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In 50MILA A RoMA GRIDAno “sToP TTIP”
Nuova serie - Anno XXXX - N. 20 - 19 maggio 2016 Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale 50° Anniversario della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina Giovani prendete esempio dalle Guardie rosse per cambiare l’Italia Documento della Commissione giovani del CC del PMLI Perché i comuni siano governati dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo PER LE ELEZIONI COMUNALI DEL 5 GIUGNO il c api A TUTTA tali sm FORZA PER o PROPAGANDARE isti ASTIENITI L’ASTENSIONISMO tuzio parti ni e CONTRO ti PER IL SOCIALISMO uo is NON VOTARE I PARTITI BORGHESI AL SERVIZIO DEL CAPITALISMO ern ov ig Delegittimiamo le istituzioni rappresentative borghesi i CREIAMO LE ISTITUZIONI RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE FAUTRICI DEL SOCIALISMO PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it NON UN GIORNO VADA PERSO, NON UN VOLANTINO VENGA RISPARMIATO PAGG. 2-4 A Torino, Varese, Napoli, Cosenza Documenti e articoli sulle elezioni comunali del 5 giugno PAGG. 10-11-12 Alla manifestazione nazionale del 7 maggio In 50mila a Roma gridano “Stop TTIP” Anche i sindacati CGIL, FIOM, USB e Cobas in piazza. Il PMLI invita a combattere l’imperialismo e a cacciare Renzi Esponenti PD e Verdini nella rete giudiziaria Arrestato il sindaco PD di Lodi, indagato il presidente PD campano Graziano, PAGG. 7-8-9 indagato il presidente della Confindustria siciliana LoBello “Il Bolscevico” diffuso al concerto dei “Modena City Ramblers” La denuncia del PMLI che Renzi è il nuovo duce e dev’essere abbattuto raccoglie consensi PAG. 13 PAG. 6 Renzi stringe un patto di maggioranza col plurinquisito Verdini La sinistra PD mugugna ma si adegua. Il leader di Ala: Siamo in paradiso PAG. 7 Il chiacchierato Toschi alla Guardia di Finanza Uomini di fiducia di Renzi ai vertici delle istituzioni Gabrielli alla polizia, Girardelli alla Marina militare, Parente all’Aisi, Pansa al Dis, Masiello consigliere militare del nuovo duce Un atto d’imperio alla Renzi e alla Marchionne Landini si libera del portavoce del Sindacato E’ un’altra cosa Il leader della Fiom, ormai ombra di se stesso, non tollera il dissenso interno alla Federazione dei metalmeccanici, come la Camusso nella Cgil Giudicati “incompatibili” i delegati FCA che a Termoli e Melfi hanno scioperato contro gli straordinari PAG. 8 PAG. 5 A Bologna Gli studenti contestano Salvini La polizia protegge il leader fascioleghista e carica selvaggiamente i contestatori PAG. 9 2 il bolscevico / 50° Anniversario della GRCP in Cina N. 20 - 19 maggio 2016 50° Anniversario della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina Giovani prendete esempio dalle Guardie rosse per cambiare l’Italia Documento della Commissione giovani del CC del PMLI Il 16 maggio del 1966, esattamente cinquant’anni fa, aveva inizio la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP) in Cina. Un evento senza precedenti che fece epoca e che resterà scritto negli annali del socialismo e del comunismo come un immortale capolavoro di cui Mao fu il principale ideatore e artefice. Noi marxisti-leninisti italiani ne celebriamo l’anniversario in modo militante e ci rivolgiamo in prima battuta direttamente a voi giovani che siete stanchi di questa società che vi sfrutta come precari a basso costo e vi ruba diritti basilari come la scuola pubblica per ingrassare i profitti di pochi capitalisti. La Rivoluzione Culturale Proletaria ha ancora tanto da dire a voi e a chi aspira a cambiare il mondo liberandosi del capitalismo. Ad animarla infatti furono i vostri coetanei cinesi di allora, organizzatisi nelle Guardie rosse, impegnati nella lotta per creare un mondo nuovo con una gioventù finalmente libera da piaghe come lo sfruttamento, l’oppressione e la povertà. Le loro speranze erano le stesse dei giovani italiani di oggi che non si rassegnano al futuro di lavoratori precari che gli promette il capitalismo, ma sognano un mondo migliore. Noi vi proponiamo di scoprire l’esempio delle Guardie rosse per ispirarvi a loro per portare a successo le vostre lotte per difendere, pretendere e conquistare i diritti che vi spettano, a partire dal diritto ad un lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, all’istruzione pubblica aperta a tutti, al governo studentesco delle scuole e delle università, con una visione strategica rivoluzionaria contro il capitalismo e per il socialismo. Giovanissime Guardie rosse delle scuole primarie manifestano a sostegno della linea rivoluzionaria di Mao La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria La Rivoluzione Culturale Proletaria fu una grande rivoluzione condotta contro la borghesia nelle condizioni della dittatura del proletariato. In quel momento, mentre era in corso la costruzione del socialismo in Cina, la borghesia non era più la classe dominante che deteneva la proprietà dei mezzi di produzione, come avviene nella società capitalistica, ma si era incarnata in quei dirigenti revisionisti del Partito e dello Stato che sostenevano la necessità di restaurare il capitalismo per sviluppare la produzione (esattamente ciò che sostengono i governanti della Cina di oggi). “Facciamo la rivoluzione socialista,” diceva Mao, “eppure non si sa dove sia la borghesia: è proprio nel Partito comunista, sono quei dirigenti del Partito avviatisi sulla via capitalista”. Questi dirigenti, come precisò lo stesso Mao, “formano un’accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari. Se si presentasse l’occasione, prenderebbero il potere e trasformerebbero la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia”. Questo era avvenuto in URSS dopo la morte di Stalin ad opera di Krusciov. Era necessario continuare la rivoluzione nelle nuove condizioni del socialismo per impedire che ciò avvenisse. Questo era lo spirito della circolare del 16 maggio 1966, scritta sotto la guida di Mao e in parte di suo stesso pugno, che avviò la GRCP. Essa mobilitò gli operai, i contadini, i soldati, gli studenti, i giovani, le donne a impadronirsi del marxismo-leninismo a livello di massa e trasformarlo in un’enorme forza materiale per criticare il revisionismo e strappare alla borghe- sia, spodestata ma ora nascosta e riciclata all’interno del Partito comunista, quel potere materiale e autorità intellettuale che ancora conservava nella politica, nell’economia, nella cultura, nella morale e nell’insegnamento, dando a questi ultimi un carattere compiutamente proletario e rivoluzionario. La GRCP doveva anche risolvere la questione cruciale della formazione dei successori della causa del proletariato. Mao si rese infatti conto che la costru- Pechino, Piazza Tian’anmen. Mao riceve centinaia di migliaia di giovani arrivati da varie parti del paese per manifestare a sostegno della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Da agosto al novembre 1966 Mao incontrò 13 milioni di giovani rivoluzionari. zione del socialismo non era sufficiente, occorreva anche trasformare la concezione del mondo delle vaste masse popolari, far sì che padroneggiassero il marxismo-leninismo e renderle fautrici del proprio destino, come spiegato magistralmente con queste parole: “Perché ci sia la garanzia che il Partito e il Paese non cambino colore dobbiamo non solo avere una linea e una politica giuste, ma anche formare ed educare milioni di successori della causa della rivoluzione proletaria. In ultima analisi, formare i successori della causa rivoluzionaria del proletariato vuol dire decidere se ci sarà o no chi può portare avanti la causa della rivoluzione marxista-leninista iniziata dalla vecchia generazione di rivoluzionari proletari, se la direzione del nostro Partito e dello Stato resterà o no nelle mani dei rivoluzionari proletari, se i nostri discendenti continueranno o no ad avanzare lungo la giusta strada tracciata dal marxismoleninismo, o, in altre parole, se riusciremo o no a prevenire la nascita del revisionismo kruscioviano in Cina”. Per dieci anni, fino alla morte di Mao nel 1976, la GRCP impedì ai revisionisti di fare ciò che gli è riuscito oggi, ossia trasformare la Cina in una potenza socialimperialista che poggia la sua prepotente affermazione nei mercati capitalistici mondiali sullo sfruttamento selvaggio degli operai e SEGUE IN 3-4ª ë 50° Anniversario della GRCP in Cina / il bolscevico 3 N. 20 - 19 maggio 2016 dei contadini cinesi. La GRCP costituisce un’ulteriore prova che il Partito marxista-leninista non è un corpo stabile e impermeabile alle contraddizioni e alle idee della bor- ghesia, ma si edifica nel corso della lotta fra la linea proletaria e quella borghese, una lotta inevitabile come riflesso della lotta di classe nella società. Indicazioni preziose tutt’oggi per chiunque si ritiene comunista, il quale non deve accontentarsi che un partito si proclami tale per dargli la sua fiducia, ma deve analizzarne la linea alla luce del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e sma- scherare chi si professa a parole comunista ma agisce da opportunista. La storia del PCI revisionista dimostra che se si rinuncia ai principi marxisti-leninisti non è possibile conquistare il socia- lismo, si fa solo il gioco del capitalismo e lo si copre a sinistra. Lottare attivamente contro il revisionismo, praticare la critica e autocritica e trasformare la propria concezione del mondo at- traverso lo studio del marxismoleninismo-pensiero di Mao sono condizioni essenziali perché il Partito si mantenga rosso e rivoluzionario e la linea proletaria prevalga su quella borghese. Il ruolo delle Guardie rosse nella GRCP Un ruolo fondamentale fu giocato dalle Guardie rosse, nate spontaneamente soprattutto da studenti universitari incoraggiati dall’appello di Mao a fare “fuoco sul quartier generale”. Si trattava di giovani di ambo i sessi decisi a difendere il socialismo, che non erano disposti a sottostare alla burocrazia revisionista e che aspiravano ad un mondo senza capitalismo e imperialismo. Mao li spronò a prendere in mano il loro futuro e vi ripose le proprie speranze per mobilitare le masse contro i revisionisti al potere. Il 1° agosto 1966 Mao scrive alle Guardie rosse della scuola media annessa all’università Qinghua di Pechino: “Le azioni rivoluzionarie delle Guardie rosse esprimono l’indignazione e la condanna nei confronti della classe dei proprietari fondiari, la borghesia, l’imperialismo, il revisionismo e i loro lacchè, che sfruttano e opprimono gli operai, i contadini, gli intellettuali rivoluzionari; esse dimostrano che è giusto ribellarsi contro i reazionari. vi esprimo il mio caloroso appoggio”. Le Guardie rosse furono la scintilla della GRCP, se si pensa che il primo dei tanti dazibao (manifesti a grandi caratteri scritto a mano) che avrebbero poi tappezzato i muri delle città e delle campagne cinesi, fu scritto proprio da un gruppo di insegnanti e studenti dell’Università di Pechino contro il tentativo delle autorità accademiche di spegnere la Rivoluzione Culturale nell’ateneo. Le azioni di questi coraggiosi giovani mobilitarono le università e le scuole superiori della capitale prima e dell’intera Cina poi, dando vita al movimento delle Guardie rosse. Mao espresse il suo appoggio con una lettera del 1° agosto 1966, in cui sosteneva che le loro azioni “dimostrano che è giusto ribellarsi contro i reazionari”. In sei occasioni, Mao riceverà in piazza Tian’anmen ben 13 milioni di Guardie rosse e altre masse rivoluzionarie. Non smise mai di seguirle e incoraggiarle, fiducioso nell’entusiasmo e nella creatività dei giovani rivoluzionari. Quando necessario le criticò, ma senza demonizzarli per via dei loro sbagli, frutto soltanto dell’inesperienza. “Nel passato”, avrebbe affermato in un’occasione, “abbiamo commesso molti errori. Per voi invece è la prima volta, non possiamo rimproverarvi per questo”. Le Guardie rosse costituirono la colonna principale della GRCP prima della discesa in campo della classe operaia. Senza farsi intimorire e sconfiggendo l’iniziale Manifestazione di Guardie rosse sfila in corteo per sostenere la lotta lanciata da Mao contro Deng e Liu Shaoqi e sostenere la linea della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria repressione da parte delle autorità revisioniste, scavalcando anche i dirigenti revisionisti locali e nazionali del PCC che le volevano bloccare, le Guardie rosse, ispirate dal principio marxista-leni- nista di “andare controcorrente”, rivendicarono il loro potere sulle scuole e le università, misero in discussione non solo tutti gli aspetti del sistema scolastico e universitario, ma anche della so- vrastruttura politica, istituzionale e culturale della società, attraverso grandi dibattiti e giornali autoprodotti, e riempirono le strade con immense manifestazioni in cui criticarono i dirigenti cittadini e provinciali e li costringevano a confrontarsi con loro. In numerosi casi andarono spontaneamente a trascorrere periodi di lavoro in campagna. Soprattutto le Guardie rosse si resero conto che per cambiare la scuola e l’università non bastava aver instaurato il socialismo: era necessario criticare a fondo e respingere le idee, la cultura e i metodi didattici borghesi. Animate dall’internazionalismo proletario, le Guardie rosse avevano anche una forte sensibilità antimperialista, tant’è che spesso scendevano in piazza per solidarizzare col Vietnam aggredito dall’imperialismo americano o per appoggiare le lotte dei popoli del mondo. Com’è naturale, il movimento si sviluppò attraverso la lotta fra linea giusta e linea sbagliata, quest’ultima rappresentata soprattutto dagli “ultrasinistri” che rifiutavano la direzione della classe operaia e così facendo si impantanavano nel fazionismo. Le università e le scuole restarono centri ribollenti di creatività rivoluzionaria per tutto il corso della GRCP e saranno proprio gli studenti universitari di Pechino, ancora una volta, a dare un contributo essenziale all’ultima battaglia antirevisionista contro Deng nel 1975. L’influenza della GRCP sulla Grande Rivolta del Sessantotto in Italia L’esempio della GRCP travalicò i confini della Cina e fu di stimolo per le lotte rivoluzionarie e di liberazione nazionale del mondo intero, compresa l’Italia, dove esercitò una notevole influenza sulla Grande Rivolta del Sessantotto. Anche sul Sessantotto i politicanti e gli scribacchini di destra e di “sinistra” della borghesia nostrana dicono da tempo tante sciocchezze per esorcizzarlo quale grande e acuto scontro fra proletariato e borghesia, il cui riflusso fu dovuto soprattutto all’azione controrivoluzionaria dei falsi comunisti. Si trattò in realtà del più grande avvenimento della lotta di classe in Italia dopo la Resistenza, con i giovani come protagonisti. Nel Sessantotto è percepibile la presenza tutt’altro che secondaria del pensiero di Mao, della GRCP e delle Guardie rosse. Fu anche grazie al loro esempio che durante il Sessantotto scoppiò la ribellione di massa contro il revisionismo, rappresentato allora dal PCI, criticato duramente per la sua collusione con il sistema capitalistico e la DC, il suo parlamentarismo e il suo legalitarismo che stavano ormai stretti alle masse in ebollizione. Come nota il Documento del CC del PMLI “Viva la Grande Rivolta del Sessantotto”, pubblicato il 14 dicembre 1988 in celebrazione del suo 20° Anniversario: “Il movimento studentesco di Milano nel suo complesso e non solo a livello di avanguardia, conquistato dal pensiero e dall’opera di Mao, arriva persino ad assumere il marxismo-leninismo-pensiero di Mao come sua teoria ufficiale. Nelle proposte di tesi politiche del 25 marzo 1970 si legge: ‘Il movimento studentesco guidato dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao è parte integrante delle masse popolari... Non è il movimento studentesco che influenza le masse popolari, è il pensiero di Mao che per la particolare storia del nostro paese è penetrato nel movimento studentesco e attraverso le iniziative del movimento studentesco influenza le masse popolari’. Si tratta indubbiamente di un avvenimento che non ha precedenti nella storia dei movimenti di massa italiani. Mai infatti prima di allora un grande movimento di massa si era proposto di conformare al marxismo-leninismo-pensiero di Mao il proprio pensiero, la propria vita e la propria azione politica. Questa scelta politica – impensabile in altre situazioni e al di fuori del contesto rivoluziona- rio del Sessantotto – significava non solo ripudiare l’ideologia e la cultura borghesi e tutte le loro varianti comunque camuffate, incluse quelle più progressiste, ma anche di proporsi di lottare affin- ché il marxismo-leninismo-pensiero di Mao diventasse la nuova cultura delle masse, in alternativa e in contrapposizione alla cultura dominante”. La fine del movimento studentesco di allora, fagocitato dal riformismo e dal trotzkismo, dimostra che senza la direzione del Partito marxista-leninista e della sua linea proletaria rivoluzionaria i movimenti rivoluzionari anticapitalisti non pos- sono raggiungere i loro obiettivi. Ispirandosi alle Guardie rosse, che erano divenute il loro modello di ribellione rivoluzionaria, i giovani osarono pensare, parlare e agire. Essenzialmente gli stu- 19 novembre 1969. Sciopero generale nazionale per la casa. Alla manifestazione di Firenze partecipa il Comitato provinciale di Firenze del Pc (m.-l.) d’I diretto allora dal compagno Giovanni Scuderi, a sostegno della linea rivoluzionaria antirevisionista di Mao e della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Per questo motivo i gorilla del “servizio d’ordine” del PCI proditoriamente e selvaggiamente aggrediscono lo spezzone e i compagni Scuderi, Mino Pasca e altri compagni che li difendono tra cui Dino e Loris Sottoscritti (foto archivio storico del PMLI) 4 il bolscevico / 50° Anniversario della GRCP in Cina denti a milioni capivano sempre più che il loro nemico principale era la classe dominante borghese col suo governo, che la loro lotta era parte integrante della lotta di classe contro il capitalismo, che il sistema scolastico e universitario andava cambiato radicalmente e che era necessario ricercare l’unità con tutte le forze sociali e politiche anticapitaliste. Settori importanti attaccavano apertamente la cultura e del sapere borghese perché educano alla sottomissione all’ordinamento sociale capitalistico. La democrazia diretta divenne la regola organizzativa del movimento studentesco, che chiedeva non soltanto l’apertura dell’università alle masse tramite l’eliminazione delle restrizioni d’accesso come le tasse, ma anche una nuova didattica, nuovi sistemi d’esame e di valutazione, la fine dell’autoritarismo accademico e nuovi organi di governo. Rivendicava insomma il potere nell’università. La presa di coscienza e la rivendicazione non solo di un cambiamento delle istituzioni universitarie, ma di un radicale stravolgimento e rovesciamento del potere accademico espressione del potere borghese nelle università si tramuta nella parola d’ordine del “Potere studentesco”. Questa parola d’ordine nasce e si sviluppa all’interno delle Università in particolare di Tren- to e Milano e mette in discussione gli organi collegiali, dimostratisi incapaci di una qualsiasi reale possibilità per le masse studentesche di strappare la minima rivendicazione o spazio decisionale all’interno degli atenei. Le assemblee generali, basate sulla democrazia diretta, diventano i nuovi luoghi di partecipazione e di decisione dove le masse studentesche attraverso ampi dibattiti, decidono e strutturano le lotte e le rivendicazioni. Ma non solo le masse studentesche, anche la classe operaia e le vaste masse popolari vengono coinvolte nelle assemblee generali sulla base della parola d’ordine delle “scuole al servizio delle masse popolari”, un coinvolgimento che si sviluppava grazie anche all’esempio che arrivava dalla Cina di Mao dove operai e contadini erano invitati ad entrare negli atenei in pianta stabile così da portare la cultura proletaria fin dentro il cuore delle università. Anche la morale borghese e cattolica venne presa di mira e l’esempio più lampante fu la straordinaria discesa delle studentesse e delle ragazze sul campo di battaglia. Non c’è del resto da stupirsi se i giovani rivoluzionari italiani di allora furono influenzati da quanto stava avvenendo in Cina. La lotta di classe in Italia (e non solo) è sempre stata legata da un N. 20 - 19 maggio 2016 “Fuoco sul quartier generale!”. Agosto 1966. Manifesto realizzato dal Gruppo creativo di pittura collettiva della rivoluzione culturale saldo filo rosso agli eventi della rivoluzione mondiale, un po’ come la Rivoluzione d’Ottobre ispirò il biennio rosso e l’esempio socialista dell’URSS di Stalin orientò le lotte operaie del dopoguerra. Il pensiero di Mao non è insomma estraneo alla storia della lotta di classe e dei movimenti giovanili e studentesco in Italia e non è affatto azzardato affermare che contribuì in modo fondamentale a elevare la coscienza rivo- luzionaria delle masse che presero parte al Sessantotto. Se non ci fossero stati l’esempio di Mao e della GRCP, probabilmente quella Grande Rivolta non avrebbe raggiunto vette così alte. Un’influenza che continua tut- tora in quanto il pensiero e l’opera di Mao furono fondamentali per la nascita del PMLI, avvenuta il 9 Aprile 1977 dopo dieci anni di preparazione, che comprendono la fondazione de “Il Bolscevico” il 15 dicembre 1969. ricercando l’unità d’azione con tutte le altre forze sociali e politiche anticapitaliste e antirenziane, in particolare con la classe operaia è possibile mettere in campo una potente opposizione sociale nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli atenei e nelle piazze per buttare giù Renzi e cambiare veramente l’Italia. L’immobilismo dei sindacati confederali e delle organizzazioni studentesche riformiste non deve impedire ai giovani lavoratori e studenti di scavalcarli e mettere comunque in campo le proprie lotte, che possono essere utili anche per fare pressione a favore dello sciopero generale di otto ore con manifestazione nazionale a Roma per cacciare Renzi. Le ragazze e i ragazzi informati e consapevoli devono stare in prima fila nella lotta contro la politica guerrafondaia e interventista di Renzi che sta seguendo le orme di Mussolini e opporsi con tutte le proprie forze nel caso l’Italia intervenga in Libia per spartirsela con gli imperialisti americani, inglesi e francesi. La più recente operazione per riportare i giovani all’ovile del capitalismo è costituita dalle imminenti elezioni amministrative a Milano, Torino, Roma e Napoli e altri comuni, dove sono stati messi in campo “nuovi” candidati (spesso giovani), partiti e raggruppamenti di “sinistra”, compreso il PC dell’arcimbroglione Rizzo. Ma non sono degni di fiducia, perché aspirano a ingabbiare le lotte delle masse nelle istituzioni del regime neofascista e capitalista, spargendo l’illusione che tramite esse sia possibile cambiare il sistema e che non serva la lotta. Un’illusione che dovrebbe essere morta col fallimento delle amministrazioni “arancioni” di Pisapia e De Magistris. Si mascherano di nuovo ma puzzano di vecchio. Noi invitiamo i giovani a respingere l’ennesima operazione elettoralistica con l’astensionismo e battersi invece per dare vita alle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, le Assemblee popolari e i Comitati popolari, composte anche dalle ragazze e dai ragazzi dai 14 anni, basate sulla democrazia diretta e sulla revocabilità dei membri, come contraltare dei governi ufficiali locali e per strappare loro il massimo possibile dei benefici per le masse, specie per quanto riguarda il lavoro, la casa, la scuola, i servizi sociali, le tasse e così via. Al referendum di Ottobre invece seppelliamo la controriforma del Senato sotto una valanga di No. Mao amava incoraggiare i giovani dicendo loro che: “Il mondo è vostro come è nostro, ma in ultima analisi è vostro. Voi giovani, pieni di vigore e vitalità, siete nel fiore della vita, come il sole alle otto o alle nove del mattino. Le nostre speranze sono riposte in voi... Il mondo vi appartiene”. Allora lottiamo per conquistarlo strappandolo al capitalismo! Giovani, prendete esempio dalle Guardie rosse e osate attaccare il capitalismo per cambiare l’Italia! Spazziamo via il governo del nuovo duce Renzi! Lottiamo per conquistare l’Italia unita, rossa e socialista! Con Mao per sempre contro il capitalismo per il socialismo! Con i Maestri e il PMLI vinceremo! La Commissione giovani del CC del PMLI 16 maggio 2016 Fare come le Guardie rosse I giovani hanno il diritto di vivere la loro gioventù, il diritto allo studio, il diritto al lavoro, il diritto al futuro senza sfruttamento, oppressione, disoccupazione e povertà. Com’è sotto gli occhi di tutti, oggi questi diritti sono negati dal sistema economico vigente, ossia il capitalismo, e possono essere conquistati solo con la lotta. Perciò oggi più che mai è necessario ispirarsi allo spirito rivoluzionario e ribelle delle ragazze e dei ragazzi Guardie rosse, seguire il loro esempio e raccogliere i loro ideali. Il loro esempio, benché siano passati cinquant’anni, è ancora attuale e utile. Fare come le Guardie rosse significa innanzitutto combattere il capitalismo e l’imperialismo, che negano ai giovani le loro aspirazioni di cambiamento, ma anche il riformismo, il revisionismo, il parlamentarismo, il legalitarismo e il pacifismo perché ne frenano e ingabbiano le lotte; combattere la cultura e l’istruzione borghesi che veicolano la concezione capitalista del mondo e promuovono la concorrenza, l’edonismo, il disimpegno, il razzismo e l’omofobia; quindi lottare per il socialismo, l’unica alternativa reale e vincente al sistema capitalista. Significa armarsi del marxismoleninismo-pensiero di Mao e dare la propria forza al Partito del proletariato, mettere al primo posto gli interessi della rivoluzione, del proletariato e del socialismo e non gli interessi personali ed essere risoluti nella lotta di classe. Non si può cambiare senza abbattere il capitalismo e il governo Renzi che ne fa gli interessi. Un governo che giura e spergiura sui giovani e li prende a pretesto per tutto quello che fa, ma in realtà li tradisce continuamente con i suoi provvedimenti. Basti vede- re il “Jobs Act”, una manna per i padroni ma una condanna per i giovani, condannati al precariato perenne, licenziabili a piacimento e privati delle tutele e dei diritti conquistati a duro prezzo dalle loro madri, dai loro padri e nonni. Ciò comunque non ha eliminato la disoccupazione giovanile, che resta oltre il 38%, ma nemmeno il ricorso a forme di precariato ancora peggiori, come i voucher, mentre il governo foraggia addirittura il ricorso al lavoro giovanile gratuito come “volontariato”, sul modello Expo. Questa è la palude del lavoro precario nel quale i giovani dovrebbero tuffarsi al più presto e accontentarsi, senza badare troppo alla loro formazione, secondo il ministro Poletti. Ma anche l’istruzione pubblica è sotto attacco: con la legge 107 la scuola è stata trasformata in una fondazione privata in pasto al mercato, con gli studenti privati di ogni diritto di rappresentanza e protesta e ridotti a manodopera gratuita con la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”. Per noi va eliminata totalmente perché va solo a vantaggio dei padroni, senza alcuna effettiva utilità formativa per gli studenti, nell’immediato chiediamo che i tirocinanti ricevano un salario pari alle mansioni che effettivamente svolgono. Questa situazione ormai intollerabile dimostra che “è giusto ribellarsi contro i reazionari”! Proprio come stanno facendo gli operai di tutta Italia che, nei mesi scorsi, hanno scioperato contro la svendita del petrolchimico Eni, hanno occupato l’Ilva e il Comune di Genova, hanno bloccato il Consiglio regionale di Cagliari; o come fanno le masse in lotta che sfidano i manganelli delle Durante la rivolta del Sessantotto gli studenti sfilano a Milano innalzando il ritratto di Mao insieme a Lenin e Stalin “forze dell’ordine” per contestare il nuovo duce Renzi, fino a dare vita a battaglie di piazza come a Napoli il 6 aprile scorso. Come diceva Mao e come facevano le Guardie rosse, bisogna “osare pensare, osare parlare, osare agire, osare attaccare e osare fare la rivoluzione”. Solo con la lotta i giovani possono ot- tenere l’abolizione del precariato e il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti. Solo con un grande movimento studentesco unitario, fondato sulla democrazia diretta, si possono conquistare la scuola e l’università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti. Solo interni / il bolscevico 5 N. 20 - 19 maggio 2016 Il chiacchierato Toschi alla Guardia di Finanza Uomini di fiducia di Renzi ai vertici delle istituzioni Gabrielli alla polizia, Girardelli alla Marina militare, Parente all’Aisi, Pansa al Dis, Masiello consigliere militare del nuovo duce Il 29 aprile il nuovo duce Renzi ha annunciato un’altra infornata di nomine ai piani alti dell’apparato di comando, inserendo personaggi di sua fiducia ai vertici della polizia, dei servizi di sicurezza, delle forze armate e della guardia di finanza. A dirigere il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), l’organismo presso la presidenza del Consiglio che coordina i servizi segreti civili e militari, è stato nominato l’attuale capo della polizia, Alessandro Pansa. Al suo posto è stato nominato il prefetto Franco Gabrielli, già capo della protezione civile, mentre a dirigere l’Aisi, i servizi segreti interni sarà un generale dei carabinieri, Mario Parente, già vicedirettore dell’intelligence civile e precedentemente capo del Ros. Il nuovo capo di Stato Maggiore della Marina militare è l’ammiraglio Walter Girardelli, che sostituisce l’ammiraglio De Giorgi inquisito nell’inchiesta di Potenza sullo scandalo dei petroli, e il generale Giorgio Toschi sarà il nuovo comandante della Guardia di finanza, al posto del generale Saverio Capolupo che se ne va in pensione; mentre il generale dell’esercito Carmine Masiello, esperto di intelligence e di forze speciali, è stato nominato consigliere militare di Renzi. Queste nomine sono destinate a scadere tra due anni, con la fine della legislatura, perché, ha spiegato lo stesso Renzi, “chi viene dopo di noi deve avere la possibilità di fare nomine. Ci siamo dati come regola di non dare delle proroghe”. Sarebbe il cosiddetto spoil system all’americana, per cui il nuovo governo cambia tutti i vertici dell’apparato di potere nominati dal vecchio governo. Ma questo presuppone che ci sia davanti un mandato intero, mentre siamo già a più di metà legislatura. Che bisogno c’era, allora, di rivoluzionare i vertici, quantomeno della sicurezza e della guardia di finanza, per un periodo di tempo così breve? Per capirlo bisogna tornare indietro di oltre un mese, al tentativo di Renzi di nominare il suo amico e sostenitore Marco Carrai, a capo della sicurezza informatica dei servizi segreti. Tentativo rinviato per l’opposizione di Mattarella, che non giudicava opportuno affidare un settore così delicato nelle mani di un amico personale del premier, già molto chiacchierato per le sue relazioni con servizi segreti stranieri (Cia e Mossad per la precisione), e per di più in palese conflitto di interessi, essendo titolare di un’azienda operante nello stesso settore. Nel frattempo è esploso lo scandalo Tempa Rossa, in cui il governo e lo stesso Renzi in prima persona sono apparsi coinvolti fino al collo, e le cronache quotidiane hanno registrato una raffica di arresti di dirigenti e amministratori del PD, per la maggior parte renziani, con le scomposte reazioni da parte di questo partito e del nuovo duce a cui abbiamo assistito contro i magistrati inquirenti e il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Davigo. Due posizioni chiave per stoppare le inchieste Il nuovo duce aveva quindi un bisogno impellente di blindarsi ulteriormente a Palazzo Chigi per resistere ad altri eventuali inchieste in arrivo, e a quale migliore strategia ricorrere, a questo scopo, se non mettere uomini di sua completa fiducia in posti chiave come i servizi di sicurezza e la guardia di finanza, per conoscere in anticipo, tenere sotto controllo ed ostacolare l’operato della magistratura? Il generale Toschi, infatti, è un fedelissimo del generale Michele Adinolfi, già indagato nell’inchiesta sulla P4 e amico di Renzi fino da quando comandava la Gdf di Toscana e Romagna al tempo in cui il nuovo duce presiedeva prima la giunta provinciale e poi guidava il Comune di Firenze. Un’amicizia molto stretta, al punto che in una famosa intercettazione di una telefonata tra i due del 10 gennaio 2014, disposta in ordine all’inchiesta sulla cooperativa Concordia, il leader del PD e futuro presidente del Consiglio, oltre a metterlo al corrente delle trattative con Berlusconi per arrivare a stringere il patto del Nazareno, confidava al generale Adinolfi di star lavorando per sostituire Enrico Letta perché era un “incapace”, cosa che sarebbe poi avvenuta di lì a poco col golpe di palazzo che portò Renzi a Palazzo Chigi con la complicità di Napolitano. Senza contare i legami strettissimi tra Adinolfi e il sottosegretario con delega ai servizi segreti, Luca Lotti (altra eminenza grigia, insieme a Carrai, artefice della irresistibile ascesa politica di Renzi), al punto che in altre intercettazioni sono documentate le richieste del generale a Lotti per ostacolare la nomina a comandante generale dell’arma di Capolupo, carica a cui Adinolfi aspirava, con tanto di invito del Lotti a venire a parlarne a quattr’occhi nella sede del Nazareno, ma passando da una porta secondaria per non incontrare i giornalisti. L’operazione poi non andò a buon fine, con grande ira di Adinolfi espressa a Lotti; fallimento che poi, in un’altra intercettazione alla taverna Flavia di Roma, insieme ad un altro renziano doc, Dario Nardella, e altri personaggi, il generale attribuiva a Napolitano, perché “tenuto per le palle” da Capolupo per via dei maneggi illeciti del figlio Giulio. Quando Adinolfi e Toschi vegliavano sul “rottamatore” Quando Toschi comandava il nucleo tributario della Gdf a Firenze, fu lui a fare da scudo a Renzi nell’inchiesta per un danno erariale di 20 milioni di euro avviata dalla Corte dei conti sulle spese disinvolte dell’allora presidente della Provincia, su ci guarda caso l’indagine della Finanza non approdò a nulla. E lo stesso accadde per l’inchiesta sugli scontrini facili quando Renzi era a Palazzo Vecchio, anzi in questo caso la Gdf non ha mai avviato le indagini. Per non parlare della storia dei contributi figurativi di Renzi, ricevuti per dieci anni con l’espediente di farsi assumere nell’azienda di famiglia immediatamente prima della sua candidatura alla Provincia: anche qui nessun rilievo da procura e Gdf, mentre l’ex ministra del governo Letta, Josefa Idem, per dieci mesi di contributi figurativi è stata rinviata a giudizio per truffa a Ravenna, su indagine della stessa Finanza agli ordini di Adinolfi e Toschi. Inoltre, nella lista delle nuove nomine che un paio di giorni prima di farla approvare velocemente dal Consiglio dei ministri aveva presentato a Mattarella in una cena a due, Renzi aveva inserito di nuovo anche Carrai come capo della cybersicurezza di Palazzo Chigi, affidandogli la gestione di tutte le banche dati dello Stato, ciò che insieme a Toschi a capo della Gdf doveva garantirgli che niente potesse accadere nel Paese senza che lui ne fosse preventivamente informato. Due nomi, però, su cui il capo dello Stato nutriva forti perplessità, perché oltre a quelle che l’avevano già portato a stoppare la nomina di Carrai lo scorso marzo, altre ve n’erano sul nome di Toschi, e non soltanto perché considerato risaputamente troppo vicino al premier, ma anche perché un suo fratello, Andrea Toschi, ex presidente di Banca Arner, fu arrestato nel 2014 nell’inchiesta Sopaf per la presunta appropriazione indebita di 79 milioni sottratti alle casse di previdenza di ragionieri, medici e giornalisti. Aggiustamento di facciata su Carrai Alla fine Mattarella ha dovuto accettare il generale Toschi, sul quale Renzi ha puntato i piedi perché assolutamente essenziale per parargli il culo dalle inchieste della magistratura, che di solito si basano proprio sulle indagini della Gdf, ma in cambio ha dovuto accettare un nuovo, anche se breve rinvio della nomina di Carrai, perché Mattarella non voleva dare alla sua nomina un rilievo istituzionale insediandolo contemporaneamente a vertici di apparati dello Stato. Inoltre Renzi ha dovuto rassicurarlo che il suo ruolo a Palazzo Chigi non sarà di capo della cybersicurezza, come era stato annunciato, ma di “consigliere” del premier su questa materia. Anche la scadenza prefissata di due anni per le nuove nomine sarebbe stata richiesta da Mattarella, per non irritare troppo le opposizioni parlamentari. Non che Renzi però abbia rinunciato affatto a far entrare Carrai nella stanza dei bottoni dei servizi segreti, tutt’altro. Ha solo dovuto accettare da Mattarella un aggiustamento di facciata, in modo che l’operazione sia più graduale e appaia meno scandalosa, travestendo il suo amicone da “consigliere” in attesa di trovare le vie più discrete per inserirlo nel ruolo già stabilito di capo dello spionaggio informatico di Palazzo Chigi: “Ho chiesto a Marco Carrai di venire a darmi una mano nel settore dei big data. Spero che non abbia cambiato idea, io no”, ha detto infatti il nuovo duce ai giornalisti bacchettandoli per aver irritato il suo amico raccontando i suoi tanti legami e frequentazioni con troppo “sfoggio di fantasia”. Carrai è troppo importante per Renzi, e non vuole assolutamente rinunciare a portarselo a Palazzo Chigi, non solo per usare al suo servizio l’azienda di spionaggio informatico con sedi in Italia e Israele di cui il suo amico fraterno è socio di maggioranza, ma anche perché essa è una delle principali casseforti che insieme alle varie fondazioni create dal suo “giglio magico” finanziano la sua ascesa politica, facendone parte come soci del Carrai grandi imprenditori delle infrastrutture pubbliche, consiglieri di Finmeccanica, capi di importanti gruppi bancari, ex agenti dei servizi segreti sionisti oggi dirigenti di aziende hitech israeliane, uomini legati ai colossi del tabacco. Oltre al solito fedelissimo renziano Davide Serra, finanziere trapiantato a Londra e creatore del fondo Algebris, e persino un commercialista accusato di riciclaggio. Tramite i pennivendoli Bernardo Valli e Gabriele Battaglia “Il venerdì di Repubblica”, avanguardia anticomunista, vomita veleno contro la rivoluzione culturale proletaria L’imminente 50° Anniversario della Rivoluzione culturale proletaria cinese, che cade il 16 maggio, è stato colto al volo da “Il Venerdì di Repubblica”, non certo animato dal desiderio di fare chiarezza in modo imparziale, bensì per attaccarla, demonizzarla e coprirla di falsità, veicolando una versione dei fatti che fa comodo alla borghesia e agli sfruttatori di ieri e di oggi. Sul numero del 6 maggio ha pubblicato una “testimonianza”, raccolta da Gabriele Battaglia, di un ex guardia rossa, per presentare la Rivoluzione culturale come un periodo durante il quale tutti vivevano nel terrore e potevano essere attaccati e deportati senza motivo. Non è certo la storia di un’autentica Guardia rossa im- pegnata a fare la rivoluzione, ma, come ammette il diretto interessato, di un giovane annoiato che approfittava della situazione per darsi al divertimento e a distruzioni insensate, come facevano gli “ultrasinistri”, i rampolli dei quadri revisionisti di destra e gli eredi dei proprietari terrieri rovesciati per creare scompiglio e far affondare la Rivoluzione culturale nella palude del fazionismo e delle lotte personali. Questa tendenza erronea fu duramente criticata da Mao e dai marxisti-leninisti nel Partito comunista cinese e sostanzialmente corretta fra il 1967 e il 1968, ma l’autore dell’articolo si guarda bene dal precisarlo. Il picco delle falsità è raggiunto però dal secondo articolo, a firma dell’anticomuni- sta Bernando Valli, arruolatosi in gioventù per cinque anni nella Legione straniera francese. Quest’ultimo, addirittura pasticciando la cronologia della Rivoluzione culturale, prende alcuni eccessi avvenuti allora (inevitabili in un movimento così complesso e senza precedenti nella storia) e li presenta come la linea ufficiale di Mao, quando in realtà quest’ultimo non mancò di criticarli. Distorcendo ulteriormente i fatti, Valli descrive la Rivoluzione culturale come “un’autentica manovra di potere, che fece milioni di morti” e “l’estrema iniziativa per contenere e annientare l’opposizione provocata dal clamoroso fallimento del Grande Balzo”. Al di là dei numeri decisamen- te pompati e fantasiosi sulle vittime, vedere la Rivoluzione culturale proletaria come una lotta di potere significa ignorare completamente che invece si trattò di una grande mobilitazione di massa in difesa del socialismo contro i dirigenti revisionisti, che spesso venivano costretti a misurarsi a viso aperto con assemblee di migliaia di persone; una mobilitazione durante la quale le masse sprigionarono creatività, entusiasmo e iniziativa, appropriandosi in via diretta della concezione proletaria del mondo. Del resto, confessa Valli, ammetterlo significherebbe presentare la Rivoluzione culturale come “qualcosa di simile a una democrazia diretta, reale o spontanea”. Ma l’obiettivo dell’operazione non è certo rista- bilire la verità storica e ciò è ancora più meschino se si pensa che l’autore ha conosciuto e visitato la Cina di Mao. Non una parola sulle ragioni reali che portarono alla Rivoluzione culturale che, nelle parole del suo ideatore e principale artefice Mao, “tocca l’uomo in quanto ha di più profondo e tende a risolvere il problema della sua concezione del mondo”. Non una parola, dicevamo, sulla grande mobilitazione popolare per strappare ai revisionisti il potere che avevano usurpato. Non una parola sulle grandi invenzioni politiche di quegli anni, come i gruppi teorici e di critica operai e contadini, la riforma dell’istruzione con l’abolizione degli esami d’accesso alle università, le uni- versità operaie, i “medici scalzi”, giusto per citarne alcune. Non una parola nemmeno sul fatto che la Rivoluzione culturale per dieci anni tenne alla larga dal potere quei revisionisti che, diretti da Deng Xiaoping, hanno poi restaurato il capitalismo in Cina e gettato milioni di giovani cinesi nello sfruttamento spietato. Insomma, siamo davanti a un’operazione mediatica strumentale che ha chiaramente l’obiettivo di dipingere il socialismo in generale e la Rivoluzione culturale cinese in particolare come orrori da non ripetere, presentando il capitalismo come assoluto e vincente, magari insieme ai suoi fautori di casa nostra come Renzi. 6 il bolscevico / interni N. 20 - 19 maggio 2016 Alla manifestazione nazionale del 7 maggio In 50mila a Roma gridano “Stop TTIP” Anche i sindacati CGIL, FIOM, USB e Cobas in piazza. Il PMLI invita a combattere l’imperialismo e a cacciare Renzi È stata una “splendida giornata”, nelle parole degli organizzatori della campagna “Stop TTIP Italia”, la manifestazione che sabato 7 maggio ha riempito le strade di Roma contro il TTIP, ossia il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti per il quale sono in corso le trattative fra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Il numero dei manifestanti si aggira fra i 50 e i 40mila, già di per sé un grande successo, tanto più se si tiene presente l’oscuramento mediatico operato dal governo e dai mass media ad esso asserviti. Oscuramento cui aveva fatto seguito, proprio il giorno prima della manifestazione, la solita campagna di terrorismo sui “rischi” di scontri e violenze per convincere le persone a starsene a casa. Il TTIP, lo ricordiamo, cancella le restrizioni al mercato soprattutto agro-alimentare e costituisce un enorme regalo ai grandi industriali, monopolisti, lobbisti e multinazionali europei, soprattutto d’oltreoceano, che avrebbero mano libera nella conquista di mercati appetitosi. Con conseguente danno non soltanto dei piccoli produttori e imprenditori già strozzati dalla crisi, ma soprattutto dei lavoratori, perché l’eliminazione delle cosiddette “barriere non tariffarie” - prevista dall’accordo – significa cancellare quei pochi diritti sul lavoro e norme di sicurezza alimentare e di tutela ambientale che ancora esistono. Ne conseguirebbero non soltanto maggiore disoccupazione e più possibilità di sfruttamento del lavoro, ma anche gravi rischi per la salute delle persone con l’ingresso a basso costo sul mercato europeo di prodotti provenienti dagli Usa che non rispettano certi standard di sicurezza ora previsti, a vantaggio per esempio dell’agro-chimica americana che fa largo uso di ogm, gli organismi geneticamente modificati. Migliaia di manifestanti giunti da ogni parte d’Italia, fra cui molte famiglie con bambini, hanno marciato nella capitale da piazza della Repubblica a piazza S. Giovanni, dietro un mare di bandiere e cartelli “Stop TTIP” e lo striscione “Persone prima dei profitti”; anche se sarebbe più corretto affermare che lo scontro è fra i diritti e sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente, da una parte, e il profitto capitalistico, dall’altra. La Cgil, sia a livello confederale che tramite la Flai, e la Fiom erano presenti al massimo livello coi rispettivi segretari generali Camusso e Landini, quest’ultimo ha dichiarato che “c’è in ballo la democrazia, i diritti e il lavoro”. In prima fila anche Legambiente e Greenpeace, entrambe in testa alla lotta contro il TTIP; l’esponente di Greenpeace, Federica Ferrario, ha quasi echeggiato le parole di Landini dicendo che “il TTIP è una minaccia contro la democrazia, i diritti della salute e dei lavoratori”. C’erano poi, fra gli altri, Usb, Co- bas, Coldiretti, Attac, mamme No Ogm. Presente anche il PMLI aderente ufficialmente alla campagna “Stop TTIP Italia”, e che ha invitato a combattere l’imperialismo e a cacciare il nuovo duce Renzi. Vale la pena notare che il Movimento 5 stelle, che si era presentato solo per chiedere “elezioni subito”, è stato costretto a stare alla coda del corteo. “Avete toccato il fondo” era uno degli slogan sentiti più di frequente nel corteo, dove spuntavano anche cartelli e striscioni antigovernativi come: “Governo servo delle multinazionali”. I manifestanti hanno denunciato anche la segretezza con cui vengono condotti i negoziati, e all’“l’ombra nella quale, come vampiri, si muovono le oligarchie europee e Usa”, nelle parole del comboniano Alex Zanotelli, fra i promotori della giornata. Nel goffo tentativo di indorare la pillola, recentemente la Commissione europea ha presentato una lista di 200 prodotti di origine protetta da tutelare, ma le organizzazioni ambientaliste denunciano che il mercato dei Dop e Doc è costituito da piccoli produttori che non potrebbero resistere alla concorrenza di prodotti americani a minor costo. Sulla stessa falsariga il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che ha garantito che non ci sarà alcun abbassamento delle tutele, belle parole che però non trovano nessun riscontro nei fatti. Riuscitissimo il primo sciopero intersettoriale I lavoratori del terziario in piazza per il rinnovo del contratto Per un milione e mezzo di lavoratrici e lavoratori è scaduto da oltre tre anni, e per il comparto termale da sei Con la parola d’ordine “#fuoriservizio contro chi pensa di toglierci diritti e salario” il 6 maggio scorso decine di piazze italiane sono state invase da baristi, camerieri, cuochi, operatori del comparto pulizia e sanificazione, attività ausiliarie e facility management, addetti mense, receptionist, impiegati di agenzie di viaggio, lavoratori dei fast food, operatori del comparto termale, lavoratori delle farmacie private. Un milione e mezzo di lavoratrici e lavoratori che da oltre tre anni sono in attesa del contratto nazionale di lavoro, e in alcuni casi, come per il comparto termale, anche da sei. È la prima volta che le categorie Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs Uil e Uiltrasporti proclamano uno sciopero intersettoriale che mette insieme tanti addetti, accomunati dalle posizioni di chiusura delle associazioni padronali, come Confesercenti, Confcommercio, Confindustria-Federturismo, Federdistribuzione, Federfarma, Confapi, Legacoop, Servizi Confcooperative, ecc., che impediscono il rinnovo dei contratti. Vasta ovunque l’adesione allo sciopero. E riuscitissime le iniziative di lotta. Le manifestazioni sono state molte, articolate su tutto il territorio italiano. In Toscana, in più di 5 mila, arrivati con bus da tutta la regione, si sono presentati all’iniziativa regionale svoltasi in piazza San Lorenzo a Firenze. Scioperi regionali anche nelle Marche, con presidio ad Ancona; in Abruzzo, con presidio davanti alla Prefettura di Pescara; in Cam- pania con appuntamento alla prefettura di Napoli, in Puglia, davanti alla Confindustria di Bari; in Calabria a Lamezia Terme e un unico presidio di Trentino e Sud Tirolo. In Sardegna, è stata organizzata una conferenza stampa a Cagliari e presidi in tutte le province davanti ai posti di lavoro. Iniziative territoriali in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Molise, Sicilia. A Milano a guidare il corteo che li ha portati sotto la sede della Regione Lombardia c’erano i farmacisti con il camice bianco, dietro gli operatori delle pulizie con le scope, e poi arrivavano quelli delle mense con tanti piatti di plastica che sono stati lanciati simbolicamente contro la sede del potere lombardo “Vuoti, come le nostre buste paga, visto che le imprese non rinnovano il contratto ormai da tre anni”. I padroni infatti non solo mettono pochi euro sul piatto, ma vogliono gettare sulle spalle dei lavoratori un fardello insopportabile. “Chiedono innanzitutto un arretramento sugli appalti, diffusissimi nel settore – spiega Giorgio Ortolani, segretario Filcams Lombardia – Vorrebbero poter riazzerare a ogni cambio il contatore dell’anzianità, gli orari, i livelli. Quella di conservare le vecchie condizioni di lavoro è una delle garanzie chiave per lavoratori già molto esposti, e se viene meno anche questa, la loro condizione sarà insostenibile”. E infatti per molti di loro gli stipendi sono già da fame: se si considera ad esempio il caso dei lavoratori delle mense o delle pulizie (dovremmo dire meglio, le lavoratrici, visto che la gran parte degli addetti sono donne) spesso non superano i 500-600 euro al mese, al costo di orari spezzati, peripezie e spostamenti di chilometri per poter coprire diversi appalti. A parte la questione degli appalti, fondamentali ad esempio nelle pulizie, ma anche negli alberghi e nelle mense, più in generale il padronato pretende tagli nella malattia, negli scatti di anzianità, o nei rol, i permessi individuali: richiesta tipica di multinazionali del fast food come McDonald’s e Autogrill. E intanto dilagano i tirocini e i voucher, dopo gli anni in cui il precariato si era già ben dispiegato con i contratti a termine e gli impieghi interinali. Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs chiedono anche una “responsabilizzazione della committenza pubblica, perché vigili sugli appalti – spiega ancora il segretario Filcams lombardo – Che si rispettino i contratti e che i lavoratori abbiano tutte le tutele: quello che riscontriamo, al contrario, è che una volta assegnata la commessa, il committente se ne disinteressa del tutto”. Lavoro questo che non sarà certo facilitato dal recente “colpo di mano” del governo Renzi sugli appalti: dopo un accordo con i sindacati sulla questione dei subappalti e sull’obbligatorietà della clausola sociale, il governo ha improvvisamente cambiato (in peggio) il testo della nuova legge al momento della pubblicazione in Gazzetta ufficiale. L’ennesimo colpo di mano di Renzi contro i lavoratori e i loro diritti. Roma, 7 maggio 2016. Il cartello e la bandiera del PMLI alla manifestazione contro il TTIP Il successo della manifestazione del 7 maggio dà nuovo slancio alla campagna contro il TTIP e sono previste ulteriori mobilitazioni, anche in concomitanza con le analoghe iniziative negli altri Paesi europei. Per portare a compimento questa importante battaglia, però, bisognerebbe che l’Italia uscisse dall’Ue, che si è dimostrata per l’ennesima volta nient’altro che un’alleanza imperialista al servizio dei monopoli e delle multinazionali sulle spalle dei popoli che la compongono, dei diritti dei lavoratori, della sicurezza alimentare e dell’ambiente. Un buon inizio sarebbe cacciare il governo del nuovo duce Renzi che, a sua volta, cura gli interessi non delle masse lavoratrici, ma del padronato, delle multinazionali e del mercato capitalistico senza freni o restrizioni e non si oppone al TTIP. Per questo è urgente costruire una grande opposizione sociale e di massa che si batta con questi obiettivi. Il PMLI tra le masse in lotta NO TTIP Molto interesse tra i manifestanti. Fotografatissimo il cartellone antimperialista. Apprezzati i canti e gli slogan contro il governo Renzi Dal corrispondente della Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Roma Nel pomeriggio del 7 maggio, un lungo corteo di circa 50 mila manifestanti NO TTIP è partito da piazza della Repubblica per raggiungere il palco e gli stand in Piazza San Giovanni. Ad aprire un nutrito spezzone di attivisti GreenPeace seguiti dai lavoratori di CGIL e FIOM, provenienti soprattutto dal Nord Italia. Tra i partiti della “sinistra” borghese erano presenti Rifondazione Comunista e il PC del candidato sindaco, e nostalgico Petroselli, Mustillo. Inoltre è da citare la presenza di un discreto numero di manifestanti del Movimento 5 Stelle, che hanno portato lo striscione “Elezioni Subito” totalmente avulso dal contesto politico e dalla protesta e giustamente arginato dialetticamente dai manifestanti. Il PMLI era presente in piazza con una piccola delegazione formata da militanti di Roma e di Civitavecchia, con i “corpetti”, la bandiera e il cartellone antimperialista “Fermiamo il TTIP, manna per i grandi monopoli e fonte di nuovi danni e sventure per i popoli. Lottiamo contro l’imperialismo cacciamo il nuovo Mussolini Renzi”. Sin dal concentramento il PMLI ha destato molto interesse tra i manifestanti e il cartellone è risul- tato forse il più azzeccato e sicuramente molto fotografato. Per tutto il corteo, il PMLI ha sfilato accanto agli operai FIOM e ai lavoratori agricoli della FLAI CGIL, appena dietro la testa del corteo. Sono stati intonati canti e scanditi slogan contro il governo, molto apprezzati dagli altri manifestanti. Il palco di San Giovanni era alla fine di due file di stand per la raccolta delle firme contro il Trattato TTIP e la sensibilizzazione ai prodotti agroalimentari da coltivazioni sostenibili. Si sono alternati al microfono rappresentanti di varie associazioni partecipanti e dei gruppi musicali, per terminare con gli interventi di Landini e Camusso. I T S I N O I S N ASTE A R T S I N I S I D I T NI AST IE ! I V E T A T I L B MO rnati o gove ni sian del popolo u m o c i Perché e al servizio socialismo il olo dal pop ci vuole RE NON VOTA I PARTITIL A I BORGHES DEL SERVIZIO SMO CAPITALI iamo Delegittimoni le istituzi ative nt rapprese borghesi I UZIOSN SE ISTIT A M E L E L MO TIVE DEL IALISMO C A CREIA ESENT DEL SO TA ITALIANO RAPPR FAUTRICI -LENINIS RXISTA PARTITO MA mli.it www.p FIRENZE a - 50142 aiolo, 172 li.it del Poll @pm Antonio commissioni rale: Via e-mail: Sede cent055.5123164 Tel. e fax Aiutate il PMLI a propagandare l’astensionismo contro il capitalismo i suoi governi, istituzioni e partiti per il socialismo interni / il bolscevico 7 N. 20 - 19 maggio 2016 Renzi stringe un patto di maggioranza col plurinquisito Verdini La sinistra PD mugugna ma si adegua. Il leader di Ala: Siamo in paradiso Come due amanti stufi di incontrarsi sempre di nascosto il partito di Renzi e il gruppo Ala di Denis Verdini hanno deciso di ufficializzare la loro relazione scandalosa, in barba ai mugugni e alle proteste della sinistra del PD. Non è ancora l’ingresso ufficiale dell’ex braccio destro di Berlusconi nella maggioranza, ma di fatto è come se lo fosse, dato che i due gruppi parlamentari, dopo l’incontro ufficiale del 29 aprile, hanno deciso di formare un coordinamento per discutere e concordare insieme i provvedimenti e le relative votazioni in parlamento; nonché per accordarsi sull’appoggio di Ala ai candidati del PD a Roma, Napoli, Torino e ovunque possibile e, naturalmente, anche alla campagna per il sì al referendum di ottobre sulla controriforma costituzionale di Renzi e Boschi. L’incontro, che formalmente era stato richiesto dai verdiniani per dare maggiore “dignità politica” al loro “appoggio esterno” al governo, non più cioè ascari di Renzi ma alleati quasi con pari dignità degli alfaniani, è avvenuto nella sede del gruppo parlamentare del PD, alla presenza del vicepresidente del PD, Lorenzo Guerini, e dei capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda. Per Ala erano presenti lo stesso Verdini e i rispettivi presidenti di senatori e deputati, Lucio Barani e Ignazio Abrignani. Un incontro quindi di alto livello, a cui si è voluto dare un ostentato rilievo, tanto che in un primo momento era corsa voce che si sarebbe addirittura tenuto nella sede nazionale del PD del Nazareno. Forse fondata o forse diffusa solo a scopo provocatorio nei confronti della sinistra PD, che difatti è insorta allarmata e sbigottita. Fatto sta che poi è stato deciso di tenere l’incontro nelle stanze del gruppo parlamentare, nell’ufficio di Rosato, mentre un inviato della sinistra PD sorvegliava che non venisse “profanata” l’aula intitolata a Enrico Berlinguer. Alleati per “completare le riforme” Naturalmente, interrogati al termine dell’incontro, tutti i partecipanti hanno negato che si fosse stipulato un patto per l’ingresso di Ala nella maggioranza. Ma il plurinquisito Verdini, incurante dei cinque procedimenti giudiziari in corso e della condanna in primo grado per bancarotta fraudolenta, ha potuto pavoneggiarsi tra i giornalisti come il vero artefice e trionfatore dell’incontro, dichiarando col suo solito linguaggio sornione: “Non siamo in maggioranza, l’opposizione dice che non siamo all’opposizione... dove siamo allora? Siamo in Paradiso”. “Siamo per il governo come il buon padre di famiglia”, ha aggiunto raggiante Barani. “Tra i gruppi di Ala e del PD ha poi spiegato Verdini - non c’era ancora stato alcun incontro e visto che siamo nati per sostenere le riforme era necessario che ci vedessimo. Occorreva parlarsi perché noi finora abbiamo votato i provvedimenti che sono arrivati in Aula, ma ora vorremmo vederli prima. Abbiamo concordato un metodo di confronto senza il quale ci saremo trovati in difficoltà”. E alla domanda se con i suoi parteciperà alle riunioni dei gruppi di maggioranza per esaminare insieme le proposte di legge e gli emendamenti, ha risposto senza esitazione che “sì, questo è importante per la funzionalità del lavoro alla Camera e al Senato, per completare il percorso delle riforme“. L’artefice, insieme all’amicone Luca Lotti, del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, ha confermato che si è parlato anche della partecipazione di Ala alla campagna per far vincere il sì al referendum di ottobre, anche se non è ancora stato formalizzato in che modo: “Abbiamo parlato della formazione dei comitati per il sì senza stabilire ancora nulla. Anche gli amici del PD stanno pensando a cosa fare. La nostra intenzione è votare sì, è evidente visto che siamo nati per il sì”. Anche Rosato, pur evitando di dare troppe spiegazioni, ha ammesso comunque che sul referendum con Ala “ci sarà un coordinamento, certo”. Aggiungendo di aver concordato “che sui provvedimenti importanti ci sia la consultazione anche del gruppo di Ala”. Oltre a questo i verdiniani sono pronti ad affiancare il PD alle prossime elezioni comunali, appoggiando Giachetti a Roma, Fassino a Torino e la renziana Valente a Napoli. Dove oltretutto possono mettere a disposizione di Renzi l’influenza sul territorio dei cosen- tiniani passati tra le loro file, come Vincenzo D’Anna e Ciro Falanga, a cui si è aggiunto di recente il senatore Antonio Milo, passato dal gruppo di Fitto a quello di Verdini. Con quest’ultimo acquisto, anzi, che porta a 20 il numero di senatori di Ala facendone la terza forza parlamentare in Senato dopo il PD di Renzi e Area Popolare di Alfano, i verdiniani sono ormai in grado di sostituire quasi di peso la sinistra del PD, che a Palazzo Madama conta al massimo su 24 senatori. Un altro rospo ingoiato dalla sinistra PD Un assaggio di quel che significa il patto di maggioranza Renzi-Verdini lo si è avuto pochi giorni dopo in commissione Giustizia del Senato, riunitasi nella sede del guardasigilli Orlando per approvare il testo base sulla riforma della prescrizione, alla quale ha partecipato anche il verdiniano Ciro Falanga, seduto accanto al relatore Felice Casson. Poi se n’è andato prima della votazione, tra le proteste dei Cinquestelle per l’intrusione, che hanno anche accusato Renzi di “riscrivere la giustizia col condannato Verdini”. Eppure l’intruso ha dichiarato a la Repubblica che “mi hanno invitato i colleghi del PD per mettermi a parte del testo base sulla prescrizione. Che male c’è”? E ha fatto i nomi di Zanda, Casson e Lumia. Facile immaginare l’allarme e lo sconcerto della minoranza dei vari Bersani, Speranza e Cuperlo, che con il vertice Guerini-Verdini hanno dovuto ingoiare un altro rospo ammannito dal nuovo duce. Ma come sempre hanno ingoiato anche questo, pur mugugnando e continuando a rimuginare propositi di rivincita, chissà come e chissà quando: “Se Denis Verdini entra nella maggioranza, è la fine del Partito democratico. Semplicemente il PD non c’è più”, si è lagnato Roberto Speranza con la Repubblica, come se questo non fosse già una realtà. Quanto a Cuperlo non si è nemmeno scandalizzato troppo per il vertice con il plurinquisito Verdini: “Il gruppo dirigente del PD incontra chi vuole, noi abbiamo preso atto da tempo che la maggioranza che sostiene il governo comprende anche quelle forze”, ha dichiarato col suo solito aplomb. Ma se ciò preludesse a un “accordo politico più ampio”, ha cercato di sottilizzare l’ex anti-Renzi, “metterebbe seriamente in discussione la natura stessa del PD, nato come colonna portante del centrosinistra”. Sesto rinvio a giudizio dell’alleato di Renzi Verdini sarà processato per bancarotta aggravata E sei! Denis Verdini, ex coordinatore di Forza Italia-PDL, padrino del famigerato patto del Nazareno e attuale sostenitore del governo Renzi con il gruppo Ala (Alleanza liberalpopolare-Autonomie) ha collezionato il sesto rinvio a giudizio in due anni e sarà alla sbarra il 14 marzo 2017 per rispondere di bancarotta aggravata. Lo ha deciso il 18 aprile il Giudice per l’udienza preliminare (Gup) del tribunale di Firenze Dolores Limongi che ha ritenuto Verdini massimo responsabile del fallimento della Società Toscana di Edizioni (Ste) che editava Il Giornale della Toscana, edizione fiorentina de “Il Giornale” della famiglia Berlusconi, dichiarata fallita nel 2014. A processo anche Massimo Parisi, deputato eletto nel PDL e poi passato ad Ala già coordinatore regionale di Forza Italia in Toscana e membro del cda Ste dal 1998 al 2008; il principe Girolamo Strozzi, in qualità di presidente della Ste dal 1998 al 2012; Enrico Luca Biagiotti, membro del cda della Ste e Pierluigi Picerno, amministratore e poi liquidatore della società. Secondo l’accusa, Verdini e Parisi in particolare si sono appropriati di 2,6 milioni degli oltre 120 milioni di euro rapinati al popolo nel corso degli ultimi tre anni e elargiti dallo Stato come contributi all’editoria. Secondo il Pubblico ministero (Pm) Luca Turco, mentre la Ste era in stato di insolvenza, i cinque imputati hanno compiuto atti di distrazione di capitali dal suo patrimonio quando già era in grave perdita. Per la Procura, tra le circostanze che hanno provocato il fallimento della Ste compare un’operazione da 2 milioni e 600mila euro, somma che è finita nei conti correnti di Verdini e di Parisi per 1,3 milioni ciascuno. Il 17 marzo 2016 Verdini era stato condannato a due anni, pena sospesa, per concorso in corruzione nell’ambito dell’inchiesta sugli scandalosi appalti per la costruzione della Scuola dei Marescialli di Firenze. Verdini è sotto processo anche per il crac di una ditta che avrebbe dovuto ricevere 4 milioni di euro del Credito cooperativo fiorentino. Gli altri tre dibattimenti riguardano la bancarotta dello stesso Credito cooperativo fiorentino, il cosiddetto “affare P3“ e la plusvalenza nella vendita di un appartamento a Roma. È il braccio destro di Guerini A una settimana esatta dalla raffica di arresti e avvisi di garanzia che ha investito il presidente campano del PD Stefano Graziano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, il 3 maggio è finito in galera il sindaco di Lodi, Simone Uggetti, braccio destro del vicesegretario del PD Guerini con l’accusa di turbativa d’asta. Secondo gli inquirenti della procura di Lodi, Uggetti ha aggiustato una gara d’appalto per la gestione delle piscine comunali per favorire una società “amica”, la Sporting Lodi. Per la stessa inchiesta è finito agli arresti anche il rappresentante legale della Sporting di Lodi, Cristiano Marini. Il sindaco di Lodi è una vecchissima conoscenza di Guerini. A vent’anni era un esponente di spicco della “sinistra” giovanile lodigiana. Tra l’altro è stato per dieci anni consigliere comunale (capogruppo dei Ds) e poi assessore all’Ambiente, Urbanistica, Mobilità Sostenibile e Attività Produttive durante i due mandati di Guerini sindaco (2006-2013). Ex bersaniano, ha fatto il suo ingresso nel “giglio magico” renziano tre anni fa quando il nuovo duce è salito fino al capoluogo lombardo per sostenere la sua candida- Arrestato il sindaco PD di Lodi Uggetti è accusato di turbativa di asta tura a sindaco quando Guerini è diventato parlamentare. “Pur davanti alla consapevolezza di realizzare degli illeciti - ha commentato il Gip di Lodi Isabella Ciriaco - gli indagati manifestano apertamente il fastidio derivante da chi denuncia a gran voce le loro condotte nefaste e contrarie alla legge e al primario interesse pubblico”. Il motivo per cui la procura ha richiesto e il Tribunale ha riconosciuto la custodia cautelare in carcere per entrambi gli indagati è duplice. C’è il rischio di reiterazione dei reati, sia per il sindaco che per l’avvocato, ma soprattutto il pericolo di inquinamento probatorio. “L’inquinamento probatorio è stato già verificato nel corso delle indagini - hanno spiegato i Pubblici ministeri (Pm) di Lodi, Laura Siano e Sara Mantovani, durante la conferenza stampa - non ultima ma rilevante tra le condotte accertate c’era la formattazione di alcuni computer in uso agli indagati e allo stesso Comune”. L’inchiesta è partita nel marzo scorso in seguito alla denuncia della funzionaria comunale che stava predisponendo il bando. Il sindaco, a suo dire, più volte avrebbe interferito per far vincere la società rappresentata da Marini (le due piscine all’aperto, aggiudicate in gestione per 7mila e 500 euro, nel periodo estivo registrano 100 mila euro di utile). Secondo il gip di Lodi, Isabella Il nuovo duce Matteo Renzi interviene in un comizio a sostegno della candidatura di Simone Uggetti a sindaco di Lodi Ciriaco, i due hanno “alterato il libero svolgimento della gara”. La turbativa si è realizzata “attraverso il confezionamento del bando con l’espresso riconoscimento di punteggi che potessero in concreto favorire la Sporting Lodi e garantirle il buon esito dell’appalto”. Per quanto riguarda Uggetti, prosegue il Gip, si tratta di “un soggetto autoritario che riesce a imporsi sui soggetti intorno a lui” ed è in grado “di subordinare e intimidire i testimoni”. Non solo: egli “Ha tradito l’alta funzione e l’incarico attribuitogli dai cittadini gestendo la cosa pubblica in maniera arbitraria e prepotente” e “Il ruolo pubblico gli ha consentito di intessere rapporti privilegiati con vertici politici e anche delle forze dell’ordine”. Per quanto riguarda la Sporting – hanno chiarito ancora i Pm - si trattava di una società di facciata che aveva dietro di sé la Wasken Boys, società più nota che i due indagati avrebbero preferito non comparisse nella vicenda “in quanto più nota al pubblico e quindi suscettibile di attirare maggiori critiche e controlli”. Oltre a essere accusato di “inquinamento di prove”, Uggetti ha fissato un incontro con il colonnello Benassi, comandante provinciale della Finanza: “finalizzato certamente a carpire - sono le parole del Gip - informazioni sulle indagini in corso”. Ma anche con l’intento di “screditare il possibile concorrente escluso che sapeva essere un suo possibile denunciante”. Alla fine il sindaco ottiene il suo obiettivo. Col bando preconfenzionato per la Sporting Lodi, partecipa alla gara solo un’altra società. La base d’asta, di 5.000 euro, si alza di pochissimo, solo fino a 7.500, per un appalto che garantisce ricavi anni da circa 300 mila euro. E mentre Guerini con faccia tosta si arrampica sugli specchi per difendere il suo compare di partito definendo Uggetti “persona corretta e limpida”, le cronache giudiziarie invece confermano che, da Mafia capitale, allo scandalo del petrolio, dal voto di scambio in Campania, Calabria e Sicilia, agli appalti truccati, il governo Renzi e i vertici del PD sono dentro fino al collo nel verminaio di mafiopoli e tangentopoli. 8 il bolscevico / interni N. 20 - 19 maggio 2016 Indagato il presidente del PD campano: “Voti per favori ai boss casalesi” Graziano, già consulente dei governi Letta e Renzi, è accusato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso La bufera giudiziaria che ha investito il PD di Renzi e alcuni massimi esponenti del suo nero governo nel corso degli ultimi mesi non accenna a placarsi. Ormai si contano a decine fra ministri, sottosegretari, parlamentari, amministratori locali e dirigenti di partito arrestati o iscritti nel registro degli indagati dalle procure di mezza Italia con accuse gravi e infamanti che vanno dalla corruzione all’associazione per delinquere di stampo mafioso. L’ultimo in ordine di tempo, anzi il penultimo, visto che il 2 maggio è finito in galera anche il sindaco di Lodi Simone Uggetti per turbativa d’asta, porta la data del 26 aprile e riguarda il presidente del PD campano nonché consigliere regionale e consulente dei governi Letta e Renzi per l’attuazione del programma, Stefano Graziano, accusato dai Pubblici ministeri (Pm) della Dda di Napoli di concorso esterno in associazione mafiosa. L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, riguarda un mercimonio di voti, tangenti, appalti e scambi di favori fra Graziano e il clan dei Casalesi. In carcere sono finite nove persone fra cui Biagio Di Muro, sinda- co PD di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) fino al novembre scorso, e l’attuale responsabile dell’Ufficio Tecnico dello stesso comune Roberto Di Tommaso. Sono tutti accusati a vario titolo dei reati di corruzione e turbativa d’asta con l’aggravante di aver agevolato il clan camorristico dei Casalesi. Gli inquirenti hanno perquisito le abitazioni di proprietà di Graziano a Roma e Teverola (Caserta) e il suo ufficio presso il Centro Direzionale di Napoli. Dalle indagini è emerso che il boss politico piddino ha chiesto e ottenuto appoggi elettorali in riferimento alle ultime consultazioni per l’elezione del Consiglio regionale della Campania. Graziano, si legge nel provvedimento giudiziario, si è posto “come punto di riferimento politico ed amministrativo” del clan Zagaria del quale è accusato di far parte Alessandro Zagaria, imprenditore ritenuto l’anello di congiunzione tra l’amministrazione e il clan guidato dal boss camorrista Michele Zagaria. L’inchiesta è partita da una intercettazione di colloqui tra Zagaria e Di Muro nel corso dei quali i due facevano esplicito riferimento all’appoggio elettorale che occorreva garantire a Graziano. Infatti, dopo aver fatto il pieno di quasi 16mila preferenze alle ultime regionali, il boss piddino si è subito attivato per favorire il clan dei casalesi nell’assegnazione dell’appalto da due milioni di euro per realizzare il cosiddetto Polo della legalità nello storico Palazzo Teti Maffuccini di Santa Maria Capua Vetere. Una gara per la quale sono state accertate mazzette per circa 100 mila euro, 70 mila dei quali effettivamente corrisposti. Emblematica in tal senso risulta l’intercettazione ambientale del novembre 2014 tra Zagaria e Di Muro. I due parlano di politica e di affari. “Ma che c...stai dicendo, io tengo per il PD”, dice Zagaria a Di Muro. E aggiunge: “E già non sta bene... perché noi dobbiamo portare a Graziano (Stefano, precisano gli inquirenti) e tu non ti fai vedere. Ti dovrei allontanare io a te! O no?” In un’altra conversazione, Di Muro fa esplicito riferimento all’appalto e all’aiuto che Graziano avrebbe dovuto fornire affinché il finanziamento per palazzo Teti Maffucini venisse trasferito da un capitolato di spesa ad un altro. “Io tengo un santo in paradiso che mi protegge!... o no?” afferma Di Muro. Zagaria conferma e aggiunge: “Come a me! Quando va bene...hai capito?... in grazia di Dio! Quello domani va a Roma e giovedì siamo qua”. Di Muro secondo gli inquirenti si sarebbe mosso attraverso Graziano presso il ministero dell’Interno per lo spostamento del finanziamento ad un altro capitolo di bilancio, “dalla misura 2.5 al Piano azione giovani sicurezza e legalità”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il giudice Anna Laura Alfano accusa Di Muro di aver “veicolato l’aggiudicazione dell’appalto in favore delle ditte gradite disposte a pagare la tangente”. Il sindaco, aggiunge il Gip, “segue attentamente la vicenda e si preoccupa della risoluzione degli intoppi perché altrimenti - aggiunge citando una delle intercettazioni - ‘l’ossigeno finisce mano a mano’”. Per il momento l’identità del referente politico di Roma su cui Graziano per conto dei casalesi ha fatto pressioni per sbloccare l’appalto, rimane nell’ombra. Ma tra i faldoni dell’inchiesta c’è un’intercettazione in cui l’architetto napoletano Guglielmo La Regina, finito ai domiciliari per corruzione, parla con un’altra indagata, la professionista Loredana Di Giovanni, e accenna alla sua amicizia con Alessandro Picardi, compagno della ministra della Salute Beatrice Lorenzin “con il quale - annota la polizia giudiziaria - egli andrà in vacanza” mentre La Regina aggiunge “che la cosa potrebbe interessare il marito di Loredana, che opera in campo sanitario”. Interrogata a settembre 2015 la Di Giovanni ha dichiarato fra l’altro che “Era chiaro che per poter far vincere la ditta indicata da La Regina occorreva pagare una percentuale “. Il ruolo di Graziano “era quello di mediare tra il sindaco e La Regina e anche quello di quantificare la percentuale che l’impresa aggiudicataria avrebbe dovuto versare a Di Muro a titolo di tangente corruttiva”. L’accordo fu raggiunto sul 3 per cento, dopo una prima ipotesi del 10, poi “ridotta a causa della resistenza di La Regina che la riteneva troppo elevata”. Nato ad Aversa, 45 anni, Graziano inizia la sua carriera politica tra file dell’Azione Cattolica per poi passare “sotto la fibbia” dei vecchi boss democristiani Ciriaco De Mita e successivamente con Marco Follini con il quale dà vita a Italia di mezzo. Nel 2007 aderisce insieme a tanti altri “amici” e ferri vecchi democristiani al PD e viene subito nominato capo del tesseramento nazionale, e successivamente viene deputato per una legislatura fino al 2013. Nel settembre il 2013 Letta lo nomina consigliere per l’attuazione del programma di governo alla presidenza del consiglio dei ministri nel settembre 2013. L’incarico, secondo quanto fatto sapere da Palazzo Chigi, non è stato riconfermato dal governo Renzi poiché la nomina aveva la durata di 12 mesi e non c’è stata nessuna proroga. Ma è lo stesso Graziano a smentire le affermazioni di Renzi precisando che lui non è “stato cacciato da Palazzo Chigi” ma si è dimesso “per motivi etici all’atto dell’accettazione della candidatura in Consiglio Regionale, per non ricoprire un duplice ruolo”. E comunque se Renzi sapeva che Graziano se la intendeva con la camorra perché si sarebbe limitato a “cacciarlo da Palazzo Chigi” mantenendolo nel PD con la prospettiva oltretutto di diventare presidente regionale del Partito nel 2014 e consigliere regionale nel 2015? Landini si libera del portavoce del Sindacato è un’altra cosa Un atto d’imperio alla Renzi e alla Marchionne Il leader della Fiom, ormai ombra di se stesso, non tollera il dissenso interno alla Federazione dei metalmeccanici, come la Camusso nella Cgil Giudicati “incompatibili” i delegati FCA che a Termoli e Melfi hanno scioperato contro gli straordinari Proprio chi reclamava nella Cgil democrazia e pluralismo di opinioni si è dimostrato intollerabile verso chi non si allinea alle sue posizioni. Stiamo parlando di Maurizio Landini, il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil che con il suo comportamento sta dimostrando come nella Fiom oramai non c’è più spazio per chi dissente. L’ultimo a farne le spese è stato Sergio Bellavita, a cui è stato revocato il distacco sindacale, in sostanza è stato “licenziato” dalla Fiom e rimandato a lavorare nella sua azienda di provenienza, le officine meccaniche Cei di Anzola Emilia. Un atto molto grave, in perfetto stile Renzi, una mossa che dimostra come Landini non tolleri chi contesta la sua direzione e la linea della Fiom, specie quella adottata negli ultimi anni. Bellavita non è stato solo un membro della segreteria nazionale Fiom, estromesso nel 2012 con uno stratagemma tecnico, ma è anche, dopo il ritiro di Giorgio Cremaschi, il portavoce nazionale de Il Sindacato è un’altra cosa, l’area che si colloca a sinistra nel sindacato della Camusso. Quindi è chiaro come questa mossa sia un palese tentativo di tappare la bocca alla minoranza critica della Cgil e della Fiom. Altre volte ci sono stati dirigenti allontanati o emarginati ma raramente si è usato un atteggiamento cosi arrogante e autoritario in Cgil. Sembra piuttosto di assistere al copione che si recita nelle riunioni della segreteria del PD, dove il nuovo duce Renzi tiene le sue rese dei conti con gli oppositori interni, o peggio ancora questa cacciata assomiglia a un comportamento padronale, degno di Marchionne, dove il dipendente non gradito viene licenziato, alla faccia del grande sindacato plurale, dell’inclusione delle idee, della dialettica democratica, delle minoranze e delle opposizioni interne che sarebbero tutelate. Il caso di Bellavita non è l’unico perché proprio in questi mesi abbiamo assistito a un’altra vicenda davvero sconcertante. Ci riferiamo ai 16 delegati Fiom degli stabilimenti di Melfi, Termoli, Cassino e Atessa del gruppo FCA che per il loro comportamento sono stati giudicati “incompatibili” e sospesi dal sindacato. Qual è la loro colpa? Aver partecipato a scioperi e iniziative contro gli straordinari comandati ogni sabato e contro i turni massacranti nonostante il parere contrario della FIOM. I dirigenti regionali di Molise e Basilicata si sono rivolti al Collegio statutario nazionale della Cgil per chiedere sanzioni contro questi delegati che puntualmente sono arrivate. Il 7 marzo il comitato centrale della Fiom approvava quanto deliberato dal collegio. Praticamente non è consentita “la presenza in ruoli di direzione e rappresentanza di iscritte e iscritti che promuovono o aderiscono a forme associative sindacali o parasindacali in competizione con la rappresentatività generale alla quale tende la Cgil, ovvero promuovono azioni organizzate che di fronte alle controparti del sindacato rompono l’unita’ della Cgil Susanna Camusso e Maurizio Landini affettuosamente insieme durante una manifestazione nazionale della FIOM a Roma. A destra Fabio Palmieri, provocatore antiPMLI, che in occasione della manifestazione della FIOM a Roma il 16 ottobre 2010 cercò di impedire l’accesso al corteo alla delegazione nazionale del Partito come soggetto contrattuale”. Tradotto più semplicemente vuol dire che gli iscritti alla Cgil non possono aderire a comitati di lotta che riuniscono altre organizzazioni e sigle sindacali non gradite. La colpa dei delegati è stata quella di lottare contro il modello Marchionne assieme a lavoratori iscritti a Cobas e Usb e aver promosso il “comitato intersindacale di lavoratori e delegati FCA (ex Fiat) del centro sud”. Una lotta che oltretutto ha ottenuto crescenti adesioni e risultati tanto che FCA è stata costretta ad assumere 110 persone per far fronte alla produzione. Invece di sostenere questi eroici e combattivi operai, la Fiom li scarica e li lascia alla mercé della rappresaglia aziendale della FCA. Che le due vicende siano legate lo dimostra anche la nota della segreteria nazionale della Fiom del 22 marzo che accusa Il Sindacato è un’altra cosa di essere impegnato in una “vera e propria campagna di denigrazione dell’organizzazione” proprio in riferimento alla denuncia fatta dall’area sulla gravità delle conseguenze dell’applicazione della delibera del collegio statutario sui 16 iscritti alla Fiom degli stabilimenti di Termoli e Melfi. Su entrambe le vicende si sono fatti sentire molte RSU, delegati e semplici lavoratori che da tutta Italia hanno espresso solidarietà ai protagonisti, chiedendo l’immediato ritiro dei provvedimenti contro Bellavita e i delegati FCA, una richiesta a cui ci uniamo anche noi marxisti-leninisti. Landini ha risposto con una nota della segreteria piena d’ipocrisia, dove si afferma: “rientrare nel proprio po- sto di lavoro dopo un esperienza sindacale è successo e succederà a tante persone” in riferimento al licenziamento di Bellavita. Ma quando mai! Questa dovrebbe essere la regola, ma quando si è visto un dirigente nazionale rispedito a lavorare, a meno che questi non fosse indesiderato? Così come è ipocrita giudicare incompatibile l’adesione alla Fiom e allo stesso tempo far parte di comitati di lotta di lavoratori o semplici cittadini. Ma non era proprio Landini che con la sua Coalizione sociale proponeva un “agire condiviso tra soggetti diversi”, un luogo di condivisione delle iniziative che doveva coinvolgere la Fiom in prima persona? Landini si è dimostrato un segretario dalla doppia faccia, una specie di dottor Jekyll e signor Hyde, che rivendica per sé e per la sua categoria autonomia, possibilità di dissentire dalla Camusso e dai suoi metodi coercitivi e autoritari, metodi che poi pratica lui stesso nella Fiom facendo fuori chi si oppone alla sua linea. Una linea che in pochi anni ha subito una metamorfosi. La Fiom ha rappresentato la punta avanzata dell’opposizione al modello Marchionne imposto per la prima volta a Pomigliano, a difesa del contratto nazionale, contro gli accordi aziendali che miravano a far perdere salario e diritti. Adesso invece è saldamente al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di categoria con Fim, Uilm e con Federmeccanica. Un negoziato che va oltre la parte salariale, decisivo per il futuro del modello contrattuale stesso, dopo che le imprese aderenti a Confindustria hanno chiesto di trasferire la totalità degli aumenti sul versante delle intese aziendali e di introdurre un salario minimo di garanzia. Progetto che non a caso piace anche al governo. Nel frattempo ha accettato il testo unico sulla rappresentanza firmato dalla Cgil con gli altri sindacati confederali e Confindustria che rende quasi impossibili gli accordi separati mentre chi non firma rischia di vedere azzerata la propria agibilità sindacale e perfino il diritto a scioperare, ha fatto pace con la Camusso e ha perfino riabilitato Marchionne. “Nessuno nega che la Fiat, prima dell’arrivo di Sergio Marchionne, fosse a rischio di fallimento e oggi no. E nessuno vuole negare le qualità finanziarie del manager. Di tutto questo noi siamo contenti”, queste le parole pronunciate da Landini lo scorso 8 marzo. Un Landini che è l’ombra di se stesso; è oramai sbiadita la sua immagine di leader sindacale carismatico dei lavoratori e delle masse di sinistra e progressiste ed è giustamente contestato da una parte degli stessi metalmeccanici. Dopo che il tentativo di creare una formazione politica riformista alla sinistra del PD sembra oramai tramontato, con il sostanziale flop di Coalizione sociale, adesso è tutto concentrato sulla scalata al comando della Cgil, e tutte le mosse del leader Fiom sono in funzione della successione alla segreteria generale, in programma tra due anni. interni / il bolscevico 9 N. 20 - 19 maggio 2016 A Bologna Gli studenti contestano Salvini La polizia protegge il leader fascioleghista e carica selvaggiamente i contestatori Dal nostro corrispondente per l’Emilia-Romagna Giovedì 5 maggio il leader fascioleghista della Lega Nord Matteo Salvini è tornato a Bologna. Lo ha fatto su invito del rettore dell’Università bolognese Francesco Ubertini (che recentemente ha difeso a spada tratta il filo-imperialista prof. Panebianco contestato dagli studenti) e nel pieno della campagna elettorale per le comunali che a Bologna si terranno il prossimo 5 giugno e dove la candidata leghista Lucia Borgonzoni contenderà la poltrona all’attuale sindaco PD, e ricandidato, Valerio Merola, al M5S Massimo Bugani, all’ex leghista Manes Bernardini per “Insieme Bologna” e a Federico Martelloni per “Coalizione civica”. Tornando a Bologna Salvini ha ricevuto la stessa “calda” accoglienza ricevuta nel novembre scorso: le contestazioni degli antifascisti e antirazzisti che lo hanno “braccato” durante la sua calata in città, protetto da un ingente dispiegamento di “forze dell’ordine” che come sempre lo blindano dalle contestazioni, confermandosi uno dei più ”coccolati” esponenti del regime neofascista im- perante. “Crediamo che la presenza di Salvini, in via Zamboni, rappresenti una provocazione da respingere. La Lega Nord è un corpo estraneo a Bologna, lo abbiamo detto molte volte, mostriamo a Salvini, alla Borgonzoni e a tutta la cricca di fascioleghisti che questo non è un posto per loro”. Così i manifestanti che hanno poi tentato di raggiungere la facoltà di Ingegneria dove si era saputo che era stato spostato l’incontro tra il rettore e Salvini, ma quando hanno provato a risalire via Risorgimento, a poca distanza dalla facoltà, sono stati caricati più volte e selvaggiamente dalle “forze dell’ordine” che hanno impedito a colpi di manganello l’accesso all’università agli stessi studenti che hanno denunciato: “Non ci fanno entrare per far spazio a Salvini, il rettore dovrà assumersi la responsabilità politica di tutto questo, delle manganellate e dei feriti”. Se a causa della repressione poliziesca i giovani non sono riusciti a impedire lo svolgimento dell’incontro hanno però evitato la passerella di Salvini che alla vigilia aveva sfrontatamente affer- Bologna, 5 maggio 2016. Gli studenti bolognesi coraggiosamente contestano il fascio leghista Salvini sfidando lo schieramento della polizia mato: “Prenderò un caffè in Zona Universitaria”. Infatti “oggi per le strade del quartiere universitario, di Salvini non si è vista nemmeno l’ombra”. Egli è poi è stato contestato anche all’interno dell’università dagli studenti entrati per frequen- tare le lezioni e a studiare prima che la polizia bloccasse l’accesso all’ateneo. Salvini non ha mancato di apostrofare i contestatori come “delinquenti” affermando che “se studiassero di più farebbero meglio alla costruzione del loro futuro”. Ma è proprio quello che i giovani che lo hanno giustamente contestato stanno cercando di fare battendosi contro la “Buona scuola” di Renzi che limita il diritto allo studio in quanto rappresenta un ulteriore e importante tassello della privatizzazione della scuola nel nostro Paese, di cui il leader leghista è fautore. Il corteo è poi tornato e ha bloccato i viali di circonvallazione, in Zona Universitaria per concludersi davanti al Rettorato chiedendo la rimozione del ritratto di colui che fu rettore durante la “repubblica di Salò”, il nazifascista Goffredo Coppola, che da troppo tempo campeggia indisturbato in ateneo. La lunga mattinata di lotta si è conclusa alla Feltrinelli sotto le due Torri, dove, come hanno rivendicato gli attivisti di Hobo: “raccogliendo l’invito di Salvini a ‘svuotare le librerie’, abbiamo ripulito il negozio dal suo libro ‘Secondo Matteo’, ridotto in brandelli e affidato all’unico luogo che lo può ospitare, cioè la pattumiera della storia”. Il PMLI esprime pieno appoggio alle contestazioni anti-Salvini e solidarietà militante ai giovani feriti durante gli scontri. Gli esponenti del regime neofascista, come Salvini e come il capo del governo Renzi, devono trovare ovunque le contestazioni dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati e capire di non essere i benvenuti, in nessun luogo, mai! Battaglia al Brennero per “distruggere le frontiere” Con un appello sul web il movimento di protesta contro le barriere anti-migranti “No Borders” ha organizzato il 7 maggio scorso una manifestazione contro la chiusura del valico al confine con l’Italia annunciato dal governo xenofobo di Vienna: 350 metri di barriera già finanziata dal governo austriaco con 1 milione e mezzo di euro. Circa 500 i manifestanti che sono arrivati a Brennero, dall’Italia e da tutta Europa, soprattutto Grecia, Germania e Austria, con lo slogan “Distruggiamo le barriere”, intenzionati a dare battaglia proprio nei punti dove, secondo i piani annunciati da Vienna, saranno ripristinati i controlli e posizionate le barriere metalliche anti-migranti. Fuori dalla stazione dopo i primi slogan un gruppo di manifestanti ha abbattuto una recinzione invadendo la sede ferroviaria e, contemporaneamente, lanciando grossi sassi, bengala e botti contro le “forze dell’ordine” che, presenti con uno schieramento antisommossa impressionante, hanno prontamente risposto con lanci ripetuti di lacrimogeni e manganellate. Nei boschi circostanti i poliziotti austriaci erano pronti a intervenire. Il corteo si è poi diviso in due parti, con metà dei manifestanti che hanno invaso la linea ferroviaria e l’altra metà che ha raggiunto l’autostrada A22. Per un po’ di tempo il traffico su entrambe le arterie è rimasto bloccato. Solo dopo le 17 autostrada e ferrovia hanno ripreso la circolazione ma gli scontri sono proseguiti a valle. Quando le “forze dell’ordine” sono riuscite ad accerchiare i manifestanti disperdendone gran parte e bloccando quanti erano rimasti lungo la statale del Brennero a sud del con- fine, è partito l’ultimo scontro al quale i poliziotti hanno risposto anche con un grosso idrante che ha disperso gli ultimi manifestanti. Una guerriglia scatenata a quota 1.300 metri dai “No Borders” contro la politica razzista del governo austriaco, non certo diversa dai governi imperialisti europei, che pretenderebbe di risolvere la questione dei migranti blindando le frontiere e facendo finta di non vedere che sono l’imperialismo e la politica della Ue i primi responsabili di questo inarrestabile esodo di profughi. Quattro i feriti e diciotto i con- Brennero, 7 maggio 2016. La repressione dei manifestanti contro il muro anti-migranti tusi tra le “forze dell’ordine”. Nove i fermati e cinque invece le persone arrestate, sono tutti italiani. Processati per direttissima, per resistenza a pubblico ufficiale, sono stati rilasciati dopo 48 ore. Scandalo petrolio Lo Bello indagato Il vice di Confindustria è accusato di associazione a delinquere. Denunciato anche Quinto, capo della segreteria di Finocchiaro (PD) Anche il numero due di Confindustria, Ivan Lo Bello, ex capo degli imprenditori siciliani, ha le mani puzzolenti di petrolio. I Pubblici ministeri (Pm) di Potenza che indagano sullo scandalo petrolio in Basilicata gli hanno notificato nei giorni scorsi un avviso di garanzia per associazione a delinquere insieme a tutta la cosiddetta “allegra brigata” a cominciare da Gianluca Gemelli, compagno dell’ex ministra Federica Guidi, e Nicola Colicchi, ex presidente romano della Compagnia delle opere e presidente della Camera di Commercio di Siracusa. Sul registro dei denunciati “eccellenti” ci è finito invece Paolo Quinto, capo della segreteria della senatrice PD Anna Finocchiaro, che al momento non risulta ufficialmente indagato. Secondo l’accusa Gemelli e la sua “allegra brigata” avevano costituito un comitato d’affari “diretto a interferire sull’esercizio delle funzioni di istituzioni, amministrazioni pubbliche e di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”. Una lobby che ha trovato nel governo Renzi a cominciare dai piani alti della presidenza del consiglio dei ministri fino nell’ex ministra Federica Guidi lo “strumento” ideale per i propri desiderata. Non a caso gli atti depositati al tribunale del riesame di Potenza dal procuratore Luigi Gay, l’aggiunto Francesco Basentini e la Pm Laura Triassi, confermano che si tratta di una cricca delinquenziale difficile da individuare proprio “per l’appartenenza di alcuni dei sodali a ramificazioni significative delle stesse istituzioni”. Secondo l’accusa Lo Bello, Colicchi e Gemelli in associazione fra loro hanno commesso una lunga serie di “delitti contro la pubblica amministrazione, un numero indeterminato di delitti di traffico di influenze illecite, abuso di ufficio e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”. Il loro principale obiettivo era “l’assegnazione e l’aggiudicazione della concessione demaniale di un pontile presso il porto di Augusta” con lo scopo di “Realizzare un deposito costiero di prodotti petroliferi”. I nuovi documenti infatti con- fermano che del “quartierino” faceva parte, come “partecipante”, anche Lo Bello, assieme a Quinto, mentre Gemelli e Colicchi ne erano i “promotori”. Dagli atti emerge fra l’altro che il “clan” del petrolio non si sarebbe dedicato solo agli affari relativi al porto di Augusta, al fine di ottenere l’uso dei pontili per trasformare l’area parzialmente militare nel più grande centro di stoccaggio di greggio d’Europa (vicenda che coinvolge l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi). Tra gli interessi sui quali il “quartierino” aveva puntato gli occhi c’erano anche un progetto di “Sistema di difesa e sicurezza del territorio” da attuare in Campania, disegni futuri su ulteriori impianti energetici con particolare interesse sul programma “Tetra” del ministero degli Interni. Nelle informative della Squadra mobile infatti spunta anche un riferimento a Fabrizio Vinaccia della Mbda Italia spa (società della galassia Finmeccanica), in passato ambasciatore in Bielorussia e Tagikistan del sovrano ordine di Malta. Proprio Vinaccia, stando agli atti, punterebbe al “programma Sistemi di difesa e sicurezza del territorio” in Campania al cui “interno verrà inserita la video sorveglianza ai missili”. Ai rapporti con la politica, invece, avrebbero pensato in particolare Paolo Quinto e Nicola Colicchi. L’organizzazione faceva “leva - si legge negli atti che ricostruiscono l’inchiesta - soprattutto al fine di ottenere nomine di pubblici amministratori compiacenti o corruttibili, sul contributo di conoscenze ed entrature politico-istituzionali acquisite in anni di militanza politica da Quinto e Colicchi”. Tra questi Alberto Cozzo, anche lui indagato, commissario straordinario del porto di Augusta confermato al suo posto dal ministro Graziano Delrio. Nei “casi limite” quando Quinto e Colicchi “non riuscivano ad attivare per tempo i propri canali ‘politici’”, Gemelli interveniva assicurando “comunque il risultato sperato” facendo pressioni sulla compagna Federica Guidi, divenuta “strumento di quello che lei stessa non aveva mancato di individuare quale vero e proprio ‘clan’” che aveva appunto Gemelli come membro imprescin- dibile”. Nel complesso, l’organizzazione, “ha mostrato di essere permanentemente impegnata” in attività “perseguite attraverso condotte illecite”. Gemelli la chiamava la “guerra sotterranea”. E proprio parlando della “guerra sotterranea”, la squadra mobile, lo intercetta mentre fa il nome di Lo Bello. “Ivanuccio”, dice Gemelli, “sono appena uscito dall’agenzia dove ho comprato il terreno, e gli ho chiesto del discorso che mi dicevi tu, del terreno vicino al mare, eccetera, ci sarebbero dieci ettari, area servizi, tutto confinante con l’autorità portuale, va bene?... E certo, certo, certo che va bene” risponde Lo Bello. Per realizzare l’operazione porto di Augusta, però, è necessaria la riconferma del commissario alla autorità portuale di Alberto Cozzo, per il quale Lo Bello, secondo le accuse, si spende con Delrio. Ed effettivamente Cozzo viene nominato. Non solo. Quando Delrio deve presentarsi al porto di Augusta “l’allegra brigata” con alla testa Gemelli e Lo Bello gli sgombrano il campo anche della presen- za non gradita del sindaco di Catania Enzo Bianco. Il 27 novembre 2014 Gemelli riferisce a Quinto di aver saputo che il giorno dopo intorno alle 10 saranno da Anna (Finocchiaro, ndr). Quinto gli chiede di unirsi a loro e fa cenno anche al capo di Stato Maggiore ammiraglio Giuseppe De Giorgi: “Ma sì, tanto abbiamo fatto l’allegra brigata: Nicola, Ivan. De Giorgi… e proprio”. Il ruolo di De Giorgi, come è noto, era quello di rimuovere un ammiraglio scomodo per la brigata, Roberto Camerini, promuovendolo al Nord. Mentre Gemelli continua a pressare l’ex ministra Guidi per accelerare l’iter della Legge Navale e lo sblocco dei 5,8 miliardi di euro. Su questo fronte Gemelli pressa costamente l’ex ministra e compagna Guidi, per combinare un incontro con Vinaccia.In seguito, Vinaccia spinge Gemelli a fissare un appuntamento tra il suo amministratore delegato e la Guidi che ad un certo punto non ne può più dell’asfissianti pressioni del suo compagno e sbotta: “io mi so’ rotta i coglioni di fare la scimmia”. 10 il bolscevico / elezioni comunali del 5 giugno N. 20 - 19 maggio 2016 Alle elezioni comunali del 5 giugno a Napoli Astieniti, non votare i partiti borghesi al servizio del capitalismo Delegittimiamo le istituzioni rappresentative borghesi, creiamo le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo Documento della Cellula “Vesuvio Rosso” del PMLI Domenica 5 giugno si svolgeranno le elezioni amministrative in oltre 1.300 comuni su circa 8.000, tra questi quelli di Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli. Le diverse correnti della borghesia si disputeranno le dorate poltrone comunali per difendere i rispettivi interessi e quelli del capitalismo e per opprimere e sfruttare le masse lavoratrici e popolari. L’alternarsi al governo delle città, come al governo nazionale, della destra e della “sinistra” della borghesia, ha oramai ampiamente dimostrato come non vi sia una sostanziale differenza tra di esse. Borghesi di destra possono capeggiare addirittura entrambi gli schieramenti: le masse non hanno quindi nulla da guadagnare dalla vittoria dell’una o dell’altra coalizione borghese. Il PMLI, nemico acerrimo della borghesia e del capitalismo, combatte tutte le liste borghesi in corsa, comprese quelle che si pongono a sinistra del PD, perché anch’esse sono al servizio del capitalismo, e invita l’elettorato a fare altrettanto non votandole. Sul piano elettorale, nelle attuali condizioni, gli sfruttati e gli oppressi, le masse popolari, chiunque subisce angherie, soprusi e ingiustizie da parte dei governi comunali, regionali e nazionale, i giovani a cui è precluso un avvenire, per farsi sentire, per protestare, per far valere le proprie ragioni, per penalizzare i partiti e le istituzioni borghesi, non hanno altra scelta che astenersi, disertando le urne, oppure annullando la scheda o lasciandola in bianco. Il PMLI sostiene tatticamente l’astensionismo elettorale e invita le astensioniste e gli astensionisti, in particolare quelli di sinistra, a qualificare politicamente il loro astensionismo considerandolo come un voto dato al PMLI e al socialismo. Il socialismo, poiché è la sola società che assicura il potere politico al proletariato, è l’unica vera alternativa al capitalismo; tutte le altre proposte, comprese quelle predicate da ben noti imbroglioni politici travestiti da comunisti, come Marco Rizzo, pubblicizzato dai media borghesi e persino da Radio Vaticana, sono tutte interne al capitalismo. Perdurando il capitalismo, come dimostrano la storia e i fallimenti delle amministrazioni “arancioni”, rappresentati dal neopodestà uscente De Magistris, e pentastellate, con il candidato a sindaco l’ingegnere Brambilla uscito fuori dalle contestatissime “comunarie”, è impossibile che i comuni siano governati dal popolo e al servizio del popolo, perché re- ati vern o go polo i sian del po smo mun io li é i co al serviz il socia ch Per olo e vuole op ci TARE dal p NON VO ITI IT I PART AL SI BORGHE IO DEL SERVIZTALISMO CAPI o ittimiam Deleg zioni le istitusentative rappre si he rg bo IE AST NITI NI UZIO SE TIT MASMO S E IS LLE O L E DE CIALI IANO IAM ATIV L SO ITAL CRERESENTRICI DE LENINISTA P FAUT RXISTARAP O MA PARTIT - 50142 172a li.it olo, i@pm Pollai nio delcommission l: Anto e-mai ale: Via 23164 centr Sede fax 055.51 Tel. e it mli. www.p ZE FIREN stano inevitabilmente succubi della volontà e degli interessi dei grandi capitalisti, locali come nazionali, vincolati alle leggi dello Stato borghese, sottoposti ai governi di livello superiore e esecutori locali delle loro politiche di lacrime e sangue. Solo il socialismo può consentirlo attraverso un sistema elettorale che emargina la borghesia e dà tutto lo spazio al proletariato e al popolo. Le istituzioni rappresentative borghesi, di cui fanno parte i consigli comunali, sono le coperture “democratiche” della dittatura borghese e la loro funzione è quella di carpire il consenso elettorale e il sostegno del popolo, illudendolo che il suo voto ai partiti che ne fanno parte può incidere sulle scelte governative e può migliorare le proprie condizioni. La vittoria dell’astensionismo, soprattutto a Napoli dove, sotto mentite spoglie, si sperimenta il “partito della nazione” con la candidata a sindaco ed ex assessore al Turismo della giunta della DC Iervolino, l’attuale deputata renziana PD Valeria Valente, fortemente sostenuta dall’UDC del ministro dell’Interno Alfano, darebbe un colpo durissimo al governo del nuovo Mussolini Renzi che sta completando il regime neofascista preconizzato dalla P2 e realizzato da Berlusconi; che sta seguendo le orme nazionaliste, colonialiste e interventiste di Mussolini, coinvolgendo l’Italia nelle guerre imperialiste per la spartizione del Medio Oriente e del mondo; che ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici e popolari, con il Jobs Act, la “Buona Scuola”, lo “Sblocca Italia” che peggiora la vivibilità delle città dando il via libera a cementificazione e inceneritori, la controriforma dei Beni culturali per smantellare ogni tutela pubblica sul patrimonio archeologico, storico, artistico e paesaggistico italiano, che andrebbe invece valorizzato, e spianare la strada alla speculazione privata interna e internazionale. Nessuno dei 7 candidati a sindaco merita la fiducia del proletariato e delle masse popolari che devono seppellire i loro programmi antipopolari nelle urne elettorali tramite l’astensionismo. Nessuna fiducia può essere data al neopodestà De Magistris che, rispetto alle scorse elezioni amministrative del 2011, si fa forte dei voti dichiarati dei massoni e dei trotzkisti, ma sconta un quinquennio fallimentare sul fronte del lavoro, del risanamento dei quartieri popolari, dilaniati dalle nuove e sanguinose faide di camor- Napoli, 21 novembre 2014. Operai di Castellammare posano con la bandiera del PMLI durante una manifestazione della FIOM ra, della raccolta differenziata porta a porta, ferma al 28%, dei “beni comuni” e delle assemblee rappresentative di cui non si ha traccia alcuno nel suo mandato. Una candidatura che proietta l’ex pm a destra e manca nel tentativo, tramite la sua associazione “DemA” votata al federalismo municipale e il ricompattamento dei rottami sparsi della “sinistra” borghese non soddisfatta del PD, di rilanciarsi alle prossime elezioni politiche del 2018. Non può essere data fiducia a Valeria Valente, forte del sostegno di Renzi e Alfano, alle prese con le beghe interne con l’ex governatore della Campania e rinnegato del comunismo Bassolino, che ha già assaggiato la rabbia delle masse popolari venendo cacciata dal corteo del 25 Aprile e isolata dai manifestanti. Tra l’altro il suo partito, il PD, sconta una vergognosa opposizione di carta all’attuale giunta arancione antipopolare tale è il disinteresse dimostrato nei cinque anni al punto che non c’è stato neppure un episodio significativo di critica all’esecutivo guidato da De Magistris. Piuttosto dobbiamo registrare che nella più grande città del Mezzogiorno, dopo il plateale sostegno di Ala del plurinquisito Verdini alla Valente, esordisce in queste elezioni il famigerato Partito della Nazione perseguito da Renzi. Men che meno può essere data fiducia al candidato della casa del fascio l’imprenditore Gianni Lettieri, che ha imbarcato anche il fascista ! I T I N E I T S A tire, n e s i t r a f Per le tue e r e l a v r per fa , e r rtiti a a t s p e i t o e r r p a per nalizz e p r e p re le , i a m i t t i g ragion e per del , i s e h ghesi g r r o b bo e v i t esenta r p p esi a h r g i r n o o b i i z n u istit e i gover Marco Nonno, uno dei referenti politici dei nazifascisti di Casapound a Napoli, e ha condotto una campagna elettorale attaccando la città di Napoli con manifesti zeppi di improperi, calunnie e falsità di qualsiasi tipo. Città che solo lui nella sua megalomania, novello “uomo della provvidenza”, potrà risollevare. Lettieri sconta, in realtà, un totale di assenze in consiglio comunale (79 su 142) che la dice lunga sui reali interessi del suo raggruppamento. Dilaniato dalle lotte interne scoppiate dopo il “caso Quarto” e incancrenitesi con le “comunarie”, il Movimento 5 Stelle propone il candidato Matteo Brambilla dopo aver svolto una opposizione nulla all’esecutivo arancione- Ciò ha determinato la spaccatura della base del movimento con molti degli attivisti finiti in tribunale per far valere i loro diritti contro i leader pentastellati. Restano gli ultimi candidati fascisti come Marcello Taglialatela per Fratelli d’Italia, e il sindacalista Cisl Luigi Mercogliano (ex mazziere del gruppo nazifascista “Area” attivo a Napoli negli anni Novanta) a capo della coalizione “Popolo della famiglia” di Mario Adinolfi, alfiere del famigerato “Family day”, che, viste le residue forze, cercheranno un apparentamento al ballottaggio probabilmente con Lettieri. Alla ricetta riformista del “comune dei beni comuni” con la partecipazione solo consultiva e assolutamente non incisiva del popolo napoletano, contrapponiamo sul piano politico e organizzativo le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla democrazia diretta. Da tempo proponiamo, in- fatti, all’elettorato di sinistra fautore del socialismo - quindi anche a chi non è astensionista -, di creare in tutte le città e in tutti i quartieri le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee popolari che devono essere costituite in ogni quartiere da tutti gli abitanti ivi residenti – compresi le ragazze e i ragazzi di 14 anni – che si dichiarano anticapitalisti, antifascisti, antirazzisti e fautori del socialismo e disposti a combattere politicamente e elettoralmente le istituzioni borghesi, i governi centrale e locali borghesi e il sistema capitalista e il suo regime. Ogni Assemblea popolare di quartiere elegge il suo Comitato popolare e l’Assemblea dei Comitati elegge, sempre attraverso la democrazia diretta, il Comitato popolare cittadino. E così via fino all’elezione dei Comitati popolari provinciali, regionali e del Comitato popolare nazionale. I Comitati popolari devono essere composti dagli elementi più combattivi, coraggiosi e preparati delle masse anticapitaliste, antifasciste, fautrici del socialismo eletti con voto palese su mandato revocabile in qualsiasi momento dalle Assemblee popolari territoriali. Le donne e gli uomini – eleggibili fin dall’età di 16 anni – devono essere rappresentati in maniera paritaria. I Comitati popolari di quartiere, cittadino, provinciale e regionale e il Comitato popolare nazionale devono rappresentare il contraltare, la centrale alternativa e antagonista rispettivamente delle amministrazioni ufficiali locali e dei governi regionali e centrale. Due sono i punti principali del nostro programma immediato: il lavoro a tutti i disoccupati e il risanamento delle periferie urbane di Napoli. Altrimenti la lotta alla camorra è solo una parola vuota. Si tratta di Enrico Peluso A Napoli De Magistris prima candida poi estromette un massone Il “Grande Oriente d’Italia democratico” ai massoni: “sommergete di voti De Magistris alle prossime amministrative” Redazione di Napoli Le prime avvisaglie che il neopodestà De Magistris avrebbe traghettato anche personaggi ben lontani dalla esperienza della “sinistra” borghese a Napoli si erano avute con la presentazione dell’associazione filo-elettorale “DemA”, laddove in sala era presente il “nazimaoista” Pietro Golia, già appartenente al gruppo terrorista nazifascista Avanguardia di Popolo, presentatosi come “editore” dell’ambigua casa editrice “Controcorrente”, ricettacolo di autori e scrittori fascisti. Successivamente il quotidiano “Il Mattino” aveva insinuato la possibilità di un’alleanza sotto banco tra De Magistris e il candidato di una lista fascista Enzo Rivellini, già europarlamentare di AN, incontrato in una nota pizzeria napoletana qualche settimana fa. Alleanza che si doveva fare al ballottaggio, ma che l’entourage dell’ex pm ha smentito seccamente. E ancora: Alessio Postiglione, uomo dello staff di comunicazione di De Magistris, che partecipa ad un evento sulla situazione in Ucraina con il giornalista fascista Ales- sandro Sansoni, già capetto della formazione nazifascista “Area” e poi in AN, attualmente consigliere dell’Ordine dei giornalisti. Sabato 23 aprile è stata la volta del “professore” Gaetano Daniele La Nave (in realtà assegnista di ricerca presso l’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli), ex militante del trotzkisti Carc, poi passato nel PRC, in ultimo addirittura nella destra PD sotto le dipendenze dell’ex “migliorista” PCI Umberto Ranieri dal quale si è distaccato per annunciare l’appoggio con una propria lista (“Per Napoli”) a De Magistris. Risulta clamorosa perché annunciata pubblicamente presso l’Hotel “Oriente” di Napoli alla presenza proprio di De Magistris con tanto di foto e strette di mano la candidatura di Enzo Peluso, di professione assicuratore, a consigliere comunale per gli arancioni. Peluso non ha mai fatto mistero (nell’ambito specializzato dei “fratelli muratori”) dell’affiliazione alla massoneria. Forte è stato lo sdegno tra gli arancioni anche alla luce di alcune dichiarazioni tutt’altro che rassicuranti di De Magistris dove afferma- va di non vedere scandali particolari in questa candidatura. Mercoledì 3 maggio però Peluso annunciava il ritiro della candidatura, anche se dichiarava: “mi ritiro ma voterò e farò votare De Magistris”. Tanto è vero che prima del ritiro del massone, il sito del Grande Oriente d’Italia Democratico invitava da giorni “a sommergere di preferenze” il “fratello” Peluso, e a preferire, rispetto agli altri candidati a sindaci, proprio de Magistris. Peluso è anche segretario nazionale del movimento Lir, che sta per Liberali-Repubblicani e si è presentato alle regionali con il Partito Socialista che appoggiava l’attuale presidente Vincenzo De Luca, raccogliendo ben 3.005 voti e fallendo per un soffio la poltrona in Consiglio regionale. La scelta di Peluso, anche se non andata in porto, la dice lunga sul nuovo corso che l’ex pm vorrebbe dare a Napoli in caso di vittoria alle prossime elezioni: né a De Magistris né a nessuno dei candidati della destra e della “sinistra” borghese va data la fiducia ma, anzi, vanno seppelliti dal maglio dell’astensionismo. elezioni comunali del 5 giugno / il bolscevico 11 N. 20 - 19 maggio 2016 Alle elezioni comunali di Varese del 5 giugno Non votare i partiti borghesi al servizio dei capitalisti. Astieniti contro il capitalismo e per il socialismo Documento dell’Organizzazione di Viggiù del PMLI Domenica 5 giugno i varesini saranno chiamati alle urne per l’elezione del nuovo sindaco della città. Ci prepariamo così ad assistere all’ennesima passerella dei politicanti della destra e della “sinistra” borghese che chiederanno il vostro voto mettendosi in bocca parole vuote di cambiamento, “per una Varese più sostenibile, vivibile, e sicura”. Uno di questi è il candidato del “centro-destra” Paolo Orrigoni, padrone dei supermercati Tigros, sostenuto dai maggiori partiti della destra cittadina (Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia, Movimento Libero) e dal presidente delle Regione Lombardia, il fascioleghista Maroni che si candida capolista nel tentativo di bloccare il processo di Milano che lo vede imputato per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e induzione indebita per presunte pressioni per far ottenere un lavoro e un viaggio a Tokyo a 2 ex collaboratrici. Diretto concorrente è l’avvocato renziano Davide Galimberti, sostenuto dal PD e alcune liste civiche fiancheggiatrici, la candidatura e la possibile vittoria di Galimberti sul candidato della destra borghese è vissuta con interesse, in quello che da vent’anni è considerato un “feudo” della Lega Nord, anche dai vertici nazionali del PD; ne è la prova l’arrivo in città il 7 maggio della ministra Elena Maria Boschi per sostenere la sua candidatura di Galimberti. A sinistra del PD troviamo la lista “La sinistra per Varese futura” formata da PCDI, Rifondazione comunista e SEL che schierano l’ar- chitetto ed ex ufficiale dell’Arma dei carabinieri Flavio Pandolfo. Altre liste in campo sono: “Lega Civica-Malerba Sindaco”, il cui candidato l’ultra liberista Stefano Malerba fu il primo nome proposto come possibile candidato sindaco del “centro-destra”, poi scalzato da Orrigoni; Francesco Martello candidato della lista di estrema destra “Riva Destra–Fronte nazionale per l’Italia”, già promotore nel settembre 2015 di una disgustosa campagna omofoba contro la così detta teoria Gender; Andrea Badoglio della lista “Varese Civica”. Nessun candidato per il Movimento 5 stelle che, lacerato da dissidi interni sulla scelta del candidato sindaco, non ha presentato nessuna lista elettorale. Al di là dei diversi schieramenti in campo, è sotto gli occhi di tutti come i sindaci e le giunte di destra rappresentate dal blocco fascioleghista che si sono succedute negli anni, ultima quella del neopodestà Attilio Fontana, non abbiano fatto nulla per migliorare i diritti ed i servizi sociali, le condizioni delle periferie e dei quartieri popolari, fermare l’emorragia occupazionale sempre più grave nella città soprattutto tra le donne col tasso di disoccupazione femminile al 10,9% il più alto della Lombardia. Non c’è da nutrire alcuna fiducia nemmeno nelle cosiddette liste di “sinistra” le quali, una volta al governo delle città (esempi concreti le giunte “arancioni” Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli sostenute dai partiti falso comunisti) si sono dimostrate al pari delle giunte di destra, tra scan- Varese, 29 novembre 2014. Il PMLI al corteo antifascista dali giudiziari, politiche a vantaggio della più selvaggia speculazione capitalista e feroce repressione a colpi di manganello contro lavoratori, disoccupati, comitati di lotta per il diritto alla casa, ecc. Questi partiti così come le istituzioni rappresentative borghesi, di cui fanno parte i consigli comunali, sono le coperture “democratiche” della dittatura borghese e la loro funzione è quella di carpire il consenso elettorale e il sostegno del popolo, illudendolo che il suo voto può incidere sulle scelte governative e può migliorare le proprie con- dizioni. Il PMLI, nemico acerrimo della borghesia e del capitalismo, combatte tutte le liste borghesi in corsa, comprese quelle che si pongono a sinistra del PD, perché anch’esse sono al servizio del capitalismo e invita l’elettorato a fare altrettanto non votandole. Ma la scelta astensionista non deve essere generica e fine a se stessa. Essa va trasformata in un voto politico cosciente dato al PMLI e al socialismo, appoggiando la proposta di creare in ogni quartiere, in contrapposizione alle istituzioni rappresentative borghesi, le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo nella forma dei Comitati popolari e delle Assemblee popolari basate sulla democrazia diretta e con rappresentanti revocabili in qualsiasi momento dalle assemblee popolari territoriali. Compito dei Comitati popolari è quello di guidare le masse, anche se non fanno parte delle Assemblee popolari, nella lotta politica per strappare al potere centrale e locale opere, misure e provvedimenti che migliorino le condizioni di vita e che diano alle masse l’autogestione dei servizi sanitari e sociali e dei centri sociali, ricreativi e sportivi di carattere pubblico. Il PMLI rilancia inoltre alcune delle rivendicazioni principali che muovono la propria azione politica e invita le masse lavoratrici e popolari varesine, compresi i migranti, anche se d’accordo solo con alcune di esse, e indipendentemente dalla loro collocazione politica e partitica, salvo la pregiudiziale antifascista, a battersi sul terreno della lotta di classe e di piazza per strappare ai futuri rappresentanti della borghesia che si insedieranno a palazzo Estense una serie di rivendicazioni politiche, economiche e sociali: • LAVORO Varare un concreto piano occupazionale per il territorio comunale, con risorse concrete per il diritto fondamentale a un lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato. Interventi per salvaguardare le fabbriche a rischio di chiusura, fino all’espropriazione. Assunzione di nuovo personale a tempo indeterminato nel pubblico impiego e nella pubblica amministrazione per reintegrare il turn-over e adeguare gli organici alle necessità di servizio. • • Grande ammucchiata alle comunali di Torino L’ex governatore Ghigo e il plurinquisito Verdini appoggiano Fassino e il PD Le masse popolari torinesi devono negare il loro voto a questi imbroglioni patentati Dal nostro corrispondente del Piemonte Le elezioni amministrative del prossimo 5 giugno saranno anche a Torino un banco di prova per il renziano Partito della Nazione. Attorno al nuovo duce Renzi stanno confluendo appoggi da ogni versante politico, anche e soprattutto dalla destra. Negli scorsi giorni il plurinquisito Denis Verdini, già fedelissimo di Berlusconi in Forza italia e ora leader del suo partito personale Ala (Alleanza liberalpopolare autonomie), ha sciolto le riserve e ha dichiarato che appoggerà il PD di Renzi nelle città in lizza per l’elezione del podestà. Nessun dubbio per quanto riguarda Torino dove Verdini ha dichiarato appoggio incondizionato a Fassino sindaco intorno alla lista PD e a quelle direttamente collegate a Fassino, Moderati per Fassino e Lista civica per Fassino. Quello di Verdini segue a ruota il sostegno dato già nei mesi scorsi dall’ex-governatore Enzo Ghigo. A Torino Piero Fassino, candidato del PD e della “sinistra” borghese, può dunque contare sull’appoggio esterno di due padrini (neanche tanto per dire!) di notevole peso: Enzo Ghigo e Denis Verdini. Enzo Ghigo ha ufficializzato il suo appoggio a Fassino già nei mesi scorsi. Il motivo di questa “virata” politica? Evitare – questo ha dichiarato – la possibile vittoria della candidata pentastellata: “Considero una sventura per la mia città una vittoria del M5S perché interromperebbe il ciclo di trasformazione positiva che Torino sta vivendo dalle Olimpiadi del 2006. Fassino è un buon amministratore e per di più in queste elezioni si presenta senza l’estrema sinistra”. Ghigo, già dirigente di Publitalia e uno dei fondatori di Forza italia nel 1993, non ritiene ricomponibile la frammentazione del “centro-destra”, tanto a Torino quanto a livello nazionale. “Non è questione di essere passati con il nemico quanto piuttosto di osservare con realismo che le cose sono cambiate. Ho apprezzato la mossa di Berlusconi, a Roma, di candidare Marchini, uomo trasversale che piace anche a sinistra”. L’ex governatore spinge la sua “analisi” ben oltre Torino lasciando intendere in modo nemmeno troppo velato che quanto sta avvenendo all’ombra della Mole sia in realtà qualcosa di più che una mera convergenza elettorale. Al giornalista de “Il Foglio” che gli chiedeva se a Torino si stesse realizzando un patto del Nazareno sabaudo come surrogato locale di quello nazionale che non c’è più, Ghigo ha risposto sornione: “Sicuri che non ci sia più? Conosco bene sia Berlusconi sia Verdini, e che Denis stia con Renzi senza l’ok di Silvio non lo credo plausibile. Il Nazareno è ancora in piedi e io lo sto mettendo in pratica a Torino. Avere una pattuglia di moderati in comune permette anche di evitare eventuali sbandate troppo a sinistra di Fassino”. Anche il plurinquisito Denis Verdini ha dichiarato il suo pieno sostegno ai candidati renziani. Quello di Verdini è un ruolo importante che va ben oltre la consistenza del suo partito Ala. Losco faccendiere, dentro e fuori i palazzi del potere borghese è universalmente riconosciuto come in grado di spostare gli equilibri politici e di garantire la stabilità di una maggioranza quanto di condizionarla pesantemente. Basti ricordare come i voti della sua ventina di senatori, tutti fuoriusciti da Forza italia e dall’NCD, siano assolutamente determinanti per il governo Renzi e, soprattutto, lo rendono autonomo da quelli della minoranza interna Dem. L’unica scelta per bloccare questa pericolosissima convergenza politica tra destra e “sinistra” borghese e per delegittimare i loro vomitevoli intrallazzi è negare il voto a tutti i partiti e i candidati borghesi. Affinché Torino sia governata dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo, cominciando col non votare i partiti della seconda repubblica neofascista, disertare le urne e creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo. ARTIGIANI E COMMERCIANTI • Messa a disposizione, da parte del comune di immobili di proprietà pubblica da affittare a prezzo politico per iniziative e attività artigianali, turistiche e di piccolo commercio, fiscalmente incentivate, al fine di evitare l’abbandono e il degrado dei quartieri popolari. Semplificazione delle pratiche e incombenze amministrative, contabili, fiscali e burocratiche. • CASE E INFRASTRUTTURE • Rilanciare l’edilizia popolare e pubblica. Il comune deve requisire le case sfitte da oltre un anno, i locali dismessi e inutilizzati e i palazzi nelle medesime condizioni da destinare, dopo i necessari lavori, alle famiglie sfrattate e senza casa. Riqualificazione dell’ex caserma Garibaldi lasciata da anni al completo degrado e sua riconversione in spazio pubblico promuovendo una consultazione tra le masse popolari per stabilirne la nuova destinazione d’uso. • • GIOVANI Creazione di centri giovanili autogestiti, di strutture sociali, ricreative, culturali e sportive pubbliche da dare in gestione direttamente e gratuitamente ai giovani. Trasporti pubblici e gratuiti per i giovani senza lavoro e gli studenti. • • MIGRANTI Prevedere presso le scuole pubbliche, in orari extra scolastici ed extra lavorativi, corsi di lingua italiana gratuiti per immigrati adulti. Organizzare incontri pubblici, nelle piazze e nei quartieri popolari, per favorire la fraternizzazione e la socializzazione tra le varie comunità straniere e quella italiana. • LGBT • Parità di diritti e trattamenti sociali, economici e fiscali per le coppie di fatto, sia eterosessuali che omosessuali. Diritto, anche per le famiglie di fatto, comprese le coppie omosessuali, lesbiche, transessuali, di accedere ai bandi di concorso per l’assegnazione delle case popolari. • • ANTIFASCISMO Nessuna piazza, strada o spazio pubblico comunale dev’essere concessa ad organizzazioni di matrice nazista e fascista, sciogliere tutti i gruppi fascisti e chiudere i loro covi. Lottiamo per la vittoria dell’astensionismo anticapitalista e per il socialismo! Creiamo le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo! Solo il socialismo può cambiare l’Italia, dare il potere politico al proletariato e consentire che i comuni siano governati dal popolo e al servizio del popolo! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Fautori del socialismo! Create le istituzioni rappresentative delle masse, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla democrazia diretta, per combattere i governi borghesi, per difendere gli interessi delle masse e lottare contro il capitalismo, AST IEN I TI per il socialismo Perché dal popoloi comuni siano go vern e al serviz io del popoati ci vuole il socialis lo mo NON VOTARE I PART BORGHESI ITI SERVIZIO DEALL CAPITALISMO Delegittimiam le istituzioni o rappresentat borghesi ive CREIAM O LE RAPPRESE NT IVEISTITUZIONI DE FAUTRIAT CI DE LLE MASSE PARTITO MARXIST L SOCIALISMO A-L ENINISTA ITALIA NO Sede central e: Via Antoni Tel. e fax 055.512 o 3164 e-mail:del Pollaiolo, 172a commissioni@p - 50142 FIRENZ E mli.it www.pmli .it 12 il bolscevico / elezioni amministrative del 5 giugno N. 20 - 19 maggio 2016 Radiografia di candidati e liste per le elezioni comunali a Cosenza Alle elezioni comunali del 5 giugno a Cosenza si contenderanno la poltrona di sindaco 6 candidati, sostenuti da ben 32 liste. Scontata la ricandidatura del sindaco uscente Mario Occhiuto (FI), defenestrato pochi mesi fa da una parte della sua maggioranza consiliare per effetto dell’accordo fra il PD e l’NCD dei fratelli Gentile, i quali erano inizialmente in maggioranza e nel “centro-destra”, tanto che Katya Gentile, figlia di Pino Gentile (ex sindaco di Cosenza, oggi vicepresidente del consiglio regionale) fu vicesindaco. Occhiuto e la sua banda hanno malgovernato in odor di ‘ndrangheta la città dei Bruzi, peraltro affogandola in un mare di debiti, alcuni dei quali vergognosi debiti personali dello stesso Occhiuto che potrebbero costargli l’ineleggibilità. Gustavo Coscarelli, massone, è il candidato del M5S del megalomane qualunquista di destra Beppe Grillo; la sua candidatura è stata imposta dall’alto, con tanto di polemica con la base del movimento. Suo sostenitore principale il senatore cosentino Nicola Morra. Vincenzo Iaconanni, detto il “guru”, candidato “semi-serio” della lista Hettaruzzo Hebdo, nata da una costola dei 5 Stelle. Valerio Formisani, medico, è candidato con la lista “Cosenza in Comune”, composta da SEL, SI, PRC e altri rottami della “sinistra” borghese cosentina che parlano di alternativa al PD e al “centro-destra”. In realtà, tanto più se si considera che SEL governa la regione Calabria con il governatore Mario Oliverio del PD con un’alleanza che arriva di fatto fino all’NCD, il loro obiettivo è chiaramente quello di frenare l’astensionismo che, anche a Cosenza, come nell’intera Calabria e in ogni tornata elettorale, è a livelli record. Enzo Paolini, avvocato e re delle cliniche private, candidato con il PSE, il PLI e l’NCD. Fu battuto da Occhiuto alle scorse amministrative quando era candidato con il PD, oggi è appoggiato dai fratelli Gentile, per effetto del mancato accordo di questi ultimi con il “centrosinistra”, dovuto a ragioni di poltrone (ma va?) e soprattutto per cercare di costringere Oliverio ad allargare ufficialmente la coalizione alla regione coinvolgendo loro uomini in giunta. Evidentemente non basta a questa dinastia politica il ruolo di sottosegretario alle attività produttive nel governo Renzi del senatore Antonio ‘U Cinghiale’ Gentile e la poltrona del fratello Pino a Palazzo Campanella. Comunque si dicono disponibili, al ballottaggio, a convergere sul “centro-sinistra” da una posizione di forza. La loro lista però potrebbe essere esclusa dalla competizione. A proposito di “centro-sinistra” e del PD il caos regna totale. Il candidato manager della Rai, Lucio Presta, imposto da Renzi senza primarie, si è ritirato dalla corsa alla poltrona di sindaco pochi giorni prima della presentazione delle liste. Ufficialmente per “motivi familiari”, in realtà per la paura di perdere dovuta a diversi fattori: l’enorme astensionismo previsto, la lotta intestina fra i politicanti locali del PD scontenti della sua candidatura, la forte opposizione dell’opinione pubblica cosentina tanto al governo del nuovo duce Renzi (che infatti è stato contestato sonoramente anche a Reggio Calabria durante una delle sue passerelle elettorali insieme ai suoi compari nella regione più povera d’Italia), tanto nei confronti della giunta Oliverio, il mancato sostegno dei Gentile (e dei loro voti), il terremoto giudiziario che ha travolto il Pd nella vicina Rende. Al suo posto ora è stato candidato alla chetichella dai vari Lotti, Minniti, Adamo, Magorno, il consigliere regionale del PD Carlo Guccione. Portaborse per anni di Adamo e Oliverio, con quest’ultimo è stato assessore regionale per qualche mese nella mini-giunta borghese neofascista e filomafiosa poi defenestrata dalla “Rimborsopoli” calabrese, che vede Guccione coinvolto. Sospettato come larga parte del PD del sostegno elettorale (primarie incluse) delle I verdiniani si alleano col PD ‘ndrine del cosentino, in particolare i Lanzino, è stato infatti il consigliere regionale più votato nel cosentino. Sembrerebbe coinvolto anche in maneggi vari nell’Asp cosentina. Il progetto tutto renziano del partito unico della nazione fasci- di sottolineare almeno il cambio di casacca dell’ex sindaco Eva Catizone, oggi editorialista de “Il Fatto Quotidiano” e fino al 2013 esponente di SEL del trotzkista Vendola. Pupilla ed ex assessore comunale di Mancini senior, durante il suo mandato cercò di (è fatale) ultradestri. Oggi sostiene pubblicamente Occhiuto insieme alla sua cara “amica” di Forza Italia Jole Santelli, ex sottosegretario alla giustizia con Berlusconi e assistente di Previti prima e di Pera poi. Sullo sfondo della conte- zioni di vita, lavoro, studio e salute del popolo cosentino è del tutto evidente che l’unico voto utile da un punto di vista di classe è il voto dato al PMLI e al socialismo attraverso l’astensionismo, creando le condizioni per la creazione delle istituzioni rappresen- trasformare Cosenza in una città “ribelle e libertaria” dando ruoli chiave e visibilità a vecchi imbroglioni politici del ‘68 come Franco Piperno (che oggi difende “il raìs” Sandro Principe, agli arresti domiciliari per il caso Rende) e esaltando Toni Negri e altri squallidi “ultrasinistri” col tempo diventati sa elettorale pesa la scure della magistratura, in particolare della DDA guidata da Nicola Gratteri che sta indagando sul voto di scambio, tanto che secondo alcuni le elezioni potrebbero infine essere rinviate. Di fronte a tutto questo schifo e alla luce delle terrificanti condi- tative delle masse fautrici del Socialismo basate sulla democrazia diretta e a carattere permanente: le Assemblee popolari e i Comitati popolari. Per Cosenza governata dal popolo e al servizio del popolo! Per l’Italia unita, rossa e socialista! Una veduta di Cosenza sta anche a Cosenza comunque non si ferma nonostante lo sfilamento temporaneo dell’NCD. Lo prova l’ingresso nel “centro-sinistra” dei verdiniani di ALA e in particolare di Giacomo Mancini jr, nipote del filomafioso ex segretario nazionale del PSI, che dopo essere stato deputato per i DS nel 2001 (eletto grazie al trasversalismo degli stessi Gentile allora in FI) è passato poi a destra, nell’allora PDL, diventando vicepresidente della giunta regionale e braccio destro dell’allora governatore, il fascista malripulito e condannato Giuseppe Scopelliti. Ora, insieme a Ennio Morrone, consigliere regionale, padre di Luca Morrone, ex presidente del consiglio comunale di Cosenza determinante con il suo cambio di casacca per la caduta di Occhiuto, e ad altri personaggi torna a “sinistra”. Lo squallore delle forze politiche borghesi ed il trasformismo non finiscono qui, diverse le “candidature di scambio” presenti nelle liste dei candidati a sindaco. Fuori dalle liste vale la pena Elettrice ed elettore di sinistra! ASTIENITI, considerandolo un voto dato al PMLI e al socialismo ELEZIONI COMUNALI DEL 5 GIUGNO 2016 Bisogna mobilitarsi per dare battaglia anche sul piano elettorale, al sistema capitalistico, al suo regime e alle sue istituzioni in camicia nera, alle coalizioni della destra e della “sinistra” borghese. Come per il passato, bisogna creare ovunque sia possibile delle Squadre di propaganda dell’astensionismo marxista-leninista. Là dove non ci sono militanti e istanze del Partito, l’iniziativa può essere presa da simpatizzanti e amici. Può far parte della Squadra di propaganda chiunque voglia dare una qualsiasi mano alla campagna elettorale astensionista del Partito. Non è quindi necessario che i membri non di Partito della Squadra siano disponibili a fare tutto quello che occorre alla campagna: volantinaggi, comizi volanti e banchini di propaganda, addobbo sale per i dibattiti, raccolta fondi, ecc. Si può esserne membri anche se si è disposti a fare una sola cosa di tutte queste. Ed è sufficiente offrirsi come autista o mettere a disposi- zione la propria auto o partecipare ai turni di apertura della sede o finanziare la Squadra. Le Squadre possono essere composte anche da due persone. Esse devono tenere almeno due riunioni: una di insediamento nella quale siano discussi i documenti elettorali del Partito e le indicazioni elettorali comparse su Il Bolscevico n. 18/2016, sia stabilito il piano di lavoro e siano suddivisi i compiti; un’altra a conclusione della campagna per fare il bilancio critico e autocritico del lavoro svolto, che in sintesi va comunicato successivamente alla Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del Partito, e per sciogliere la Squadra. Le Squadre nel corso del loro lavoro possono inviare delle brevi corrispondenze a Il Bolscevico, corredate magari da qualche foto, sugli avvenimenti più importanti della campagna elettorale astensionista. Il lavoro non manca e quanto più lavoreremo, in qualità e in quantità, tanti più elettrici ed elettori verranno investiti dalla linea dell’astensionismo marxista-leninista, che comprende, oltre l’astensionismo inteso come voto dato al PMLI e al socialismo, la creazione delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari fondati sulla democrazia diretta. Il nostro auspicio è che questo appello a creare delle Squadre di propaganda dell’astensionismo sia raccolto da tutti gli anticapitalisti, gli antimperialisti, gli antifascisti, i fautori del socialismo e gli astensionisti che vengono a conoscenza del PMLI, che si sono già liberati da ogni influenza elettorale, parlamentare, riformista e revisionista e intendono fare qualcosa di concreto nella battaglia elettorale per far avanzare la causa del socialismo e dell’emancipazione del proletariato. Pensiamo soprattutto agli operai più avanzati e combattivi e alle ragazze e ai ragazzi che hanno tutto un mondo da conquistare. PMLI / il bolscevico 13 N. 20 - 19 maggio 2016 “Il Bolscevico” diffuso al concerto dei “Modena City Ramblers” La denuncia del PMLI che Renzi è il nuovo duce e dev’essere abbattuto raccoglie consensi Dal corrispondente dell’Organizzazione di Modena del PMLI I marxisti-leninisti di Modena e provincia hanno organizzato una proficua diffusione de “Il Bolscevico” al concerto che i Modena City Ramblers hanno tenuto nella sera il 5 maggio a sostegno della raccolta firme della CGIL per la Carta universale dei diritti del lavoro e i referendum sul “Jobs act”, che si teneva nella centrale piazza Grande. I compagni hanno diffuso diverse copie del nu- mero dell’organo del PMLI che recava l’editoriale del Responsabile della Commissione centrale per il lavoro di massa, Andrea Cammilli sul Primo Maggio, soprattutto a lavoratori e giovani. Molto importanti, in questo quadro, i commenti di alcuni partecipanti, che hanno condiviso la nostra denuncia del regime neofascista e di Renzi come nuovo duce, dicendosi concordi con la nostra proposta di unirci per abbatterlo, al di là delle divergenze strategiche. DIALOGO Che pensate del futuro dei giovani e del ruolo del “giovane” rottamatore di diPalazzo Chigi? Parlare dei giovani non è nanzitutto, coi ragazzi. “sinistra”, tutte attività che, al rismo, dall’elettoralismo, dal go- molto facile, però una cosa posso dirvela: che tu sia un fannullone o un lavoratore, che tu sia di una parte politica o di un’altra, che tu ti impegni politicamente o meno, se rientri nella categoria “giovani” sei prima di tutto stanco e disilluso: stanco perché le tue possibilità sono tutte altrove (un tempo rischiava chi intraprendeva un lungo viaggio, oggi rischia chi resta dov’è), stanco perché ti senti preso in giro da chi si è travestito della tua stessa giovinezza per farne baluardo di cambiamento, illudendoti che sarebbe stato un cambiamento nei tuoi interessi. E non mi riferisco solo a Renzi, mi riferisco anche al M5S che ha cavalcato l’onda di Internet, dei nuovi mezzi di comunicazione, col chiaro scopo di dialogare, in- Precisazioni del partigiano Giovanni Gerbi sull’intervista rilasciata a “Il Bolscevico” Al compagno Gabriele Urban, Segretario del PMLI del Piemonte e alla Redazione de “Il Bolscevico”. Ho ricevuto “Il Bolscevico” n. 13 del 2016 con il riassunto della tua lunga intervista in esclusiva dal titolo: “Sono stato, sono e sempre rimarrò comunista rivoluzionario per fare in Italia come nella Russia di Lenin e Stalin”. Poiché ho riscontrato in essa affermazioni e fatti che non cor- rispondono alla “mia storia politica”, ad evitare malintesi e strumentalizzazioni propagandistiche e non veritiere, prego la Redazione de “Il Bolscevico” di ospitare le seguenti puntualizzazioni: 1) Sono Marxista, ateo e mi batto per il Comunismo. 2) Solidarizzo con quelle religioni che si battono per il Comunismo. Che accettano che il Potere sia Comunista e che lo CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI MAGGIO 4-22 13 14 16 19 20 Trasporto locale pubblico - Sciopero personale con date, modalità e orari diversi da città a città Usb Pubblico Impiego - Regioni e autonomie locali Amministrazioni Comunali – Sciopero lavoratori Servizi educativi/scolastici servizi all’infanzia, escluso Regioni Sardegna-Piemonte-Marche Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil – Sciopero lavoratori Energia e Petrolio, Eni SpA, Saipem SpA Mamme No Inceneritore, Assemblea per la Piana contro le nocività e Zero Waste Italy - A Firenze manifestazione nazionale “Fermiamo tutti gli inceneritori” Licta - Trasporto Aereo - Enav SpA – Sciopero Controllori traffico aereo, Pilota, Operatore radiomisure, Esperto di assistenza al Volo e Meteorologo Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil – Telecomunicazioni – Sciopero personale Ericsson Telecomunicazioni SpA Unità organizzativa Field Services & Local Delivery Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil - manifestazione nazionale pensionati a Roma Flc-Cgil, Uil-Rua – Ricerca – Sciopero lavoratori Enti pubblici di ricerca Flc-Cgil, Cisl-Scuola, Uil-Scuola, Snals-Confsal - Ministero Istruzione Università Ricerca – Sciopero Personale Docente, Educativo, Ata e del personale dell’Area V Dirigente. Comparti Università, Ricerca e Afam (Alta Formazione Artistica e Musicale) LETTORI Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi. gestisca il popolo non la religione ed i preti. 3) La mia fortuna come politico è stata di aver incontrato tra i partigiani, appena 15enne, un vecchio comunista reduce dalle patrie galere il quale mi commosse ed entusiasmò parlandomi di Comunismo. Non era il Com.te Rocca (23anni) Rocca era un coraggioso combattente, per me un mito, aveva adottato la stella rossa, ma non era un politico, ancor meno un educatore comunista, troppo egocentrico, interessato alla sua fama. 4) “Il Dirigente Armando Valpreda” (23 anni) era il segretario dell’ANPI di Asti, la mente e il cuore e il comandante della Rivolta Armata di Santa Libera. Egli avrebbe reagito con le armi - così ci disse - se lo Stato borghese fascista ci avesse attaccato con le armi. 5) Il ruolo politico di Rocca a Santa Libera non è lontanamente paragonabile a quello svolto da “Armando”. Seppur in perfetta buona fede finì per nuocere alla “Rivolta”. Mentre in tutto il Centro Nord i partigiani erano sul piede di guerra e attendevano l’abrogazione dell’Amnistia, impaziente Rocca volle andare a Roma per trattare direttamente con il governo (Nenni). Andò con una larga delegazione di capi partigiani. Caddero nella trappola dei falsi comunisti. Ottennero che i loro gradi fossero equiparati a quelli dell’esercito (lui divenne colonnello, si arricchì), mentre dalle trattative vennero escluse sia l’abrogazione dell’amnistia sia l’epurazione. Il resto è noto, se non lo fosse sono sempre a disposizione. Con l’occasione Vi informo che sto portando a termine “La storia della Resistenza Rivoluzionaria Astigiana del 900”, dove troverete tutto ciò che può interessare la Rivoluzione e non sempre si riesce a ricordare in una intervista. Vostro Giovanni Gerbi Insomma, ci hanno, tutti i governi (uno aveva addirittura un ministro della Gioventù, tale Giorgia Meloni), convinto di essere parte integrante della vita del Paese e invitato a partecipare, a “riprenderci” il Paese: un “giovane” si è preso (anzi, gli hanno dato) il Paese ma non ci ha reso nulla, anzi, ci ha tolto prima di tutto la possibilità di fare affidamento su contratti di lavoro che rispettassero dei diritti ormai dati per assodati, ma soprattutto creando un mostro-riforma della scuola che, di fatto, trasforma le classi in covi di piccoli settenani che con le penne devono estrarre dai libri il diamante della conoscenza sotto la supervisione di un insegnante a sua volta guardato e guidato da un preside-manager con l’obiettivo di renderci produttivi - quantitativamente e non qualitativamente. E ho toccato solo superficialmente delle questioni importantissime. La gioventù e la sua inventiva sono state asservite a meccanismi di potere vergognosi: siamo stati traditi, effettivamente. Io personalmente non ho mai appoggiato il “caro” rottamatore, ma in tanti l’hanno fatto, proprio perché volevano innovare, cambiare le cose. Il paradosso di questo nostro tempo è che per essere innovatori bisogna guardare indietro, per essere di sinistra bisogna avere un atteggiamento conservatore, cercando di preservare la nostra Costituzione e i nostri diritti. Un giovane della Valdisieve (Firenze) Innanzitutto ti ringraziamo sinceramente per averci posto le tue interessanti riflessioni, che ci danno un’ulteriore occasione di discutere temi fondamentali per la lotta di classe oggi, quali la condizione giovanile in Italia e il grado di coscienza e di combattività dei giovani, nonché i compiti dei marxisti-leninisti su questo fronte. Intanto apprezziamo molto la tua denuncia di Renzi e della sua opera mistificatoria, demagogica e ingannatoria. Siamo pienamente d’accordo con le considerazioni circa la delusione dei giovani e le meschine operazioni di Renzi e non solo per accreditarsi mediaticamente fra le masse giovanili del nostro Paese e poi tradirli col “Jobs act”, la “Buona scuola” e così via. Tuttavia, sulla base dei fatti, non troviamo corretto sostenere che “la gioventù e la sua inventiva sono state asservite a meccanismi di potere vergognosi”, perché sembrerebbe che la gioventù nel suo complesso accetti questo stato di cose. Bisogna distinguere tra i giovani di sinistra, di centro e di destra. I giovani di sinistra più informati e coscienti non ci stanno. Ora come in passato sono partecipanti essenziali alle più grandi lotte del nostro Paese. Essi sono stati i primi a imbracciare le armi per dare vita alla Resistenza, la scintilla della Rivolta del luglio ‘60, i protagonisti assoluti delle Grandi Rivolte del Sessantotto e del Settantasette, sempre in prima fila nelle lotte contro Berlusconi, Monti e Renzi. Essi sono impegnati nel volontariato, nei movimenti, nei centri sociali, finanche nella base delle organizzazioni giovanili e dei partiti di là delle critiche che gli muoviamo, dimostrano comunque che c’è voglia di impegnarsi per il cambiamento. Non si può immaginare un vero cambiamento senza la partecipazione dei giovani a milioni, perché il futuro appartiene a loro e sta a loro conquistarlo. Il problema è che le masse giovanili in lotta, in generale, sono ancora sotto l’egemonia del riformismo, cioè della tendenza, comunque mascherata, a non mettere in discussione l’intero sistema capitalistico ma a tentare tutt’al più di smussarlo, di correggerne alcuni punti, mantenendone sostanzialmente in piedi l’assetto economico e sociale fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo con tutto ciò che si porta dietro: sfruttamento dei giovani coi contratti precari, cancellazione dei loro diritti fondamentali a partire da quello per la pensione (l’Inps ha ammesso che i nati nel 1980 potrebbero andarci a 75 anni), sfacelo della scuola pubblica e suo asservimento al mercato e potremmo andare avanti ancora a lungo. Oggi questa egemonia è messa alla prova dalla crisi devastante del capitalismo e dal sempre più becero e palese asservimento della “sinistra” parlamentare (o aspirante tale) alla classe dominante borghese, tutti fattori che portano settori sempre più ampi di giovani a maturare una coscienza anticapitalista. Ancora però non hanno ben chiaro come sconfiggere il capitalismo e con che cosa sostituirlo. Sui giovani e sulla loro coscienza politica infatti pesano molto la decomunistizzazione e la deideologizzazione: generalmente non conoscono la storia del movimento operaio italiano e internazionale, dei movimenti studenteschi e del socialismo, non conoscono nemmeno il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, e in numero fin troppo ridotto conoscono e apprezzano il PMLI e la sua linea giovanile e studentesca. Bisogna porre la nostra massima attenzione sui giovani che scendono spontaneamente in piazza contro la “Buona scuola”, il precariato, la disoccupazione, il fascismo, il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, la guerra, le mafie, la devastazione ambientale, le energie fossili, gli inceneritori e le discariche. Essi sono i primi che dobbiamo cercare di convincere a liberarsi dal riformismo, dal parlamenta- vernismo e dal costituzionalismo e a combattere contro il capitalismo per il socialismo. Un impegno enorme, di lunga durata, che deve avere un carattere culturale oltre che politico e organizzativo. C’è bisogno di tanti elementi informati, avanzati e coscienti come te che si impegnino per spostare sulle posizioni rivoluzionarie quei tanti ragazze e ragazzi che sono delusi da questa società e si interrogano su come superarla. Quindi non dobbiamo essere “conservatori” e “preservare” la Costituzione (peraltro già a brandelli e cancellata nei fatti), ma essere rivoluzionari, lottare per una nuova società e per diritti più avanzati, a partire dal lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti e dalla scuola e università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e degli studenti. Cioè per l’Italia unita, rossa e socialista. Si tratta davvero di “riprenderci” il Paese, il diritto a un futuro dignitoso e a vivere la gioventù senza oppressione. Come afferma a chiare lettere l’appello della Commissione giovani del PMLI dal titolo “Giovani prendete esempio dalle Guardie rosse per cambiare l’Italia”, pubblicato proprio su questo numero de “Il Bolscevico”: “Noi vi proponiamo di scoprire l’esempio delle Guardie rosse per ispirarvi a loro per portare a successo le vostre lotte per difendere, pretendere e conquistare i diritti che vi spettano, a partire dal diritto ad un lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, all’istruzione pubblica aperta a tutti, al governo studentesco delle scuole e delle università, con una visione strategica rivoluzionaria contro il capitalismo e per il socialismo. (…) Solo con la lotta i giovani possono ottenere l’abolizione del precariato e il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti. Solo con un grande movimento studentesco unitario, fondato sulla democrazia diretta, si può conquistare la scuola e l’università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti. Solo ricercando l’unità d’azione con tutte le altre forze sociali e politiche anticapitaliste e antirenziane è possibile mettere in campo una potente opposizione sociale nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli atenei e nelle piazze per buttare giù Renzi e cambiare veramente l’Italia”. Andate sempre avanti così con articoli a favore dei lavoratori e volevo citarne qualcuno: quelli provenienti da Milano, Modena, Prato e Valdisieve. Inoltre, sempre nell’ultima edizione volevo congratularmi con Leonardo che ha scritto nella Rubrica “Corrispondenza delle masse” in merito alla Buona Scuola e Jobs Act. Avanti così sempre con articoli a favore dei lavoratori. Alessandro – Firenze Salve, mi volevo complimentare per l’ultima edizione de “Il Bolscevico”, con i vari resoconti dalle varie città relativi alle manifestazioni del Primo Maggio. Sono tutti resoconti interessanti 2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI stampato in proprio - committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it N. 3 - 22 gennaio 2015 esteri / il bolscevico 15 N. 20 - 19 maggio 2016 Varati da Tsipras sotto i diktat della Ue Assediato il parlamento contro il taglio delle pensioni e l’aumento delle tasse Il parlamento greco ha votato nella notte tra l’8 e il 9 maggio una nuova serie di tagli alle pensioni e di nuove imposte sul reddito secondo l’accordo capestro imposto dall’Unione europea (Ue) imperialista e accettato dal governo guidato da Alexis Tsipras nel luglio scorso; a Atene in piazza Syntagma, diverse migliaia di manifestanti assediavano il parlamento contro la manovra del governo e si scontravano con la polizia. La risicata maggioranza di governo con i suoi 153 voti a favore su 300 ha potuto varare la riforma delle pensioni e quella fiscale, un pacchetto di misure del valore da 5,4 miliardi necessari per sbloccare la prevista rata di aiuti e evitare il default del paese. Per le strade di Atene e Salonicco sfilavano diversi cortei di manifestanti contrari alla manovra di Tsipras. I primi a mobilitarsi erano stati militanti e simpatizzanti del Fronte per la lotta dei lavoratori (Pame), il sindacato vicino al partito revisionista greco Kke, che in corteo nella capitale e a Salonicco portavano cartelli che rivendicavano “sicurezza sociale, pubblica e obbligatoria per tutti” denunciando che la legge in via di approvazione era “la pietra tombale al sistema pensionistico che conosciamo”. Altri cortei erano organizzati dai maggiori sindacati del settore pubblico e privato del paese, Adedy e Gsee che avevano proclamato uno sciopero contro la riforma delle pensioni e quella fiscale, cortei che sfilavano a Atene al grido di “no alla dissoluzione del sistema di sicurezza sociale”, “no al proseguimento della politica di rigore”. Le misure approvate in parlamento prevedono un aumento delle tasse dirette e indirette per un valore di circa 3,6 miliardi con l’Iva che sale dal 23 al 24% e l’aumento delle imposte su sigarette, benzina, alcoolici, giochi e bollo auto. La soglia di reddito esentasse scende a poco più di 9 mila euro all’anno dai 9.500 euro precedenti mentre cresce la tassazione dei redditi compresi tra i 795 e i 2.250 euro al mese che dovranno versare all’erario a fine anno 176 euro in più. La manovra sulle pensioni istituisce una pensione minima di 384 euro al mese percepibile dopo 20 anni di contribuzione ma riduce il numero degli enti previdenziali e taglia i cosiddetti assegni supplementari; aumenta i contributi previdenziali per lavoratori autonomi e agricoltori e quelli dei lavoratori dipendenti che salgono fino al 20%, con la quota del 13,6% a carico del padrone e del 6,7% del lavoratore. Le pensioni dei settori pubblico e privato saranno equiparate con un taglio di quelle pubbliche tra ilo 10 e il 20%; complessivamente la manovra sulle pensioni garantirà al bilancio statale un “risparmio” di circa 1,8 miliardi di euro. Con queste misure Tsipras punta a intascare subito la rata da circa 5 miliardi di euro prevista dall’intesa con la Ue per pagare i 3,5 miliardi di euro di debiti in scadenza a luglio ed evitare il default. Ancora una volta i sacrifici imposti a lavoratori e pensionati serviranno soprattutto a coprire i prestiti di banche pubbliche e private. Tsipras in parlamento ha parlato di “giorno storico” perché “fi- Atene, 8 maggio 2016. Il parlamento greco presidiato in forze da decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori scesi in piazza per protestare contro l’ennesima “riforma” delle pensioni a poche ore dal voto finale nalmente dopo sei anni di crisi si inizia a parlare seriamente della riduzione della nostra esposizione”, come dire che sei anni di politica di lacrime e sangue sono serviti solo a pagare parte degli interessi. E non è detto che da ora in poi ci sia una svolta nei conti dato che il Fondo Monetario ha minacciato di ritirarsi dal fronte dei datori dei prestiti se il governo di Atene non farà approvare dal parlamento nei prossimi mesi un nuovo elenco dettagliato di ulteriori tagli pari a 3,6 miliardi di euro da attivare automaticamente nel 2018 qualora non fosse raggiunto l’obiettivo di un avanzo primario di bilancio del 3,5%. Violando l’art. 9 della Costituzione Varata una legge che consente al Giappone di fare la guerra Il progetto di Abe riforma la Costituzione e prevede anche limitazioni alla libertà di associazione, di riunione e sindacale, nonché la possibilità di ricorrere alla legislazione di emergenza Il 3 maggio, festa della CostiNon è quindi un caso che il 28 tuzione giapponese, in tutto il paese si sono svolte manifestazioni organizzate dalle 7.000 associazioni riunite per la difesa dell’articolo 9 della Costituzione del 1946, quello che proibisce l’uso delle forze armate e che il governo liberal democratico di Shinzo Abe vorrebbe riformare. A Tokyo la manifestazione di protesta si è svolta di fronte alla Dieta, il parlamento giapponese. Il premier Abe e la sua coalizione governativa, formata da Liberaldemocratici e Nuovo Komeito, sono accusati di “calpestare la Costituzione” entrata in vigore nel 1947 il cui articolo 9 recita che “il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e rinuncia Manifestazioni in tutto il Paese contro il provvedimento alle minacce e all’uso della forza come mezzo per risolvere le dispute internazionali”. Il cambio dell’articolo costituzionale richiede il consenso di una maggioranza qualificata pari a due terzi di entrambe le aule del parlamento, una maggioranza che Abe non ha. Sono per ora solo alla fase di progetto le modifiche costituzionali del governo che porteranno, secondo le denunce dei pacifisti e dell’opposizione, alla limitazione delle libertà di associazione, di riunione e sindacale, oltre a dare al premier la possibilità di ricorrere alla legislazione di emergenza per fronteggiare le crisi interne, riportando indietro il paese fino alle leggi di pubblica sicurezza del 1925. Finora Abe ha portato a casa la nuova legge sulle Forze di Autodifesa, approvata nel settembre 2015 tra dure contestazioni in piazza dei pacifisti e entrata in vigore il 29 marzo scorso. Per la prima volta dal termine della Seconda Guerra Mondiale, oltre all’eventualità di un’aggressione diretta al Giappone, le forze di autodifesa saranno autorizzate ad intervenire all’estero in caso di un attacco agli Stati Uniti o altri paesi alleati che costituisse anche una minaccia per il Giappone. Abe aveva sottolineato la necessità del varo della legge so- stenendo che “attorno al nostro paese la sicurezza è sempre più precaria. In un mondo dove nessuno può difendersi da solo, questa legge aiuterà a prevenire la guerra”, riferendosi alla “minaccia” nucleare e missilistica della Corea del Nord ma soprattutto alla necessità di contenere la crescente aggressività della superpotenza imperialista cinese nel Mar cinese meridionale e orientale, a partire dalle aree dove si trovano le isole contese tra Pechino e Tokyo. La legge militarista voluta da Abe è stata appoggiata da Barack Obama ed è una delle dirette conseguenze dell’accordo rag- giunto dai due alla Casa Bianca nell’aprile del 2015, quello che ha cambiato le modalità dell’alleanza militare tra i due paesi e che ha trasformato il Giappone da soggetto passivo, difeso dagli Usa in caso di attacco, a attore attivo impegnato a sostenere l’alleato anche al di fuori dei confini nazionali. Un accordo che portava direttamente a violare la costituzione e sottolineava la volontà di Abe, d’intesa col compare imperialista Obama, di spingere l’acceleratore del riarmo dell’imperialismo giapponese per renderlo di nuovo protagonista quantomeno nella regione del Pacifico. agosto dello scorso anno la Marina imperiale giapponese abbia deciso di varare la nuovissima portaerei “Kaga” con lo stesso nome di una delle unità che prese parte al proditorio attacco alla base navale americana di Pearl Harbor il 7 dicembre del 1941 e che allargò il conflitto a tutto il Pacifico. Per aggirare i vincoli costituzionali la “Kaga” è classificata come “cacciatorpediniere portaelicotteri”, armata con elicotteri e convertiplani ma può benissimo imbarcare financo i caccia-bombardieri stealth Usa, F-35. La portaerei entrerà in servizio nel 2017 e assieme alla gemella “Izumo” sarà impegnata a far fronte alle dispute territoriali con Pechino nel Mar cinese meridionale. La famiglia di Giulio “angosciata” in particolare per Abdallah, suo consulente, che rischia la pena di morte Ondata di arresti in Egitto tra i contatti di Regeni Il 7 maggio diversi giornali egiziani sono usciti con la prima pagina in nero e la richiesta delle dimissioni del ministro degli Interni Ghaffar, seguendo le indicazioni del sindacato della stampa che già aveva fatto pubblicare nei banneri sui siti e sui quotidiani il logo “No alla censura” per protestare contro il raid della polizia nella sede del sindacato per ostacolare l’assemblea di almeno 2 mila giornalisti, avvocati e attivisti che manifestavano per il rilascio dei giornalisti agli arresti e nuova leg- ge a protezione della stampa. I giornalisti rigettavano il tentativo di imposizione del governo del Cairo di mettere la sordina alle critiche contro il governo e il presidente Al Sisi, fra le quali quelle sul caso Regeni. Nella seconda metà di aprile il regime del golpista Al Sisi ha dato il via in Egitto a una crescente repressione del dissenso che ha portato all’arresto in molti casi “preventivo” di quasi mille e trecento oppositori e ha scatenato la polizia contro le manifestazioni di piazza comprese quelle Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze chiuso l’11/5/2016 Editore: PMLI ore 16,00 ISSN: 0392-3886 dell’1 Maggio al Cairo, dove gli agenti hanno impedito a centinaia di lavoratori di prendere parte nella capitale all’assemblea che doveva celebrare la festa. Diversi gli arrestati che si aggiungevano ai molti dei giorni precedenti. Fra gli arrestati anche Ahmed Abdallah, l’avvocato egiziano difensore dei diritti umani e responsabile della Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà (Ecrf) che da due mesi era anche consulente della famiglia Regeni per seguire le vicende legate all’assassinio del giovane Giulio da parte del regime egiziano; il ricercatore italiano era scomparso il 25 gennaio e ritrovato cadavere il 3 febbraio lungo una strada alla periferia del Cairo, con il corpo martoriato da feroci torture. Ahmed Abdallah era prelevato nella sua abitazione nella notte tra il 24 e il 25 aprile dalle forze speciali e tradotto in carcere con l’accusa di aver “manifestato senza autorizzazione” contro la decisione del golpista Al Sisi di cedere le isole Tiran e Sanafir nel Mar Rosso all’Arabia Saudita, che con forti iniezioni di petrodollari sostiene il regime del Cairo. Era uno dei quasi 400 egiziani arrestati preventivamente dalle forze di sicurezza che volevano impedire una protesta che comunque si è tenuta lo stesso. Il 27 aprile al Cairo diverse decine di manifestanti sono riusciti a marciare dalla sede del Sindacato della Stampa fino all’ufficio della procura della capitale per denunciare l’arresto e gli abusi compiuti contro i reporter il lunedì 25 aprile e l’attacco alla sede del sindacato nello stesso giorno. Dei 33 arrestati erano ancora sei quelli chiusi in prigione fra i quali Abdallah che dopo un fermo di quattro giorni vedeva allungato il periodo di carcerazione a 30 giorni con ben più pesanti accuse, dall’incitamento all’uso della forza per rovesciare il governo e cambiare la costituzione all’incitamento ad attaccare stazioni di polizia con fini terroristici, all’appartenenza ad un gruppo terroristico collegato alla Fratellanza Musulmana. Accuse che prevedono la pena di morte. Il 27 aprile l’avvocato di Abdallah denunciava che in un colloquio informale la procura di Heliopolis che segue il caso lo aveva interrogato sui legami con la famiglia Regeni. Il che fa pensare che sia stato preso di mira dagli apparati repressivi di Al Sisi soprattutto perché oltre ad essere presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, una ong che denuncia in particolare gli arresti arbitrari e le sparizioni forzate, è anche consulente degli avvocati della famiglia Regeni per le indagini sulla morte di Giulio. E la famiglia del ricercatore italiano si diceva “angosciata” per l’arresto di Ahmed Abdallah, esprimeva “preoccupazione per la recente ondata di arresti in Egitto ai danni di attivisti dei diritti umani, avvocati, giornalisti anche direttamente coinvolti nella ricerca della veri- tà circa il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio”. Il 26 aprile il portavoce di Amnesty International Italia denunciava l’inasprimento delle azioni repressive da parte del governo del Cairo e sosteneva che “l’azione politica italiana deve essere commisurata a questa escalation egiziana”. Dopo tre giorni la risposta del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni non si spostava da un innocuo “la nostra ricerca della verità finora non ha avuto risposte soddisfacenti”, nulla a fronte della montagna di menzogne e dei comportamenti arroganti del governo egiziano. Il richiamo a Roma dall’8 aprile scorso del nostro ambasciatore al Cairo non può essere l’unica risposta del governo italiano che non vuole mettere in pericolo gli stretti legami economici e politici costruiti col regime di Al Sisi e l’alleanza costruita per potere intervenire in Libia, ultimamente messi in pericolo dall’offensiva del concorrente imperialista francese Hollande. Perché i comuni siano governati dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo NON VOTARE I PARTITI BORGHESI AL SERVIZIO DEL CAPITALISMO Delegittimiamo le istituzioni rappresentative borghesi PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it Stampato in proprio CREIAMO LE ISTITUZIONI RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE FAUTRICI DEL SOCIALISMO Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) ASTIENITI