio, possiamo dare la
Definizione 10. Se M è un modulo su un dominio di integrità R, un elemento
x ∈ M si dice di torsione se esiste un elemento non nullo a in R tale che xa = 0:
in altri termini un elemento x è di torsione se il suo annullatore Ann(x) è non
banale. Il modulo M è detto di torsione se ogni suo elemento è di torsione.
Proposizione 11. Sia M un modulo su un dominio di integrità R. Allora il
sottoinsieme Tor(M ) formato dagli elementi di torsione di M è un sottomodulo
detto sottomodulo di torsione.
Dimostrazione. Chiaramente Tor(M ) 6= ∅ perché 0 è di torsione. Se x e y sono
elementi di Tor(M ) allora in R esistono a e b non nulli tali che xa = 0 e yb = 0.
Dunque (x + y)(ab) = xab + yab = xab + yba = 0, cioè x + y ∈ Tor(M ), poiché
ab 6= 0 essendo R un dominio. Inoltre per ogni k ∈ R si ha (xk)a = (xa)k = 0,
cioè xk ∈ Tor(M ).
Possiamo allora dire che un modulo M è di torsione se e solo se Tor(M ) = M .
Nella proposizione precedente l’ipotesi che R sia un dominio (cioè un anello
commutativo intero) non può essere tralasciata (vedi Esercizio 4). Per questo
motivo, anche se di per sé si potrebbe dare la definizione di elemento di torsione
per un R-modulo con R anello qualunque, abbiamo preferito limitare questa
definizione al solo caso in cui R sia un dominio.
Se M è un R-modulo su un dominio R e Ann(M ) 6= 0, chiaramente M è
un modulo di torsione. Il viceversa in generale non è vero (vedi Esercizio 6),
tuttavia vale per moduli finitamente generati:
Proposizione 12. Sia M un modulo su un dominio diTintegrità R. Se M è
r
generato dagli elementi x1 , x2 , . . ., xr allora Ann(M ) = i=1 Ann(xi ). Inoltre
M è di torsione se e solo se ogni xi è di torsione: in tal caso Ann(M ) 6= 0.
Dimostrazione. Poiché, per definizione, Ann(M ) èTl’intersezione degli annullar
tori degli elementi di M , abbiamo
Tr che Ann(M ) ⊆ i=1 Ann(xi ). Per mostrare
l’inclusione opposta sia a ∈ i=1 Ann(xi ): dunque xi a = 0 per ogni i. Se x è
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un elemento di M , si può scrivere x = x1 h1 + · · · + xr hr per qualche h1 , . . ., hr
in R. Ma allora
xa = (x1 h1 + · · · + xr hr )a = x1 h1 a + · · · + xr hr a =
x1 ah1 + · · · + xr ahr = 0 + · · · + 0 = 0,
cioè
Tr a ∈ Ann(x) per ogni x ∈ M , vale a dire a ∈ Ann(M ). Abbiamo dunque
i=1 Ann(xi ) ⊆ Ann(M ).
Per provare la seconda parte osserviamo che se M è di torsione allora
chiaramente ogni xi è di torsione. Viceversa, se ogni xi è di torsione allora,
preso per ciascun i un elemento
ai non nullo in Ann(xi ), si ha che a1 a2 · · · ar è
Tr
un elemento non nullo in i=1 Ann(xi ) = Ann(M ) e, quindi Ann(M ) 6= 0 e M
è di torsione.
Definizione 13. Un modulo M su un dominio di integrità R si dice privo
di torsione se Tor(M ) = 0, vale a dire se tutti gli elementi non nulli hanno
annullatore banale.
Osservazione 14. Un R-modulo libero (di rango finito o infinito) è privo di
torsione.
Proposizione 15. Se M è un modulo su un dominio di integrità R allora il
modulo quoziente M / Tor(M ) è privo di torsione.
Dimostrazione. Sia x + Tor(M ) un elemento di torsione di M / Tor(M ): dunque
esiste a in R non nullo tale che (x + Tor(M ))a = Tor(M ), cioè xa ∈ Tor(M ).
Ma allora esiste b in R non nullo tale che (xa)b = 0 e, quindi, x(ab) = 0.
Poiché R è un dominio, si ha ab 6= 0 e, di conseguenza, x ∈ Tor(M ), cioè
x + Tor(M ) = Tor(M ).
3
Moduli liberi
Proposizione 16. Sia L un sottomodulo di un R-modulo M tale che il quoziente
M /L sia libero di rango finito2 . Esiste allora un sottomodulo N di M tale che
M = N ⊕ L. Inoltre N è isomorfo a M /L.
Dimostrazione. Sia y1 + L, . . ., yn + L una base di M /L. Sia N il sottomodulo
di M generato da y1 , . . ., yn .
Mostriamo innanzitutto che M = N + L: se x è un qualsiasi elemento di M ,
il laterale x + L si può scrivere come combinazione lineare di y1 + L, . . ., yn + L,
cioè x + L = (y1 + L)a1 + · · · + (yn + L)an per opportuni a1 , . . ., an in R, vale
a dire x + L = y1 a1 + · · · + yn an + L. Ma allora x = y1 a1 + · · · + yn an + z per
qualche z ∈ L: dunque x è somma di un elemento di N (cioè y1 a1 + · · · + yn an )
e uno di L, come richiesto.
Per provare che N ∩ L = 0 mostriamo che ogni elemento w di N ∩ L è nullo.
Poiché w ∈ N possiamo scrivere w = y1 b1 + · · · + yn bn per opportuni b1 , . . .,
bn in R, mentre w ∈ L comporta che w + L = (y1 + L)b1 + · · · + (yn + L)bn è
2 In realtà l’ipotesi che il rango sia finito non è necessaria, ma in questo modo la
dimostrazione è un po’ più esplicita.
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l’elemento nullo di M /L. Ma y1 + L, . . ., yn + L formano una base del modulo
libero M /L e quindi bi = 0 per ogni i da cui segue w = 0, come richiesto.
Poiché M = N ⊕ L si ha ovviamente M /L ' N .
Teorema 17. Se M è un R-modulo finitamente generato e privo di torsione
con R dominio a ideali principali allora M è un modulo libero.
Dimostrazione. Procediamo per induzione sul numero di generatori r di M . Se
r = 0 il risultato è banale. Sia allora r > 0 e siano x1 , x2 , . . ., xr generatori di M .
Possiamo supporre che xr 6= 0, altrimenti M può essere generato da x1 , x2 , . . .,
xr−1 e per induzione abbiamo finito. Consideriamo la famiglia di sottomoduli
ciclici di M contenenti xr : questa è non vuota perché contiene almeno xr R. Dal
momento che M è noetheriano per il Corollario 7, questa famiglia ammette un
elemento massimale xR (ovviamente x 6= 0 perché xr 6= 0). Il modulo ciclico xR
è isomorfo a RR / Ann(x): poiché M è privo di torsione si ha che Ann(x) = 0 e
xR è isomorfo a RR ed è, quindi, libero di rango 1. Se mostriamo che M /xR è
libero abbiamo finito perché allora, per la Proposizione 16, il modulo M è somma
diretta di xR, che è libero, e di un modulo isomorfo a M /xR anch’esso libero.
Mostriamo dunque che M /xR è libero. Poiché xr ∈ xR, il quoziente M /xR
è generato dagli r − 1 elementi x1 + xR, x2 + xR, . . ., xr−1 + xR: per ipotesi
induttiva è sufficiente mostrare che M /xR è privo di torsione. Se dunque t+xR è
un elemento di torsione di M /xR, allora esiste un elemento non nullo h di R tale
che (t + xR)h = xR. In altri termini th ∈ xR, cioè esiste k ∈ R tale che th = xk.
Per concludere dobbiamo mostrare che t ∈ xR. Sia d il massimo comun divisore
tra h e k (poiché h 6= 0 anche d 6= 0). Allora esistono h0 e k 0 in R tali che h = h0 d
e k = k 0 d. Otteniamo così th0 d = xk 0 d, vale a dire (th0 − xk 0 )d = 0. Poiché M
è privo di torsione e d 6= 0 otteniamo th0 − xk 0 = 0 cioè th0 = xk 0 . Il massimo
comun divisore di h0 e k 0 è 1, quindi esistono α e β in R tali che αh0 + βk 0 = 1.
Abbiamo allora x = x(αh0 + βk 0 ) = xαh0 + xβk 0 = xαh0 + th0 β = (xα + tβ)h0 .
Pertanto x appartiene al sottomodulo ciclico generato da w := xα + tβ, cioè
xR ⊆ wR. Per la massimalità di xR tra i sottomoduli ciclici, ciò significa
che xR e wR coincidono. In particolare esiste l tale che w = xl. Ma allora
x = wh0 = xlh0 , da cui ricaviamo x(1 − lh0 ) = 0. Poiché x 6= 0 e M è privo di
torsione otteniamo che 1 − lh0 = 0, cioè lh0 = 1. Poiché th0 = xk 0 otteniamo
allora t = tlh0 = xk 0 l cioè t ∈ xR come richiesto.
Corollario 18. Se M è un modulo finitamente generato su un dominio a ideali
principali R, allora M ha un sottomodulo libero N tale che M = N ⊕ Tor(M ).
Il sottomodulo N non è univocamente determinato ma il suo rango sì (ed è
precisamente il rango di M / Tor(M )).
Dimostrazione. Il modulo quoziente M / Tor(M ) è finitamente generato e privo
di torsione (Proposizione 15): per il Teorema 17 il quoziente M / Tor(M ) è
libero. La tesi ora segue dalla Proposizione 16.
4
Moduli ciclici su domini a ideali principali
Uno Z-modulo non è altro che un gruppo abeliano scritto in notazione
additiva: in questo caso l’annullatore di un elemento x è l’insieme degli interi n
tali che xn = 0 (o, con una scrittura più abituale, nx = 0). Nel caso in cui x
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Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
abbia ordine infinito, l’annullatore contiene allora solo 0, mentre se l’ordine di
x è un intero positivo d allora l’annullatore di x è l’ideale (d). Ciò suggerisce di
estendere la terminologia e i risultati sui gruppi abeliani (e ciclici in particolare)
ai moduli su domini a ideali principali. Ovviamente sarà necessario qualche
aggiustamento.
In questa sezione consideriamo allora moduli su un dominio a ideali principali
R. Due elementi di R generano lo stesso ideale principale se e solo se sono
associati. In particolare, dato un elemento x di un R-modulo, l’ideale Ann(x) è
generato da un elemento d o da un qualsiasi elemento a esso associato: anche se d
non è, in genere, univocamente determinato diremo, con un abuso di linguaggio,
che d è l’ordine3 dell’elemento x. Il modulo ciclico generato da x è isomorfo
al quoziente RR / Ann(x): abbiamo dunque xR ' RR /dR e, per alleggerire
la notazione, scriveremo semplicemente xR ' R/dR. Consideriamo ora un
elemento del sottomodulo ciclico xR generato da x: questo può scriversi come
xr per qualche r in R e, dunque, (xr)d = x(rd) = x(dr) = (xd)r = 0r = 0. Ma
allora Ann(xr) contiene d e, se Ann(xr) è generato da un elemento e, abbiamo
che e divide d. Riassumendo
Proposizione 19. Se x è un elemento di ordine d, gli elementi del modulo
ciclico generato da x hanno ordine che divide d.
In particolare se x e y sono elementi che generano lo stesso modulo ciclico,
allora l’ordine di x e l’ordine di y si dividono reciprocamente: usando la convenzione che abbiamo posto di non distinguere tra elementi associati quando
parliamo di ordine di un elemento, gli elementi x e y hanno lo stesso ordine.
Ha allora senso dire che un modulo ciclico M ha ordine d se d è l’ordine di un
qualsiasi elemento che genera M . Sottolineiamo che, in questa accezione, l’ordine
non è (in generale) un numero e non va quindi interpretato come il numero
degli elementi del modulo. Notiamo in particolare che dire che un modulo ha
ordine 0 significa che è generato da un elemento il cui annullatore è banale e,
pertanto, il modulo è isomorfo a RR : dunque Z pensato come Z-modulo su sé
stesso ha, in questa terminologia, ordine 0.
Proposizione 20. Due moduli ciclici sono isomorfi se e solo se hanno lo stesso
ordine.
Dimostrazione. Se M e N sono isomorfi è facile vedere che hanno lo stesso
ordine (Esercizio 7). Viceversa, se un elemento x di un R-modulo ha ordine d,
allora il modulo ciclico generato da x è isomorfo a R/dR: in particolare moduli
ciclici generati da elementi con lo stesso ordine sono isomorfi tra loro.
Osservazione 21. Sia M = M1 ⊕ · · · ⊕ Mr una somma diretta di moduli e sia
x := (x1 , . . . , xr ) un elemento di M . L’ordine di M è il minimo comune multiplo
degli ordini degli elementi xi . In particolare x è di torsione se e solo se tutti gli
xi sono di torsione.
Proposizione 22. Ogni sottomodulo di un modulo ciclico è ciclico.
Dimostrazione. Un modulo ciclico è isomorfo a un quoziente R/dR dove d è
l’ordine del modulo. I sottomoduli di R/dR sono del tipo N /dR dove N è
3 Più
correttamente dovremmo dire che Ann(x) è l’ideale ordine di x.
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Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
un sottomodulo di RR contenente dR, ovvero un ideale di R contenente dR:
ma allora N è generato come ideale (e, quindi, come modulo) da un singolo
elemento x. Pertanto il quoziente N /dR è generato dal laterale x + dR.
Ricordiamo che i sottogruppi non banali di un gruppo ciclico infinito sono
anch’essi infiniti. Diamo il corrispondente risultato per i moduli:
Proposizione 23. Sia M un modulo ciclico di ordine 0. Allora ogni elemento
non nullo di M ha ordine 0.
Dimostrazione. Sia x un generatore di M e sia y un elemento non nullo di M :
dunque y = xa per qualche elemento non nullo a di R. Se b ∈ Ann(y), abbiamo
0 = (xa)b = x(ab), cioè ab ∈ Ann(x). Dal momento che x ha ordine 0 abbiamo
che ab = 0 ed essendo a 6= 0 otteniamo b = 0: quindi y ha ordine 0.
Proposizione 24. Sia M un modulo ciclico generato da un elemento x di
ordine d con d 6= 0. Se y = xr con r ∈ R, allora y ha ordine f dove f è
l’elemento di D tale che d = MCD(d, r) · f .
Dimostrazione. Dato a ∈ R si ha ya = (xr)a = x(ra), dunque a ∈ Ann(y) se e
solo se ra ∈ Ann(x). Sia ora e := MCD(d, r) e siano dunque d = ef e r = es
con f e s elementi opportuni di R. L’elemento ra appartiene a Ann(x) se e solo
se è multiplo di d, cioè se e solo se ra = dk per qualche k in R. La condizione
ra = dk si riscrive come esa = ef k che, essendo e 6= 0 (altrimenti d = ef = 0),
è equivalente a sa = f k: poiché s e f sono coprimi, ciò avviene se e solo se a è
multiplo di f . Abbiamo dunque mostrato che l’annullatore di y è formato da
tutti e soli i multipli di f che è, dunque, l’ordine di y.
Usando le ipotesi e la notazione della proposizione precedente notiamo che
se f è un divisore di d, cioè se esiste e tale che d = ef , allora xe ha ordine f e,
dunque, per ogni divisore f di d esiste almeno un sottomodulo di M di ordine
f . Mostriamo ora, in analogia a quanto avviene per i gruppi ciclici finiti, che
tale sottomodulo è unico.
Proposizione 25. Sia M un modulo ciclico di ordine d con d 6= 0. Due elementi
y e z di M hanno lo stesso ordine se e solo se generano lo stesso sottomodulo.
In particolare per ogni divisore f di d esiste esattamente un sottomodulo N di
M di ordine f e il quoziente M /N ha ordine e dove e è tale che ef = d.
Dimostrazione. Abbiamo già osservato che due elementi che generano lo stesso
modulo hanno lo stesso ordine. Viceversa, supponiamo che y e z abbiano lo
stesso ordine f . Sia allora x un generatore di M e siano r e s in R tali che
y = xr e z = xs. Per la Proposizione 24 abbiamo MCD(d, r) = MCD(d, s) = e.
Poiché e divide r, l’elemento y è un multiplo di w := xe. Poiché R è un
dominio a ideali principali, esistono a e b in R tali che da + rb = e: dunque
w = xe = x(da + rb) = xda + xrb = 0a + yb = yb. Pertanto w è multiplo di
y. Riassumendo, y e w sono l’uno multiplo dell’altro e dunque generano lo
stesso sottomodulo. In maniera analoga si prova che z e w generano lo stesso
sottomodulo e, di conseguenza, il sottomodulo generato da y e il sottomodulo
generato da z coincidono.
Consideriamo ora il quoziente M /N : esso è generato dal laterale x + N .
Dato a ∈ R si ha che (x + N )a = 0, se e solo se xa ∈ N : poiché N è generato
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Università degli studi dell’Insubria
da xe, per mostrare che x + N ha ordine e dobbiamo provare che xa ∈ N se
e solo se a è multiplo di e. Se a è multiplo di e allora xa è multiplo di xe e,
quindi, appartiene a N . Viceversa, se xa appartiene a N allora esiste t ∈ R tale
che xa = (xe)t, cioè x(a − et) = 0. Poiché x ha ordine d = ef abbiamo che
a − et è multiplo di d e, quindi, di e e, di conseguenza, anche a = (a − et) + et
è multiplo di e.
Consideriamo ora la somma diretta di moduli ciclici. Cominciamo con la
Proposizione 26. Siano M e N due moduli ciclici di ordine rispettivamente
d ed e entrambi diversi da 1 (cioè M e N sono entrambi non banali). Il modulo
M ⊕ N è ciclico se e solo se d ed e sono entrambi non nulli e coprimi: in tal
caso M ⊕ N ha ordine de.
Dimostrazione. Siano x un generatore di M e y un generatore di N .
Supponiamo che d ed e siano entrambi non nulli e coprimi e mostriamo
che M ⊕ N è generato da z := (x, y) e che z ha ordine de. Poiché il massimo
comun divisore tra d ed e è 1, esistono u e v in R tali che 1 = du + ev.
Ora zdu = (xdu, ydu) = (0, y(1 − ev)) = (0, y − yev) = (0, y): pertanto (0, y)
appartiene al sottomodulo generato da z. Analogamente (x, 0) appartiene al
sottomodulo generato da z. Poiché M ⊕ N è generato da (x, 0) e (0, y), il
sottomodulo generato da z coincide con M ⊕ N . Per l’Osservazione 21 l’ordine
di z è de.
Viceversa, supponiamo che M ⊕ N sia ciclico, generato da un suo elemento
w. In particolare esistono a e b in R tali che (x, 0) = wa e (0, y) = wb: si noti
che a e b sono non nulli perché x 6= 0 e y 6= 0. Ora (wa)b = (x, 0)b = (xb, 0)
e (wb)a = (0, y)a = (0, ya): d’altra parte (wa)b = w(ab) = w(ba) = (wb)a e,
pertanto (xb, 0) = (0, ya). Ma allora xb = 0 e ya = 0: dunque sia x che y
hanno annullatore non nullo. Supponiamo per assurdo che d ed e non siano
f
coprimi e sia f un divisore comune non invertibile di d ed e. Il sottomodulo M
generato da (x, 0) ha ordine d, e, quindi, contiene un sottomodulo di ordine
e generato da (0, y) ha ordine e e, quindi,
f ; analogamente il sottomodulo N
f∩ N
e = 0, questi due sottomoduli
contiene un sottomodulo di ordine f : poiché M
di ordine f sono distinti, contro la Proposizione 25.
5
Moduli p-primari
In teoria dei gruppi si usano i termini di p-elemento e di p-gruppo per
indicare, rispettivamente, un elemento il cui ordine è una potenza di un dato
numero primo p e un gruppo in cui ogni elemento è un p-elemento. Queste
nozioni possono essere trasportate ai moduli su domini a ideali principali.
Definizione 27. Dato un modulo M su un dominio a ideali principali R e un
elemento irriducibile p di R, un elemento x di M si dice p-elemento se x ha
ordine pi per qualche i ≥ 0. Se ogni elemento di M è un p-elemento, diciamo
che M è un modulo p-primario. Un modulo primario è un modulo p-primario
per qualche irriducibile p.
Nella precedente definizione possiamo rimpiazzare all’elemento irriducibile p
un qualunque elemento p0 a esso associato (in altri termini, un elemento è un
9
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
p-elemento se e solo se è un p0 -elemento). Se invece p e q sono irriducibili non
associati, non ci sono elementi che sono a un tempo p-elementi e q-elementi, a
parte lo zero di M . Osserviamo altresì che per verificare che un elemento x è
un p-elemento, è sufficiente verificare che xpi = 0 per qualche intero i: infatti
in tal caso l’ordine di x è un divisore di pi e i divisori di pi sono (associati a)
potenze di p.
Nel resto di questa sezione siano allora fissati un dominio a ideali principali
R e un suo elemento irriducibile p.
Proposizione 28. L’anello quoziente R/pR è un campo.
Dimostrazione. Poiché R/pR è un anello commutativo è sufficiente mostrare
che non ha ideali propri. Un ideale di R/pR è della forma I/pR dove I è un
ideale contenente pR. Se d genera I allora d divide p, quindi o d è invertibile, nel
qual caso I = R e I/pR = R/pR, o d è associato a p, nel qual caso I = dR = pR
e I/pR = 0.
Proposizione 29. Il sottoinsieme Mp formato dai p-elementi di un R-modulo
M è un sottomodulo di M contenuto in Tor(M ) ed è il più grande sottomodulo
p-primario di M detto componente p-primaria di M .
Dimostrazione. Poiché 0 ∈ Mp si ha Mp 6= ∅. Siano x e y due elementi di
Mp di ordini pi e pj rispettivamente. Detto allora l = max(i, j) abbiamo
(x + y)pl = xpl + ypl = xpi pl−i + ypj pl−j = 0pl−i + 0pl−j = 0; inoltre per ogni
k in R si ha (xk)pi = (xpi )k = 0k = 0; dunque x + y e xk appartengono a
Mp , cioè Mp è un sottomodulo. Poiché Mp è formato esattamente da tutti i
p-elementi di M , è il più grande sottomodulo p-primario di M .
Questo risultato, applicato al caso dei gruppi abeliani, ci dice che l’insieme
dei p-elementi è un sottogruppo. Ciò non è però in generale vero per gruppi non
abeliani: ad esempio gli scambi (12) e (23) nel gruppo simmetrico su 3 lettere
sono 2-elementi (hanno ordine 2) mentre il loro prodotto (12)(23) = (132) non
è un 2-elemento (ha ordine 3).
Definizione 30. Lo zoccolo Soc(M ) di un R-modulo p-primario M è il sottoinsieme di M formato dagli elementi x tali che xp = 0.
Proposizione 31. Lo zoccolo di un modulo p-primario M è un sottomodulo di
M che può essere visto come R/pR-spazio vettoriale.
Dimostrazione. Chiaramente 0 appartiene a Soc(M ) che è, dunque non vuoto.
Se x e y appartengono a Soc(M ) e r ∈ R allora (x + y)p = xp + yp = 0 + 0
e (xr)p = x(rp) = x(pr) = (xp)r = 0r = 0, cioè x + y e xr appartengono a
Soc(M ) che è, dunque, un sottomodulo di M .
Se x appartiene a Soc(M ) e pR + r è un elemento di R/pR, poniamo
x(pR + r) := xr. Questa moltiplicazione è ben definita: se infatti r0 è un
elemento di R tale che pR + r0 = pR + r, cioè r0 = ps + r per qualche s in R,
allora xr0 = x(ps + r) = xps + xr = 0 + xr = xr. È immediato poi mostrare che
con questa moltiplicazione Soc(M ) risulta essere un R/pR-spazio vettoriale.
10
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Gli elementi dello zoccolo hanno ordine che divide p, dunque 1 o p. Nel caso
in cui M sia un modulo ciclico di ordine pα (con α > 0), lo zoccolo di M è un
sottomodulo ciclico di ordine p, che come R/pR-spazio vettoriale ha dimensione
1; inoltre M / Soc(M ) è un modulo ciclico di ordine pα−1 (vedi Proposizione 25).
Lemma 32. Sia M := M1 ⊕ · · · ⊕ Mr un R-modulo (con R anello qualunque)
e siano N1 , . . ., Nr sottomoduli di M1 , . . ., Mr rispettivamente. Posto allora
N := N1 ⊕ · · · ⊕ Nr si ha M /N ' M1 /N1 ⊕ · · · ⊕ Mr /Nr .
Dimostrazione. Sia φ la mappa che manda l’elemento (x1 , . . . , xr ) di M nell’elemento (N1 + x1 , . . . , Nr + xr ) di M1 /N1 ⊕ · · · ⊕ Mr /Nr . È immediato verificare
che φ è un omomorfismo suriettivo di moduli. Per i teoremi di isomorfismo basta
allora mostrare che ker φ = N : un elemento (x1 , . . . , xr ) appartiene a ker φ se e
solo se Ni + xi = Ni per ogni i, cioè xi ∈ Ni per ogni i, vale a dire se e solo se
(x1 , . . . , xr ) appartiene a N come richiesto.
Corollario 33. Sia M := pαR1 R ⊕ · · · ⊕ pαRr R somma diretta di R-moduli ciclici
p-primari (con ciascun αj > 0). Posto M 1 := M e M i := M i−1 / Soc(M i−1 )
per i > 1, la dimensione di Soc(M i ) come R/pR-spazio vettoriale è uguale al
numero degli αj tali che αj ≥ i. In particolare Soc(M ) ha dimensione r.
Dimostrazione. Sia x := (x1 , . . . , xr ) un elemento di M . Dal momento che
xp = (x1 p, . . . , xr p), si ha che x ∈ Soc(M ) se e solo se xj ∈ Soc (R/pαj R) per
ogni j: dunque Soc(M ) = Soc (R/pα1 R) ⊕ · · · ⊕ Soc (R/pαr R). Abbiamo già
osservato che lo zoccolo di un modulo ciclico non banale è un R/pR-spazio
vettoriale di dimensione 1: dunque lo zoccolo di M , essendo somma diretta di
r spazi vettoriali di dimensione 1, ha dimensione r. Inoltre il quoziente di un
modulo ciclico di ordine pα sul proprio zoccolo ha ordine pα−1 : dal Lemma 32
segue quindi che M 2 = M / Soc(M ) ' pα1R−1 R ⊕ · · · ⊕ pαrR−1 R . Il numero di
addendi non banali in questa decomposizione è uguale al numero degli αj
maggiori di 1: ripetendo il ragionamento precedente questo numero è uguale alla
dimensione di Soc(M 2 ). Iterando il procedimento e notando che a ogni passo
l’ordine di ciascun addendo diretto viene diviso per p otteniamo la tesi.
Il corollario precedente ci dice che se un modulo primario M può essere
decomposto come somma diretta di un numero finito di moduli ciclici (vedremo
che ogni modulo primario finitamente generato ha questa proprietà) è possibile
ottenere gli ordini di questi addendi calcolando le dimensioni degli zoccoli dei
quozienti successivi M i : più precisamente il numero di addendi di ordine pi è
uguale a dim Soc(M i ) − dim Soc(M i+1 ).
Esempio 34. Sia M un modulo p-primario somma diretta di moduli ciclici. Supponiamo che dim Soc(M 1 ) = 5, dim Soc(M 2 ) = dim Soc(M 3 ) = dim Soc(M 4 ) = 4,
dim Soc(M 5 ) = dim Soc(M 6 ) = 2 e dim Soc(M 7 ) = 0. Nella decomposizione di
M abbiamo 5 addendi: 5 − 4 = 1 di ordine p, 4 − 4 = 0 di ordine p2 , 4 − 4 = 0
di ordine p3 , 4 − 2 = 2 di ordine p4 e 2 − 0 = 2 di ordine p6 .
Lemma 35. Sia M un R-modulo p-primario con Ann(M ) = (pr ) 6= 0 e sia N
un sottomodulo ciclico di ordine pr . Se y è un elemento di M esiste un elemento
y 0 tale che y 0 + N = y + N e Ann(y 0 ) = Ann(y 0 + N ) (cioè l’ordine di y 0 in M
e l’ordine di y 0 + N in M /N coincidono).
11
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Dimostrazione. Sia ph l’ordine di y e pl l’ordine di y + xR. Chiaramente r ≥
h ≥ l. Per la Proposizione 25 in N esiste un elemento x di ordine ph . Dunque
ypl e xpl sono due elementi di N aventi lo stesso ordine ph−l . Sempre per la
Proposizione 25 essi generano lo stesso sottomodulo di N : pertanto esiste un
elemento a di R tale che xpl a = ypl . Consideriamo ora l’elemento y 0 := y − xa.
Chiaramente y 0 +N = y+N e Ann(y 0 ) ⊆ Ann(y 0 +N ) = Ann(y+N ) = (pl ). Per
completare la dimostrazione basta provare che y 0 pl = 0: ma y 0 pl = (y − xa)pl =
ypl − xapl = 0.
Teorema 36. Un R-modulo p-primario M finitamente generato può essere
espresso come somma diretta di un numero finito di moduli ciclici p-primari:
M ' pαR1 R ⊕ · · · ⊕ pαRr R (con ciascun αi > 0). Gli addendi in questa decomposizione non sono univocamente determinati ma i loro ordini sì (a meno
ovviamente dell’ordinamento).
Dimostrazione. Dimostriamo prima che M è somma diretta di un numero finito
di moduli ciclici p-primari. Procediamo per induzione sul numero t di generatori
di M . Il caso t = 1 è banale, perché M è esso stesso ciclico. Sia allora t > 1 e siano
x1 , . . ., xt generatori di M di ordini rispettivi pγ1 , . . ., pγt . Pur di riordinare i
generatori, possiamo supporre che γt ≥ γi per ogni i. Grazie alla Proposizione 12,
l’annullatore di M coincide con pγt R. Posto N := xt R, il quoziente M /N è
generato da x1 + N , . . ., xt−1 + N , e per ipotesi induttiva è somma diretta di
moduli ciclici, di generatori y1 + N , . . ., yv + N . Grazie al Lemma 35, pur di
rimpiazzare gli yi se necessario, possiamo supporre che Ann(yi ) = Ann(yi + N ).
Mostriamo che M è somma dei sottomoduli ciclici generati da y1 , . . ., yv , xr . Sia
x un elemento di M : allora x + N = (y1 + N )h1 + · · · + (yv + N )hv per opportuni
h1 , . . ., hv in R, cioè x = y1 h1 + · · · + yv hv + z con z in N . Ma N = xt R, dunque
x appartiene a y1 R + · · · + yv R + xt R: per l’arbitrarietà di x la somma di questi
sottomoduli ciclici coincide con M . Proviamo che la somma è diretta: presi k1 ,
. . ., kv e k elementi di R tali che y1 k1 + · · · + yv kv + xt k = 0, dobbiamo mostrare
che y1 k1 = · · · = ys ks = xt k = 0. Ora y1 k1 + · · · + yv kv = −xt k ∈ N : poiché
M /N è somma diretta dei moduli ciclici generati dai laterali y1 + N , . . ., yv + N
abbiamo che yi ki ∈ N per ogni i. Ma, poiché Ann(yi ) = Ann(yi + N ) otteniamo
che yi ki = 0 per ogni i. Di conseguenza anche xt k = −y1 k1 − · · · − yv kv = 0.
L’unicità del numero degli addendi e dei loro ordini in differenti decomposizioni segue immediatamente dal Corollario 33 e dalle osservazioni successive.
6
Classificazione dei moduli finitamente generati
Teorema 37. Sia M un modulo di torsione finitamente generato su un dominio
αr
1
a ideali principali R. Sia d = pα
1 . . . pr un generatore dell’annullatore di M
scritto come prodotto di potenze di irriducibili p1 , . . ., pr a due a due non associati
(per la Proposizione 12 sappiamo che d 6= 0). Allora M = Mp1 ⊕ · · · ⊕ Mpr e,
se p è un irriducibile di R non associato ad alcuno dei pi si ha Mp = 0.
Dimostrazione. Proviamo innanzitutto che la somma Mp1 + · · · + Mpr è diretta:
sia
x1 + x2 + · · · + xr = 0
12
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
con xj ∈ Mpj per ogni j e sia pjj l’ordine di xj . Mostriamo che x1 = 0 (in
modo analogo si mostra che xj = 0 per ogni j). Poniamo Q1 := pi22 pi33 . . . pirr :
chiaramente xj Q1 = 0 per ogni j = 2, . . ., r. Ma allora
i
x1 Q1 = (−x2 − · · · − xr )Q1 = −x2 Q1 − · · · − xr Q1 = 0
Dunque Q1 è multiplo di pi11 : poiché p1 e Q1 sono coprimi, ciò può avvenire se
e solo se pi11 = 1 cioè x1 = 0.
Mostriamo ora che M = Mp1 + · · · + Mpr . Se x è un elemento di M il suo
ordine e divide d e possiamo allora scriverlo come e = pi11 pi22 . . . pirr . Per j = 1,
ij−1 ij+1
i
. . ., r sia Qj := pi11 . . . pj−1
pj+1 . . . pirr (cioè Qj è tale che e = Qj pjj ). Il massimo
comun divisore di Q1 , Q2 , . . ., Qr è 1, dunque esistono α1 , . . ., αr in R tali che
α1 Q1 +· · ·+αr Qr = 1. Allora x = x(α1 Q1 +· · ·+αr Qr ) = xα1 Q1 +· · ·+xαr Qr :
i
notiamo che xαj Qj pjj = xαj e = xeαj = 0αj = 0 e, dunque, xαj Qj ∈ Mpj . Ma
Pr
P
allora x ∈ j=1 Mpj ⊆ p∈P Mp .
Siamo ora in grado di dare il teorema fondamentale di classificazione dei
moduli finitamente generati su domini a ideali principali.
Teorema 38. Sia M un modulo finitamente generato su un dominio a ideali
principali R. Allora M è somma diretta di un modulo libero di rango finito e di
un numero finito di moduli ciclici primari: M ' Rs ⊕ pαR1 R ⊕ · · · ⊕ pαRt R con
t
1
αi > 0.
Gli addendi in questa decomposizione non sono univocamente determinati
i
ma l’intero s e gli ordini pα
i sì (a meno dell’ordinamento in cui scriviamo gli
addendi).
Dimostrazione. Per il Corollario 18 esiste un sottomodulo libero di rango finito
N tale che M = N ⊕ Tor(M ). Poiché M è noetheriano (Corollario 7), il
sottomodulo di torsione è finitamente generato e, per il Teorema 37, è somma
diretta di un numero finito di sottomoduli primari (a loro volta finitamente
generati, visto che M è noetheriano). Per il Teorema 36, ciascuna di queste
componenti primarie è somma diretta di un numero finito di sottomoduli ciclici
primari.
Proviamo ora la seconda parte. Consideriamo la decomposizione M '
Rs ⊕ pαR1 R ⊕ · · · ⊕ pαRt R . Mostriamo che il sottomodulo T = pαR1 R ⊕ · · · ⊕ pαRt R
t
t
1
1
coincide con Tor(M ): ogni addendo di T è di torsione e, quindi, T è contenuto
in Tor(M ). Viceversa sia x un elemento di torsione di M di ordine d. Poiché
M = Rs ⊕ T possiamo scrivere x = (y, z) con y ∈ Rs e z ∈ T : dunque
0 = xd = (y, z)d = (yd, zd) e abbiamo allora yd = 0. Dal momento che Rs è
privo di torsione, ciò significa che y = 0 e, dunque, x = (0, y) ∈ T . Pertanto
Tor(M ) ⊆ T e, di conseguenza T = Tor(M ). Ciò implica che Rs ' M / Tor(M )
e, dunque, s è univocamente determinato come il rango di M / Tor(M ).
Consideriamo ora Tor(M ) = pαR1 R ⊕ · · · ⊕ pαRt R e mostriamo che gli ordini det
1
gli addendi sono univocamente determinati. Dato un elemento x := (x1 , . . . , xt )
di Tor(M ), il suo ordine è il minimo comune multiplo degli ordini degli elementi xi (Osservazione 21). Se allora p è un irriducibile di R, si ha che x è un
p-elemento se e solo ogni xi è un p-elemento. Ciò avviene se e solo se xi = 0 per
tutti gli i tali che pi non è associato a p. Dunque il sottomodulo Mp formato
dai p-elementi di M è esattamente uguale alla somma diretta degli addendi
13
Algebra 2
R
α
pj j R
Università degli studi dell’Insubria
tali per cui pj è associato a p: per l’unicità degli ordini degli addendi della
decomposizione di un modulo primario (Teorema 36) abbiamo la tesi.
Osservazione 39. L’unicità degli ordini dei ciclici di torsione e del rango della
parte libera nella precedente decomposizione comporta che se due moduli
finitamente generati hanno decomposizioni di questo tipo non equivalenti allora
i moduli non sono isomorfi fra loro.
Osservazione 40. Nella decomposizione data dal teorema precedente potrebbero
non comparire i ciclici primari (cioè il modulo è libero) oppure non comparire il
modulo libero (cioè il modulo è di torsione).
7
Gruppi abeliani finitamente generati
I risultati della sezione precedente si applicano immediatamente ai gruppi
abeliani, dal momento che questi non sono altro che Z-moduli. Abbiamo dunque
il
Teorema 41. Un gruppo abeliano finitamente generato G può esprimersi come
somma diretta di un gruppo abeliano libero e di gruppi ciclici di ordine potenza di
primi: G ' Zs ⊕ Cpα1 1 ⊕ · · · ⊕ Cpαt t con αi > 0 (dove indichiamo con Cn ' Z/n
il gruppo ciclico di ordine n).
Gli addendi in questa decomposizione non sono univocamente determinati
i
ma l’intero s e gli ordini pα
i sì (a meno dell’ordinamento in cui scriviamo gli
addendi).
In particolare per i gruppi abeliani finiti, abbiamo il
Corollario 42. Un gruppo abeliano finito è somma diretta di un numero finito
di gruppi ciclici di ordine potenza di primi. Gli ordini degli addendi in questa
decomposizione sono univocamente determinati.
In questo caso l’ordine (inteso come numero di elementi del gruppo) è uguale
al prodotto degli ordini degli addendi diretti: ciò permette di determinare tutti
i gruppi abeliani di un dato ordine finito (a meno di isomorfismi).
Esempio 43. Vogliamo determinare tutti i gruppi abeliani di ordine 324. Esprimiamo tale ordine come prodotto di primi 324 = 22 · 34 . Nella decomposizione
di tali gruppi come somma diretta di ciclici primari avremo quindi 2-gruppi e
3-gruppi. Poiché 2 compare con esponente 2 potremo avere un gruppo ciclico di
ordine 22 oppure 2 gruppi ciclici di ordine 2. Poiché 3 appare con esponente 4
potremo avere un gruppo ciclico di ordine 34 oppure uno di ordine 33 e uno di
ordine 3 oppure 2 gruppi ciclici di ordine 32 oppure un gruppo ciclico di ordine
32 e due di ordini 3 o, infine, 4 gruppi ciclici di ordine 3. Combinando le varie
possibilità possiamo dunque elencare tutti i gruppi abeliani di ordine 324 a
14
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
meno di isomorfismo.
C4 ⊕ C81
C2 ⊕ C2 ⊕ C81
C4 ⊕ C27 ⊕ C3
C2 ⊕ C2 ⊕ C27 ⊕ C3
C4 ⊕ C9 ⊕ C9
C2 ⊕ C2 ⊕ C9 ⊕ C9
C4 ⊕ C9 ⊕ C3 ⊕ C3
C2 ⊕ C2 ⊕ C9 ⊕ C3 ⊕ C3
C4 ⊕ C3 ⊕ C3 ⊕ C3 ⊕ C3
C2 ⊕ C2 ⊕ C3 ⊕ C3 ⊕ C3 ⊕ C3
Possiamo ora anche determinare in ciascuno di questi gruppi il numero di
elementi di un dato ordine. Ad esempio supponiamo di voler trovare il numero
di elementi di ordine 54 = 2 · 33 in ciascuno di questi gruppi. Poiché l’ordine di
un elemento di una somma diretta è il minimo comune multiplo degli ordini delle
sue componenti, affinché ci sia almeno un elemento di ordine 54 è necessario
che nella decomposizione appaia almeno un addendo di ordine 3k con k ≥ 3.
Negli ultimi 6 gruppi della lista non ci sono dunque elementi di ordine 54.
Consideriamo i primi 4 gruppi.
Ricordiamo che un gruppo ciclico finito di ordine n contiene esattamente
un sottogruppo ciclico di ordine d per ogni divisore d di n. Quindi il numero
di elementi di ordine d di un gruppo ciclico di ordine n è uguale a φ(d) se d
divide n. In particolare un gruppo ciclico di ordine pn con p primo contiene
φ(pm ) = pm − pm−1 elementi di ordine pm se m ≤ n.
Un elemento di C4 ⊕ C81 si scrive nella forma (x, y) con x in C4 e y in C81 .
L’ordine di (x, y) è 54 se x ha ordine 2 e y ha ordine 27. Poiché C4 contiene 1
elemento di ordine 2 e C81 contiene 27 − 9 = 18 elementi di ordine 27 abbiamo
1 · 18 = 18 elementi di ordine 54.
Un elemento di C2 ⊕ C2 ⊕ C81 si scrive nella forma (x, y, z) con x e y in C2
e z in C81 . L’ordine è 54 se almeno uno tra x e y ha ordine 2 e z ha ordine
27. Poiché C2 contiene un elemento di ordine 1 e uno di ordine 2, abbiamo che
almeno uno tra x e y ha ordine 2 in 3 casi. Abbiamo dunque 3 · 18 = 54 elementi
di ordine 54.
Un elemento di C4 ⊕ C27 ⊕ C3 si scrive come (x, y, z) con x in C4 , y in C27
e z ∈ C3 . Abbiamo ordine 54 se e solo se x ha ordine 2, y ha ordine 27 e z ha
ordine qualunque. Abbiamo dunque 1 · 18 · 3 = 54 elementi di ordine 54.
Infine un elemento di C2 ⊕ C2 ⊕ C27 ⊕ C3 scritto come (x, y, z, w) con x in
C2 , y in C2 , z in C27 e w ∈ C3 ha ordine 54 se e solo se almeno uno tra x e y ha
ordine 2 (e, come prima, abbiamo 3 scelte per la coppia (x, y)), z ha ordine 27 e
w ha ordine qualunque. Dunque abbiamo 3 · 18 · 3 = 162 elementi di ordine 54.
8
Forme canoniche di matrici
La seconda applicazione del teorema di classificazione dei moduli finitamente generati su un dominio a ideali principali è molto meno immediata della
classificazione dei gruppi abeliani finitamente generati.
Fissiamo un po’ di notazioni e richiamiamo qualche risultato. Sia V uno
spazio vettoriale di dimensione finita n su un campo K. Se θ è un endomorfismo
15
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
di V e v1 , . . ., vn è una base di V , la matrice rappresentativa di θ rispetto alla
base assegnata è la matrice


a11 a12 . . . a1n
 a21 a22 . . . a2n 


A :=  .
..
.. 
..
 ..
.
.
. 
an1
an2
...
ann
definita da vi θ = ai1 v1 + · · · + ain vn . In altri termini, la i-esima riga di A dà
le componenti di vi θ rispetto alla base assegnata. Sappiamo che cambiando la
base di V la matrice rappresentativa di θ cambia: le matrici rappresentative di θ
sono tutte e sole le matrici del tipo M −1 AM dove M è una matrice invertibile,
vale a dire sono le matrici simili ad A.
Definizione 44. Dato un endomorfismo θ di uno spazio vettoriale V , un
sottospazio vettoriale U di V si dice θ-stabile se uθ ∈ U per ogni u ∈ U .
Se U è un sottospazio θ-stabile, l’endomorfismo θ induce ovviamente un
endomorfismo di U . Supponiamo allora di avere due sottospazi θ-stabili U e W
tali che V = U ⊕ W . Se v1 , . . ., vm è una base di U e vm+1 , . . ., vn è una base
di W , si ha che v1 , . . ., vn è una base di V . Se B è la matrice rappresentativa
rispetto alla base assegnata dell’endomorfismo di U indotto da θ e C è la matrice
rappresentativa rispetto alla base assegnata dell’endomorfismo di W indotto
da θ, si vede allora facilmente che la matrice rappresentativa di θ rispetto alla
base assegnata è la matrice a blocchi:
B 0
A :=
.
0 C
Viceversa, se rispetto a una base v1 , . . ., vn di V , l’endomorfismo θ si rappresenta
con una matrice a blocchi di questo tipo, allora il sottospazio U generato da
v1 , . . ., vm e il sottospazio W generato da vm+1 , . . ., vn sono θ-stabili e
V = U ⊕ W . Tutto ciò può essere generalizzato: supponiamo che V sia somma
diretta V = V1 ⊕ · · · ⊕ Vr di sottospazi θ-stabili. Scelta una base per ciascuno
di questi sottospazi Vi , sia Bi la matrice rappresentativa rispetto a questa base
dell’endomorfismo di Vi indotto da θ. Allora la matrice rappresentativa di θ
rispetto alla base di V formata dall’unione delle basi scelte dei sottospazi Vi è
la matrice diagonale a blocchi


B1 0 . . . 0
 0 B2 . . . 0 


 ..
..
..  .
..
 .
.
.
. 
0
0
...
Bs
Il calcolo con le matrici diagonali a blocchi è particolarmente comodo. Richiamiamo alcuni risultati:
 B1 0 ... 0 
0 B2 ...
0
Proposizione 45. Sia B :=  .. .. . . ..  una matrice diagonale a blocchi.
. .
. .
Allora
16
0
0
... Bs
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1. det B = det B1 det B2 · · · det Bs ;
2. rk B = rk B1 + rk B2 + · · · + rk Bs ;
 t

B1 0
...
0
t
 0 B2 ... 0 
3. B =  . . .
 per ogni t > 0.
.. .. . . ...
n
t
0
0
... Bt
Al momento non è chiaro cosa c’entri tutto ciò con i moduli sui domini a
ideali principali. Vediamo allora come rendere V un K[x]-modulo (ricordiamo
che l’anello dei polinomi a coefficienti in un campo è un dominio a ideali
principali). In V abbiamo già un’operazione di addizione, rispetto a cui V è un
gruppo abeliano. Definiamo allora il prodotto di un vettore v per un polinomio
p := a0 + a1 x + · · · + as xs nel modo seguente
vp := a0 v + a1 vθ + · · · + as vθs =
s
X
ai vθi
i=0
dove θi è la potenza di θ rispetto all’operazione di composizione (con la convenzione usuale θ0 = I). Ciò significa che la moltiplicazione di un vettore per
x non è altro che l’applicazione di θ a v. Verifichiamo che sono soddisfatte le
proprietà che definiscono la nozione di modulo. Se v è un elemento di V e 1
è il polinomio costante per definizione abbiamo v1 = v (si noti che in questo
caso a0 = 1 e ai = 0 per i > 0). Siano ora u e v due elementi di V e sia p un
polinomio come sopra. Abbiamo allora
(u + v)p = a0 (u + v) + a1 (u + v)θ + · · · + as (u + v)θs =
a0 u + a0 v + a1 uθ + a1 vθ + · · · + as uθs + as vθs = up + vp
dove abbiamo usato il fatto che θ e le sue potenze sono endomorfismi di spazi
vettoriali e, quindi, (u + v)θi = uθi + vθi . Sia dato ora un vettore v e due
polinomi p (come sopra) e q := b0 +b1 x+· · ·+bs xs (dove abbiamo eventualmente
aggiunto all’uno o all’altro dei polinomi termini nulli in modo che appaiano le
stesse potenze di x). Ora
v(p + q) = v(a0 + b0 + (a1 + b1 )x + · · · + (as + bs )xs ) =
(a0 + b0 )v + (a1 + b1 )vθ + · · · + (as + bs )vθs ) =
a0 v + a1 vθ + · · · + as vθs + b0 v + b1 vθ + · · · + bs vθs = vp + vq.
Infine dato un vettore v e due polinomi p (come sopra) e q := b0 +b1 x+· · ·+bt xt ,
indichiamo con w il vettore vp. Allora abbiamo
(vp)q = wq = b0 w + b1 wθ + · · · + bt wθt =
t
X
bj wθj .
j=0
Ora θj è un endomorfismo di spazi vettoriali per ogni j e, dunque,
!
s
s
s
X
X
X
wθj =
ai vθi θj =
ai vθi θj =
ai vθi+j .
i=0
i=0
i=0
17
Algebra 2
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Di conseguenza
(vp)q =
t
X
j=0
bj wθj =
t
X
j=0
bj
s
X
ai vθi+j =
i=0
X
ai bj vθi+j = v(pq)
i,j
dove abbiamo usato il fatto che pq = i,j ai bj xi+j .
Dunque abbiamo mostrato che uno spazio vettoriale su un campo K, dotato
di un endomorfismo θ assume la struttura di K[x]-modulo. È importante
sottolineare che tale struttura dipende da θ: preso un altro endomorfismo dello
stesso spazio vettoriale, si ottiene una struttura di K[x]-modulo differente.
A cosa corrispondono i K[x]-sottomoduli di V ? È facile vedere che sono
esattamente i sottospazi vettoriali θ-stabili. Lasciamo per esercizio la dimostrazione di questo fatto (Esercizio 8). Dunque una decomposizione di V come
somma diretta di K[x]-sottomoduli è una decomposizione come somma diretta
di sottospazi θ-stabili e, di conseguenza, permette di rappresentare θ con una
matrice diagonale a blocchi.
Per poter applicare il teorema di struttura dei moduli finitamente generati
sui domini a ideali principali, dobbiamo descrivere l’annullatore di un vettore v
di V e la struttura del K[x]-modulo ciclico generato da v. Consideriamo i vettori
v, vθ, vθ2 , . . . vale a dire i vettori che si ottengono applicando ripetutamente θ a
v. Poiché V ha dimensione finita n questi vettori non possono esser linearmente
indipendenti (anzi, possiamo dire che i primi n + 1 vettori sono linearmente
dipendenti). Esisteranno allora a0 , a1 , . . ., as in K non tutti nulli tali che
a0 v + a1 vθ + · · · + as vθs = 0, vale a dire v(a0 + a1 x + · · · + as xs ) = 0. Dunque
esiste un polinomio non banale che annulla v: ciò è vero per ogni vettore di V ,
in altri termini V è un K[x]-modulo di torsione. Se v = 0 il suo annullatore
è, ovviamente, tutto K[x], altrimenti è un ideale principale generato da un
certo polinomio non nullo p. Il grado s di p è almeno 1, altrimenti sarebbe
una costante non nulla e non potrebbe annullare il vettore non nullo v. Pur
di dividere eventualmente per il suo coefficiente direttivo, possiamo supporre
che p sia un polinomio monico: p = a0 + a1 x + · · · + xs . Dimostriamo ora che
il K[x]-sottomodulo vK[x] generato da v ha, come K-sottospazio vettoriale,
dimensione s e una sua base è formata dai vettori v, vθ, . . ., vθs−1 . Questi
vettori generano vK[x]: infatti se f è un polinomio qualunque, possiamo eseguire
la divisione per p e ottenere f = pq + r dove r := b0 + b1 x + · · · + bs−1 xs−1 . Ma
allora
P
vf = v(pq + r) = vpq + vr = vr = v(b0 + b1 x + · · · + bs−1 xs−1 ) =
b0 v + b1 vθ + · · · + bs−1 vθs−1 ,
e, dunque, ogni vettore di vK[x] è K-combinazione lineare di v, vθ, . . ., vθs−1 .
Questi vettori sono anche K-linearmente indipendenti: se infatti b0 v + b1 vθ +
· · · + br−1 vθr−1 = 0 è una loro combinazione lineare che dà come risultato
il vettore nullo, allora b0 + b1 x + · · · + br−1 xr−1 annulla v ed è, quindi, un
multiplo del polinomio p. Poiché p ha grado r, ciò può avvenire se e solo se
b0 = b1 = · · · = br−1 = 0. Riassumiamo quanto visto nella
Proposizione 46. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita n su un
campo K e sia θ un endomorfismo di V . Allora V , considerato come K[x]modulo rispetto alla struttura indotta da θ, è di torsione. Se v è un vettore
18
Algebra 2
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non nullo, l’annullatore di v è generato da un polinomio monico di grado s con
1 ≤ s ≤ n e il K[x]-sottomodulo ciclico generato da v è un sottospazio vettoriale
θ-stabile di dimensione s e di base v, vθ, . . ., vθs−1 .
Vediamo ora come tutto ciò ci permetta, prima in un caso particolare,
di rappresentare un endomorfismo per mezzo di una matrice particolarmente
semplice.
Proposizione 47. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita n su un
campo K e sia θ un endomorfismo di V . Supponiamo che V , con la struttura di
K[x]-modulo indotta da θ, sia ciclico di generatore v. Se p := a0 + a1 x + · · · + xn
è il polinomio monico che genera l’annullatore di v allora θ, rispetto alla base
di V formata dai vettori v1 := v, v2 := vθ, . . ., vn := vθn−1 si rappresenta con
la matrice


0
1
0
...
0
 0
0
1
...
0 


 ..
.
.
.. 
.
..
..
..
C(p) :=  .

.


 0
0
0
...
1 
−a0 −a1 −a2 . . . −an−1
detta matrice compagna del polinomio monico p. Il polinomio caratteristico
det(x I −C(p)) della matrice C(p) è esattamente p.
Dimostrazione. Determiniamo la matrice rappresentativa di θ rispetto alla base
prescelta. Osserviamo che per 1 ≤ i ≤ n − 1 si ha vi θ = vi+1 . In particolare
v1 θ = 0 · v1 + 1 · v2 + 0 · v3 + · · · + 0 · vn , quindi i coefficienti sulla prima
riga della matrice rappresentativa di θ sono (0, 1, 0, . . . , 0). In maniera analoga
determiniamo le righe della matrice fino alla n − 1-esima. Per determinare
l’ultima riga osserviamo che vp = 0, cioè a0 v + a1 vθ + · · · + vθn vale a dire
vθn = −a0 v − a1 vθ + · · · − an−1 vθn−1 . Ma allora
vn θ = vθn−1 θ = vθn = −a0 v1 − a1 v2 − · · · − an−1 vn
da cui ricaviamo i coefficienti dell’ultima riga.
Per mostrare che il polinomio caratteristico di C(p) è p procediamo per
induzione su n. Se n = 1 (e, quindi, p = a0 + x) la matrice compagna di p è
( −a0 ) e il polinomio caratteristico di questa matrice è, ovviamente, a0 + x. Se
n > 1 il polinomio caratteristico di C(p) è
x −1 0 . . .
0
0
x
−1
.
.
.
0
..
.
.
.
.
..
..
..
..
det(x I −C(p)) = .
0
0
0 ...
−1 a0 a1 a2 . . . x + an−1 Se ora utilizziamo lo sviluppo
x −1
..
..
.
det(x I −C(p)) = x .
0
0
a1 a2
di Laplace rispetto alla prima colonna
−1 0
...
0
x −1
..
..
.
.
+ (−1)n+1 a0 ..
..
.
...
−1 .
0
. . . x + an−1 0
otteniamo:
. . . 0 . . . 0 .. ..
.
. . . . −1
19
Algebra 2
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Il primo determinante che appare in questo sviluppo non è altri che il polinomio
caratteristico della matrice compagna del polinomio a1 + a2 x + · · · + xn−1
e, per ipotesi induttiva, coincide con questo polinomio. Il secondo determinante è il determinante di una matrice triangolare inferiore ed è dunque il
prodotto degli elementi sulla diagonale principale, vale a dire (−1)n−1 . Dunque
det(x I −C(p)) = x(a1 + a2 x + · · · + xn−1 ) + (−1)n+1 a0 (−1)n−1 = p.
Osservazione 48. La matrice compagna è definita solo per polinomi monici.
Possiamo ora dare il
Teorema 49. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo K e
sia θ un endomorfismo di V . Esiste allora una base di V rispetto a cui θ si
rappresenta con una matrice diagonale a blocchi del tipo

C1
0

C :=  .
 ..
0
C2
..
.
...
...
..
.
0
0
..
.
0
0
...
Cs





dove ciascun Cs è la matrice compagna di un polinomio del tipo pds s con ps
monico irriducibile e ds > 0. La matrice C è univocamente determinata a meno
dell’ordine in cui sono riportati i blocchi.
Dimostrazione. Basta reinterpretare risultati già visti. L’endomorfismo θ induce
su V una struttura di K[x]-modulo: poiché V è finitamente generato come Kspazio vettoriale, a maggior ragione è finitamente generato come K[x]-modulo.
Inoltre V è un K[x]-modulo di torsione per la Proposizione 46: quindi, grazie
al Teorema 38, possiamo esprimere V , in maniera essenzialmente unica, come
somma diretta di un numero finito di moduli ciclici di ordine una potenza di
irriducibili, che possiamo supporre monici pur di dividere per il loro coefficiente
direttivo. Scegliendo per ciascuno di questi sottomoduli una K-base come nella
Proposizione 47, e rappresentando θ rispetto alla base che si ottiene unendo
queste basi, otteniamo esattamente la matrice C.
Questo risultato può essere espresso direttamente in termini di matrici:
Teorema 50. Sia A una matrice quadrata di ordine n a coefficienti in un
campo K. Allora A è simile a una matrice diagonale a blocchi del tipo

C1
0

C :=  .
 ..
0
C2
..
.
...
...
..
.
0
0
..
.
0
0
...
Cs





dove ciascun Ci è la matrice compagna di un polinomio del tipo pdi i con pi
monico irriducibile e di > 0. Inoltre il polinomio caratteristico di A è pd11 · · · pds s .
La matrice C è univocamente determinata a meno dell’ordine in cui sono
riportati i blocchi.
20
Algebra 2
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Dimostrazione. Questo teorema è semplicemente la traduzione in termini matriciali del precedente. Notiamo solo che il determinante di una matrice diagonale a
blocchi è il prodotto dei determinanti dei blocchi e, di conseguenza, il polinomio
caratteristico di C (e, quindi di A) è il prodotto dei polinomi caratteristici dei
singoli blocchi.
I risultati dati finora ci dicono che, data una matrice A, esiste una matrice
diagonale a blocchi simile ad A e i cui blocchi sono matrici compagne di potenze
di polinomi irriducibili, ma non ci danno indicazioni su come determinare C.
La conoscenza del polinomio caratteristico di A ci dà qualche informazione
sui blocchi ma in generale non è sufficiente. Se il polinomio caratteristico di
A è il prodotto p1 p2 · · · ps di polinomi irriducibili monici distinti, allora C è la
matrice diagonale a blocchi i cui blocchi sono le matrici compagne dei polinomi
p1 , p2 , . . ., ps . Se però nella fattorizzazione del polinomio caratteristico di A lo
stesso polinomio irriducibile monico appare più volte allora abbiamo bisogno di
qualche informazione in più.
Esempio 51. Consideriamo le matrici a coefficienti reali

0 1
−1 0
A := 
0 0
0 0

0 0
0 0

0 1
−1 0

0 1
0 0
B := 
0 0
−1 0

0 0
1 0

0 1
−2 0
La matrice A è una matrice diagonale a 2 blocchi di ordine 2: ciascun blocco
è la matrice compagna del polinomio irriducibile x2 + 1. La matrice B è la
matrice compagna del polinomio (x2 + 1)2 . Entrambe le matrici sono già in
forma canonica e hanno lo stesso polinomio caratteristico (x2 + 1)2 , tuttavia
non sono simili tra loro.
Ovviamente ci sono dei metodi per determinare la matrice C data dal
Teorema 50 a partire dalla matrice A. Non approfondiamo però quest’aspetto
nella sua generalità: ci limitiamo a considerare il caso particolare in cui il
polinomio caratteristico di A si fattorizzi come prodotto di polinomi di primo
grado. Sceglieremo però in quest’ipotesi delle basi per i sottomoduli ciclici che
porteranno a una rappresentazione diversa da quella tramite matrici compagne
di polinomi monici.
Proposizione 52. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita n su un
campo K e sia θ un endomorfismo di V . Supponiamo che V , con la struttura
di K[x]-modulo indotta da θ, sia ciclico di generatore v e che l’annullatore di
v sia generato dal polinomio (x − λ)n . I vettori v1 := v, v2 := v(θ − λ I), . . .,
vn := v(θ − λ I)n−1 formano allora una base di V rispetto a cui θ si rappresenta
con la matrice


λ 1
0 ... ... 0
0 λ
1 . . . . . . 0


 ..
.. . .
.. 
..
.
.
. ... .
.
Jn (λ) := 

0 . . . . . . λ
1 0


0 . . . . . . 0
λ 1
0 ... ... 0
0 λ
21
Algebra 2
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detta blocco di Jordan di ordine n relativo all’autovalore λ. Il polinomio caratteristico det(x I −Jn (λ)) della matrice Jn (λ) è esattamente (x − λ)n . L’endomorfismo θ ha come unico autovalore λ di molteplicità algebrica n e molteplicità
geometrica 1.
Dimostrazione. Mostriamo che gli n vettori v1 , . . ., vn sono linearmente indipendenti e sono quindi una base per V . Siano allora b1 , . . ., bn elementi di K tali
che b1 v1 +· · ·+bn vn = 0, vale a dire b1 v+b2 v(θ−λ I)+· · ·+bn v(θ−λ I)n−1 = 0,
cioè v(b1 +b2 (x−λ)+· · ·+bn (x−λ)n−1 ) = 0. Poiché l’annullatore di v è generato da un polinomio di grado n ciò comporta che b1 +b2 (x−λ)+· · ·+bn (x−λ)n−1
è uguale a 0. Se espandiamo questo polinomio notiamo che il coefficiente di
xn−1 è bn , dunque bn = 0. Una volta posto bn = 0, il coefficiente di xn−2 è bn−1
e, dunque, bn−1 = 0 e così via.
Determiniamo ora la matrice rappresentativa di θ rispetto a questa base. Per
1 ≤ j ≤ n−1 si ha vj (θ−λ I) = vj+1 e, pertanto, vj θ = λvj +vj+1 . Ciò permette
di determinare i coefficienti della riga j-esima. Per determinare l’ultima riga
della matrice notiamo che vn (θ − λ I) = v(θ − λ I)n−1 (θ − λ I) = v(θ − λ I)n = 0.
Pertanto vn θ = λvn da cui ricaviamo i coefficienti dell’ultima riga della matrice.
La matrice Jn (λ) è triangolare, quindi si calcola immediatamente il suo
polinomio caratteristico (x−λ)n e, pertanto, l’unico autovalore è λ di molteplicità
algebrica n. La molteplicità geometrica di λ è uguale a n − rk(λ I −Jn (λ)). Ora

0 −1
0 0

 ..
..

.
λ I −Jn (λ) =  .
0 . . .

0 . . .
0 ...
0
−1
..
.
...
...
..
.
...
...
...
0
0
0
...
...
...
−1
0
0
0
0
..
.






0

−1
0
ha, ovviamente, rango n − 1 e, dunque, la molteplicità geometrica di λ è uguale
a 1.
Possiamo ora dare il
Teorema 53. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo K
e sia θ un endomorfismo di V , il cui polinomio caratteristico sia totalmente
riducibile (ciò avviene sempre se K è algebricamente chiuso). Esiste allora una
base di V rispetto a cui θ si rappresenta con una matrice diagonale a blocchi
del tipo


Jn1 (λ1 )
0
...
0
 0
Jn2 (λ2 ) . . .
0 


J :=  .
.
.. 
.
..
..
 ..
. 
0
0
. . . Jns (λs )
dove ciascun Jni (λi ) è un blocco di Jordan. La matrice J, detta matrice di
Jordan, è univocamente determinata a meno dell’ordinamento in cui sono
riportati i blocchi.
Anche questo risultato ha un corrispettivo matriciale:
22
Algebra 2
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Teorema 54. Sia A una matrice quadrata di ordine n a coefficienti in un
campo K. Se il polinomio caratteristico di A è totalmente riducibile (ciò avviene
sempre se K è algebricamente chiuso) allora A è simile a una matrice diagonale
a blocchi del tipo


Jn1 (λ1 )
0
...
0
 0
Jn2 (λ2 ) . . .
0 


J :=  .
.
.. 
.
.
.
.
 .
.
.
. 
0
0
...
Jns (λs )
dove ciascun Jni (λi ) è un blocco di Jordan. Inoltre il polinomio caratteristico di
A è (x − λ1 )n1 · · · (x − λs )ns . La matrice J è univocamente determinata a meno
dell’ordinamento in cui sono riportati i blocchi e viene detta forma canonica di
Jordan della matrice A.
Notiamo che nella matrice di Jordan data dai teoremi precedenti non è detto
che gli autovalori λ1 , . . ., λs siano tutti diversi.
Corollario 55. Due matrici quadrate A e B dello stesso ordine aventi polinomio
caratteristico totalmente riducibile sono simili se e solo se hanno la stessa forma
canonica di Jordan (a meno eventualmente dell’ordine dei blocchi).
Dimostrazione. Sia J la forma canonica di Jordan di A (cioè sia A simile a J).
Se B è simile ad A allora è simile anche a J. Viceversa se B ha J come sua
forma canonica di Jordan (cioè se B è simile a J) allora A e B, essendo simili a
J sono simili fra loro.
Osservazione 56. Nel caso in cui i blocchi di Jordan abbiano tutti ordine 1
otteniamo una usuale matrice diagonale.
Viene allora naturale chiedersi come, a partire da una matrice A il cui
polinomio caratteristico è totalmente riducibile, sia possibile determinare una
matrice di Jordan a essa simile. Uno dei metodi per far questo è quello di cercare
degli invarianti per similitudine. Più precisamente, data una matrice quadrata
A, ci chiediamo che cosa hanno in comune le matrici simili ad A. Sappiamo già,
ad esempio, che matrici simili hanno lo stesso determinante, lo stesso rango e lo
stesso polinomio caratteristico. Diamo allora il
Lemma 57. Se A e B sono matrici quadrate simili tra loro allora le matrici
(A − k I)t e (B − k I)t sono simili fra loro per ogni k ∈ K e ogni t > 0.
Dimostrazione. Esiste una matrice invertibile M tale che M −1 AM = B. Ma
allora M −1 (A − k I)M = M −1 AM − kM −1 I M = B − k I. Dunque l’enunciato
è vero per t = 1. Procediamo per induzione su t: per t > 1 abbiamo allora
M −1 (A − k I)t M = M −1 (A − k I)t−1 (A − k I)M =
M −1 (A − k I)t−1 M M −1 (A − k I)M = (B − k I)t−1 (B − k I) = (B − k I)t .
Lemma 58. Dato un blocco di Jordan Jn (λ) si ha rk(Jn (λ) − λ I)t = n − t per
t ≤ n e rk(Jn (λ) − λ I)t = 0 per t > n.
23
Algebra 2
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Dimostrazione. La matrice Jn (λ) − λ I

0 1
0
0 0
1

 ..
.. . .
.
.
.

0 . . . . . .

0 . . . . . .
0 ... ...
è la matrice

... ... 0
. . . . . . 0

.. 
..
. . . . .

0
1 0

0
0 1
0
0 0
il cui rango è n − 1. Calcolando le potenze successive di
le matrici



0 0 0 1
0 0 1
0 ... ... 0
0 0 0 0
0 0 0

1 . . . . . . 0


 .. .. ..
..
 .. ..

. . .
.. . .
.
..
.
.. 
. .

.
.
.
.
.
.


0 0 0 . . .
0 0 . . . . . . 0

1 0


0 0 0 . . .
0 0 . . . . . . 0


0
1


0 0 0 . . .

0 0 . . . . . . 0
0 0
0 0 0 . . .
0 0 ... ... 0
0 0
0 0 0 ...
Jn (λ) − λ I si trovano
0
1
..
.
...
...
..
.
...
...
...
...
...
0
0
0
0
0

0
0

.. 
. . . .

1 0

0 1

0 0

0 0
0 0
...
...
e così via. A ogni passo il rango decresce di 1 fino ad azzerarsi.
Sia allora A una matrice quadrata il cui polinomio caratteristico è totalmente
riducibile. Sappiamo che A è simile a una matrice di Jordan


Jn1 (λ1 )
0
...
0
 0
Jn2 (λ2 ) . . .
0 


J := 
..
..
.. 
.
.

.
.
.
. 
0
0
. . . Jns (λs )
dove λ1 , . . ., λs sono gli autovalori (non necessariamente distinti) di A. Sia λ
uno degli autovalori di A. La matrice J − λ I è ovviamente la matrice


Jn1 (λ1 ) − λ I
0
...
0


0
Jn2 (λ2 ) − λ I . . .
0




..
..
.
.
.
.


.
.
.
.
0
0
e, per la Proposizione 45 si ha che (J − λ I)t

(Jn1 (λ1 ) − λ I)t
0

0
(J
(λ
) − λ I)t
n
2
2


..
..

.
.
0
0
...
Jns (λs ) − λ I
è la matrice
...
...
..
.
...
0
0
..
.
(Jns (λs ) − λ I)t



.

Ora se λ è diverso da λi il blocco Jni (λi ) − λ I è una matrice triangolare i cui
elementi lungo la diagonale sono tutti uguali a λi −λ e sono dunque non nulli: ciò
implica che Jni (λi ) − λ I è invertibile così come tutte le potenze (Jni (λi ) − λ I)t
e, pertanto, questo blocco ha rango ni . Se invece λ è uguale a λi , grazie al
24
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Lemma 58 sappiamo che il rango di (Jni (λi ) − λ I)t decresce a ogni passo di 1
fino a d azzerarsi. Per la Proposizione 45 sappiamo che il rango di (J − λ I)t è
uguale alla somma dei ranghi dei blocchi (Jni (λi ) − λ I)t . Dunque, se n è l’ordine
della matrice A e consideriamo la sequenza n, rk(J − λ I), rk((J − λ I)2 ), . . .,
abbiamo che al primo passo questa sequenza decresce di un numero uguale al
numero di blocchi di Jordan relativi all’autovalore λ, al secondo passo decresce
di un numero uguale al numero di blocchi di Jordan relativi all’autovalore λ
di ordine almeno 2 e così via. Dunque, la conoscenza dei ranghi delle matrici
(J − λ I)t ci permette di determinare il numero di blocchi di Jordan relativi a λ
e i loro ordini e, quindi, utilizzando lo stesso argomento per tutti gli autovalori,
di determinare J stessa. Si potrebbe pensare che ciò non sia di grande aiuto,
visto che per calcolare il rango di (J − λ I)t dobbiamo conoscere J: tuttavia
il Lemma 57 ci dice che (J − λ I)t e (A − λ I)t sono simili per ogni t e, in
particolare, hanno lo stesso rango. Possiamo allora delineare un procedimento
per determinare J a partire da A.
Procedimento 59. Sia A una matrice quadrata di ordine n. Vogliamo determinare, se esiste, una matrice di Jordan a essa simile.
• Calcoliamo il polinomio caratteristico det(x I −A) di A. Se il polinomio
caratteristico non è totalmente riducibile allora A non è simile a una matrice di
Jordan e non possiamo proseguire oltre. Se invece il polinomio caratteristico
è totalmente riducibile lo scriviamo nella forma (x − λ1 )d1 · · · (x − λs )ds dove
λ1 , . . ., λs sono gli autovalori distinti di A e d1 , . . ., ds sono le corrispondenti
molteplicità algebriche.
• Per ciascun autovalore λi consideriamo la sequenza di numeri n, rk(A − λi I),
rk((A − λi I)2 ), . . . (si noti n come primo termine). Questi numeri formano una
successione che decresce strettamente fin quando non raggiunge n − dj .
• Il numero n − rk(A − λi I) dà il numero di blocchi di Jordan relativi a λi , il
numero rk(A − λi I) − rk((A − λi I)2 ) dà il numero di blocchi di Jordan relativi
a λi di ordine almeno 2 e così via. Determiniamo così il numero di blocchi di
Jordan relativi a λi e i loro ordini.
Osservazione 60. Il procedimento precedente ci dice come determinare una
matrice di Jordan J simile a una matrice quadrata A assegnata, ma non ci dice
come determinare una matrice M invertibile tale che M −1 AM = J: ovviamente
esiste un metodo anche per determinare una tale matrice M ma non lo trattiamo
qui.
Per poter determinare più facilmente il numero di blocchi di Jordan di un
dato ordine a partire dalla sequenza di interi n, rk(A − λi I), rk((A − λi I)2 ),
. . . possiamo utilizzare un grafico di questo tipo. Innanzitutto consideriamo la
differenza tra il primo e il secondo termine della sequenza n − rk(A − λi I) e
disegniamo una riga contenente dei simboli (ad esempio, dei quadrati) in tal
numero:
Ora consideriamo la differenza tra il secondo e il terzo termine della sequenza
rk(A − λi I) − rk((A − λi I)2 ): questo è il numero di blocchi di Jordan di ordine
25
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
almeno 2. Riportiamo questo numero di di simboli in riga sopra la precedente
(a partire da sinistra):
Procediamo così disegnando una terza riga, poi una quarta e così via: al termine
avremo un grafico di questo tipo:
Le colonne (e le rispettive altezze) corrispondono ora ai blocchi di Jordan relativi
a λi (nel grafico in esempio avremmo un blocco di ordine 5, 2 di ordine 4, 3 di
ordine 3 e 2 di ordine 1).
Esempio 61. Si consideri la matrice

2 0 0
0 2 0

0 3 1

4 0 0
A := 
0 0 0

0 0 0

0 0 0
0 0 0
0
0
0
2
0
0
0
0
0
0
1
0
1
0
0
0
0
0
0
1
2
1
0
0
0
0
0
0
0
0
2
1

0
0

0

1
.
0

1

0
2
È facile calcolare il polinomio caratteristico di questa matrice (utilizzando
a ogni passo opportuni sviluppi secondo Lagrange): si ottiene det(x I −A) =
(x − 1)3 (x − 2)5 . Gli autovalori sono quindi 1, di molteplicità algebrica 3 e 2 di
molteplicità algebrica 5. Si noti che in generale non è detto che gli autovalori
di una matrice siano gli elementi della diagonale. Avremo dunque blocchi di
Jordan relativi a 1 di ordine totale 3 e blocchi di Jordan relativi a 2 di ordine
totale 5.
Consideriamo l’autovalore 1: costruiamo la sequenza dei ranghi associata a
1: il primo numero è 8, il secondo è rk(A − I) = 7, il terzo è rk((A − I)2 ) = 6, il
quarto è rk((A − I)3 ) = 5 e qui ci fermiamo perché 5 = 8 − 3 (ovviamente qui
non sono riportati, per brevità, i calcoli necessari). Ora disegniamo il grafico
come in precedenza:
Abbiamo una prima riga lunga 1 = 8 − 7, una seconda riga lunga 1 = 7 − 6 e una
terza riga lunga pure 1 = 6 − 5. Dunque un’unica colonna alta 3: c’è un unico
blocco di Jordan relativo a 1 di ordine 3. Notiamo però che avremmo potuto
26
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
risparmiarci qualche calcolo: dopo aver calcolato il rango di A − I avremmo
potuto notare che la riga inferiore del nostro grafico contiene un unico elemento
e, pertanto, che le righe successive avrebbero dovuto avere lunghezza 1.
Passiamo ora all’autovalore 2. Anche qui diamo, senza esplicitare i calcoli,
la sequenza dei ranghi associati: otteniamo 8, 5, 4, 3, e qui ci fermiamo perché
3 = 8 − 5. Il grafico in questo caso è il seguente:
Abbiamo una prima riga lunga 3 = 8 − 5, una seconda riga lunga 1 = 5 − 4 e una
terza riga lunga pure 1 = 4 − 3. Anche qui, una volta visto che la seconda riga ha
lunghezza 1 avremmo potuto desumere che la terza riga ha pure lunghezza 1: si
noti inoltre che il numero totale di quadretti deve essere uguale a 5. Guardando
le colonne possiamo ricavare che ci deve essere un blocco di ordine 3 e 2 blocchi
di ordine 1.
Riassumendo la matrice A è simile alla matrice di Jordan:


1 1 0 0 0 0 0 0
0 1 1 0 0 0 0 0


0 0 1 0 0 0 0 0


0 0 0 2 1 0 0 0

.
J := 

0 0 0 0 2 1 0 0
0 0 0 0 0 2 0 0


0 0 0 0 0 0 2 0
0 0 0 0 0 0 0 2
Ovviamente i blocchi possono essere disposti
anche la matrice

2 0 0 0 0 0
0 1 1 0 0 0

0 0 1 1 0 0

0 0 0 1 0 0

0 0 0 0 2 0

0 0 0 0 0 2

0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0
in qualsiasi ordine. Ad esempio

0 0
0 0

0 0

0 0

0 0

1 0

2 1
0 2
è simile alla matrice A.
Supponiamo ora di voler trovare una matrice diagonale a blocchi C simile
alla matrice A e i cui blocchi siano matrici compagne di potenze di polinomi
irriducibili monici come nel Teorema 50. Ricordiamo che abbiamo ottenuto
la forma canonica di Jordan a partire da una tale forma agendo blocco per
blocco: precisamente il blocco matrice compagna del polinomio (x − λ)n è stato
sostituito a un blocco di Jordan relativo all’autovalore λ. Consideriamo allora
J. Dobbiamo sostituire al blocco di Jordan di ordine 3 relativo a 1 la matrice
compagna del polinomio (x − 1)3 , che espanso dà x3 − 3x2 + 3x − 1: la matrice
compagna di questo polinomio è


0 1 0
0 0 1 .
1 −3 3
27
Algebra 2
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Si noti che gli elementi dell’ultima riga sono i coefficienti cambiati di segno del
polinomio a partire dal termine noto e di grado crescente (tranne il coefficiente
direttivo.
Al blocco di Jordan di ordine 3 relativo a 2 sostituiamo la matrice compagna
del polinomio (x − 2)3 = x3 − 2x2 + 4x − 8 cioè:

0
0
8

1 0
0 1 .
−4 2
Infine i due blocchi di Jordan di ordine 1 sono
polinomi di primo grado e non necessitano quindi
matrice:

0 1 0 0 0 0
0 0 1 0 0 0

1 −3 3 0 0 0

0 0 0 0 1 0
C := 
0 0 0 0 0 1

0 0 0 8 −4 2

0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0
9
anche matrici compagne di
di modifica. Abbiamo così la
0
0
0
0
0
0
2
0

0
0

0

0
.
0

0

0
2
Polinomio minimo di matrici
Consideriamo una matrice quadrata A a coefficienti in un anello commutativo
R e un polinomio p := a0 + a1 x + · · · + at xt , sempre a coefficienti in R. Possiamo
dare un significato alla valutazione del polinomio p in A: precisamente poniamo
p(A) := a0 I + a1 A + · · · + at At . Per poter operare in maniera sensata con questa
nozione ci chiediamo se, dati due polinomi p e q, si ha che (p+q)(A) = p(A)+q(A)
e (pq)(A) = p(A)q(A). Verrebbe spontaneo dire di sì, utilizzando la proprietà
universale dell’anello dei polinomi.
Teorema 62. Sia φ : R → S un omomorfismo di anelli commutativi. Dato un
elemento qualunque s di S, l’omomorfismo φ si estende in maniera unica a un
omomorfismo da R[x] in S che manda x in s. Esplicitamente, un polinomio
p := a0 + a1 x + · · · + at xt viene mandato in a0 φ + a1 φs + · · · + at φst .
Se allora consideriamo la mappa φ dall’anello commutativo R all’anello
Mn (R) che manda un elemento a nella matrice a I, è facile vedere che questo è
un omomorfismo di anelli. Non possiamo però applicare direttamente il teorema
ed estendere questa mappa a un omomorfismo che manda x nella matrice A,
perché l’anello Mn (R) non è commutativo. Possiamo però farlo se dimostriamo
che esiste un sottoanello commutativo S di Mn (R) che contiene l’immagine di
φ, cioè tutte le matrici del tipo a I al variare di a in R, e contiene la matrice A.
Ciò è in effetti possibile:
Proposizione 63. Data una matrice A in Mn (R), esiste un sottoanello commutativo S di Mn (R) che contiene A e tutte le matrici del tipo a I al variare di
a in R.
28
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Dimostrazione. Consideriamo innanzitutto il centralizzante di A in Mn (R),
cioè il sottoinsieme S 0 di Mn (R) formato dalle matrici che commutano con A.
Questo è un sottoanello di Mn (R) che contiene ovviamente A e le matrici del
tipo a I. Sia ora S il centro di S 0 : è un sottoanello di S 0 e, quindi, di Mn (R); è
ovviamente commutativo; contiene le matrici del tipo a I (queste commutano
con tutte le matrici di Mn (R) e, quindi, con tutte le matrici di S 0 ); e, infine,
contiene A perché ogni matrice di S 0 commuta con A.
Notiamo che una volta mostrato il risultato dato dalla precedente proposizione, non abbiamo bisogno di determinare esplicitamente il sottoanello S:
data una matrice A possiamo allora valutare in A i polinomi a coefficienti in R
e sfruttare il fatto che questa valutazione dia un omomorfismo. In particolare
l’insieme dei polinomi che si annullano in A è il nucleo dell’omomorfismo di
valutazione e costituisce quindi un ideale di R[x]. Al momento non sappiamo
però se ci siano polinomi che si annullano in A oltre a quello banale. Nel caso
in cui i coefficienti siano in un campo, potremmo dimostrarne l’esistenza ragionando sulle dimensioni di opportuni spazi vettoriali. Qualunque sia l’anello
commutativo R, possiamo però esibire esplicitamente un polinomio non nullo
che si annulla in A: precisamente il suo polinomio caratteristico. Vale infatti il
Teorema 64 (Cayley-Hamilton). Sia A una matrice quadrata di ordine n a
coefficienti in un anello commutativo R e sia
pA := det(x I −A) = xn + an−1 xn−1 + · · · + a0
il polinomio caratteristico di A. Allora
An + an−1 An−1 + · · · + a0 I = 0
Dimostrazione. Consideriamo la matrice x I −A e indichiamo con B la sua
matrice aggiunta: sappiamo che (x I −A)B = det(x I −A) I. Poiché i coefficienti
di x I −A sono polinomi in x di grado minore o uguale a 1, i coefficienti di B
sono polinomi in x di grado al più n − 1 (infatti i coefficienti della matrice
aggiunta sono, a meno del segno, determinanti di matrici di ordine n − 1 estratti
dalla matrice). Raccogliendo le varie potenze di x possiamo allora scrivere
B = xn−1 Bn−1 + xn−2 Bn−2 + · · · + B0
per opportune matrici Bi . Abbiamo allora
(x I −A)(xn−1 Bn−1 + xn−2 Bn−2 + · · · + B0 ) = det(x I −A) I
ovvero
(x I −A)(xn−1 Bn−1 + xn−2 Bn−2 + · · · + B0 ) = xn I +an−1 xn−1 I + · · · + a0 I .
Sviluppiamo ora il membro a sinistra e uguagliando le matrici coefficienti delle
rispettive potenze di x troviamo allora:
Bn−1 = I
Bn−2 − ABn−1 = an−1 I
Bn−3 − ABn−2 = an−2 I
..
.
B0 − AB1 = a1 I
−AB0 = a0 I
29
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Moltiplichiamo ora a sinistra la prima di queste uguaglianze per An , la seconda
per An−1 e così via:
An Bn−1 = An
An−1 Bn−2 − An Bn−1 = an−1 An−1
An−2 Bn−3 − An−1 Bn−2 = an−2 An−1
..
.
AB0 − A2 B1 = a1 A
−AB0 = a0 I
Se ora sommiamo membro a membro tutte queste uguaglianze, troviamo:
0 = An + an−1 An−1 + · · · + a0 I.
Potrebbe sembrare che questo teorema abbia una dimostrazione più semplice.
Abbiamo infatti pA (x) = det(x I −A). Si ha allora pA (A) = det(A I −A) =
det(A − A) = det 0 = 0. Tuttavia questa “dimostrazione” non funziona. Infatti
pA (A) è una matrice, mentre det(A − I A) è un elemento di R.
Mettiamoci ora nel caso particolare in cui l’anello dei coefficienti sia un
campo K. Sappiamo allora che K[x] è un dominio a ideali principali e, pertanto,
ogni ideale non banale I è formato dai multipli di un polinomio non nullo:
questo polinomio non è univocamente determinato, ma se poniamo la condizione
ulteriore che sia monico allora lo è. Possiamo allora la
Definizione 65. Sia A una matrice quadrata di ordine n a coefficienti in un
campo K. Il polinomio minimo di A è il polinomio monico mA di grado minimo
che si annulla in A.
Grazie al teorema di Cayley-Hamilton il polinomio minimo di una matrice
quadrata A è un divisore del suo polinomio caratteristico: in particolare il suo
grado è minore o uguale dell’ordine della matrice. Supponiamo ora che A e B
siano matrici quadrate simili a coefficienti in un campo K (e, dunque, esista una
matrice invertibile M tale che B = M −1 AM ) e sia p := a0 + a1 x + · · · + at xt
un polinomio a coefficienti in K. Allora
p(B) = a0 I +a1 B + · · · + at B t =
a0 M −1 I M + a1 M −1 AM + · · · + at (M −1 AM )t =
a0 M −1 I M + a1 M −1 AM + · · · + at M −1 At M =
M −1 (a0 I +a1 B + · · · + at B t )M = M −1 p(A)M.
In particolare il polinomio p si annulla in A se e solo se si annulla in B. Abbiamo
dunque la
Proposizione 66. Se A e B sono matrici quadrate simili a coefficienti in un
campo allora il polinomio minimo di A e quello di B coincidono.
30
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Vediamo ora come determinare il polinomio minimo di una matrice nel
caso particolare in cui la matrice abbia una forma canonica di Jordan. Per
quanto appena visto basterà considerare direttamente matrici di Jordan. Come
immediata conseguenza della Proposizione 45 abbiamo la
 B1 0 ... 0 
0 B2 ...
0
Proposizione 67. Sia B :=  .. .. . . ..  una matrice diagonale a blocchi
. .
. .
0 0 ... Bs



e sia p un polinomio a coefficienti in K. Allora p(B) = 
p(B1 )
0
...
0
p(B2 ) ...
..
.
0
..
.
0
..
.
0
0
..
.

.
... p(Bs )
In particolare p(B) = 0 se e solo se p(B1 ) = · · · = p(Bs ) = 0 e il polinomio
minimo di B è, dunque, il minimo comune multiplo dei polinomi minimi di B1 ,
. . ., Bs .
Dobbiamo allora considerare per prima cosa il polinomio minimo di blocchi
di Jordan.
Proposizione 68. Dato un blocco di Jordan Jn (λ) il suo polinomio minimo
coincide con il suo polinomio caratteristico ed è (x − λ)n .
Dimostrazione. Il polinomio caratteristico di Jn (λ) è (x − λ)n . Poiché il polinomio minimo è un divisore monico del polinomio caratteristico, è del tipo
(x − λ)t per qualche t ≤ n. Ma per il Lemma 58 sappiamo che se t < n il rango
di rk(Jn (λ) − λ I)t è diverso da 0 e, in particolare, (Jn (λ) − λ I)t è diversa dalla
matrice nulla.
Questo ci permette di dimostrare il
Teorema 69. Sia A una matrice quadrata di ordine n a coefficienti in un
campo K, il cui polinomio caratteristico sia totalmente riducibile. Allora il
polinomio minimo di A è (x − λ1 )r1 · · · (x − λs )rs dove λ1 , . . ., λs sono gli
autovalori distinti di A e, per ciascun i, l’intero positivo ri è il massimo ordine
tra i blocchi di Jordan relativi a λi presenti nella forma canonica di Jordan di
A.
Dimostrazione. Per la Proposizione 66 il polinomio minimo di A e quello della
sua forma canonica di Jordan J coincidono. Per la Proposizione 67 il polinomio
minimo di J è il minimo comune multiplo dei polinomi minimi dei suoi blocchi
di Jordan. La tesi segue immediatamente allora dalla Proposizione 68.
Esempio 70. Se riprendiamo la matrice dell’Esempio 61 i cui autovalori sono
1 e 2 vediamo che il massimo ordine dei blocchi di Jordan relativi a 1 è 3 e il
massimo ordine dei blocchi di Jordan relativi a 2 è 3: pertanto il suo polinomio
minimo è (x − 1)3 (x − 2)3 .
Il Teorema 69 ci dice che le radici del polinomio minimo e del polinomio
caratteristico di una matrice coincidono. Abbiamo inoltre l’immediato
Corollario 71. Sia A una matrice quadrata di ordine n a coefficienti in un
campo K, il cui polinomio caratteristico sia totalmente riducibile. Allora A è
diagonalizzabile se e solo se il suo polinomio minimo non ha radici multiple.
31
Algebra 2
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Esercizi
Esercizio 1. Sia M un R-modulo che sia somma di due suoi sottomoduli
noetheriani N e S. Mostrare che M è noetheriano.
Esercizio 2. Un R-modulo è detto artiniano se soddisfa una delle condizioni
equivalenti:
i) ogni successione discendente di sottomoduli M1 ⊇ M2 ⊇ · · · ⊇ Mi ⊇ · · ·
di M si stabilizza, cioè esiste un intero k tale che Mk = Mk+1 = Mk+2 = · · ·
(questa condizione è detta condizione catenaria discendente);
ii) ogni famiglia non vuota F di sottomoduli di M ammette un elemento
minimale, vale a dire un sottomodulo della famiglia F che non è contiene
strettamente nessun altro sottomodulo della famiglia F.
Dimostrare che queste condizioni sono effettivamente equivalenti.
Esercizio 3. Sia M un modulo e N un suo sottomodulo. Mostrare che M è
artiniano se e solo se N e M /N sono artiniani.
Esercizio 4. Calcolare l’annullatore di ogni elemento di Z/6 pensato come
modulo destro su sé stesso. Verificare che l’insieme degli elementi con annullatore
non banale non forma un sottomodulo.
Esercizio 5. Dimostrare che se x è un elemento di un modulo su un dominio
a ideali principali R e a è un elemento di R, allora xa = 0 se e solo se l’ordine
di x divide a. In particolare se a è irriducibile allora x ha ordine 0 oppure a.
L
Esercizio 6. Mostrare che lo Z-modulo M := n∈N Z/n è di torsione ma che
Ann(M ) = 0.
Esercizio 7. Sia φ : M → N un omomorfismi tra moduli su un dominio a
ideali principali R e sia x un elemento di M . Mostrare che l’ordine di xφ divide
l’ordine di x e che se φ è iniettivo allora l’ordine di xφ è uguale all’ordine di x.
Esercizio 8. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K e sia θ un endomorfismo
di V . Si consideri su V la struttura di K[x]-sottomodulo indotta da θ. Mostrare
che un sottoinsieme U di V è un K[x]-sottomodulo se e solo se è un sottospazio
vettoriale θ-stabile.
Esercizio 9. Sia V uno spazio vettoriale e sia θ un endomorfismo di V . Dimostrare che ogni sottospazio di un autospazio di θ è θ-stabile. Dimostrare che
ogni sottospazio θ-stabile di dimensione 1 è contenuto in un autospazio di θ.
Esercizio 10. Sia data la matrice

2
0

0

:=
A
0

0
0
32
a coefficienti reali

0 0 0 0 2
2 1 1 2 0

0 2 2 0 0
.
0 0 2 0 0

0 0 1 2 0
0 0 0 1 2
Algebra 2
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Determinare (se esiste) una matrice di Jordan J simile ad A. Determinare poi
una matrice C simile ad A e che sia diagonale a blocchi con blocchi matrici
compagne di potenze di polinomi irriducibili. Determinare il polinomio minimo
di A.
1 2 3
Esercizio 11. Si consideri la matrice A := 0 −1 4 dove i coefficienti sono
0 0 3
elementi di un campo F .
1. Determinare una matrice di Jordan simile ad A nel caso in cui F = Q;
2. Determinare una matrice di Jordan simile ad A nel caso in cui F = Z/p con
p numero primo.
Esercizio 12. Per ciascuna delle seguenti coppie di matrici stabilire se sono
simili tra loro.
3 0 2
1 4 0
1. A := 0 3 1 e B := 1 3 2 .
1 −2 3
001
2. A :=
1 3 1
3. A :=
2 −1 1 121
001
1 0 2
0 0 1
e B :=
1 1 0
e B :=
121
011
.
−1 −2
1
0
2
2 −1
1 2
.
Esercizio 13. Determinare le forme canoniche di Jordan di matrici a coefficienti
razionali il cui polinomio caratteristico è (x + 4)6 e il cui polinomio minimo è
(x + 4)3 .
Esercizio 14. Si consideri l’anello di matrici R := M2 (Q) e si considerino le
matrici A := ( 10 00 ) e B := ( 00 10 ). Si considerino poi i polinomi p := I x + I e
q := I x + B a coefficienti in R. Si determini il prodotto pq e si verifichi che
(pq)(A) 6= p(A)q(A).
Soluzioni degli esercizi
1 Per il teorema di isomorfismo abbiamo che M /N = N + S/S ' N /N ∩ S:
poiché N è noetheriano per la Proposizione 5 il quoziente N /N ∩S è noetheriano
(e, quindi, per isomorfismo anche M /N è noetheriano). Pertanto N e M /N
sono noetheriani: per la Proposizione 5 anche M lo è.
2 La dimostrazione è simile alla dimostrazione dell’equivalenza delle condizioni
che definiscono la nozione di modulo noetheriano.
Supponiamo che valga la condizione i) e proviamo che vale la condizione
ii). Sia allora F una famiglia non vuota di sottomoduli di M . Scegliamo un
sottomodulo M1 nella famiglia F: se M1 è minimale in F abbiamo finito,
altrimenti esiste un sottomodulo M2 in F contenuto strettamente in M1 ; se
M2 è minimale in F abbiamo finito, altrimenti esiste un sottomodulo M3
in F contenuto strettamente in M2 . Se questo processo non avesse termine
otterremmo una catena strettamente discendente di sottomoduli M1 ) M2 )
· · · ) Mi ) · · · appartenenti alla famiglia F: poiché vale la proprietà i) ciò non
è possibile, e, dunque, esiste un elemento minimale di F.
Viceversa valga la condizione ii) e proviamo che vale la condizione i). Sia
allora M1 ⊇ M2 ⊇ · · · ⊇ Mi ⊇ · · · una successione discendente di sottomoduli.
33
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
La famiglia F dei sottomoduli Mi ammette un elemento minimale Mk : allora
Mk+i = Mk per ogni i positivo.
3 Sia M artiniano. Una successione discendente di sottomoduli di N è, a maggior
ragione, una successione discendente di sottomoduli di M e, quindi si stabilizza:
pertanto N è artiniano. Una successione discendente di sottomoduli di M /N
è del tipo M1 /N ⊇ M2 /N ⊇ · · · ⊇ Mi /N ⊇ · · · dove gli Mi sono sottomoduli
di M contenenti N : allora M1 ⊇ M2 ⊇ · · · ⊇ Mi ⊇ · · · è una successione
discendente di sottomoduli di M . Questa si stabilizza e, quindi, ovviamente ll
successione M1 /N ⊇ M2 /N ⊇ · · · ⊇ Mi /N ⊇ · · · si stabilizza.
Viceversa siano N e M /N artiniani: dobbiamo mostrare che ogni successione
discendente M1 ⊇ M2 ⊇ · · · ⊇ Mi ⊇ · · · di sottomoduli di M si stabilizza. Le
successioni discendenti M1 ∩ N ⊇ M2 ∩ N ⊇ · · · ⊇ Mi ∩ N ⊇ · · · e M1N+N ⊇
M2 +N
⊇ · · · ⊇ MiN+N ⊇ · · · di sottomoduli di N e M /N rispettivamente si
N
stabilizzano: esiste quindi k tale che Mk ∩ N = Mk+1 ∩ N = Mk+2 ∩ N = · · ·
+N
+N
e MkN+N = Mk+1
= Mk+2
= · · ·. Sia allora m ∈ Mk : poiché MkN+N =
N
N
Mk+i +N
per ogni i > 0 abbiamo che m = m0 + n con m0 ∈ Mk+i e n ∈ N . Ma
N
allora n = m − m0 ∈ Mk ∩ N = Mk+i ∩ N , da cui segue che m = m0 + n ∈ Mk+i .
Per l’arbitrarietà di m in Mk otteniamo che Mk ⊆ Mk+i e, quindi, Mk+i = Mk .
4 Si ha Ann((0)) = Z/6, Ann((1)) = (0), Ann((2)) = ((3)), Ann((3)) = ((2)),
Ann((4)) = ((3)), Ann((5)) = (0). Gli elementi con annullatore non banale sono
(0), (2), (3), (4). Un sottomodulo è in particolare un sottogruppo del gruppo
additivo: per il teorema di Lagrange un gruppo di ordine 6 non può avere un
sottogruppo di ordine 4 quindi questi elementi non formano un sottomodulo.
Più esplicitamente possiamo notare che (2) e (3) hanno annullatore non banale
ma (2) + (3) = (5) no.
5 Dire che xa = 0 è equivalente a dire che a ∈ Ann(x), cioè all’ideale principale
generato dall’ordine d di x. Otteniamo dunque subito la tesi.
6 Sia x un elemento generico di M , cioè una sequenza (a1 , a2 , . . . , an , . . . ) con
an ∈ Z/n e an = 0 per tutti gli interi n tranne un numero finito (usiamo lo stesso
simbolo 0 per indicare lo zero di ciascun Z/n). Sia k tale che an = 0 se n > k, cioè
x = (a1 , a2 , . . . , ak , 0, 0, . . . ). Notiamo che an n = 0 per ogni n. Preso un multiplo
non nullo d di tutti gli interi da 1 a k, si ha xd = (a1 d, a2 d, . . . , ak d, 0, 0 . . . ) =
(0, 0, . . . ). Dunque M è di torsione. L’annullatore di (0, . . . , 0, (1)n , 0, 0, . . . ) è
l’ideale generato da n: l’intersezione di tali annullatori al variare di n è l’ideale
nullo (l’unico multiplo di tutti gli interi positivi è 0): dunque Ann(M ) = 0.
7 Sia d l’ordine di x: allora (xφ)d = (xd)φ = 0φ = 0: poiché d annulla xφ
l’ordine di xφ è un divisore di d. Supponiamo ora che φ sia iniettivo e che e
sia l’ordine di xφ: abbiamo allora (xe)φ = (xφ)e = 0 e, poiché φ è iniettivo
abbiamo che xe = 0 cioè e annulla x. L’ordine di x divide allora l’ordine di x e,
poiché l’ordine di x e l’ordine di xφ si dividono reciprocamente sono dunque
associati )cioè x e xφ hanno lo stesso ordine).
8 Supponiamo che U sia un K[x]-sottomodulo. In particolare U è un sottoinsieme non vuoto chiuso rispetto all’addizione. Per mostrare che U è un sottospazio
θ-stabile rimane da verificare che se v è un vettore di U e k è un elemento di
34
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
K allora kv e vθ appartengono a U . Ma kv si ottiene moltiplicando v per il
polinomio costante k, mentre vθ si ottiene moltiplicando v per il polinomio x:
poiché U è un K[x]-sottomodulo entrambi appartengono a U .
Viceversa sia U un sottospazio vettoriale θ-stabile. Dunque U è un sottoinsieme non vuoto chiuso rispetto all’addizione. Per mostrare che U è un
K[x]-sottomodulo dobbiamo verificare che per ogni vettore v di U e ogni polinomio p di K[x] siPha che vp appartiene a U . Se p = a0 + a1 x + · · · + ar xr
r
sappiamo che vp = i=0 ai vθi . Per induzione su i si verifica immediatamente
i
che vθ appartiene a U e, quindi, vp è combinazione lineare di vettori di U e
appartiene, pertanto, a U .
9 Sia E un autospazio di θ, relativo a un certo autovalore λ. Sia U un sottospazio
di E e sia v un vettore di U : poiché v appartiene a E si ha che vθ = λv. Dunque
vθ appartiene a U che è quindi θ-stabile.
Sia ora W un sottospazio θ-stabile di dimensione 1 e sia v un generatore
di W : poiché vθ appartiene a W si ha che vθ è un multiplo di v. Pertanto v
è un autovettore e, dunque, il sottospazio W generato da v è contenuto in un
autospazio.
10 Il polinomio caratteristico di A può essere calcolato facilmente: si ha
det(x I −A) = (x − 2)6 . Il polinomio caratteristico è totalmente riducibile e la
matrice A ha come unico autovalore 2 di molteplicità 6. Dunque la matrice
è simile a una matrice di Jordan in cui avremo blocchi di Jordan di ordine
complessivo 6. Calcoliamo la successione dei ranghi associati all’autovalore
6 partendo, come sempre, dall’ordine della matrice che in questo caso è 6.
Consideriamo ora il rango della matrice A − 2 I, vale a dire la matrice


0 0 0 0 0 2
0 0 1 1 2 0


0 0 0 2 0 0


0 0 0 0 0 0 .


0 0 0 1 0 0
0 0 0 0 1 0
Si vede facilmente che il rango di questa matrice è 4. Pertanto abbiamo 6 − 4 = 2
blocchi di Jordan relativi a 2.
Iniziamo a costruire il solito grafico
Ovviamente dobbiamo proseguire: sappiamo che ci sono due blocchi ma non
abbiamo ancora idea del loro ordine. Prendiamo allora la matrice (A − 2 I)2 ,
cioè la matrice


0 0 0 0 2 0
0 0 0 4 0 0


0 0 0 0 0 0


0 0 0 0 0 0 .


0 0 0 0 0 0
0 0 0 1 0 0
Il rango di questa matrice è 2: dunque nella successione dei ranghi siamo scesi
di 4 − 2. Abbiamo pertanto 2 blocchi di ordine almeno 2. Ecco il nostro grafico
aggiornato:
35
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
Purtroppo dobbiamo proseguire: dobbiamo piazzare ancora due simboli e non
sappiamo come fare. Calcoliamo allora (A − 2 I)3 , cioè la matrice


0 0 0 2 0 0
0 0 0 0 0 0


0 0 0 0 0 0


0 0 0 0 0 0 .


0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0
Questa matrice ha rango 1: nella successione dei ranghi siamo scesi di 2 − 1 = 1.
Abbiamo così un blocco di ordine almeno 3. Aggiorniamo ancora il nostro grafico
Dobbiamo piazzare ancora un altro simbolo nel nostro grafico. È inutile calcolare
il rango di (A − 2 I)4 : l’unica possibilità per il nostro grafico è che sia
Abbiamo una colonna di altezza 4
allora simile alla matrice di Jordan

2 1
0 2

0 0

0 0

0 0
0 0
e una di altezza 2. La nostra matrice A è
0
1
2
0
0
0
0
0
1
2
0
0
0
0
0
0
2
0

0
0

0
.
0

1
2
Per trovare la matrice C basta sostituire il blocco di Jordan di ordine 4 relativo a
2 con la matrice compagna del polinomio (x − 2)4 = x4 − 8x3 + 24x2 − 32x + 16
e il blocco di Jordan di ordine 2 relativo a 2 con la matrice compagna del
polinomio (x − 2)2 = x2 − 4x + 4 ottenendo così la matrice


0
1
0
0 0 0
 0
0
1
0 0 0


 0
0
0
1 0 0


−16 32 −24 8 0 0 .


 0
0
0
0 0 1
0
0
0
0 −4 4
Infine, poiché l’unico autovalore è 2 e il massimo ordine dei blocchi di Jordan
relativi a 2 è 4 il polinomio minimo è (x − 2)4 .
36
Algebra 2
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11 La matrice A è triangolare, quindi i suoi autovalori sono 1, −1 e 3 qualunque
sia il campo F . Il polinomio caratteristico di A è sempre totalmente riducibile.
Non è però detto che gli autovalori siano distinti qualunque sia F . Consideriamo
i vari casi.
1. Se F = Q, gli autovalori sono distinti e hanno tutti molteplicità algebrica 1.
Per ciascun autovalore esiste dunque un unico blocco di Jordan ad esso relativo
e tale blocco
1 0 ha
ordine 1. In altri termini, A è diagonalizzabile e simile alla
0
matrice 0 −1 0 .
0 0 3
2. Se F = Z/p dobbiamo stabilire, in dipendenza da p, se gli autovalori sono
distinti o meno. Gli autovalori 1 e −1 coincidono se e solo se la loro differenza
1 − (−1) è multipla di p, cioè se e solo se p = 2. Analogamente 1 e 3 coincidono
se e solo se 3 − 1 è multiplo di p, il che avviene se e solo se p = 2. Infine −1 e 3
coincidono se e solo se 3 − (−1) è multiplo di 2 il che avviene, ancora una volta,
se e solo se p = 2. Riassumendo: se p 6= 2 la matrice A ha tre autovalori aventi
molteplicità algebrica 1 e, quindi,
come nel caso F = Q la matrice è simile
1 0 0
alla matrice diagonale 0 −1 0 . Se, invece p = 2, la matrice A ha un unico
0 0 3
autovalore 1 di molteplicità algebrica 3. Consideriamo la solita successione
0 0 dei
1
ranghi partendo da 3, ordine di A. Consideriamo ora la matrice A − I = 0 0 0
000
(si noti che in questo campo 2 = 0). La matrice A − I ha rango 1: dall’intero 3
siamo scesi di 2 e, quindi ci sono due blocchi relativi a 1. Non abbiamo bisogno
di proseguire oltre: ci deve necessariamente essere un blocco
di ordine 2 e un
110
blocco di ordine 1 e, dunque, A è simile alla matrice 0 1 0 .
001
12 1. La matrice A è triangolare, quindi i suoi autovalori sono gli elementi
lungo la diagonale. Dunque A ha come autovalori 3 di molteplicità algebrica 2 e
1 di molteplicità algebrica 1. Il polinomio caratteristico di A è (x − 3)2 (x − 1).
x−1 −4 0 Il polinomio caratteristico di B è det(x I −A) cioè −1 x−3 −2 = x3 −
−1
2
x−3
7x2 + 15x − 9. Espandendo il polinomio caratteristico di A troviamo lo stesso
polinomio, dunque B e A hanno lo stesso polinomio caratteristico e questo
è totalmente riducibile. Calcoliamo la forma canonica di Jordan per A e B.
Poiché 1 ha molteplicità algebrica 1, per entrambe le matrici c’è un unico blocco
di Jordan di ordine relativo a 1. Consideriamo l’autovalore 3. Consideriamo
la successione dei ranghi associati a 3 partendo come sempredall’ordine della
00 2
matrice, cioè 3. La matrice A − 3 I, cioè la matrice 0 0 1 , ha rango 1. Il
0 0 −2
rango è sceso di 3 − 1 = 2, quindi avremo due blocchi di Jordan relativi a 3.
Consideriamo ora la successione
dei ranghi per la matrice B: La matrice B − 3 I,
−2 4 0
cioè la matrice 1 0 2 , ha rango 2. Il rango è sceso di 3 − 2 = 1, quindi
1 −2 0
avremo un blocco di Jordan relativi a 3. Le due matrici non sono dunque simili.
2. La matrice A ha polinomio caratteristico (x−1)(x2 −3x−1). La matrice B ha
polinomio caratteristico x3 − 4x2 + 3x. Espandendo il polinomio caratteristico
di A troviamo il polinomio x3 − 4x2 + 2x + 1. Le matrici hanno polinomio
caratteristico differente, quindi non sono simili. Non è necessario calcolare gli
autovalori delle due matrici né, tantomeno, la loro forma canonica di Jordan.
37
Algebra 2
Università degli studi dell’Insubria
3. La matrice A ha polinomio caratteristico (x − 1)(x2 − 2x + 1) e la matrice
B ha polinomio caratteristico x3 − 3x2 + 3x − 1. Espandendo il polinomio
caratteristico di A troviamo lo stesso polinomio, quindi le due matrici hanno
lo stesso polinomio caratteristico. Fattorizzando questo polinomio, troviamo
(x − 1)3 , che è totalmente riducibile quindi possiamo determinare la forma
canonica per entrambe le matrici. Entrambe hanno 1 come unico autovalore di
molteplicità algebrica 3. Consideriamo allora le successioni dei ranghi associate
a questo autovalore,
partendo
dall’ordine delle matrici, cioè 3. La matrice A − I
1 −1
1
cioè la matrice 1 −1 2 ha rango 2. Analogamente la matrice B − I cioè la
−2 −2 20 0 0
matrice 1 1 −1 ha rango 2. In entrambi i casi siamo scesi di 3 − 2 = 1:
0 1 1
pertanto sia la forma canonica di Jordan di A che la forma canonica di Jordan
di B contengono un unico blocco di Jordan relativo
1 1 0 a 1 di ordine 3. Le due
matrici A e B sono entrambe simili alla matrice 0 1 1 e sono pertanto simili
001
tra loro.
13 Poiché il polinomio caratteristico ha grado 6, le matrici cercate hanno ordine
6. Tutti i blocchi di Jordan sono relativi all’unico autovalore −4. Poiché il
polinomio minimo è (x + 4)3 , nella forma canonica di Jordan deve esserci un
blocco di ordine 3 e altri blocchi di ordine minore o uguale a 3. Considerando
che l’ordine complessivo dei blocchi deve essere 6 possiamo avere 2 blocchi di
ordine 3


−4 1
0
0
0
0
 0 −4 1
0
0
0


0
0 −4 0
0
0

.
0
0
0 −4 1
0


0
0
0
0 −4 1 
0
0
0
0
0 −4
oppure un blocco di ordine 3, uno di ordine 2 e uno di ordine 1

−4
0

0

0

0
0
1
−4
0
0
0
0
0
1
−4
0
0
0
0
0
0
−4
0
0
0
0
0
1
−4
0

0
0

0
.
0

0
−4
0
0
0
0
−4
0

0
0

0
.
0

0
−4
oppure un blocco di ordine 3 e 3 di ordine 1

−4
0

0

0

0
0
1
−4
0
0
0
0
0
1
−4
0
0
0
0
0
0
−4
0
0
14 Facendo il prodotto pq si trova pq = (I x + I)(I x + B) = I x2 + (I +B)x + B.
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Algebra 2
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Ora
p(A) = A + I = ( 20 01 )
q(A) = A + B = ( 10 10 )
(pq)(A) = A2 + (I +B)A + B = A2 + A + BA + B = ( 20 10 )
mentre
p(A)q(A) = ( 20 20 ).
39
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