Comments
Description
Transcript
Difendersi dagli Studi di Settore
COLLEGIO DEI RAGIONIERI COMMERCIALISTI DI BRESCIA Come difendersi dagli studi di settore brevi note A cura della Commissione Studi 1 Sommario PREMESSA 1) Normativa…………………………………….pag. 4 2) Prassi ………………………………………...pag. 7 3) Dottrina e Giurisprudenza …………………..pag. 10 4) Le regole dell’accertamento ………………..pag. 48 5) Accertamento con adesione……….…… ….pag. 51 6) Le strategie difensive ………..…………….pag. 54 7) Schema ricorso……………………………….pag. 66 2 PREMESSA La disciplina degli studi di settore è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 62 bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993 n. 427. L’Agenzia delle Entrate così motiva l’introduzione di questo strumento : Il sistema tributario dei primi anni settanta aveva ancorato la determinazione del reddito d’impresa e di lavoro autonomo, alle risultanze delle scritture contabili. Ciò aveva, conseguentemente, determinato l’introduzione di vincoli e cautele all’utilizzo, da parte degli uffici tributari , di accertamenti induttivi che dovevano considerarsi del tutto eccezionali e legittimati solo in presenza di gravi irregolarità contabili commesse dal contribuente. In tale contesto gli accertamenti induttivi erano destinati a costituire una quota non significativa del totale delle rettifiche eseguite. Si realizzava così il paradosso per cui il sistema finiva per privilegiare il contribuente-evasore, che però aveva fatto attenzione a tenere in regola le scritture contabili, penalizzando invece il contribuente che pagava fino all’ultima tutte le sue tasse, ma che aveva semplicemente dimenticato di ottemperare ad alcune regole formali, come ad esempio la vidimazione di un registro contabile. Gli studi di settore sono stati introdotti per superare le incongruenze del vecchio sistema, per “regolare” e prevenire eventuali conflitti, nel nuovo clima di lealtà e collaborazione che si respira nel rapporto Fisco - contribuente , anche grazie all’introduzione di istituti come l’accertamento con adesione e l’auto tutela. In questo nuovo rapporto assume finalmente importanza tutto quello che è utile a circostanziare la posizione fiscale effettiva del singolo contribuente in relazione alle caratteristiche oggettive della sua attività. Tuttavia la nostra esperienza maturata sul campo e verificata quotidianamente ci porta a ritenere che detti strumenti debbano essere considerati delle presunzioni semplici e, d'altra parte questi modelli matematici non potranno mai cogliere appieno le diverse capacità imprenditoriali, sottolineare le diverse attitudini, valutare le procedure gestionali che fanno la differenza e consentono a quell’imprenditore piuttosto che all’altro risultati, anche reddituali , diversi. Ecco perché questi strumenti devono essere ausilio dell’Accertamento e non diventare essi stessi Accertamento. La Commissione Studi Il coordinatore Eugenio Vitello 3 NORMATIVA Decreto del 19 maggio 2005. Approvazione delle disposizioni per l'applicazione degli Studi di Settore ai contribuenti che esercitano due o più attività di impresa, ovvero a una o più attività in diverse unità di produzione o di vendita (61 studi in vigore a decorrere dal periodo d’imposta 2004) Decreto del 22 aprile 2005. Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime fiscale delle attività marginali (61 studi in vigore a decorrere dal periodo d’imposta 2004) DECRETO 24 marzo 2005 - Approvazione di un nuovo studio di settore e delle evoluzioni di studi di settore relativi ad attività professionali (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl. Straordinario) DECRETO 24 marzo 2005 - Approvazione delle evoluzioni di studi di settore relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl. Straordinario) DECRETO 17 marzo 2005 - Approvazione delle evoluzioni di dodici studi di settore relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl. Straordinario) DECRETO 17 marzo 2005 - Approvazione di un nuovo studio di settore e le evoluzioni di 12 studi di settore relativi ad attività economiche nel settore dei servizi (G.U. n. 74 del 31-32005- Suppl. Straordinario) DECRETO 17 marzo 2005 - Approvazione delle evoluzioni di 21 studi di settore relativi ad attività economiche nel settore del commercio (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl. Straordinario) Provvedimento del 21/02/2005 - Programma delle revisioni degli studi di settore applicabili a partire dal periodo d’imposta 2005 (Gazzetta Ufficiale n. 48 del 28/02/2005) Decreto del 14/07/2004. Approvazione delle disposizioni per l'applicazione degli studi di settore ai contribuenti che esercitano due o più attività di impresa ovvero una o piu' attività in diverse unità di produzione o di vendita Decreto del 18/07/2003. Approvazione delle disposizioni per l'applicazione degli studi di settore ai contribuenti che esercitano due o più attività di impresa ovvero una o piu' attività in diverse unità di produzione o di vendita Provvedimento del 15/04/2003 - Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime fiscale Decreto del 25/03/2002. Criteri di applicazione degli studi a imprese multipunto e multiattività 4 Provvedimento sui limiti per le attivitagrà marginali relativamente agli ultimi 13 studi di settore (14/04/2002) Criteri di applicazione degli studi a imprese multipunto e multiattività (25/03/2002) Modalità di riduzione dei ricavi e compensi determinati in base agli studi di settore per la loro applicazione nei confronti dei contribuenti "marginali"(02/01/2002) Adeguamento spontaneo in dichiarazione ai maggiori ricavi derivanti dall'applicazione degli studi di settore: legge n. 448 del 28 dicembre 2001, articolo 9, commi 12 e 13 Modifiche concernenti le modalità di annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore - PROVVEDIMENTO DEL 15/06/2001 - Emanato da Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27/06/2001 - Per la decorrenza vedi il terzo comma dell'art. 1 Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime fiscale delle attività marginali, relativi alle attività comprese nei 29 studi di settore approvati con decreti ministeriali del 20 marzo 2001 - PROVVEDIMENTO DEL 26/03/2001 Emanato da Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28/03/2001 Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime fiscale delle attività marginali - PROVVEDIMENTO DEL 28/02/2001 - Emanato da Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10/03/2001 Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime fiscale delle attività marginali - PROVVEDIMENTO DEL 08/02/2001 - Emanato da Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20/02/2001 Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate LEGGE DEL 21/11/2000 N. 342 (Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25/11/2000 - supplemento ordinario) Misure in materia fiscale art. 70 Disposizioni riguardanti l'accertamento basato sugli studi di settore e l'accertamento basato sui parametri art. 71 Adeguamento alle risultanze degli studi di settore art. 72 Adempimenti contabili dei soggetti esercenti più attività ANNOTAZIONE SEPARATA: Decreto del direttore generale del Dipartimento delle entrate del 24 dicembre 1999 5 ADEGUAMENTO DELLE ESISTENZE INIZIALI: Articolo 7, commi da 9 a 14, legge 23 dicembre 1999, n. 488 STUDI DI SETTORE & PARAMETRI: Decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999 n. 195 OSSERVATORI PROVINCIALI - Decreto del direttore generale del Dipartimento delle entrate 15 aprile 1999 STUDI DI SETTORE - NORMATIVA A REGIME: Legge 8 maggio 1998, n. 146, Articolo 10 PARAMETRI MODIFICHE DAL '96: Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 marzo 1997 CONTABILITA' INATTENDIBILE: Decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1996, n. 570 - Regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attivià d'impresa, arti e professioni PROROGA PARAMETRI OLTRE IL '95: Legge 23 dicembre 1996, n. 662 PARAMETRI VERSIONE '95: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 gennaio 1996 - Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d'affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull'attività svolta PARAMETRI - LEGGE ISTITUTIVA: Legge 28 dicembre 1995, n. 549 - Articolo 3, commi da 181 a 189 STUDI DI SETTORE - PRIME NORME: Decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427 - Art. 62-bis - Art. 62-sexies 6 PRASSI Circolare n. 32/E del 21/06/2005: "Studi di settore - periodo di imposta 2004" Circolare n. 27/E del 18/06/2004: "Studi di settore. Periodo d'imposta 2003" Circolare n. 42/E del 24 luglio 2003: "Prevenzione e contrasto all'evasione - Attività dell'Agenzia per il 2003" Circolare n. 39/E del 17/07/2003: "Studi di settore - periodo di imposta 2002" Attività di controllo dei dati strutturali e contabili rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore (09/06/2003) Circolare 58/E del 27 giugno 2002 "Studi di settore - periodo di imposta 2001" Chiarimenti nelle istruzioni ai modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore: Risoluzione n. 165/E del 4 giugno 2002 Attività di accertamento sulla base degli studi di settore per il periodo d'imposta 1998 CIRCOLARE - 11 APRILE 2002 N. 29 / E ANNOTAZIONE SEPARATA - CIRCOLARE 25 FEBBRAIO 2000, n. 31/E Adeguamento spontaneo in dichiarazione ai maggiori ricavi derivanti dall’ applicazione degli studi di settore: Circolare 15/E del 1 febbraio 2002, paragrafo 10 OSSERVATORI PROVINCIALI per l'adeguamento degli studi di settore alle realtà economiche locali. Compiti e modalità di funzionamento - Circolare 96/E del 15 novembre 2001 Annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore - Facoltà prevista dal provvedimento del 15 giugno 2001 - RISOLUZIONE DEL 06/07/2001 N. 111 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Accertamento Sanatoria dei codici di attività ai fini della corretta applicazione degli studi di settore RISOLUZIONE DEL 06/07/2001 N. 112 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Accertamento Sanatoria dei codici di attività ai fini della corretta applicazione degli studi di settore RISOLUZIONE DEL 06/07/2001 N. 112 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Accertamento STUDI DI SETTORE - CIRCOLARE DEL 13/06/2001 N. 54 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Accertamento 7 Attività di accertamento sulla base dei parametri previsti dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, per il periodo d'imposta 1996 - Ulteriori indicazioni in merito alla gestione della fase del contraddittorio - CIRCOLARE DEL 14/03/2001 N. 25 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Accertamento Attività di verifica nei confronti di contribuenti che, per il periodo di imposta 1998, risultano "non coerenti" rispetto agli indicatori economici individuati dagli studi di settore CIRCOLARE DEL 17/11/2000 N. 210 - Emanata da Ministero delle Finanze - Direzione Centrale Accertamento Metodologie di controllo differenziate per attività economiche dirette al consumatore finale - CIRCOLARE - 13 OTTOBRE 2000 N. 185 / E Attività di accertamento nei confronti delle persone fisiche sulla base dei parametri previsti dalla legge 28 dicembre 1996, n. 549, per il periodo d'imposta 1996 - CIRCOLARE DEL 03/10/2000 N. 175 - Emanata da Ministero delle Finanze - Dipartimento delle Entrate - Dir. Centrale Accertamento Attività di accertamento nei confronti delle persone fisiche sulla base dei parametri previsti dalla legge 28 dicembre 1996, n. 549, per il periodo d'imposta 1996 - CIRCOLARE DEL 03/10/2000 N. 175 - Emanata da Ministero delle Finanze - Dipartimento delle Entrate - Dir. Centrale Accertamento STUDI DI SETTORE - ANNOTAZIONE SEPARATA - ULTERIORI PRECISAZIONI CIRCOLARE 3 LUGLIO 2000, N. 134/E ADEGUAMENTO DEL MAGAZZINO - CIRCOLARE I GIUGNO 2000, N. 115/E STUDI DI SETTORE - CIRCOLARE 8 GIUGNO 2000, N. 121/E ADEGUAMENTO DEL MAGAZZINO - CIRCOLARE I GIUGNO 2000, N. 115/E STUDI DI SETTORE - RISPOSTE A QUESITI - CIRCOLARE 5 LUGLIO '99, n. 148/E STUDI DI SETTORE - ESTRATTO CIRCOLARE 9 GIUGNO '99, n.127/E STUDI DI SETTORE - PRIMA CIRCOLARE 21 MAGGIO '99, n. 110/E STUDI DI SETTORE - CHIARIMENTI FORNITI IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEI PRIMI QUESTIONARI STUDI DI SETTORE - (ESTRATTO DALLE CIRCOLARI 205/E-215/E-257/E DEL 1997) 8 Circolare 205/E del 13/07/1997: "Studi di Settore - Invio dei questionari ai contribuenti" PARAMETRI - SECONDA CIRCOLARE - 16 MAGGIO 1997 N.140/E PARAMETRI per la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d'affari. Art. 3, commi da 181 a 189, della legge 28/12/1995, n. 549 - PRIMA CIRCOLARE - 13 MAGGIO 1996 N. 117 / E 9 DOTTRINA e GIURISPRUDENZA Parametri 1995: le possibilità di difesa per il professionista di Gorgoglione Lorenzo in Pratica Professionale - I Casi, n. 5/2001, pag. 181 - Caso n. 83 In sede di verifica, è stato riscontrato che le annotazioni in contabilità ordinaria di un professionista sono state stampate su bollato denominato "incassi e pagamenti". In verità le annotazioni sono state effettuate considerando altresì le movimentazioni finanziarie. L'ufficio sostiene l'errato utilizzo del bollato. In conseguenza di tale comportamento, l'Ufficio intende applicare i parametri, determinando un maggior reddito imponibile ai fini Irpef e Iva. E' corretto l'operato dell'ufficio? Su quali basi è possibile motivare un ricorso contro l'applicazione dei parametri? (L.A., Milano) I parametri quali elementi presuntivi di maggiori ricavi, compensi e volume di affari Il Legislatore con la legge 28 dicembre 1995, n. 549, all'articolo 3, commi da 181 a 189, ha introdotto il metodo di accertamento che conosciamo con il nome di "Parametri" o "Ricavometro". Nel comma 181 del citato articolo 3, legge n. 549/1995, è stabilito che, fino all'approvazione degli studi di settore, gli accertamenti di cui all'articolo 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, possono essere effettuati utilizzando i parametri stabiliti con D.P.C.M. 29 gennaio 1996. I parametri presuntivi di ricavi, compensi e volume di affari sono stati elaborati tenendo conto delle specifiche caratteristiche dell'attività esercitata in ciascun settore economico. I soggetti interessati dal particolare meccanismo presuntivo sono gli esercenti attività di impresa o arti e professioni in regime di contabilità semplificata ovvero, in presenza di particolari condizioni, quelli in regime di contabilità ordinaria, sempre che gli stessi non abbiano dichiarato ricavi o compensi di ammontare superiore a 10 miliardi di lire. Per gli esercenti arti o professioni in regime di contabilità ordinaria, anche per opzione, lo strumento accertativo in commento può essere utilizzato dagli uffici quando dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell'articolo 33 del D.P.R. n. 600/1973, risulti l'inattendibilità della detta contabilità in base ai criteri stabiliti con apposito regolamento. Ad ogni modo, "il contribuente potrà valersi del diritto di fornire prova contraria, motivando e documentando idoneamente le ragioni in base alle quali la dichiarazione di ricavi o compensi di ammontare inferiore a quello presunto in base ai parametri può ritenersi giustificata, in relazione alle concrete modalità di svolgimento dell'attività. Tali situazioni possono tenere conto anche delle peculiari situazioni di mercato in cui il contribuente opera o delle modalità di espletamento dell'attività" (C.M. 13 maggio 1996, n. 117/E, punto 6, in Pratica Professionale n. 21/1996, pag. 743). Scritture contabili dei professionisti L'articolo 19 del D.P.R. n. 600/1973 prevede in generale che gli esercenti arte o professione annotino in ordine cronologico in un apposito registro le somme percepite indicando il relativo importo, al lordo e al netto dell'eventuale rimborso spese, le generalità, il comune di residenza e l'indirizzo del soggetto che effettua il pagamento, gli estremi della fattura, parcella o nota. Le stesse 10 indicazioni devono essere riportate in riferimento agli elementi di spesa inerenti l'esercizio dell'arte o professione. Il professionista assolve agli obblighi suddetti ai fini Irpef mediante la tenuta di un registro detto "degli incassi e dei pagamenti". Il regime naturale è quello della cd. "contabilità semplificata". Il contribuente può adottare per opzione un regime di contabilità ordinaria. Questa scelta obbliga il professionista ad istituire, previa bollatura, un diverso e particolare registro, il cd. "cronologico delle movimentazioni finanziarie". In questo libro il contribuente deve annotare le operazioni produttive di componenti positivi e negativi di reddito, integrate dalle movimentazioni finanziarie inerenti l'esercizio dell'arte o professione, ancorché estranee alla sfera di attività, nonché gli estremi dei conti correnti bancari utilizzati. Il registro cronologico ha una veste formale ben definita da un decreto ministeriale (il D.M. 15 settembre 1990). Con D.M. 20 dicembre 1990 è stata ammessa la possibilità di utilizzare il metodo contabile della partita doppia per la tenuta della contabilità ordinaria da parte di un professionista. In questo caso occorre provvedere a bollare preventivamente le scritture ausiliarie (i mastrini o partitari), salvo che le denominazioni dei conti menzionino espressamente le intestazioni delle colonne del registro manuale, secondo i criteri indicati nel D.M. 15 settembre 1990. Dal tenore del quesito non è dato conoscere se la irregolarità contestata al contribuente sia solo quella della intestazione del registro (violazione formale e a mio avviso ininfluente ove il registro contenesse le voci previste dal citato D.M. 15 settembre 1990 e rispettasse le previsioni del successivo D.M. 20 dicembre 1990) ovvero se altre e maggiori sono le omissioni rilevate. Le linee di difesa Premessa che nella fattispecie è da chiedere in via pregiudiziale la illegittimità nell'utilizzo dello strumento dei parametri, trattandosi di un soggetto in contabilità ordinaria e non rilevando presumibilmente l'irregolarità descritta quale legittimante il ricorso alle presunzioni di legge, resta da vedere come impostare una difesa contro l'avviso di accertamento. In primo luogo, consiglierei di non sottovalutare il fatto che la procedura di accertamento, nota come parametri, può affascinare il giudice tributario per l'aurea di infallibilità e perfezione che il richiamo a formule matematiche e ad elaborazioni statistiche porta con sé. Si può ricordare che l'articolo 3, comma 180, della legge n. 549/1995, ha inteso rendere applicabili i parametri soltanto fino all'approvazione degli studi di settore. Il Legislatore stesso ha riconosciuto la natura provvisoria e la funzione di temporanea sostituzione per i parametri. In altre parole, nel momento stesso della loro nascita la norma istitutiva ne ha riconosciuto i limiti e l'imperfezione. Ancora, la stessa legge istitutiva, al successivo comma 185 dell'articolo 3, ha previsto la possibilità per il contribuente di definire l'accertamento in base ai parametri ai sensi dell'articolo 2-bis del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modifiche, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656 (Accertamento con adesione). A tal fine, anzi, gli uffici devono inviare al contribuente una proposta di accertamento alla quale potrà far seguito la menzionata procedura di definizione prima della notifica dell'accertamento. Quanto sopra ad evidenziare di nuovo come il Legislatore innanzitutto, e l'Amministrazione finanziaria in seconda battuta, si siano resi ben conto dei limiti oggettivi che connotano la procedura di accertamento in commento. Il meccanismo di determinazione presuntivo viene a costituire soltanto indizio, fondato e supportato quale una presunzione di legge può essere, ma comunque presunzione semplice e non appuramento di una verità sostanziale e incontestabile. Adeguamento ai parametri Ai sensi del comma 188 del citato articolo 3 della legge n. 549/1995 il contribuente che non risulti congruo ai parametri presuntivi può evitare l'accertamento incrementando i ricavi e/o i compensi in sede di dichiarazione dei redditi ovvero i corrispettivi nella dichiarazione annuale Iva. 11 La possibilità concessa al contribuente di adeguarsi al risultato dei parametri evidenzia, a mio avviso con immediatezza, la natura di "strumento di pressione" dell'Amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti poco "virtuosi". Se il Legislatore ritenesse i parametri, o li potesse ritenere, strumento rivelatore senza ombra di dubbio di una evasione di materia imponibile, prevederebbe l'irrogazione di sanzioni e la corresponsione di interessi e non invece l'adeguamento senza oneri. Vizio di motivazione Parte della dottrina che si è occupata dell'argomento ha osservato che "può ritenersi, pertanto, che nel giustificare la maggiore pretesa erariale addotta esclusivamente mediante il ricorso allo schema matematico-statistico di cui ai decreti citati, l'atto di accertamento fondato sull'applicazione dei paramenti si rilevi carente di motivazione" ("Difesa del contribuente dagli accertamenti fondati sui parametri", J. Bloch e L. Sorgato, in Corriere Tributario n. 36/1999, pag. 2696). Di diverso avviso altri autori, che giungono invece a conclusione diversa, ritenendo che "non esistono problemi di legittimità dell'avviso di accertamento sotto l'aspetto formale" ("Motivazione dell'atto e mezzi di difesa del contribuente", F. Forte e P. Fagiolo, in Il Fisco n. 7/2001). A mio avviso, non ha molte possibilità di successo il contestare sic e simpliciter il difetto di motivazione dell'atto di accertamento. Il vizio di legittimità concernente la mancata esposizione dei motivi deve invece essere impostato in maniera più articolata. Le risultanze dei parametri costituiscono presunzioni semplici, sia pure gravi, precise e concordanti, avverso le quali il contribuente ha diritto di addurre qualsivoglia elemento di prova, e ciò è opportuno che sia ribadito nella motivazione del ricorso. Come può però il contribuente valutare e confutare l'assimilazione della sua particolare situazione a quella media del settore o meglio l'inserimento in un determinato "cluster" che ha dato origine alla formula matematica a lui applicabile, ovvero come può difendersi dalla pretesa dell'ufficio fondata sui parametri? Il contribuente, in sede di concordato o al ricevimento dell'avviso di accertamento, ha interesse a mio avviso ad attivarsi, ai sensi della legge n. 241/1990 e della legge n. 212/2000, chiedendo all'Ufficio di conoscere le caratteristiche del cluster di riferimento in cui è stato inserito, sì da confrontare la propria situazione con quella tipica dei soggetti inclusi nel medesimo intervallo. Non pervenendo, come naturale, alcuna risposta dall'Ufficio, il contribuente potrà contestare, meglio che un generico difetto di motivazione dell'atto, una violazione o meglio una limitazione del diritto alla difesa, stante la ermeticità assoluta dei dati utilizzati dall'Amministrazione finanziaria per elaborare i parametri, senza che alcuna esplicitazione, sia pur richiesta, sia stata fornita. La metodologia accertativa propria dei parametri ha natura di presunzione grave, precisa e concordante se e a condizione che si adatti validamente alla situazione personale del contribuente che intende rappresentare. Ove il risultato della procedura induttiva si limiti a ricostruire la posizione fiscale del soggetto accertato (con metodi e algoritmi che solo con grande approssimazione possono ritenersi atti a riflettere le reali capacità produttive dell'azienda o del professionista), l'atto è contestabile in quanto non validamente fondato su un ragionamento presuntivo. Peculiarità dell'attività svolta Il contribuente conosce invero quali sono le modalità di esercizio dell'attività, le peculiarità del suo settore, della sua zona geografica, della sua collocazione commerciale, delle sue capacità tecniche e professionali. Tali caratteristiche personali sono fondamentali tanto più nelle attività con volume di affari ridotto, quelle appunto soggette all'accertamento in base ai parametri. Una possibile strategia di difesa 12 diventa quindi quella di descrivere al meglio sé stessi come imprenditore e professionista, pretendendo anzi che sia verificata la corrispondenza di queste peculiari caratteristiche con quelle medie dei soggetti inseriti nel cluster di riferimento ai fini dell'elaborazione dei parametri. Ove questa verifica non fosse, come non è, possibile, la domanda da porre all'Ufficio e al Giudice tributario sarebbe: "in base a quale principio di giustizia e correttezza, in forza di quale norma può essere ritenuta corretta una pretesa patrimoniale fondata su medie elaborate in base alle caratteristiche di soggetti assolutamente diversi?". Tale peculiarità e singolarità di ciascuna situazione è avvertita dallo stesso Ministero, che, da ultimo nella circolare 14 marzo 2001, n. 25/E (in Pratica Professionale n. 14/2001, pag. 419), ha ricordato "il contribuente può motivare e documentare idoneamente le ragioni in base alle quali la dichiarazione dei ricavi e dei compensi di ammontare inferiore a quello presunto in base ai parametri può ritenersi in tutto o in parte giustificata, in relazione alle concrete modalità di svolgimento dell'attività". Fattori esterni ed interni all'azienda possono determinare una limitazione della capacità stessa (orari, situazioni di mercato), elementi che appunto gli studi di settore cercano di considerare. Per il Ministero, anzi, gli studi di settore possono essere utilizzati a favore del contribuente, ove portino a conclusioni diverse da quelle dei parametri e più favorevoli, con ciò ammettendo nemmeno troppo velatamente le intrinseche e gravi limitazioni che i parametri hanno sin dall'origine. Limiti intrinseci al meccanismo presuntivo Una limitazione intrinseca al meccanismo presuntivo in commento è quello di pretendere di ricostruire il volume di vendite o di servizi partendo dalle voci di costo o di spesa. Gran parte delle attività imprenditoriali o professionali sono offerte a favore di altri soggetti Iva, nei confronti dei quali risulta impossibile non fatturare ovvero incassare in nero i corrispettivi (pensiamo ai padroncini nel settore dell'autotrasporto ovvero ai consulenti operanti solo nei confronti delle grandi aziende). In questi casi il soggetto tenderà probabilmente a imputare con troppa "facilità" costi e spese all'attività (pensiamo a carburanti e vitto), con una conseguente ripercussione sul volume di ricavi o compensi determinato dal meccanismo dei parametri. Ciò non toglie però che nessun maggiore ricavo o compenso è contestabile al soggetto. Il dato presunto potrebbe essere utilizzato per contestare analiticamente i costi imputati all'attività e non per creare invece materia imponibile inesistente. Di tale considerazione è opportuno, a mio avviso, offrire specifica annotazione. In secondo luogo, i parametri determinano il volume di ricavi e compensi presunto a seconda del tipo di attività, della natura e dell'importo di alcune classi di costo e di altre informazioni, tra le quali i ricavi o i compensi dichiarati. Una variabile inserita nella funzione matematico-statistica che elabora i ricavi o compensi sono proprio i ricavi o compensi dichiarati. Non è necessario possedere cognizioni tecniche particolari per non vedere l'incongruenza: una variabile non può generare se stessa. L'esempio, ormai classico, è quello di due contribuenti con identica attività, uguali componenti di costo e volume di compensi dichiarati diversi: i parametri evidenziano per i due soggetti due livelli di maggiori compensi. In altre parole i due contribuenti con i medesimi elementi di costo non presentano a livello di elaborazione dei parametri lo stesso volume di ricavi o compensi, senza che di ciò si possa comprendere il motivo. La giurisprudenza e le medie di settore I parametri altro non sono, come illustrato, che medie di settore particolarmente raffinate, ma i dati medi restano. Sistemi meno sofisticati (e invero con meno pretese) sono stati da sempre di largo 13 utilizzo da parte degli organi accertatori per determinare ricarichi, percentuali di cali e sfridi, dati statistici di vario genere e utilizzo. L'utilizzo acritico ed automatico di tali dati è stato ampiamente confutato e disapplicato dalla giurisprudenza dominante, per la loro inconferenza e inutilizzabilità, ammettendo al contrario per il contribuente la possibilità di contestarli sotto il profilo della sufficienza o adeguatezza degli elementi analizzati per la loro individuazione (vedasi tra le tante Cass. 15 febbraio 1995, n. 1628; Cass. 2 settembre 1995, n. 9265) Tali elementi, uniti ad un eventuale riesame dei dati indicati in dichiarazione e utilizzati dall'ufficio, sono a mio avviso tra i principali motivi da portare a propria difesa. Fonti normative D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-bis Legge 28 dicembre 1995, n. 549 D.P.C.M. 29 gennaio 1996 C.M. n. 117/E del 13 maggio 1996 C.M. n. 25/E del 14 marzo 2001 DIFESA DEL CONTRIBUENTE DAGLI PARAMETRIPPARAMETRIARAMETRI di Bloch John e Sorgato Luciano in Corr. Trib. n.36/1999, pag. 2696 ACCERTAMENTI FONDATI SUI Le recenti istruzioni dettate relativamente all'effettuazione dell'accertamento cosiddetto "parametrico" pongono le premesse per l'analisi delle possibilità di resistenza, sul piano processuale o pre - processuale, all'atto di accertamento fondato sui parametrii. A tale fine, si esaminano la valenza probatoria dei parametri, i criteri di elaborazione degli stessi, l'eventuale esistenza di un vizio di motivazione e, con l'ausilio di un esempio pratico, alcune incongruenze che si possono verificare nell'applicazione dell'accertamento parametrico. La C.M. n. 136/E del 21 giugno 1999 [1] ha dettato istruzioni in materia di effettuazione dell'accertamento cosiddetto "parametrico", istituto introdotto per effetto dell'art. 3, commi 179 e seguenti, legge n. 549/1995. Sono state, così, poste, da un punto di vista contingente, le premesse per l'analisi delle possibilità di resistenza, sul piano processuale o pre-processuale, all'atto di accertamento fondato sui parametri. parametri. Valenza probatoria dei parametri. L'accertamento parametrico appartiene, in sintesi estrema, al più ampio genere degli accertamenti condotti secondo criteri di forfetizzazione, questi ultimi basati, nel caso specifico, su logichematematico-statistiche ereditate dai coefficienti presuntivi. Ai parametri viene, peraltro, riconosciuta, sin dall'originaria previsione legislativa, un'operatività provvisoria predefinita, in quanto destinati a "fare da ponte" tra coefficienti presuntivi e studi di settore. 14 Trattasi, in sintesi, di moltiplicatori, determinati ad opera di appositi atti normativi secondari, da applicarsi a dati indicatori di natura contabile, al fine di provare, in capo al contribuente accertato, l'esistenza di gravi asimmetrie tra redditività potenziale e redditi dichiarati. Tanto la collocazione normativa dell'accertamento parametrico tra gli accertamenti analiticoinduttivi di cui all'art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, quanto l'assenza di qualsivoglia accenno legislativo in merito alla valenza probatoria ascrivibile all'impiego dei parametri convergono, ai fini dell'attribuzione alle affermazioni contenute nei parametri della valenza probatoria propria delle presunzioni cosiddette "semplici" e non, viceversa, di quelle cosiddette "legali". In quanto tali, i paparametrir risultano aggredibili, in sede processuale, opponendo qualsivoglia argomentazione suscettibile di ledere alla base la suggestività probatoria di cui essi appaiono portatori, essendo ben nota la discriminante tra presunzioni semplici e presunzioni legali. Queste ultime descrivono, in particolare, una relazione tecnica tra fatto noto e fatto dedotto, la cui valenza probatoria abbia espressamente riscosso l'apprezzamento del legislatore, così da vincolare il giudice tributario a recepirne il risultato inferenziale. Il contrario si verifica con riguardo alle presunzioni semplici, la cui capacità probatoria deve rendersi manifesta attraverso l'indagine analitica delle relative caratterizzazioni tecniche; indagine analitica, questa, tesa a vagliare se siffatte attitudini tecniche riescano idonee a correlare criticamente, se non con un nesso di univocità, perlomeno con un nesso accentuato di verosimiglianza, il fatto noto e il fatto che si intende provare. In siffatte circostanze, pertanto, il giudice tributario resta libero di apprezzare il valore probatorio che le presunzioni riescono a esprimere. Elaborazione dei Parametri L'art. 3, comma 184, legge 28 dicembre 1995, n. 549 ha demandato al Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze l'elaborazione dei parametri, senza imporre a tale Dipartimento l'onere di divulgare, neppure sommariamente, i procedimenti formativi dei medesimi. I procedimenti formativi dei parametri hanno, così, trovato esteriorizzazione solo nelle note tecniche allegate al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e al D.P.C.M. 27 marzo 1997. In esse, siffatti procedimenti sono, così, sinteticamente descritti: 1) identificazione di un campione di contribuenti economicamente coerente; 2) identificazione di "gruppi massimamente omogenei di contribuenti" all'interno di un'attività economica; 3) identificazione di una funzione di ricavo e di compenso; 4) identificazione di una funzione che consenta di associare qualsiasi contribuente ad uno dei gruppi omogenei individuati per la sua attività; 5) calcolo di un fattore di adeguamento personalizzato. Come rilevato in dottrina [2], poiché per ciascun settore economico e voce contabile possono essere stati elaborati più parametri, in dipendenza del numero di gruppi omogenei in cui risulta suddivisa ciascuna categoria, il posizionamento del contribuente all'interno del cluster avviene secondo una funzione probabilistica, predisposta in base al metodo dell'"analisi discriminante", non esplicitata nelle citate note tecniche. Le conseguenze di detta mancata esplicitazione consistono, conclusivamente, nel fatto che i passaggi logici sottesi alla nuova iniziativa accertativa non trovano compiuta esteriorizzazione. Vizio di motivazione Dalla dottrina [3], in particolare, è stata ritenuta "non sufficiente, dal punto di vista conoscitivo, l'indicazione dei criteri statistici che sarebbero stati seguiti nell'elaborazione dei p parametri , dovendosi dare conto di quali soggetti siano stati campionati e di come si sia concretamente pervenuti al calcolo dei singoli moltiplicatori". Può ritenersi, pertanto, che nel giustificare la 15 maggiore pretesa erariale addotta esclusivamente mediante il ricorso allo schema matematicostatistico di cui ai decreti citati, l'atto di accertamento fondato sull'applicazione dei parametriametri si riveli carente di motivazione. Per dottrina e giurisprudenza consolidate, infatti, l'obbligo di motivazione può ritenersi pienamente assolto solo con la previa esplicitazione dell'iter logicodeduttivo che informa il ragionamento critico del verificatore. Solo la diretta e immediata apprensibilità di siffatto ragionamento critico, infatti, può consentire al contribuente raggiunto dalle contestazioni erariali di apprestare efficaci reazioni difensive. Laddove, nel caso in esame, la mancata esplicitazione, da parte delle note tecniche allegate al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e al D.P.C.M. 27 marzo 1997, di alcuni passaggi fondamentali non consente a quest'ultimo di apprezzare pienamente i criteri di impiego dei parametri. In tale senso va valutata, altresì, la necessità, avvertita in sede legislativa stessa, di procedere alla predisposizione e alla distribuzione dei supporti meccanografici contenenti i relativi programmi applicativi. Come si può osservare, il contribuente raggiunto da un atto di accertamento fondato sull'applicazione dei parametriparametri si trova di fronte ad una sorta di motivazione costruita per relationem, con riferimento, in particolare, alle note tecniche contenute dai citati decreti. In siffatte circostanze, come autorevolmente affermato [4], "... appare evidente la necessità di una sufficiente informazione, accessibile alla generalità dei contribuenti, circa i dati presi in considerazione, le regole ed i procedimenti tecnici seguiti per determinare il contenuto dei decreti ministeriali sui quali si fondano i singoli accertamenti. Né varrebbe obiettare che questi elementi riguardano l'eventuale illegittimità dei decreti stessi (ad efficacia normativa, o comunque generale), come tali autonomamente impugnabili ovvero disapplicabili, non i singoli accertamenti; infatti la conoscenza del procedimento seguito per la determinazione dei "coefficienti" è necessaria al contribuente, non solo ai fini dell'impugnazione o della richiesta di disapplicazione del decreto ministeriale, ove possibile, ma anche per argomentare, nel pur limitato ambito concesso dalla legge, l'eventuale "prova contraria" al risultato dell'accertamento". In caso di accertamento analitico-induttivo fondato sull'applicazione dei parametrii, l'atto di accertamento, in altri termini, deve rendere noto il processo di stima attraverso il quale è stato determinato un maggiore livello di ricavi: se tale estrinsecazione avviene per relationem, ossia mediante il riferimento, in particolare, alle note tecniche contenute dai citati decreti, è chiaro che le carenze, sotto tale profilo, di questi ultimi non possono che riflettersi sull'atto di accertamento [5]. Conclusivamente, quindi, l'atto di accertamento si presta all'invalidazione in via pregiudiziale, in quanto sprovvisto dei contenuti legali minimali prescritti dall'art. 42, terzo comma, D.P.R. n. 600/1973. Incongruenze dell'accertamento parametrico Come già evidenziato, l'indagine parametrica della congruità reddituale del contribuente si fonda su di una elaborazione matematico-statistica che deve dimostrarsi in grado di assurgere al rango di presunzione grave, precisa e concordante, in tale senso dovendosi apprezzare la stessa collocazione normativa dell'accertamento parametrico tra gli accertamenti analitico-induttivi di cui all'art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/1973. Se si passano in rassegna le informazioni di tipo contabile che il programma ministeriale richiede al contribuente, ci si imbatte, in particolare, in una variabile manifestamente eterogenea rispetto alle altre e per di più immediatamente riconoscibile quale del tutto "anomala": il "ricavo contabile del contribuente". Trattasi, in particolare, di una variabile del tutto inidonea a partecipare con ragionevolezza al procedimento formativo del ricavo stimato. In primo luogo, perché è di elementare assunzione che una variabile non può generare se stessa. Se l'intera procedura è protesa all'individuazione del ricavo congruo, è palesemente irrazionale volere introdurre nel suo schema matematico-statistico, inquinandolo, una variabile che è esattamente identica a quella che il suo meccanismo di 16 funzionamento dovrebbe conclusivamente esprimere. In secondo luogo, perché si tratta di una variabile manifestamente inattendibile, risentendo, con ogni ovvietà, dei tentativi di evasione posti in essere dal contribuente. Laddove, ad ogni evidenza, l'inserimento di una variabile inattendibile in uno schema che reagisce esclusivamente a impulsi matematico-statistici finisce per inquinare l'intera procedura, che si dimostra complessivamente inattendibile e incapace, in quanto tale, di pervenire ad una determinazione reddituale ragionevole. Un esempio é sufficiente, per rendere immediata evidenza delle precedenti considerazioni, porre a confronto due contribuenti che, a fronte di dati contabili di costo (rilevanti ai fini dell'applicazione dei parametri) identici, presentino dati contabili di ricavo divergenti: ad esempio, 100 per il primo e 120 per il secondo contribuente. Siffatta divergenza in termini di "ricavi contabili" fa sì che, se si impostano, nel caso specifico, le relative simulazioni, si ottengono determinazioni reddituali manifestamente irragionevoli. Nei confronti del primo e del secondo contribuente, il programma applicativo evidenzia maggiori ricavi stimati pari, per ipotesi, rispettivamente a 50 e a 40. Se i due contribuenti reimpostano le simulazioni, introducendo, in luogo del dato originario (e a parità degli altri dati contabili), ricavi contabili pari, rispettivamente, a 150 e a 160, entrambi vengono ridefiniti non congrui dal programma ministeriale, che adduce ulteriori pretese in termini di maggiori ricavi imponibili. Proseguendo la simulazione, entrambi pervengono, alfine, ad una soglia definitiva di congruità (in termini di "ricavi contabili") pari, per ipotesi, a 200. Le ragioni di tale identità (in termini di ricavi contabili che rendono "congruo" il contribuente) sono palesi: entrambi i contribuenti sono in possesso degli stessi dati di costo rilevanti ai fini dell'applicazione dei parametri e presentano, pertanto, tanto un identico potenziale produttivo, quanto un identico potenziale reddituale. A rivestire una valenza segnaletica, al tempo stesso efficace e ragionevole, dei ricavi effettivi del contribuente, in altri termini, sono solo i costi, mentre l'inserimento nel meccanismo dei ricavi contabili influenza negativamente l'intero procedimento, adombrandolo sul piano dell'inattendibilità complessiva, quanto delegittimandolo sul piano del necessario rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e di uguaglianza. Se si riprende la prima simulazione, si può, infatti, constatare come il secondo contribuente, pur avendo contabilizzato, rispetto al primo, maggiori ricavi, finirà per adempiere ad una pretesa erariale complessiva pari a 160 (ossia 120 + 40), superiore, pertanto, a quella, pari a 150 (ossia 100 + 50), incontrata dal primo contribuente. Ne consegue che le affermazioni contenute nei parametriametri finiscono per incentivare l'evasione, oltre a essere viziate di irragionevolezza e a dimostrarsi incapaci, da sole, di assurgere, conclusivamente, al rango di presunzioni gravi, precise e concordanti. Note: 1 In Corr. Trib. n. 28/1999, pag. 2162 e in Banca Dati n. 8/1999, pag. 877. 2 L. Tosi, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, 1999, pag. 264. Nello stesso senso anche C.F. Maggi e N. Miglietta, "Dubbi sulla legittimità dei criteri e dei gruppi omogenei definiti per la determinazione dei ricavi, dei compensi e del volume d'affari", in il fisco, 1996, pag. 3993. 3 L. Tosi, op. cit. 17 4 A. Fedele, "I principi costituzionali e l'accertamento tributario", in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1992, I, pagg. 477-478. L'illustre Autore prosegue rilevando che "... a questo punto l'individuazione di un sicuro fondamento costituzionale alle esigenze del "giusto procedimento" amministrativo, ancora non del tutto sicura con riferimento alle norme sull'attività amministrativa (l'art. 97 della Costituzione, ad es.) potrebbe essere agevolata dal richiamo ai principi generali sul processo. L'attività amministrativa del controllo ed accertamento in materia fiscale si connette infatti con la successiva fase contenziosa giurisdizionale, non solo per l'eventuale qualificazione dell'atto in termini di provocatio ad opponendum (secondo la nota tesi del Berliri), ma anche e soprattutto perché i risultati dell'attività amministrativa si trasfondono nel processo sia in termini di predeterminazione degli argomenti che l'Amministrazione finanziaria potrà legittimamente addurre in sede contenziosa, sia come materiale probatorio che non necessita di nuove rituali acquisizioni. Sembra dunque ovvio che i fondamentali principi ispiratori della disciplina del processo debbano essere rispettati anche nella fase amministrativa che precede e condiziona il processo medesimo. In particolare, queste considerazioni potrebbero essere riferite alla regola del contraddittorio, la cui necessaria applicazione alla fase amministrativa dell'accertamento potrebbe essere dedotta dalla rilevanza che i risultati dell'accertamento stesso verranno ad assumere nel processo". 5 Sull'obbligo di motivazione in sede di accertamento induttivo, nel caso in cui l'Amministrazione ricorra alle presunzioni avvalendosi di indici indiretti di redditività, cfr. G.F. Gaffuri, "Considerazioni sull'accertamento tributario", in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1981, I, pagg. 532 ss. Il Ministero smentisce “ l' infallibilità" degli studi di settore di Michelutti Giorgio in Corr. Trib. n. 28/2000, pag. 2017 Gli studi di settore costituiscono un metodo di accertamento induttivo e, secondo il Ministero, tenuto conto della loro fondatezza matematico-statistica, sono assolutamente precisi; pertanto, in base agli studi di settore si faranno accertamenti di massa. Ma, cammin facendo, sono emersi elementi di criticità (anomalie e particolarità), riconosciuti dal Ministero stesso. Se da un lato si auspica un ripensamento dell'impostazione iniziale (o quantomeno un prudente utilizzo), dall'altro si evidenzia che tali elementi di criticità costituiscono una categoria privilegiata di attenuanti specifiche in sede di concordato o di contenzioso. Non solo. Viene meno la funzione preventiva degli studi di settore e perde di significato la facoltà di adeguamento concessa ai contribuenti. Dalle affermazioni iniziali alla prova dei fatti Gli studi di settore sono stati introdotti, quale metodologia di accertamento induttivo, con una vaga e scarna norma quadro nel 1993 [1], e sono poi rimasti nel cassetto per diversi anni in attesa di precisazioni circa i contenuti concreti. Lo " stand-by " era dovuto alle diverse vedute dei numerosi Ministri delle finanze che in quegli anni si erano avvicendati. All'epoca, infatti, sugli studi di settore circolavano idee contrastanti: - chi pensava a guide elastiche per il controllo personalizzato [2]; - chi a determinazioni forfettarie di tipo catastale; - chi, ancora, ad accertamenti di massa per mezzo del computer. 18 Alla fine è prevalsa la terza via. Ignorando le obiezioni di chi temeva contraddizioni, abusi e rigidità di un siffatto meccanismo automatico-numerico, gli studi di settore sono stati presentati come un "sistema esperto", fondato su metodi matematico-statistici in grado di valutare perfettamente la capacità di produrre ricavi da parte delle singole attività economiche. Si è sostenuto infatti che lo strumento "è sostanzialmente indiscutibile sul piano tecnico-scientifico, perché accerta i ricavi con assoluta precisione, accerta i parametri strutturali dell'azienda collegandoli anche alla sua localizzazione" [3]. Tale affermazione dogmatica, tuttavia, è stata più volte smentita sia dai primi esempi pratici che da interventi normativi o interpretativi. In questo contesto va segnalata la recente C.M. 8 giugno 2000, n. 121/E [4] che, recependo le osservazioni più rilevanti formulate da una apposita Commissione di esperti, evidenzia tutta una serie di particolarità ed anomalie relative agli studi di settore [5]. A detta della circolare tali anomalie non sono colte immediatamente, in via automatica, da GE.RI.CO. (il software per la determinazione dei ricavi e dei compensi in base agli studi di settore); solo in una fase successiva, infatti, tali anomalie devono essere recepite dagli Uffici attraverso il contraddittorio con il contribuente nell'ambito del concordato. In altri termini, le risultanze del software - tanto la non congruità dei ricavi, quanto l'incoerenza degli indicatori - perdono di significatività e la corretta applicazione degli studi si potrà raggiungere, pertanto, solamente con una "personalizzazione" in fase di contraddittorio. Ne discendono due immediate osservazioni. La prima, importantissima, è costituita proprio dal fatto che il programma di calcolo non è in grado, in prima battuta, di determinare un risultato preciso, ma deve essere corretto "manualmente" in sede di concordato. In tal modo gli studi di settore perdono sempre di più la loro funzione preventiva. Con gli studi di settore - aveva viceversa affermato il Ministero [6] - il contribuente è in grado di conoscere preventivamente le aspettative dell'Amministrazione finanziaria. La seconda osservazione, stante l'approssimatività degli studi, è che la sede più idonea per il necessario confronto con le ragioni del contribuente dovrebbe essere individuata a monte del concordato, in un contraddittorio anticipato [7]. Gli elementi di criticità evidenziati dalla C.M. n. 121/E Segnaliamo, di seguito, alcuni degli elementi di criticità, sia di carattere generale che settoriale, evidenziati dalla menzionata C.M. n. 121/E del 2000, elementi che, si ribadisce, non sono colti in via automatica dagli studi di settore [8]. 1. La localizzazione dell'impresa nell'ambito del territorio comunale Il problema era già stato sollevato dalla stampa l'anno scorso in occasione del primo anno di applicazione degli studi [9]. Si evidenzia che tale anomalia è particolarmente rilevante per il settore del commercio, per i bar, i ristoranti ed affini: gli esercizi che sono nel centro di una grande città, infatti, vengono trattati dagli studi allo stesso modo dei negozi in periferia. Secondo gli esperti di Confcommercio e Confesercenti tali effetti negativi non si fanno sentire soltanto a Roma o Milano ma anche in città che hanno 50 o 100 mila abitanti: è decisivo che ci sia una differenza sostanziale fra una zona e l'altra della stessa località. 2. Le condizioni di marginalità economica per le imprese condotte da un imprenditore anziano 19 Tale fattore - già sollevato a suo tempo a proposito della c.d. minimum-tax - determina uno svolgimento dell'attività secondo logiche non strettamente economiche. Per effetto di tali logiche, l'impresa in questione si differenzia dalle altre imprese appartenenti allo stesso settore. 3. La classificazione del contribuente nell'ambito dei gruppi omogenei In sostanza il software GE.RI.CO. potrebbe addirittura assegnare il contribuente ad un gruppo omogeneo (c.d. cluster ) che non corrisponde alle caratteristiche aziendali del contribuente stesso, generando anomalie. Il contribuente, preliminarmente, deve quindi procedere a tale verifica, che sembra alquanto complessa. 4. La svalutazione (latente) nella voce "magazzino" In determinate fattispecie, nel settore del commercio al dettaglio, il valore contabile del magazzino (quantificato a costi), non tiene conto del deprezzamento dovuto al fenomeno moda, e quindi non corrisponde al reale valore commerciale. Questo fatto, evidentemente, altera pesantemente il ricarico. 5. I prezzi ed il ricarico degli esercizi commerciali in regime di concorrenza Gli esercizi commerciali tradizionali, messi seriamente in crisi per la concorrenza della grande distribuzione, sono costretti a praticare a loro volta una politica di prezzi al ribasso, con una ripercussione diretta sul ricarico. 6. Il ricarico del dettagliante che vende non solo ai privati Alcuni esercizi al dettaglio vendono - con ricarichi diversi - sia a privati che ad altri utilizzatori professionali o ad altri esercizi commerciali. Può essere il caso del supermercato o del fruttivendolo che vende anche a ristoranti con un ricarico sensibilmente più basso rispetto a quello realizzato con le vendite al dettaglio effettuate nei confronti dei privati. Anche questo caso si ripercuote sul ricarico medio. Gli altri elementi di criticità Le anomalie rappresentate dalla C.M. n. 121/E non costituiscono la prima smentita in ordine alla asserita millimetrica precisione degli studi di settore. Infatti: - già in passato, con la C.M. 21 maggio 1999 n. 110/E, paragrafo 7, [10] erano state enucleate altre particolarità ed anomalie: ad esempio, con riferimento agli intermediari del commercio, si era già affermato che è doveroso tenere conto del periodo iniziale di attività del soggetto, impegnato nell'acquisizione della clientela e che deve sopportare costi elevati; - è stato ripetuto in svariate occasioni, che molti codici Istat, per mezzo dei quali viene assegnato a ciascun contribuente il relativo studio di settore, non sono più rispondenti alla realtà organizzativa delle imprese, in quanto vengono classificate separatamente attività svolte unitariamente (sia a causa dell'evoluzione avvenuta negli ultimi anni nei comparti produttivi e dei servizi, sia per l'entrata in vigore della recente normativa sul commercio); -altri dubbi circa l'accertamento di massa con gli studi di settore sono venuti dal D.M. 24 dicembre 1999 [11] relativo alle modalità di annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore. Non tanto per le complicazioni ivi introdotte, quanto per le motivazioni addotte per l'introduzione del decreto: si afferma [12] infatti che 200.000-300.000 soggetti (su una platea di 1.300.000 di soggetti) non possono applicare gli studi perché "multipunto" o "pluri-attività". In altri termini, gli studi di settore "non vedono" oltre il 20 % dei contribuenti interessati. 20 Gli studi di settore non sono infallibili: l'analisi costi-benefici Si è sicuramente infranto, così, il dogma di infallibilità di cui si erano ammantati gli studi di settore. Riaffiora a questo punto lo scetticismo circa la scelta iniziale di fare degli studi di settore un sistema di accertamento generalizzato. Tanto più che l'analisi costi-benefici (che qualcuno, prima o poi, dovrà fare a proposito di questa metodologia di accertamento) dovrà tenere conto dell'ingente costo sociale - di adempimento per il contribuente e di amministrazione per il Fisco - circa l'elevato grado di manutenzione richiesto dagli studi. Basta ricordare, a tal proposito, le evidenti difficoltà per indicare, nei modelli relativi alla dichiarazione dei redditi, i dati contabili ed extracontabili posti a base degli studi di settore. Sul punto infierisce ancora la C.M. n. 121/E del 2000, paragrafo 2 la quale, a proposito delle istruzioni circa i modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi, precisa che: - le informazioni di ciascun modello devono essere fornite anche se non sono intervenute variazioni; - è obbligatorio compilare i modelli di comunicazione anche per le attività secondarie; - è obbligatorio indicare, nel nuovo quadro Z, anche gli ulteriori "dati complementari"; (si tratta di un censimento di ulteriori dati relativi all'attività svolta dal contribuente, in modo da consentire l'eventuale revisione dello studio di settore interessato). Un ulteriore elemento di costo sociale è costituito dalla necessità di effettuare - da parte dell'Amministrazione finanziaria - un controllo di veridicità anche degli elementi extracontabili rilevanti. Si segnala che tali controlli, che erano stati già svolti nell'autunno scorso in via sperimentale [13], hanno recentemente ricevuto nuovo impulso [14]. Le implicazioni pratiche e gli elementi di criticità rilevati Ci si chiede, a questo punto, che implicazioni pratiche possano avere gli elementi di criticità rilevati: nessun dubbio che essi (contabilità separate, gestione dei dati extracontabili, manutenzione dei dati, ...) debbano essere pazientemente sopportati dal contribuente che deve "adeguarsi" alle svariate richieste dell'Amministrazione finanziaria. Le complicazioni e le anomalie riscontrate dovrebbero indurre d'altro canto la stessa Amministrazione ad utilizzare i risultati degli studi con la massima prudenza; sicuramente a non utilizzare in maniera massiccia gli studi, almeno in questa prima fase della loro applicazione. Si dovrebbero ricordare, a tal proposito, gli insegnamenti tratti dalla vicenda del redditometro che, all'epoca delle dichiarazioni dei redditi per il 1992 (c.d. dichiarazioni lunari), era stato voluto come strumento di accertamento "di massa", ma è stato poi drasticamente ridimensionato dai fatti (per finire nel dimenticatoio). Diverse considerazioni si possono muovere per le anomalie e le particolarità. Innanzitutto si deve prendere atto che vengono meno i vantaggi e le opportunità a suo tempo reclamizzati che presentavano lo studio di settore quale una sorta di "strumento di controllo di gestione". Nel paragrafo 2 della C.M. 21 maggio 1999 n. 110/E, infatti, si era affermato che "lo studio di settore costituisce un riferimento prezioso per gli imprenditori ai fini della verifica della propria efficienza produttiva e del miglioramento della propria capacità di competere sul mercato, fornendo criteri per orientarli nelle scelte aziendali". La circolare appena citata evidenziava poi, quale ulteriore requisito dello studio di settore, una funzione di trasparenza per il contribuente: si sosteneva infatti che il contribuente è in grado di 21 conoscere preventivamente le aspettative dell'Amministrazione finanziaria e conseguentemente aveva la facoltà di adeguarvisi senza sanzioni. Ma le numerose anomalie segnalate precludono anche (e soprattutto) una tale effettiva conoscenza preventiva. Si pensi, per fare un esempio, al ristorante di periferia che evidenzia ricavi in misura inferiore a quelli richiesti dagli studi. Al contribuente non è dato sapere se la non congruità è data: - dal programma stesso che "non vede" la corretta localizzazione (e lo assimila ad un ristorante del centro); - da altre anomalie del programma di calcolo; - da una cattiva gestione del ristorante rispetto alla media; - oppure perché effettivamente il contribuente evade. L'incertezza della situazione - la non trasparenza - comporta sicuramente che il contribuente non usufruirà dell'istituto dell'adeguamento senza sanzioni (a meno che la differenza dei ricavi contabili con quelli richiesti dal programma non sia proprio minima). In sintesi, la prima conseguenza delle anomalie, è che lo studio di settore non consente, di fatto, una conoscenza preventiva della posizione del singolo contribuente. A cascata ne deriva: - che lo studio di settore non può essere convenientemente utilizzato quale strumento di "controllo di gestione" (pochi contribuenti, d'altro canto, avevano preso sul serio questa prospettazione del Ministero); - che l'adeguamento agli studi di settore perde di significato. Le anomalie come circostanze attenuanti nel concordato e nel contenzioso Va sottolineato, infine, che le anomalie evidenziate costituiscono - ed è questa la loro più importante prerogativa - un ulteriore elemento di difesa (quali "attenuanti specifiche") per il contribuente in sede di concordato o di contenzioso. A tal proposito si ricorda che l'accertamento con adesione (c.d. concordato) è la sede naturale individuata dal Ministero [15] per adeguare il risultato della applicazione degli studi alla concreta particolare situazione dell'impresa. In prima battuta gli Uffici invieranno ai contribuenti un invito al contraddittorio contenente gli elementi rilevanti per l'accertamento, a tale invito risponderà - se lo ritiene - il contribuente, facendo tesoro delle attenuanti specifiche, già suggerite dalle circolari, ed a lui riferibili; tali elementi dovranno quindi essere valutati dagli Uffici in sede di contraddittorio. Le anomalie e particolarità potranno essere giocate - con un maggiore "dispendio di energie" anche in sede di contenzioso. Val la pena di ricordare, a questo punto, la natura degli studi di settore da un punto di vista prettamente giuridico. La prevalente dottrina [16], pur riconoscendo che la normativa è molto vaga per quanto attiene la forza probatoria, definisce lo studio di settore quale presunzione legale a carattere relativo; al contribuente è pertanto consentito fornire la prova contraria volta a dimostrare l'inapplicabilità della ricostruzione induttiva nei suoi confronti a motivo della peculiarità delle condizioni di svolgimento della sua attività, nel periodo di imposta considerato, che lo pongono al di fuori della situazione di normalità cui hanno riguardo gli studi di settore. 22 Gli studi di settore, in altri termini, sono presunzioni legali relative, suscettibili non solo di prova contraria in giudizio, ma anche di riesame ponderato da parte dei giudici. Le anomalie e le particolarità evidenziate dalla circolare arricchiscono quindi la gamma delle "circostanze attenuanti" che il singolo contribuente può e deve utilizzare in sede di concordato o di contenzioso, costituendo una categoria particolarmente meritevole di attenzione in quanto suggerite dallo stesso Ministero. Note: 1 Artt. 62-bis e 62-sexies, comma 3, del D.L. n. 331/1993. 2 In tale ottica gli studi avrebbero dovuto costituire una traccia per il controllo indiretto del giro d'affari, una sorta di promemoria per il funzionario da arricchire con il passare del tempo. Su questa falsariga una commissione coordinata da Raffaello Lupi aveva elaborato alcune tracce sperimentali di studi di settore. Si vedano le "Prime considerazioni e suggerimenti dalla commissione ministeriale" in Rass. trib. n. 5/1994, pag. 759 e le schede allegate alla C.M. 4 maggio 1994, n. 44/E/II/4/108. 3 Rapporto del Fondo monetario citato dall'allora Ministro delle finanze Vincenzo Visco, in Il Sole 24-ore del 19 febbraio 1999. 4 Per approfondimenti si veda C. Nocera "Novità ed evoluzione del modello economico-statistico per gli studi di settore", in Corr. Trib. n. 26/2000, pag. 1861 e L. Magistro "L'utilizzo degli studi di settore in sede di accertamento", in Corr. Trib. n. 27/2000, pag. 1936. 5 Il che induce a "rimandare gli studi a settembre", così come scherzosamente suggerito da Carlo Pino "Sassi nello stagno", in Corr. Trib. n. 25/2000, pag. 1779. 6 Si veda la C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E, paragrafo 2. 7 Sul punto la dottrina aveva osservato: "Resta senza razionale giustificazione la mancata previsione per gli studi di settore del principio del necessario e preventivo contraddittorio (a pena di nullità) già previsto per i coefficienti presuntivi". Baldassare Santamaria - Lineamenti di diritto tributario - parte generale Milano - Giuffrè, 1999. 8 Si rimanda alla lettura del documento per un esame esaustivo della casistica. 9 Il Sole 24-ore del 15 e 17 luglio 1999. 10 In Corr. Trib. n. 23/1999, pag. 1750. 11 In Corr. Trib. n. 6/2000, pag. 426, con commento di C. Nocera. 12 Il Sole 24-ore del 9 dicembre 1999. 23 13 Si veda la Circolare 29 novembre 1999, prot. 386000 del Comando generale della Guardia di finanza. 14 Si veda la recente direttiva del Ministro delle finanze del 13 giugno 2000 in Il Sole 24-ore. 15 Si veda il paragrafo 7 della C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E. 16 Enrico De Mita, Il Sole 24-ore del 7 marzo 1999; Pasquale Russo, Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1996, pag. 286; Raffaelo Lupi, Manuale professionale di diritto tributario, II edizione, IPSOA, pag. 426. La "fallibilità" degli studi di settore di Magistro Luigi in Corr. Trib. n. 29/2000, pag. 2089 L' entrata a pieno regime, quest'anno, degli studi di settore ha innescato un vivace dibattito circa l'efficacia di questo particolare strumento a rappresentare, più o meno fedelmente, la realtà delle imprese cui lo stesso si applica. Si è parlato, al riguardo, di una originaria "infallibilità" degli studi, smentita da recenti circolari ministeriali, con conseguenze sulla validità degli stessi, nel loro complesso. Sul punto ci sono opinioni divergenti, basate sulle caratteristiche della procedura di elaborazione e applicazione degli studi, che portano a ritenere lo strumento sufficientemente valido, non solo ai fini dei futuri accertamenti, ma soprattutto per una forte azione preventiva delle forme più patologiche di evasione dei contribuenti di minore dimensione. Sulle pagine di questa rivista si è di recente sviluppato un vivace ed interessante dibattito intorno agli studi di settore. C'è chi li ha garbatamente "rimandati a settembre", prendendo spunto dalla circostanza che, come riconosciuto dallo stesso Ministero delle finanze, talvolta alcuni studi non riescono a cogliere perfettamente la realtà cui si riferiscono [1]. Ancora più netta l'ulteriore opinione secondo la quale l'incrinarsi di un preteso "dogma di infallibilità" degli studi di settore avrebbe conseguenze sulla possibilità di utilizzarli nell'ambito di un "sistema generalizzato di accertamento" [2]. Queste posizioni non ci sembrano del tutto condivisibili, per una serie articolata di ragioni. Gli studi di settore non sono "infallibili" In primo luogo va subito evidenziato che gli studi di settore non hanno alcuna pretesa di infallibilità. Anzi, è vero proprio il contrario. In quanto elaborati attraverso una procedura matematico-statistica, essi presentano, infatti, tutti i margini di approssimazione che connotano questo tipo di procedura, ai quali sono da aggiungere i limiti derivanti da talune scelte discrezionalmente operate nella costruzione dei singoli studi. Lo studio, infatti, esprime le relazioni matematiche esistenti tra dati strutturali e contabili, che caratterizzano statisticamente il settore, e l'andamento dei ricavi. Tutto questo, con riferimento a gruppi omogenei di contribuenti individuati, sempre su basi statistiche, all'interno di ciascun settore. 24 Da tenere inoltre presente che le citate relazioni vengono elaborate su di un campione molto ampio di soggetti ritenuti "normali", estratto secondo criteri stabiliti dal Ministero (dunque non statistici). L'elaborazione è basata su un campione individuato discrezionalmente Muovendo da quest'ultimo particolare (non sappiamo fino a che punto adeguatamente colto dai numerosi interpreti dello strumento in parola), è agevole accorgersi che tutto si può dire degli studi, meno che essi debbano necessariamente esprimere la posizione di tutti i contribuenti ai quali il nuovo strumento si applica. Un esempio può, peraltro, meglio rendere l'idea. Si prenda lo studio SG44U relativo al comparto alberghiero, descritto nell'allegato 1 al D.M. 26 febbraio 2000. Nell'allegato si legge che la funzione di ricavo (relazione tra ricavi e dati strutturali e contabili) è stata determinata con riferimento ad un campione di contribuenti selezionato in base ad un unico indice: la produttività per addetto. La selezione è avvenuta calcolando, per ogni gruppo omogeneo, la distribuzione ventilica in base al detto indicatore [3], procedendo quindi ad estrarre le imprese che presentavano un valore dell'indicatore medesimo all'interno di un determinato intervallo. Per tutti i gruppi omogenei è stato utilizzato l'intervallo compreso fra l'estremo superiore del 6í ventile e l'estremo superiore del 19í ventile. Appare quindi chiaro che lo studio in questione (o, per meglio dire, le relazioni tra dati strutturali/contabili e ricavi) si riferisce ad un insieme di soggetti considerati "normali" a seguito di una scelta discrezionale dell'Amministrazione finanziaria, per ciò solo del tutto opinabile. Ma quello che più conta, è il fatto che la selezione nei detti termini del campione fa da sola comprendere come sia dallo stesso studio riconosciuto che una cospicua fetta di contribuenti può non avere niente a che vedere con la funzione matematica elaborata (quella poi applicata attraverso GE.RI.CO. 2000) perché facente parte di quei primi 6 ventili o del 20í, esclusi dalla campionatura. Ora, chi potrebbe mai pensare che uno studio costruito su di un campione selezionato in base al citato criterio discrezionale debba essere "infallibile" anche per le imprese che, per loro intrinseche modalità di gestione si discostano dal parametro, o dai parametri [4], adottati? L'elaborazione è basata sui dati dichiarati dai contribuenti Passando poi a considerare l'essenza degli studi di settore, vale a dire la c.d. "funzione di ricavo", si è già ricordato come essa consista nelle relazioni individuate tra l'andamento dei dati strutturali e contabili e quello dei ricavi. In altre e più semplici parole, la funzione esprime in che misura si registra una variazione dei ricavi all'aumentare o al diminuire di un dato elemento strutturale o contabile. Anche in questo caso molti sembrano dimenticare che gli elementi strutturali e contabili, nonché i ricavi in questione sono quelli dichiarati dai contribuenti, compresi nel campione di cui si è detto prima. Dato che, come si è visto, il campione si presenta notevolmente "dilatato" [5], nessuno potrà mai pensare che quei dati, così come i ricavi, siano attendibili in sensi assoluti dato che essi risentono, inevitabilmente, delle infedeltà dichiarative che (è forse il caso di nasconderselo?) possono avere interessato, in misura variabile, le imprese considerate. 25 Il che porta a pensare che gli studi non siano affatto "infallibili", non solo perché possono portare ad una sovrastima dei ricavi in danno del contribuente, ma anche perché suscettibili del contrario effetto, a tutto discapito del Fisco. Una buona ragione, ci sembra, perché gli stessi non debbano affatto essere considerati come strumento generalizzato di accertamento, punto sul quale torneremo tra breve. L'individuazione dei gruppi omogenei di appartenenza non può essere perfetta Un'ulteriore notazione merita quella parte del meccanismo applicativo che comporta l'attribuzione a ciascun contribuente del gruppo omogeneo di appartenenza. Dovrebbe essere sufficientemente chiaro che questo meccanismo è stato utilizzato per rendere la stima meno approssimativa, in quanto effettuata attraverso una funzione di ricavo elaborata su gruppi più ristretti di contribuenti che presentassero caratteristiche per quanto possibile omogenee. L'individuazione dei gruppi è avvenuta attraverso una tecnica statistica (la cluster analysis ) i cui margini di approssimazione dipendono essenzialmente dagli aspetti strutturali considerati. Pertanto, ove una impresa presenti una caratteristica strutturale assai marcata, e non considerata nella cluster analysis , essa potrà vedersi inclusa in un gruppo omogeneo ad essa del tutto estraneo. Al contrario, potrebbe accadere che un dato aspetto strutturale venga interpretato dalla analisi come caratterizzante, indipendentemente dal fatto che esso connoti particolarmente l'attività esercitata. Qualcosa del genere sembra sia accaduta per lo studio SG67U (lavanderie), dato che la C.M. n. 121/E/2000 [6] ha fatto presente che le lavanderie tradizionali e le lavasecco, laddove dichiarino di svolgere il servizio a gettone, seppure non in modo prevalente, vengono comunque attribuite al gruppo omogeneo delle lavanderie a gettone. L'attribuzione ad un gruppo piuttosto che ad un altro comporta, come ben noto, una diversa stima dei ricavi [7], il che depone, una volta ancora, per la "fallibilità" degli studi, connaturata alle procedure adottate per la relativa elaborazione (non esistendo, riteniamo, una procedura "infallibile" per la individuazione dei gruppi omogenei e per la attribuzione dei singoli contribuenti ai gruppi medesimi). Le conseguenze della "fallibilità" degli studi Alla luce delle considerazioni fin qui svolte occorre, a questo punto, soffermarsi sulle modalità di utilizzo di questi, non certo "infallibili", studi di settore, tenendo conto delle istruzioni finora emanate al riguardo dal Ministero delle finanze. Va subito detto che da nessuna parte risulta affermato che gli studi possano costituire un sistema generalizzato di accertamento, ove per tale sia da intendere una attività accertativa "a tappeto" ed "automatizzata" nei confronti dei contribuenti non in linea con le risultanze degli studi. Nel 1999 il Ministero, al contrario, ha avviato una specifica attività di controllo, in larga parte demandata alla Guardia di finanza [8], volta ad appurare la veridicità degli elementi utilizzati dai contribuenti ai fini dell'applicazione degli studi di settore ed alla esecuzione di verifiche generali (dunque controlli approfonditi, e non accertamenti "automatizzati") nei confronti dei soggetti non congrui. Per il 2000, è stato poi disposto l'avvio di una specifica attività di controllo sostanziale delle dichiarazioni, basata sugli studi di settore entrati in vigore nel 1999 (si tratta dei 45 studi approvati con il D.M. 30 marzo 1999), e relativa prevalentemente ai contribuenti "disallineati" dalle risultanze degli studi di settore, segnalati dal Dipartimento delle entrate (dunque riguardante anche contribuenti "allineati", ma "incoerenti", secondo le elaborazioni del programma GE.RI.CO) [9]. 26 Ora, controllo sostanziale non equivale a dire automatico accertamento nei confronti dell'impresa controllata. Anzi, come abbiamo già avuto modo di notare su questa rivista [10], la "fallibilità" degli studi, messa in luce dalle C.M. n. 110/E del 1999 e C.M. n. 121/E del 2000, dovrebbe indurre gli Uffici ad una particolare cautela, tenendo conto direttamente di eventuali circostanze giustificative già note, in termini generali (in quanto evidenziate dalle dette circolari), quando siano in concreto idonee a spiegare eventuali scostamenti dalle risultanze degli studi, soprattutto se di lieve entità. In secondo luogo, il controllo sostanziale, in specie per le posizioni di più marcato scostamento, giammai dovrebbe portare ad una mera applicazione matematica dello studio. Esso dovrebbe invece fungere da innesco per più approfondite indagini sull'attività del contribuente, non essendo, francamente, pensabile che una evasione dell'ordine di centinaia di milioni di lire (o, addirittura, di miliardi) possa essere adeguatamente dimostrata, pur in via presuntiva, attraverso una induzione, per così dire, "statistica". Le reali finalità degli studi Dovrebbe, a questo punto, risultare chiaro che gli studi, lungi dal volere brutalmente comprimere i sacrosanti diritti di difesa del contribuente di fronte alle pretese di un Fisco "infallibile", perseguono invece obiettivi più realistici e, in qualche misura, anche più ambiziosi. Essi hanno, ci pare, innanzitutto, una importantissima funzione dissuasiva. Il fatto che frange di evasione "plateale, macroscopica, che sfida il comune buonsenso" [11] possano essere agevolmente snidate attraverso gli studi, costituisce una novità senza precedenti nel panorama fiscale italiano, che contribuirà, come siamo convinti stia già facendo [12], ad un sostanziale recupero di base imponile. Chi si ostinava a contabilizzare e dichiarare la metà dei ricavi effettivamente conseguiti ora potrà farlo con minore disinvoltura, sapendo di poter essere facilmente scoperto grazie alla applicazione degli studi di settore. E dato che, come detto, queste discrasie più marcate, non possono che condurre alla verifica approfondita [13] della posizione del contribuente, l'effetto dissuasivo dovrebbe essere ancora maggiore di quello che potrebbe derivare ove si ritenesse che gli studi vengono meramente e meccanicamente applicati dagli Uffici, lasciando ampi spazi di contestazione in sede contenziosa. Diversa, invece, la situazione per le posizioni caratterizzate da scostamenti di non rilevante entità. Per esse anche, del resto, dovrebbe avere gioco il menzionato effetto dissuasivo, dato che un modesto scostamento dovrebbe di per se stesso suggerire una più fedele contabilizzazione dei ricavi, onde fruire della posizione di (relativa) tranquillità sul fronte accertativo, garantita dalla congruità rispetto alle risultanze degli studi. Ma, allo stesso tempo, è proprio per queste posizioni che potrebbe manifestarsi quella sorta di automatismo accertativo, tanto deprecato, che tuttavia, secondo le istruzioni impartite dal Ministero agli Uffici dovrebbe sempre tradursi in un invito a discutere la situazione nell'ambito della procedura del concordato. Dunque lasciando al contribuente le più ampie facoltà di dedurre circostanze particolari, anche diverse da quelle già individuate dalla prassi amministrativa, idonee a dimostrare che i ricavi siano stati effettivamente conseguiti in una misura diversa da quella stimata dallo studio. 27 Ove tale misura risulti poi superiore a quella dichiarata, l'accettazione delle deduzioni da parte dell'Ufficio consentirà una spedita definizione della vertenza, che è l'altro, fondamentale obiettivo dell'introduzione degli studi di settore. Note: 1 Cfr. "Sassi nello stagno" - C. Pino "Gli studi di settore ... rimandati a settembre", in Corr. Trib. n. 25/2000, pag. 1779. 2 G. Michelutti, "Il Ministero smentisce l'infallibilità degli studi di settore", in Corr. Trib. n. 28/2000, pag. 2017. 3 Dietro l'oscuro termine "distribuzione ventilica" non si cela altro che la ripartizione di tutti i contribuenti considerati in venti gruppi di uguale numerosità, in funzione crescente rispetto all'indice considerato. Nel caso di specie (alberghi) si avrà quindi che nei primi ventili ricadono le imprese con più bassa produttività per addetto, ed in quelli successivi le imprese con un indice più elevato. 4 In molti casi la selezione del campione avviene non sulla base di un solo indice (come nell'esempio proposto) ma di più indici (rotazione del magazzino, ricarico medio, etc.). 5 Nell'esempio degli alberghi si è visto che esso considera l'intervallo compreso dall'estremo superiore del 6° ventile all'estremo superiore del 19° ventile, il che equivale a dire il 65 per cento dei contribuenti di ciascun gruppo omogeneo. 6 Per un'analisi della circolare, vedi C. Nocera, "Novità ed evoluzione del modello economicostatistico per gli studi di settore", in Corr. Trib. n. 26/2000, pag. 1861 e L. Magistro, "L'utilizzo degli studi di settore in sede di accertamento", in Corr. Trib. n. 27/2000, pag. 1937. 7 Nell'esempio citato, la C.M. n. 121/E del 2000 ha evidenziato la circostanza che l'attribuzione al gruppo omogeneo delle lavanderie a gettone ( cluster 7), porta alla determinazione di un ricavo teorico più elevato rispetto a quello dei gruppi omogenei delle lavanderie tradizionali ( cluster 1) e lavasecco ( cluster 2). 8 Direttiva del Ministro delle finanze, diramata il 14 giugno 1999, alla quale ha fatto seguito la circolare 29 novembre 1999, n. 386000, del Comando Generale della Guardia di finanza. 9 C.M. 23 marzo 2000, n. 52/E, del Dipartimento delle entrate, concernente la programmazione dell'attività di controllo e verifica per il 2000, in Corr. Trib. n. 16/2000, pag. 1173, con commento di C. Nocera. 10 L. Magistro, "L'utilizzo degli studi di settore in sede di accertamento" cit. 11 La definizione, assai efficace, si deve a R. Lupi, in "Nuove tendenze per i controlli indiretti del giro d'affari: quello che resta da fare", in Rass. trib., 1994, pag. 797. 28 12 E' a tutti noto il trend di crescita che dall'anno scorso sta caratterizzando il gettito delle imposte sul reddito e dell'IVA. Una parte di tale maggior gettito è dovuta al c.d. "adeguamento spontaneo" in sede dichiarativa agli studi di settore, ma anche, abbiamo motivo di ritenere, al c.d. "adeguamento in corso d'anno" alle risultanze medesime, attraverso una maggiore fedeltà nella contabilizzazione dei componenti positivi e negativi del reddito e dei corrispettivi rilevanti ai fini dell'IVA. 13 Non si potrebbe, ci sembra, fare a meno di condurre gli approfondimenti anche attraverso il ricorso alla acquisizione dei conti bancari che, come noto, consente di solito l'individuazione di ampie aree di ricavi non contabilizzati (peraltro con grosse difficoltà, per il contribuente, di fornire la prova contraria alla presunzione legale in tema di utilizzo dei dati risultanti dai conti). Natura dei coefficienti ed onere della prova di Ravaccia Mario in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 5 /2004, pag. 446 Note di riferimento alla Cassazione, Sez. tributaria, Sent. 5 dicembre 2003 (5 marzo 2003), n. 19163 Il sistema dei coefficienti presuntivi prevedeva la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di calcolare il reddito imponibile degli esercenti attività di lavoro autonomo e di impresa (in linea di principio, con volume d'affari inferiore ai limiti stabiliti per la contabilità ordinaria) prescindendo dalle risultanze delle scritture contabili ed avvalendosi di metodi statistici derivanti da elementi di costo e di organizzazione dell'attività produttiva di reddito. Il procedimento in parola iniziava necessariamente con una fase preliminare costituita da una preventiva richiesta di chiarimenti al contribuente "interessato" dai coefficienti il quale doveva, a sua volta, rispondere entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell'Ufficio competente. Entro tale termine dunque il contribuente doveva fornire i motivi per cui i ricavi o i compensi dichiarati fossero inferiori a quelli risultanti dall'applicazione dei coefficienti; tali motivi dovevano, giusta la modifica di cui all'art. 62-quater del D.L. n. 331/1993, essere proposti in tale sede, in quanto qualora non addotti in risposta alla richiesta di chiarimenti, non potevano essere fatti valere in sede di impugnazione dell'avviso di accertamento. Ora si è sempre dibattuto sulla natura dei coefficienti stessi: vale a dire se essi abbiano natura e forza di presunzioni semplici, ex art. 2729 del codice civile (Tosi, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, Padova, 1999, pag. 264; Bloch - Sorgato, "Difesa del contribuente dagli accertamenti fondati sui parametri" in Corr. Trib. n. 36/1999, pag. 2696; Mercurio, "L'accertamento presuntivo in base ai parametri per il periodo di imposta 1995 e difesa del contribuente", in il fisco, 1996, pag. 8883; Marcheselli, "Questioni ancora attuali in materia di accertamento mediante coefficienti presuntivi", in questa Rivista n. 7/2003, pag. 632; Marongiu, "I coefficienti presuntivi", in il fisco n. 43/2002, pag. 6785, Id., "Coefficienti presuntivi, parametri e studi di settore", in Dir. prat. trib., n. 5/2002; Ferrari, "Coefficienti presuntivi: illegittimi gli avvisi di accertamento emessi da uffici delle imposte", in Corr. Trib. n. 46/1999, pag. 3437; Ravaccia, "Sulla natura dei coefficienti presuntivi e sull'idoneità di alcuni elementi difensivi prodotti dal contribuente", in 29 questa Rivista n. 1/1999, pag. 62 e dottrina ivi riportata) ovvero se possano essere ricondotti nella categoria delle presunzioni legali relative (iuris tantum) (in tal senso Comm. trib. prov. Rovigo, Sez. I, 16 novembre 2001, n. 219, in Fisconline; Capolupo, "Accertamento e contabilità inattendibile", in il fisco, 1997, pag. 17; Forte - Fagiolo, "Parametri: motivazione dell'atto e mezzi di difesa del contribuente", ivi, 2001, pag. 2239; Magistro "Accertamenti parametrici per società di persone e associazioni professionali", in Pratica Professionale, n. 35/2000, pag. 1007; Manca "Parametri: presunzioni, prova contraria e contraddittorio", in il fisco, 2001, pag. 7273; Nocera, "Parametri accertativi: un autunno di controlli su società di persone e associazioni", in Corr. Trib. n. 43/2000, pag. 2359; Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996, pag. 290). La distinzione è di gran momento qualora si osservi come nella prima fattispecie l'onere della prova rimane in capo all'organo accertatore, mentre nel secondo caso è il contribuente a dovere dimostrare l'inattendibilità di tali strumenti mediante prove anche documentali. Nel caso deciso dalla sentenza in esame l'Amministrazione finanziaria sosteneva che la procedura dei coefficienti, resa legittima dai presupposti previsti dalla legge, comporta un automatismo vincolante nella individuazione degli effetti dei medesimi coefficienti. In realtà i giudici aditi hanno affermato, assimilando lo strumento dei coefficienti a quello previsto dagli studi di settore, che i coefficienti abbiano soltanto valore indicativo, fermo restando l'obbligo dell'Amministrazione finanziaria di valutare la situazione effettiva del contribuente, pena la violazione del principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. Orbene tali affermazioni, seppur in modo non proprio esplicito, sembra possano delineare l'orientamento della Suprema Corte di considerare i coefficienti presuntivi come mere presunzioni semplici da integrare a cura dell'Ufficio. Tale conclusione però deve essere soggetta ad una più approfondita analisi sulla base di quanto segue. Infatti tale orientamento sarebbe, in primo luogo, in contrasto con quello indicato dalla Corte Costituzionale nella ordinanza 1° aprile 2003, n. 105, (in questa Rivista n. 7/1993, pag. 613 con commento di Alberto Alfredo Ferrario), nella quale è stata affermata in via incidentale la natura di presunzione semplice dei coefficienti: "a differenza dei coefficienti presuntivi, i "parametri" prevedono un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito". Parimenti la sentenza in commento sarebbe in contrasto con la sentenza 27 novembre 2002, n. 16771 della Suprema Corte (in questa Rivista n. 6/2003, con commento di Massimo Basilavecchia), nella quale si ritiene che l'avviso di accertamento basato unicamente sui risultati dell'applicazione dei coefficienti costituisce documento valido ai fini dell'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente. Ciò detto, a parere di chi scrive, la sentenza in esame ha solamente "attenuato" la natura di presunzione legale relativa dei coefficienti presuntivi senza alcuna volontà di trasformarla in presunzione semplice; in altre parole i giudici hanno solamente segnalato la possibilità da parte dell'Amministrazione finanziaria, in certe fattispecie di integrare il risultato dei coefficienti presuntivi mediante ulteriori elementi anche documentali, ferma restando la validità degli stessi nell'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente. A fini di completezza si segnala infine come la sentenza statuisca altresì che, pur quando i coefficienti presuntivi siano stati applicati correttamente, la prova contraria del contribuente può essere fornita senza avere necessariamente collegamenti con dati documentali, bensì anche mediante presunzioni che il giudice valuterà nel suo prudente apprezzamento. 30 Percentuali di ricarico e studi di settore: brevi riflessioni sulla loro convivenza ed efficacia probatoria di Benazzi Adriano in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 8 /2004, pag. 785 Commento alla Commissione Tributaria Provinciale Avellino, Sez. VII, Sent. 20 novembre 2003 (25 settembre 2003), n. 96 La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino in commento riprende la sempre attuale e viva questione dell'applicazione delle percentuali di ricarico negli schemi di determinazione dei maggiori ricavi accertati dagli Uffici e della loro difficile convivenza con gli studi di settore. In particolare la sentenza in rassegna risolve in modo condivisibile la questione relativa alla valenza presuntiva delle percentuali di ricarico quale criterio di accertamento, e ai mezzi di difesa esperibili dal soggetto accertato. Queste percentuali, infatti, non possono essere utilizzate in modo assolutamente asettico, senza cioè alcuna valutazione critica, e soprattutto senza tenere in debita considerazione i risultati emergenti dall'applicazione degli studi di settore, il cui grado di attendibilità nella determinazione del volume dei ricavi è superiore rispetto ai valori ottenibili con procedimenti induttivi di diversa natura quali, appunto, le percentuali di ricarico. Il caso Nella specie l'Agenzia delle entrate aveva rettificato i ricavi dichiarati da un esercente l'attività di vendita al dettaglio di calzature con contratto di franchising mediante l'applicazione di percentuali di ricarico pari all'80%, che risultavano di molto superiori rispetto a quelle che emergevano dalla contabilità del soggetto accertato (23,5%). Di contro, il contribuente eccepiva che, negli anni a cui si riferiva la rettifica operata dall'Ufficio, i ricavi dichiarati risultavano congrui rispetto ai valori emergenti dall'applicazione degli studi di settore. Sulla base di queste considerazioni e dell'apprezzamento del valore probatorio delle percentuali di ricarico la Commissione tributaria ha accolto il ricorso del contribuente annullando l'avviso di accertamento dell'Ufficio. Le percentuali di ricarico quale strumento di prova presuntiva Il sempre maggiore utilizzo da parte degli uffici della procedura di rideterminazione del reddito mediante percentuali di ricarico medie ritraibili dal settore di attività in cui opera l'impresa soggetta a verifica rende comunque attuale la questione della validità probatoria di tale strumento di accertamento, anche per effetto della nutrita giurisprudenza della Corte di cassazione e delle Corti di merito a proposito di tale problema. La causa di tale situazione deve ricercarsi in un progressivo degradare dei requisiti di gravità precisione e concordanza che dovrebbero caratterizzare le presunzioni, in favore di metodi sempre più empirici di accertamento, e di un meccanismo di riconoscimento del procedimento presuntivo di prova che oscilla tra logiche di differente matrice, quasi a giustificare un tipo di presunzione di natura tributaria sempre più autonoma e slegata dalle forme tradizionali (civilistiche e penali) che hanno, invece, sempre connaturato gli studi in tema di presunzione applicata alla fase dell'accertamento tributario [1]. Infatti, una presunzione basata sulle percentuali di ricarico al fine di accertare ricavi non dichiarati non si caratterizza sicuramente per esser basata su elementi "gravi, 31 precisi e concordanti", ma solamente su logiche empiriche, di natura statistica, che assurgono a mezzi di prova quando l'iter procedimentale posto in essere trova apprezzamento dal giudice in quanto riproduttivo di una realtà attendibile. Ne discende, che la formula "gravi, precise e concordanti", sembra trasformarsi in una sorta di formula cui viene attribuito un significato sempre meno pregnante, non sussistendo alcun criterio giuridico astratto che stabilisca quando una presunzione è particolarmente convincente. Ciò non significa che, assumendo un valore meno forte, la non "gravità, precisione e concordanza" di una presunzione automaticamente venga legittimata una presunzione senza fondamento e rigore logico, ma semplicemente che il processo di qualificazione della presunzione tributaria assume sempre più connotati propri, disgiunti da quelli tradizionalmente affrontati. Questo probabilmente deriva dal continuo spostamento dalle forme di accertamento cosiddetto analitico-contabile, a metodi di accertamento basati su criteri che tendono a provare l'esistenza di ricavi non dichiarati attraverso forme indirette di prova (studi di settore, parametri, percentuali di ricarico, ecc.) [2]. D'altra parte, quando nell'accertamento induttivo si opera il riferimento a presunzioni che non presentano i requisiti di gravità precisione e concordanza, certamente con questa formulazione il legislatore non ha inteso attribuire dignità di prova ad una ricostruzione induttiva del volume d'affari di pura fantasia o assolutamente irrealizzabile, ma ad un tipo di presunzione semplice, il cui grado di attendibilità è senza dubbio affievolito rispetto a quella caratterizzata dal concorrere dei requisiti di gravità, precisione e concordanza [3]. Requisiti delle presunzioni E', infatti, immediatamente intuibile il diverso operare di una presunzione che non presenta i requisiti di gravità, precisione e concordanza rispetto ad una presunzione che invece deve possedere detti requisiti sotto il profilo della strategia difensiva. Quando la norma richiede che la presunzione sia grave, precisa e concordante, il contribuente può limitarsi, nella difesa, ad elencare le possibili alternative di fatto ignoto rispetto al fatto noto connesse al ragionamento logico su cui si fonda l'argomentazione presuntiva utilizzata dall'Ufficio per provare un certo fatto. Diversamente, quando è possibile ricorrere ad una presunzione non "grave, precisa e concordante", il minor rigore logico richiesto all'argomentazione presuntiva obbliga il contribuente a costruire un modello di presunzione che, partendo dal medesimo fatto noto, giunga ad un diverso fatto ignoto. E' solo di fronte ad alternative ugualmente probabili che il giudice potrà disconoscere la presunzione utilizzata dall'Ufficio in quanto talmente generica da non poter assurgere a prova. Volendo tentare un inquadramento, peraltro tutt'altro che facile, dell'accertamento in base a percentuali di ricarico, si può osservare che le predette percentuali possono essere utilizzate con effetti diversi nel procedimento di accertamento. Secondo autorevole dottrina [4], infatti, le percentuali di ricarico, confrontate con quelle applicate dall'impresa sottoposta a verifica, possono invalidare una parte più o meno ampia delle scritture per omessa registrazione di componenti positivi di reddito. Ciò comporta che ove la parte delle scritture smentita divenga rilevante riesce inattendibile l'intera contabilità dell'impresa e si giustifica l'utilizzo dell'accertamento induttivo. Secondo altri [5], invece, tale argomentazione, legata ad una visione poco formalistica delle procedura di accertamento, trova un ostacolo insormontabile nelle disposizioni in tema di accertamento, in quanto, l'art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600/1973 prevede che solo in presenza di una delle ipotesi tassativamente elencate sia possibile utilizzare, da parte degli uffici, l'accertamento induttivo. In generale si può rilevare che, secondo l'orientamento emerso in giurisprudenza, non è possibile prendere una semplice media, relativa ad un dato settore, e successivamente traslare la predetta 32 percentuale nell'ambito della singola impresa la cui attività è inquadrabile in quel particolare settore di attività. Gli Uffici, infatti, devono preventivamente individuare tutte le caratteristiche dell'impresa necessarie per farla considerare omogenea rispetto al settore nel quale la percentuale media di ricarico è stata determinata. Non è sufficiente, quindi, un generico richiamo al tipo di attività esercitata, ma è necessario procedere ad un ulteriore analisi circa la aderenza di una serie di elementi (tipologia merceologica dei beni prodotti, qualità e quantità di beni strumentali, dimensione dei locali in cui viene esercitata l'attività) tra l'impresa cui si intende applicare le percentuali di ricarico e quelle che fanno parte del settore di appartenenza e da cui le percentuali sono state ricavate. Non è inutile sottolineare, infatti, che trattandosi di valori medi, ciò sta a significare che ciascuna realtà può discostarsi da quei valori, sia in eccesso che per difetto. Inoltre, anche con riferimento alla singola realtà, un accertamento fondato su percentuali di ricarico deve possedere una propria logica che sia riferibile al caso concreto connesso alla verifica. Ecco che, allora, non sarebbe attendibile una percentuale di ricarico applicata su tutti i beni prodotti da un'impresa quando gli stessi presentino marcate differenze di valore ovvero quando contribuiscono in maniera differente alla formazione del volume d'affari dell'azienda sottoposta a verifica. Allo stesso modo, non sarebbe attendibile una percentuale di ricarico che si riferisse ad una sola parte dell'anno e non tenesse conto di periodi nei quali si registrano vendite con forti riduzioni di prezzo (si pensi ai cosiddetti saldi di fine stagione, ecc.). Le stesse considerazioni valgono anche quando una percentuale di ricarico venga applicata meccanicamente a più periodi d'imposta senza una valutazione oggettiva di eventuali cause che ne possano determinare il non utilizzo in quanto le condizioni effettive non sono tra loro assimilabili. Presunzioni da percentuali di ricarico In sostanza, quindi, il giudizio generale sull'ammissibilità dell'utilizzo delle percentuali di ricarico dipenderà principalmente dal grado di diligenza con cui l'Ufficio ha costruito il meccanismo di applicazione delle stesse. Altro aspetto da non trascurare è l'operare della presunzione che si instaura nel momento in cui viene fatto uso delle percentuali di ricarico. In particolare, secondo l'orientamento della Suprema Corte, i valori percentuali medi di settore non sono qualificabili come fatto noto storicamente verificato, "quanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, che fissa una regola di esperienza" [6]. Qualificandosi come regola di esperienza, e non come fatto noto, la presunzione che scaturisce dall'utilizzo delle percentuali di ricarico conduce a ritenere "meno frequenti i casi che più si allontanano dai valori medi, rispetto a quelli che ad essi si avvicinassero, ancorché la media sia la risultante di valori del tutto diversi tra loro". In definitiva, quello che richiede la Corte di cassazione nella verifica dell'utilizzabilità delle percentuali è che non si proceda ad una presunzione da presunzione [7]: nella specie, la dimostrazione di ricavi non dichiarati non può intervenire attraverso la sostituzione della percentuale di ricarico dichiarata dal contribuente con quella presunta dall'Ufficio in modo assolutamente acritico e senza il confronto con dati storicamente provati, quali, ad es., il raffronto tra i prezzi di acquisto delle merci e i prezzi di vendita successivamente praticati, ecc. Questo comportamento di stretta connessione tra elementi desumibili dalla contabilità e del soggetto imprenditore e percentuali applicate in sede di accertamento, richiesto dalla Corte di legittimità per avallare l'operato degli Uffici nell'utilizzo delle percentuali di ricarico, pare essere completamente assente nella verifica che ha portato alla rettifica oggetto della sentenza in rassegna. Infatti, l'Ufficio non ha tenuto in debita considerazione la circostanza che l'imprenditore esercita l'attività con 33 contratto di franchising che si caratterizza, tra l'altro, per il fatto che il prezzo di vendita è imposto dal franchisor con la conseguenza, quindi, che esula dalla libertà del venditore qualunque determinazione circa il prezzo di vendita. Inoltre, come emerge dalla motivazione della sentenza in rassegna, negli anni successivi a quello oggetto di verifica (1996) l'Ufficio ha ritenuto congrue le stesse percentuali di ricarico applicate dal contribuente verificato manifestando, in questo modo, la potenziale inattendibilità dei coefficienti asetticamente utilizzati nella verifica di un periodo d'imposta, senza procedere ad alcuna valutazione critica circa l'attendibilità delle percentuali di ricarico individuate per quello specifico settore dalla C.M. 5 agosto 1999, n. 175 [8] e in specie alla loro adattabilità allo specifico caso esaminato, con riguardo ad una pluralità di elementi quali la localizzazione territoriale dell'impresa, l'esistenza di un rapporto di franchising, ecc. Percentuali di ricarico e congruità rispetto agli studi di settore: aspetti rilevanti ai fini dell'accertamento Vi è poi un ulteriore problema, non completamento affrontato dai giudici di merito della Corte di Avellino, ma di non trascurabile rilevanza, rappresentato dalla coesistenza dell'applicazione delle percentuali di ricarico nella rideterminazione dei ricavi e dalla contemporanea esistenza degli studi di settore [9]. Sia le percentuali di ricarico che gli studi di settore condividono il medesimo obiettivo: consentire agli organi preposti all'accertamento di sostenere argomentazioni presuntive volte a rettificare in aumento i ricavi dichiarati dai soggetti sottoposti a verifica, a fronte di impianti contabili formalmente corretti. In particolare, gli studi di settore nell'esprimere valori di coerenza - normalità - economica servono per dimostrare che le scritture contabili, per quanto formalmente, e apparentemente, corrette, non riportano in maniera precisa una determinata entità di ricavi. In sostanza, attraverso gli studi di settore non si intende scardinare l'impianto contabile, ma rideterminare il volume di ricavi attribuibile al soggetto imprenditore con metodo induttivo attraverso l'utilizzo di strumenti statistici. Questa affermazione trova conforto nell'art. 10, comma 3, della legge n. 146/1998, laddove si precisa che gli studi sono utilizzabili qualora emerga l'inattendibilità della contabilità ordinaria in presenza di gravi contraddizioni o irregolarità delle scritture obbligatorie. E non viene disattesa neppure dal secondo comma del predetto art. 10, il quale prevede l'utilizzo degli studi di settore se in almeno due periodi d'imposta, su tre consecutivi considerati, l'ammontare dei ricavi dichiarati risulti inferiore rispetto a quello emergente dall'applicazione degli studi di settore. Emerge, infatti, la cautela del legislatore nell'utilizzo di un tale strumento ai fini dell'accertamento che tende ad esprimere la valenza probabilistica dei dati emergenti dall'interpolazione degli studi più che strumenti per l'automatica rettifica del reddito dichiarato. Il problema, che viene semplicemente accennato e non adeguatamente sviluppato nella parte finale della sentenza in rassegna, è legato alla eventuale contraddittorietà dei risultati emergenti dall'applicazione delle percentuali di ricarico rispetto a quelli emergenti dall'applicazione degli studi di settore. In particolare, se a fronte di risultati congrui per gli studi di settore sia possibile dimostrare, attraverso l'applicazione di percentuali di ricarico, l'esistenza di ricavi non dichiarati e quindi procedere alla loro rettifica in aumento. Sotto questo profilo, la risposta non può che essere negativa. Infatti, mentre le percentuali di ricarico sono medie di esperienza ricavabili da una pluralità di dati disomogenei, gli studi di settore, per quanto elaborazione matematico-statistica, prendono in considerazione una varietà di elementi tali da rendere più attendibile il risultato che scaturisce dalla loro applicazione rispetto a quello delle percentuali di ricarico. Inoltre, la valenza degli studi di settore è normativa, mentre le percentuali di 34 ricarico rappresentano il risultato di regole empiriche di volta in volta utilizzate al fine di rideterminare l'ammontare dei ricavi. Ne discende che l'accertamento fondato sull'applicazione di percentuali di ricarico deve essere successivo rispetto alla verifica realizzata attraverso gli studi di settore: gli Uffici, cioè, non possono non tener conto delle risultanze emergenti dagli studi di settore, e, solo in ipotesi di inattendibilità delle scritture contabili, potranno rideterminare i ricavi secondo il metodo induttivo che riterranno più idoneo alla corretta ricostruzione dei ricavi non dichiarati, compreso l'utilizzo delle percentuali di ricarico [10]. Note: 1 La bibliografia in tema di presunzioni è quanto mai estesa. Senza pretesa di completezza, e rinviando ulteriormente alle indicazioni formate nelle opere segnalate si vedano: Benvenuti, L'istruzione del processo amministrativo, Padova, 1963, pag. 363; Comoglio, Le prove civili, Torino, 1998; Cordopatri, "A proposito della rilevanza della prova e di giudizio di fatto", in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, pag. 983; Id., "Presunzione (dir. Proc. Civ.)", in Enc. del dir., vol. XXXV, Milano, 1986, pag. 274;. De Cupis, "Sulla distinzione fra presunzioni legali assolute e finzioni giuridiche", in Giust. civ., 1982, I, 2, pag. 1227; Fabbrini Tombari, "Il controllo di costituzionalità sulle presunzioni legali e sugli accertamenti tecnici vincolanti della pubblica amministrazione nella giurisprudenza della corte costituzionale", in Riv. dir. proc .civ., 1990, pag. 297 e ss; Falzea, "Fatto giuridico", in Enc. del dir., XVI, Milano, 1967, pag. 9412 e ss; Giuliani, Il concetto di prova. Contributo alla logica giuridica, Milano, 1961; Id., Il concetto classico di prova: la prova come argomentum, in Ius, 1960, pag. 360; Id., "Logica del diritto: teoria dell'argomentazione", in Enc. Dir., vol. XXV, Milano, 13 e ss; Grasso, in Comm. al cod. civ. diretto da Allorio, sub. art. 116, Torino, 1973, pag. 1319; Pastore, Giudizio, prova, ragion pratica, Milano, 1996; Satta, Commentario al c.p.c., I, Milano, 1966, pag. 468; Taruffo, La prova dei fatti giuridici, Milano, 1992; Id., Studi sulla rilevanza della prova, Padova, 1970; Id., "Certezza e probabilità nelle presunzioni", in Foro it., 1974, V, 89. Per la dottrina tributaristica si vedano: Amatucci, "Prove legali, difesa giudiziaria ed effettivo adempimento delle obbligazioni tributarie", in Scritti degli allievi offerti ad Alfonso Tesauro, Napoli, 1968, pagg. 406 e ss.; De Mita, "Presunzioni fiscali e Costituzione", in Le presunzioni in materia tributaria, Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 30; Della Valle, "Le presunzioni", in L'imposta sul Valore Aggiunto, Giur. Sist. di Diritto Tributario diretta da Tesauro, Torino, 2001, pag. 613.; Dolfin, "Prova per presunzioni e determinazione sintetica", in Rass. trib., 1997, II, pag. 1052; Falsitta, "Appunti in tema di legittimità costituzionale delle presunzioni fiscali", in Riv. dir. fin. sc. fin.; 1968, II, pagg. 3 e ss; Id., "Le presunzioni in materia di imposte sui redditi", in Le presunzioni in materia tributaria, Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 59; Fedele, "Le presunzioni nelle imposte sulle successioni e nell'INVIM", in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, pag. 561; Filippi, Presunzioni in materia di imposta sul valore aggiunto, Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 77; Gentilli, Le presunzioni nel diritto tributario, Padova, 1984, pag. 72; Glendi, "Il giudice tributario e la prova per presunzioni", in Le presunzioni in materia tributaria, Atti del convegno di Rimini, 2223 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 157; Id., L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984; Id., "I poteri del giudice nell'istruttoria del processo tributario", in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, pag. 906 e ss; Id., "L'istruttoria nel nuovo processo tributario", in Dir. prat. trib., 1996, I, pag. 1117; Granelli, "Le presunzioni nell'accertamento tributario", in Boll. trib., 1981, pag. 1652; Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell'accertamento tributario, Milano, 1988; Id., "Brevi spunti su probabilità, esperienza comune e parametri determinati nell'accertamento del reddito d'impresa", in Rass. trib., 35 1989, II, pag. 4; Id., "Argomentazioni extracontabili e coefficienti predeterminati nell'accertamento dei contribuenti minori", in Riv. dir. trib., 1991, I, pag. 625; Manzoni, Potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993; Micheli, "Le presunzioni e la frode alla legge", in Riv. dir. fin sc. fin., 1976, pag. 4040; Mondini, "Note in tema di presunzioni fiscali e processo penale tributario", in Dir. prat. trib., 1994, II, pag. 482; Preziosi, Il condono fiscale, Milano, 1987, pag. 326; Russo, Diritto e processo nella teoria dell'obbligazione tributaria, Milano, 1969; Id., "Processo tributario", in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1994, pag. 792 e ss; Id., "La tutela del contribuente nel processo sui redditi virtuali o presunti", in Riv. dir. trib., 1995, I, 1 e ss; Stevanato, "Irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e limiti all'accertamento induttivo", in Rass. trib., 1989, pag. 877 e ss.; Tesauro, "Prova (diritto tributario)", in Enc. dir., Agg. III, Milano, 1999, pag. 882 e ss; Id., "L'onere della prova nel processo tributario", in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, pag. 85 e ss; Id., "Le presunzioni nel processo tributario", ivi, 1986, I, pag. 194 e ss.; e in Le presunzioni in materia tributaria, Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 39; Tinelli, "Presunzioni (Diritto tributario)", in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991; Id., "Riflessioni sulla prova presunzioni nell'accertamento del reddito d'impresa", in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, pag. 477 e ss; Id. "Prova: V) Diritto Tributario", in Enc. giur. Treccani, XXV, 1991; Versiglioni, "Presunzioni legali e prova del fatto ignoto nell'accertamento dell'IVA", in Riv. dir. trib., 2000, I, pag. 139. 2 Sottolineano questo aspetto Batistoni Ferrara, "La minimum tax", in Riv. dir. trib., 1993, I, pag. 926; Ferlazzo Natoli, "Involuzione dell'accertamento tributario e acquisizione di prove", in il fisco, 1994, pag. 6949; Moschetti, "La proposta di tassazione del reddito normale: valutazioni critiche e profili di legittimità costituzionale", in Rass. trib., 1990, I, pag. 57; Torrigiani, "Osservazioni in tema di accertamento induttivo per coefficienti", in il fisco, 1992, pag. 5874. 3 Benazzi, "L'utilizzo del modello presuntivo quale mezzo di prova", in Corr. Trib. n. 42/2001, pag. 3161; Id., "Le presunzioni semplici quale strumento di prova nell'accertamento", in Corr. Trib. n. 1/2002, pag. 36. 4 Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell'accertamento, Milano, 1988, pagg. 236 e ss. 5 Porcaro, "L'utilizzo delle percentuali di ricarico tra violazione di legge e giudizio sul fatto", in Riv. dir. trib., 1996, II, pag. 1027 e ss. 6 Cass., 2 settembre 1995, n. 9265, in BANCA DATI Big, IPSOA. 7 In dottrina, peraltro, si devono segnalare due diversi orientamenti sulla legittimità dell'utilizzo della presunzione da presunzione. Sostengono, in accordo con l'orientamento della Corte di cassazione, l'inutilizzabilità della presunzione da presunzione, tra i molti, Manzoni, Potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, pag. 211; Viotto, "Ancora una pronuncia della Cassazione sul divieto delle presunzioni a catena", in questa Rivista n. 3/1995, pag. 168. Ritengono invece utilizzabile la presunzione da presunzione: Lupi, "La doppia presunzione è vietata solo quando non è convincente", in Rass. trib., 1994, pag. 1617; Id., Diritto tributario, parte generale, 1995, pag. 192, nt. 10; Porcaro, L'utilizzo delle percentuali di ricarico tra violazione di legge e giudizio sul fatto, cit., loc. cit., pag. 1040 ss. 36 8 In BANCA DATI Big, IPSOA. 9 Per quanto attiene agli studi di settore si veda: Brunello, "Gli studi di settore nel contesto della riforma fiscale", in Gli studi di settore: primi risultati e prospettive, Atti del convegno di Bari 6 aprile 2001, in il fisco, 2001, pag. 13; Fantozzi, "Valutazione giuridica degli studi di settore", in Atti del convegno. I nuovi studi di settore, in il fisco, 2000, pag. 39; Fazzini, "L'accertamento per presunzioni: dai coefficienti agli studi di settore", in Rass. trib., 1996, pag. 309; Filippi, "Le imprese minori dall'accertamento agli studi di settore, in La tassazione delle imprese minori", in il fisco, 1995, pag. 6910; Gallo, "Ancora sulla questione reddito normale - reddito effettivo: la funzione degli studi di settore", in I nuovi studi di settore, Atti del convegno di Roma, 11 febbraio 2000, in il fisco, 2000, pag. 39; Id., "Il dilemma reddito normale o reddito effettivo: il ruolo dell'accertamento induttivo", in Rass. trib., 2001, pag. 659; Garbarino, "Studi di settore, concordato e nuove tipologie di accertamento dei redditi", in Riv. dir. trib., 1997, I, pag. 87; Id., "Aspetti probatori degli studi di settore", in Rass. trib., 2002, pag. 226; Giorgi, "L'accertamento basato su studi di settore: obbligo di motivazione e onere della prova", in Rass. trib., 2001, pag. 659; Id., "Il controllo indiretto dei tassisti: qualche accertamento e un'ipotesi di studio di settore", in Rass. trib., 1997, pag. 812; Lovecchio, "Le nuove verifiche dell'amministrazione finanziaria e gli studi di settore", in Boll. trib., 1994, pag. 749; Marongiu, "Coefficienti presuntivi, parametri e studi di settore", in Dir. prat. trib., 2002, I, pag. 707; Pasquale, "La tipologia di accertamento in base agli studi di settore", in Gli studi di settore: primi risultati e prospettive, cit., pag. 35; Tosi, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, Milano, 1999, pag. 281. 10 Anche l'Agenzia delle entrate, con la circolare 27 giugno 2002, n. 58/E, in BANCA DATI Big, IPSOA, ha invitato gli uffici a tener conto delle risultanza degli studi di settore nell'attività di accertamento precisando che gli Uffici potranno anche pervenire a risultati diversi rispetto a quelli degli studi, ma in questo caso sarà necessario "che la determinazione dei maggiori ricavi o compensi si fondi su obiettivi elementi e su una convincente ricostruzione logica ed argomentata dei ricavi o dei compensi stessi che tenga conto delle peculiarità della posizione soggettiva sottoposta a controllo". Costituzionalità del redditometro e difesa contro gli studi di settore di Marcheselli Alberto in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 11 /2004, pag. 1018 Commento alla Corte costituzionale, Ord. 28 luglio 2004 (13 luglio 2004), n. 297 Il giudizio di costituzionalità del redditometro e degli accertamenti standardizzati in generale, e, in particolare, degli studi di settore, rende particolarmente rilevante la questione se tali strumenti configurino presunzioni legali o presunzioni semplici. Diverse, infatti, sono le posizioni del Fisco, del contribuente e del giudice, rispetto a tali accertamenti, a seconda della soluzione adottata. Motivi di ordine letterale e sistematico fanno preferire la loro configurazione come presunzione semplice. 37 L'ordinanza in commento conferma la legittimità costituzionale delle norme istitutive del cd. redditometro e contiene alcune affermazioni di un certo rilievo, anche in ordine alle possibilità di difesa dei contribuenti rispetto ai meccanismi accertativi standardizzati previsti in tempo successivo, in particolare gli studi di settore. La riserva di legge Si ribadisce che non sarebbe violata la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. per il fatto che tale riserva ha carattere "relativo" ed è quindi sufficiente che la legge preveda gli aspetti fondamentali della disciplina, potendo essa essere integrata dalla fonte subordinata (i decreti che hanno specificamente attuato il redditometro hanno previsto quali fatti valorizzare per ricostruire il reddito e i criteri di calcolo). In effetti, non è condivisibile l'affermazione del giudice rimettente, secondo cui la legge avrebbe lasciato che fossero i decreti attuativi a definire il presupposto dell'imposta. Il presupposto dell'imposta è definito dalle norme del Testo Unico, ai decreti attuativi del redditometro è rimasto il compito di integrare la disciplina specificando quali fatti materiali potessero far presumere la disponibilità della ricchezza. I decreti, propriamente, non definiscono il presupposto, ma individuano potenziali prove dell'esistenza del presupposto previsto dalla legge. Il problema è allora fino a che punto la legge debba spingersi nella descrizione di tali fatti, utili alla prova, e quanto, correlativamente, possa essere lasciato alla determinazione della fonte subordinata. E' vero che la legge (art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973) è piuttosto generica ("con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l'ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta"). In pratica, anzi, la definizione dei fatti indice del possesso di reddito è interamente delegata alla fonte subordinata. E' anche vero, però, che si deve trattare di fatti o circostanze materiali ragionevolmente indicativi del possesso di reddito. Se la ratio della riserva di legge è che sia adeguatamente circoscritto il potere dell'organo subordinato, per tutelare i destinatari delle norme da arbitrio, è vero che la genericità della disposizione di legge è compensata dal fatto che l'articolo 38 non lascia mano libera all'Amministrazione, perché il potere di questa deve esercitarsi nei limiti dei fatti che ragionevolmente costituiscono prova di reddito. Il potere del Ministro, insomma, è tutt'altro che libero da vincoli, anche nel contenuto. La natura della presunzione del redditometro Questione assai interessante è semmai quella dell'individuazione della natura della presunzione contenuta dal redditometro. Tale questione non incide solo su quella appena descritta [1], ma ha importanti conseguenze sul diritto di difesa del contribuente. Il quesito fondamentale è se esso costituisca una presunzione legale. Se, cioè, l'ufficio sia liberato dall'onere della prova e non debba fornire giustificazione del suo operato diversa dalla dimostrazione del fatto indice e dal richiamo al D.M. Il problema è controverso. La tesi della natura di presunzione legale, fatta propria dalla sentenza in rassegna è sostenuta, sia in dottrina [2], sia in giurisprudenza [3]. Gli argomenti utilizzati sono letterali e sistematici. Sul piano letterale, l'art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973 non è risolutivo, poiché si limita a stabilire che i decreti ministeriali individueranno gli indici e coefficienti presuntivi, sulla cui base risalire al reddito complessivo, senza dire se questo meccanismo sia o meno "rigido". I contenuti dei decreti, per ovvie ragioni, non possono assumere un effetto decisivo, siccome privi di valore di 38 legge. Se ne potrebbe ipotizzare una efficacia di "sostegno" alla interpretazione della legge, ma la relativa esegesi non dà risultati significativi [4]. Sul piano sistematico è necessario innanzitutto valutare il fondamento probabilistico delle presunzioni in esame. E' impossibile "ingabbiare" in regole precostituite la varietà di combinazioni in cui circostanze - ipoteticamente indicative del possesso di reddito - si possono presentare. Ciò è tanto più vero, considerato che l'area dei fatti indizianti contemplati dai decreti ministeriali non è mai stata ampia [5]. Ciò comporta alcune considerazioni. Innanzitutto, per accertare la situazione effettiva può essere necessario tenere conto, non dei soli fatti indicati nei decreti ministeriali, ma di ogni altra erogazione di ricchezza che incida sulla dimostrazione dell'esistenza di un reddito tassabile. La lettera dell'art. 38 non esclude il ricorso a indici diversi da quelli contemplati nel provvedimento ministeriale, e tale possibilità è espressamente contemplata negli stessi provvedimenti [6]. Né è esclusa la valutazione di tutte le circostanze che, sole o combinate, possono incidere sulla plausibilità del risultato finale: in primo luogo, per ciò che concerne il quantum di ricchezza, in secondo luogo quanto a provenienza da reddito imponibile. Sul primo di questi aspetti incide, ad esempio, la contemporanea presenza di più fatti indice e le caratteristiche del contribuente: ad esempio la struttura del nucleo familiare cui esso appartenga, fino ad arrivare alle singole propensioni, abitudini e interessi dello stesso. Sul secondo, possono interferire una diversa provenienza della somma a disposizione: reddito sì, ma già tassato (ritenute alla fonte a titolo di imposta, relativo a periodi precedenti), reddito esente, successioni e donazioni, smobilizzo di capitali, mutui, tutto ciò che in sostanza non rientri nella nozione di "reddito tassabile" in quel periodo. Indici e coefficienti devono allora essere intesi in modo comunque "elastico", come indicazione agli Uffici dei criteri cui attenersi, da adattare alle circostanze del caso concreto. Sia per tener conto di altri indici, sia per l'adeguamento alle peculiarità della fattispecie. Posta questa premessa, la soluzione del quesito sulla natura del redditometro risulta semplificata: il carattere multiforme della realtà su cui il redditometro va ad incidere e le correlate necessità di "adattamento" si armonizzano assai meglio con una configurazione come "catalogo" precostituito di presunzioni semplici, da inserire nel contesto di un accertamento caso per caso. Questa è la soluzione preferibile. Deve però riconoscersi che, sul piano della legittimità costituzionale, sarebbe accettabile anche la soluzione opposta, fatta propria dalla sentenza in rassegna: presunzione legale prevista dalla fonte legislativa e integrata per gli aspetti di dettaglio dalla fonte subordinata del D.M. E' accettabile tale configurazione, a condizione che: a) gli uffici ne facciano un uso illuminato e dinamico, adeguando di loro iniziativa l'accertamento alla realtà concreta e valorizzando, anche per via di presunzione semplice, ogni circostanza diversa; b) sia consentita la libera prova contraria al contribuente. Ciò conduce all'ultimo profilo problematico dell'accertamento mediante redditometro: la ampiezza della facoltà di prova contraria. La dizione letterale dell'art. 38 menziona, come unici temi di prova contraria, il fatto che la ricchezza cui corrisponde l'indice sia costituita da redditi esenti o redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Sembrerebbe allora escluso di poter provare: a) che la ricchezza presunta sussista o sussista in misura differente; b) che la ricchezza, pur sussistendo nell'ammontare presunto, non costituisse reddito (frutto di smobilizzi patrimoniali, provento di successioni, ecc.). La lettera di queste disposizioni è in contrasto con gli artt. 24 e 53 Cost. Non è un caso che già nei decreti ministeriali (art. 4, comma 2) si è aggiunta, all'ipotesi del reddito esente e a quella del reddito assoggettato a ritenuta d'imposta, quella degli "smobilizzi patrimoniali". La 39 giurisprudenza e la dottrina si spingono oltre, ammettendo la libera prova, da parte del contribuente della "inesistenza del reddito o della esistenza di un reddito minore" [7]. Gli studi di settore La rilevanza giuridica di tali studi è disciplinata in modo ellittico. Il comma 3 dell'art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993 e l'art. 10 della legge n. 146/1998 stabiliscono che la rettifica del reddito (o dell'imponibile IVA) può effettuarsi se sussistono gravi incongruenze tra ricavi, compensi o corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili (dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell'attività, ovvero) dagli studi di settore. Si ripropone l'alternativa tra presunzione legale o catalogo di presunzioni semplici. Come nel caso del redditometro, non esiste una argomento letterale decisivo. Alcuni dati paiono però significativi. Innanzitutto, il comma 3 dell'art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993 stabilisce che tali studi sono un fondamento per l'accertamento in base al primo comma, lett. d), dell'art. 39 del D.P.R. n. 600/1973. Nessun dubbio che, nell'accertamento richiamato, non si ritrovino presunzioni legali, ma, semmai, presunzioni semplici. In secondo luogo, lo stesso testo dell'art. 62-sexies affianca gli studi a una fonte alternativa dell'accertamento (caratteristiche e condizioni di esercizio dell'attività) assolutamente generica e corrispondente a presunzioni semplici. Per quanto nessuno dei due dati sia decisivo, entrambi si armonizzano meglio con la configurazione degli studi come fonte di presunzioni semplici. Tale configurazione è, inoltre, quella più congrua alla struttura dei dati utilizzati negli studi. Essi sono solo alcuni di quelli che possono coadiuvare la "fotografia" delle attività economiche. Anzi, nel regime che fino ad oggi si è attuato, fa propendere nella stessa direzione un ulteriore elemento. Allo stato, gli studi di settore sono stati elaborati sulla base delle risposte dei contribuenti. E' fermo l'insegnamento della Corte costituzionale secondo il quale, in tema di presunzioni legali, il fondamento probabilistico della presunzione andrebbe agganciato a presupposti di tipo "concreto e obiettivo" [8]. E' dubbio che tale possa dirsi quello, eminentemente soggettivo, invece, del contenuto delle "risposte" dei contribuenti. E la possibile obiezione che, viste le naturali "ritrosie" dei contribuenti, tali dati potrebbero comunque ragionevolmente rappresentare la misurazione di un "minimo attendibile" per la capacità contributiva non coglierebbe nel segno. Il valore di ragionevolezza e concludenza degli strumenti di accertamento non vale solo a garanzia del contribuente ma anche, simmetricamente, come garanzia dell'interesse pubblico contro l'inadempimento del dovere di solidarietà. Detto in altri termini, la configurazione come presunzione legale degli studi di settore, così come fraseggiati in questa fase dichiaratamente transitoria, potrebbe violare gli art. 3 e 53 Cost., quanto meno dal lato dell'interesse pubblico. Questo argomento è particolarmente suggestivo, poi, se si intende tale presunzione legale come ostativa all'accertamento, sulla base degli stessi elementi indiziari, un "maggiore" importo imponibile [9]. Se tutti gli argomenti fin qui esaminati o fanno propendere per la natura di presunzione semplice o sono neutri, resta da dare conto di qualche elemento di apparente segno contrario. Si allude ad alcuni accenni alla "prova contraria" alle risultanze degli studi di settore. In effetti, l'onere di prova contraria si sposa, tipicamente, con presunzioni legali relative. Il comma 4 dell'art. 10 della legge n. 146/1998 prevede che gli accertamenti con studi di settore non si applicano a chi (inizia o cessa l'attività nel periodo di imposta, ovvero) non si trova in un normale periodo di svolgimento della attività. L'argomentazione è chiara: se sono previste limitazioni alla prova contraria allo studio, si tratta di presunzione legale. Neanche la disposizione appena citata però prova nulla nel senso della 40 presunzione legale. Essa, infatti, prevede una esclusione dalla applicazione degli studi di settore e non una confutazione del risultato dei medesimi [10]. La conclusione dell'insussistenza di limiti alla prova evita i dubbi sulla legittimità costituzionale del sistema normativo, appare in linea con la lettera e la ratio delle disposizioni e, last but not least, è stata riconosciuta dalla interpretazione ministeriale [11]. Ad avviso di chi scrive, insomma, gli studi di settore sono un catalogo di presunzioni semplici, da armonizzare con tutti gli altri elementi a disposizione per la ricostruzione della situazione economica del contribuente [12]. Tale configurazione appare preferibile sul piano della coerenza sistematica e del dato letterale. Rispetto ai parametri costituzionali, la soluzione opposta (presunzioni legali) risulta comunque accettabile, a condizione che gli studi siano effettivamente redatti e aggiornati in modo da corrispondere a canoni di probabilità, sia riconosciuta la libera prova contraria e gli Uffici valorizzino, anche attraverso presunzioni semplici opposte agli studi, gli elementi offerti dal contribuente [13]. A queste condizioni, in effetti, la differenza tra la configurazione degli studi (così come i coefficienti o il redditometro) come presunzione semplice o legale si fa sottile. Essa però esiste. Nel caso di presunzione semplice, innanzitutto, l'ufficio deve, volta per volta, convincersi e convincere (ergo elaborare e motivare) della plausibilità del risultato dello studio. Detto in altri termini, il vizio dell'accertamento determinato da una motivazione stereotipa è più probabile nel caso delle presunzioni semplici [14]. In secondo luogo, permanendo sull'Ufficio l'onere della prova, potrebbe contestarsi che questo non ha adattato lo studio alla realtà del singolo contribuente (vuoi perché non ha valorizzato i dati raccolti, o offerti dal contribuente [15], vuoi per non averli, a monte, acquisiti secondo i canoni di una ulteriore ragionevole istruttoria standard). In terzo luogo, spostandosi alla sede giudiziale, ben diversa è la portata di una presunzione legale (che vincola il giudice, senza aver alcuno spazio il suo libero convincimento) [16] rispetto a quella della presunzione semplice. Se di questa ultima si tratta, il Collegio giudicante deve convincersi volta per volta della plausibilità della inferenza. Ciò può avere un effetto, in fatto, sull'esercizio della facoltà di disporre la prova in base all'art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992. Tale integrazione ha verosimilmente uno spazio maggiore quando si tratta di integrare una prova presuntiva debole, piuttosto che non la ricerca di una prova contraria a una presunzione di legge vincolante. Si noti, inoltre, che la distinzione è più netta a livello giudiziale, anche per il fatto che l'organo giudicante non si trova, rispetto alla fonte dello studio, nella posizione di subordinazione in cui si trova l'Ufficio. E' probabile che gli Uffici abbiano rispetto ad essi un atteggiamento più "passivo" che non l'organo giudicante. Ciò enfatizza la differenza rispetto alla configurazione come presunzioni semplici, ove il giudice sarà vincolato solo dalla plausibilità logica dello studio (e non anche, di fatto, ancorché ciò non sia né previsto né doveroso, dalla subordinazione gerarchica). Per completare l'analisi residua il problema del contraddittorio. La disciplina degli studi non prevede l'obbligo di previo contraddittorio con il contribuente. Il previo contraddittorio è invece imposto dalla normativa in materia di accertamento con adesione. Le indicazioni delle circolari [17] sono univoche nello stabilire che il contraddittorio è "doveroso". In definitiva deve ritenersi che la richiesta di chiarimenti sia il mezzo di attuazione del dovere di adeguamento dell'imposizione al caso concreto [18]. Sorge allora un quesito: la relativa omissione determina la illegittimità dell'accertamento? Oppure è sufficiente che il contraddittorio si attui, successivamente, in sede giudiziale? La seconda soluzione non è condivisibile. Essa trascura che lo spostamento in avanti del contraddittorio (meglio, dell'offerta di contraddittorio), non è affatto indifferente. La sua attuazione costituisce infatti uno strumento: a) di acquisizione da parte dell'Ufficio di dati fondamentali per la corretta fotografia della materia imponibile; b) di articolazione delle proprie difese da parte del contribuente. Questa soluzione è, insomma, contraria sia al principio di "imparzialità" [19] sia a 41 quello di "buon andamento" [20] della Pubblica amministrazione. Inoltre, non è indifferente, per il contribuente e il suo diritto di difesa, contraddire "prima" dell'avviso o, successivamente, pendenti i termini dell'impugnazione, pur sospesi. Note: 1 In effetti, se si tratta di presunzione legale, le preoccupazioni circa il rispetto della riserva di legge potrebbero essere più fondate. La Corte ritiene che si tratti di presunzione legale e che la riserva sia rispettata. 2 Perrone, "L'accertamento sintetico del reddito complessivo IRPEF", in Dir. prat. trib., 1990, I, pag. 27 ss. 3 "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell'applicazione del cosiddetto "redditometro" dispensa l'Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere". Così Cass., Sez. V, 19 aprile 2001, n. 5794, in BANCA DATI Big, IPSOA. 4 Così, ad esempio, nel decreto del 1992 ci si può soffermare sugli artt. 1, 3, 4. L'art. 1 stabilisce al comma 1 che la disponibilità dei fatti-indice "è valutata (...) secondo le modalità stabilite nel presente decreto", per l'art. 3, comma 1, tale disponibilità "è indicativa, per il periodo di imposta, di un valore che si ottiene in base ai criteri indicati nei successivi commi"; per l'art. 4, comma 1: "Il valore di cui all'articolo 3 costituisce reddito complessivo netto attribuibile al contribuente". Se tutto si esaurisse qui, l'esistenza di vincoli netti per l'Amministrazione sarebbe plausibile. A questi elementi se ne aggiungono tuttavia altri di possibile segno opposto: l'articolo 1, comma 2, prevede che "resta fermo l'obbligo dell'ufficio di utilizzare per la determinazione sintetica del reddito complessivo netto anche gli elementi e le circostanze di fatto diversi da quelli menzionati nel comma precedente"; l'art. 4, comma 1, seconda parte, prevede, inoltre, che, "tuttavia, l'ufficio può non procedere all'accertamento qualora tale reddito sia stato determinato sulla base di uno soltanto degli indicatori considerati dal presente decreto e risulti palesemente incongruente per eccesso con quello determinabile sulla base di altri elementi in suo possesso o successivamente acquisiti". Nessuno di questi precetti è decisivo per risolvere il problema, né in un senso, né nell'altro. 5 Tesauro, "L'accertamento sintetico del reddito e il redditometro", in Boll. trib., 1986, pag. 955 osserva che "l'evasore tipo (quello cioè su cui il redditometro può essere efficace) è uno strano personaggio: particolarmente dinamico, sportivo, amante del mare e della caccia, un po' spericolato, molto moderno ... Insomma mi pare che non ci voglia molto per dimostrare (...) che con questi indici non si individua in modo efficace l'evasione". 6 D.M. 10 settembre 1992, art. 1, comma 2. In giurisprudenza, si è ritenuto indice valorizzabile in tal senso l'ottenimento di credito dal sistema bancario: Cass., 30 marzo 2001, n. 4757, in BANCA DATI Big, IPSOA. Note: 42 7 Cass., 19 aprile 2001, n. 5794; Id., 15 dicembre 1995, n. 12843; Id., 5 novembre 1996, n. 33; Id., 29 agosto 2000, n. 11300; tutte in BANCA DATI Big, IPSOA. 8 Le presunzioni "per poter essere considerate in armonia con il principio della capacità contributiva sancita dall'articolo 53 Cost. debbono essere confortate da elementi concretamente positivi che le giustifichino razionalmente". Così, Corte cost., 28 luglio 1976, n. 200 e 23 luglio 1987, n. 283. E, ancora, che "esse debbono fondarsi su indici concretamente rivelatori di ricchezza ovvero su fatti reali, quand'anche difficilmente accertabili affinché l'imposizione non abbia una base fittizia" (Corte cost. 26 marzo 1980, n. 42). Note: 9 Sulla base del ragionamento che quegli indizi sono già valutati dalla legge e non è pertanto consentito agli Uffici desumerne importi diversi. 10 Sul piano letterale, la disposizione non dice "salvo che il contribuente dimostri", bensì "gli studi non si applicano". 11 In particolare, C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E Id., 5 luglio 1999, n. 148/E entrambe in BANCA DATI Big, IPSOA. La seconda, in particolare, precisa che le ipotesi di esercizio non normale indicate nella prima, sono meramente esemplificative. Giova sottolineare, tuttavia, che l'Amministrazione, pur riconosciuta l'ampiezza della prova contraria, opina per la sussistenza di una presunzione legale, con inversione dell'onere della prova a carico del contribuente. Secondo la Guida interattiva 2003 agli studi (in http://www.agenziaentrate.it/settore/guida2003/index.htm), "l'aggravamento, per il contribuente, è che si inverte l'onere della prova in quanto sarà lui a dover dimostrare perché i suoi ricavi o compensi sono inferiori a quelli determinati con procedure i cui risultati, dopo numerose prove ed attenta valutazione, sono stati riconosciuti attendibili e rappresentativi dalla Commissione di esperti" (punto 17). 12 In questa impostazione, gli studi italiani presenterebbero una certa analogia con gli strumenti delle monographies francesi, su cui si veda Lupi, "Dalla leggenda alla realtà: ecco gli studi di settore francesi", in Rass. trib., 1994, pag. 109. Per un'altra opinione si veda Russo, "La tutela del contribuente nel processo sui redditi virtuali o presunti: problemi generali", (Relazione al convegno di studi organizzato dall'Università di Salerno sul tema: "Il nuovo accertamento tributario fra teoria e processo", Salerno, 20-21 maggio 1994), in Riv. dir. trib., 1995, I, pag. 17. Per la natura di presunzioni semplici è anche Fazzini, "L'accertamento per presunzioni: dai coefficienti agli studi di settore", in Rass. trib., 1996, pag. 309. 13 La Guida interattiva citata a nota 11 (punto 17) afferma che "gli uffici finanziari dovranno comunque adeguare il risultato degli studi alla concreta e particolare situazione dell'impresa o dell'attività professionale, anche a prescindere da eventuali osservazioni formulate dal contribuente. In ogni caso, le osservazioni formulate dai contribuenti nel corso del contraddittorio andranno attentamente valutate e l'ufficio dovrà motivare sia l'accoglimento che il rigetto delle stesse". 14 Ancorché, entro certi limiti, il riferimento allo studio possa ammettersi anche per relationem e la ripetizione uniforme, magari dopo il superamento del primo vaglio giurisprudenziale, possa finire per determinare, di fatto, l'accettazione di uno standard motivazionale "pigro". 43 15 Ad esempio, Comm. trib. prov. di Avellino, 20 novembre 2003, n. 93, in questa Rivista, n. 8/2004, pag. 783, con commento di Benazzi, "Percentuali di ricarico e studi di settore: brevi riflessioni sulla loro convivenza ed efficacia probatoria". 16 Per superare la presunzione legale sarebbe, infatti, necessaria una prova contraria. Il fatto che essa possa derivare da una presunzione semplice e che questa possa essere determinata d'ufficio riduce, in fatto, la rigidità del vincolo. Ma non lo annulla: il giudice tributario "deve" applicare la presunzione legale e dimostrarne il superamento, dandone atto in motivazione. Note: 17 La citata Guida agli Studi di settore, punti 16 e 17 ribadisce la necessità del previo contraddittorio. 18 Dovere che esiste, sia che si assuma la natura di presunzione semplice standardizzata dello studio, sia, quella di presunzione legale. Dovere ribadito dalle stesse circolari che opinano per la natura di presunzione legale. 19 Che impone che la P.A., prima di provvedere, accerti diligentemente la situazione di fatto su cui interviene, sia pure con strumenti ragionevoli e non defatigatori. 20 Che in questo settore impone, nel ragionevole utilizzo delle risorse, che si eviti l'emissione di accertamenti "al buio", suscettibili di ragionevole modifica o ritiro alla luce degli elementi offerti dal contribuente. INQUADRAMENTO GIURIDICO DELL'ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE ( fonte Seac SpA ) La rettifica da parte dell'Ufficio del reddito d'impresa e di lavoro autonomo utilizzando gli studi di settore è fondata sull'ipotesi che il risultato fornito dallo studio costituisce una valida presunzione che soddisfa i requisiti di legge in materia di accertamento. Come noto, l'art. 39, comma 1, letto d), secondo periodo, DPR n. 600/73, prevede che: "l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti." Tale disposizione si riferisce agli accertamenti c.d. analitici, nell'ambito dei quali non è necessario che l'Ufficio prescinda dalle scritture contabili, ma è sufficiente che rettifichi i singoli componenti reddituali. Va tuttavia considerato che la maggior parte degli accertamenti fondati sulla norma sopra richiamata provvedono a rettificare soltanto i ricavi e i compensi mediante l'utilizzo di presunzioni (indici di ricarico, personale impiegato nell'attività e altre modalità che sono esplicitate ad esempio nelle c.d. metodologie di controllo predisposte dall'Amministrazione finanziaria), per cui si parla più propriamente di accertamento analitico-presuntivo. Tra i diversi strumenti a disposizione dell'Ufficio per la ricostruzione indiretta dei ricavi/compensi del contribuente vi sono anche gli studi di settore, secondo quanto previsto dall'art. 62-sexies, comma 3, DL n. 331/93 che così dispone: 44 "Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), DPR n. 600/73 ...possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati... e quelli fondatamente desumibili... dagli studi di settore...". La fondatezza dell'accertamento da studi di settore, come per tutti gli atti di accertamento, va analizzata sotto il duplice profilo: * della motivazione, ossia del percorso logico seguito dall’Ufficio per giungere alla ricostruzione dei ricavi conseguiti dal contribuente; * della prova, ossia dei fatti sulla base dei quali si presume un certo ammontare di ricavi. Nel caso degli accertamenti da studi, la motivazione è costituita dai Decreti di approvazione degli studi di settore, dall'indicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli stessi e infine dal fatto che lo scostamento tra ricavo dichiarato e ricavo da studi costituisce "grave incongruenza" ai sensi del citato art. 62-sexies. La prova si distingue tra la prova della veridicità degli elementi indicati nello studio e la prova del ricavo attribuibile al contribuente sulla base del calcolo di GERICO. Il duplice aspetto della motivazione e della prova spesso tendono a confondersi ed anche con riferimento agli studi il procedimento matematico-statistico codificato nello studio di settore costituisce contemporaneamente la motivazione e la prova. La veridicità degli elementi indicati su cui si fonda il calcolo e che sono comunicati dal contribuente negli appositi modelli degli studi non costituisce di solito un aspetto problematico in quanto il contribuente, anche in fase di contraddittorio, ha ampia facoltà di rettificare i dati posti alla base del calcolo. Un aspetto critico che attiene invece all'adeguata motivazione dell'avviso di accertamento è la circostanza che sussistano le gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore. Sull'interpretazione di tale requisito sono state avanzate due teorie diverse: * la prima, sposata dall'Agenzia delle Entrate, ritiene assolto il requisito di grave incongruenza al verificarsi di qualsiasi scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi da studio di settore; * l'altra, elaborata dalla dottrina e accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano nella Sentenza 13.4.2005, ritiene che tale requisito non sia automaticamente verificato e debba essere sottoposto ad una valutazione caso per caso. LA POSIZIONE DELL' AGENZIA DELLE ENTRATE L'Agenzia delle Entrate ha espresso la propria posizione sull'inquadramento giuridico degli studi di settore nell'ambito della Circolare 27.6.2002, n. 58/E. Secondo l'Agenzia la motivazione degli atti da accertamento da studi di settore si fonda sulla metodologia utilizzata per l'elaborazione degli studi e sulle regole che disciplinano l'utilizzo degli stessi contenute nell'art. 10, Legge n. 146/98. Ciascuno studio di settore presuppone infatti: .una sofisticata fase di analisi per la costruzione dello stesso, codificata nelle note tecniche e metodologiche; .il coinvolgimento delle associazioni di categoria e l'approvazione da parte della Commissione di esperti; la previsione di condizioni di applicabilità, graduate in relazione agli obblighi contabili dei contribuenti; 45 .l'identificazione di cause di inapplicabilità e di esclusione nelle ipotesi in cui vi siano perplessità sull'idoneità dello stesso a rappresentare la realtà economica analizzata. La disciplina citata è finalizzata a garantire la sussistenza delle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore richieste dall'art. 62-sexies, DL n. 331/93. In particolare l'Agenzia afferma che "i gravi scostamenti non si possono considerare esistenti solo in presenza di elevate differenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinati in base agli studi di settore" e che "l'importo determinato in base agli studi di settore ha il valore di presunzione relativa e in presenza delle condizioni richieste dall'art. 10 della legge 146 del 1998 può essere senz'altro posto a base di eventuali avvisi di accertamento senza che gli uffici siano tenuti a fornire altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della loro pretesa". In sostanza secondo l’Agenzia delle Entrate l’incongruenza tra ricavi dichiarati e quelli da studio è da ritenere grave in presenza di uno scostamento anche minimo. L’Agenzia delle Entrate ritiene, infine, la propria impostazione coerente con la Sentenza della Corte di Cassazione 27.2.2002, n. 2891, che ha affermato la possibilità di utilizzare strumenti presuntivi, legittimati dalla prassi e valutati in sede preventiva a livello generale, come ad esempio gli studi di settore. Per effetto dell'utilizzo di tali presunzioni relative (che ammettono la prova contraria) si verifica un'inversione dell'onere della prova che è però da ritenere legittima in un sistema che consente l'utilizzo di presunzioni. Quindi secondo l’ Agenzia : La non congruità dei ricavi dichiarati costituisce grave incongruenza ex art. 62- sexies DL N. 331/93 e legittima l’accertamento analitico presuntivo. LA SENTENZA DELLA CTP DI MILANO Con Sentenza del 13.4.2005, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha interpretato in maniera diametralmente opposta il requisito delle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli calcolati da GERICO. La pronuncia aveva per oggetto un avviso di accertamento il quale ha rettificato per l'anno 1998 il reddito di un imprenditore in contabilità semplificata esercente l'attività di riparazione di autoveicoli. Nella motivazione dell'avviso di accertamento l'Ufficio ha richiamato esclusivamente la circostanza che i ricavi dichiarati erano inferiori a quelli risultanti dagli studi. Successivamente i maggiori ricavi indicati nell'avviso di accertamento erano stati ridotti in sede di contraddittorio con l'Ufficio a seguito agli elementi addotti dal contribuente (grave patologia personale che non avrebbe consentito di svolgere normalmente l'attività lavorativa). La Commissione Tributaria, annullando per carenza di motivazione l'avviso di accertamento, ha affermato che: o l’art. 62-sexies, D.L. n. 331/93 richiede l'esistenza di gravi incongruenze e non soltanto che l'ammontare dei ricavi da studi risulti superiore a quello dichiarato; o nell'avviso di accertamento non è sufficiente l'indicazione dei maggiori ricavi derivanti dagli studi ma deve essere affermata e motivata l'esistenza delle "gravi incongruenze"; 46 o per la sussistenza di gravi incongruenze l'importo dei ricavi non dichiarati rispetto a quelli determinati presuntivamente non dovrebbe essere inferiore al 25-30%. In sintesi i giudici tributari hanno affermato che il mancato raggiungimento della congruità da parte del contribuente non integra il requisito delle "gravi incongruenze" richiesto dalla norma e che l'avviso di accertamento emesso dall'Ufficio non è pertanto sufficientemente motivato. L'interpretazione accolta dalla Commissione di Milano era già stata formulata da una parte della dottrina secondo la quale non è sufficiente la dichiarazione di ricavi inferiori a quelli da studi perché sia integrato il requisito delle "gravi incongruenze" ma la verifica della sussistenza dello stesso va sottoposta alla valutazione del giudice caso per caso. Quindi : La non congruità dei ricavi dichiarati non costituisce grave incongruenza ex art.62 sexies,DL 331/93 e l’accertamento analitico presuntivo non è sufficientemente motivato. In conclusione, pur segnando un punto a favore dei contribuenti, va evidenziato che nella Sentenza della CTP di Milano in esame appare dubbia l'individuazione di una precisa soglia al di sopra della quale sarebbe soddisfatto il requisito delle "gravi incongruenze" .. Riteniamo utile chiudere questo Capitolo riportando l’orientamento più recente della Suprema Corte LA MASSIMA L'applicazione delle percentuali di ricarico non deve essere compiuta in base ad una astratta redditività, senza tener conto della documentazione esistente relativa a costi e ricavi, e senza tener conto che il ricorrente, nel caso deciso, nei periodi di imposta accertati era già in liquidazione, per cui la redditività specifica va ulteriormente provata dall'Ufficio accertatore, non essendo in proposito sufficienti le ipotesi formulate dagli studi di settore, i quali hanno valenza di prova presuntiva, suscettibile di prova contraria, nell'ambito di un accertamento induttivo, collegata tuttavia a criteri di ragionevolezza in relazione al caso concreto. ( Cassazione, Sezione tributaria, Sentenza 14 ottobre 2005 (27 giugno 2005), n. 19955 –) LA MASSIMA Ai fini dell'accertamento di un maggior reddito d'impresa non basta il solo rilievo dell'applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante dagli studi di settore. Questo metodo di verifica, tuttavia, è valido quando dalla dichiarazione risulti qualche elemento ulteriore che incide sull' attendibilità complessiva della dichiarazione stessa. Ne consegue che non è legittima. la presunzione di ricavi maggiori di quelli denunciati, fondati sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato su alcuni articoli anziché sull'intero inventario delle merci. Né può considerarsi valido il ricorso al sistema della media semplice, anziché di quella ponderale, quando tra i vari tipi di merce esiste una notevole differenza di valore. il metodo induttivo, in sostanza, è valido quando. ricorrono circostanze gravi, precise e concordanti e le percentuali di ricarico ipotizzate sono frutto di un adeguato ragionamento. ( Cass. N. 26388 del 05/12/2005 ) 47 ACCERTAMENTO REGOLE DELL'ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE FINO AL 2003 Fino al 2003 l'accertamento da studi di settore era fondato sulle seguenti regole: SOGGETTO ACCERTAMENTO STUDI DI SETTORE Î Per ciascun periodo d’imposta in cui risultano non congrue Imprese in contabilità ordinaria per opzione Î Se per due anni, anche non consecutivi, su tre risultano non congrue Per ciascun periodo d’imposta se viene riscontrata l’inattendibilità della contabilità Imprese in contabilità ordinaria per obbligo Î Per ciascun periodo d’imposta solo se viene riscontrata l’inattendibilità della contabilità Î Se per due anni, anche non consecutivi, su tre risultano non congrui Per ciascun periodo d’imposta, se in contabilità ordinaria e viene riscontrata l’inattendibilità della contabilità Imprese in contabilità semplificata Lavoratori autonomi Si rammenta che in aggiunta alle citate regole, non sono soggetti all’accertamento da studi di settore i contribuenti nei confronti dei quali l’applicazione degli stessi è sperimentale, ossia: ♦ ♦ i lavoratori autonomi; ♦ ♦ le imprese che applicano GERICO Annotazione Separata. ( fonte : SEAC SPA ) REGOLE DELL'ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE DAL 2004 SOGGETTO ACCERTAMENTO STUDI DI SETTORE Imprese in contabilità semplificata Art. 10, comma Per ciascun periodo d’imposta in 1, Legge n. cui risultano non congrue 146/98 Î 48 Imprese in contabilità ordinaria (per obbligo o per opzione) Lavoratori autonomi Î Se per due anni, anche non consecutivi, su tre risultano non congrue Per ciascun periodo d’imposta: Art. 10, commi • se viene riscontrata 2 e 3, Legge n. l’inattendibilità della contabilità 146/98 • se vi sono significative incoerenze negli specifici indici previsti da un apposito Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate Î Se per due anni, anche non consecutivi, su tre risultano non congrui Art. 10, commi Per ciascun periodo d’imposta, se 2 e 3, Legge n. in contabilità ordinaria e viene 146/98 riscontrata l’inattendibilità della contabilità ULTERIORE ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO A seguito delle modifiche introdotte dalla Finanziaria 2005 all’art. 70, Legge n. 342/2000, sono aumentate le possibilità per l’Ufficio di effettuare ulteriori accertamenti con riferimento alle annualità che sono state oggetto di accertamento da studi di settore. Infatti, ora, è previsto che l’Ufficio può: • effettuare ulteriori accertamenti anche sulla medesima categoria reddituale (reddito d’impresa o di lavoro autonomo) già oggetto di rettifica. In precedenza l’accertamento poteva essere effettuato solo sulle altre categorie reddituali; • emettere un ulteriore avviso di accertamento, relativamente all’annualità definita con la procedura dell’accertamento con adesione, anche in assenza di sopravvenuti elementi e senza considerare la soglia minima di accertabilità prevista dal D.Lgs. n. 218/97 (maggior reddito da accertare superiore al 50% di quello definito e comunque non inferiore a € 77.468,53). ( fonte : SEAC SPA ) Val la pena di evidenziare che i contribuenti ordinari per obbligo sono interessati all’accertamento da studi dal 2004 ma devono verificare l’eventuale congruità del 2002 e 2003 come riassuntivamente di seguito esposto : Accertament o 2004 2002 2003 2004 NON CONGRUO CONGRUO NON CONGRUO Î SI CONGRUO NON CONGRUO CONGRUO Î NO 49 CONGRUO NON CONGRUO NON CONGRUO Î SI CONGRUO CONGRUO NON CONGRUO Î NO NON CONGRUO NON CONGRUO NON CONGRUO Î SI CONGRUO CONGRUO CONGRUO Î NO ( fonte : SEAC SPA ) Indici di natura economica, finanziaria e patrimoniale : La novella introdotta dalla Finanziaria 2005 prevede che indipendentemente dalle circostanze sopra evidenziate vi sia un’ulteriore possibilità di accertamento quando “ emergano significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale individuati con apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate.” Al riguardo Vi invitiamo a leggere la Circolare n. 32/E del 21.6.2005, punti 5.1 e 5.2 .- 50 ACCERTAMENTO CON ADESIONE L’art. 10 della legge 146/98 prescrive : “ 1] Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all' articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 , convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d'imposta pari a dodici mesi e con le modalità di cui al presente articolo. [2] Nei confronti degli esercenti attività d'impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, e degli esercenti arti e professioni, la disposizione del comma 1 trova applicazione quando in almeno due periodi d'imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l'ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all'ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi di imposta. La disposizione del comma 1 trova applicazione in ogni caso nei confronti degli esercenti attività d'impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, quando emergono significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale, individuati con apposito provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, sentito il parere della commissione di esperti di cui al comma 7 (comma così sostituito [1] dall'art. 1, comma 409, lettera a), Legge 30 dicembre 2004, n. 311) . [3] Indipendentemente da quanto previsto al comma 2, nei confronti dei contribuenti in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, l'ufficio procede ai sensi del comma 1 quando dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell' articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , e successive modificazioni, risulta motivata l'inattendibilità della contabilità ordinaria in presenza di gravi contraddizioni o l'irregolarità delle scritture obbligatorie ovvero tra esse e i dati e gli elementi direttamente rilevati in base ai criteri stabiliti con il decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1996, n. 570 . [3-bis] Nelle ipotesi di cui ai commi 2 e 3 l'ufficio, prima della notifica dell'avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell' articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (comma aggiunto dall'art. 1, comma 409, lettera b), Legge 30 dicembre 2004, n. 311) “ . Dunque l’accertamento con adesione diviene obbligatorio ed in ordine alla procedura specifica si rinvia alla lettura della Circolare N. n. 32/E dell’Agenzia delle Entrate ed alle “ Brevi note in materia di Accertamento con Adesione “ edito dal Collegio dei Ragionieri di Brescia a cura di Eugenio Vitello. 51 Qui sia sufficiente ricordare che, come ben evidenziato nella Circolare SEAC Spa n. 170 del 19.07.2005 la Finanziaria 2005 modificando sia il comma 1, sia il comma 2 dell’art. 70, Legge n. 342/2000 ha ampliato notevolmente a favore dell’Amministrazione le possibilità di “ritornare” sul reddito accertato sulla base degli studi, compresa l’ipotesi in cui il maggior reddito sia stato definito con la procedura di accertamento con adesione. In primo luogo, a seguito della modifica del comma 1, l’accertamento da studi non pregiudica l’ulteriore azione accertatrice con riferimento alla stessa categoria di reddito accertata sulla base dello studio di settore. La modifica del comma 2 consente all’Ufficio di rettificare nuovamente il reddito oggetto di adesione indipendentemente dalla conoscenza di nuovi elementi e dai limiti previsti dal D. Lgs. n. 218/97 in termini di maggior reddito accertato. In pratica, secondo le nuove regole, a seguito di un accertamento da studi di settore successivamente perfezionato con la procedura dell’adesione, l’Ufficio potrà emettere un nuovo avviso di accertamento; 1. con riferimento allo stesso periodo d’imposta; 2. rettificando la medesima oppure altre categorie reddituali; 3. indipendentemente dal fatto che i nuovi elementi su cui si basa la nuova rettifica siano venuti a conoscenza dell’Ufficio o fossero dallo stesso conoscibili prima della notifica dell’accertamento o della chiusura del procedimento di adesione; 4. indipendentemente dall’ammontare del maggior reddito accertato. Secondo quanto precisato dalla Circolare n. 32/E, anche in tal caso le predette novità si applicano agli accertamenti effettuati a decorrere dall’1.1.2005, ancorché riferiti ad annualità precedenti. Si rammenta infine che analoghe modifiche hanno riguardato anche l’ulteriore attività accertatrice a seguito dell’accertamento effettuato con i parametri. In ordine al contraddittorio riportiamo il parere del dr. Sorgato : IL CONTRADITTORIO L'invio degli inviti al contraddittorio per i soggetti sottoposti agli studi di settore pone al contribuente un problema di scelte. 52 A fronte della lettera del Fisco il soggetto si trova davanti a due strade: la prima opzione può essere quella di ignorare quanto richiesto e attendere l'avviso di accertamento; la seconda, invece, può essere quella di fornire all'ufficio elementi per dimostrare i motivi per i quali non è possibile fare un accertamento da studio di settore nei propri confronti. Le principali ragioni che il contribuente può utilizzare nel contraddittorio : 1. Errori materiali compiuti nel trasferimento di dati all'Agenzia 2. Errori materiali del contribuente nella redazione della dichiarazione 3. Sussistenza di una causa di esclusione o di non applicabilità degli studi 4. Caratteristiche dell'attività diverse da quelle del Cluster al quale è stata associata l'impresa 5. Incapacità dello studio di cogliere la localizzazione dell'impresa nel Comune 6. Incapacità dello studio di cogliere la realtà in cui opera l'impresa 7. Esistenza di ragioni economiche (per esempio crisi di settore) che giustificano lo scostamento .- ./. ./. ./. A questo punto ci avviciniamo alla chiusura del percorso proposto giacché in casi di esito negativo della procedura dell’accertamento con adesione, non resta che l’acquiescenza all’accertamento o il ricorso al contenzioso. Dobbiamo, quindi, chiederci come difendersi e quale strategia adottare. Al riguardo torna utile riproporre una memoria stesa dal dr. P. Meneghetti , spesso relatore nei Convegni in terra bresciana, nonché proporre una bozza di ricorso da presentare alla C.T.P. competente con l’ovvia considerazione che essa rappresenta una traccia propedeutica al successivo lavoro dei Colleghi. 53 Le possibili strategie difensive in materia di accertamenti da parametri e studi di settore La manovra della Finanziaria 2005, L.311/04, in materia di ampliamento dell’ambito di efficacia degli accertamenti da studi di settore rende sempre piu’ interessante valutare che strategie difensivi sono proponibili dal contribuente che si veda assoggettato all’accertamento analitico induttivo. In questo contesto, in cui si registra una sorta di accerchiamento del contribuente tramite l’intensificazione dello strumento dell’accertamento parziale, ma soprattutto tramite l’estensione della platea dei contribuente accertabili con gli studi di settore , e’ evidente che una strategia difensiva dovra’ articolarsi su piu’ argomentazioni tenendo conto delle recenti pronunce della giurisprudenza della suprema corte che hanno sostanzialmente avallato l’utilizzo dell’accertamento con studi o parametri. Alla luce di queste premesse un’ ipotetico ricorso avverso l’accertamento con studi o parametri potrebbe muovere da tre diverse argomentazioni che di seguito vengono approfondite. L’accertamento parametrico e il DPCM 29.01.96 Una prima questione riguarda esclusivamente gli accertamenti da parametri e puo’ essere azionata come una sorta di pregiudiziale alle ulteriori motivazioni che vedremo successivamente. La questione oggetto di possibile contestazione e’ l’utilizzo del provvedimento “ Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri” quale strumento idoneo a regolamentare l’accertamento con parametri, tramite il quale si disciplina una prestazione patrimoniale d’imposta richiesta al contribuente. Come e’ noto la norma che istituisce l’accertamento parametrico e’ la L. 549/95, articolo 3, comma 1811, che al successivo comma 186 recita : “I parametri di cui al comma 184 sono 1 Fino alla approvazione degli studi di settore, gli accertamenti di cui all' articolo 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , e successive modificazioni, possono essere effettuati, senza pregiudizio della ulteriore azione accertatrice con riferimento alle medesime o alle altre categorie reddituali, nonche con riferimento ad ulteriori operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ( cosi come da modificato dall’articolo 1, comma 407 della L. 311/04 n.d.r.), utilizzando i parametri di cui al comma 184 del presente articolo ai fini della determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d'affari Le disposizioni di cui ai commi da 179 a 189 del presente articolo si applicano nei confronti:. a) dei soggetti diversi da quelli indicati nell' articolo 87 del testo unico delle imposte sui redditi , approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che si avvalgono della disciplina di cui all' articolo 79 del 54 approvati con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”. Pertanto la norma istitutiva demanda la attuazione pratica dell’accertamento parametrico allo strumento legislativo del DPCM, delega che e’ stata attuata con il DPCM 29 gennaio 1996, poi modificato con il DPCM 27 Marzo 1997. Ebbene e’ con questo provvedimento che l’accertamento parametrico passa dalla statuizione di principi generali alla elaborazione di disposizioni operative che permettono di pervenire ai ricavi o compensi minimi. In specie gli articoli 4 e 5 del citato decreto si interessano delle variabili delle imprese e degli esercenti arti o professioni, statuendo cio’ che e’ rilevante nel calcolo soppesando alcuni componenti patrimoniali o reddituali da cui si evincono i ricavi o compensi in linea con lo strumento induttivo. La scelta di questo strumento e’ stata oggetto di critiche da parte di alcune commissioni tributarie provinciali tra cui quella di Torino2 sulla base della valutazione di idoneità di un DPCM, assunto senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, a disciplinare delle disposizioni che incidono sulla generalità dei contribuenti. Sul punto e’ essenziale riprendere la differenza tra “regolamento” ed “atto amministrativo generale” che viene fornita dall’articolo 17 della L. 400/1988, anche sulla base del commento predisposto dalla Corte di Cassazione3 che afferma : “ Come è noto, i caratteri che, sul piano del contenuto sostanziale, valgono a differenziare i regolamenti dagli atti e provvedimenti amministrativi generali, vanno individuati in ciò, che questi ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili; i regolamenti, invece, sono espressione di una potestà normativa attribuita medesimo testo unico e degli esercenti arti e professioni che abbiano conseguito, nel periodo di imposta precedente, compensi per un ammontare non superiore a 360 milioni di lire e che non abbiano optato per il regime ordinario di contabilità ;. b) degli esercenti attività d'impresa o arti e professioni in contabilità ordinaria quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell' articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , risulti l'inattendibilità della contabilità ordinaria Con regolamento [37] da emanare con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge; sono stabiliti i criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile in presenza di gravi contraddizioni o irregolarità delle scritture obbligatorie ovvero tra esse e i dati e gli elementi direttamente rilevati [38] 2 Cfr. CTP Torino, sentenza n. 26 del 26.06.2001 55 all'Amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano, appunto, i caratteri della generalità e dell'astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell'applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si riferiscono”. Cio’ che emerge e’ che il provvedimento in questione certamente e’ destinato certamente alla seconda tipologia sopra richiamata, proprio per i suoi caratteri di astrattezza e non determinabilita’ dei soggetti cui si riferisce. Tale aspetto rende dovuto recepire prioritariamente il parere del Consiglio di Stato, parere che viceversa non e’ stato affatto recepito dal DPCM 29 gennaio 1996, ragione per la quale la Commissione di Torino, tra le altre, ha dichiarato illegittimo l’intero accertamento che su quel provvedimento e’ basato. Inoltre sono state avanzate dalla Commissione tributaria provinciale di Catania quattro ordinanze alla Corte Costituzionale aventi come oggetto il sospetto di incostituzionalità dell’articolo 3 commi 181 e seguenti della L. 549/95 nella misura in cui delegano l’emanazione delle regole attuative dell’accertamento parametrico ad un provvedimento di rango inferiore rispetto alla legge. In ciò sarebbe violato l’articolo 23 della Costituzione che riserva alla sola legge ( e non provvedimenti di rango inferiore) il potere di disciplinare prestazioni patrimoniali d’imposta. Ora, generalmente, si ritiene che le argomentazioni difensive insite nella motivazioni delle sentenze delle Commissioni di Catania e Torino, siano state superate da una recente sentenza della Corte Costituzionale4, che ha dichiarato manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità proposta dalla CTP di Catania affermando che “ … il rimettente mostra di ignorare che la riserva di legge di cui all’art. 23 ….pone al legislatore l’unico obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa”. Cioè in pratica, la norma dell’articolo 3 Legge 549/95 avrebbe sufficientemente delineato i criteri generali dell’accertamento potendo poi legittimamente delegare ad un provvedimento di rango inferiore l’ indicazione di regole attuative. Ma il punto e’ che nemmeno la citata sentenza della Consulta ha affrontato compiutamente il problema sollevato dalla Commissione di Torino, e cioè non tanto che sia stato violato il principio di riserva di legge a cagione del fatto che un provvedimento di rango inferiore rispetto alla legge ha disciplinato una prestazione patrimoniale d’imposta, bensì se il DPCM 3 Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 10124 del 28.11.1994 56 29.01.96, in quanto “regolamento” non sia illegittimo poiché assunto in assenza del parere preventivo del Consiglio di Stato. Sulla sussistenza della questione anche successivamente alla sentenza della Consulta si pronuncia anche un efficace commento dottrinario alla stessa sentenza , rimarcando che e’ ancora inesplorata la vicenda circa l’idoneità del DPCM 29.01.96 a disciplinare la fase attuativa dell’accertamento parametrico5 . Con ciò a concludere che, a parere di chi scrive, l’eccezione posta dalla CTP di Torino, solo apparentemente ha perso incisività a seguito della pronuncia della Consulta, poiché criticando non tanto la legittimità di delegare ad uno strumento di rango inferiore la attuazione di principi legislativi, ma contestando il tipo di provvedimento adottato a tal fine, rimane argomentazione ancora spendibile quale pregiudiziale rispetto alle successive ragioni di doglianza da parte del contribuente. La corretta interpretazione dell’articolo 62 sexies del D.L. 331/93 Con questa seconda argomentazione si entra nel vivo degli accertamenti con gli studi di settore valutando se l’ermeneutica di fonte ministeriale dell’articolo 62 sexies del D.L. 331/93 sia l’unica proponibile. Come e’ noto la norma succitata e’ alla base dell’accertamento con gli studi di settore, ma la sua stesura letterale abilita piu’ di una interpretazione, con conseguenze rilevanti sotto il profilo del contenzioso. In questa disposizione si afferma che gli accertamenti analitico induttivi di cui all’articolo 39, comma 1, lett. d) del DPR 600/73 ( cioè quelli che poggiano su presunzioni semplici purché gravi precise e concordanti) “ .. possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, ovvero dagli studi di settore..” Il punto fondamentale nella lettura della disposizione e’ interrogarsi sul significato della locuzione “gravi incongruenze”, se cioè un mero scostamento tra i ricavi dichiarati sia idoneo a motivare l’accertamento ( facendo gravare sul contribuente l’onere di provare l’inapplicabilità degli studi al suo caso specifico), ovvero se ciò non sia sufficiente, poiché un mero scostamento non necessariamente realizza una grave incongruenza ( facendo quindi gravare sull’Agenzia delle Entrate l’onere di provare, con altri elementi, che la presunzione di cui all’articolo 39 raggiunge lo status di gravità, precisione e concordanza). 4 Cfr. Corte Costituzionale, sent. 105 del 1.4.2003 La sentenza della Cnsulta e’ stata pubblicata sul Bollettino Tributario n. 21 del 2003 con una nota della Prof. Talia Sciarra in cui si afferma “ … basta aver chiarito che la Corte con la sentenza in esame non ha ritenuto necessario dirci ( perche non le e’ stato richiesto, e quindi il rilievo non vuole essere una critica ma solo una puntualizzazione) se i DD.P.C.M sono un atto amministrativo generale o un regolamento (atipico) per il quale e’ stato omesso il parere ( e quindi il controllo) del Consiglio di Stato ( e per questo forse almeno in parte illegittimi). 5 57 L’interpretazione del passaggio normativo non e’ univoca. Si possono riassumere tre posizioni ermeneutiche che vengono di seguito esposte. 1) La tesi dell’Agenzia dell’Entrate : Secondo l’Agenzia il mero scostamento e’ già in se’ motivo sufficiente per eseguire l’accertamento, o detto altrimenti, il mero scostamento tra ricavi dichiarati e quelli elaborati dagli studi configura gia’ una presunzione grave precisa e concordante. La tesi trova riscontro in varie pronunce di prassi, tra cui la C.M. 48 del 26.08.2003 in cui si afferma che : “In virtù di tale disposizione ( art. 62 sexies D.L. 331 ndr) costituisce presunzione "grave, precisa e concordante", su cui fondare l'accertamento in questione, lo scostamento dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli attribuibili al contribuente sulla base dello studio di settore approvato per la specifica attività svolta.”. E’ chiaro che in forza di tale interpretazione l’Agenzia potrebbe limitarsi a riscontrare la mera differenza tra ricavi dichiarati e quelli elaborati da GE. RI .CO utilizzando questo unico elemento quale motivazione dell’avviso d’accertamento. Va altresi segnalato che a supporto di questa interpretazione si e’ proposta , da parte di alcuni commentatori, la seguente osservazione. L’agenzia delle Entrate avrebbe a disposizione una scelta alternativa: o dimostrare la sussistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondamenti desumibili in relazione all’attività svolta, ovvero utilizzare gli studi di settore. Ora, a prescindere dalla esposizione delle altre tesi interpretative di cui infra, va osservato che l’interpretazione suesposta non appare condivisibile, oltre che per ragioni sistematiche, anche semplicemente in base alla lettera del citato articolo 62 sexies del D.L. 331/93, comma 3. Il dato testuale , infatti, smentisce che la locuzione “gravi incongruenze”, regga solo il successivo passaggio “ ..ricavi fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalla condizioni di esercizio della specifica attività svolta”, poiché se così fosse, il passaggio normativo che segue non sarebbe retto dalla preposizione “ dagli” studi di settore. Invece la presenza di tale preposizione autorizza un sola interpretazione letterale, e cioè che la locuzione “ ovvero dagli studi di settore” sia retta dalla precedente locuzione “ e quelli fondatamente desumibili dalle...”. Diversamente se si volesse far dipendere la locuzione “ studi di settore” con la precedente “ possono essere fondati “ ( costruzione sintattica proposta dalle lettura dottrinaria favorevole alla tesi dell’Agenzia delle Entrate) i termini studi di settore sarebbe preceduti dalla preposizione “sugli” . 58 Ciò per sostenere che la corretta lettura del piu’ volte citato passaggio normativo non può che essere la seguente: L’agenzia delle Entrate ha sì due alternative, ma non sono quelle precedentemente citate : da una parte può fondare l’accertamento sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili in relazione all’attività svolta, dall’altra lo può altresì fondare in base a gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore. 2) Una possibile diversa interpretazione dottrinaria : Il passaggio normativo dell’articolo 62 sexies ha stimolato anche diverse interpretazioni dottrinarie sulla base delle quali possono essere fondati ricorsi avverso l’accertamento unicamente motivato dal mero scostamento tra ricavi dichiarati e quelli da studi di settore. Vi e’ chi ha sostenuto6 che, pur dando atto che gli accertamenti eseguiti con gli studi di settore raggiungono già lo status di presunzione grave precisa e concordante, la sussistenza della locuzione “ gravi incongruenze” rende necessario verificare se la mera differenza tra i ricavi ( o compensi) dichiarati e quelli da studi si presenti o meno come “ grave” e, in assenza di tale requisito, sarebbe annullabile l’accertamento per difetto di motivazione. Passando a situazioni concrete l’autrice propone, ad esempio, che non sia accertabile un soggetto che raggiunge la soglia di ricavi ( o compensi) minimi e non già, invece, quella di ricavi puntuali, ovvero colui che dichiara ricavi o compensi leggermente inferiori a quelli minimi sia escluso dalla portata dell’articolo 62 sexies proprio perché non si e’ di fronte ad una grave incongruenza. La tesi esposta e’ suggestiva, anche perché ormai da tempo l’Agenzia delle Entrate mostra di non tenere in nessun conto il raggiungimento della soglia di ricavi minimi rispetto al target di quelli puntuali, quale elemento che ponga il contribuente in una posizione diversa da colui che e’ ben lontano dal raggiungimento anche dei ricavi minimi. 3) La tesi piu’ favorevole al contribuente : Una terza posizione interpretativa e’ ricavabile dall’articolo 62 sexies: si tratta di quella piu’ favorevole al contribuente, in base alla quale il mero dato matematico di differenza tra i ricavi dichiarati e quelli da studi non sarebbe mai elemento sufficiente a motivare l’accertamento e, pertanto, l’Ufficio dovrebbe attivarsi a supportare lo scostamento con elementi probatori ulteriori, di modo che sia raggiunto lo status di presunzione grave 6 Cfr. A.MILITERNO, Studi di settore e accertamento sintetico- profili difensivi, in La Circolare Tributaria Euroconference, n. 37 del 4.10.04 59 precisa e concordante. Questa tesi ha trovato supporto in una serie piuttosto nutrita di sentenza delle Commissioni Tributarie Provinciali7 , tra le quali preme citare da ultima la CTP di Macerata, 8 che e’ stata assunta successivamente alla emanazione di due sentenze ( Cassazione e Corte Costituzionale) che generalmente vengono citate quali conferma della tesi ministeriale. Ciò significa che anche dopo quelle pronunce la questione circa l’individuazione del soggetto su cui grava l’onere della prova ( se il contribuente ovvero l’amministrazione) e’ ancora lontano da una conclusione. La massima della pronuncia della CTP di Macerata e’ indicativa in tal senso “ La presunzione a favore dell’Ufficio, espressa dagli studi di settore, e’ una presunzione semplice. Essa non esonera dall’obbligo di motivazione e di specificare gli elementi, almeno prevalenti, d’incoerenza e incongruenza, non è perciò sufficiente un semplice rinvio per relationem agli studi di settore”. E’ chiaro che questo passaggio può essere enfatizzato in qualunque ricorso avverso avvisi di accertamento che siano fondati sulla mera differenza matematica tra risultato degli studi e ricavi dichiarati. Le argomentazioni difensive “ tarate” sulla posizione soggettiva del contribuente E’ di tutta evidenza come sarebbe rischioso limitarsi, in un ipotetico ricorso, ad eccepire la nullità dell’accertamento per difetto di motivazione, senza entrare nel merito della controversia analizzando la posizione soggettiva del contribuente. Pertanto un ulteriore serie di argomentazioni difensive potranno enfatizzare le motivazioni secondo le quali risulti inattendibile il risultato cui si perviene applicando gli studi di settore ( o a maggior ragione parametri). In questo ambito risulta certamente piu’ complesso generalizzare argomentazioni difensive, poiché occorre analizzare le singole caratteristiche di esecuzione di una certa attività . Tuttavia, anche alla luce di alcune pronunce giurisprudenziali autorevoli, e’ possibile puntualizzare alcuni diritti ineccepibili del contribuente. 7 CTP Salerno, sent. 67 del 20.032001, sez. X, CTP Salerno, sent. 32 del 22.01.2001 sez. XII, CTP Verbania, sent. 10 del 7.02.2001 8 Cfr CTP Macerata, sez III, sent. 63 del 30.12.2003, in Rassegna Tributaria n. 6/2004 con nota a margine di P.Biondo in cui si afferma : “ La Commissione di Macerata ha assunto una posizione garantista nei confronti del contribuente e, come gia’ detto, sostanzialmente apprezzabile. A parere di chi scrive, infatti, un accertamento non puo’ essere fondato “ per relationem” sullo studio di settore”. 60 La prima pronuncia da considerare promana dalla Corte di Cassazione9 ed e’ , generalmente, la sentenza citata dall’Amministrazione Finanziaria a sostegno della legittimità dell’accertamento analitico induttivo da studi o parametri. In effetti la citata sentenza ha sgombrato il campo da supposti elementi di illegittimità nell’esecuzione di questi accertamenti, ma leggendo attentamente le motivazioni emergono passaggi che possono opportunamente essere utilizzati nel contesto di una strategia difensiva. Infatti la Suprema Corte ha affermato che il contribuente può utilizzare, a sostegno della tesi secondo cui l’applicazione degli indici matematici porta ad un risultato , nel suo caso specifico, inattendibile, sia elementi tratti dalle modalità concrete di svolgimento dell’attività, sia, e questo e’ decisivo, ragionamenti presuntivi. Sotto il primo profilo potrà essere rilevato, ad esempio, che in quel periodo d’imposta oggetto di accertamento egli ha subito gli effetti negativi delle condizioni atmosferiche ( elemento probante per artigiani che lavorano all’esterno), oppure situazioni legate a problemi personali ( malattie, infortuni etc,) : in altri termini si potranno citare tutte quelle circostanze tratte dall’esperienza concreta che hanno reso particolarmente difficile eseguire l’attività. Tali situazioni, continua la Corte, vanno apprezzate dal giudice di merito al fine di trarre o meno il convincimento dell’infondatezza del risultato matematico che, per definizione, non tiene conto di variabili personali nell’esecuzione dell’attività. Ma oltre a questi motivi tratti dall’esperienza concreta, potranno essere invocati ragionamenti presuntivi in forza dei quali sia presumibile che applicando asetticamente gli studi di settore si pervenga ad un risultato inattendibile. Potrebbe essere l’ipotesi di un esercizio di commercio al dettaglio di generi alimentari che fino ad una certa data svolgeva l’attività in assenza di concorrenti, mentre da una certa data ha subito la concorrenza di una grande ipermercato aperto nella vicinanze. Non può essere provato che la clientela di quell ’esercizio si e’ spostata verso l’ipermercato, ma e’ una presunzione razionale ipotizzare una certa contrazione del fatturato rispetto al passato. Sul punto la Suprema Corte afferma : “ E poiché si tratta di presunzioni relative (che ammettono la prova contraria), il contribuente che voglia contestare il risultato delle presunzioni medesime ha l'onere di attivarsi e di mostrare o l'impossibilità di utilizzare le presunzioni in quella fattispecie o l'inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le presunzioni, eventualmente confermando al contempo con altre presunzioni la validità del suo operato. In un tale contesto, è vero che si verifica una inversione 9 Cfr. Corte di Cassazione sent. 2891 del 27.022002 61 dell'onere della prova, ma si tratta di una inversione conseguente e legittima in un sistema che consente l'utilizzazione delle presunzioni a favore dell'amministrazione.”. Anche la sentenza della Corte Costituzionale 105/2003, nel legittimare l’accertamento con gli studi o parametri ha sottolineato che tali accertamenti “ prevedono un sistema basato su presunzioni semplici la cui idoneità probatoria e’ rimessa alla valutazione del giudice di merito”, il quale potrà farsi un convincimento anche in relazione agli elementi presentati dal contribuente a supporto dell’inapplicabilità dell’accertamento analitico induttivo. Peraltro va segnalato che in innumerevoli pronunce di prassi e’ stata la stessa Amministrazione a rilevare , studio per studio, quali possano essere le anomalie che lo rendono scarsamente attendibile. E’ chiaro che un primo elemento di questo argomentazione potrà essere proprio l’enfatizzazione di quelle anomalie che, in pratica, sono già preaccettate dall’Agenzia delle Entrate.10 L’insieme di queste argomentazioni, quindi circostanze tratte dalla esperienza concreta, ragionamenti presuntivi, anomalie gia’ riscontrate nella prassi, congiuntamente ai motivi “piu’ giuridici” del punto precedente, potra’ costituire un impianto difensivo efficace nel tentativo di convincere il giudice di merito dell’inapplicabilità degli studi e dei parametri allo specifico contribuente. ALTRE CONSIDERAZIONI ( Dr. Sorgato – Euroconference ) LA PRESUNZIONE E’ chiaro, che gli studi di settore si basano sostanzialmente su presunzioni, poiché se un determinato settore produce in media un certo reddito, non vuol certo dire che lo produca anche il contribuente. Bisogna però accertare la natura di queste presunzioni. L'art. 2727 del codice civile qualifica come "presunzione" l'operazione logico-intuitiva con cui dalla conoscenza di un fatto noto si deduce la prova di un fatto ignoto. La presunzione però deve essere basata su fatti gravi, precisi e concordanti, elementi attribuiti per legge e non individuabili caso per caso. Fattispecie a dir poco discutibile. La presunzione è un processo logico intuitivo della nostra mente basati sui fatti , assolutamente indispensabile per operare nella vita concreta, la cui utilizzazione in sede giudiziaria è consentita, ma è in qualche misura disciplinata. La presunzione si basa però molto raramente su una rilevazione statistica attendibile condotta con metodo scientifico come nel caso degli studi di settore. 10 Cfr. Circ. 39/E del 17.7.03, 110/E del 21.5.99, 27/E del 18.6.04, 121/E del 8.6.00, 54/E del 13.06.01, 58/E del 27.06.02 62 Abbiamo due tipi di presunzioni di legge “presunzioni legis “ le presunzioni juris et de jure : in basi alle quali accertato un fatto, il giudice deve affermare l'esistenza di un altro fatto, e non sono ammesse prove contrarie e il Giudice non può sfuggire a questa logica e le presunzioni juris tantum, suscettibili di essere neutralizzate, il più delle volte, attraverso una libera valutazione del giudice fondata anche su presunzioni hominis; ma talvolta esclusivamente con specifici mezzi di prova indicati dal legislatore, o dimostrando determinati "fatti contrari". Non dimentichiamo che l’art. 53 della C. stabilisce : Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Per cui si corre il rischio di assoggettare ad imposizione una ricchezza solo dichiarata come presunta dalla legge, ma in concreto inesistente. Prendiamo in esame le presunzioni dette hominis, ma che più propriamente possiamo dire "ritenute dal giudice", o, secondo la dizione legislativa, "lasciate alla prudenza del giudice"; le presunzioni debbono essere "gravi precise e concordanti" (art. 2729 del codice civile; art. 38, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, sull'accertamento delle imposte dirette; art. 54 del D.P.R. n. 633/1972, in materia di Iva). La giurisprudenza che "più avvertita" tende ad assimilare le presunzioni basati su studi di settore, redditometro e ricavometri alle comuni presunzioni hominis “ presunzioni juris tantum” , cioè a considerarli " come meri supporti razionali offerti dall'Amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato in cui è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti . Di conseguenza non impedisce al contribuente di dimostrare, in modo concreto che egli possiede un reddito inferiore, poiché le presunzioni poste dagli studi di settore sono soltanto relative e non assolute. Questo indirizzo risponde al principio della parità delle parti davanti a qualsiasi giudice e quindi anche davanti al giudice tributario, sancito dall'art. 111 della Costituzione. E mi parrebbe difficile considerare come fondato sulla parità delle parti un processo in cui una delle parti in causa (o comunque un soggetto inserito nell'area pubblica di cui è partecipe la parte) fosse arbitra di costruire presunzioni a carico dell'altra. Sent. n. 19163 del 5 marzo 2003 (dep. il 15 dicembre 2003) della Corte Cass., Sez. tributaria : Le presunzioni dugli strumenti induttivi sono juris tantum - Massima - Gli strumenti induttivi di accertamento dei redditi, disciplinati dagli artt. 11 e 12 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 154 del 1989), non derogano al principio di cui all'art. 53 della Costituzione, che esclude che il reddito possa venir determinato a prescindere dalla (effettiva) capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. È sempre consentito al contribuente, infatti, fornire la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto; e tale prova può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il giudice può valutare nel suo prudente apprezzamento. Sent. n. 6033 del 2 marzo 1994 (dep. il 23 giugno 1994) della Corte Cass., Sez. I civ. – Massima: Divieto di presunzioni a catena ovvero della cosiddetta praesumptio de praesumpto: Nella disciplina dell'Iva l'accertamento per via indiziaria non si sottrae alla disciplina generale della prova presuntiva di cui agli artt. 2727 e seguenti del codice civile, secondo cui il fatto ignoto deve essere desumibile da fatto noto e non da altro fatto a sua volta ignoto, ritenuto sussistente in base a mera deduzione logica Sent. n. 146 del 22 novembre 2002 (dep. il 10 dicembre 2002) della Comm. trib. prov. di Macerata, Sez. III : Necessità di motivare il rifiuto delle eccezioni e delle motivazioni del 63 contribuente - Massima - È illegittimo, per carenza di motivazione, l'avviso di accertamento, emesso a seguito di rilevata discordanza tra i ricavi dichiarati e quelli determinati in base all'applicazione dei parametri previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996, in cui l'Ufficio non abbia motivato il mancato accoglimento delle eventuali eccezioni e giustificazioni del contribuente. La semplice discordanza tra quanto dichiarato e quanto risultante dai calcoli effettuati in forza dei parametri, pur costituendo un elemento indiziario, non è di per se sufficiente a giustificare una presunzione iuris tantum a favore dell'Ufficio con conseguente inversione dell'onere della prova. Per assurgere a presunzione con valore di prova occorre che la discordanza sia supportata da altre circostanze, anche esse di carattere indiziario. Sent. n. 2891 del 21 dicembre 2000 (dep. il 27 febbraio 2002) della Corte Cass., Sez. tributaria : Accertamento - Analitico induttivo - Utilizzo di studi di settore - Percentuali di ricarico Rettifica - Ulteriori indizi - Necessità - Art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 Accertamento - Analitico induttivo - Presunzioni - Relatività - Inversione dell'onere della prova - Impossibilità dell'utilizzo - Inaffidabilità - Dimostrazione a carico del contribuente – Necessità - Massime - L'art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973, consente, sulla base della disamina della contabilità operata dall'Ufficio, di ricostruire l'esistenza di attività non dichiarate attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti; e questo valore possono assumere, se confortate da altri indizi, le difformità delle percentuali applicate in concreto rispetto a quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, quando vi sia uno scostamento che renda del tutto credibile il risultato della dichiarazione. La legittima introduzione nel giudizio di presunzioni dotate di gravità, precisione e concordanza mette il contribuente nelle condizioni di attivarsi e di dimostrare o l'impossibilità di un loro utilizzo nella fattispecie concreta ovvero l'inaffidabilità del risultato ottenuto, eventualmente confermando al contempo con altre presunzioni la validità del proprio operato. LA MOTIVAZIONE La motivazione e la prova sono due elementi fondamentali, o meglio cruciali, di ogni accertamento; lo sono ancor più se l'accertamento è basato su strumenti predeterminati come nel caso specifico degli studi di settore. L'obbligo di motivazione e l'onere della prova nell'accertamento basato su studi di settore non dovrebbero, quindi, ritenersi soddisfatti attraverso un semplice riferimento agli studi di settore, poiché non sembra che una tale motivazione possa fornire al contribuente la conoscenza dell'iter logico giuridico seguito dall'ufficio nell'emissione dell'atto e poiché non sembra che il giudice possa essere convinto della correttezza dell'operato dell'ufficio, senza ricorrere ad una consulenza tecnica che di fatto è impossibile per l'onerosità che comporterebbe. La motivazione degli atti impositivi, oltre ad essere prevista dalle singole leggi d'imposta , è ora prevista dallo Statuto del Contribuente che all'art. 7 dispone che gli atti dell'Amministrazione finanziaria debbano essere motivati secondo quanto previsto nell'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni che nella motivazione debbono essere indicati le ragioni giuridiche ed i presupposti di fatto che hanno indotto l'amministrazione ad emanare l'atto ; la disposizione prevede, inoltre, che se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto questo deve essere allegato all'atto. La motivazione degli atti emessi per l'accertamento dei ricavi sulla base degli studi di settore deve, quindi, contenere le risultanze dell'istruttoria ed in particolare nella motivazione dell'atto l'ufficio dovrà spiegare, perché non ha ritenuto di aderire alle eventuali argomentazioni giustificative fornite 64 dal contribuente in ordine allo scostamento dell'ammontare dei ricavi dichiarato rispetto a quello determinato sulla base degli studi di settore. Un altro elemento che deve essere necessariamente presente nella motivazione degli accertamenti basati su studi di settore e che merita di essere segnalato per la discrezionalità che sottintende , è la valutazione delle gravi incongruenze tra l'ammontare di ricavi dichiarato è quello risultante dall'applicazione degli studi di settore; soltanto l'esistenza di gravi incongruenze legittima, infatti, l'ufficio a far ricorso a tale tipologia di accertamento. Un elevato scostamento potrà, cioè, essere considerato, con tutta probabilità, una grave incongruenza e considerato che nell'accertamento basato su studi di settore la soglia di scostamento non è predeterminata dalla legge, ma è lasciata all'apprezzamento degli uffici, la motivazione dell'atto impositivo dovrà render conto oltre che della grave incongruenza anche dei criteri sulla base dei quali l'incongruenza è stata ritenuta grave. Sul contribuente che voglia contestare la correttezza del ragionamento inferenziale graverà l'onere della prova degli elementi utilizzati per la contestazione. L'indicazione delle risultanze dell'istruttoria sembra essere, peraltro, necessaria anche nel sistema della motivazione delineato dall'art. 7 dello Statuto per quel che riguarda gli atti dei concessionari della riscossione. Il comma 3 dell'art. 7 prevede, infatti, che sul titolo esecutivo sia riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ed, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria. Se si mette in relazione la previsione contenuta nel comma 3 con quella contenuta nell'art. 6 dello Statuto appare evidente come nella motivazione, oltre ad indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche, si debba dar conto delle risultanze dell'istruttoria perché la motivazione possa assolvere la funzione che gli è propria. L'art. 6, comma 5, dello Statuto dispone, infatti, che prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'Amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti, e che sono nulli i provvedimenti emessi in violazione di tale disposizione. Sent. n. 6201 del 7 febbraio 2005 (dep. il 22 marzo 2005) della Corte Cass., Sez. tributaria: Massima A seguito della entrata in vigore della L. n. 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente), se in un atto della amministrazione tributaria si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere necessariamente allegato all'atto che lo richiama (art. 7, comma 1) e non è sufficiente che l'atto sia conoscibile da parte del contribuente 65 CONTENZIOSO Siamo così giunti alla fine del nostro percorso con la presentazione di una bozza di ricorso che , evidentemente, viene steso su linee generali lasciando al ricorrente l’ ulteriore onere di integrare il testo. SCHEMA DI RICORSO : Alla Commissione tributaria provinciale di.................................................................... All’Agenzia delle Entrate di……………………………………………. 1)Il sottoscritto...............................................nato a..................................................il..................esercente l'attività di.............................................con domicilio fiscale in.........................via.........................n...............codice fiscale..........; 2) La società ........................................con sede legale in.............................................Prov. di.................................................., in via.......................................................n............ codice fiscale............................................., in persona del suo legale rappresentante..................................................codice fiscale................................... (specificare le generalità e le funzioni del legale rappresentante, ad esempio: amministratore unico) ; ...............................via..................... n. ......... codice fiscale............................................. domiciliato a.......................................................via............ n. ........ codice fiscale....................presso lo studio del dr.......................... (specificare le generalità del professionista) codice fiscale............... che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del presente atto, contro l'Agenzia delle Entrate di………………………………….. per l'impugnativa dell'avviso di accertamento n..................... notificato in data ...............................; RILEVATO - che con tale provvedimento il predetto Ufficio ha rettificato il reddito di impresa per l'anno ............................................ in euro................................................., con la conseguente determinazione di una maggiore imposta dovuta di euro ................. a titolo di ................... e di euro......................... a titolo di ......................................................; - che l'Ufficio non esprime alcuna valutazione circa l'attendibilità delle scritture contabili dell'azienda, scritture che di fatto risultano regolarmente tenute ed aggiornate; - che l'argomentazione su cui si basa la ricostruzione contabile da parte dell'Ufficio riguarda unicamente lo scostamento dei risultati reddituali del ricorrente da una presunta media di settore; 66 RICORRE Avverso l’Avviso di accertamento N………………..notificato il…………..per i motivi seguenti: DIRITTO Illegittimità dell'avviso di accertamento stesso : A) Difetto di Procedura : Il ricorso all'accertamento induttivo previsto dall'art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600/1973 deve essere infatti giustificato dalla presenza nelle scritture contabili di omissioni, falsità ed inesattezze gravi, numerose e ripetute tali da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse; occorre quindi che l'Ufficio provveda non solo ad accertare le irregolarità, ma anche a dimostrarne la gravità e l'effetto sull'attendibilità delle scritture contabili. La stessa Amministrazione finanziaria, da tempo, ha fornito una autorevole interpretazione di tale norma con la risoluzione ministeriale n. 9/2148 del 28 dicembre 1979, Dir. Gen. Imposte, precisando che è necessario un giudizio pregiudiziale di merito sulla attendibilità delle scritture; il semplice scostamento da presunte medie di settore non può costituire legittimo presupposto al ricorso al metodo induttivo, inoltre il contribuente dovrebbe sempre essere reso edotto circa il processo logico di ricostruzione di tali medie e la conseguente applicazione alla propria attività; anche la Commissione tributaria centrale ha avuto modo di esprimersi sulla materia, affermando con la decisione n. 6396 del 3 novembre 1989, Sez. VI la necessità della dimostrazione da parte dell'Ufficio della inattendibilità delle scritture contabili e l'illegittimità di un accertamento basato solo su medie di settore; inoltre, la stessa Commissione tributaria centrale sostiene nella decisione n. 6920 del 23 novembre 1989, Sez. XIV che l'accertamento del reddito di impresa implica la valutazione di circostanze influenti sull'andamento dell'azienda, sui costi e sull'entità dei ricavi, valutazioni e circostanze che non possono essere generalizzate, ma debbono essere verificate in rapporto a ciascuna posizione imprenditoriale; di recente la Corte di Cassazione ad iniziare dalla sentenza n. 1376, del 7 febbraio 1992 Sez. I, fino alla Sentenza del 14.10.2005 n. 19955, ha ritenuto che gli Studi di Settore debbano essere tenuti in considerazione in quanto correlabili alla specifica realtà aziendale considerata ma se non emerge alcun elemento a riprova del fatto che il risultato degli studi possa attagliarsi alla specifica azienda, non è riscontrabile l'esistenza dei presupposti di fatto che legittimano l'accertamento induttivo; ………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………… B) Difetto di Motivazione: L’Ufficio ha omesso di motivare e descrivere compiutamente gli elementi e le ragioni che lo hanno indotto a rappresentare un maggior reddito come accertato e contrariamente a quanto disposto dall’art. 42, secondo comma del DPR 600/73 e dall’art. 56 del DPR 633/72 , si è limitato ad esporre i risultati dello Studio di settore in modo acritico senza dilungarsi ad evidenziare le argomentazioni tecniche a supporto della dimostrazione delle gravi incongruenze riscontrate che hanno consentito all’ufficio di accertare il maggior reddito. D’altra parte l’esplicitazione delle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore è imposta dallo stesso art. 62 sexies ,comma 3 D.L. 331/93 conv. con L. 427/93. 67 Orbene nella fattispecie qui esaminata ……………………………………………………….. ………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………… c) Violazione dell’Art. 42 secondo comma,ultimo capoverso e dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente : ( attenzione : riguarda la probabile mancata allegazione dei decreti del Ministro delle Finanze di approvazione e calcolo degli Studi di Settore- è un rilievo da evitare, a ns. parere, in quanto essendo stati pubblicati sulla G.U. , sono conosciuti o conoscibili)…………… ……………………………………………………………………………………………………. MERITO Si ritiene che nella determinazione del reddito di impresa per l'anno in esame si debba tenere conto dei seguenti elementi di fatto : descrivere fatti o circostanze interferenti la capacità produttiva ordinaria del contribuente ( crisi di settore, indisponibilità al lavoro per infortunio o malattia, eventi calamitosi ect.) idonei ad indebolire l’ efficacia probatoria dello studio di settore; evidenziare eventuale lieve differenza tra il ricavo minimo e quello puntuale.......................... ………………………………………………………………………………………………… Per questi motivi e con riserva di produrre memorie e documenti il sottoscritto CHIEDE - IN VIA PRINCIPALE: che codesta Commissione voglia dichiarare illegittimo l'avviso di accertamento n. ................... del ............................... emesso dall'Ufficio di .............................. per difetto di procedura e motivazione come sopra rappresentato ex artt. 39nonché artt. 42 DPR 600/73 e 56 DPR 633/72; - IN VIA SUBORDINATA : la determinazione del reddito per l’anno……………sulla base degli elementi sopra esposti. Con vittoria di spese, competenze ed onorari. *** Si allega la seguente documentazione: 1) copia dell'avviso di accertamento n. ..................... notificato dall'Ufficio di ....................; 2) ....................................................................... ................... (luogo e data) (firma del difensore) Il ricorso va redatto in duplice esemplare di cui l'originale viene consegnato (spedito) all’Agenzia delle Entrate di ............................. e copia conforme alla Commissione tributaria provinciale di .............................................. 68 PROCURA Il contribuente ......................... (dati identificativi) delega a rappresentarlo e a difenderlo in ogni fase e grado del presente giudizio ....................... (dati anagrafici del difensore e titolo di abilitazione del patrocinio) abilitato al patrocinio ai sensi di legge, conferendogli ogni e più ampio potere ivi compresa la facoltà di proporre conciliazione, di farsi sostituire e di rinunciare al ricorso, ed elegge domicilio fiscale presso lo studio di quest' ultimo, sito in ........................................ (luogo e data) (firma del ricorrente) E' autentica (firma del difensore) ATTESTAZIONE DI CONFORMITA' Il difensore attesta ai sensi dell'art. 22, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 che il presente ricorso è conforme all'originale consegnato (spedito) in data......................... a............... ................... (luogo e data) (firma del difensore) 69