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Casi seguiti nell`ambito della rete progetto diritti

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Casi seguiti nell`ambito della rete progetto diritti
Casi seguiti nell’ambito del Progetto Diritti: da Straniero a Cittadino
Diritto all’unità familiare dei minori stranieri.
E’ la prima questione di valenza generale di cui si sono occupate le Associazioni del
Progetto Diritti attraverso una lettera di sensibilizzazione rivolta alle Istituzioni
competenti. Riportiamo il testo di questa missiva del 28 maggio 2010 sottoscritta da
Pier Luigi Rossi Presidente Casa per la Pace di Milano, Rosanna Tommasi,
Presidente Internzianale Helder Camara ,Vittorio Musso, Presidente Sant’Angelo
Solidale.
Gentili Signori
• Dott.ssa Giuliana Pupazzoni
Direzione Scolastica Provinciale
• Dottor Pierfrancesco Maffè
ANCI Lombardia
• Dottor Carlo Lucchina
Dir.Gen.Sanità Regione Lombardia
LORO SEDI
e, p.c.
Sua Eminenza
• Card. Dionigi Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Oggetto: diritto all’unità familiare e tutela dei minori
Le scriventi associazioni, interessate alla tutela dei diritti, soprattutto dei soggetti più
fragili, stanno avviando sul territorio un monitoraggio in materia di integrazione delle
persone extracomunitarie, con l’obbiettivo di tutelare diritti di particolare rilevanza,
che trovano riconoscimento non solo nella nostra Costituzione, ma anche nell’ambito
del diritto internazionale.
1
In tale contesto, si è iniziato ad esaminare lo stato dell’arte relativo alla sfera
giuridica dei minori stranieri, con riguardo all’applicazione concreta di una norma
contenuta nel vigente testo unico in materia di immigrazione (art. 31, terzo comma,
del decreto legislativo 286/1998), che riconosce e tutela il diritto del minore a non
subire i comprensibili effetti psicologici negativi conseguenti all’allontanamento di
un genitore non in regola o non più in regola col permesso di soggiorno,
riconoscendo al genitore stesso la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno a
tempo determinato per potere rimanere accanto al proprio figlio.
In particolare la richiamata disposizione legislativa recita testualmente che “ Il
Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e
tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio
italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di
tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico.
L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne
giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del
minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla
rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva
competenza.”
Sul punto si confrontano al momento due linee interpretative contrastanti della Corte
di Cassazione. Una restrittiva, che sostanzialmente riconosce il suddetto diritto solo
a fronte di comprovate gravi condizioni di salute del minore, ma non anche, ad
esempio, a fronte di esigenze di stabilità collegate al ciclo scolastico (quand’anche i
minori si siano inseriti con profitto nella scuola italiana).
Una estensiva, che intende la ratio della norma sotto il profilo della necessità di una
incisiva protezione del diritto del minore alla famiglia e a mantenere rapporti
continuativi con entrambi i genitori, in considerazione altresì del fatto che detto
diritto trova pieno riscontro anche al di fuori della disciplina del testo unico in
materia di immigrazione, in vari testi normativi, nazionali e internazionali: nella
nostra Costituzione (articoli. 2, 3, 30, 31, 34), nel nostro ordinamento legislativo (art.
2
155 codice civile e art. 1 legge 184/1983) nonché in alcuni rilevanti documenti
internazionali: la Dichiarazione dei diritti del fanciullo dell'ONU 20 novembre 1959,
la Convenzione ONU sui diritti dei minori, ratificata dall'Italia (legge 176/1991), la
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Nizza, 7 dicembre 2000), oggi
confermata dal Trattato di Lisbona.
Ora, fermo restando il pieno rispetto delle sentenze in materia e la prudenza nell’
esaminarle sempre in relazione alle specificità dei casi decisi, ci preme tuttavia
sottolineare come l’applicazione della norma in esame comporti la trattazione di un
tema complesso, quale è il rapporto tra integrazione e sicurezza, relativamente alla
tutela di diritti fondamentali di soggetti deboli, quali i minori.
Tema, insomma, delicato e con diverse sfaccettature, non solo giuridiche, ma anche
psicologiche, affettive, educative, che coinvolge evidentemente non soltanto la
magistratura, ma la società civile nel suo complesso, nonché, a parere di chi scrive, le
istituzioni in indirizzo, preposte ai compiti dell’istruzione e dell’assistenza sociale e
sociosanitaria.
Pare infatti evidente che la preoccupazione sottesa al pieno riconoscimento del diritto
in oggetto, in tutte le sue possibili e logiche declinazioni, è quella di evitare che la
norma in questione venga strumentalizzata come una sorta di salvacondotto
generalizzato per sanare situazioni di permanenza altrimenti irregolari: pertanto, nel
contemperamento e bilanciamento degli interessi di rilevanza costituzionale, che
entrano in conflitto nelle fattispecie dedotte, si potrebbe riconoscere priorità
all’interesse alla sicurezza nazionale, piuttosto che all’interesse dei minori alla
continuità dei propri affetti familiari e all’istruzione.
Per superare tale preoccupazione si può obiettare che in ogni caso l’autorizzazione
all’ingresso o alla permanenza ex art. 31 comporta un permesso di soggiorno
comunque temporaneo (nella prassi generalmente non superiore a due anni): quindi
una soluzione, che, in molti casi, oltre a tutelare il diritto fondamentale del minore
alla continuità dei rapporti coi propri genitori, potrebbe consentire alla persona
extracomunitaria di beneficiare di quel tempo minimo necessario per regolarizzare in
3
modo stabile il proprio soggiorno. Basti pensare, ad esempio, che molti stranieri, pur
perfettamente inseriti e per nulla pericolosi per la collettività, sono costretti a lavorare
in nero o possono subire la perdita del lavoro regolare, soprattutto in un momento di
crisi economica come quello attuale, e conseguentemente il titolo legittimante la loro
permanenza.
Allo stesso modo molte donne, titolari di un permesso per ricongiungimento
familiare, rischiano di essere espulse a seguito della separazione o del divorzio.
Non solo: a presidio da eventuali strumentalizzazioni dell’istituto in esame, la stessa
norma prevede la revocabilità dell’autorizzazione ove lo straniero dovesse tenere una
condotta incompatibile con le esigenze del figlio minore o con la sua permanenza in
Italia.
Questa riflessione si impone dal momento che il fenomeno dell’immigrazione, a
nostro avviso, non può più essere obbiettivamente affrontato soltanto in una logica
emergenziale, tanto più allo stato attuale, là dove i minori interessati potrebbero
essere già ben integrati nel nostro contesto sociale, culturale, linguistico e scolastico,
essendo addirittura, oramai in casi sempre più numerosi, nati in Italia, o comunque
oramai già da diversi anni residenti nel nostro Paese.
Pertanto, anche al fine di evitare di cadere in un dibattito ideologico, stiamo avviando
una ricerca che accanto all’analisi giuridica porti i dati della realtà sociale, a partire
dal nostro territorio, per calare il tema dei diritti nella condizione concreta degli esseri
umani e delle loro storie specifiche.
Per tali motivi desidereremmo aprire un confronto con gli Enti in indirizzo per
verificare, nel rispetto della privacy, l’impatto oggettivo e reale del tema oggetto di
questa comunicazione.
In particolare è nostra intenzione approfondire il problema per quanto riguarda dati,
tipologie delle situazioni, verifica della conoscenza effettiva delle norme e dei diritti
da parte dei potenziali interessati, anche per cogliere eventuali criticità, cercare
insieme di superarle, e insieme promuovere cultura sui diritti fondamentali della
persona umana.
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Gradiremmo molto suggerimenti e valutazioni sul tema e sul progetto e siamo
ovviamente disponibili ad eventuali incontri di approfondimento.
Con l’occasione salutiamo con cordialità
Proroga dell’affidamento ai servizi sociali e rinnovo del permesso di soggiorno
Il caso, seguito con esito favorevole nel giugno 2010, è individuale e riguarda una
ragazza extracomunitaria prossima al compimento della maggiore età, attualmente in
affido ai servizi sociali del Comune di Milano a seguito di un provvedimento del
Tribunale dei Minori, che ha ravvisato gli estremi dell’art. 333 del codice civile, ossia
l’allontanamento della minore dal padre (la madre era deceduta).
Il supporto fornito da una associata alla ragazza, con i consigli dell’avv. Luigi Lia, è
stato quello di compilare una richiesta specifica, concordata con la stessa assistente
sociale comunale, finalizzata ad un proseguimento dell’affido in parola, anche una
volta compiuti i diciotto anni, dal momento che permangono purtroppo le medesime
conflittualità familiari già stigmatizzate dal giudice minorile, al fine anche di ottenere
il rinnovo del permesso di soggiorno e dunque la possibilità per la ragazza di
proseguire i propri studi anche dopo la maturità, avendo la stessa conseguito ad oggi
brillanti risultati scolastici. L’esito del procedimento è stato favorevole, poiché è
culminato con l’accoglimento dell’istanza da parte del Tribunale dei Minori. In un
secondo tempo, si può ipotizzare di supportare la persona nelle procedure complesse
per il conseguimento della cittadinanza italiana ed in ogni azione che si dovesse
ritenere utile o necessaria per la tutela dei suoi diritti anche in ambito familiare.
Osservazioni sulle ordinanze del Sindaco Moratti relative al quartiere Corvetto di
Milano: dubbi di legittimità e motivi di dissenso culturale e politico
Le seguenti osservazioni, elaborate dalle Associazioni del Progetto Diritti, sono state
messe a disposizione di alcuni consiglieri comunali, nel mese di novembre 2010. Ne
riportiamo il testo.
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Le due ordinanze in oggetto ricalcano nella sostanza analoghi provvedimenti del
Sindaco di Milano adottati anche con riferimento ad altri quartieri (esempio viale
Padova) e sono ispirate dal medesimo impianto ideologico e propagandistico (in vista
altresì delle prossime elezioni amministrative), ossia inquadrare il tema
dell’immigrazione in un’ottica meramente repressiva e coercitiva, alimentando un
clima di paura fra cittadini italiani e stranieri, e disattendendo politiche alternative di
integrazione e di dialogo. Il contenuto delle ordinanze è infatti coerente con la
richiesta del Sindaco Moratti al Ministro Maroni di inserire il reato di clandestinità,
fra quelli per i quali la polizia è legittimata a fare irruzione nelle case senza mandato
dell’autorità giudiziaria.
1) L’ordinanza, relativa all’imposizione dell’obbligo, a carico dei proprietari di unità
immobiliari date in locazione, di denunciare alla Polizia locale, mediante auto
dichiarazione, i contratti posti in essere, è assolutamente inutile (ed assume perciò
una valenza meramente ideologica e propagandistica), dal momento che da oltre 30
anni vige nel nostro ordinamento una disposizione legislativa (legge 191/1978) che
impone a chiunque di comunicare agli uffici di Pubblica sicurezza la cessione ad altri
a qualunque titolo, e per un periodo superiore ad un mese, di un fabbricato o parte di
esso, di cui il cedente abbia la disponibilità in nome proprio o altrui, previo obbligo
del cedente di accertare l’identità del cessionario, mediante compilazione in apposito
modulo dei relativi dati anagrafici.
2) Entrambe le ordinanze presentano una evidente incongruità tra le premesse, là
dove si parla di un problema, peraltro evocato solo genericamente e non comprovato
in modo dettagliato, di un non meglio precisato degrado urbano, e la parte
dispositiva, dove i provvedimenti si limitano, l’uno a duplicare un obbligo già
previsto, come ricordato nel punto precedente, l’altro a stabilire la chiusura anticipata
di esercizi commerciali. Al contrario, il rispetto della coerenza logico giuridica degli
atti in esame avrebbe dovuto suggerire disposizioni più pertinenti alla soluzione del
sedicente degrado, con riferimento alla realizzazione di opere di ristrutturazione di
palazzi fatiscenti, di riqualificazione ambientale, nonché di investimenti in campo
6
sociale e culturale, nel segno di politiche volte alla prevenzione del disagio e
dell’emarginazione.
3) L’incongruità attiene anche alla forma dei provvedimenti: il presupposto,
enunciato nelle premesse degli atti in esame e non dimostrato, di un’urgenza,
legittima il potere eccezionale del Sindaco, quale organo monocratico, di assumere
ordinanze urgenti, le quali, evidentemente devono necessariamente avere, data
l’eccezionalità, una vigenza ed un’efficacia temporalmente limitata (nella fattispecie
dal 1 agosto al 16 ottobre) salvo eventuali proroghe. Ma se si tratta di affrontare un
problema di degrado urbano, con tutti gli annessi e connessi, è evidente che la forma
più pertinente da adottare non è quella dell’ordinanza urgente, bensì quella di una
procedura più dettagliata, caratterizzata da una serie di provvedimenti che devono
chiamare in causa più livelli istituzionali di competenza, sia interni al Comune di
Milano (Giunta, Consiglio, apparato tecnico amministrativo), sia esterni in un
rapporto di leale collaborazione tra istituzioni e società civile.
4) Nell’ordinanza relativa alla chiusura anticipata degli esercizi commerciali della
zona si legge che sono state preventivamente consultate le associazioni dei
commercianti, quasi a voler dimostrare il rispetto del principio partecipativo del
procedimento amministrativo, imposto oggi non solo dal buon senso democratico ma
anche dalla legge sulla trasparenza amministrativa. Tuttavia anche questo passaggio è
criticabile poiché mira a dissimulare una evidente omissione del Sindaco, ossia non
aver coinvolto in alcun modo le diverse associazioni presenti a vario titolo sul
territorio interessato, impegnate nel campo sociale e del volontariato, le quali
avrebbero potuto utilmente contribuire, con il loro prezioso bagaglio di esperienze e
di conoscenze, ad una migliore definizione dei provvedimenti da adottare per
risolvere le criticità del quartiere, liquidate invece troppo superficialmente e
genericamente dall’ordinanza della Moratti sotto l’etichetta di degrado urbano.
La chiusura anticipata di esercizi commerciali, unitamente al pregiudizio che
identifica i residenti stranieri di un quartiere come potenziali clandestini pericolosi e
delinquenti, configurano scelte politiche ed amministrative, che finiscono per
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aumentare il problema della sicurezza anziché risolverlo, visto che l’esperienza ed il
buon senso dimostrano quanto siano invece utili, a fini preventivi e risolutivi,
politiche favorevoli alla socialità e al reciproco riconoscimento delle culture.
Diniego del codice STP ex art. 35 TU Immigrazione: cure negate ai figli minori di
stranieri irregolari.
Il caso, esaminato con un primo colloquio l’11 maggio 2011 e ancora in fieri,
riguarda una signora egiziana, irregolare a far tempo dal 2006, a seguito del mancato
rinnovo del permesso di soggiorno al marito (perché pagato in nero dal datore di
lavoro). Recentemente la signora ha richiesto il codice STP (straniero
temporaneamente presente) presso un distretto ASL di Milano, al fine di avere
l'accesso a determinate prestazioni sanitarie (urgenti, essenziali, ecc. tra cui la tutela
della salute del minore), visto che il diritto alla salute va garantito, in base all’art. 35
del TU immigrazione, anche agli extracomunitari presenti sul nostro territorio non in
regola con le norme relative all'ingresso o al soggiorno. Tuttavia l’ASL le ha opposto
diniego secondo motivazioni poco chiare. Alla persona interessata è stata data la
possibilità di un colloquio con una mediatrice culturale, Nancy, aderente al progetto
diritti, e con l’avvocato Luigi Lia, nel corso del quale sono state fornite alla persona
interessata informazioni legali di supporto, circa l’ambito delle prestazioni comprese
nel codice STP:
-cure ambulatoriali ed ospedaliere, urgenti o comunque essenziali, ancorché
continuative, per malattia e infortunio;
- interventi di medicina preventiva e prestazioni di cura ad essi correlate, a
salvaguardia della salute individuale e collettiva, e precisamente:
•
tutela della gravidanza e della maternità
•
tutela della salute del minore
•
vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi di prevenzione
collettiva autorizzati dalle Regioni
•
interventi di profilassi internazionale
8
•
profilassi, diagnosi e cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica dei
relativi focolai
Per cure urgenti si intendono le cure che non possono essere differite senza pericolo
per la vita o danno per la salute della persona.
Per cure essenziali si intendono le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche,
relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel
tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita
(complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti).
Per cure continuative si intendono quelle tese ad assicurare all’infermo il ciclo
terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell’evento
morboso.
L'azione di tutela concordata per agevolare la soluzione del problema è caratterizzata
dai seguenti passaggi: a) nuova richiesta del codice STP, con l'assistenza della
mediatrice culturale; b) intervento delle associazioni del progetto diritti con lettera
scritta all'ASL e all'Ufficio di pubblica tutela, nel caso di ulteriore diniego di accesso
al codice STP e/o di difficoltà ad accedere alle prestazioni di cura dei figli minori
anche una volta ottenuto il codice; c) eventuale allargamento di tale azione di tutela
anche ad altri casi simili. Siamo in attesa dell’esito del primo passaggio.
Diniego di cure sanitarie ai Rom
Su tale problema abbiamo avviato una collaborazione con l’Associazione Naga e
Medici di strada. La prima riflessione sull’argomento sta in questi termini. I cittadini
comunitari privi del diritto di soggiorno (perché senza lavoro, reddito, ed
assicurazione sanitaria) e quindi non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale hanno
diritto, in base alla legge, a ricevere le stesse prestazioni garantite ai cittadini
extracomunitari irregolari dall'art. 35 del TU immigrazione (d.lgs.286/1998). Alcune
Regioni (ad esempio, Piemonte, Puglia, Lazio, Marche) hanno correttamente
interpretato la legge, assegnando ai cittadini comunitari in queste condizioni (per lo
più rom) un codice ENI (Europeo non iscritto) che li tutela/dovrebbe tutelare (con
9
una durata di 6 mesi, salvo proroga), e che equivale al codice STP che
tutela/dovrebbe tutelare gli stranieri extracomunitari irregolari. La Regione
Lombardia, pur dicendo nelle propria circolare di riferimento che anche i cittadini
comunitari privi di copertura sanitaria hanno diritto alle prestazioni sanitarie previste
dall'art. 35 (urgenti, essenziali, tutela della salute dei minori, della gravidanza, ecc),
tuttavia poi non fornisce, come fanno altre Regioni, né questo codice ENI né
indicazioni precise alle strutture sanitarie su come garantire in concreto questa
assistenza. Da ciò derivano quei problemi di mancata assistenza sanitaria che il Naga
sta cercando di monitorare.
Per affrontare il problema abbiamo collaborato con il Naga alla stesura dei seguenti
documenti.
PROGETTO RAPPORTO CSCS
FOGLIETTO ILLUSTRATIVO PER ACCOMPAGNATORI NAGA
Questo documento è pensato per fornire agli operatori che effettueranno accompagnamenti di
pazienti nell’ambito del “progetto CSCS” un quadro generale della normativa vigente per quanto
riguarda l’assistenza sanitaria dei cittadini comunitari.
Dal 31 Dicembre 2007 i rumeni e bulgari sono cittadini europei. Di conseguenza non hanno più
diritto al codice STP che fino ad allora era stato utilizzato anche per loro se irregolarmente presenti
sul territorio. I cittadini comunitari che si trovano in Italia (residenti o dimoranti), hanno diritto agli
stessi livelli di assistenza di cui usufruiscono gli iscritti al Servizio Sanitario Nazionale con alcuni limiti. In
particolare il cittadino dell'unione che soggiorna sul territorio nazionale per un periodo superiore a
tre mesi, sarà iscritto al Servizio Sanitario Nazionale solo nei seguenti casi: se è un lavoratore
subordinato o autonomo nello Stato; se è familiare, anche non cittadino dell'unione, di un
lavoratore subordinato o autonomo nello Stato; se è familiare di cittadino italiano; se è in possesso
di una Attestazione di soggiorno permanente maturato dopo almeno 5 anni di residenza in Italia;
se è un disoccupato iscritto nelle liste di collocamento o iscritto ad un corso di formazione
10
professionale; se è titolare di uno dei seguenti formulari comunitari: E106, E109(o E37), E120, E121 (o
E33).
Rimangono quindi privi di copertura sanitaria quei cittadini comunitari che sono presenti sul
territorio nazionale ma che non risultano assistiti dagli Stati di provenienza (non hanno la tessera
TEAM – tessera europea assicurazione malattia - o certificato sostitutivo) e non hanno i requisiti di
cui sopra per l’iscrizione al SSN. In ogni caso, come anche ricordato dalla nota informativa del 3
agosto 2007 del Ministero della Salute (DA CONSEGNARE ALL’ACCOMPAGNATORE) è previsto il
diritto alle prestazioni indifferibili ed urgenti per i cittadini comunitari non assicurati, incluse le
prestazioni sanitarie (come integrato dalla nota informativa del 19 febbraio 2008) relative alla
tutela della salute dei minori, alla tutela della maternità e all’interruzione volontaria di gravidanza.
Inoltre devono essere attivate, nei confronti di queste persone, le campagne di vaccinazione, gli
interventi di profilassi internazionale e la profilassi, diagnosi e cura delle malattie infettive, ai sensi
della vigente normativa nazionale.
In pratica per le persone (poche) che hanno avuto un regolare lavoro nei loro paesi di origine,
pagando i contributi e che hanno un regolare lavoro in Italia il problema non si pone, l’assistenza
sanitaria è prevista. Il problema si pone per le persone (la maggioranza) che non avevano e non
hanno un lavoro fisso. Molte regioni (Piemonte, Marche, Lazio, Sicilia, Puglia), hanno sostituito il
codice STP con il codice ENI (Europei Non Iscritti) che ha le stesse caratteristiche e dà diritto alle
stesse prestazioni previste dal codice STP. L’utilità di un codice differenziato rispetto all’STP è solo a
fini statistici, informativi ed eventualmente di recupero crediti per lo stato Italiano. La Regione
Lombardia ha emanato una circolare nel 2008 (Circolare n. 4/SAN 2008 della Regione Lombardia,
DA CONSEGNARE ALL’ACCOMPAGNATORE) con la quale stabilisce che i cittadini comunitari
hanno diritto alle prestazioni indicate “dall’art. 35 del DL 286/1998”, ma non ha definito con cosa
debba essere sostituito il codice STP per questi pazienti. A pagina 3 la circolare fa riferimento alla
sigla CSCS (comunitario senza copertura sanitaria) che andrebbe indicata sul retro delle ricette
rosse nel campo “Nome identificazione istituzione competente”. Si badi bene che questa sigla non
è equivalente all’emissione di un codice (come l’STP o il codice ENI).
Alcuni ospedali per ovviare a questa lacuna utilizzano questa sigla e scrivono il codice fiscale del
paziente (se ne è in possesso).
Nei fatti, se affetti da patologie “essenziali continuative” (es. diabete, ipertensione, asma, epilessia,
cardiopatie) possono essere curati solo dalle associazioni di volontariato e non hanno diritto a
nessun codice seppur provvisorio. Hanno meno diritti dei cittadini irregolarmente presenti.
Tuttavia il quadro normativo attuale consentirebbe ugualmente una tutela giuridica del diritto alla
salute dei cittadini comunitari dimoranti in Italia non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale, e privi di
assicurazione sanitaria e di assistenza dai rispettivi Stati di provenienza: queste persone hanno infatti
diritto, in base al nostro ordinamento, di ricevere le stesse prestazioni previste dall’art. 35 del Testo
Unico
Immigrazione
con
riferimento
ai
cittadini
extracomunitari
irregolari
e
richiamate
precedentemente nel secondo capoverso del presente foglio illustrativo.
Questo principio giuridico può essere ricavato alla luce di quanto stabilito:
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a) Dall’art. 32 della Costituzione, che stabilisce la tutela del diritto alla salute e il principio
solidaristico e universale del Servizio Sanitario Nazionale, nonché le cure gratuite agli
indigenti;
b) dall'art. 1, comma 2, TU 286/1998 che stabilisce l'estensione ai cittadini comunitari delle
disposizioni previste per i cittadini extracomunitari qualora risultino più favorevoli: per tale
motivo ai cittadini comunitari privi di copertura sanitaria devono essere assicurate le stesse
prestazioni previste dall'art. 35 TU 286/1998, per i cittadini extracomunitari irregolari ,
c) dalla Circolare Ministero della Salute DG RUERI/II/3152-P/I.3.b/1 del 19 febbraio 2008,
“Precisazioni concernenti l’assistenza sanitaria ai cittadini comunitari dimoranti in Italia”,
secondo la quale il D.Lgs 30/2007 (“Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto
dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri”) deve essere armonizzato con le norme di principio
dell'ordinamento italiano stabilite dall’art. 32 della Costituzione;
d) dalla Circolare n. 4/SAN 2008 della Regione Lombardia, che, per quanto carente nel dire
che cosa deve sostituire il codice stp, ribadisce comunque il principio per il quale i cittadini
comunitari privi di copertura sanitaria hanno diritto alle prestazioni indicate dall'art. 35 TU
286/1998;
e)
da un documento del giugno 2011 della Direzione Generale Diritto alla Salute e Politiche di
Solidarietà Coordinamento interregionale in Sanità “Indicazioni per la corretta applicazione
della normativa per l’assistenza sanitaria della popolazione straniera da parte delle Regioni
e Province autonome italiane”
Di seguito un documento da presentare agli operatori delle strutture ospedaliere presso le quali si
effettua l’accompagnamento.
Gentili Signori,
vorremmo richiamare alla Vostra attenzione i seguenti principi normativi che riguardano la cura dei
cittadini comunitari non iscritti al SSN:
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1. i diritti inviolabili della Costituzione italiana che sancisce “la tutela della salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite
agli indigenti”,
2. il D.Lgs 30/2007 (“Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini
dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli
Stati membri”);
3. la Circolare Ministero della Salute DG RUERI/II/3152-P/I.3.b/1 del 19 febbraio 2008,
“Precisazioni concernenti l’assistenza sanitaria ai cittadini comunitari dimoranti in Italia”:
“Come si è detto, rimangono al di fuori di questo quadro, quei cittadini comunitari privi di
copertura sanitaria e presenti sul territorio nazionale.
Al riguardo, ferme restando le competenze in materia sanitaria di spettanza regionale, si è del
parere che il decreto legislativo 30/2007 debba essere armonizzato con le norme di principio
dell'ordinamento italiano che sanciscono la tutela della salute e garantiscono cure gratuite agli
indigenti (art. 32 Cost.), dai cui principi discende il carattere solidaristico ed universale del Servizio
Sanitario Nazionale.
Pertanto, come sottolineato nella nota informativa del 3 agosto 2007, i cittadini comunitari hanno
diritto alle prestazioni indifferibili ed urgenti.
Tra queste si intendono incluse anche le prestazioni sanitarie relative:
- alla tutela della salute dei minori, ai sensi della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del
20 novembre 1989. ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176;
- alla tutela della maternità, all'Interruzione volontaria di gravidanza, a parità di condizione con le
donne assistite iscritte al SSN, in applicazione delle leggi 29 luglio 1975, n. 405. 22 maggio 1978 n.
194, e del decreto ministeriale 10 settembre 1998.
Infine, devono essere attivate, nei confronti di queste persone, anche per motivi di sanità pubblica
nazionale, le campagne di vaccinazione, gli interventi di profilassi internazionale e la profilassi,
diagnosi e cura delle malattie infettive, ai sensi della vigente normativa nazionale”
4. E la Circolare n.4/SAN 2008 del 27 Marzo 2008, Regione Lombardia, Giunta Sanità,
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Distinti saluti,
Associazione Naga Onlus
Guida pratica e giuridica per minori stranieri non accompagnati
Ai minori stranieri “non accompagnati” sono riconosciuti oltre al diritto all'istruzione,
all'assistenza sanitaria e al lavoro, i seguenti diritti:
Alla protezione e assistenza. Ai minori stranieri non accompagnati si applicano le
norme previste dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione dei minori. In
particolare si applicano le norme che riguardano: - il collocamento in luogo sicuro del
minore che si trovi in stato di abbandono: spetta all’Ente locale (in genere il Comune)
la competenza a provvedervi; l’apertura della tutela per il minore i cui genitori non
siano oggettivamente in condizioni di esercitare la potestà genitoriale; - l’affidamento
del minore, temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, a una famiglia o
a una comunità. L’affidamento può essere disposto dal Tribunale per i minorenni
(affidamento giudiziale) oppure dai servizi sociali del Comune, nel caso di genitori o
di tutore impossibilitati a esercitare le proprie responsabilità sul minore. In tale
circostanza è richiesto il consenso dei genitori o del tutore impossibilitati a
provvedere e del Giudice Tutelare che, con proprio provvedimento, rende esecutivo
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l’affidamento (affidamento consensuale). Ogni minore straniero non accompagnato
deve essere segnalato dall’autorità che lo rintraccia sul territorio nazionale: - alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, a eccezione del caso in
cui il minore sia accolto da un parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi; - al
Giudice Tutelare, per l’apertura della tutela; - al Comitato per i minori stranieri, a
meno che non sia stata presentata domanda di asilo.
A non essere espulsi. I minori stranieri non possono essere espulsi, tranne che per
motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato (in tal caso è competente il
Tribunale per i minorenni). I minori stranieri non accompagnati possono tuttavia
essere rimpatriati attraverso la misura del rimpatrio assistito, finalizzata a garantire il
diritto all’unità familiare. Il provvedimento è adottato solo se, in seguito a
un’indagine specifica, attivata e svolta dal Comitato per i minori stranieri nel Paese
d’origine, si ritiene che ciò sia opportuno nell’interesse del minore. Il rimpatrio
assistito è disposto dal Comitato per i minori stranieri e viene eseguito
accompagnando il minore fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità
responsabili del Paese d’origine. A differenza dell’espulsione, il rimpatrio non
comporta il divieto di reingresso per 10 anni. Nel caso in cui ritenga che il rimpatrio
non sia nel suo interesse, il minore ha diritto di presentare, per il tramite dei genitori o
del tutore, ricorso alla magistratura (Tribunale ordinario o TAR) per ottenere
l’annullamento del provvedimento.
Al permesso di soggiorno. Tutti i minori stranieri non accompagnati hanno diritto di
ottenere, per il solo fatto di essere minorenni (e quindi inespellibili), un permesso di
soggiorno per minore età. I minori titolari di permesso per minore età possono
convertirlo in uno per affidamento nel caso in cui, a seguito del provvedimento di
"non luogo a provvedere al rimpatrio" dal Comitato per i minori stranieri, vengono
affidati o direttamente con provvedimento del Tribunale per i minorenni o su
iniziativa dei Servizi Sociali resa esecutiva dal Giudice Tutelare. Il permesso di
soggiorno per affidamento consente al minore straniero di lavorare in tutti quei casi in
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cui la legge italiana lo permette ai minori in generale e può essere convertito in
permesso per studio o lavoro, al compimento dei 18 anni. I minori affidati ad un
cittadino straniero regolarmente soggiornante, che convivono con l’affidatario,
vengono iscritti nel permesso di soggiorno del medesimo fino al compimento dei 14
anni e ricevono un permesso di soggiorno per motivi familiari al compimento dei 14
anni. La domanda di permesso di soggiorno per il minore non accompagnato deve
essere presentata da chi esercita i poteri tutelari sul minore e dunque: · dal tutore, se
ne è stato nominato uno; · dal legale rappresentante dell’istituto o comunità o
dall’Ente locale, se il minore è collocato in un istituto o comunità o è comunque
assistito dall’Ente locale.
La presente guida è stata utilizzata, nell’ambito del progetto diritti, per seguire
positivamente l’inserimento di un minore egiziano non accompagnato: il ragazzo è
attualmente stato affidato ad una Comunità di Monza, tramite i servizi sociali
comunali di Milano, e sta seguendo un corso di lingua italiana.
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