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Difendersi dagli Studi di Settore

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Difendersi dagli Studi di Settore
COLLEGIO DEI RAGIONIERI COMMERCIALISTI DI BRESCIA
Come difendersi dagli studi di settore
brevi note
A cura della Commissione Studi
1
Sommario
PREMESSA
1) Normativa…………………………………….pag. 4
2) Prassi ………………………………………...pag. 7
3) Dottrina e Giurisprudenza …………………..pag. 10
4) Le regole dell’accertamento ………………..pag. 48
5) Accertamento con adesione……….…… ….pag. 51
6) Le strategie difensive ………..…………….pag. 54
7) Schema ricorso……………………………….pag. 66
2
PREMESSA
La disciplina degli studi di settore è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 62 bis del D.L.
30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993 n. 427.
L’Agenzia delle Entrate così motiva l’introduzione di questo strumento :
Il sistema tributario dei primi anni settanta aveva ancorato la determinazione del reddito d’impresa
e di lavoro autonomo, alle risultanze delle scritture contabili. Ciò aveva, conseguentemente,
determinato l’introduzione di vincoli e cautele all’utilizzo, da parte degli uffici tributari , di
accertamenti induttivi che dovevano considerarsi del tutto eccezionali e legittimati solo in presenza
di gravi irregolarità contabili commesse dal contribuente. In tale contesto gli accertamenti induttivi
erano destinati a costituire una quota non significativa del totale delle rettifiche eseguite.
Si realizzava così il paradosso per cui il sistema finiva per privilegiare il contribuente-evasore, che
però aveva fatto attenzione a tenere in regola le scritture contabili, penalizzando invece il
contribuente che pagava fino all’ultima tutte le sue tasse, ma che aveva semplicemente dimenticato
di ottemperare ad alcune regole formali, come ad esempio la vidimazione di un registro contabile.
Gli studi di settore sono stati introdotti per superare le incongruenze del vecchio sistema, per
“regolare” e prevenire eventuali conflitti, nel nuovo clima di lealtà e collaborazione che si respira
nel rapporto Fisco - contribuente , anche grazie all’introduzione di istituti come l’accertamento
con adesione e l’auto tutela. In questo nuovo rapporto assume finalmente importanza tutto quello
che è utile a circostanziare la posizione fiscale effettiva del singolo contribuente in relazione alle
caratteristiche oggettive della sua attività.
Tuttavia la nostra esperienza maturata sul campo e verificata quotidianamente ci porta a ritenere che
detti strumenti debbano essere considerati delle presunzioni semplici e, d'altra parte questi modelli
matematici non potranno mai cogliere appieno le diverse capacità imprenditoriali, sottolineare le
diverse attitudini, valutare le procedure gestionali che fanno la differenza e consentono a
quell’imprenditore piuttosto che all’altro risultati, anche reddituali , diversi.
Ecco perché questi strumenti devono essere ausilio dell’Accertamento e non diventare essi stessi
Accertamento.
La Commissione Studi
Il coordinatore
Eugenio Vitello
3
NORMATIVA
Decreto del 19 maggio 2005. Approvazione delle disposizioni per l'applicazione degli Studi
di Settore ai contribuenti che esercitano due o più attività di impresa, ovvero a una o più
attività in diverse unità di produzione o di vendita (61 studi in vigore a decorrere dal periodo
d’imposta 2004)
Decreto del 22 aprile 2005. Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è
possibile avvalersi del regime fiscale delle attività marginali (61 studi in vigore a decorrere
dal periodo d’imposta 2004)
DECRETO 24 marzo 2005 - Approvazione di un nuovo studio di settore e delle evoluzioni
di studi di settore relativi ad attività professionali (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl.
Straordinario)
DECRETO 24 marzo 2005 - Approvazione delle evoluzioni di studi di settore relativi ad
attività economiche nel settore delle manifatture (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl.
Straordinario)
DECRETO 17 marzo 2005 - Approvazione delle evoluzioni di dodici studi di settore relativi
ad attività economiche nel settore delle manifatture (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl.
Straordinario)
DECRETO 17 marzo 2005 - Approvazione di un nuovo studio di settore e le evoluzioni di
12 studi di settore relativi ad attività economiche nel settore dei servizi (G.U. n. 74 del 31-32005- Suppl. Straordinario)
DECRETO 17 marzo 2005 - Approvazione delle evoluzioni di 21 studi di settore relativi ad
attività economiche nel settore del commercio (G.U. n. 74 del 31-3-2005- Suppl.
Straordinario)
Provvedimento del 21/02/2005 - Programma delle revisioni degli studi di settore applicabili
a partire dal periodo d’imposta 2005 (Gazzetta Ufficiale n. 48 del 28/02/2005)
Decreto del 14/07/2004. Approvazione delle disposizioni per l'applicazione degli studi di
settore ai contribuenti che esercitano due o più attività di impresa ovvero una o piu' attività
in diverse unità di produzione o di vendita
Decreto del 18/07/2003. Approvazione delle disposizioni per l'applicazione degli studi di
settore ai contribuenti che esercitano due o più attività di impresa ovvero una o piu' attività
in diverse unità di produzione o di vendita
Provvedimento del 15/04/2003 - Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è
possibile avvalersi del regime fiscale
Decreto del 25/03/2002. Criteri di applicazione degli studi a imprese multipunto e
multiattività
4
Provvedimento sui limiti per le attivitagrà marginali relativamente agli ultimi 13 studi di
settore (14/04/2002)
Criteri di applicazione degli studi a imprese multipunto e multiattività (25/03/2002)
Modalità di riduzione dei ricavi e compensi determinati in base agli studi di settore per la
loro applicazione nei confronti dei contribuenti "marginali"(02/01/2002)
Adeguamento spontaneo in dichiarazione ai maggiori ricavi derivanti dall'applicazione degli
studi di settore: legge n. 448 del 28 dicembre 2001, articolo 9, commi 12 e 13
Modifiche concernenti le modalità di annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini
dell'applicazione degli studi di settore - PROVVEDIMENTO DEL 15/06/2001 - Emanato
da Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27/06/2001 - Per la
decorrenza vedi il terzo comma dell'art. 1
Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime
fiscale delle attività marginali, relativi alle attività comprese nei 29 studi di settore approvati
con decreti ministeriali del 20 marzo 2001 - PROVVEDIMENTO DEL 26/03/2001 Emanato da Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28/03/2001
Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime
fiscale delle attività marginali - PROVVEDIMENTO DEL 28/02/2001 - Emanato da
Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10/03/2001
Approvazione dei limiti di ricavi o compensi entro cui è possibile avvalersi del regime
fiscale delle attività marginali - PROVVEDIMENTO DEL 08/02/2001 - Emanato da
Agenzia delle Entrate - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20/02/2001 Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate
LEGGE DEL 21/11/2000 N. 342 (Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25/11/2000
- supplemento ordinario) Misure in materia fiscale
art. 70
Disposizioni riguardanti l'accertamento basato sugli studi di settore e l'accertamento
basato sui parametri
art. 71
Adeguamento alle risultanze degli studi di settore
art. 72
Adempimenti contabili dei soggetti esercenti più attività
ANNOTAZIONE SEPARATA: Decreto del direttore generale del Dipartimento delle
entrate del 24 dicembre 1999
5
ADEGUAMENTO DELLE ESISTENZE INIZIALI: Articolo 7, commi da 9 a 14, legge 23
dicembre 1999, n. 488
STUDI DI SETTORE & PARAMETRI: Decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio
1999 n. 195
OSSERVATORI PROVINCIALI - Decreto del direttore generale del Dipartimento delle
entrate 15 aprile 1999
STUDI DI SETTORE - NORMATIVA A REGIME: Legge 8 maggio 1998, n. 146, Articolo
10
PARAMETRI MODIFICHE DAL '96: Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27
marzo 1997
CONTABILITA' INATTENDIBILE: Decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre
1996, n. 570 - Regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità
ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attivià d'impresa, arti e
professioni
PROROGA PARAMETRI OLTRE IL '95: Legge 23 dicembre 1996, n. 662
PARAMETRI VERSIONE '95: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29
gennaio 1996 - Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e
volume d'affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull'attività
svolta
PARAMETRI - LEGGE ISTITUTIVA: Legge 28 dicembre 1995, n. 549 - Articolo 3,
commi da 181 a 189
STUDI DI SETTORE - PRIME NORME: Decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito
in legge 29 ottobre 1993, n. 427 - Art. 62-bis - Art. 62-sexies
6
PRASSI
Circolare n. 32/E del 21/06/2005: "Studi di settore - periodo di imposta 2004"
Circolare n. 27/E del 18/06/2004: "Studi di settore. Periodo d'imposta 2003"
Circolare n. 42/E del 24 luglio 2003: "Prevenzione e contrasto all'evasione - Attività
dell'Agenzia per il 2003"
Circolare n. 39/E del 17/07/2003: "Studi di settore - periodo di imposta 2002"
Attività di controllo dei dati strutturali e contabili rilevanti ai fini dell'applicazione degli
studi di settore (09/06/2003)
Circolare 58/E del 27 giugno 2002 "Studi di settore - periodo di imposta 2001"
Chiarimenti nelle istruzioni ai modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini
dell’applicazione degli studi di settore: Risoluzione n. 165/E del 4 giugno 2002
Attività di accertamento sulla base degli studi di settore per il periodo d'imposta 1998 CIRCOLARE - 11 APRILE 2002 N. 29 / E
ANNOTAZIONE SEPARATA - CIRCOLARE 25 FEBBRAIO 2000, n. 31/E
Adeguamento spontaneo in dichiarazione ai maggiori ricavi derivanti dall’ applicazione
degli studi di settore: Circolare 15/E del 1 febbraio 2002, paragrafo 10
OSSERVATORI PROVINCIALI per l'adeguamento degli studi di settore alle realtà
economiche locali. Compiti e modalità di funzionamento - Circolare 96/E del 15 novembre
2001
Annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore
- Facoltà prevista dal provvedimento del 15 giugno 2001 - RISOLUZIONE DEL
06/07/2001 N. 111 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Accertamento
Sanatoria dei codici di attività ai fini della corretta applicazione degli studi di settore RISOLUZIONE DEL 06/07/2001 N. 112 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione
Centrale Accertamento
Sanatoria dei codici di attività ai fini della corretta applicazione degli studi di settore RISOLUZIONE DEL 06/07/2001 N. 112 - Emanata da Agenzia delle Entrate - Direzione
Centrale Accertamento
STUDI DI SETTORE - CIRCOLARE DEL 13/06/2001 N. 54 - Emanata da Agenzia delle
Entrate - Direzione Centrale Accertamento
7
Attività di accertamento sulla base dei parametri previsti dalla legge 28 dicembre 1995, n.
549, per il periodo d'imposta 1996 - Ulteriori indicazioni in merito alla gestione della fase
del contraddittorio - CIRCOLARE DEL 14/03/2001 N. 25 - Emanata da Agenzia delle
Entrate - Direzione Centrale Accertamento
Attività di verifica nei confronti di contribuenti che, per il periodo di imposta 1998,
risultano "non coerenti" rispetto agli indicatori economici individuati dagli studi di settore CIRCOLARE DEL 17/11/2000 N. 210 - Emanata da Ministero delle Finanze - Direzione
Centrale Accertamento
Metodologie di controllo differenziate per attività economiche dirette al consumatore finale
- CIRCOLARE - 13 OTTOBRE 2000 N. 185 / E
Attività di accertamento nei confronti delle persone fisiche sulla base dei parametri previsti
dalla legge 28 dicembre 1996, n. 549, per il periodo d'imposta 1996 - CIRCOLARE DEL
03/10/2000 N. 175 - Emanata da Ministero delle Finanze - Dipartimento delle Entrate - Dir.
Centrale Accertamento
Attività di accertamento nei confronti delle persone fisiche sulla base dei parametri previsti
dalla legge 28 dicembre 1996, n. 549, per il periodo d'imposta 1996 - CIRCOLARE DEL
03/10/2000 N. 175 - Emanata da Ministero delle Finanze - Dipartimento delle Entrate - Dir.
Centrale Accertamento
STUDI DI SETTORE - ANNOTAZIONE SEPARATA - ULTERIORI PRECISAZIONI CIRCOLARE 3 LUGLIO 2000, N. 134/E
ADEGUAMENTO DEL MAGAZZINO - CIRCOLARE I GIUGNO 2000, N. 115/E
STUDI DI SETTORE - CIRCOLARE 8 GIUGNO 2000, N. 121/E
ADEGUAMENTO DEL MAGAZZINO - CIRCOLARE I GIUGNO 2000, N. 115/E
STUDI DI SETTORE - RISPOSTE A QUESITI - CIRCOLARE 5 LUGLIO '99, n. 148/E
STUDI DI SETTORE - ESTRATTO CIRCOLARE 9 GIUGNO '99, n.127/E
STUDI DI SETTORE - PRIMA CIRCOLARE 21 MAGGIO '99, n. 110/E
STUDI DI SETTORE - CHIARIMENTI FORNITI IN OCCASIONE DELLA
PRESENTAZIONE DEI PRIMI QUESTIONARI STUDI DI SETTORE - (ESTRATTO
DALLE CIRCOLARI 205/E-215/E-257/E DEL 1997)
8
Circolare 205/E del 13/07/1997: "Studi di Settore - Invio dei questionari ai contribuenti"
PARAMETRI - SECONDA CIRCOLARE - 16 MAGGIO 1997 N.140/E
PARAMETRI per la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume
d'affari. Art. 3, commi da 181 a 189, della legge 28/12/1995, n. 549 - PRIMA CIRCOLARE
- 13 MAGGIO 1996 N. 117 / E
9
DOTTRINA e GIURISPRUDENZA
Parametri 1995: le possibilità di difesa per il professionista
di Gorgoglione Lorenzo
in Pratica Professionale - I Casi, n. 5/2001, pag. 181 - Caso n. 83
In sede di verifica, è stato riscontrato che le annotazioni in contabilità ordinaria di un
professionista sono state stampate su bollato denominato "incassi e pagamenti". In verità le
annotazioni sono state effettuate considerando altresì le movimentazioni finanziarie. L'ufficio
sostiene l'errato utilizzo del bollato. In conseguenza di tale comportamento, l'Ufficio intende
applicare i parametri, determinando un maggior reddito imponibile ai fini Irpef e Iva. E' corretto
l'operato dell'ufficio? Su quali basi è possibile motivare un ricorso contro l'applicazione dei
parametri?
(L.A., Milano)
I parametri quali elementi presuntivi di maggiori ricavi, compensi e volume di affari
Il Legislatore con la legge 28 dicembre 1995, n. 549, all'articolo 3, commi da 181 a 189, ha
introdotto il metodo di accertamento che conosciamo con il nome di "Parametri" o "Ricavometro".
Nel comma 181 del citato articolo 3, legge n. 549/1995, è stabilito che, fino all'approvazione degli
studi di settore, gli accertamenti di cui all'articolo 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, possono essere effettuati utilizzando i parametri stabiliti con D.P.C.M. 29 gennaio
1996.
I parametri presuntivi di ricavi, compensi e volume di affari sono stati elaborati tenendo conto delle
specifiche caratteristiche dell'attività esercitata in ciascun settore economico.
I soggetti interessati dal particolare meccanismo presuntivo sono gli esercenti attività di impresa o
arti e professioni in regime di contabilità semplificata ovvero, in presenza di particolari condizioni,
quelli in regime di contabilità ordinaria, sempre che gli stessi non abbiano dichiarato ricavi o
compensi di ammontare superiore a 10 miliardi di lire.
Per gli esercenti arti o professioni in regime di contabilità ordinaria, anche per opzione, lo
strumento accertativo in commento può essere utilizzato dagli uffici quando dal verbale di
ispezione, redatto ai sensi dell'articolo 33 del D.P.R. n. 600/1973, risulti l'inattendibilità della detta
contabilità in base ai criteri stabiliti con apposito regolamento.
Ad ogni modo, "il contribuente potrà valersi del diritto di fornire prova contraria, motivando e
documentando idoneamente le ragioni in base alle quali la dichiarazione di ricavi o compensi di
ammontare inferiore a quello presunto in base ai parametri può ritenersi giustificata, in relazione
alle concrete modalità di svolgimento dell'attività. Tali situazioni possono tenere conto anche delle
peculiari situazioni di mercato in cui il contribuente opera o delle modalità di espletamento
dell'attività" (C.M. 13 maggio 1996, n. 117/E, punto 6, in Pratica Professionale n. 21/1996, pag.
743).
Scritture contabili dei professionisti
L'articolo 19 del D.P.R. n. 600/1973 prevede in generale che gli esercenti arte o professione
annotino in ordine cronologico in un apposito registro le somme percepite indicando il relativo
importo, al lordo e al netto dell'eventuale rimborso spese, le generalità, il comune di residenza e
l'indirizzo del soggetto che effettua il pagamento, gli estremi della fattura, parcella o nota. Le stesse
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indicazioni devono essere riportate in riferimento agli elementi di spesa inerenti l'esercizio dell'arte
o professione.
Il professionista assolve agli obblighi suddetti ai fini Irpef mediante la tenuta di un registro detto
"degli incassi e dei pagamenti". Il regime naturale è quello della cd. "contabilità semplificata".
Il contribuente può adottare per opzione un regime di contabilità ordinaria. Questa scelta obbliga il
professionista ad istituire, previa bollatura, un diverso e particolare registro, il cd. "cronologico
delle movimentazioni finanziarie". In questo libro il contribuente deve annotare le operazioni
produttive di componenti positivi e negativi di reddito, integrate dalle movimentazioni finanziarie
inerenti l'esercizio dell'arte o professione, ancorché estranee alla sfera di attività, nonché gli estremi
dei conti correnti bancari utilizzati. Il registro cronologico ha una veste formale ben definita da un
decreto ministeriale (il D.M. 15 settembre 1990).
Con D.M. 20 dicembre 1990 è stata ammessa la possibilità di utilizzare il metodo contabile della
partita doppia per la tenuta della contabilità ordinaria da parte di un professionista. In questo caso
occorre provvedere a bollare preventivamente le scritture ausiliarie (i mastrini o partitari), salvo che
le denominazioni dei conti menzionino espressamente le intestazioni delle colonne del registro
manuale, secondo i criteri indicati nel D.M. 15 settembre 1990.
Dal tenore del quesito non è dato conoscere se la irregolarità contestata al contribuente sia solo
quella della intestazione del registro (violazione formale e a mio avviso ininfluente ove il registro
contenesse le voci previste dal citato D.M. 15 settembre 1990 e rispettasse le previsioni del
successivo D.M. 20 dicembre 1990) ovvero se altre e maggiori sono le omissioni rilevate.
Le linee di difesa
Premessa che nella fattispecie è da chiedere in via pregiudiziale la illegittimità nell'utilizzo dello
strumento dei parametri, trattandosi di un soggetto in contabilità ordinaria e non rilevando
presumibilmente l'irregolarità descritta quale legittimante il ricorso alle presunzioni di legge, resta
da vedere come impostare una difesa contro l'avviso di accertamento.
In primo luogo, consiglierei di non sottovalutare il fatto che la procedura di accertamento, nota
come parametri, può affascinare il giudice tributario per l'aurea di infallibilità e perfezione che il
richiamo a formule matematiche e ad elaborazioni statistiche porta con sé.
Si può ricordare che l'articolo 3, comma 180, della legge n. 549/1995, ha inteso rendere applicabili i
parametri soltanto fino all'approvazione degli studi di settore. Il Legislatore stesso ha riconosciuto
la natura provvisoria e la funzione di temporanea sostituzione per i parametri. In altre parole, nel
momento stesso della loro nascita la norma istitutiva ne ha riconosciuto i limiti e l'imperfezione.
Ancora, la stessa legge istitutiva, al successivo comma 185 dell'articolo 3, ha previsto la possibilità
per il contribuente di definire l'accertamento in base ai parametri ai sensi dell'articolo 2-bis del D.L.
30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modifiche, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656
(Accertamento con adesione). A tal fine, anzi, gli uffici devono inviare al contribuente una proposta
di accertamento alla quale potrà far seguito la menzionata procedura di definizione prima della
notifica dell'accertamento. Quanto sopra ad evidenziare di nuovo come il Legislatore innanzitutto, e
l'Amministrazione finanziaria in seconda battuta, si siano resi ben conto dei limiti oggettivi che
connotano la procedura di accertamento in commento. Il meccanismo di determinazione presuntivo
viene a costituire soltanto indizio, fondato e supportato quale una presunzione di legge può essere,
ma comunque presunzione semplice e non appuramento di una verità sostanziale e incontestabile.
Adeguamento ai parametri
Ai sensi del comma 188 del citato articolo 3 della legge n. 549/1995 il contribuente che non risulti
congruo ai parametri presuntivi può evitare l'accertamento incrementando i ricavi e/o i compensi in
sede di dichiarazione dei redditi ovvero i corrispettivi nella dichiarazione annuale Iva.
11
La possibilità concessa al contribuente di adeguarsi al risultato dei parametri evidenzia, a mio
avviso con immediatezza, la natura di "strumento di pressione" dell'Amministrazione finanziaria nei
confronti dei contribuenti poco "virtuosi". Se il Legislatore ritenesse i parametri, o li potesse
ritenere, strumento rivelatore senza ombra di dubbio di una evasione di materia imponibile,
prevederebbe l'irrogazione di sanzioni e la corresponsione di interessi e non invece l'adeguamento
senza oneri.
Vizio di motivazione
Parte della dottrina che si è occupata dell'argomento ha osservato che "può ritenersi, pertanto, che
nel giustificare la maggiore pretesa erariale addotta esclusivamente mediante il ricorso allo schema
matematico-statistico di cui ai decreti citati, l'atto di accertamento fondato sull'applicazione dei
paramenti si rilevi carente di motivazione" ("Difesa del contribuente dagli accertamenti fondati sui
parametri", J. Bloch e L. Sorgato, in Corriere Tributario n. 36/1999, pag. 2696).
Di diverso avviso altri autori, che giungono invece a conclusione diversa, ritenendo che "non
esistono problemi di legittimità dell'avviso di accertamento sotto l'aspetto formale" ("Motivazione
dell'atto e mezzi di difesa del contribuente", F. Forte e P. Fagiolo, in Il Fisco n. 7/2001).
A mio avviso, non ha molte possibilità di successo il contestare sic e simpliciter il difetto di
motivazione dell'atto di accertamento. Il vizio di legittimità concernente la mancata esposizione dei
motivi deve invece essere impostato in maniera più articolata.
Le risultanze dei parametri costituiscono presunzioni semplici, sia pure gravi, precise e concordanti,
avverso le quali il contribuente ha diritto di addurre qualsivoglia elemento di prova, e ciò è
opportuno che sia ribadito nella motivazione del ricorso.
Come può però il contribuente valutare e confutare l'assimilazione della sua particolare situazione a
quella media del settore o meglio l'inserimento in un determinato "cluster" che ha dato origine alla
formula matematica a lui applicabile, ovvero come può difendersi dalla pretesa dell'ufficio fondata
sui parametri?
Il contribuente, in sede di concordato o al ricevimento dell'avviso di accertamento, ha interesse a
mio avviso ad attivarsi, ai sensi della legge n. 241/1990 e della legge n. 212/2000, chiedendo
all'Ufficio di conoscere le caratteristiche del cluster di riferimento in cui è stato inserito, sì da
confrontare la propria situazione con quella tipica dei soggetti inclusi nel medesimo intervallo. Non
pervenendo, come naturale, alcuna risposta dall'Ufficio, il contribuente potrà contestare, meglio che
un generico difetto di motivazione dell'atto, una violazione o meglio una limitazione del diritto alla
difesa, stante la ermeticità assoluta dei dati utilizzati dall'Amministrazione finanziaria per elaborare
i parametri, senza che alcuna esplicitazione, sia pur richiesta, sia stata fornita.
La metodologia accertativa propria dei parametri ha natura di presunzione grave, precisa e
concordante se e a condizione che si adatti validamente alla situazione personale del contribuente
che intende rappresentare. Ove il risultato della procedura induttiva si limiti a ricostruire la
posizione fiscale del soggetto accertato (con metodi e algoritmi che solo con grande
approssimazione possono ritenersi atti a riflettere le reali capacità produttive dell'azienda o del
professionista), l'atto è contestabile in quanto non validamente fondato su un ragionamento
presuntivo.
Peculiarità dell'attività svolta
Il contribuente conosce invero quali sono le modalità di esercizio dell'attività, le peculiarità del suo
settore, della sua zona geografica, della sua collocazione commerciale, delle sue capacità tecniche e
professionali.
Tali caratteristiche personali sono fondamentali tanto più nelle attività con volume di affari ridotto,
quelle appunto soggette all'accertamento in base ai parametri. Una possibile strategia di difesa
12
diventa quindi quella di descrivere al meglio sé stessi come imprenditore e professionista,
pretendendo anzi che sia verificata la corrispondenza di queste peculiari caratteristiche con quelle
medie dei soggetti inseriti nel cluster di riferimento ai fini dell'elaborazione dei parametri. Ove
questa verifica non fosse, come non è, possibile, la domanda da porre all'Ufficio e al Giudice
tributario sarebbe: "in base a quale principio di giustizia e correttezza, in forza di quale norma può
essere ritenuta corretta una pretesa patrimoniale fondata su medie elaborate in base alle
caratteristiche di soggetti assolutamente diversi?".
Tale peculiarità e singolarità di ciascuna situazione è avvertita dallo stesso Ministero, che, da ultimo
nella circolare 14 marzo 2001, n. 25/E (in Pratica Professionale n. 14/2001, pag. 419), ha ricordato
"il contribuente può motivare e documentare idoneamente le ragioni in base alle quali la
dichiarazione dei ricavi e dei compensi di ammontare inferiore a quello presunto in base ai
parametri può ritenersi in tutto o in parte giustificata, in relazione alle concrete modalità di
svolgimento dell'attività". Fattori esterni ed interni all'azienda possono determinare una limitazione
della capacità stessa (orari, situazioni di mercato), elementi che appunto gli studi di settore cercano
di considerare.
Per il Ministero, anzi, gli studi di settore possono essere utilizzati a favore del contribuente, ove
portino a conclusioni diverse da quelle dei parametri e più favorevoli, con ciò ammettendo
nemmeno troppo velatamente le intrinseche e gravi limitazioni che i parametri hanno sin
dall'origine.
Limiti intrinseci al meccanismo presuntivo
Una limitazione intrinseca al meccanismo presuntivo in commento è quello di pretendere di
ricostruire il volume di vendite o di servizi partendo dalle voci di costo o di spesa.
Gran parte delle attività imprenditoriali o professionali sono offerte a favore di altri soggetti Iva, nei
confronti dei quali risulta impossibile non fatturare ovvero incassare in nero i corrispettivi
(pensiamo ai padroncini nel settore dell'autotrasporto ovvero ai consulenti operanti solo nei
confronti delle grandi aziende).
In questi casi il soggetto tenderà probabilmente a imputare con troppa "facilità" costi e spese
all'attività (pensiamo a carburanti e vitto), con una conseguente ripercussione sul volume di ricavi o
compensi determinato dal meccanismo dei parametri. Ciò non toglie però che nessun maggiore
ricavo o compenso è contestabile al soggetto. Il dato presunto potrebbe essere utilizzato per
contestare analiticamente i costi imputati all'attività e non per creare invece materia imponibile
inesistente. Di tale considerazione è opportuno, a mio avviso, offrire specifica annotazione.
In secondo luogo, i parametri determinano il volume di ricavi e compensi presunto a seconda del
tipo di attività, della natura e dell'importo di alcune classi di costo e di altre informazioni, tra le
quali i ricavi o i compensi dichiarati. Una variabile inserita nella funzione matematico-statistica che
elabora i ricavi o compensi sono proprio i ricavi o compensi dichiarati. Non è necessario possedere
cognizioni tecniche particolari per non vedere l'incongruenza: una variabile non può generare se
stessa. L'esempio, ormai classico, è quello di due contribuenti con identica attività, uguali
componenti di costo e volume di compensi dichiarati diversi: i parametri evidenziano per i due
soggetti due livelli di maggiori compensi. In altre parole i due contribuenti con i medesimi elementi
di costo non presentano a livello di elaborazione dei parametri lo stesso volume di ricavi o
compensi, senza che di ciò si possa comprendere il motivo.
La giurisprudenza e le medie di settore
I parametri altro non sono, come illustrato, che medie di settore particolarmente raffinate, ma i dati
medi restano. Sistemi meno sofisticati (e invero con meno pretese) sono stati da sempre di largo
13
utilizzo da parte degli organi accertatori per determinare ricarichi, percentuali di cali e sfridi, dati
statistici di vario genere e utilizzo.
L'utilizzo acritico ed automatico di tali dati è stato ampiamente confutato e disapplicato dalla
giurisprudenza dominante, per la loro inconferenza e inutilizzabilità, ammettendo al contrario per il
contribuente la possibilità di contestarli sotto il profilo della sufficienza o adeguatezza degli
elementi analizzati per la loro individuazione (vedasi tra le tante Cass. 15 febbraio 1995, n. 1628;
Cass. 2 settembre 1995, n. 9265)
Tali elementi, uniti ad un eventuale riesame dei dati indicati in dichiarazione e utilizzati dall'ufficio,
sono a mio avviso tra i principali motivi da portare a propria difesa.
Fonti normative
D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-bis
Legge 28 dicembre 1995, n. 549
D.P.C.M. 29 gennaio 1996
C.M. n. 117/E del 13 maggio 1996
C.M. n. 25/E del 14 marzo 2001
DIFESA DEL CONTRIBUENTE DAGLI
PARAMETRIPPARAMETRIARAMETRI
di Bloch John e Sorgato Luciano
in Corr. Trib. n.36/1999, pag. 2696
ACCERTAMENTI
FONDATI
SUI
Le recenti istruzioni dettate relativamente all'effettuazione dell'accertamento cosiddetto
"parametrico" pongono le premesse per l'analisi delle possibilità di resistenza, sul piano
processuale o pre - processuale, all'atto di accertamento fondato sui parametrii. A tale fine, si
esaminano la valenza probatoria dei parametri, i criteri di elaborazione degli stessi, l'eventuale
esistenza di un vizio di motivazione e, con l'ausilio di un esempio pratico, alcune incongruenze che
si possono verificare nell'applicazione dell'accertamento parametrico.
La C.M. n. 136/E del 21 giugno 1999 [1] ha dettato istruzioni in materia di effettuazione
dell'accertamento cosiddetto "parametrico", istituto introdotto per effetto dell'art. 3, commi 179 e
seguenti, legge n. 549/1995. Sono state, così, poste, da un punto di vista contingente, le premesse
per l'analisi delle possibilità di resistenza, sul piano processuale o pre-processuale, all'atto di
accertamento fondato sui parametri. parametri.
Valenza probatoria dei parametri.
L'accertamento parametrico appartiene, in sintesi estrema, al più ampio genere degli accertamenti
condotti secondo criteri di forfetizzazione, questi ultimi basati, nel caso specifico, su logichematematico-statistiche ereditate dai coefficienti presuntivi. Ai parametri
viene, peraltro,
riconosciuta, sin dall'originaria previsione legislativa, un'operatività provvisoria predefinita, in
quanto destinati a "fare da ponte" tra coefficienti presuntivi e studi di settore.
14
Trattasi, in sintesi, di moltiplicatori, determinati ad opera di appositi atti normativi secondari, da
applicarsi a dati indicatori di natura contabile, al fine di provare, in capo al contribuente accertato,
l'esistenza di gravi asimmetrie tra redditività potenziale e redditi dichiarati.
Tanto la collocazione normativa dell'accertamento parametrico tra gli accertamenti analiticoinduttivi di cui all'art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, quanto l'assenza di
qualsivoglia accenno legislativo in merito alla valenza probatoria ascrivibile all'impiego dei
parametri convergono, ai fini dell'attribuzione alle affermazioni contenute nei parametri della
valenza probatoria propria delle presunzioni cosiddette "semplici" e non, viceversa, di quelle
cosiddette "legali". In quanto tali, i paparametrir risultano aggredibili, in sede processuale,
opponendo qualsivoglia argomentazione suscettibile di ledere alla base la suggestività probatoria di
cui essi appaiono portatori, essendo ben nota la discriminante tra presunzioni semplici e presunzioni
legali. Queste ultime descrivono, in particolare, una relazione tecnica tra fatto noto e fatto dedotto,
la cui valenza probatoria abbia espressamente riscosso l'apprezzamento del legislatore, così da
vincolare il giudice tributario a recepirne il risultato inferenziale. Il contrario si verifica con
riguardo alle presunzioni semplici, la cui capacità probatoria deve rendersi manifesta attraverso
l'indagine analitica delle relative caratterizzazioni tecniche; indagine analitica, questa, tesa a
vagliare se siffatte attitudini tecniche riescano idonee a correlare criticamente, se non con un nesso
di univocità, perlomeno con un nesso accentuato di verosimiglianza, il fatto noto e il fatto che si
intende provare. In siffatte circostanze, pertanto, il giudice tributario resta libero di apprezzare il
valore probatorio che le presunzioni riescono a esprimere.
Elaborazione dei Parametri
L'art. 3, comma 184, legge 28 dicembre 1995, n. 549 ha demandato al Dipartimento delle entrate
del Ministero delle finanze l'elaborazione dei parametri, senza imporre a tale Dipartimento l'onere
di divulgare, neppure sommariamente, i procedimenti formativi dei medesimi. I procedimenti
formativi dei parametri hanno, così, trovato esteriorizzazione solo nelle note tecniche allegate al
D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e al D.P.C.M. 27 marzo 1997. In esse, siffatti procedimenti sono, così,
sinteticamente descritti:
1) identificazione di un campione di contribuenti economicamente coerente;
2) identificazione di "gruppi massimamente omogenei di contribuenti" all'interno di un'attività
economica;
3) identificazione di una funzione di ricavo e di compenso;
4) identificazione di una funzione che consenta di associare qualsiasi contribuente ad uno dei gruppi
omogenei individuati per la sua attività;
5) calcolo di un fattore di adeguamento personalizzato.
Come rilevato in dottrina [2], poiché per ciascun settore economico e voce contabile possono essere
stati elaborati più parametri, in dipendenza del numero di gruppi omogenei in cui risulta suddivisa
ciascuna categoria, il posizionamento del contribuente all'interno del cluster avviene secondo una
funzione probabilistica, predisposta in base al metodo dell'"analisi discriminante", non esplicitata
nelle citate note tecniche. Le conseguenze di detta mancata esplicitazione consistono,
conclusivamente, nel fatto che i passaggi logici sottesi alla nuova iniziativa accertativa non trovano
compiuta esteriorizzazione.
Vizio di motivazione
Dalla dottrina [3], in particolare, è stata ritenuta "non sufficiente, dal punto di vista conoscitivo,
l'indicazione dei criteri statistici che sarebbero stati seguiti nell'elaborazione dei p parametri ,
dovendosi dare conto di quali soggetti siano stati campionati e di come si sia concretamente
pervenuti al calcolo dei singoli moltiplicatori". Può ritenersi, pertanto, che nel giustificare la
15
maggiore pretesa erariale addotta esclusivamente mediante il ricorso allo schema matematicostatistico di cui ai decreti citati, l'atto di accertamento fondato sull'applicazione dei parametriametri
si riveli carente di motivazione. Per dottrina e giurisprudenza consolidate, infatti, l'obbligo di
motivazione può ritenersi pienamente assolto solo con la previa esplicitazione dell'iter logicodeduttivo che informa il ragionamento critico del verificatore. Solo la diretta e immediata
apprensibilità di siffatto ragionamento critico, infatti, può consentire al contribuente raggiunto dalle
contestazioni erariali di apprestare efficaci reazioni difensive. Laddove, nel caso in esame, la
mancata esplicitazione, da parte delle note tecniche allegate al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e al
D.P.C.M. 27 marzo 1997, di alcuni passaggi fondamentali non consente a quest'ultimo di
apprezzare pienamente i criteri di impiego dei parametri. In tale senso va valutata, altresì, la
necessità, avvertita in sede legislativa stessa, di procedere alla predisposizione e alla distribuzione
dei supporti meccanografici contenenti i relativi programmi applicativi. Come si può osservare, il
contribuente raggiunto da un atto di accertamento fondato sull'applicazione dei parametriparametri
si trova di fronte ad una sorta di motivazione costruita per relationem, con riferimento, in
particolare, alle note tecniche contenute dai citati decreti. In siffatte circostanze, come
autorevolmente affermato [4], "... appare evidente la necessità di una sufficiente informazione,
accessibile alla generalità dei contribuenti, circa i dati presi in considerazione, le regole ed i
procedimenti tecnici seguiti per determinare il contenuto dei decreti ministeriali sui quali si fondano
i singoli accertamenti. Né varrebbe obiettare che questi elementi riguardano l'eventuale illegittimità
dei decreti stessi (ad efficacia normativa, o comunque generale), come tali autonomamente
impugnabili ovvero disapplicabili, non i singoli accertamenti; infatti la conoscenza del
procedimento seguito per la determinazione dei "coefficienti" è necessaria al contribuente, non solo
ai fini dell'impugnazione o della richiesta di disapplicazione del decreto ministeriale, ove possibile,
ma anche per argomentare, nel pur limitato ambito concesso dalla legge, l'eventuale "prova
contraria" al risultato dell'accertamento". In caso di accertamento analitico-induttivo fondato
sull'applicazione dei parametrii, l'atto di accertamento, in altri termini, deve rendere noto il
processo di stima attraverso il quale è stato determinato un maggiore livello di ricavi: se tale
estrinsecazione avviene per relationem, ossia mediante il riferimento, in particolare, alle note
tecniche contenute dai citati decreti, è chiaro che le carenze, sotto tale profilo, di questi ultimi non
possono che riflettersi sull'atto di accertamento [5]. Conclusivamente, quindi, l'atto di accertamento
si presta all'invalidazione in via pregiudiziale, in quanto sprovvisto dei contenuti legali minimali
prescritti dall'art. 42, terzo comma, D.P.R. n. 600/1973.
Incongruenze dell'accertamento parametrico
Come già evidenziato, l'indagine parametrica della congruità reddituale del contribuente si fonda su
di una elaborazione matematico-statistica che deve dimostrarsi in grado di assurgere al rango di
presunzione grave, precisa e concordante, in tale senso dovendosi apprezzare la stessa collocazione
normativa dell'accertamento parametrico tra gli accertamenti analitico-induttivi di cui all'art. 39,
primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/1973.
Se si passano in rassegna le informazioni di tipo contabile che il programma ministeriale richiede al
contribuente, ci si imbatte, in particolare, in una variabile manifestamente eterogenea rispetto alle
altre e per di più immediatamente riconoscibile quale del tutto "anomala": il "ricavo contabile del
contribuente".
Trattasi, in particolare, di una variabile del tutto inidonea a partecipare con ragionevolezza al
procedimento formativo del ricavo stimato. In primo luogo, perché è di elementare assunzione che
una variabile non può generare se stessa. Se l'intera procedura è protesa all'individuazione del
ricavo congruo, è palesemente irrazionale volere introdurre nel suo schema matematico-statistico,
inquinandolo, una variabile che è esattamente identica a quella che il suo meccanismo di
16
funzionamento dovrebbe conclusivamente esprimere. In secondo luogo, perché si tratta di una
variabile manifestamente inattendibile, risentendo, con ogni ovvietà, dei tentativi di evasione posti
in essere dal contribuente. Laddove, ad ogni evidenza, l'inserimento di una variabile inattendibile in
uno schema che reagisce esclusivamente a impulsi matematico-statistici finisce per inquinare
l'intera procedura, che si dimostra complessivamente inattendibile e incapace, in quanto tale, di
pervenire ad una determinazione reddituale ragionevole.
Un esempio
é sufficiente, per rendere immediata evidenza delle precedenti considerazioni, porre a confronto due
contribuenti che, a fronte di dati contabili di costo (rilevanti ai fini dell'applicazione dei parametri)
identici, presentino dati contabili di ricavo divergenti: ad esempio, 100 per il primo e 120 per il
secondo contribuente. Siffatta divergenza in termini di "ricavi contabili" fa sì che, se si impostano,
nel caso specifico, le relative simulazioni, si ottengono determinazioni reddituali manifestamente
irragionevoli. Nei confronti del primo e del secondo contribuente, il programma applicativo
evidenzia maggiori ricavi stimati pari, per ipotesi, rispettivamente a 50 e a 40. Se i due contribuenti
reimpostano le simulazioni, introducendo, in luogo del dato originario (e a parità degli altri dati
contabili), ricavi contabili pari, rispettivamente, a 150 e a 160, entrambi vengono ridefiniti non
congrui dal programma ministeriale, che adduce ulteriori pretese in termini di maggiori ricavi
imponibili. Proseguendo la simulazione, entrambi pervengono, alfine, ad una soglia definitiva di
congruità (in termini di "ricavi contabili") pari, per ipotesi, a 200. Le ragioni di tale identità (in
termini di ricavi contabili che rendono "congruo" il contribuente) sono palesi: entrambi i
contribuenti sono in possesso degli stessi dati di costo rilevanti ai fini dell'applicazione dei
parametri e presentano, pertanto, tanto un identico potenziale produttivo, quanto un identico
potenziale reddituale. A rivestire una valenza segnaletica, al tempo stesso efficace e ragionevole,
dei ricavi effettivi del contribuente, in altri termini, sono solo i costi, mentre l'inserimento nel
meccanismo dei ricavi contabili influenza negativamente l'intero procedimento, adombrandolo sul
piano dell'inattendibilità complessiva, quanto delegittimandolo sul piano del necessario rispetto dei
principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e di uguaglianza. Se si riprende la
prima simulazione, si può, infatti, constatare come il secondo contribuente, pur avendo
contabilizzato, rispetto al primo, maggiori ricavi, finirà per adempiere ad una pretesa erariale
complessiva pari a 160 (ossia 120 + 40), superiore, pertanto, a quella, pari a 150 (ossia 100 + 50),
incontrata dal primo contribuente. Ne consegue che le affermazioni contenute nei parametriametri
finiscono per incentivare l'evasione, oltre a essere viziate di irragionevolezza e a dimostrarsi
incapaci, da sole, di assurgere, conclusivamente, al rango di presunzioni gravi, precise e
concordanti.
Note:
1 In Corr. Trib. n. 28/1999, pag. 2162 e in Banca Dati n. 8/1999, pag. 877.
2 L. Tosi, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, 1999, pag. 264. Nello stesso
senso anche C.F. Maggi e N. Miglietta, "Dubbi sulla legittimità dei criteri e dei gruppi omogenei
definiti per la determinazione dei ricavi, dei compensi e del volume d'affari", in il fisco, 1996, pag.
3993.
3 L. Tosi, op. cit.
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4 A. Fedele, "I principi costituzionali e l'accertamento tributario", in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1992, I,
pagg. 477-478. L'illustre Autore prosegue rilevando che "... a questo punto l'individuazione di un
sicuro fondamento costituzionale alle esigenze del "giusto procedimento" amministrativo, ancora
non del tutto sicura con riferimento alle norme sull'attività amministrativa (l'art. 97 della
Costituzione, ad es.) potrebbe essere agevolata dal richiamo ai principi generali sul processo.
L'attività amministrativa del controllo ed accertamento in materia fiscale si connette infatti con la
successiva fase contenziosa giurisdizionale, non solo per l'eventuale qualificazione dell'atto in
termini di provocatio ad opponendum (secondo la nota tesi del Berliri), ma anche e soprattutto
perché i risultati dell'attività amministrativa si trasfondono nel processo sia in termini di
predeterminazione degli argomenti che l'Amministrazione finanziaria potrà legittimamente addurre
in sede contenziosa, sia come materiale probatorio che non necessita di nuove rituali acquisizioni.
Sembra dunque ovvio che i fondamentali principi ispiratori della disciplina del processo debbano
essere rispettati anche nella fase amministrativa che precede e condiziona il processo medesimo. In
particolare, queste considerazioni potrebbero essere riferite alla regola del contraddittorio, la cui
necessaria applicazione alla fase amministrativa dell'accertamento potrebbe essere dedotta dalla
rilevanza che i risultati dell'accertamento stesso verranno ad assumere nel processo".
5 Sull'obbligo di motivazione in sede di accertamento induttivo, nel caso in cui l'Amministrazione
ricorra alle presunzioni avvalendosi di indici indiretti di redditività, cfr. G.F. Gaffuri,
"Considerazioni sull'accertamento tributario", in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1981, I, pagg. 532 ss.
Il Ministero smentisce “ l' infallibilità" degli studi di settore
di Michelutti Giorgio
in Corr. Trib. n. 28/2000, pag. 2017
Gli studi di settore costituiscono un metodo di accertamento induttivo e, secondo il Ministero,
tenuto conto della loro fondatezza matematico-statistica, sono assolutamente precisi; pertanto, in
base agli studi di settore si faranno accertamenti di massa. Ma, cammin facendo, sono emersi
elementi di criticità (anomalie e particolarità), riconosciuti dal Ministero stesso. Se da un lato si
auspica un ripensamento dell'impostazione iniziale (o quantomeno un prudente utilizzo), dall'altro
si evidenzia che tali elementi di criticità costituiscono una categoria privilegiata di attenuanti
specifiche in sede di concordato o di contenzioso. Non solo. Viene meno la funzione preventiva
degli studi di settore e perde di significato la facoltà di adeguamento concessa ai contribuenti.
Dalle affermazioni iniziali alla prova dei fatti
Gli studi di settore sono stati introdotti, quale metodologia di accertamento induttivo, con una vaga
e scarna norma quadro nel 1993 [1], e sono poi rimasti nel cassetto per diversi anni in attesa di
precisazioni circa i contenuti concreti.
Lo " stand-by " era dovuto alle diverse vedute dei numerosi Ministri delle finanze che in quegli anni
si erano avvicendati. All'epoca, infatti, sugli studi di settore circolavano idee contrastanti:
- chi pensava a guide elastiche per il controllo personalizzato [2];
- chi a determinazioni forfettarie di tipo catastale;
- chi, ancora, ad accertamenti di massa per mezzo del computer.
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Alla fine è prevalsa la terza via.
Ignorando le obiezioni di chi temeva contraddizioni, abusi e rigidità di un siffatto meccanismo
automatico-numerico, gli studi di settore sono stati presentati come un "sistema esperto", fondato su
metodi matematico-statistici in grado di valutare perfettamente la capacità di produrre ricavi da
parte delle singole attività economiche.
Si è sostenuto infatti che lo strumento "è sostanzialmente indiscutibile sul piano tecnico-scientifico,
perché accerta i ricavi con assoluta precisione, accerta i parametri strutturali dell'azienda
collegandoli anche alla sua localizzazione" [3].
Tale affermazione dogmatica, tuttavia, è stata più volte smentita sia dai primi esempi pratici che da
interventi normativi o interpretativi.
In questo contesto va segnalata la recente C.M. 8 giugno 2000, n. 121/E [4] che, recependo le
osservazioni più rilevanti formulate da una apposita Commissione di esperti, evidenzia tutta una
serie di particolarità ed anomalie relative agli studi di settore [5].
A detta della circolare tali anomalie non sono colte immediatamente, in via automatica, da
GE.RI.CO. (il software per la determinazione dei ricavi e dei compensi in base agli studi di settore);
solo in una fase successiva, infatti, tali anomalie devono essere recepite dagli Uffici attraverso il
contraddittorio con il contribuente nell'ambito del concordato. In altri termini, le risultanze del
software - tanto la non congruità dei ricavi, quanto l'incoerenza degli indicatori - perdono di
significatività e la corretta applicazione degli studi si potrà raggiungere, pertanto, solamente con
una "personalizzazione" in fase di contraddittorio.
Ne discendono due immediate osservazioni.
La prima, importantissima, è costituita proprio dal fatto che il programma di calcolo non è in grado,
in prima battuta, di determinare un risultato preciso, ma deve essere corretto "manualmente" in sede
di concordato. In tal modo gli studi di settore perdono sempre di più la loro funzione preventiva.
Con gli studi di settore - aveva viceversa affermato il Ministero [6] - il contribuente è in grado di
conoscere preventivamente le aspettative dell'Amministrazione finanziaria.
La seconda osservazione, stante l'approssimatività degli studi, è che la sede più idonea per il
necessario confronto con le ragioni del contribuente dovrebbe essere individuata a monte del
concordato, in un contraddittorio anticipato [7].
Gli elementi di criticità evidenziati dalla C.M. n. 121/E
Segnaliamo, di seguito, alcuni degli elementi di criticità, sia di carattere generale che settoriale,
evidenziati dalla menzionata C.M. n. 121/E del 2000, elementi che, si ribadisce, non sono colti in
via automatica dagli studi di settore [8].
1. La localizzazione dell'impresa nell'ambito del territorio comunale
Il problema era già stato sollevato dalla stampa l'anno scorso in occasione del primo anno di
applicazione degli studi [9]. Si evidenzia che tale anomalia è particolarmente rilevante per il settore
del commercio, per i bar, i ristoranti ed affini: gli esercizi che sono nel centro di una grande città,
infatti, vengono trattati dagli studi allo stesso modo dei negozi in periferia. Secondo gli esperti di
Confcommercio e Confesercenti tali effetti negativi non si fanno sentire soltanto a Roma o Milano
ma anche in città che hanno 50 o 100 mila abitanti: è decisivo che ci sia una differenza sostanziale
fra una zona e l'altra della stessa località.
2. Le condizioni di marginalità economica per le imprese condotte da un imprenditore anziano
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Tale fattore - già sollevato a suo tempo a proposito della c.d. minimum-tax - determina uno
svolgimento dell'attività secondo logiche non strettamente economiche. Per effetto di tali logiche,
l'impresa in questione si differenzia dalle altre imprese appartenenti allo stesso settore.
3. La classificazione del contribuente nell'ambito dei gruppi omogenei
In sostanza il software GE.RI.CO. potrebbe addirittura assegnare il contribuente ad un gruppo
omogeneo (c.d. cluster ) che non corrisponde alle caratteristiche aziendali del contribuente stesso,
generando anomalie. Il contribuente, preliminarmente, deve quindi procedere a tale verifica, che
sembra alquanto complessa.
4. La svalutazione (latente) nella voce "magazzino"
In determinate fattispecie, nel settore del commercio al dettaglio, il valore contabile del magazzino
(quantificato a costi), non tiene conto del deprezzamento dovuto al fenomeno moda, e quindi non
corrisponde al reale valore commerciale. Questo fatto, evidentemente, altera pesantemente il
ricarico.
5. I prezzi ed il ricarico degli esercizi commerciali in regime di concorrenza
Gli esercizi commerciali tradizionali, messi seriamente in crisi per la concorrenza della grande
distribuzione, sono costretti a praticare a loro volta una politica di prezzi al ribasso, con una
ripercussione diretta sul ricarico.
6. Il ricarico del dettagliante che vende non solo ai privati
Alcuni esercizi al dettaglio vendono - con ricarichi diversi - sia a privati che ad altri utilizzatori
professionali o ad altri esercizi commerciali. Può essere il caso del supermercato o del fruttivendolo
che vende anche a ristoranti con un ricarico sensibilmente più basso rispetto a quello realizzato con
le vendite al dettaglio effettuate nei confronti dei privati. Anche questo caso si ripercuote sul
ricarico medio.
Gli altri elementi di criticità
Le anomalie rappresentate dalla C.M. n. 121/E non costituiscono la prima smentita in ordine alla
asserita millimetrica precisione degli studi di settore.
Infatti:
- già in passato, con la C.M. 21 maggio 1999 n. 110/E, paragrafo 7, [10] erano state enucleate altre
particolarità ed anomalie: ad esempio, con riferimento agli intermediari del commercio, si era già
affermato che è doveroso tenere conto del periodo iniziale di attività del soggetto, impegnato
nell'acquisizione della clientela e che deve sopportare costi elevati;
- è stato ripetuto in svariate occasioni, che molti codici Istat, per mezzo dei quali viene assegnato a
ciascun contribuente il relativo studio di settore, non sono più rispondenti alla realtà organizzativa
delle imprese, in quanto vengono classificate separatamente attività svolte unitariamente (sia a
causa dell'evoluzione avvenuta negli ultimi anni nei comparti produttivi e dei servizi, sia per
l'entrata in vigore della recente normativa sul commercio);
-altri dubbi circa l'accertamento di massa con gli studi di settore sono venuti dal D.M. 24 dicembre
1999 [11] relativo alle modalità di annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini
dell'applicazione degli studi di settore. Non tanto per le complicazioni ivi introdotte, quanto per le
motivazioni addotte per l'introduzione del decreto: si afferma [12] infatti che 200.000-300.000
soggetti (su una platea di 1.300.000 di soggetti) non possono applicare gli studi perché "multipunto" o "pluri-attività". In altri termini, gli studi di settore "non vedono" oltre il 20 % dei
contribuenti interessati.
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Gli studi di settore non sono infallibili: l'analisi costi-benefici
Si è sicuramente infranto, così, il dogma di infallibilità di cui si erano ammantati gli studi di settore.
Riaffiora a questo punto lo scetticismo circa la scelta iniziale di fare degli studi di settore un sistema
di accertamento generalizzato.
Tanto più che l'analisi costi-benefici (che qualcuno, prima o poi, dovrà fare a proposito di questa
metodologia di accertamento) dovrà tenere conto dell'ingente costo sociale - di adempimento per il
contribuente e di amministrazione per il Fisco - circa l'elevato grado di manutenzione richiesto dagli
studi.
Basta ricordare, a tal proposito, le evidenti difficoltà per indicare, nei modelli relativi alla
dichiarazione dei redditi, i dati contabili ed extracontabili posti a base degli studi di settore. Sul
punto infierisce ancora la C.M. n. 121/E del 2000, paragrafo 2 la quale, a proposito delle istruzioni
circa i modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi, precisa
che:
- le informazioni di ciascun modello devono essere fornite anche se non sono intervenute variazioni;
- è obbligatorio compilare i modelli di comunicazione anche per le attività secondarie;
- è obbligatorio indicare, nel nuovo quadro Z, anche gli ulteriori "dati complementari"; (si tratta di
un censimento di ulteriori dati relativi all'attività svolta dal contribuente, in modo da consentire
l'eventuale revisione dello studio di settore interessato).
Un ulteriore elemento di costo sociale è costituito dalla necessità di effettuare - da parte
dell'Amministrazione finanziaria - un controllo di veridicità anche degli elementi extracontabili
rilevanti. Si segnala che tali controlli, che erano stati già svolti nell'autunno scorso in via
sperimentale [13], hanno recentemente ricevuto nuovo impulso [14].
Le implicazioni pratiche e gli elementi di criticità rilevati
Ci si chiede, a questo punto, che implicazioni pratiche possano avere gli elementi di criticità
rilevati: nessun dubbio che essi (contabilità separate, gestione dei dati extracontabili, manutenzione
dei dati, ...) debbano essere pazientemente sopportati dal contribuente che deve "adeguarsi" alle
svariate richieste dell'Amministrazione finanziaria.
Le complicazioni e le anomalie riscontrate dovrebbero indurre d'altro canto la stessa
Amministrazione ad utilizzare i risultati degli studi con la massima prudenza; sicuramente a non
utilizzare in maniera massiccia gli studi, almeno in questa prima fase della loro applicazione.
Si dovrebbero ricordare, a tal proposito, gli insegnamenti tratti dalla vicenda del redditometro che,
all'epoca delle dichiarazioni dei redditi per il 1992 (c.d. dichiarazioni lunari), era stato voluto come
strumento di accertamento "di massa", ma è stato poi drasticamente ridimensionato dai fatti (per
finire nel dimenticatoio).
Diverse considerazioni si possono muovere per le anomalie e le particolarità.
Innanzitutto si deve prendere atto che vengono meno i vantaggi e le opportunità a suo tempo
reclamizzati che presentavano lo studio di settore quale una sorta di "strumento di controllo di
gestione". Nel paragrafo 2 della C.M. 21 maggio 1999 n. 110/E, infatti, si era affermato che "lo
studio di settore costituisce un riferimento prezioso per gli imprenditori ai fini della verifica della
propria efficienza produttiva e del miglioramento della propria capacità di competere sul mercato,
fornendo criteri per orientarli nelle scelte aziendali".
La circolare appena citata evidenziava poi, quale ulteriore requisito dello studio di settore, una
funzione di trasparenza per il contribuente: si sosteneva infatti che il contribuente è in grado di
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conoscere preventivamente le aspettative dell'Amministrazione finanziaria e conseguentemente
aveva la facoltà di adeguarvisi senza sanzioni.
Ma le numerose anomalie segnalate precludono anche (e soprattutto) una tale effettiva conoscenza
preventiva.
Si pensi, per fare un esempio, al ristorante di periferia che evidenzia ricavi in misura inferiore a
quelli richiesti dagli studi. Al contribuente non è dato sapere se la non congruità è data:
- dal programma stesso che "non vede" la corretta localizzazione (e lo assimila ad un ristorante del
centro);
- da altre anomalie del programma di calcolo;
- da una cattiva gestione del ristorante rispetto alla media;
- oppure perché effettivamente il contribuente evade.
L'incertezza della situazione - la non trasparenza - comporta sicuramente che il contribuente non
usufruirà dell'istituto dell'adeguamento senza sanzioni (a meno che la differenza dei ricavi contabili
con quelli richiesti dal programma non sia proprio minima).
In sintesi, la prima conseguenza delle anomalie, è che lo studio di settore non consente, di fatto, una
conoscenza preventiva della posizione del singolo contribuente.
A cascata ne deriva:
- che lo studio di settore non può essere convenientemente utilizzato quale strumento di "controllo
di gestione" (pochi contribuenti, d'altro canto, avevano preso sul serio questa prospettazione del
Ministero);
- che l'adeguamento agli studi di settore perde di significato.
Le anomalie come circostanze attenuanti nel concordato e nel contenzioso
Va sottolineato, infine, che le anomalie evidenziate costituiscono - ed è questa la loro più
importante prerogativa - un ulteriore elemento di difesa (quali "attenuanti specifiche") per il
contribuente in sede di concordato o di contenzioso.
A tal proposito si ricorda che l'accertamento con adesione (c.d. concordato) è la sede naturale
individuata dal Ministero [15] per adeguare il risultato della applicazione degli studi alla concreta
particolare situazione dell'impresa.
In prima battuta gli Uffici invieranno ai contribuenti un invito al contraddittorio contenente gli
elementi rilevanti per l'accertamento, a tale invito risponderà - se lo ritiene - il contribuente, facendo
tesoro delle attenuanti specifiche, già suggerite dalle circolari, ed a lui riferibili; tali elementi
dovranno quindi essere valutati dagli Uffici in sede di contraddittorio.
Le anomalie e particolarità potranno essere giocate - con un maggiore "dispendio di energie" anche in sede di contenzioso.
Val la pena di ricordare, a questo punto, la natura degli studi di settore da un punto di vista
prettamente giuridico.
La prevalente dottrina [16], pur riconoscendo che la normativa è molto vaga per quanto attiene la
forza probatoria, definisce lo studio di settore quale presunzione legale a carattere relativo; al
contribuente è pertanto consentito fornire la prova contraria volta a dimostrare l'inapplicabilità della
ricostruzione induttiva nei suoi confronti a motivo della peculiarità delle condizioni di svolgimento
della sua attività, nel periodo di imposta considerato, che lo pongono al di fuori della situazione di
normalità cui hanno riguardo gli studi di settore.
22
Gli studi di settore, in altri termini, sono presunzioni legali relative, suscettibili non solo di prova
contraria in giudizio, ma anche di riesame ponderato da parte dei giudici.
Le anomalie e le particolarità evidenziate dalla circolare arricchiscono quindi la gamma delle
"circostanze attenuanti" che il singolo contribuente può e deve utilizzare in sede di concordato o di
contenzioso, costituendo una categoria particolarmente meritevole di attenzione in quanto suggerite
dallo stesso Ministero.
Note:
1 Artt. 62-bis e 62-sexies, comma 3, del D.L. n. 331/1993.
2 In tale ottica gli studi avrebbero dovuto costituire una traccia per il controllo indiretto del giro
d'affari, una sorta di promemoria per il funzionario da arricchire con il passare del tempo. Su questa
falsariga una commissione coordinata da Raffaello Lupi aveva elaborato alcune tracce sperimentali
di studi di settore. Si vedano le "Prime considerazioni e suggerimenti dalla commissione
ministeriale" in Rass. trib. n. 5/1994, pag. 759 e le schede allegate alla C.M. 4 maggio 1994, n.
44/E/II/4/108.
3 Rapporto del Fondo monetario citato dall'allora Ministro delle finanze Vincenzo Visco, in Il Sole
24-ore del 19 febbraio 1999.
4 Per approfondimenti si veda C. Nocera "Novità ed evoluzione del modello economico-statistico
per gli studi di settore", in Corr. Trib. n. 26/2000, pag. 1861 e L. Magistro "L'utilizzo degli studi di
settore in sede di accertamento", in Corr. Trib. n. 27/2000, pag. 1936.
5 Il che induce a "rimandare gli studi a settembre", così come scherzosamente suggerito da Carlo
Pino "Sassi nello stagno", in Corr. Trib. n. 25/2000, pag. 1779.
6 Si veda la C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E, paragrafo 2.
7 Sul punto la dottrina aveva osservato: "Resta senza razionale giustificazione la mancata
previsione per gli studi di settore del principio del necessario e preventivo contraddittorio (a pena di
nullità) già previsto per i coefficienti presuntivi". Baldassare Santamaria - Lineamenti di diritto
tributario - parte generale Milano - Giuffrè, 1999.
8 Si rimanda alla lettura del documento per un esame esaustivo della casistica.
9 Il Sole 24-ore del 15 e 17 luglio 1999.
10 In Corr. Trib. n. 23/1999, pag. 1750.
11 In Corr. Trib. n. 6/2000, pag. 426, con commento di C. Nocera.
12 Il Sole 24-ore del 9 dicembre 1999.
23
13 Si veda la Circolare 29 novembre 1999, prot. 386000 del Comando generale della Guardia di
finanza.
14 Si veda la recente direttiva del Ministro delle finanze del 13 giugno 2000 in Il Sole 24-ore.
15 Si veda il paragrafo 7 della C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E.
16 Enrico De Mita, Il Sole 24-ore del 7 marzo 1999; Pasquale Russo, Manuale di diritto tributario,
Giuffrè, Milano, 1996, pag. 286; Raffaelo Lupi, Manuale professionale di diritto tributario, II
edizione, IPSOA, pag. 426.
La "fallibilità" degli studi di settore
di Magistro Luigi
in Corr. Trib. n. 29/2000, pag. 2089
L' entrata a pieno regime, quest'anno, degli studi di settore ha innescato un vivace dibattito circa
l'efficacia di questo particolare strumento a rappresentare, più o meno fedelmente, la realtà delle
imprese cui lo stesso si applica. Si è parlato, al riguardo, di una originaria "infallibilità" degli
studi, smentita da recenti circolari ministeriali, con conseguenze sulla validità degli stessi, nel loro
complesso. Sul punto ci sono opinioni divergenti, basate sulle caratteristiche della procedura di
elaborazione e applicazione degli studi, che portano a ritenere lo strumento sufficientemente
valido, non solo ai fini dei futuri accertamenti, ma soprattutto per una forte azione preventiva delle
forme più patologiche di evasione dei contribuenti di minore dimensione.
Sulle pagine di questa rivista si è di recente sviluppato un vivace ed interessante dibattito intorno
agli studi di settore.
C'è chi li ha garbatamente "rimandati a settembre", prendendo spunto dalla circostanza che, come
riconosciuto dallo stesso Ministero delle finanze, talvolta alcuni studi non riescono a cogliere
perfettamente la realtà cui si riferiscono [1].
Ancora più netta l'ulteriore opinione secondo la quale l'incrinarsi di un preteso "dogma di
infallibilità" degli studi di settore avrebbe conseguenze sulla possibilità di utilizzarli nell'ambito di
un "sistema generalizzato di accertamento" [2].
Queste posizioni non ci sembrano del tutto condivisibili, per una serie articolata di ragioni.
Gli studi di settore non sono "infallibili"
In primo luogo va subito evidenziato che gli studi di settore non hanno alcuna pretesa di
infallibilità.
Anzi, è vero proprio il contrario.
In quanto elaborati attraverso una procedura matematico-statistica, essi presentano, infatti, tutti i
margini di approssimazione che connotano questo tipo di procedura, ai quali sono da aggiungere i
limiti derivanti da talune scelte discrezionalmente operate nella costruzione dei singoli studi.
Lo studio, infatti, esprime le relazioni matematiche esistenti tra dati strutturali e contabili, che
caratterizzano statisticamente il settore, e l'andamento dei ricavi.
Tutto questo, con riferimento a gruppi omogenei di contribuenti individuati, sempre su basi
statistiche, all'interno di ciascun settore.
24
Da tenere inoltre presente che le citate relazioni vengono elaborate su di un campione molto ampio
di soggetti ritenuti "normali", estratto secondo criteri stabiliti dal Ministero (dunque non statistici).
L'elaborazione è basata su un campione individuato discrezionalmente
Muovendo da quest'ultimo particolare (non sappiamo fino a che punto adeguatamente colto dai
numerosi interpreti dello strumento in parola), è agevole accorgersi che tutto si può dire degli studi,
meno che essi debbano necessariamente esprimere la posizione di tutti i contribuenti ai quali il
nuovo strumento si applica.
Un esempio può, peraltro, meglio rendere l'idea.
Si prenda lo studio SG44U relativo al comparto alberghiero, descritto nell'allegato 1 al D.M. 26
febbraio 2000.
Nell'allegato si legge che la funzione di ricavo (relazione tra ricavi e dati strutturali e contabili) è
stata determinata con riferimento ad un campione di contribuenti selezionato in base ad un unico
indice: la produttività per addetto.
La selezione è avvenuta calcolando, per ogni gruppo omogeneo, la distribuzione ventilica in base al
detto indicatore [3], procedendo quindi ad estrarre le imprese che presentavano un valore
dell'indicatore medesimo all'interno di un determinato intervallo.
Per tutti i gruppi omogenei è stato utilizzato l'intervallo compreso fra l'estremo superiore del 6í
ventile e l'estremo superiore del 19í ventile.
Appare quindi chiaro che lo studio in questione (o, per meglio dire, le relazioni tra dati
strutturali/contabili e ricavi) si riferisce ad un insieme di soggetti considerati "normali" a seguito di
una scelta discrezionale dell'Amministrazione finanziaria, per ciò solo del tutto opinabile.
Ma quello che più conta, è il fatto che la selezione nei detti termini del campione fa da sola
comprendere come sia dallo stesso studio riconosciuto che una cospicua fetta di contribuenti può
non avere niente a che vedere con la funzione matematica elaborata (quella poi applicata attraverso
GE.RI.CO. 2000) perché facente parte di quei primi 6 ventili o del 20í, esclusi dalla campionatura.
Ora, chi potrebbe mai pensare che uno studio costruito su di un campione selezionato in base al
citato criterio discrezionale debba essere "infallibile" anche per le imprese che, per loro intrinseche
modalità di gestione si discostano dal parametro, o dai parametri [4], adottati?
L'elaborazione è basata sui dati dichiarati dai contribuenti
Passando poi a considerare l'essenza degli studi di settore, vale a dire la c.d. "funzione di ricavo", si
è già ricordato come essa consista nelle relazioni individuate tra l'andamento dei dati strutturali e
contabili e quello dei ricavi.
In altre e più semplici parole, la funzione esprime in che misura si registra una variazione dei ricavi
all'aumentare o al diminuire di un dato elemento strutturale o contabile.
Anche in questo caso molti sembrano dimenticare che gli elementi strutturali e contabili, nonché i
ricavi in questione sono quelli dichiarati dai contribuenti, compresi nel campione di cui si è detto
prima.
Dato che, come si è visto, il campione si presenta notevolmente "dilatato" [5], nessuno potrà mai
pensare che quei dati, così come i ricavi, siano attendibili in sensi assoluti dato che essi risentono,
inevitabilmente, delle infedeltà dichiarative che (è forse il caso di nasconderselo?) possono avere
interessato, in misura variabile, le imprese considerate.
25
Il che porta a pensare che gli studi non siano affatto "infallibili", non solo perché possono portare ad
una sovrastima dei ricavi in danno del contribuente, ma anche perché suscettibili del contrario
effetto, a tutto discapito del Fisco.
Una buona ragione, ci sembra, perché gli stessi non debbano affatto essere considerati come
strumento generalizzato di accertamento, punto sul quale torneremo tra breve.
L'individuazione dei gruppi omogenei di appartenenza non può essere perfetta
Un'ulteriore notazione merita quella parte del meccanismo applicativo che comporta l'attribuzione a
ciascun contribuente del gruppo omogeneo di appartenenza.
Dovrebbe essere sufficientemente chiaro che questo meccanismo è stato utilizzato per rendere la
stima meno approssimativa, in quanto effettuata attraverso una funzione di ricavo elaborata su
gruppi più ristretti di contribuenti che presentassero caratteristiche per quanto possibile omogenee.
L'individuazione dei gruppi è avvenuta attraverso una tecnica statistica (la cluster analysis ) i cui
margini di approssimazione dipendono essenzialmente dagli aspetti strutturali considerati.
Pertanto, ove una impresa presenti una caratteristica strutturale assai marcata, e non considerata
nella cluster analysis , essa potrà vedersi inclusa in un gruppo omogeneo ad essa del tutto estraneo.
Al contrario, potrebbe accadere che un dato aspetto strutturale venga interpretato dalla analisi come
caratterizzante, indipendentemente dal fatto che esso connoti particolarmente l'attività esercitata.
Qualcosa del genere sembra sia accaduta per lo studio SG67U (lavanderie), dato che la C.M. n.
121/E/2000 [6] ha fatto presente che le lavanderie tradizionali e le lavasecco, laddove dichiarino di
svolgere il servizio a gettone, seppure non in modo prevalente, vengono comunque attribuite al
gruppo omogeneo delle lavanderie a gettone.
L'attribuzione ad un gruppo piuttosto che ad un altro comporta, come ben noto, una diversa stima
dei ricavi [7], il che depone, una volta ancora, per la "fallibilità" degli studi, connaturata alle
procedure adottate per la relativa elaborazione (non esistendo, riteniamo, una procedura "infallibile"
per la individuazione dei gruppi omogenei e per la attribuzione dei singoli contribuenti ai gruppi
medesimi).
Le conseguenze della "fallibilità" degli studi
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte occorre, a questo punto, soffermarsi sulle modalità di
utilizzo di questi, non certo "infallibili", studi di settore, tenendo conto delle istruzioni finora
emanate al riguardo dal Ministero delle finanze.
Va subito detto che da nessuna parte risulta affermato che gli studi possano costituire un sistema
generalizzato di accertamento, ove per tale sia da intendere una attività accertativa "a tappeto" ed
"automatizzata" nei confronti dei contribuenti non in linea con le risultanze degli studi.
Nel 1999 il Ministero, al contrario, ha avviato una specifica attività di controllo, in larga parte
demandata alla Guardia di finanza [8], volta ad appurare la veridicità degli elementi utilizzati dai
contribuenti ai fini dell'applicazione degli studi di settore ed alla esecuzione di verifiche generali
(dunque controlli approfonditi, e non accertamenti "automatizzati") nei confronti dei soggetti non
congrui.
Per il 2000, è stato poi disposto l'avvio di una specifica attività di controllo sostanziale delle
dichiarazioni, basata sugli studi di settore entrati in vigore nel 1999 (si tratta dei 45 studi approvati
con il D.M. 30 marzo 1999), e relativa prevalentemente ai contribuenti "disallineati" dalle risultanze
degli studi di settore, segnalati dal Dipartimento delle entrate (dunque riguardante anche
contribuenti "allineati", ma "incoerenti", secondo le elaborazioni del programma GE.RI.CO) [9].
26
Ora, controllo sostanziale non equivale a dire automatico accertamento nei confronti dell'impresa
controllata. Anzi, come abbiamo già avuto modo di notare su questa rivista [10], la "fallibilità" degli
studi, messa in luce dalle C.M. n. 110/E del 1999 e C.M. n. 121/E del 2000, dovrebbe indurre gli
Uffici ad una particolare cautela, tenendo conto direttamente di eventuali circostanze giustificative
già note, in termini generali (in quanto evidenziate dalle dette circolari), quando siano in concreto
idonee a spiegare eventuali scostamenti dalle risultanze degli studi, soprattutto se di lieve entità.
In secondo luogo, il controllo sostanziale, in specie per le posizioni di più marcato scostamento,
giammai dovrebbe portare ad una mera applicazione matematica dello studio. Esso dovrebbe invece
fungere da innesco per più approfondite indagini sull'attività del contribuente, non essendo,
francamente, pensabile che una evasione dell'ordine di centinaia di milioni di lire (o, addirittura, di
miliardi) possa essere adeguatamente dimostrata, pur in via presuntiva, attraverso una induzione,
per così dire, "statistica".
Le reali finalità degli studi
Dovrebbe, a questo punto, risultare chiaro che gli studi, lungi dal volere brutalmente comprimere i
sacrosanti diritti di difesa del contribuente di fronte alle pretese di un Fisco "infallibile", perseguono
invece obiettivi più realistici e, in qualche misura, anche più ambiziosi.
Essi hanno, ci pare, innanzitutto, una importantissima funzione dissuasiva.
Il fatto che frange di evasione "plateale, macroscopica, che sfida il comune buonsenso" [11]
possano essere agevolmente snidate attraverso gli studi, costituisce una novità senza precedenti nel
panorama fiscale italiano, che contribuirà, come siamo convinti stia già facendo [12], ad un
sostanziale recupero di base imponile.
Chi si ostinava a contabilizzare e dichiarare la metà dei ricavi effettivamente conseguiti ora potrà
farlo con minore disinvoltura, sapendo di poter essere facilmente scoperto grazie alla applicazione
degli studi di settore.
E dato che, come detto, queste discrasie più marcate, non possono che condurre alla verifica
approfondita [13] della posizione del contribuente, l'effetto dissuasivo dovrebbe essere ancora
maggiore di quello che potrebbe derivare ove si ritenesse che gli studi vengono meramente e
meccanicamente applicati dagli Uffici, lasciando ampi spazi di contestazione in sede contenziosa.
Diversa, invece, la situazione per le posizioni caratterizzate da scostamenti di non rilevante entità.
Per esse anche, del resto, dovrebbe avere gioco il menzionato effetto dissuasivo, dato che un
modesto scostamento dovrebbe di per se stesso suggerire una più fedele contabilizzazione dei
ricavi, onde fruire della posizione di (relativa) tranquillità sul fronte accertativo, garantita dalla
congruità rispetto alle risultanze degli studi.
Ma, allo stesso tempo, è proprio per queste posizioni che potrebbe manifestarsi quella sorta di
automatismo accertativo, tanto deprecato, che tuttavia, secondo le istruzioni impartite dal Ministero
agli Uffici dovrebbe sempre tradursi in un invito a discutere la situazione nell'ambito della
procedura del concordato. Dunque lasciando al contribuente le più ampie facoltà di dedurre
circostanze particolari, anche diverse da quelle già individuate dalla prassi amministrativa, idonee a
dimostrare che i ricavi siano stati effettivamente conseguiti in una misura diversa da quella stimata
dallo studio.
27
Ove tale misura risulti poi superiore a quella dichiarata, l'accettazione delle deduzioni da parte
dell'Ufficio consentirà una spedita definizione della vertenza, che è l'altro, fondamentale obiettivo
dell'introduzione degli studi di settore.
Note:
1 Cfr. "Sassi nello stagno" - C. Pino "Gli studi di settore ... rimandati a settembre", in Corr. Trib. n.
25/2000, pag. 1779.
2 G. Michelutti, "Il Ministero smentisce l'infallibilità degli studi di settore", in Corr. Trib. n.
28/2000, pag. 2017.
3 Dietro l'oscuro termine "distribuzione ventilica" non si cela altro che la ripartizione di tutti i
contribuenti considerati in venti gruppi di uguale numerosità, in funzione crescente rispetto
all'indice considerato. Nel caso di specie (alberghi) si avrà quindi che nei primi ventili ricadono le
imprese con più bassa produttività per addetto, ed in quelli successivi le imprese con un indice più
elevato.
4 In molti casi la selezione del campione avviene non sulla base di un solo indice (come
nell'esempio proposto) ma di più indici (rotazione del magazzino, ricarico medio, etc.).
5 Nell'esempio degli alberghi si è visto che esso considera l'intervallo compreso dall'estremo
superiore del 6° ventile all'estremo superiore del 19° ventile, il che equivale a dire il 65 per cento
dei contribuenti di ciascun gruppo omogeneo.
6 Per un'analisi della circolare, vedi C. Nocera, "Novità ed evoluzione del modello economicostatistico per gli studi di settore", in Corr. Trib. n. 26/2000, pag. 1861 e L. Magistro, "L'utilizzo
degli studi di settore in sede di accertamento", in Corr. Trib. n. 27/2000, pag. 1937.
7 Nell'esempio citato, la C.M. n. 121/E del 2000 ha evidenziato la circostanza che l'attribuzione al
gruppo omogeneo delle lavanderie a gettone ( cluster 7), porta alla determinazione di un ricavo
teorico più elevato rispetto a quello dei gruppi omogenei delle lavanderie tradizionali ( cluster 1) e
lavasecco ( cluster 2).
8 Direttiva del Ministro delle finanze, diramata il 14 giugno 1999, alla quale ha fatto seguito la
circolare 29 novembre 1999, n. 386000, del Comando Generale della Guardia di finanza.
9 C.M. 23 marzo 2000, n. 52/E, del Dipartimento delle entrate, concernente la programmazione
dell'attività di controllo e verifica per il 2000, in Corr. Trib. n. 16/2000, pag. 1173, con commento
di C. Nocera.
10 L. Magistro, "L'utilizzo degli studi di settore in sede di accertamento" cit.
11 La definizione, assai efficace, si deve a R. Lupi, in "Nuove tendenze per i controlli indiretti del
giro d'affari: quello che resta da fare", in Rass. trib., 1994, pag. 797.
28
12 E' a tutti noto il trend di crescita che dall'anno scorso sta caratterizzando il gettito delle imposte
sul reddito e dell'IVA. Una parte di tale maggior gettito è dovuta al c.d. "adeguamento spontaneo"
in sede dichiarativa agli studi di settore, ma anche, abbiamo motivo di ritenere, al c.d.
"adeguamento in corso d'anno" alle risultanze medesime, attraverso una maggiore fedeltà nella
contabilizzazione dei componenti positivi e negativi del reddito e dei corrispettivi rilevanti ai fini
dell'IVA.
13 Non si potrebbe, ci sembra, fare a meno di condurre gli approfondimenti anche attraverso il
ricorso alla acquisizione dei conti bancari che, come noto, consente di solito l'individuazione di
ampie aree di ricavi non contabilizzati (peraltro con grosse difficoltà, per il contribuente, di fornire
la prova contraria alla presunzione legale in tema di utilizzo dei dati risultanti dai conti).
Natura dei coefficienti ed onere della prova
di Ravaccia Mario
in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 5 /2004, pag. 446
Note di riferimento alla Cassazione, Sez. tributaria, Sent. 5 dicembre 2003 (5 marzo 2003), n.
19163
Il sistema dei coefficienti presuntivi prevedeva la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di
calcolare il reddito imponibile degli esercenti attività di lavoro autonomo e di impresa (in linea di
principio, con volume d'affari inferiore ai limiti stabiliti per la contabilità ordinaria) prescindendo
dalle risultanze delle scritture contabili ed avvalendosi di metodi statistici derivanti da elementi di
costo e di organizzazione dell'attività produttiva di reddito.
Il procedimento in parola iniziava necessariamente con una fase preliminare costituita da una
preventiva richiesta di chiarimenti al contribuente "interessato" dai coefficienti il quale doveva, a
sua volta, rispondere entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell'Ufficio
competente. Entro tale termine dunque il contribuente doveva fornire i motivi per cui i ricavi o i
compensi dichiarati fossero inferiori a quelli risultanti dall'applicazione dei coefficienti; tali motivi
dovevano, giusta la modifica di cui all'art. 62-quater del D.L. n. 331/1993, essere proposti in tale
sede, in quanto qualora non addotti in risposta alla richiesta di chiarimenti, non potevano essere fatti
valere in sede di impugnazione dell'avviso di accertamento.
Ora si è sempre dibattuto sulla natura dei coefficienti stessi: vale a dire se essi abbiano natura e
forza di presunzioni semplici, ex art. 2729 del codice civile (Tosi, Le predeterminazioni normative
nell'imposizione reddituale, Padova, 1999, pag. 264; Bloch - Sorgato, "Difesa del contribuente dagli
accertamenti fondati sui parametri" in Corr. Trib. n. 36/1999, pag. 2696; Mercurio, "L'accertamento
presuntivo in base ai parametri per il periodo di imposta 1995 e difesa del contribuente", in il fisco,
1996, pag. 8883; Marcheselli, "Questioni ancora attuali in materia di accertamento mediante
coefficienti presuntivi", in questa Rivista n. 7/2003, pag. 632; Marongiu, "I coefficienti presuntivi",
in il fisco n. 43/2002, pag. 6785, Id., "Coefficienti presuntivi, parametri e studi di settore", in Dir.
prat. trib., n. 5/2002; Ferrari, "Coefficienti presuntivi: illegittimi gli avvisi di accertamento emessi
da uffici delle imposte", in Corr. Trib. n. 46/1999, pag. 3437; Ravaccia, "Sulla natura dei
coefficienti presuntivi e sull'idoneità di alcuni elementi difensivi prodotti dal contribuente", in
29
questa Rivista n. 1/1999, pag. 62 e dottrina ivi riportata) ovvero se possano essere ricondotti nella
categoria delle presunzioni legali relative (iuris tantum) (in tal senso Comm. trib. prov. Rovigo,
Sez. I, 16 novembre 2001, n. 219, in Fisconline; Capolupo, "Accertamento e contabilità
inattendibile", in il fisco, 1997, pag. 17; Forte - Fagiolo, "Parametri: motivazione dell'atto e mezzi di
difesa del contribuente", ivi, 2001, pag. 2239; Magistro "Accertamenti parametrici per società di
persone e associazioni professionali", in Pratica Professionale, n. 35/2000, pag. 1007; Manca
"Parametri: presunzioni, prova contraria e contraddittorio", in il fisco, 2001, pag. 7273; Nocera,
"Parametri accertativi: un autunno di controlli su società di persone e associazioni", in Corr. Trib. n.
43/2000, pag. 2359; Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996, pag. 290).
La distinzione è di gran momento qualora si osservi come nella prima fattispecie l'onere della prova
rimane in capo all'organo accertatore, mentre nel secondo caso è il contribuente a dovere dimostrare
l'inattendibilità di tali strumenti mediante prove anche documentali.
Nel caso deciso dalla sentenza in esame l'Amministrazione finanziaria sosteneva che la procedura
dei coefficienti, resa legittima dai presupposti previsti dalla legge, comporta un automatismo
vincolante nella individuazione degli effetti dei medesimi coefficienti. In realtà i giudici aditi hanno
affermato, assimilando lo strumento dei coefficienti a quello previsto dagli studi di settore, che i
coefficienti abbiano soltanto valore indicativo, fermo restando l'obbligo dell'Amministrazione
finanziaria di valutare la situazione effettiva del contribuente, pena la violazione del principio di
capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. Orbene tali affermazioni, seppur in modo
non proprio esplicito, sembra possano delineare l'orientamento della Suprema Corte di considerare i
coefficienti presuntivi come mere presunzioni semplici da integrare a cura dell'Ufficio. Tale
conclusione però deve essere soggetta ad una più approfondita analisi sulla base di quanto segue.
Infatti tale orientamento sarebbe, in primo luogo, in contrasto con quello indicato dalla Corte
Costituzionale nella ordinanza 1° aprile 2003, n. 105, (in questa Rivista n. 7/1993, pag. 613 con
commento di Alberto Alfredo Ferrario), nella quale è stata affermata in via incidentale la natura di
presunzione semplice dei coefficienti: "a differenza dei coefficienti presuntivi, i "parametri"
prevedono un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneità probatoria è rimessa alla
valutazione del giudice di merito".
Parimenti la sentenza in commento sarebbe in contrasto con la sentenza 27 novembre 2002, n.
16771 della Suprema Corte (in questa Rivista n. 6/2003, con commento di Massimo Basilavecchia),
nella quale si ritiene che l'avviso di accertamento basato unicamente sui risultati dell'applicazione
dei coefficienti costituisce documento valido ai fini dell'inversione dell'onere della prova in capo al
contribuente.
Ciò detto, a parere di chi scrive, la sentenza in esame ha solamente "attenuato" la natura di
presunzione legale relativa dei coefficienti presuntivi senza alcuna volontà di trasformarla in
presunzione semplice; in altre parole i giudici hanno solamente segnalato la possibilità da parte
dell'Amministrazione finanziaria, in certe fattispecie di integrare il risultato dei coefficienti
presuntivi mediante ulteriori elementi anche documentali, ferma restando la validità degli stessi
nell'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente.
A fini di completezza si segnala infine come la sentenza statuisca altresì che, pur quando i
coefficienti presuntivi siano stati applicati correttamente, la prova contraria del contribuente può
essere fornita senza avere necessariamente collegamenti con dati documentali, bensì anche
mediante presunzioni che il giudice valuterà nel suo prudente apprezzamento.
30
Percentuali di ricarico e studi di settore: brevi riflessioni sulla loro convivenza ed efficacia
probatoria
di Benazzi Adriano
in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 8 /2004, pag. 785
Commento alla Commissione Tributaria Provinciale Avellino, Sez. VII, Sent. 20 novembre 2003
(25 settembre 2003), n. 96
La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino in commento riprende la sempre
attuale e viva questione dell'applicazione delle percentuali di ricarico negli schemi di
determinazione dei maggiori ricavi accertati dagli Uffici e della loro difficile convivenza con gli
studi di settore.
In particolare la sentenza in rassegna risolve in modo condivisibile la questione relativa alla valenza
presuntiva delle percentuali di ricarico quale criterio di accertamento, e ai mezzi di difesa esperibili
dal soggetto accertato.
Queste percentuali, infatti, non possono essere utilizzate in modo assolutamente asettico, senza cioè
alcuna valutazione critica, e soprattutto senza tenere in debita considerazione i risultati emergenti
dall'applicazione degli studi di settore, il cui grado di attendibilità nella determinazione del volume
dei ricavi è superiore rispetto ai valori ottenibili con procedimenti induttivi di diversa natura quali,
appunto, le percentuali di ricarico.
Il caso
Nella specie l'Agenzia delle entrate aveva rettificato i ricavi dichiarati da un esercente l'attività di
vendita al dettaglio di calzature con contratto di franchising mediante l'applicazione di percentuali
di ricarico pari all'80%, che risultavano di molto superiori rispetto a quelle che emergevano dalla
contabilità del soggetto accertato (23,5%). Di contro, il contribuente eccepiva che, negli anni a cui
si riferiva la rettifica operata dall'Ufficio, i ricavi dichiarati risultavano congrui rispetto ai valori
emergenti dall'applicazione degli studi di settore. Sulla base di queste considerazioni e
dell'apprezzamento del valore probatorio delle percentuali di ricarico la Commissione tributaria ha
accolto il ricorso del contribuente annullando l'avviso di accertamento dell'Ufficio.
Le percentuali di ricarico quale strumento di prova presuntiva
Il sempre maggiore utilizzo da parte degli uffici della procedura di rideterminazione del reddito
mediante percentuali di ricarico medie ritraibili dal settore di attività in cui opera l'impresa soggetta
a verifica rende comunque attuale la questione della validità probatoria di tale strumento di
accertamento, anche per effetto della nutrita giurisprudenza della Corte di cassazione e delle Corti
di merito a proposito di tale problema.
La causa di tale situazione deve ricercarsi in un progressivo degradare dei requisiti di gravità
precisione e concordanza che dovrebbero caratterizzare le presunzioni, in favore di metodi sempre
più empirici di accertamento, e di un meccanismo di riconoscimento del procedimento presuntivo di
prova che oscilla tra logiche di differente matrice, quasi a giustificare un tipo di presunzione di
natura tributaria sempre più autonoma e slegata dalle forme tradizionali (civilistiche e penali) che
hanno, invece, sempre connaturato gli studi in tema di presunzione applicata alla fase
dell'accertamento tributario [1]. Infatti, una presunzione basata sulle percentuali di ricarico al fine di
accertare ricavi non dichiarati non si caratterizza sicuramente per esser basata su elementi "gravi,
31
precisi e concordanti", ma solamente su logiche empiriche, di natura statistica, che assurgono a
mezzi di prova quando l'iter procedimentale posto in essere trova apprezzamento dal giudice in
quanto riproduttivo di una realtà attendibile. Ne discende, che la formula "gravi, precise e
concordanti", sembra trasformarsi in una sorta di formula cui viene attribuito un significato sempre
meno pregnante, non sussistendo alcun criterio giuridico astratto che stabilisca quando una
presunzione è particolarmente convincente. Ciò non significa che, assumendo un valore meno forte,
la non "gravità, precisione e concordanza" di una presunzione automaticamente venga legittimata
una presunzione senza fondamento e rigore logico, ma semplicemente che il processo di
qualificazione della presunzione tributaria assume sempre più connotati propri, disgiunti da quelli
tradizionalmente affrontati. Questo probabilmente deriva dal continuo spostamento dalle forme di
accertamento cosiddetto analitico-contabile, a metodi di accertamento basati su criteri che tendono a
provare l'esistenza di ricavi non dichiarati attraverso forme indirette di prova (studi di settore,
parametri, percentuali di ricarico, ecc.) [2]. D'altra parte, quando nell'accertamento induttivo si
opera il riferimento a presunzioni che non presentano i requisiti di gravità precisione e concordanza,
certamente con questa formulazione il legislatore non ha inteso attribuire dignità di prova ad una
ricostruzione induttiva del volume d'affari di pura fantasia o assolutamente irrealizzabile, ma ad un
tipo di presunzione semplice, il cui grado di attendibilità è senza dubbio affievolito rispetto a quella
caratterizzata dal concorrere dei requisiti di gravità, precisione e concordanza [3].
Requisiti delle presunzioni
E', infatti, immediatamente intuibile il diverso operare di una presunzione che non presenta i
requisiti di gravità, precisione e concordanza rispetto ad una presunzione che invece deve possedere
detti requisiti sotto il profilo della strategia difensiva. Quando la norma richiede che la presunzione
sia grave, precisa e concordante, il contribuente può limitarsi, nella difesa, ad elencare le possibili
alternative di fatto ignoto rispetto al fatto noto connesse al ragionamento logico su cui si fonda
l'argomentazione presuntiva utilizzata dall'Ufficio per provare un certo fatto. Diversamente, quando
è possibile ricorrere ad una presunzione non "grave, precisa e concordante", il minor rigore logico
richiesto all'argomentazione presuntiva obbliga il contribuente a costruire un modello di
presunzione che, partendo dal medesimo fatto noto, giunga ad un diverso fatto ignoto. E' solo di
fronte ad alternative ugualmente probabili che il giudice potrà disconoscere la presunzione utilizzata
dall'Ufficio in quanto talmente generica da non poter assurgere a prova.
Volendo tentare un inquadramento, peraltro tutt'altro che facile, dell'accertamento in base a
percentuali di ricarico, si può osservare che le predette percentuali possono essere utilizzate con
effetti diversi nel procedimento di accertamento.
Secondo autorevole dottrina [4], infatti, le percentuali di ricarico, confrontate con quelle applicate
dall'impresa sottoposta a verifica, possono invalidare una parte più o meno ampia delle scritture per
omessa registrazione di componenti positivi di reddito. Ciò comporta che ove la parte delle scritture
smentita divenga rilevante riesce inattendibile l'intera contabilità dell'impresa e si giustifica
l'utilizzo dell'accertamento induttivo.
Secondo altri [5], invece, tale argomentazione, legata ad una visione poco formalistica delle
procedura di accertamento, trova un ostacolo insormontabile nelle disposizioni in tema di
accertamento, in quanto, l'art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600/1973 prevede che solo in
presenza di una delle ipotesi tassativamente elencate sia possibile utilizzare, da parte degli uffici,
l'accertamento induttivo.
In generale si può rilevare che, secondo l'orientamento emerso in giurisprudenza, non è possibile
prendere una semplice media, relativa ad un dato settore, e successivamente traslare la predetta
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percentuale nell'ambito della singola impresa la cui attività è inquadrabile in quel particolare settore
di attività. Gli Uffici, infatti, devono preventivamente individuare tutte le caratteristiche
dell'impresa necessarie per farla considerare omogenea rispetto al settore nel quale la percentuale
media di ricarico è stata determinata. Non è sufficiente, quindi, un generico richiamo al tipo di
attività esercitata, ma è necessario procedere ad un ulteriore analisi circa la aderenza di una serie di
elementi (tipologia merceologica dei beni prodotti, qualità e quantità di beni strumentali,
dimensione dei locali in cui viene esercitata l'attività) tra l'impresa cui si intende applicare le
percentuali di ricarico e quelle che fanno parte del settore di appartenenza e da cui le percentuali
sono state ricavate. Non è inutile sottolineare, infatti, che trattandosi di valori medi, ciò sta a
significare che ciascuna realtà può discostarsi da quei valori, sia in eccesso che per difetto.
Inoltre, anche con riferimento alla singola realtà, un accertamento fondato su percentuali di ricarico
deve possedere una propria logica che sia riferibile al caso concreto connesso alla verifica. Ecco
che, allora, non sarebbe attendibile una percentuale di ricarico applicata su tutti i beni prodotti da
un'impresa quando gli stessi presentino marcate differenze di valore ovvero quando contribuiscono
in maniera differente alla formazione del volume d'affari dell'azienda sottoposta a verifica. Allo
stesso modo, non sarebbe attendibile una percentuale di ricarico che si riferisse ad una sola parte
dell'anno e non tenesse conto di periodi nei quali si registrano vendite con forti riduzioni di prezzo
(si pensi ai cosiddetti saldi di fine stagione, ecc.). Le stesse considerazioni valgono anche quando
una percentuale di ricarico venga applicata meccanicamente a più periodi d'imposta senza una
valutazione oggettiva di eventuali cause che ne possano determinare il non utilizzo in quanto le
condizioni effettive non sono tra loro assimilabili.
Presunzioni da percentuali di ricarico
In sostanza, quindi, il giudizio generale sull'ammissibilità dell'utilizzo delle percentuali di ricarico
dipenderà principalmente dal grado di diligenza con cui l'Ufficio ha costruito il meccanismo di
applicazione delle stesse.
Altro aspetto da non trascurare è l'operare della presunzione che si instaura nel momento in cui
viene fatto uso delle percentuali di ricarico. In particolare, secondo l'orientamento della Suprema
Corte, i valori percentuali medi di settore non sono qualificabili come fatto noto storicamente
verificato, "quanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei,
che fissa una regola di esperienza" [6]. Qualificandosi come regola di esperienza, e non come fatto
noto, la presunzione che scaturisce dall'utilizzo delle percentuali di ricarico conduce a ritenere
"meno frequenti i casi che più si allontanano dai valori medi, rispetto a quelli che ad essi si
avvicinassero, ancorché la media sia la risultante di valori del tutto diversi tra loro". In definitiva,
quello che richiede la Corte di cassazione nella verifica dell'utilizzabilità delle percentuali è che non
si proceda ad una presunzione da presunzione [7]: nella specie, la dimostrazione di ricavi non
dichiarati non può intervenire attraverso la sostituzione della percentuale di ricarico dichiarata dal
contribuente con quella presunta dall'Ufficio in modo assolutamente acritico e senza il confronto
con dati storicamente provati, quali, ad es., il raffronto tra i prezzi di acquisto delle merci e i prezzi
di vendita successivamente praticati, ecc.
Questo comportamento di stretta connessione tra elementi desumibili dalla contabilità e del soggetto
imprenditore e percentuali applicate in sede di accertamento, richiesto dalla Corte di legittimità per
avallare l'operato degli Uffici nell'utilizzo delle percentuali di ricarico, pare essere completamente
assente nella verifica che ha portato alla rettifica oggetto della sentenza in rassegna. Infatti, l'Ufficio
non ha tenuto in debita considerazione la circostanza che l'imprenditore esercita l'attività con
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contratto di franchising che si caratterizza, tra l'altro, per il fatto che il prezzo di vendita è imposto
dal franchisor con la conseguenza, quindi, che esula dalla libertà del venditore qualunque
determinazione circa il prezzo di vendita. Inoltre, come emerge dalla motivazione della sentenza in
rassegna, negli anni successivi a quello oggetto di verifica (1996) l'Ufficio ha ritenuto congrue le
stesse percentuali di ricarico applicate dal contribuente verificato manifestando, in questo modo, la
potenziale inattendibilità dei coefficienti asetticamente utilizzati nella verifica di un periodo
d'imposta, senza procedere ad alcuna valutazione critica circa l'attendibilità delle percentuali di
ricarico individuate per quello specifico settore dalla C.M. 5 agosto 1999, n. 175 [8] e in specie alla
loro adattabilità allo specifico caso esaminato, con riguardo ad una pluralità di elementi quali la
localizzazione territoriale dell'impresa, l'esistenza di un rapporto di franchising, ecc.
Percentuali di ricarico e congruità rispetto agli studi di settore: aspetti rilevanti ai fini
dell'accertamento
Vi è poi un ulteriore problema, non completamento affrontato dai giudici di merito della Corte di
Avellino, ma di non trascurabile rilevanza, rappresentato dalla coesistenza dell'applicazione delle
percentuali di ricarico nella rideterminazione dei ricavi e dalla contemporanea esistenza degli studi
di settore [9].
Sia le percentuali di ricarico che gli studi di settore condividono il medesimo obiettivo: consentire
agli organi preposti all'accertamento di sostenere argomentazioni presuntive volte a rettificare in
aumento i ricavi dichiarati dai soggetti sottoposti a verifica, a fronte di impianti contabili
formalmente corretti. In particolare, gli studi di settore nell'esprimere valori di coerenza - normalità
- economica servono per dimostrare che le scritture contabili, per quanto formalmente, e
apparentemente, corrette, non riportano in maniera precisa una determinata entità di ricavi. In
sostanza, attraverso gli studi di settore non si intende scardinare l'impianto contabile, ma
rideterminare il volume di ricavi attribuibile al soggetto imprenditore con metodo induttivo
attraverso l'utilizzo di strumenti statistici. Questa affermazione trova conforto nell'art. 10, comma 3,
della legge n. 146/1998, laddove si precisa che gli studi sono utilizzabili qualora emerga
l'inattendibilità della contabilità ordinaria in presenza di gravi contraddizioni o irregolarità delle
scritture obbligatorie. E non viene disattesa neppure dal secondo comma del predetto art. 10, il
quale prevede l'utilizzo degli studi di settore se in almeno due periodi d'imposta, su tre consecutivi
considerati, l'ammontare dei ricavi dichiarati risulti inferiore rispetto a quello emergente
dall'applicazione degli studi di settore. Emerge, infatti, la cautela del legislatore nell'utilizzo di un
tale strumento ai fini dell'accertamento che tende ad esprimere la valenza probabilistica dei dati
emergenti dall'interpolazione degli studi più che strumenti per l'automatica rettifica del reddito
dichiarato.
Il problema, che viene semplicemente accennato e non adeguatamente sviluppato nella parte finale
della sentenza in rassegna, è legato alla eventuale contraddittorietà dei risultati emergenti
dall'applicazione delle percentuali di ricarico rispetto a quelli emergenti dall'applicazione degli studi
di settore. In particolare, se a fronte di risultati congrui per gli studi di settore sia possibile
dimostrare, attraverso l'applicazione di percentuali di ricarico, l'esistenza di ricavi non dichiarati e
quindi procedere alla loro rettifica in aumento.
Sotto questo profilo, la risposta non può che essere negativa. Infatti, mentre le percentuali di
ricarico sono medie di esperienza ricavabili da una pluralità di dati disomogenei, gli studi di settore,
per quanto elaborazione matematico-statistica, prendono in considerazione una varietà di elementi
tali da rendere più attendibile il risultato che scaturisce dalla loro applicazione rispetto a quello delle
percentuali di ricarico. Inoltre, la valenza degli studi di settore è normativa, mentre le percentuali di
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ricarico rappresentano il risultato di regole empiriche di volta in volta utilizzate al fine di
rideterminare l'ammontare dei ricavi. Ne discende che l'accertamento fondato sull'applicazione di
percentuali di ricarico deve essere successivo rispetto alla verifica realizzata attraverso gli studi di
settore: gli Uffici, cioè, non possono non tener conto delle risultanze emergenti dagli studi di
settore, e, solo in ipotesi di inattendibilità delle scritture contabili, potranno rideterminare i ricavi
secondo il metodo induttivo che riterranno più idoneo alla corretta ricostruzione dei ricavi non
dichiarati, compreso l'utilizzo delle percentuali di ricarico [10].
Note:
1 La bibliografia in tema di presunzioni è quanto mai estesa. Senza pretesa di completezza, e
rinviando ulteriormente alle indicazioni formate nelle opere segnalate si vedano: Benvenuti,
L'istruzione del processo amministrativo, Padova, 1963, pag. 363; Comoglio, Le prove civili,
Torino, 1998; Cordopatri, "A proposito della rilevanza della prova e di giudizio di fatto", in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1974, pag. 983; Id., "Presunzione (dir. Proc. Civ.)", in Enc. del dir., vol.
XXXV, Milano, 1986, pag. 274;. De Cupis, "Sulla distinzione fra presunzioni legali assolute e
finzioni giuridiche", in Giust. civ., 1982, I, 2, pag. 1227; Fabbrini Tombari, "Il controllo di
costituzionalità sulle presunzioni legali e sugli accertamenti tecnici vincolanti della pubblica
amministrazione nella giurisprudenza della corte costituzionale", in Riv. dir. proc .civ., 1990, pag.
297 e ss; Falzea, "Fatto giuridico", in Enc. del dir., XVI, Milano, 1967, pag. 9412 e ss; Giuliani, Il
concetto di prova. Contributo alla logica giuridica, Milano, 1961; Id., Il concetto classico di prova:
la prova come argomentum, in Ius, 1960, pag. 360; Id., "Logica del diritto: teoria
dell'argomentazione", in Enc. Dir., vol. XXV, Milano, 13 e ss; Grasso, in Comm. al cod. civ. diretto
da Allorio, sub. art. 116, Torino, 1973, pag. 1319; Pastore, Giudizio, prova, ragion pratica, Milano,
1996; Satta, Commentario al c.p.c., I, Milano, 1966, pag. 468; Taruffo, La prova dei fatti giuridici,
Milano, 1992; Id., Studi sulla rilevanza della prova, Padova, 1970; Id., "Certezza e probabilità nelle
presunzioni", in Foro it., 1974, V, 89.
Per la dottrina tributaristica si vedano: Amatucci, "Prove legali, difesa giudiziaria ed effettivo
adempimento delle obbligazioni tributarie", in Scritti degli allievi offerti ad Alfonso Tesauro,
Napoli, 1968, pagg. 406 e ss.; De Mita, "Presunzioni fiscali e Costituzione", in Le presunzioni in
materia tributaria, Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 30; Della
Valle, "Le presunzioni", in L'imposta sul Valore Aggiunto, Giur. Sist. di Diritto Tributario diretta
da Tesauro, Torino, 2001, pag. 613.; Dolfin, "Prova per presunzioni e determinazione sintetica", in
Rass. trib., 1997, II, pag. 1052; Falsitta, "Appunti in tema di legittimità costituzionale delle
presunzioni fiscali", in Riv. dir. fin. sc. fin.; 1968, II, pagg. 3 e ss; Id., "Le presunzioni in materia di
imposte sui redditi", in Le presunzioni in materia tributaria, Atti del convegno di Rimini, 22-23
febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 59; Fedele, "Le presunzioni nelle imposte sulle successioni e
nell'INVIM", in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, pag. 561; Filippi, Presunzioni in materia di imposta
sul valore aggiunto, Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 77;
Gentilli, Le presunzioni nel diritto tributario, Padova, 1984, pag. 72; Glendi, "Il giudice tributario e
la prova per presunzioni", in Le presunzioni in materia tributaria, Atti del convegno di Rimini, 2223 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 157; Id., L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984; Id.,
"I poteri del giudice nell'istruttoria del processo tributario", in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, pag.
906 e ss; Id., "L'istruttoria nel nuovo processo tributario", in Dir. prat. trib., 1996, I, pag. 1117;
Granelli, "Le presunzioni nell'accertamento tributario", in Boll. trib., 1981, pag. 1652; Lupi, Metodi
induttivi e presunzioni nell'accertamento tributario, Milano, 1988; Id., "Brevi spunti su probabilità,
esperienza comune e parametri determinati nell'accertamento del reddito d'impresa", in Rass. trib.,
35
1989, II, pag. 4; Id., "Argomentazioni extracontabili e coefficienti predeterminati nell'accertamento
dei contribuenti minori", in Riv. dir. trib., 1991, I, pag. 625; Manzoni, Potere di accertamento e
tutela del contribuente, Milano, 1993; Micheli, "Le presunzioni e la frode alla legge", in Riv. dir. fin
sc. fin., 1976, pag. 4040; Mondini, "Note in tema di presunzioni fiscali e processo penale
tributario", in Dir. prat. trib., 1994, II, pag. 482; Preziosi, Il condono fiscale, Milano, 1987, pag.
326; Russo, Diritto e processo nella teoria dell'obbligazione tributaria, Milano, 1969; Id., "Processo
tributario", in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1994, pag. 792 e ss; Id., "La tutela del contribuente nel
processo sui redditi virtuali o presunti", in Riv. dir. trib., 1995, I, 1 e ss; Stevanato, "Irregolarità
nella tenuta delle scritture contabili e limiti all'accertamento induttivo", in Rass. trib., 1989, pag.
877 e ss.; Tesauro, "Prova (diritto tributario)", in Enc. dir., Agg. III, Milano, 1999, pag. 882 e ss;
Id., "L'onere della prova nel processo tributario", in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, pag. 85 e ss; Id.,
"Le presunzioni nel processo tributario", ivi, 1986, I, pag. 194 e ss.; e in Le presunzioni in materia
tributaria, Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 39; Tinelli,
"Presunzioni (Diritto tributario)", in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991; Id., "Riflessioni sulla
prova presunzioni nell'accertamento del reddito d'impresa", in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, pag.
477 e ss; Id. "Prova: V) Diritto Tributario", in Enc. giur. Treccani, XXV, 1991; Versiglioni,
"Presunzioni legali e prova del fatto ignoto nell'accertamento dell'IVA", in Riv. dir. trib., 2000, I,
pag. 139.
2 Sottolineano questo aspetto Batistoni Ferrara, "La minimum tax", in Riv. dir. trib., 1993, I, pag.
926; Ferlazzo Natoli, "Involuzione dell'accertamento tributario e acquisizione di prove", in il fisco,
1994, pag. 6949; Moschetti, "La proposta di tassazione del reddito normale: valutazioni critiche e
profili di legittimità costituzionale", in Rass. trib., 1990, I, pag. 57; Torrigiani, "Osservazioni in
tema di accertamento induttivo per coefficienti", in il fisco, 1992, pag. 5874.
3 Benazzi, "L'utilizzo del modello presuntivo quale mezzo di prova", in Corr. Trib. n. 42/2001, pag.
3161; Id., "Le presunzioni semplici quale strumento di prova nell'accertamento", in Corr. Trib. n.
1/2002, pag. 36.
4 Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell'accertamento, Milano, 1988, pagg. 236 e ss.
5 Porcaro, "L'utilizzo delle percentuali di ricarico tra violazione di legge e giudizio sul fatto", in
Riv. dir. trib., 1996, II, pag. 1027 e ss.
6 Cass., 2 settembre 1995, n. 9265, in BANCA DATI Big, IPSOA.
7 In dottrina, peraltro, si devono segnalare due diversi orientamenti sulla legittimità dell'utilizzo
della presunzione da presunzione. Sostengono, in accordo con l'orientamento della Corte di
cassazione, l'inutilizzabilità della presunzione da presunzione, tra i molti, Manzoni, Potere di
accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, pag. 211; Viotto, "Ancora una pronuncia della
Cassazione sul divieto delle presunzioni a catena", in questa Rivista n. 3/1995, pag. 168. Ritengono
invece utilizzabile la presunzione da presunzione: Lupi, "La doppia presunzione è vietata solo
quando non è convincente", in Rass. trib., 1994, pag. 1617; Id., Diritto tributario, parte generale,
1995, pag. 192, nt. 10; Porcaro, L'utilizzo delle percentuali di ricarico tra violazione di legge e
giudizio sul fatto, cit., loc. cit., pag. 1040 ss.
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8 In BANCA DATI Big, IPSOA.
9 Per quanto attiene agli studi di settore si veda: Brunello, "Gli studi di settore nel contesto della
riforma fiscale", in Gli studi di settore: primi risultati e prospettive, Atti del convegno di Bari 6
aprile 2001, in il fisco, 2001, pag. 13; Fantozzi, "Valutazione giuridica degli studi di settore", in Atti
del convegno. I nuovi studi di settore, in il fisco, 2000, pag. 39; Fazzini, "L'accertamento per
presunzioni: dai coefficienti agli studi di settore", in Rass. trib., 1996, pag. 309; Filippi, "Le imprese
minori dall'accertamento agli studi di settore, in La tassazione delle imprese minori", in il fisco,
1995, pag. 6910; Gallo, "Ancora sulla questione reddito normale - reddito effettivo: la funzione
degli studi di settore", in I nuovi studi di settore, Atti del convegno di Roma, 11 febbraio 2000, in il
fisco, 2000, pag. 39; Id., "Il dilemma reddito normale o reddito effettivo: il ruolo dell'accertamento
induttivo", in Rass. trib., 2001, pag. 659; Garbarino, "Studi di settore, concordato e nuove tipologie
di accertamento dei redditi", in Riv. dir. trib., 1997, I, pag. 87; Id., "Aspetti probatori degli studi di
settore", in Rass. trib., 2002, pag. 226; Giorgi, "L'accertamento basato su studi di settore: obbligo di
motivazione e onere della prova", in Rass. trib., 2001, pag. 659; Id., "Il controllo indiretto dei
tassisti: qualche accertamento e un'ipotesi di studio di settore", in Rass. trib., 1997, pag. 812;
Lovecchio, "Le nuove verifiche dell'amministrazione finanziaria e gli studi di settore", in Boll. trib.,
1994, pag. 749; Marongiu, "Coefficienti presuntivi, parametri e studi di settore", in Dir. prat. trib.,
2002, I, pag. 707; Pasquale, "La tipologia di accertamento in base agli studi di settore", in Gli studi
di settore: primi risultati e prospettive, cit., pag. 35; Tosi, Le predeterminazioni normative
nell'imposizione reddituale, Milano, 1999, pag. 281.
10 Anche l'Agenzia delle entrate, con la circolare 27 giugno 2002, n. 58/E, in BANCA DATI Big,
IPSOA, ha invitato gli uffici a tener conto delle risultanza degli studi di settore nell'attività di
accertamento precisando che gli Uffici potranno anche pervenire a risultati diversi rispetto a quelli
degli studi, ma in questo caso sarà necessario "che la determinazione dei maggiori ricavi o
compensi si fondi su obiettivi elementi e su una convincente ricostruzione logica ed argomentata dei
ricavi o dei compensi stessi che tenga conto delle peculiarità della posizione soggettiva sottoposta a
controllo".
Costituzionalità del redditometro e difesa contro gli studi di settore
di Marcheselli Alberto
in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 11 /2004, pag. 1018
Commento alla Corte costituzionale, Ord. 28 luglio 2004 (13 luglio 2004), n. 297
Il giudizio di costituzionalità del redditometro e degli accertamenti standardizzati in generale, e, in
particolare, degli studi di settore, rende particolarmente rilevante la questione se tali strumenti
configurino presunzioni legali o presunzioni semplici. Diverse, infatti, sono le posizioni del Fisco,
del contribuente e del giudice, rispetto a tali accertamenti, a seconda della soluzione adottata.
Motivi di ordine letterale e sistematico fanno preferire la loro configurazione come presunzione
semplice.
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L'ordinanza in commento conferma la legittimità costituzionale delle norme istitutive del cd.
redditometro e contiene alcune affermazioni di un certo rilievo, anche in ordine alle possibilità di
difesa dei contribuenti rispetto ai meccanismi accertativi standardizzati previsti in tempo
successivo, in particolare gli studi di settore.
La riserva di legge
Si ribadisce che non sarebbe violata la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. per il fatto che tale
riserva ha carattere "relativo" ed è quindi sufficiente che la legge preveda gli aspetti fondamentali
della disciplina, potendo essa essere integrata dalla fonte subordinata (i decreti che hanno
specificamente attuato il redditometro hanno previsto quali fatti valorizzare per ricostruire il reddito
e i criteri di calcolo). In effetti, non è condivisibile l'affermazione del giudice rimettente, secondo
cui la legge avrebbe lasciato che fossero i decreti attuativi a definire il presupposto dell'imposta. Il
presupposto dell'imposta è definito dalle norme del Testo Unico, ai decreti attuativi del
redditometro è rimasto il compito di integrare la disciplina specificando quali fatti materiali
potessero far presumere la disponibilità della ricchezza. I decreti, propriamente, non definiscono il
presupposto, ma individuano potenziali prove dell'esistenza del presupposto previsto dalla legge. Il
problema è allora fino a che punto la legge debba spingersi nella descrizione di tali fatti, utili alla
prova, e quanto, correlativamente, possa essere lasciato alla determinazione della fonte subordinata.
E' vero che la legge (art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973) è piuttosto generica ("con
decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità
in base alle quali l'ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in
relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto quando il
reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di
imposta"). In pratica, anzi, la definizione dei fatti indice del possesso di reddito è interamente
delegata alla fonte subordinata. E' anche vero, però, che si deve trattare di fatti o circostanze
materiali ragionevolmente indicativi del possesso di reddito. Se la ratio della riserva di legge è che
sia adeguatamente circoscritto il potere dell'organo subordinato, per tutelare i destinatari delle
norme da arbitrio, è vero che la genericità della disposizione di legge è compensata dal fatto che
l'articolo 38 non lascia mano libera all'Amministrazione, perché il potere di questa deve esercitarsi
nei limiti dei fatti che ragionevolmente costituiscono prova di reddito.
Il potere del Ministro, insomma, è tutt'altro che libero da vincoli, anche nel contenuto.
La natura della presunzione del redditometro
Questione assai interessante è semmai quella dell'individuazione della natura della presunzione
contenuta dal redditometro. Tale questione non incide solo su quella appena descritta [1], ma ha
importanti conseguenze sul diritto di difesa del contribuente.
Il quesito fondamentale è se esso costituisca una presunzione legale. Se, cioè, l'ufficio sia liberato
dall'onere della prova e non debba fornire giustificazione del suo operato diversa dalla
dimostrazione del fatto indice e dal richiamo al D.M.
Il problema è controverso. La tesi della natura di presunzione legale, fatta propria dalla sentenza in
rassegna è sostenuta, sia in dottrina [2], sia in giurisprudenza [3]. Gli argomenti utilizzati sono
letterali e sistematici.
Sul piano letterale, l'art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973 non è risolutivo, poiché si limita
a stabilire che i decreti ministeriali individueranno gli indici e coefficienti presuntivi, sulla cui base
risalire al reddito complessivo, senza dire se questo meccanismo sia o meno "rigido". I contenuti dei
decreti, per ovvie ragioni, non possono assumere un effetto decisivo, siccome privi di valore di
38
legge. Se ne potrebbe ipotizzare una efficacia di "sostegno" alla interpretazione della legge, ma la
relativa esegesi non dà risultati significativi [4].
Sul piano sistematico è necessario innanzitutto valutare il fondamento probabilistico delle
presunzioni in esame. E' impossibile "ingabbiare" in regole precostituite la varietà di combinazioni
in cui circostanze - ipoteticamente indicative del possesso di reddito - si possono presentare. Ciò è
tanto più vero, considerato che l'area dei fatti indizianti contemplati dai decreti ministeriali non è
mai stata ampia [5].
Ciò comporta alcune considerazioni. Innanzitutto, per accertare la situazione effettiva può essere
necessario tenere conto, non dei soli fatti indicati nei decreti ministeriali, ma di ogni altra
erogazione di ricchezza che incida sulla dimostrazione dell'esistenza di un reddito tassabile. La
lettera dell'art. 38 non esclude il ricorso a indici diversi da quelli contemplati nel provvedimento
ministeriale, e tale possibilità è espressamente contemplata negli stessi provvedimenti [6]. Né è
esclusa la valutazione di tutte le circostanze che, sole o combinate, possono incidere sulla
plausibilità del risultato finale: in primo luogo, per ciò che concerne il quantum di ricchezza, in
secondo luogo quanto a provenienza da reddito imponibile. Sul primo di questi aspetti incide, ad
esempio, la contemporanea presenza di più fatti indice e le caratteristiche del contribuente: ad
esempio la struttura del nucleo familiare cui esso appartenga, fino ad arrivare alle singole
propensioni, abitudini e interessi dello stesso. Sul secondo, possono interferire una diversa
provenienza della somma a disposizione: reddito sì, ma già tassato (ritenute alla fonte a titolo di
imposta, relativo a periodi precedenti), reddito esente, successioni e donazioni, smobilizzo di
capitali, mutui, tutto ciò che in sostanza non rientri nella nozione di "reddito tassabile" in quel
periodo.
Indici e coefficienti devono allora essere intesi in modo comunque "elastico", come indicazione agli
Uffici dei criteri cui attenersi, da adattare alle circostanze del caso concreto. Sia per tener conto di
altri indici, sia per l'adeguamento alle peculiarità della fattispecie.
Posta questa premessa, la soluzione del quesito sulla natura del redditometro risulta semplificata: il
carattere multiforme della realtà su cui il redditometro va ad incidere e le correlate necessità di
"adattamento" si armonizzano assai meglio con una configurazione come "catalogo" precostituito di
presunzioni semplici, da inserire nel contesto di un accertamento caso per caso.
Questa è la soluzione preferibile. Deve però riconoscersi che, sul piano della legittimità
costituzionale, sarebbe accettabile anche la soluzione opposta, fatta propria dalla sentenza in
rassegna: presunzione legale prevista dalla fonte legislativa e integrata per gli aspetti di dettaglio
dalla fonte subordinata del D.M. E' accettabile tale configurazione, a condizione che: a) gli uffici ne
facciano un uso illuminato e dinamico, adeguando di loro iniziativa l'accertamento alla realtà
concreta e valorizzando, anche per via di presunzione semplice, ogni circostanza diversa; b) sia
consentita la libera prova contraria al contribuente.
Ciò conduce all'ultimo profilo problematico dell'accertamento mediante redditometro: la ampiezza
della facoltà di prova contraria. La dizione letterale dell'art. 38 menziona, come unici temi di prova
contraria, il fatto che la ricchezza cui corrisponde l'indice sia costituita da redditi esenti o redditi
assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Sembrerebbe allora escluso di poter provare: a)
che la ricchezza presunta sussista o sussista in misura differente; b) che la ricchezza, pur sussistendo
nell'ammontare presunto, non costituisse reddito (frutto di smobilizzi patrimoniali, provento di
successioni, ecc.). La lettera di queste disposizioni è in contrasto con gli artt. 24 e 53 Cost. Non è un
caso che già nei decreti ministeriali (art. 4, comma 2) si è aggiunta, all'ipotesi del reddito esente e a
quella del reddito assoggettato a ritenuta d'imposta, quella degli "smobilizzi patrimoniali". La
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giurisprudenza e la dottrina si spingono oltre, ammettendo la libera prova, da parte del contribuente
della "inesistenza del reddito o della esistenza di un reddito minore" [7].
Gli studi di settore
La rilevanza giuridica di tali studi è disciplinata in modo ellittico. Il comma 3 dell'art. 62-sexies del
D.L. n. 331/1993 e l'art. 10 della legge n. 146/1998 stabiliscono che la rettifica del reddito (o
dell'imponibile IVA) può effettuarsi se sussistono gravi incongruenze tra ricavi, compensi o
corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili (dalle caratteristiche e dalle condizioni di
esercizio dell'attività, ovvero) dagli studi di settore.
Si ripropone l'alternativa tra presunzione legale o catalogo di presunzioni semplici. Come nel caso
del redditometro, non esiste una argomento letterale decisivo. Alcuni dati paiono però significativi.
Innanzitutto, il comma 3 dell'art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993 stabilisce che tali studi sono un
fondamento per l'accertamento in base al primo comma, lett. d), dell'art. 39 del D.P.R. n. 600/1973.
Nessun dubbio che, nell'accertamento richiamato, non si ritrovino presunzioni legali, ma, semmai,
presunzioni semplici. In secondo luogo, lo stesso testo dell'art. 62-sexies affianca gli studi a una
fonte alternativa dell'accertamento (caratteristiche e condizioni di esercizio dell'attività)
assolutamente generica e corrispondente a presunzioni semplici.
Per quanto nessuno dei due dati sia decisivo, entrambi si armonizzano meglio con la configurazione
degli studi come fonte di presunzioni semplici. Tale configurazione è, inoltre, quella più congrua
alla struttura dei dati utilizzati negli studi. Essi sono solo alcuni di quelli che possono coadiuvare la
"fotografia" delle attività economiche. Anzi, nel regime che fino ad oggi si è attuato, fa propendere
nella stessa direzione un ulteriore elemento. Allo stato, gli studi di settore sono stati elaborati sulla
base delle risposte dei contribuenti. E' fermo l'insegnamento della Corte costituzionale secondo il
quale, in tema di presunzioni legali, il fondamento probabilistico della presunzione andrebbe
agganciato a presupposti di tipo "concreto e obiettivo" [8]. E' dubbio che tale possa dirsi quello,
eminentemente soggettivo, invece, del contenuto delle "risposte" dei contribuenti. E la possibile
obiezione che, viste le naturali "ritrosie" dei contribuenti, tali dati potrebbero comunque
ragionevolmente rappresentare la misurazione di un "minimo attendibile" per la capacità
contributiva non coglierebbe nel segno. Il valore di ragionevolezza e concludenza degli strumenti di
accertamento non vale solo a garanzia del contribuente ma anche, simmetricamente, come garanzia
dell'interesse pubblico contro l'inadempimento del dovere di solidarietà. Detto in altri termini, la
configurazione come presunzione legale degli studi di settore, così come fraseggiati in questa fase
dichiaratamente transitoria, potrebbe violare gli art. 3 e 53 Cost., quanto meno dal lato dell'interesse
pubblico. Questo argomento è particolarmente suggestivo, poi, se si intende tale presunzione legale
come ostativa all'accertamento, sulla base degli stessi elementi indiziari, un "maggiore" importo
imponibile [9].
Se tutti gli argomenti fin qui esaminati o fanno propendere per la natura di presunzione semplice o
sono neutri, resta da dare conto di qualche elemento di apparente segno contrario. Si allude ad
alcuni accenni alla "prova contraria" alle risultanze degli studi di settore. In effetti, l'onere di prova
contraria si sposa, tipicamente, con presunzioni legali relative. Il comma 4 dell'art. 10 della legge n.
146/1998 prevede che gli accertamenti con studi di settore non si applicano a chi (inizia o cessa
l'attività nel periodo di imposta, ovvero) non si trova in un normale periodo di svolgimento della
attività.
L'argomentazione è chiara: se sono previste limitazioni alla prova contraria allo studio, si tratta di
presunzione legale. Neanche la disposizione appena citata però prova nulla nel senso della
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presunzione legale. Essa, infatti, prevede una esclusione dalla applicazione degli studi di settore e
non una confutazione del risultato dei medesimi [10].
La conclusione dell'insussistenza di limiti alla prova evita i dubbi sulla legittimità costituzionale del
sistema normativo, appare in linea con la lettera e la ratio delle disposizioni e, last but not least, è
stata riconosciuta dalla interpretazione ministeriale [11].
Ad avviso di chi scrive, insomma, gli studi di settore sono un catalogo di presunzioni semplici, da
armonizzare con tutti gli altri elementi a disposizione per la ricostruzione della situazione
economica del contribuente [12]. Tale configurazione appare preferibile sul piano della coerenza
sistematica e del dato letterale. Rispetto ai parametri costituzionali, la soluzione opposta
(presunzioni legali) risulta comunque accettabile, a condizione che gli studi siano effettivamente
redatti e aggiornati in modo da corrispondere a canoni di probabilità, sia riconosciuta la libera prova
contraria e gli Uffici valorizzino, anche attraverso presunzioni semplici opposte agli studi, gli
elementi offerti dal contribuente [13].
A queste condizioni, in effetti, la differenza tra la configurazione degli studi (così come i
coefficienti o il redditometro) come presunzione semplice o legale si fa sottile. Essa però esiste. Nel
caso di presunzione semplice, innanzitutto, l'ufficio deve, volta per volta, convincersi e convincere
(ergo elaborare e motivare) della plausibilità del risultato dello studio. Detto in altri termini, il vizio
dell'accertamento determinato da una motivazione stereotipa è più probabile nel caso delle
presunzioni semplici [14]. In secondo luogo, permanendo sull'Ufficio l'onere della prova, potrebbe
contestarsi che questo non ha adattato lo studio alla realtà del singolo contribuente (vuoi perché non
ha valorizzato i dati raccolti, o offerti dal contribuente [15], vuoi per non averli, a monte, acquisiti
secondo i canoni di una ulteriore ragionevole istruttoria standard). In terzo luogo, spostandosi alla
sede giudiziale, ben diversa è la portata di una presunzione legale (che vincola il giudice, senza aver
alcuno spazio il suo libero convincimento) [16] rispetto a quella della presunzione semplice. Se di
questa ultima si tratta, il Collegio giudicante deve convincersi volta per volta della plausibilità della
inferenza. Ciò può avere un effetto, in fatto, sull'esercizio della facoltà di disporre la prova in base
all'art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992. Tale integrazione ha verosimilmente uno spazio
maggiore quando si tratta di integrare una prova presuntiva debole, piuttosto che non la ricerca di
una prova contraria a una presunzione di legge vincolante. Si noti, inoltre, che la distinzione è più
netta a livello giudiziale, anche per il fatto che l'organo giudicante non si trova, rispetto alla fonte
dello studio, nella posizione di subordinazione in cui si trova l'Ufficio. E' probabile che gli Uffici
abbiano rispetto ad essi un atteggiamento più "passivo" che non l'organo giudicante. Ciò enfatizza
la differenza rispetto alla configurazione come presunzioni semplici, ove il giudice sarà vincolato
solo dalla plausibilità logica dello studio (e non anche, di fatto, ancorché ciò non sia né previsto né
doveroso, dalla subordinazione gerarchica).
Per completare l'analisi residua il problema del contraddittorio. La disciplina degli studi non
prevede l'obbligo di previo contraddittorio con il contribuente. Il previo contraddittorio è invece
imposto dalla normativa in materia di accertamento con adesione. Le indicazioni delle circolari [17]
sono univoche nello stabilire che il contraddittorio è "doveroso". In definitiva deve ritenersi che la
richiesta di chiarimenti sia il mezzo di attuazione del dovere di adeguamento dell'imposizione al
caso concreto [18]. Sorge allora un quesito: la relativa omissione determina la illegittimità
dell'accertamento? Oppure è sufficiente che il contraddittorio si attui, successivamente, in sede
giudiziale? La seconda soluzione non è condivisibile. Essa trascura che lo spostamento in avanti del
contraddittorio (meglio, dell'offerta di contraddittorio), non è affatto indifferente. La sua attuazione
costituisce infatti uno strumento: a) di acquisizione da parte dell'Ufficio di dati fondamentali per la
corretta fotografia della materia imponibile; b) di articolazione delle proprie difese da parte del
contribuente. Questa soluzione è, insomma, contraria sia al principio di "imparzialità" [19] sia a
41
quello di "buon andamento" [20] della Pubblica amministrazione. Inoltre, non è indifferente, per il
contribuente e il suo diritto di difesa, contraddire "prima" dell'avviso o, successivamente, pendenti i
termini dell'impugnazione, pur sospesi.
Note:
1 In effetti, se si tratta di presunzione legale, le preoccupazioni circa il rispetto della riserva di legge
potrebbero essere più fondate. La Corte ritiene che si tratti di presunzione legale e che la riserva sia
rispettata.
2 Perrone, "L'accertamento sintetico del reddito complessivo IRPEF", in Dir. prat. trib., 1990, I,
pag. 27 ss.
3 "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla
base dell'applicazione del cosiddetto "redditometro" dispensa l'Amministrazione Finanziaria da
qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal
redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere". Così Cass., Sez. V, 19 aprile
2001, n. 5794, in BANCA DATI Big, IPSOA.
4 Così, ad esempio, nel decreto del 1992 ci si può soffermare sugli artt. 1, 3, 4. L'art. 1 stabilisce al
comma 1 che la disponibilità dei fatti-indice "è valutata (...) secondo le modalità stabilite nel
presente decreto", per l'art. 3, comma 1, tale disponibilità "è indicativa, per il periodo di imposta, di
un valore che si ottiene in base ai criteri indicati nei successivi commi"; per l'art. 4, comma 1: "Il
valore di cui all'articolo 3 costituisce reddito complessivo netto attribuibile al contribuente". Se tutto
si esaurisse qui, l'esistenza di vincoli netti per l'Amministrazione sarebbe plausibile. A questi
elementi se ne aggiungono tuttavia altri di possibile segno opposto: l'articolo 1, comma 2, prevede
che "resta fermo l'obbligo dell'ufficio di utilizzare per la determinazione sintetica del reddito
complessivo netto anche gli elementi e le circostanze di fatto diversi da quelli menzionati nel
comma precedente"; l'art. 4, comma 1, seconda parte, prevede, inoltre, che, "tuttavia, l'ufficio può
non procedere all'accertamento qualora tale reddito sia stato determinato sulla base di uno soltanto
degli indicatori considerati dal presente decreto e risulti palesemente incongruente per eccesso con
quello determinabile sulla base di altri elementi in suo possesso o successivamente acquisiti".
Nessuno di questi precetti è decisivo per risolvere il problema, né in un senso, né nell'altro.
5 Tesauro, "L'accertamento sintetico del reddito e il redditometro", in Boll. trib., 1986, pag. 955
osserva che "l'evasore tipo (quello cioè su cui il redditometro può essere efficace) è uno strano
personaggio: particolarmente dinamico, sportivo, amante del mare e della caccia, un po' spericolato,
molto moderno ... Insomma mi pare che non ci voglia molto per dimostrare (...) che con questi
indici non si individua in modo efficace l'evasione".
6 D.M. 10 settembre 1992, art. 1, comma 2. In giurisprudenza, si è ritenuto indice valorizzabile in
tal senso l'ottenimento di credito dal sistema bancario: Cass., 30 marzo 2001, n. 4757, in BANCA
DATI Big, IPSOA.
Note:
42
7 Cass., 19 aprile 2001, n. 5794; Id., 15 dicembre 1995, n. 12843; Id., 5 novembre 1996, n. 33; Id.,
29 agosto 2000, n. 11300; tutte in BANCA DATI Big, IPSOA.
8 Le presunzioni "per poter essere considerate in armonia con il principio della capacità
contributiva sancita dall'articolo 53 Cost. debbono essere confortate da elementi concretamente
positivi che le giustifichino razionalmente". Così, Corte cost., 28 luglio 1976, n. 200 e 23 luglio
1987, n. 283. E, ancora, che "esse debbono fondarsi su indici concretamente rivelatori di ricchezza
ovvero su fatti reali, quand'anche difficilmente accertabili affinché l'imposizione non abbia una base
fittizia" (Corte cost. 26 marzo 1980, n. 42).
Note:
9 Sulla base del ragionamento che quegli indizi sono già valutati dalla legge e non è pertanto
consentito agli Uffici desumerne importi diversi.
10 Sul piano letterale, la disposizione non dice "salvo che il contribuente dimostri", bensì "gli studi
non si applicano".
11 In particolare, C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E Id., 5 luglio 1999, n. 148/E entrambe in BANCA
DATI Big, IPSOA. La seconda, in particolare, precisa che le ipotesi di esercizio non normale
indicate nella prima, sono meramente esemplificative. Giova sottolineare, tuttavia, che
l'Amministrazione, pur riconosciuta l'ampiezza della prova contraria, opina per la sussistenza di una
presunzione legale, con inversione dell'onere della prova a carico del contribuente. Secondo la
Guida interattiva 2003 agli studi (in http://www.agenziaentrate.it/settore/guida2003/index.htm),
"l'aggravamento, per il contribuente, è che si inverte l'onere della prova in quanto sarà lui a dover
dimostrare perché i suoi ricavi o compensi sono inferiori a quelli determinati con procedure i cui
risultati, dopo numerose prove ed attenta valutazione, sono stati riconosciuti attendibili e
rappresentativi dalla Commissione di esperti" (punto 17).
12 In questa impostazione, gli studi italiani presenterebbero una certa analogia con gli strumenti
delle monographies francesi, su cui si veda Lupi, "Dalla leggenda alla realtà: ecco gli studi di
settore francesi", in Rass. trib., 1994, pag. 109. Per un'altra opinione si veda Russo, "La tutela del
contribuente nel processo sui redditi virtuali o presunti: problemi generali", (Relazione al convegno
di studi organizzato dall'Università di Salerno sul tema: "Il nuovo accertamento tributario fra teoria
e processo", Salerno, 20-21 maggio 1994), in Riv. dir. trib., 1995, I, pag. 17. Per la natura di
presunzioni semplici è anche Fazzini, "L'accertamento per presunzioni: dai coefficienti agli studi di
settore", in Rass. trib., 1996, pag. 309.
13 La Guida interattiva citata a nota 11 (punto 17) afferma che "gli uffici finanziari dovranno
comunque adeguare il risultato degli studi alla concreta e particolare situazione dell'impresa o
dell'attività professionale, anche a prescindere da eventuali osservazioni formulate dal contribuente.
In ogni caso, le osservazioni formulate dai contribuenti nel corso del contraddittorio andranno
attentamente valutate e l'ufficio dovrà motivare sia l'accoglimento che il rigetto delle stesse".
14 Ancorché, entro certi limiti, il riferimento allo studio possa ammettersi anche per relationem e la
ripetizione uniforme, magari dopo il superamento del primo vaglio giurisprudenziale, possa finire
per determinare, di fatto, l'accettazione di uno standard motivazionale "pigro".
43
15 Ad esempio, Comm. trib. prov. di Avellino, 20 novembre 2003, n. 93, in questa Rivista, n.
8/2004, pag. 783, con commento di Benazzi, "Percentuali di ricarico e studi di settore: brevi
riflessioni sulla loro convivenza ed efficacia probatoria".
16 Per superare la presunzione legale sarebbe, infatti, necessaria una prova contraria. Il fatto che
essa possa derivare da una presunzione semplice e che questa possa essere determinata d'ufficio
riduce, in fatto, la rigidità del vincolo. Ma non lo annulla: il giudice tributario "deve" applicare la
presunzione legale e dimostrarne il superamento, dandone atto in motivazione.
Note:
17 La citata Guida agli Studi di settore, punti 16 e 17 ribadisce la necessità del previo
contraddittorio.
18 Dovere che esiste, sia che si assuma la natura di presunzione semplice standardizzata dello
studio, sia, quella di presunzione legale. Dovere ribadito dalle stesse circolari che opinano per la
natura di presunzione legale.
19 Che impone che la P.A., prima di provvedere, accerti diligentemente la situazione di fatto su cui
interviene, sia pure con strumenti ragionevoli e non defatigatori.
20 Che in questo settore impone, nel ragionevole utilizzo delle risorse, che si eviti l'emissione di
accertamenti "al buio", suscettibili di ragionevole modifica o ritiro alla luce degli elementi offerti
dal contribuente.
INQUADRAMENTO GIURIDICO DELL'ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE
( fonte Seac SpA )
La rettifica da parte dell'Ufficio del reddito d'impresa e di lavoro autonomo utilizzando gli studi di
settore è fondata sull'ipotesi che il risultato fornito dallo studio costituisce una valida presunzione
che soddisfa i requisiti di legge in materia di accertamento.
Come noto, l'art. 39, comma 1, letto d), secondo periodo, DPR n. 600/73, prevede che:
"l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla
base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti."
Tale disposizione si riferisce agli accertamenti c.d. analitici, nell'ambito dei quali non è necessario
che l'Ufficio prescinda dalle scritture contabili, ma è sufficiente che rettifichi i singoli componenti
reddituali. Va tuttavia considerato che la maggior parte degli accertamenti fondati sulla norma sopra
richiamata provvedono a rettificare soltanto i ricavi e i compensi mediante l'utilizzo di presunzioni
(indici di ricarico, personale impiegato nell'attività e altre modalità che sono esplicitate ad esempio
nelle c.d. metodologie di controllo predisposte dall'Amministrazione finanziaria), per cui si parla
più propriamente di accertamento analitico-presuntivo.
Tra i diversi strumenti a disposizione dell'Ufficio per la ricostruzione indiretta dei ricavi/compensi
del contribuente vi sono anche gli studi di settore, secondo quanto previsto dall'art. 62-sexies,
comma 3, DL n. 331/93 che così dispone:
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"Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), DPR n. 600/73 ...possono essere
fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi
dichiarati... e quelli fondatamente desumibili... dagli studi di settore...".
La fondatezza dell'accertamento da studi di settore, come per tutti gli atti di accertamento, va
analizzata sotto il duplice profilo:
* della motivazione, ossia del percorso logico seguito dall’Ufficio per giungere alla
ricostruzione dei ricavi conseguiti dal contribuente;
* della prova, ossia dei fatti sulla base dei quali si presume un certo ammontare di
ricavi.
Nel caso degli accertamenti da studi, la motivazione è costituita dai Decreti di approvazione degli
studi di settore, dall'indicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli stessi e infine dal
fatto che lo scostamento tra ricavo dichiarato e ricavo da studi costituisce "grave incongruenza" ai
sensi del citato art. 62-sexies.
La prova si distingue tra la prova della veridicità degli elementi indicati nello studio e la prova del
ricavo attribuibile al contribuente sulla base del calcolo di GERICO.
Il duplice aspetto della motivazione e della prova spesso tendono a confondersi ed anche con
riferimento agli studi il procedimento matematico-statistico codificato nello studio di settore
costituisce contemporaneamente la motivazione e la prova.
La veridicità degli elementi indicati su cui si fonda il calcolo e che sono comunicati dal contribuente
negli appositi modelli degli studi non costituisce di solito un aspetto problematico in quanto il
contribuente, anche in fase di contraddittorio, ha ampia facoltà di rettificare i dati posti alla base del
calcolo.
Un aspetto critico che attiene invece all'adeguata motivazione dell'avviso di accertamento è la
circostanza che sussistano le gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente
desumibili dagli studi di settore. Sull'interpretazione di tale requisito sono state avanzate due teorie
diverse:
* la prima, sposata dall'Agenzia delle Entrate, ritiene assolto il requisito di grave incongruenza al
verificarsi di qualsiasi scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi da studio di settore;
* l'altra, elaborata dalla dottrina e accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano nella
Sentenza 13.4.2005, ritiene che tale requisito non sia automaticamente verificato e debba essere
sottoposto ad una valutazione caso per caso.
LA POSIZIONE DELL' AGENZIA DELLE ENTRATE
L'Agenzia delle Entrate ha espresso la propria posizione sull'inquadramento giuridico degli studi di
settore nell'ambito della Circolare 27.6.2002, n. 58/E.
Secondo l'Agenzia la motivazione degli atti da accertamento da studi di settore si fonda sulla
metodologia utilizzata per l'elaborazione degli studi e sulle regole che disciplinano l'utilizzo degli
stessi contenute nell'art. 10, Legge n. 146/98. Ciascuno studio di settore presuppone infatti:
.una sofisticata fase di analisi per la costruzione dello stesso, codificata nelle note tecniche e
metodologiche;
.il coinvolgimento delle associazioni di categoria e l'approvazione da parte della Commissione di
esperti;
la previsione di condizioni di applicabilità, graduate in relazione agli obblighi contabili dei
contribuenti;
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.l'identificazione di cause di inapplicabilità e di esclusione nelle ipotesi in cui vi siano perplessità
sull'idoneità dello stesso a rappresentare la realtà economica analizzata.
La disciplina citata è finalizzata a garantire la sussistenza delle gravi incongruenze tra i ricavi
dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore richieste dall'art. 62-sexies, DL n. 331/93.
In particolare l'Agenzia afferma che "i gravi scostamenti non si possono considerare esistenti solo
in presenza di elevate differenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinati in base agli studi di
settore" e che "l'importo determinato in base agli studi di settore ha il valore di presunzione
relativa e in presenza delle condizioni richieste dall'art. 10 della legge 146 del 1998 può essere
senz'altro posto a base di eventuali avvisi di accertamento senza che gli uffici siano tenuti a fornire
altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della loro pretesa".
In sostanza secondo l’Agenzia delle Entrate l’incongruenza tra ricavi dichiarati e quelli da studio è
da ritenere grave in presenza di uno scostamento anche minimo.
L’Agenzia delle Entrate ritiene, infine, la propria impostazione coerente con la Sentenza della Corte
di Cassazione 27.2.2002, n. 2891, che ha affermato la possibilità di utilizzare strumenti presuntivi,
legittimati dalla prassi e valutati in sede preventiva a livello generale, come ad esempio gli studi di
settore. Per effetto dell'utilizzo di tali presunzioni relative (che ammettono la prova contraria) si
verifica un'inversione dell'onere della prova che è però da ritenere legittima in un sistema che
consente l'utilizzo di presunzioni. Quindi secondo l’ Agenzia :
La non congruità dei ricavi dichiarati costituisce grave incongruenza ex art. 62- sexies DL N.
331/93 e legittima l’accertamento analitico presuntivo.
LA SENTENZA DELLA CTP DI MILANO
Con Sentenza del 13.4.2005, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha interpretato in
maniera diametralmente opposta il requisito delle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli
calcolati da GERICO.
La pronuncia aveva per oggetto un avviso di accertamento il quale ha rettificato per l'anno 1998 il
reddito di un imprenditore in contabilità semplificata esercente l'attività di riparazione di
autoveicoli.
Nella motivazione dell'avviso di accertamento l'Ufficio ha richiamato esclusivamente la circostanza
che i ricavi dichiarati erano inferiori a quelli risultanti dagli studi. Successivamente i maggiori
ricavi indicati nell'avviso di accertamento erano stati ridotti in sede di contraddittorio con l'Ufficio a
seguito agli elementi addotti dal contribuente (grave patologia personale che non avrebbe consentito
di svolgere normalmente l'attività lavorativa).
La Commissione Tributaria, annullando per carenza di motivazione l'avviso di accertamento, ha
affermato che:
o l’art. 62-sexies, D.L. n. 331/93 richiede l'esistenza di gravi incongruenze e non
soltanto che l'ammontare dei ricavi da studi risulti superiore a quello dichiarato;
o nell'avviso di accertamento non è sufficiente l'indicazione dei maggiori ricavi
derivanti dagli studi ma deve essere affermata e motivata l'esistenza delle "gravi
incongruenze";
46
o per la sussistenza di gravi incongruenze l'importo dei ricavi non dichiarati rispetto a
quelli determinati presuntivamente non dovrebbe essere inferiore al 25-30%.
In sintesi i giudici tributari hanno affermato che il mancato raggiungimento della congruità da parte
del contribuente non integra il requisito delle "gravi incongruenze" richiesto dalla norma e che
l'avviso di accertamento emesso dall'Ufficio non è pertanto sufficientemente motivato.
L'interpretazione accolta dalla Commissione di Milano era già stata formulata da una parte della
dottrina secondo la quale non è sufficiente la dichiarazione di ricavi inferiori a quelli da studi perché
sia integrato il requisito delle "gravi incongruenze" ma la verifica della sussistenza dello stesso va
sottoposta alla valutazione del giudice caso per caso. Quindi :
La non congruità dei ricavi dichiarati non costituisce grave incongruenza ex art.62
sexies,DL 331/93 e l’accertamento analitico presuntivo non è sufficientemente
motivato.
In conclusione, pur segnando un punto a favore dei contribuenti, va evidenziato che nella Sentenza
della CTP di Milano in esame appare dubbia l'individuazione di una precisa soglia al di sopra della
quale sarebbe soddisfatto il requisito delle "gravi incongruenze" ..
Riteniamo utile chiudere questo Capitolo riportando l’orientamento più recente della Suprema Corte
LA MASSIMA
L'applicazione delle percentuali di ricarico non deve essere compiuta in base ad una astratta
redditività, senza tener conto della documentazione esistente relativa a costi e ricavi, e senza tener
conto che il ricorrente, nel caso deciso, nei periodi di imposta accertati era già in liquidazione, per
cui la redditività specifica va ulteriormente provata dall'Ufficio accertatore, non essendo in
proposito sufficienti le ipotesi formulate dagli studi di settore, i quali hanno valenza di prova
presuntiva, suscettibile di prova contraria, nell'ambito di un accertamento induttivo, collegata
tuttavia a criteri di ragionevolezza in relazione al caso concreto.
( Cassazione, Sezione tributaria, Sentenza 14 ottobre 2005 (27 giugno 2005), n. 19955 –)
LA MASSIMA
Ai fini dell'accertamento di un maggior reddito d'impresa non basta il solo rilievo dell'applicazione
da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante dagli studi di
settore. Questo metodo di verifica, tuttavia, è valido quando dalla dichiarazione risulti qualche
elemento ulteriore che incide sull' attendibilità complessiva della dichiarazione stessa. Ne consegue
che non è legittima. la presunzione di ricavi maggiori di quelli denunciati, fondati sul raffronto tra
prezzi di acquisto e di rivendita operato su alcuni articoli anziché sull'intero inventario delle merci.
Né può considerarsi valido il ricorso al sistema della media semplice, anziché di quella ponderale,
quando tra i vari tipi di merce esiste una notevole differenza di valore. il metodo induttivo, in
sostanza, è valido quando. ricorrono circostanze gravi, precise e concordanti e le percentuali di
ricarico
ipotizzate
sono
frutto
di
un
adeguato
ragionamento.
( Cass. N. 26388 del 05/12/2005 )
47
ACCERTAMENTO
REGOLE DELL'ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE FINO AL 2003
Fino al 2003 l'accertamento da studi di settore era fondato sulle seguenti regole:
SOGGETTO
ACCERTAMENTO STUDI DI SETTORE
Î
Per ciascun periodo d’imposta in cui risultano
non congrue
Imprese in contabilità
ordinaria per opzione
Î
Se per due anni, anche non consecutivi, su tre
risultano non congrue
Per ciascun periodo d’imposta se viene
riscontrata l’inattendibilità della contabilità
Imprese in contabilità
ordinaria per obbligo
Î
Per ciascun periodo d’imposta solo se viene
riscontrata l’inattendibilità della contabilità
Î
Se per due anni, anche non consecutivi, su tre
risultano non congrui
Per ciascun periodo d’imposta, se in contabilità
ordinaria e viene riscontrata l’inattendibilità della
contabilità
Imprese in contabilità
semplificata
Lavoratori autonomi
Si rammenta che in aggiunta alle citate regole, non sono soggetti all’accertamento da
studi di settore i contribuenti nei confronti dei quali l’applicazione degli stessi è
sperimentale, ossia:
♦ ♦
i lavoratori autonomi;
♦ ♦
le imprese che applicano GERICO Annotazione Separata.
( fonte : SEAC SPA )
REGOLE DELL'ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE DAL 2004
SOGGETTO
ACCERTAMENTO STUDI DI SETTORE
Imprese in contabilità
semplificata
Art. 10, comma
Per ciascun periodo d’imposta in
1, Legge n.
cui risultano non congrue
146/98
Î
48
Imprese in contabilità
ordinaria (per obbligo
o per opzione)
Lavoratori autonomi
Î
Se per due anni, anche non
consecutivi, su tre risultano non
congrue
Per ciascun periodo d’imposta:
Art. 10, commi
• se viene riscontrata
2 e 3, Legge n.
l’inattendibilità della contabilità
146/98
• se vi sono significative incoerenze
negli specifici indici previsti da un
apposito Provvedimento
dell’Agenzia delle Entrate
Î
Se per due anni, anche non
consecutivi, su tre risultano non
congrui
Art. 10, commi
Per ciascun periodo d’imposta, se 2 e 3, Legge n.
in contabilità ordinaria e viene 146/98
riscontrata
l’inattendibilità
della
contabilità
ULTERIORE ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO
A seguito delle modifiche introdotte dalla Finanziaria 2005 all’art. 70, Legge n. 342/2000,
sono aumentate le possibilità per l’Ufficio di effettuare ulteriori accertamenti con
riferimento alle annualità che sono state oggetto di accertamento da studi di settore. Infatti,
ora, è previsto che l’Ufficio può:
• effettuare ulteriori accertamenti anche sulla medesima categoria reddituale (reddito
d’impresa o di lavoro autonomo) già oggetto di rettifica. In precedenza l’accertamento
poteva essere effettuato solo sulle altre categorie reddituali;
• emettere un ulteriore avviso di accertamento, relativamente all’annualità definita con la
procedura dell’accertamento con adesione, anche in assenza di sopravvenuti
elementi e senza considerare la soglia minima di accertabilità prevista dal D.Lgs.
n. 218/97 (maggior reddito da
accertare superiore al 50% di quello definito e comunque non inferiore a €
77.468,53).
( fonte : SEAC SPA )
Val la pena di evidenziare che i contribuenti
ordinari per obbligo sono interessati
all’accertamento da studi dal 2004 ma devono verificare l’eventuale congruità del 2002 e
2003 come riassuntivamente di seguito esposto :
Accertament
o 2004
2002
2003
2004
NON CONGRUO
CONGRUO
NON CONGRUO
Î
SI
CONGRUO
NON CONGRUO
CONGRUO
Î
NO
49
CONGRUO
NON CONGRUO
NON CONGRUO
Î
SI
CONGRUO
CONGRUO
NON CONGRUO
Î
NO
NON CONGRUO
NON CONGRUO
NON CONGRUO
Î
SI
CONGRUO
CONGRUO
CONGRUO
Î
NO
( fonte : SEAC SPA )
Indici di natura economica, finanziaria e patrimoniale :
La novella introdotta dalla Finanziaria 2005 prevede che indipendentemente dalle
circostanze sopra evidenziate vi sia un’ulteriore possibilità di accertamento quando “
emergano significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica,
finanziaria o patrimoniale individuati con apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia
delle Entrate.” Al riguardo Vi invitiamo a leggere la Circolare n. 32/E del 21.6.2005, punti
5.1 e 5.2 .-
50
ACCERTAMENTO CON ADESIONE
L’art. 10 della legge 146/98 prescrive :
“ 1] Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all' articolo 62-sexies del decreto-legge 30
agosto 1993, n. 331 , convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono
effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d'imposta pari a dodici mesi e con le modalità
di cui al presente articolo.
[2] Nei confronti degli esercenti attività d'impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per
effetto di opzione, e degli esercenti arti e professioni, la disposizione del comma 1 trova
applicazione quando in almeno due periodi d'imposta su tre consecutivi considerati, compreso
quello da accertare, l'ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di
settore risulta superiore all'ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi
periodi di imposta. La disposizione del comma 1 trova applicazione in ogni caso nei confronti degli
esercenti attività d'impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, quando
emergono significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o
patrimoniale, individuati con apposito provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate,
sentito il parere della commissione di esperti di cui al comma 7 (comma così sostituito [1] dall'art.
1, comma 409, lettera a), Legge 30 dicembre 2004, n. 311) .
[3] Indipendentemente da quanto previsto al comma 2, nei confronti dei contribuenti in regime di
contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, l'ufficio procede ai sensi del comma 1 quando dal
verbale di ispezione, redatto ai sensi dell' articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600 , e successive modificazioni, risulta motivata l'inattendibilità della
contabilità ordinaria in presenza di gravi contraddizioni o l'irregolarità delle scritture obbligatorie
ovvero tra esse e i dati e gli elementi direttamente rilevati in base ai criteri stabiliti con il decreto del
Presidente della Repubblica 16 settembre 1996, n. 570 .
[3-bis] Nelle ipotesi di cui ai commi 2 e 3 l'ufficio, prima della notifica dell'avviso di
accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell' articolo 5 del decreto legislativo
19 giugno 1997, n. 218 (comma aggiunto dall'art. 1, comma 409, lettera b), Legge 30 dicembre
2004, n. 311) “ .
Dunque l’accertamento con adesione diviene obbligatorio ed in ordine alla procedura
specifica si rinvia alla lettura della Circolare N. n. 32/E dell’Agenzia delle Entrate ed alle “
Brevi note in materia di Accertamento con Adesione “ edito dal Collegio dei Ragionieri di
Brescia a cura di Eugenio Vitello.
51
Qui sia sufficiente ricordare che, come ben evidenziato nella Circolare SEAC Spa n. 170
del 19.07.2005 la Finanziaria 2005 modificando sia il comma 1, sia il comma 2 dell’art. 70,
Legge n. 342/2000 ha ampliato notevolmente a favore dell’Amministrazione le possibilità
di “ritornare” sul reddito accertato sulla base degli studi, compresa l’ipotesi in cui il maggior
reddito sia stato definito con la procedura di accertamento con adesione.
In primo luogo, a seguito della modifica del comma 1, l’accertamento da studi non
pregiudica l’ulteriore azione accertatrice con riferimento alla stessa categoria di reddito
accertata sulla base dello studio di settore.
La modifica del comma 2 consente all’Ufficio di rettificare nuovamente il reddito oggetto di
adesione indipendentemente dalla conoscenza di nuovi elementi e dai limiti previsti
dal D. Lgs. n. 218/97 in termini di maggior reddito accertato.
In pratica, secondo le nuove regole, a seguito di un accertamento da studi di settore
successivamente perfezionato con la procedura dell’adesione, l’Ufficio potrà emettere un
nuovo avviso di accertamento;
1.
con riferimento allo stesso periodo d’imposta;
2.
rettificando la medesima oppure altre categorie reddituali;
3.
indipendentemente dal fatto che i nuovi elementi su cui si basa la nuova
rettifica siano venuti a conoscenza dell’Ufficio o fossero dallo stesso
conoscibili prima della notifica dell’accertamento o della chiusura del
procedimento di adesione;
4.
indipendentemente dall’ammontare del maggior reddito accertato.
Secondo quanto precisato dalla Circolare n. 32/E, anche in tal caso le predette novità si
applicano agli accertamenti effettuati a decorrere dall’1.1.2005, ancorché riferiti ad
annualità precedenti.
Si rammenta infine che analoghe modifiche hanno riguardato anche l’ulteriore attività
accertatrice a seguito dell’accertamento effettuato con i parametri.„
In ordine al contraddittorio riportiamo il parere del dr. Sorgato :
IL CONTRADITTORIO
L'invio degli inviti al contraddittorio per i soggetti sottoposti agli studi di settore pone al
contribuente un problema di scelte.
52
A fronte della lettera del Fisco il soggetto si trova davanti a due strade: la prima opzione può essere
quella di ignorare quanto richiesto e attendere l'avviso di accertamento; la seconda, invece, può
essere quella di fornire all'ufficio elementi per dimostrare i motivi per i quali non è possibile fare un
accertamento da studio di settore nei propri confronti.
Le principali ragioni che il contribuente può utilizzare nel contraddittorio :
1. Errori materiali compiuti nel trasferimento di dati all'Agenzia
2. Errori materiali del contribuente nella redazione della dichiarazione
3. Sussistenza di una causa di esclusione o di non applicabilità degli studi
4. Caratteristiche dell'attività diverse da quelle del Cluster al quale è stata associata l'impresa
5. Incapacità dello studio di cogliere la localizzazione dell'impresa nel Comune
6. Incapacità dello studio di cogliere la realtà in cui opera l'impresa
7. Esistenza di ragioni economiche (per esempio crisi di settore) che giustificano lo
scostamento .-
./.
./.
./.
A questo punto ci avviciniamo alla chiusura del percorso proposto giacché in casi di
esito negativo della procedura dell’accertamento con adesione, non resta che
l’acquiescenza all’accertamento o il ricorso al contenzioso.
Dobbiamo, quindi, chiederci come difendersi e quale strategia adottare. Al riguardo torna
utile riproporre una memoria stesa dal dr. P. Meneghetti , spesso relatore nei Convegni in
terra bresciana, nonché proporre una
bozza di ricorso da presentare
alla C.T.P.
competente con l’ovvia considerazione che essa rappresenta una traccia propedeutica al
successivo lavoro dei Colleghi.
53
Le possibili strategie difensive in materia di accertamenti da parametri e studi di
settore
La manovra della Finanziaria 2005, L.311/04, in materia di ampliamento dell’ambito di
efficacia degli accertamenti da studi di settore rende sempre piu’ interessante valutare che
strategie
difensivi
sono
proponibili
dal
contribuente
che
si
veda
assoggettato
all’accertamento analitico induttivo. In questo contesto, in cui si registra una sorta di
accerchiamento
del
contribuente
tramite
l’intensificazione
dello
strumento
dell’accertamento parziale, ma soprattutto tramite l’estensione della platea dei contribuente
accertabili con gli studi di settore , e’ evidente che una strategia difensiva dovra’ articolarsi
su piu’ argomentazioni tenendo conto delle recenti pronunce della giurisprudenza della
suprema corte che hanno sostanzialmente avallato l’utilizzo dell’accertamento con studi o
parametri.
Alla luce di queste premesse un’ ipotetico ricorso avverso l’accertamento con studi o
parametri potrebbe muovere da tre diverse argomentazioni che di seguito vengono
approfondite.
L’accertamento parametrico e il DPCM 29.01.96
Una prima questione riguarda esclusivamente gli accertamenti da parametri e puo’ essere
azionata come una sorta di pregiudiziale alle ulteriori motivazioni che vedremo
successivamente.
La questione oggetto di possibile contestazione e’ l’utilizzo del provvedimento “ Decreto del
Presidente
del
Consiglio
dei
Ministri”
quale
strumento
idoneo
a
regolamentare
l’accertamento con parametri, tramite il quale si disciplina una prestazione patrimoniale
d’imposta richiesta al contribuente.
Come e’ noto la norma che istituisce l’accertamento parametrico e’ la L. 549/95, articolo 3,
comma 1811, che al successivo comma 186 recita : “I parametri di cui al comma 184 sono
1
Fino alla approvazione degli studi di settore, gli accertamenti di cui all' articolo 39, primo comma, lettera d), del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , e successive modificazioni, possono essere effettuati, senza
pregiudizio della ulteriore azione accertatrice con riferimento alle medesime o alle altre categorie reddituali, nonche con
riferimento ad ulteriori operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ( cosi come da modificato dall’articolo
1, comma 407 della L. 311/04 n.d.r.), utilizzando i parametri di cui al comma 184 del presente articolo ai fini della
determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d'affari Le disposizioni di cui ai commi da 179 a 189 del
presente articolo si applicano nei confronti:.
a) dei soggetti diversi da quelli indicati nell' articolo 87 del testo unico delle imposte sui redditi , approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che si avvalgono della disciplina di cui all' articolo 79 del
54
approvati con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle
finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge”.
Pertanto la norma istitutiva demanda la attuazione pratica dell’accertamento parametrico
allo strumento legislativo del DPCM, delega che e’ stata attuata con il DPCM 29 gennaio
1996, poi modificato con il DPCM 27 Marzo 1997. Ebbene e’ con questo provvedimento che
l’accertamento parametrico passa dalla statuizione di principi generali alla elaborazione di
disposizioni operative che permettono di pervenire ai ricavi o compensi minimi. In specie gli
articoli 4 e 5 del citato decreto si interessano delle variabili delle imprese e degli esercenti
arti o professioni, statuendo cio’ che e’ rilevante nel calcolo soppesando alcuni componenti
patrimoniali o reddituali da cui si evincono i ricavi o compensi in linea con lo strumento
induttivo.
La scelta di questo strumento e’ stata oggetto di critiche da parte di alcune commissioni
tributarie provinciali tra cui quella di Torino2 sulla base della valutazione di idoneità di un
DPCM, assunto senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, a disciplinare delle
disposizioni che incidono sulla generalità dei contribuenti. Sul punto e’ essenziale
riprendere la differenza tra “regolamento” ed “atto amministrativo generale” che viene
fornita dall’articolo 17 della L. 400/1988, anche sulla base del commento predisposto dalla
Corte di Cassazione3 che afferma : “
Come è noto, i caratteri che, sul piano del contenuto sostanziale, valgono a differenziare i
regolamenti dagli atti e provvedimenti amministrativi generali, vanno individuati in ciò, che
questi ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono
diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità
di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili; i
regolamenti,
invece,
sono
espressione
di
una
potestà
normativa
attribuita
medesimo testo unico e degli esercenti arti e professioni che abbiano conseguito, nel periodo di imposta precedente,
compensi per un ammontare non superiore a 360 milioni di lire e che non abbiano optato per il regime ordinario di
contabilità ;.
b) degli esercenti attività d'impresa o arti e professioni in contabilità ordinaria quando dal verbale di ispezione redatto ai
sensi dell' articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , risulti l'inattendibilità della
contabilità ordinaria Con regolamento [37] da emanare con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo
17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge;
sono stabiliti i criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile in presenza di gravi contraddizioni
o irregolarità delle scritture obbligatorie ovvero tra esse e i dati e gli elementi direttamente rilevati [38]
2
Cfr. CTP Torino, sentenza n. 26 del 26.06.2001
55
all'Amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto
tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma
ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti che
presentano, appunto, i caratteri della generalità e dell'astrattezza, intesi essenzialmente
come ripetibilità nel tempo dell'applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti
cui si riferiscono”.
Cio’ che emerge e’ che il provvedimento in questione certamente e’ destinato certamente
alla seconda tipologia sopra richiamata, proprio per i suoi caratteri di astrattezza e non
determinabilita’ dei soggetti cui si riferisce. Tale aspetto rende dovuto recepire
prioritariamente il parere del Consiglio di Stato, parere che viceversa non e’ stato affatto
recepito dal DPCM 29 gennaio 1996, ragione per la quale la Commissione di Torino, tra le
altre, ha dichiarato illegittimo l’intero accertamento che su quel provvedimento e’ basato.
Inoltre sono state avanzate dalla Commissione tributaria provinciale di Catania quattro
ordinanze alla Corte Costituzionale aventi come oggetto il sospetto di incostituzionalità
dell’articolo 3 commi 181 e seguenti della L. 549/95 nella misura in cui delegano
l’emanazione delle regole attuative dell’accertamento parametrico ad un provvedimento di
rango inferiore rispetto alla legge. In ciò sarebbe violato l’articolo 23 della Costituzione che
riserva alla sola legge ( e non provvedimenti di rango inferiore) il potere di disciplinare
prestazioni patrimoniali d’imposta.
Ora, generalmente, si ritiene che le argomentazioni difensive insite nella motivazioni delle
sentenze delle Commissioni di Catania e Torino, siano state superate da una recente
sentenza della Corte Costituzionale4,
che ha dichiarato manifestamente infondata
l’eccezione di incostituzionalità proposta dalla CTP di Catania affermando che “ … il
rimettente mostra di ignorare che la riserva di legge di cui all’art. 23 ….pone al legislatore
l’unico obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e
linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa”. Cioè in pratica, la norma
dell’articolo 3
Legge 549/95 avrebbe sufficientemente delineato i criteri generali
dell’accertamento potendo poi legittimamente delegare ad un provvedimento di rango
inferiore l’ indicazione di regole attuative.
Ma il punto e’ che nemmeno la citata sentenza della Consulta ha affrontato compiutamente il
problema sollevato dalla Commissione di Torino, e cioè non tanto che sia stato violato il
principio di riserva di legge a cagione del fatto che un provvedimento di rango inferiore
rispetto alla legge ha disciplinato una prestazione patrimoniale d’imposta, bensì se il DPCM
3
Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 10124 del 28.11.1994
56
29.01.96, in quanto “regolamento” non sia illegittimo poiché assunto in assenza del parere
preventivo del Consiglio di Stato. Sulla sussistenza della questione anche successivamente
alla sentenza della Consulta si pronuncia anche un efficace commento dottrinario alla stessa
sentenza , rimarcando che e’ ancora inesplorata la vicenda circa l’idoneità del DPCM
29.01.96 a disciplinare la fase attuativa dell’accertamento parametrico5 .
Con ciò a concludere che, a parere di chi scrive, l’eccezione posta dalla CTP di Torino, solo
apparentemente ha perso incisività a seguito della pronuncia della Consulta, poiché
criticando non tanto la legittimità di delegare ad uno strumento di rango inferiore la
attuazione di principi legislativi, ma contestando il tipo di provvedimento adottato a tal fine,
rimane argomentazione ancora spendibile quale pregiudiziale rispetto alle successive ragioni
di doglianza da parte del contribuente.
La corretta interpretazione dell’articolo 62 sexies del D.L. 331/93
Con questa seconda argomentazione si entra nel vivo degli accertamenti con gli studi di
settore valutando se l’ermeneutica di fonte ministeriale dell’articolo 62 sexies del D.L. 331/93
sia l’unica proponibile. Come e’ noto la norma succitata e’ alla base dell’accertamento con gli
studi di settore, ma la sua stesura letterale abilita piu’ di una interpretazione, con
conseguenze rilevanti sotto il profilo del contenzioso.
In questa disposizione si afferma che gli accertamenti analitico induttivi di cui all’articolo 39,
comma 1, lett. d) del DPR 600/73 ( cioè quelli che poggiano su presunzioni semplici purché
gravi precise e concordanti)
“ .. possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi
incongruenze desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta,
ovvero dagli studi di settore..”
Il punto fondamentale nella lettura della disposizione e’ interrogarsi sul significato della
locuzione “gravi incongruenze”, se cioè un mero scostamento tra i ricavi dichiarati sia idoneo
a motivare l’accertamento ( facendo gravare sul contribuente l’onere di provare
l’inapplicabilità degli studi al suo caso specifico), ovvero se ciò non sia sufficiente, poiché un
mero scostamento non necessariamente realizza una grave incongruenza ( facendo quindi
gravare sull’Agenzia delle Entrate l’onere di provare, con altri elementi, che la presunzione di
cui all’articolo 39 raggiunge lo status di gravità, precisione e concordanza).
4
Cfr. Corte Costituzionale, sent. 105 del 1.4.2003
La sentenza della Cnsulta e’ stata pubblicata sul Bollettino Tributario n. 21 del 2003 con una nota della Prof. Talia
Sciarra in cui si afferma “ … basta aver chiarito che la Corte con la sentenza in esame non ha ritenuto necessario dirci (
perche non le e’ stato richiesto, e quindi il rilievo non vuole essere una critica ma solo una puntualizzazione) se i
DD.P.C.M sono un atto amministrativo generale o un regolamento (atipico) per il quale e’ stato omesso il parere ( e
quindi il controllo) del Consiglio di Stato ( e per questo forse almeno in parte illegittimi).
5
57
L’interpretazione del passaggio normativo non e’ univoca. Si possono riassumere tre
posizioni ermeneutiche che vengono di seguito esposte.
1) La tesi dell’Agenzia dell’Entrate :
Secondo l’Agenzia il mero scostamento e’ già in se’ motivo sufficiente per eseguire
l’accertamento, o detto altrimenti, il mero scostamento tra ricavi dichiarati e quelli elaborati
dagli studi configura gia’ una presunzione grave precisa e concordante. La tesi trova
riscontro in varie pronunce di prassi, tra cui la C.M. 48 del 26.08.2003 in cui si afferma che
: “In virtù di tale disposizione ( art. 62 sexies D.L. 331 ndr) costituisce presunzione "grave,
precisa e concordante", su cui fondare l'accertamento in questione, lo scostamento dei
ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli attribuibili al contribuente sulla base dello
studio di settore approvato per la specifica attività svolta.”.
E’ chiaro che in forza di tale interpretazione l’Agenzia potrebbe limitarsi a riscontrare la
mera differenza tra ricavi dichiarati e quelli elaborati da GE. RI .CO utilizzando questo
unico elemento quale motivazione dell’avviso d’accertamento.
Va altresi segnalato che a supporto di questa interpretazione si e’ proposta , da parte di
alcuni commentatori, la seguente osservazione. L’agenzia delle Entrate avrebbe a
disposizione una scelta alternativa: o dimostrare la sussistenza di gravi incongruenze tra i
ricavi dichiarati e quelli fondamenti desumibili in relazione all’attività svolta, ovvero
utilizzare gli studi di settore.
Ora, a prescindere dalla esposizione delle altre tesi interpretative di cui infra, va osservato
che
l’interpretazione suesposta non appare condivisibile, oltre che per ragioni
sistematiche, anche semplicemente in base alla lettera del citato articolo 62 sexies del D.L.
331/93, comma 3.
Il dato testuale , infatti, smentisce che la locuzione “gravi incongruenze”, regga solo il
successivo passaggio “ ..ricavi fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalla
condizioni di esercizio della specifica attività svolta”, poiché se così fosse, il passaggio
normativo che segue non sarebbe retto dalla preposizione “ dagli” studi di settore. Invece
la presenza di tale preposizione autorizza un sola interpretazione letterale, e cioè che la
locuzione “ ovvero dagli studi di settore” sia retta dalla precedente locuzione “ e quelli
fondatamente desumibili dalle...”. Diversamente se si volesse far dipendere la locuzione “
studi di settore” con la precedente “ possono essere fondati “ ( costruzione sintattica
proposta dalle lettura dottrinaria favorevole alla tesi dell’Agenzia delle Entrate) i termini
studi di settore sarebbe preceduti dalla preposizione “sugli” .
58
Ciò per sostenere che la corretta lettura del piu’ volte citato passaggio normativo non può
che essere la seguente:
L’agenzia delle Entrate ha sì due alternative, ma non sono quelle precedentemente citate :
da una parte può fondare l’accertamento sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi
dichiarati e quelli fondatamente desumibili in relazione all’attività svolta, dall’altra lo può
altresì fondare in base a gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente
desumibili dagli studi di settore.
2) Una possibile diversa interpretazione dottrinaria :
Il passaggio normativo dell’articolo 62 sexies ha stimolato anche diverse interpretazioni
dottrinarie sulla base delle quali possono essere fondati ricorsi avverso l’accertamento
unicamente motivato dal mero scostamento tra ricavi dichiarati e quelli da studi di settore.
Vi e’ chi ha sostenuto6 che, pur dando atto che gli accertamenti eseguiti con gli studi di
settore raggiungono già lo status di presunzione grave precisa e concordante, la
sussistenza della locuzione “ gravi incongruenze” rende necessario verificare se la mera
differenza tra i ricavi ( o compensi) dichiarati e quelli da studi si presenti o meno come “
grave” e, in assenza di tale requisito, sarebbe annullabile l’accertamento per difetto di
motivazione.
Passando a situazioni concrete l’autrice propone, ad esempio, che non sia accertabile un
soggetto che raggiunge la soglia di ricavi ( o compensi) minimi e non già, invece, quella di
ricavi puntuali, ovvero colui che dichiara ricavi o compensi leggermente inferiori a quelli
minimi sia escluso dalla portata dell’articolo 62 sexies proprio perché non si e’ di fronte ad
una grave incongruenza.
La tesi esposta e’ suggestiva, anche perché ormai da tempo l’Agenzia delle Entrate mostra
di non tenere in nessun conto il raggiungimento della soglia di ricavi minimi rispetto al
target di quelli puntuali, quale elemento che ponga il contribuente in una posizione diversa
da colui che e’ ben lontano dal raggiungimento anche dei ricavi minimi.
3) La tesi piu’ favorevole al contribuente :
Una terza posizione interpretativa e’ ricavabile dall’articolo 62 sexies: si tratta di quella piu’
favorevole al contribuente, in base alla quale il mero dato matematico di differenza tra i
ricavi dichiarati e quelli da studi non sarebbe mai elemento sufficiente a motivare
l’accertamento e, pertanto, l’Ufficio dovrebbe attivarsi a supportare lo scostamento con
elementi probatori ulteriori, di modo che sia raggiunto lo status di presunzione grave
6
Cfr. A.MILITERNO, Studi di settore e accertamento sintetico- profili difensivi, in La Circolare Tributaria
Euroconference, n. 37 del 4.10.04
59
precisa e concordante. Questa tesi ha trovato supporto in una serie piuttosto nutrita di
sentenza delle Commissioni Tributarie Provinciali7 , tra le quali preme citare da ultima la
CTP di Macerata,
8
che e’ stata assunta successivamente alla emanazione di due
sentenze ( Cassazione e Corte Costituzionale) che generalmente vengono citate quali
conferma della tesi ministeriale. Ciò significa che anche dopo quelle pronunce la questione
circa l’individuazione del soggetto su cui grava l’onere della prova ( se il contribuente
ovvero l’amministrazione) e’ ancora lontano da una conclusione. La massima della
pronuncia della CTP di Macerata e’ indicativa in tal senso “ La presunzione a favore
dell’Ufficio, espressa dagli studi di settore, e’ una presunzione semplice. Essa non esonera
dall’obbligo di motivazione e di specificare gli elementi, almeno prevalenti, d’incoerenza e
incongruenza, non è perciò sufficiente un semplice rinvio per relationem agli studi di
settore”.
E’ chiaro che questo passaggio può essere enfatizzato in qualunque ricorso avverso avvisi
di accertamento che siano fondati sulla mera differenza matematica tra risultato degli studi
e ricavi dichiarati.
Le argomentazioni difensive “ tarate” sulla posizione soggettiva del contribuente
E’ di tutta evidenza come sarebbe rischioso limitarsi, in un ipotetico ricorso, ad eccepire la
nullità dell’accertamento per difetto di motivazione, senza entrare nel merito della
controversia analizzando la posizione soggettiva del contribuente.
Pertanto un ulteriore serie di argomentazioni difensive potranno enfatizzare le motivazioni
secondo le quali risulti inattendibile il risultato cui si perviene applicando gli studi di settore
( o a maggior ragione parametri). In questo ambito risulta certamente piu’ complesso
generalizzare argomentazioni difensive, poiché occorre analizzare le singole caratteristiche
di esecuzione di una certa attività . Tuttavia, anche alla luce di alcune pronunce
giurisprudenziali autorevoli, e’ possibile puntualizzare alcuni diritti ineccepibili del
contribuente.
7
CTP Salerno, sent. 67 del 20.032001, sez. X, CTP Salerno, sent. 32 del 22.01.2001 sez. XII, CTP Verbania, sent. 10
del 7.02.2001
8
Cfr CTP Macerata, sez III, sent. 63 del 30.12.2003, in Rassegna Tributaria n. 6/2004 con nota a margine di P.Biondo in
cui si afferma : “ La Commissione di Macerata ha assunto una posizione garantista nei confronti del contribuente e,
come gia’ detto, sostanzialmente apprezzabile. A parere di chi scrive, infatti, un accertamento non puo’ essere fondato “
per relationem” sullo studio di settore”.
60
La prima pronuncia da considerare promana dalla Corte di Cassazione9 ed e’ ,
generalmente, la sentenza citata dall’Amministrazione Finanziaria a sostegno della
legittimità dell’accertamento analitico induttivo da studi o parametri. In effetti la citata
sentenza ha sgombrato il campo da supposti elementi di illegittimità nell’esecuzione di
questi accertamenti, ma leggendo attentamente le motivazioni emergono passaggi che
possono opportunamente essere utilizzati nel contesto di una strategia difensiva. Infatti la
Suprema Corte ha affermato che il contribuente può utilizzare, a sostegno della tesi
secondo cui l’applicazione degli indici matematici porta ad un risultato , nel suo caso
specifico, inattendibile, sia elementi tratti dalle modalità concrete di svolgimento dell’attività,
sia, e questo e’ decisivo, ragionamenti presuntivi. Sotto il primo profilo potrà essere
rilevato, ad esempio, che in quel periodo d’imposta oggetto di accertamento egli ha subito
gli effetti negativi delle condizioni atmosferiche ( elemento probante per artigiani che
lavorano all’esterno), oppure situazioni legate a problemi personali ( malattie, infortuni etc,)
: in altri termini si potranno citare tutte quelle circostanze tratte dall’esperienza concreta
che hanno reso particolarmente difficile eseguire l’attività. Tali situazioni, continua la Corte,
vanno apprezzate dal giudice di merito al fine di trarre o meno il convincimento
dell’infondatezza del risultato matematico che, per definizione, non tiene conto di variabili
personali nell’esecuzione dell’attività. Ma oltre a questi motivi tratti dall’esperienza
concreta, potranno essere invocati ragionamenti presuntivi in forza dei quali sia
presumibile che applicando asetticamente gli studi di settore si pervenga ad un risultato
inattendibile. Potrebbe essere l’ipotesi di un esercizio di commercio al dettaglio di generi
alimentari che fino ad una certa data svolgeva l’attività in assenza di concorrenti, mentre
da una certa data ha subito la concorrenza di una grande ipermercato aperto nella
vicinanze. Non può essere provato che la clientela di quell ’esercizio si e’ spostata verso
l’ipermercato, ma e’ una presunzione razionale ipotizzare una certa contrazione del
fatturato rispetto al passato.
Sul punto la Suprema Corte afferma : “ E poiché si tratta di presunzioni relative (che
ammettono la prova contraria), il contribuente che voglia contestare il risultato delle
presunzioni medesime ha l'onere di attivarsi e di mostrare o l'impossibilità di utilizzare le
presunzioni in quella fattispecie o l'inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le
presunzioni, eventualmente confermando al contempo con altre presunzioni la
validità del suo operato. In un tale contesto, è vero che si verifica una inversione
9
Cfr. Corte di Cassazione sent. 2891 del 27.022002
61
dell'onere della prova, ma si tratta di una inversione conseguente e legittima in un sistema
che consente l'utilizzazione delle presunzioni a favore dell'amministrazione.”.
Anche la sentenza della Corte Costituzionale 105/2003, nel legittimare l’accertamento con
gli studi o parametri ha sottolineato che tali accertamenti “ prevedono un sistema basato su
presunzioni semplici la cui idoneità probatoria e’ rimessa alla valutazione del giudice di
merito”, il quale potrà farsi un convincimento anche in relazione agli elementi presentati dal
contribuente a supporto dell’inapplicabilità dell’accertamento analitico induttivo.
Peraltro va segnalato che in innumerevoli pronunce di prassi e’ stata la stessa
Amministrazione a rilevare , studio per studio, quali possano essere le anomalie che lo
rendono scarsamente attendibile. E’ chiaro che un primo elemento di questo
argomentazione potrà essere proprio l’enfatizzazione di quelle anomalie che, in pratica,
sono già preaccettate dall’Agenzia delle Entrate.10
L’insieme di queste argomentazioni, quindi circostanze tratte dalla esperienza concreta,
ragionamenti presuntivi, anomalie gia’ riscontrate nella prassi, congiuntamente ai motivi
“piu’ giuridici” del punto precedente, potra’ costituire un impianto difensivo efficace nel
tentativo di convincere il giudice di merito dell’inapplicabilità degli studi e dei parametri allo
specifico contribuente.
ALTRE CONSIDERAZIONI ( Dr. Sorgato – Euroconference )
LA PRESUNZIONE
E’ chiaro, che gli studi di settore si basano sostanzialmente su presunzioni, poiché se un
determinato settore produce in media un certo reddito, non vuol certo dire che lo produca anche il
contribuente.
Bisogna però accertare la natura di queste presunzioni.
L'art. 2727 del codice civile qualifica come "presunzione" l'operazione logico-intuitiva con cui dalla
conoscenza di un fatto noto si deduce la prova di un fatto ignoto.
La presunzione però deve essere basata su fatti gravi, precisi e concordanti, elementi attribuiti per
legge e non individuabili caso per caso. Fattispecie a dir poco discutibile.
La presunzione è un processo logico intuitivo della nostra mente basati sui fatti , assolutamente
indispensabile per operare nella vita concreta, la cui utilizzazione in sede giudiziaria è
consentita, ma è in qualche misura disciplinata.
La presunzione si basa però molto raramente su una rilevazione statistica attendibile condotta
con metodo scientifico come nel caso degli studi di settore.
10
Cfr. Circ. 39/E del 17.7.03, 110/E del 21.5.99, 27/E del 18.6.04, 121/E del 8.6.00, 54/E del 13.06.01, 58/E del
27.06.02
62
Abbiamo due tipi di presunzioni di legge “presunzioni legis “ le presunzioni juris et de jure : in
basi alle quali accertato un fatto, il giudice deve affermare l'esistenza di un altro fatto, e non sono
ammesse prove contrarie e il Giudice non può sfuggire a questa logica e le presunzioni juris
tantum, suscettibili di essere neutralizzate, il più delle volte, attraverso una libera valutazione del
giudice fondata anche su presunzioni hominis; ma talvolta esclusivamente con specifici mezzi di
prova indicati dal legislatore, o dimostrando determinati "fatti contrari".
Non dimentichiamo che l’art. 53 della C. stabilisce : Tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri
di progressività.
Per cui si corre il rischio di assoggettare ad imposizione una ricchezza solo dichiarata come
presunta dalla legge, ma in concreto inesistente.
Prendiamo in esame le presunzioni dette hominis, ma che più propriamente possiamo dire
"ritenute dal giudice", o, secondo la dizione legislativa, "lasciate alla prudenza del giudice"; le
presunzioni debbono essere "gravi precise e concordanti" (art. 2729 del codice civile; art. 38,
comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, sull'accertamento delle imposte dirette; art. 54 del
D.P.R. n. 633/1972, in materia di Iva).
La giurisprudenza che "più avvertita" tende ad assimilare le presunzioni basati su studi di settore,
redditometro e ricavometri alle comuni presunzioni hominis “ presunzioni juris tantum” , cioè
a considerarli " come meri supporti razionali offerti dall'Amministrazione al giudice, paragonabili
ai bollettini di quotazioni di mercato in cui è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti .
Di conseguenza non impedisce al contribuente di dimostrare, in modo concreto che egli possiede
un reddito inferiore, poiché le presunzioni poste dagli studi di settore sono soltanto relative e
non assolute.
Questo indirizzo risponde al principio della parità delle parti davanti a qualsiasi giudice e quindi
anche davanti al giudice tributario, sancito dall'art. 111 della Costituzione. E mi parrebbe difficile
considerare come fondato sulla parità delle parti un processo in cui una delle parti in causa (o
comunque un soggetto inserito nell'area pubblica di cui è partecipe la parte) fosse arbitra di
costruire presunzioni a carico dell'altra.
Sent. n. 19163 del 5 marzo 2003 (dep. il 15 dicembre 2003) della Corte Cass., Sez. tributaria :
Le presunzioni dugli strumenti induttivi sono juris tantum - Massima - Gli strumenti
induttivi di accertamento dei redditi, disciplinati dagli artt. 11 e 12 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69
(convertito, con modificazioni, nella L. n. 154 del 1989), non derogano al principio di cui all'art. 53
della Costituzione, che esclude che il reddito possa venir determinato a prescindere dalla
(effettiva) capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. È sempre consentito al
contribuente, infatti, fornire la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto; e tale
prova può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da
presunzioni che il giudice può valutare nel suo prudente apprezzamento.
Sent. n. 6033 del 2 marzo 1994 (dep. il 23 giugno 1994) della Corte Cass., Sez. I civ. –
Massima: Divieto di presunzioni a catena ovvero della cosiddetta praesumptio de praesumpto:
Nella disciplina dell'Iva l'accertamento per via indiziaria non si sottrae alla disciplina generale
della prova presuntiva di cui agli artt. 2727 e seguenti del codice civile, secondo cui il fatto ignoto
deve essere desumibile da fatto noto e non da altro fatto a sua volta ignoto, ritenuto sussistente in
base a mera deduzione logica
Sent. n. 146 del 22 novembre 2002 (dep. il 10 dicembre 2002) della Comm. trib. prov. di
Macerata, Sez. III : Necessità di motivare il rifiuto delle eccezioni e delle motivazioni del
63
contribuente - Massima - È illegittimo, per carenza di motivazione, l'avviso di accertamento,
emesso a seguito di rilevata discordanza tra i ricavi dichiarati e quelli determinati in base
all'applicazione dei parametri previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996, in cui l'Ufficio non abbia
motivato il mancato accoglimento delle eventuali eccezioni e giustificazioni del contribuente.
La semplice discordanza tra quanto dichiarato e quanto risultante dai calcoli effettuati in forza
dei parametri, pur costituendo un elemento indiziario, non è di per se sufficiente a giustificare
una presunzione iuris tantum a favore dell'Ufficio con conseguente inversione dell'onere della
prova. Per assurgere a presunzione con valore di prova occorre che la discordanza sia supportata da
altre circostanze, anche esse di carattere indiziario.
Sent. n. 2891 del 21 dicembre 2000 (dep. il 27 febbraio 2002) della Corte Cass., Sez. tributaria
: Accertamento - Analitico induttivo - Utilizzo di studi di settore - Percentuali di ricarico Rettifica - Ulteriori indizi - Necessità - Art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600 Accertamento - Analitico induttivo - Presunzioni - Relatività - Inversione dell'onere
della prova - Impossibilità dell'utilizzo - Inaffidabilità - Dimostrazione a carico del
contribuente – Necessità - Massime - L'art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973,
consente, sulla base della disamina della contabilità operata dall'Ufficio, di ricostruire l'esistenza
di attività non dichiarate attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti; e
questo valore possono assumere, se confortate da altri indizi, le difformità delle percentuali
applicate in concreto rispetto a quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, quando
vi sia uno scostamento che renda del tutto credibile il risultato della dichiarazione.
La legittima introduzione nel giudizio di presunzioni dotate di gravità, precisione e
concordanza mette il contribuente nelle condizioni di attivarsi e di dimostrare o l'impossibilità di
un loro utilizzo nella fattispecie concreta ovvero l'inaffidabilità del risultato ottenuto,
eventualmente confermando al contempo con altre presunzioni la validità del proprio operato.
LA MOTIVAZIONE
La motivazione e la prova sono due elementi fondamentali, o meglio cruciali, di ogni accertamento;
lo sono ancor più se l'accertamento è basato su strumenti predeterminati come nel caso specifico
degli studi di settore.
L'obbligo di motivazione e l'onere della prova nell'accertamento basato su studi di settore non
dovrebbero, quindi, ritenersi soddisfatti attraverso un semplice riferimento agli studi di settore,
poiché non sembra che una tale motivazione possa fornire al contribuente la conoscenza dell'iter
logico giuridico seguito dall'ufficio nell'emissione dell'atto e poiché non sembra che il giudice possa
essere convinto della correttezza dell'operato dell'ufficio, senza ricorrere ad una consulenza tecnica
che di fatto è impossibile per l'onerosità che comporterebbe.
La motivazione degli atti impositivi, oltre ad essere prevista dalle singole leggi d'imposta , è ora
prevista dallo Statuto del Contribuente che all'art. 7 dispone che gli atti dell'Amministrazione
finanziaria debbano essere motivati secondo quanto previsto nell'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n.
241, e successive modificazioni ed integrazioni che nella motivazione debbono essere indicati le
ragioni giuridiche ed i presupposti di fatto che hanno indotto l'amministrazione ad emanare l'atto ; la
disposizione prevede, inoltre, che se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto questo deve
essere allegato all'atto.
La motivazione degli atti emessi per l'accertamento dei ricavi sulla base degli studi di settore deve,
quindi, contenere le risultanze dell'istruttoria ed in particolare nella motivazione dell'atto l'ufficio
dovrà spiegare, perché non ha ritenuto di aderire alle eventuali argomentazioni giustificative fornite
64
dal contribuente in ordine allo scostamento dell'ammontare dei ricavi dichiarato rispetto a quello
determinato sulla base degli studi di settore.
Un altro elemento che deve essere necessariamente presente nella motivazione degli accertamenti
basati su studi di settore e che merita di essere segnalato per la discrezionalità che sottintende , è la
valutazione delle gravi incongruenze tra l'ammontare di ricavi dichiarato è quello risultante
dall'applicazione degli studi di settore; soltanto l'esistenza di gravi incongruenze legittima, infatti,
l'ufficio a far ricorso a tale tipologia di accertamento.
Un elevato scostamento potrà, cioè, essere considerato, con tutta probabilità, una grave
incongruenza e considerato che nell'accertamento basato su studi di settore la soglia di scostamento
non è predeterminata dalla legge, ma è lasciata all'apprezzamento degli uffici, la motivazione
dell'atto impositivo dovrà render conto oltre che della grave incongruenza anche dei criteri sulla
base dei quali l'incongruenza è stata ritenuta grave.
Sul contribuente che voglia contestare la correttezza del ragionamento inferenziale graverà l'onere
della prova degli elementi utilizzati per la contestazione.
L'indicazione delle risultanze dell'istruttoria sembra essere, peraltro, necessaria anche nel sistema
della motivazione delineato dall'art. 7 dello Statuto per quel che riguarda gli atti dei concessionari
della riscossione.
Il comma 3 dell'art. 7 prevede, infatti, che sul titolo esecutivo sia riportato il riferimento
all'eventuale precedente atto di accertamento ed, in mancanza, la motivazione della pretesa
tributaria.
Se si mette in relazione la previsione contenuta nel comma 3 con quella contenuta nell'art. 6 dello
Statuto appare evidente come nella motivazione, oltre ad indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche, si debba dar conto delle risultanze dell'istruttoria perché la motivazione possa assolvere
la funzione che gli è propria.
L'art. 6, comma 5, dello Statuto dispone, infatti, che prima di procedere alle iscrizioni a ruolo
derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su
aspetti rilevanti della dichiarazione, l'Amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente a
fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti, e che sono nulli i provvedimenti
emessi in violazione di tale disposizione.
Sent. n. 6201 del 7 febbraio 2005 (dep. il 22 marzo 2005) della Corte Cass., Sez. tributaria:
Massima
A seguito della entrata in vigore della L. n. 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente), se in
un atto della amministrazione tributaria si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere
necessariamente allegato all'atto che lo richiama (art. 7, comma 1) e non è sufficiente che l'atto sia
conoscibile da parte del contribuente
65
CONTENZIOSO
Siamo così giunti alla fine del nostro percorso con la presentazione di una bozza di
ricorso che , evidentemente, viene steso su linee generali lasciando al ricorrente l’
ulteriore onere di integrare il testo.
SCHEMA DI RICORSO :
Alla Commissione tributaria provinciale
di....................................................................
All’Agenzia delle Entrate
di…………………………………………….
1)Il sottoscritto...............................................nato
a..................................................il..................esercente l'attività di.............................................con
domicilio fiscale in.........................via.........................n...............codice fiscale..........;
2) La società ........................................con sede legale in.............................................Prov.
di.................................................., in via.......................................................n............ codice
fiscale............................................., in persona del suo legale
rappresentante..................................................codice fiscale................................... (specificare le
generalità e le funzioni del legale rappresentante, ad esempio: amministratore unico) ;
...............................via..................... n. ......... codice fiscale.............................................
domiciliato a.......................................................via............ n. ........ codice fiscale....................presso
lo studio del dr.......................... (specificare le generalità del professionista) codice fiscale...............
che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del presente atto,
contro
l'Agenzia delle Entrate di…………………………………..
per l'impugnativa dell'avviso di accertamento n..................... notificato in data ...............................;
RILEVATO
- che con tale provvedimento il predetto Ufficio ha rettificato il reddito di impresa per l'anno
............................................ in euro................................................., con la conseguente
determinazione di una maggiore imposta dovuta di euro ................. a titolo di ................... e di
euro......................... a titolo di ......................................................;
- che l'Ufficio non esprime alcuna valutazione circa l'attendibilità delle scritture contabili
dell'azienda, scritture che di fatto risultano regolarmente tenute ed aggiornate;
- che l'argomentazione su cui si basa la ricostruzione contabile da parte dell'Ufficio riguarda
unicamente lo scostamento dei risultati reddituali del ricorrente da una presunta media di settore;
66
RICORRE
Avverso l’Avviso di accertamento N………………..notificato il…………..per i motivi seguenti:
DIRITTO
Illegittimità dell'avviso di accertamento stesso :
A) Difetto di Procedura :
Il ricorso all'accertamento induttivo previsto dall'art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600/1973
deve essere infatti giustificato dalla presenza nelle scritture contabili di omissioni, falsità ed
inesattezze gravi, numerose e ripetute tali da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture
stesse; occorre quindi che l'Ufficio provveda non solo ad accertare le irregolarità, ma anche a
dimostrarne la gravità e l'effetto sull'attendibilità delle scritture contabili.
La stessa Amministrazione finanziaria, da tempo, ha fornito una autorevole interpretazione di tale
norma con la risoluzione ministeriale n. 9/2148 del 28 dicembre 1979, Dir. Gen. Imposte,
precisando che è necessario un giudizio pregiudiziale di merito sulla attendibilità delle scritture;
il semplice scostamento da presunte medie di settore non può costituire legittimo presupposto al
ricorso al metodo induttivo, inoltre il contribuente dovrebbe sempre essere reso edotto circa il
processo logico di ricostruzione di tali medie e la conseguente applicazione alla propria attività;
anche la Commissione tributaria centrale ha avuto modo di esprimersi sulla materia, affermando
con la decisione n. 6396 del 3 novembre 1989, Sez. VI la necessità della dimostrazione da parte
dell'Ufficio della inattendibilità delle scritture contabili e l'illegittimità di un accertamento basato
solo su medie di settore;
inoltre, la stessa Commissione tributaria centrale sostiene nella decisione n. 6920 del 23 novembre
1989, Sez. XIV che l'accertamento del reddito di impresa implica la valutazione di circostanze
influenti sull'andamento dell'azienda, sui costi e sull'entità dei ricavi, valutazioni e circostanze che
non possono essere generalizzate, ma debbono essere verificate in rapporto a ciascuna posizione
imprenditoriale;
di recente la Corte di Cassazione ad iniziare dalla sentenza n. 1376, del 7 febbraio 1992 Sez. I, fino
alla Sentenza del 14.10.2005 n. 19955, ha ritenuto che gli Studi di Settore debbano essere tenuti in
considerazione in quanto correlabili alla specifica realtà aziendale considerata ma se non emerge
alcun elemento a riprova del fatto che il risultato degli studi possa attagliarsi alla specifica azienda,
non è riscontrabile l'esistenza dei presupposti di fatto che legittimano l'accertamento induttivo;
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
B) Difetto di Motivazione:
L’Ufficio ha omesso di motivare e descrivere compiutamente gli elementi e le ragioni che lo hanno
indotto a rappresentare un maggior reddito come accertato e contrariamente a quanto disposto
dall’art. 42, secondo comma del DPR 600/73 e dall’art. 56 del DPR 633/72 , si è limitato ad esporre
i risultati dello Studio di settore in modo acritico senza dilungarsi ad evidenziare le argomentazioni
tecniche a supporto della dimostrazione delle gravi incongruenze riscontrate che hanno consentito
all’ufficio di accertare il maggior reddito. D’altra parte l’esplicitazione delle gravi incongruenze tra
i ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore è imposta dallo stesso art. 62 sexies
,comma 3 D.L. 331/93 conv. con L. 427/93.
67
Orbene nella fattispecie qui esaminata ………………………………………………………..
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
c) Violazione dell’Art. 42 secondo comma,ultimo capoverso e dell’art. 7 dello Statuto del
Contribuente :
( attenzione : riguarda la probabile mancata allegazione dei decreti del Ministro delle Finanze
di approvazione e calcolo degli Studi di Settore- è un rilievo da evitare, a ns. parere, in quanto
essendo stati pubblicati sulla G.U. , sono conosciuti o conoscibili)……………
…………………………………………………………………………………………………….
MERITO
Si ritiene che nella determinazione del reddito di impresa per l'anno in esame si debba tenere conto
dei seguenti elementi di fatto :
descrivere fatti o circostanze interferenti la capacità produttiva ordinaria del contribuente ( crisi di
settore, indisponibilità al lavoro per infortunio o malattia, eventi calamitosi ect.) idonei ad
indebolire l’ efficacia probatoria dello studio di settore; evidenziare eventuale lieve differenza tra il
ricavo minimo e quello puntuale..........................
…………………………………………………………………………………………………
Per questi motivi e con riserva di produrre memorie e documenti il sottoscritto
CHIEDE
- IN VIA PRINCIPALE:
che codesta Commissione voglia dichiarare illegittimo l'avviso di accertamento n. ................... del
............................... emesso dall'Ufficio di .............................. per difetto di procedura e motivazione
come sopra rappresentato ex artt. 39nonché artt. 42 DPR 600/73 e 56 DPR 633/72;
- IN VIA SUBORDINATA :
la determinazione del reddito per l’anno……………sulla base degli elementi sopra esposti.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari.
***
Si allega la seguente documentazione:
1) copia dell'avviso di accertamento n. ..................... notificato dall'Ufficio di ....................;
2) .......................................................................
...................
(luogo e data)
(firma del difensore)
Il ricorso va redatto in duplice esemplare di cui l'originale viene consegnato (spedito) all’Agenzia
delle Entrate di ............................. e copia conforme alla Commissione tributaria provinciale di
..............................................
68
PROCURA
Il contribuente ......................... (dati identificativi) delega a rappresentarlo e a difenderlo in ogni
fase e grado del presente giudizio ....................... (dati anagrafici del difensore e titolo di
abilitazione del patrocinio) abilitato al patrocinio ai sensi di legge, conferendogli ogni e più ampio
potere ivi compresa la facoltà di proporre conciliazione, di farsi sostituire e di rinunciare al ricorso,
ed elegge domicilio fiscale presso lo studio di quest' ultimo, sito in ........................................
(luogo e data)
(firma del ricorrente)
E' autentica
(firma del difensore)
ATTESTAZIONE DI CONFORMITA'
Il difensore attesta ai sensi dell'art. 22, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 che il presente ricorso è
conforme all'originale consegnato (spedito) in data......................... a...............
...................
(luogo e data)
(firma del difensore)
69
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