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Ronald Dworkin: i diritti presi sul serio, l`uguaglianza e i fondamenti

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Ronald Dworkin: i diritti presi sul serio, l`uguaglianza e i fondamenti
Ronald Dworkin: i diritti presi sul serio, l’uguaglianza e i fondamenti
della moralità politica
Giorgio Bongiovanni e Giovanni Sartor
Abstract: Il punto teorico centrale dell’opera di Ronald Dworkin è la tesi della connessione tra diritto e moralità
politica, tesi su cui si fonda l’idea che il diritto sia un fenomeno “interpretativo”. Per Dworkin l’individuazione del
diritto nei casi concreti e l’autorità stessa delle norme giuridiche dipendono dalla moralità che fonda (e deve fondare)
la comunità politica. La migliore interpretazione di tale comunità la configura come impresa collettiva di soggetti
uguali: ne discende che il diritto deve essere fondato e applicato sulla base della tutela dei diritti soggettivi e sul
principio dell’“eguale considerazione e rispetto” di tutti gli individui.
La riflessione dworkiniana, secondo molti teorici del diritto, ha rappresentato un vero e proprio
cambio di paradigma rispetto alle posizioni classiche della teoria giuridica quali il giuspositivismo,
il giusnaturalismo e il realismo giuridico. Nel dibattito italiano e dei paesi di lingua neolatina,
Dworkin viene considerato come uno dei principali ispiratori della corrente del
“neocostituzionalismo”. Le analisi dworkiniane non si sono limitate al diritto, ma si sono estese a
temi fondamentali della politica e dell’etica: si può dire che le sue indagini abbiano preso in esame i
principali aspetti della ragion pratica.
L’opera di Dworkin a nostro parere può essere vista come lo sviluppo di un’unica tesi
fondamentale, quella della connessione tra diritto e moralità politica. Questa tesi fornisce una
chiave di lettura coerente delle sue riflessioni teorico-giuridiche, filosofico-politiche e filosoficomorali.
In relazione alla teoria del diritto, la tesi della connessione comporta la critica del modello
positivistico del diritto, cioè la negazione della riducibilità del diritto alle fonti formalmente valide,
quali le statuizioni autoritative del legislatore, dell’amministrazione e dei giudici. Al contrario, per
Dworkin il diritto include necessariamente valutazioni morali, la cui validità si fonda non solo sulla
loro accettazione da parte dei giudici e dei cittadini, ma anche sulla loro intrinseca correttezza, quali
aspetti della moralità politica della comunità. Si tratta in particolare dei principi inclusi nel sistema
costituzionale, che esprimono primariamente una serie di diritti degli individui.
Questa prospettiva comporta un’implicazione politica importante al livello della struttura del
sistema giuridico, cioè il vincolo del legislatore di fronte ai principi e ai diritti che fondano la
comunità. Nella visione di Dworkin l’interpretazione e l’attuazione di quei principi è affidata ai
giudici, cui pertanto egli riconosce un ampio ruolo, anche in contrapposizione al legislatore. Ad essi
spetta garantire il principio “liberal”, della eguale considerazione e rispetto degli individui (e
innanzitutto la tutela dei loro diritti), che rappresenta il necessario presupposto della legittimità dei
sistemi giuridici.
Si noti che per Dworkin la moralità politica non è un mero fatto sociale: non possiamo
determinare i principi morali della costituzione mediante una mera analisi sociologica che raccolga
gli orientamenti dei giudici e della popolazione. La determinazione di tali principi richiede il ricorso
a una moralità critica, quale attività razionale volta a identificare i principi corretti. Quindi
l’orientamento di Dworkin presuppone una forma di cognitivismo morale: l’idea che il diritto si
fondi sulla moralità politica presuppone la possibilità di dare una fondazione razionale ai giudizi
morali. Al riguardo Dworkin sembra adottare un’epistemologia coerentista secondo cui la
correttezza dei principi morali si connette soprattutto alla loro coerenza reciproca, alla possibilità di
integrarli in una visione complessiva, che si estende alle diverse pratiche sociali.

R. Dworkin, Justice for Hedgehogs, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, MA, 2011, sostiene
che il diritto è una parte della moralità politica.
1
La riflessione più nota di Dworkin (e quella che ispira le sue tesi in ambito politico e
morale) attiene alla teoria e filosofia del diritto, e può essere caratterizzata per tre aspetti principali:
in primo luogo, in relazione ai caratteri individuativi del diritto e al nesso tra diritto e morale
politica; in secondo luogo, con riferimento alla nuova struttura delle norme e del diritto nei sistemi
costituzionali; in terzo luogo, in rapporto alla dimensione e al ruolo della interpretazione giuridica.
Il primo aspetto ha quale punto di partenza la visione del diritto come “concetto
interpretativo”. Secondo Dworkin, a differenza dei concetti “criteriali” (che fissano
convenzionalmente una serie di criteri, più o meno precisi, mediante i quali circoscrivere gli enti cui
il concetto fa riferimento) e di quelli di “genere naturale” (la cui estensione è definita dal
riferimento ad una certa struttura fisica), il concetto di diritto è di natura interpretativa. Per stabilire
che cosa sia il diritto ci dobbiamo interrogare su quale sia la migliore prospettiva dalla quale
guardare alla pratica sociale cui appartiene il diritto, la prospettiva che possa meglio consentirci di
individuare norme atte a governare la comunità politica, secondo la (corretta) moralità politica che
attribuiamo alla stessa. In questa visione, definire cosa prescrive il diritto in determinate condizioni
e situazioni presuppone l’individuazione dei valori che ispirano e debbono ispirare la prassi
giuridica: Dworkin pone esplicitamente questo legame e sostiene che l’interpretazione e
l’applicazione del diritto dipendono “da valori”. Pertanto l’individuazione del contenuto precettivo
delle norme si fonda sempre su una dinamica tra essere (fatti sociali) e dover essere (valori morali).
La riflessione di Dworkin si concentra sull’attività dei giudici, quale decisione di casi
concreti che presuppone la determinazione delle norme applicabili (infatti si è talvolta affermato
che egli propone una teoria della giurisdizione piuttosto che una teoria del diritto o anche che egli
riduce la teoria del diritto alla teoria della giurisdizione). In tale prospettiva l’interpretazione del
diritto appare come un’attività pratica, finalizzata a determinare le norme applicabili al caso
concreto e quindi alla decisione di tale caso. Tale determinazione secondo Dworkin presuppone una
fase preinterpretativa, in cui l’interprete raccoglie le fonti del diritto potenzialmente rilevanti (leggi,
sentenze, ecc.), ma poi si sviluppa nella valutazione delle scelte possibili secondo due dimensioni:
la dimensione del “fit” cioè la corrispondenza con le scelte passate (in particolare quelle legislative
e giurisdizionali) e la dimensione della giustificazione, cioè la loro corrispondenza con i principi
della moralità politica. Le scelte concernenti l’interpretazione del diritto rispetto ai casi concreti
dipendono pertanto dall’appropriatezza rispetto alle prassi precedenti, ma anche da valutazioni di
correttezza morale.
Da questa prospettiva anche l’indirizzo positivistico, inteso come l’esclusivo riferimento alle
fonti autoritative del diritto, appare come una scelta morale e politica, cioè quella di privilegiare la
prevedibilità delle scelte giuridiche, e quindi la tutela dell’interesse dell’individuo a pianificare le
proprie azioni sulla base di tale previsione. L’opzione di Dworkin è diversa: accanto alla
prevedibilità ci sono anche i valori della giustizia e dell’uguaglianza, che si realizzano in una
comunità ispirata da coerenti principi di moralità politica. Secondo Dworkin, infatti, un ordine
giuridico è legittimo se si basa sul vincolo che si stabilisce in una comunità di “principio”
caratterizzata dal fatto di imperniarsi su una serie di principi comuni di equità e giustizia (che
fissano lo schema di diritti e doveri degli individui contenuti nella costituzione) che le istituzioni
politiche devono rispettare e sviluppare. Questa idea si concretizza nell’esigenza che siano
riconosciuti “eguale considerazione e rispetto” a tutti membri della comunità: il fondamento

Nelle sue diverse opere, Dworkin per spiegare questa dimensione ha fatto riferimento a casi giudiziari nei quali
emergono dei disaccordi “teoretici”, cioè disaccordi su quale sia effettivamente il diritto da applicare a questi casi. La
questione giudiziaria più nota è sicuramente Riggs v. Palmer (un caso nel quale la Corte dello Stato di New York si
appella al principio non statuito per il quale “non si può trarre vantaggio da una cattiva azione” per la sua decisione). A
questa questione si può aggiungere quella inglese McLoughlin v. O’ Brien nella quale le decisioni delle Corti nei tre
livelli di giudizio si appellano a valori diversi per decidere il caso. I due casi sono discussi in R. Dworkin, L’impero del
diritto, Il Saggiatore, Milano, 1989.
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dell’obbligo giuridico è perciò un’idea della comunità basata sull’assunto che “ogni individuo abbia
lo stesso valore degli altri”, abbia cioè uguale dignità sia in termini di diritti, sia di interventi delle
autorità politiche. È ciò che Dworkin chiama “ideale dell’integrità politica”, che si traduce nella
visione per cui ciò che rende legittimo il potere dello Stato è il fatto di “governare attraverso un
insieme coerente di principi comuni” che realizzano una dimensione di “uguaglianza” dei soggetti.
Quale esempio di applicazione dell’idea di uguaglianza di Dworkin possiamo ricordare la sua
valutazione della cosiddetta “azione affermativa” (il trattamento preferenziale dei membri di gruppi
sociali svantaggiati, ad esempio, nell’accesso alle università o ai contratti pubblici). Secondo
Dworkin l’azione affermativa, quando volta esclusivamente a superare situazioni di svantaggio,
garantendo eguaglianza sostanziale, risulta pienamente giustificata: è vero che i membri degli altri
gruppi non godono del trattamento preferenziale, ma ciò non segnala una minore considerazione e
rispetto nei loro confronti.
La connessione tra diritto e morale comporta profonde implicazioni per la struttura del
diritto (in particolare delle norme giuridiche). A partire da Taking Rights Seriously, Dworkin pone
in evidenza come il diritto contemporaneo sia composto non solo di “regole” ma anche di principi.
Con riferimento a tale distinzione, Dworkin ha richiamato diverse caratteristiche differenziali dei
principi rispetto alle “regole”. I principi si caratterizzano per gli aspetti seguenti: esprimono i valori
supremi dell’ordinamento di una comunità; si fondano sulla propria correttezza morale; la loro
applicazione può richiedere ponderazione e bilanciamento; specificano diritti fondamentali;
prevalgono su considerazioni di utilità pubblica; servono da riferimento necessario per l’attività
interpretativa; possono condurre alla disapplicazione di regole incompatibili con essi. Ad esempio,
con riferimento al caso Riggs v. Palmer, Dworkin contrappone alla regola secondo la quale l’erede
indicato nel testamento ha diritto di ottenere l’eredità, il principio secondo cui nessuno può
avvantaggiarsi del proprio illecito (il termine inglese è “wrong”, che denota la violazione di un
diritto, ma significa anche azione ingiusta o scorretta, ed esprime quindi l’inevitabile connessione
tra diritto e morale), principio secondo il quale i giudici esclusero dall’eredità l’erede che aveva
ucciso il testatore. L’aspetto della discussione dworkiniana dei principi che ha avuto maggiore
influenza sulla discussione teorico giuridica è probabilmente quello strutturale (poi sviluppato in
particolare da Robert Alexy): i principi debbono essere bilanciati nei casi concreti alla luce della
loro rilevanza in tali casi, e rimangono validi anche se talvolta disapplicati per la prevalenza di
principi contrastanti.
La tesi della connessione tra diritto e morale si riflette infine nel ruolo che Dworkin assegna
all’interpretazione e applicazione del diritto. Come abbiamo già osservato, secondo Dworkin, la
specificazione delle norme giuridiche avviene nei processi di interpretazione e applicazione. Per
Dworkin, è necessario che tali processi rendano possibile lo sviluppo “migliore” dello schema di
principi di equità e giustizia posti alla base della comunità. Ciò significa che le istituzioni pubbliche
debbono agire “con coerenza” e nel rispetto dei principi nei confronti di tutti i cittadini, e inoltre che
tali istituzioni debbono fornire l’interpretazione “migliore” dei principi fondativi del diritto. Si
tratta, da un lato, della “coerenza in linea di principio” che si realizza nel “trattare i casi simili in
modo simile”, e, dall’altro lato, nella lettura morale (“moral reading”) dei principi della comunità e
della costituzione. Ciò si traduce in un’interpretazione del diritto (e della costituzione) che deve
attualizzare i principi e i diritti posti alla base della comunità individuando la “best conception of
constitutional moral principles” in relazione ai casi e all’evoluzione storica. Secondo Dworkin, il
riferimento alla moralità politica offre la prospettiva per risolvere i dubbi nell’interpretazione del
diritto: in ultima istanza esiste sempre, per qualsiasi questione giuridica, un’interpretazione più
giustificata, una “risposta giusta” al caso che dobbiamo affrontare, anche se non sempre saremo in
grado di trovarla.

R. Dworkin, La giustizia in toga, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 16.
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Come osservavamo sopra, il contributo di Dworkin non si limita alla filosofia del diritto, ma
si estende a temi attinenti alla filosofia politica e morale. La filosofia politica di Dworkin ha quale
punto di partenza la connessione tra teoria del diritto e moralità politica: ciò avviene per il tramite
del concetto di comunità basata su principi. In questa idea, Dworkin sintetizza la dimensione
“costituzionale” dell’esperienza giuridica contemporanea, intesa come l’accoglimento di “contenuti
morali” da parte del diritto, in relazione ai diritti e agli obiettivi dell’attività pubblica. Dworkin
sviluppa le implicazioni politiche di questa assunzione in una duplice direzione: da un lato, in
relazione al ruolo dei diritti e dell’eguaglianza nei sistemi costituzionali, e, dall’altro lato, rispetto
alla visione “costituzionale” e “deliberativa” della democrazia che presuppone il vincolo del potere
delle maggioranze politiche.
In relazione al primo aspetto, Dworkin sottolinea che i sistemi costituzionali sono basati su
diritti “morali” e “politici” (che precedono la decisione politica) e che sono volti alla realizzazione
dell’idea di “eguale considerazione e rispetto”. A questo riguardo dobbiamo sottolineare la
prospettiva “liberal” adottata da Dworkin. Secondo tale prospettiva, la moralità del diritto non
comporta l’imposizione alla vita dei singoli di un determinato ideale etico (l’imposizione della
morale attraverso il diritto, paventata da John Stuart Mill così come da Herbert Hart), ma comporta
invece la garanzia assoluta di un’eguale libertà, nel rispetto delle scelte di ciascuno, libertà che si
estende, per esempio, tanto alla sfera sessuale quanto alle determinazioni sulla fine della propria
vita.
Con riferimento all’eguaglianza, Dworkin ne propone una visione quale eguaglianza di
“risorse”, intesa a consentire la convivenza di eguaglianza e libertà. Tale visione può quindi essere
vista come una risposta “liberal” alle teorie che assolutizzano i diritti di proprietà, e respingono
quindi ogni forma di ridistribuzione in quanto incompatibile con i diritti individuali (riprendendo
temi sviluppati in particolare Robert Nozik). La posizione di Dworkin si inquadra nell’ambito del
cosiddetto egualitarismo della fortuna (“luck egalitarianism”), che tenta di coniugare l’esigenza
della eguaglianza e quella della responsabilizzazione: a tutti debbono essere fornite eguali risorse,
ma ciascuno sarà libero di usarle come preferisce e subirà le conseguenze delle proprie scelte. Tale
eguaglianza di risorse tuttavia va al di là della mera uguaglianza di opportunità, superando l’ideale
meritocratico: oltre alle differenze nelle condizioni economiche e sociali di partenza, si debbono
superare anche le differenze “naturali”, cioè le differenze nelle capacità fisiche e intellettuali,
capacità che consentono ad alcuni di avere maggiore successo economico rispetto ad altri. Quindi,
chi possiede una dotazione inferiore nei talenti dovrà essere compensato da chi possiede una
dotazione maggiore, cioè capacità che gli consentono di ottenere maggiori risultati nella situazione
economico-sociale data. A tal fine Dworkin immagina che si mettano all’asta le risorse che
ciascuno possiede, sia le risorse esterne (i beni posseduti), sia le risorse interne (le capacità). Tale
asta determina il valore delle risorse che ciascuno possiede, e chi si trova a possedere risorse aventi
un valore superiore avrà l’obbligo di ridistribuire l’eccedenza a vantaggio di chi è stato meno
fortunato. In concreto, ciò giustifica, data la differenza nelle risorse possedute da ciascuno,
meccanismi di redistribuzione finanziati dalla tassazione che mirino alla concretizzazione di
programmi volti a limitare le “diseguaglianze”. L’eguaglianza delle risorse, peraltro, non tocca la
libertà di ciascuno di utilizzare le proprie risorse nel modo che ritiene più opportuno.
In relazione al secondo aspetto, si può dire che la presenza dei principi e dei diritti conduce a
una visione della democrazia quale sistema in cui gli individui hanno diritti che le istituzioni
politiche e le maggioranze “non hanno il potere di superare o compromettere”, diritti che
proteggono le scelte del singolo, ma anche favoriscono il corretto dispiegamento della deliberazione
democratica. La democrazia, secondo Dworkin, richiede “la protezione costituzionale dei diritti

Sui lineamenti dell’eguaglianza liberale, R. Dworkin, Virtù sovrana. Teoria dell’uguaglianza, Feltrinelli, Milano,
2002.
4
individuali”. Dworkin sottolinea la necessità della tutela: dei diritti di libertà degli individui e delle
minoranze, della non discriminazione, della libertà di scelta sessuale e di livelli minimi di diritti
sociali. Ciò permette di distinguere due diverse concezioni della democrazia: quella
“maggioritaria”, per la quale tutte le decisioni sono legittime se approvate dalla “maggioranza dei
cittadini”, e quella costituzionale e deliberativa per la quale il “governo è soggetto a delle precise
condizioni”.
Le riflessioni giuridiche e politiche di Dworkin trovano il loro esito finale nella riflessione
filosofico-morale. Per Dworkin, il fatto che la dinamica del diritto si concretizzi nella
interpretazione e che quest’ultima implichi “scelte morali” pone una “questione fondamentale”: si
tratta della possibilità di stabilire criteri di oggettività dei giudizi etici. L’integrazione tra diritto e
moralità politica presuppone l’oggettività dei giudizi morali. Infatti, se le scelte morali fossero in
ultima istanza arbitrarie, o mera espressione di preferenze soggettive, lo sarebbero anche le
interpretazioni giuridiche che si basano su di esse. Per Dworkin esiste una risposta positiva: i
giudizi morali e giuridici possono aspirare all’oggettività, ed è possibile accettarli in quanto veri e
respingerli in quanto falsi. Egli individua tale risposta a partire dal postulato della “indipendenza
della verità morale dalla scienza e dalla metafisica”, adottando un’epistemologia di tipo
coerentistico. Secondo Dworkin, infatti, la verità (oggettività) dei giudizi morali può essere stabilita
solo a partire da criteri interni alla morale: la verità di una conclusione morale dipende dalla
coerenza degli argomenti addotti a suo sostegno. Tale coerenza si deve misurare rispetto ai concetti
morali caratterizzanti la pratica cui si fa riferimento, ma anche rispetto a valori più generali (comuni
ad altre pratiche), e alle decisioni adottate nel passato. La verità dei giudizi morali dipende quindi
da una valutazione olistica che si allarga a tutti tali aspetti.
Come risulta dalla nostra sommaria esposizione, il pensiero di Dworkin ha affrontato molti
dei temi fondamentali del pensiero giuridico, etico e politico. Le sue tesi sono state oggetto di molti
apprezzamenti, ma anche di numerose critiche: la sua metaetica oggettivistica è stata criticata da
prospettive non-cognitiviste o relativistiche; la sua idea della connessione tra morale e diritto è stata
contestata da chi vuole scindere la determinazione empirica del diritto vigente dalle scelte
discrezionali fatte nell’ambito dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto; la sua
caratterizzazione “interpretativa” e olistica dell’attività del giudice è stata rifiutata da chi ha posto
l’accento sulla necessità di limitarne i poteri rispetto alle scelte politiche e alle competenze
dell’amministrazione; l’idea che vi sia sempre una risposta giusta a ogni questione giuridica è stata
respinta da chi ha messo l’accento sull’indeterminatezza dei sistemi giuridici e sui conflitti tra
norme morali.
Qui non possiamo affrontare le innumerevoli questioni connesse con le diverse valutazioni
dell’opera di Dworkin e dei suoi impatti sul pensiero giuridico contemporaneo. Ci limitiamo a
osservare che la sua opera rappresenta oggi un riferimento imprescindibile non solo per il dibattito
filosofico giuridico, ma anche per la teoria liberale dell’etica, dell’eguaglianza e della democrazia.
Giorgio Bongiovanni (CIRSFID e Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di
Bologna), è docente di Filosofia del diritto. Tra le sue pubblicazioni, Costituzionalismo e teoria
del diritto, Laterza, 2005; Oggettività e morale (a cura di), B. Mondadori, 2007; la voce
“Neocostituzionalismo” in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 2011.
Giovanni Sartor (CIRSFID e Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna;
Istituto Universitario Europeo di Firenze), è docente di Informatica giuridica e di Teoria del

Su questi aspetti, si veda R. Dworkin, Constitutionalism and Democracy, in “European Journal of Philosophy”, n. 1,
1995.

R. Dworkin, Justice for Hedgehogs, cit., p. 14.
5
diritto. Tra le sue pubblicazioni Legal Reasoning: A Cognitive Approach to the Law, Springer,
2005 e L’informatica giuridica e le tecnologie dell’informazione, Giappichelli, 2012.
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