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L`ultimo muro durato mezzo secolo

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L`ultimo muro durato mezzo secolo
MERCOLEDÌ 28 APRILE 2004
LA REPUBBLICA 35
DIARIO
DI
UN CONFINE CHE HA DIVISO LA CITTÀ IN DUE
Una contesa
fra l’Italia
e la ex
Jugoslavia
sorta nel ’47
Nel giorno
del primo
maggio quel
muro verrà
abbattuto
Gorizia: l’autobus
parte dalla linea
del confine
(segue dalla
prima pagina)
nche Trieste era così,
ma la sua
identità era più
complessa. Aperta a greci, serbi,
dalmati, turchi e
mediterranei in
generale, era una
città-porto nata
dal mare e per il
mare, separata
dal grande retroterra slavo dal
confine naturale
di un pendio
aspro e poco valicabile. Gorizia
no, era un baricentro di terra, legato alle valli e alla pianura circostante, il cuore indivisibile di
una conca popolata da italiani, sloveni e in piccola parte da
austriaci. Era, soprattutto, il
capoluogo di una provincia
unitaria che andava da Caporetto fino a Postumia, sulla
strada per Lubiana.
Quando si incendiò il fronte
dell’Isonzo, nel
maggio del 1915,
le truppe austroungariche
—
spiega 90 anni dopo lo storico americano
John
Schindler — lottarono con una
determinazione
superiore a quella di altri fronti. Vienna schierava battaglioni di sloveni, croati e bosniaci,
i quali sentivano l’Isonzo come loro “limes”, loro frontiera
etnica. Gorizia importava meno, e difatti cedette per prima,
nell’agosto del 1916. Per l’Italia invece era quello il simbolo,
l’obiettivo. «Città santa» la definì il poeta-soldatoVittorio
Locchi, mentre la truppa nel
fango cantava «Gorizia tu sei
maledetta», forse la canzone
più spietata di denuncia contro l’orrore della trincea. Le
truppe di Cadorna entrarono
in una città semidistrutta che
Alice Schalek, in Isonzo Front,
l’epopea di parte austriaca,
definì invece come città-vittima.
Ma allora cosa fu l’ingresso
degli italiani a Gorizia? Conquista? Liberazione? Redenzione? «Il quesito era così difficile — racconta lo storico triestino Antonio Sema — che ancora settant’anni dopo, a un
convegno internazionale, si
dovette usare il termine più
neutrale possibile: presa di
Gorizia». Tanto più che poi, a
guerra finita, la città santa stranamente scomparve. Si cominciò a parlare di Trento e
Trieste, e Gorizia — costata
migliaia di morti — smise di
essere elemento nazionale
primario. Perché? L’identità
del luogo non era poi così italiana. Alle prime elezioni, la
provincia aveva espresso, su
cinque parlamentari, quattro
A
GORIZIA
tinuarono. Nova
Gorica era giovane, piena di immigrati, tutta cemento. Gorizia
era città storica e
di pensionati,
abitata quasi solo
da autoctoni. Ma
tra i due pianeti
era nato subito un
rapporto, erano
troppo diversi per
non veder crescere la curiosità reciproca. Così il
rapporto di frontiera crebbe anziché ìdiminuire. E
la città, defilata rispetto a Trieste,
poté sperimentare nell’ombra
orizzonti di convivenza sconosciuti altrove. Nacque il “Kino
atelier”, l’atelier del cinema fra
italiani e sloveni. Si stampò il
periodico bilingue Isonzo-Soca, curato instancabilmente
da Dario Stasi. Sul Collio, terra
benedetta di vigneti, le due
parti continuarono a comunicare. E i carri a passare.
Ma soprattutto,
nel 1968, fu l’esperienza dell’apertura del manicomio a opera di
Franco Basaglia,
un’esperienza
che avrebbe fatto
scuola in Europa.
Si abbatté un muro che non poteva essere più
carico di simboli. Fisicamente, la recinzione del manicomio coincideva per un bel tratto con il confine, tanto che per
i matti italiani era provocatoriamente più facile scappare
in Slovenia. Ma il muro stava
anche nella testa della gente,
ed era un muro tosto, perché a
Gorizia la diversità mentale
poteva sovrapporsi a quella
linguistica, raddoppiando il
pregiudizio. «Il Sessantotto di
Gorizia anticipò il 2004 —
spiega commosso l’allora “vice” di Basaglia, Agostino Pirella — perché fu anch’esso un’istanza di libertà».
Oggi ovviamente c’è chi ha
paura che il confine cada. La
destra slovena vede sparire
una rendita di posizione.
Quella italiana pure, non ha
più il nemico alle porte. Perfino la scritta Nas Tito, eretta in
pietra a caratteri cubitali sulla
frontiera del Monte Sabotino e
lasciata coprire di sterpaglia
per anni dopo l’indipendenza
slovena del 1991, ora è stata ripulita da mani misteriose. Ma
l’evento si sente, è entrato nelle famiglie. A differenza di
Trieste, l’attesa si percepisce
come una corrente. Lungo i
paesi dell’Isonzo e su, verso il
Kolovrat, Caporetto e Tarvisio,
si preparano falò, si lucidano
gli ottoni, si organizzano salite
sui monti dai due versanti.
Ma non è un ordine nuovo
che arriva. E’ solo la restaurazione dell’ordine antico.
L’ultimo muro durato mezzo secolo
PAOLO RUMIZ
sloveni e un comunista. E poiché già tirava un’arietta fascista, si reagì abolendo temporaneamente la provincia, che
venne spartita fra Udine e
Trieste.
A livello politico, la divisione
etnica delle memorie cominciò allora, con la Grande Guerra, non con i reticolati comunisti. Gli sloveni ripensarono Caporetto, come prima loro vittoria nazionale. Mussolini militarizzò i cimiteri di guerra,
per italianizzare le terre. «Redipuglia — racconta il giorna-
lista inglese Mark Thompson
— era stato costruito come un
Golgota, un luogo dantesco e
ammonitore, ma subito venne
rifatto come sacrario». Poi tutto deragliò verso il nuovo
scontro. La violenza squadrista contro chi parlava lo sloveno, la guerra, l’occupazione di
Lubiana, le rappresaglie, le
vendette dei partigiani, gli
infoibamenti. Ma a Gorizia,
nonostante le atrocità, nonostante la frontiera infelice decisa da Tito e Alleati, i rapporti
interetnici continuarono —
MASSIMO CACCIARI
CONFINE.
SI PENSA al confine come a ciò
che separa il luogo da noi abitato e
che crediamo appartenerci dall’
“alter mundus” di cui ignoriamo linguaggio e costumi. Pensiamo al confine come al muro che li separa. Certo, anche la
barriera più alta e massiccia sarà esposta alle intemperie e
rotta da porte e passaggi. E tuttavia la sua “linea”, lì di fronte
al nostro sguardo, continua ad apparirci qualcosa di “sacro”.
Ma se invece confine non fosse che il nome proprio per dire il
nostro stesso luogo, anzi: il nostro stesso corpo? Che cosa
definisce un luogo se non il punto, quel suo punto, dove esso
tocca l’altro da sé? Non è forse grazie a questa relazione che
ci definiamo? Che cosa rende evidente il nostro corpo se non
il suo confine, l’istante, cioè, in cui esso si espone al pericolo
di toccare ed essere toccato, di ferire ed essere ferito? Confine non è, allora, ciò che divide, ma all’opposto ciò che di noi,
dei luoghi che siamo, è sempre necessariamente con l’altro.
Questo Cum può significare amore o inimicizia, ma rimane comunque ineliminabile. E solo gli organismi condannati a morte lottano per dimenticarlo o rimuoverlo.
“
“
come scrisse Guido Piovene —
per antiche consuetudini. Erano scritti nel Dna del luogo.
Racconta Lucio Fabi, autore
dell’unica storia complessiva
della città: «quando nel ‘47 si
stesero i reticolati, l’innaturalità del confine emerse subito». I contadini non avevano
più un mercato dove vendere
la roba. I mercanti e i trasportatori erano senza lavoro. La
rabbia crebbe, e solo tre anni
dopo, in una giornata indimenticabile, la gente radunatasi dalla parte slovena sfondò
le barriere semplicemente per
«fare la spesa». Era una domenica di mezzo agosto, ma i negozi dalla parte italiana aprirono come d’incanto, e la sera la
gente tornò in Jugoslavia
brandendo scope, oggetti che
la pianificazione socialista
non prevedeva. Fu la «domenica delle scope».
E anche quando, dalla parte
comunista, crebbe un’altra
città, destinata — nei progetti
comunisti — a sbattere sul
muso dei capitalisti le meraviglie del regime, i rapporti con-
36 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
PRINCIPALI
MERCOLEDÌ 28 APRILE 2004
1947. LA CONFERENZA DI PACE
A meno di due anni dalla fine del conflitto
mondiale, il 10 febbraio del 1947, alla
conferenza di pace di Parigi, viene
tracciato il nuovo confine che attraversa la
città. Sarà operativo a settembre
1948 LA ZONA FRANCA
L’economia di Gorizia, privata di nove
decimi del suo territorio provinciale, è in
condizioni disastrose. Nel dicembre del
1948, lo Stato italiano crea la Zona Franca
per rilanciare i commerci
1950 LA DOMENICA DELLE SCOPE
Migliaia di sloveni possono riabbracciare i
parenti rimasti in Italia. E’ una domenica
d’agosto, i negozi di Gorizia sono aperti,
vanno a ruba le scope. La chiameranno «la
domenica delle scope»
COME LA POPOLAZIONE GORIZIANA HA VISSUTO IL TRAUMA DELLA SEPARAZIONE
STORIE DI CONFINE
TRA PAURA E LIBERTÀ
ALESSANDRA LONGO
I LIBRI
LUCIO FABI
Storia di
Gorizia,
Il Poligrafo
1991
Gente di
trincea. La
Grande
Guerra sul
Carso e
sull’Isonzo,
Mursia 1994
MARIO
SILVESTRI
Isonzo 1917,
Rizzoli 2002
ALICE
SHALEK
Isonzofront,
Libreria
Editrice
Goriziana
2003
ANTONIO
SEMA
La Grande
Guerra sul
fronte
del’Isonzo
Libreria
Editrice
Goriziana
1997
TONINO
FICALORA
La presa di
Gorizia,
Mursia 2001
CAMILLO
MEDEOT
Cronache
goriziane,
Campestrini
1976
GIUSEPPE
DEL
BIANCO
La guerra e il
Friuli,
Edizioni
accademich
e, 19371958
LUCIA
PILLON
EMANUELA
UCCELLO
SERGIO
ZILLI
Gorizia e
dintorni,
Libreria
editrice
Goriziana
2000
ERNESTO
SESTAN
Venezia
Giulia.
Lineamenti
di storia,
Edizioni
Italiane 1947
Gorizia
veva solo quindici anni, le
piacevano le calze di nylon
e quei pettini che si vendevano «dall’altra parte», a Gorizia,
in Italia. Passò il confine di notte,
strisciando tra le vigne, conquistò il suo piccolo bottino di giovane donna e tornò indietro, così
com’era arrivata, per i campi. Ma
un soldato di ronda vide quell’ombra in movimento, le intimò:
Stoj! Fermati! Non ebbe nemmeno il tempo di gridare: fu falciata
da una raffica di mitra.
Rimase a terra,
stringendo fra
le mani le sue
calze nuove, i
suoi pettini. Si
poteva morire
anche così, nel
1949, ai confini
tra Italia e Jugoslavia. Morire
per un paio di calze, morire per
provare ad essere
ancora liberi,
com’era stato
sempre prima,
quando niente divideva quel mondo,
Gorizia viveva in
simbiosi con le sue
campagne, la gente
arrivava in città dalle valli dell’Isonzo e del Vipacco, a fare commerci, ad incontrare parenti ed
amici. Poi la Storia cambiò la vita
delle persone. Il 16 settembre del
1947 case e strade vennero separate, campi, giardini, famiglie,
persino i morti del cimitero di
Merna furono divisi, una lapide
in Italia, una in Jugoslavia. Gli angloamericani avevano tracciato
col gesso una linea sulla carta,
una «linea che trapassava la carne», come scrisse Celso Macor,
uomo di cultura di queste terre.
Una linea che sradicava i sentimenti e produceva un disperato
senso di claustrofobia, un muro
fisico che alimentava l’odio tra
italiani e sloveni, marchiati dalla
guerra e dal fascismo. Cavalli di
frisia, filo spinato. Confine vero,
duro. La gente non ci voleva credere, soprattutto non ci volevano
credere quegli sloveni che avevano a lungo vagheggiato una Gorizia jugoslava, la consideravano
anche la loro città, e rimasero orfani di tutto, delle amicizie, del
mercato, dei negozi, prigionieri
dei militari serbi, croati e albanesi mandati a far la ronda fra le case col mitra in pugno.
Pavel e Jolanda Srebnic, 77 e 75
anni, vivono nel Collio, vicino a
Cormons. Per andarli a trovare
bisognerebbe ancora passare un
valico internazionale, esibire un
passaporto. Ma siamo nel 2004 e
ci vado a piedi, attraversando un
prato in mezzo alle vigne. Qui,
nella notte del settembre 1947,
furono gli scozzesi con il kilt a
tracciare il confine: «Erano in
fondo alla strada, me li ricordo
bene — racconta Pavel — Arrivarono davanti alla nostra stalla.
Fecero due segni verticali con il
gesso e una croce nel mezzo. Insomma, ci divisero la stalla a
metà». La stalla a metà: le mucche
pascolavano in Italia, anche il letamaio era in Italia, ma Pavel non
ci poteva andare se non dopo
lunghissimi giri e previo permesso dei soldati che gli circondavano la casa. «Ci consideriamo una
generazione di sfortunati. Un
confine chiuso è una brutta cosa.
L’hanno deciso fra Stati, sopra la
nostra testa. D’improvviso ci vie-
A
LE IMMAGINI
L’immagine sopra dei due soldati davanti al cartello che segna il confine proviene dalla Fototeca Musei Provinciali
Gorizia. Per la terza, la quarta e la sesta
foto da sinistra della sequenza ringraziamo la rivista “Isonzo-Soca”, pubblicata dalle edizioni Transmedia di Gorizia
I GIORNALI
Il tema del confine orientale
suscitò grandi passioni nell’Italia
degli anni ‘50
tarono persino di salutare con la
mano nostra zia che era rimasta
dall’altra parte, in Italia. Dal 1947
al 1954, non ci si poteva parlare».
«Gli uomini dimenticano la
paura, il terrore, vogliono vivere,
si abituano a tutto...», dice l’oste
Poller in Tarabas di Joseph Roth.
Così morte e vita si mescolavano.
La gente sentiva gli spari, vedeva
a volte passare un carro con un
cadavere. Ma la voglia innocente
di un paio di scarpe da mettere
nel giorno del proprio matrimonio poteva battere la paura. Mjra
Tomasic ride della sua incoscienza: «Passai il confine di nascosto.
Andai a Gorizia nel solito negozio, dov’ero cliente da sempre,
prima che il filo spinato ci dividesse. Mi fecero vedere tante
scarpe, bellissime. Ero indecisa.
Ce n’era un paio blu, lisce, la pelle morbida, ed un altro in camoscio scuro... Scelsi, me le misero
in una scatola. Quando arrivai a
casa scoprii che si erano sbagliati, trovai una scarpa sinistra blu e
una destra scamosciata. No, non
era più possibile tornare indietro, rifare la pazzia. Mi sposai così, con le scarpe spaiate».
Myra ha raccontato questa storia a Nadja Veluscek, regista e autrice, insieme alla figlia Anja
Medved, di un bellissimo film documentario sul confine di Gorizia. Nadja, 56 anni, è lei stessa
una protagonista. Il filo spinato
ha attraversato anche la sua vita:
«Mia madre era goriziana, mio
padre veniva dalle valli dell’Isonzo. La nonna e tre zie rimasero in
Italia, io nacqui in Jugoslavia. Come ti segna il confine? Molto, diventa il tuo modo di vivere. Sei un
bambino che vuole correre ma
non può correre perché ad un
certo punto trova una sbarra, un
soldato con la pistola. E’ come
sentirsi sempre oltre, divisi in
due. E’ una gran fatica ma diventa anche, adesso, un
valore aggiunto, perché ti dà
un’energia diversa».
Nadja ha insegnato sloveno a Gorizia, italiano a Nova Gorica, che è l’altra
Gorizia sorta dal
nulla per dare un
baricentro agli orfani della città vecchia. Cultura mista, tipica di queste
terre. Anche Cilka
Princic, 79 anni, ha
radici complesse.
Parla italiano con
accento bolognese,
una sorella scelse di
vivere in Italia e abita a Bologna.
Lei, Cilka, nasce a Caporetto,
quando Caporetto è italiana.
Aveva nove fratelli, di cui due, i
più grandi, battezzati ancora sotto l’Austria. Cilka fugge da Gorizia nel 1949, vuol raggiungere Rado, il suo fidanzato, seguirlo nella nuova avventura jugoslava. Lascia tutti, parenti, amici, compagni di scuola. E si trasferisce con il
neo marito ferroviere nel luogo
simbolo del confine: la Transalpina, un edificio costruito in epoca asburgica. E’ la stazione nordorientale di Gorizia che il tracciato angloamericano attribuisce
alla Jugoslavia. Cilka vive lì da 55
anni, l’ha intervistata anche il Times. La sua casa ha le finestre che
guardano verso l’Italia: «Non ci si
poteva affacciare, se ti scopriva-
MATRIMONIO
AL CONFINE
Due sposi
davanti al
cartello che
segna il
confine.
(Fondo
fotograficoFotografski
fond Emil
Doktoric)
no era pericoloso». Sul piazzale
della Transalpina ci sarà, tra pochi giorni, la grande festa con Romano Prodi, verrà abbattuto l’ultimo muretto di recinzione. «Rado è morto il 7 novembre del
2003. Aveva tanto sperato di assistere alla caduta del confine. Ho
preso una pietra del muretto e
l’ho messa sulla sua tomba».
Tra non molto quel che ancora
adesso è carne viva, sarà solo un
ricordo da trasmettere ai nipoti.
Sarà quasi buffo raccontare loro,
per esempio, cosa successe nella
famosa «domenica delle scope».
Era il 13 agosto del 1950, l’Anno
Santo. Dopo tre anni di buio, si
decise che, per un giorno, quel
SIGMUND FREUD
Sabato mattina giungemmo
a Gorizia.Vedemmo alberi
dai fiori bianchi, potemmo
mangiare arance e frutta
candita. Intanto
raccoglievamo ricordi
Da una lettera
del 1898
GUIDO PIOVENE
Gorizia era soprattutto un
mercato. Ora i commerci
sono morti, decade il ceto
commerciale. Gli abitanti
fingono una vita gaia e
perfino agiata
Viaggio in Italia
1957
I SIGNIFICATI CHE LA PAROLA CONFINE PUÒ AVERE
LA LINEA CHE SEPARA
CHI È DENTRO DA CHI È FUORI
PIERO ZANINI
dea complessa e molteplice quella
del confine, talvolta idolatrata sull’altare della differenza, per esempio, o condannata come fonte di ogni
male nel desiderio liberatorio di «un
mondo senza confini». Basta guardarsi
attorno, nella propria quotidianità come in quella del mondo, per osservare
gli effetti nefasti di entrambe le posizioni. Il fatto è, come ha notato Michel
Serres, che siamo molto bravi a controllare le nostre imprese puntuali ma
«siamo ciechi alle loro relazioni: non
abbiamo né scienza né tecnica delle interazioni. Abbiamo conquistato la nostra efficienza con la specialità, da cui la
nostra impotenza nella somma».
E’ proprio alla natura e alle proprietà
delle interazioni che ci pone di fronte
I
questa linea (o fascia) di spessore variabile che chiamiamo confine e che rimanda al modo in cui conosciamo — e
percepiamo — il fuori dal dentro, l’estraneo dal conosciuto, e al continuo
andirivieni che caratterizza questo
processo. E che di volta in volta può definire il confine come unione o divisione, barriera o cerniera, luogo di incontro o di conflitto, renderlo visibile sulla
superficie del mondo o celarlo nell’intimità o nella memoria personale o collettiva, attivarlo o disattivarlo in base
ad un preciso interesse ideologico.
Confine che può avere la concretezza
materiale di un’architettura (un recinto, un muro, una fortificazione) o l’apparente vaghezza di un paesaggio (una
linea di costa, un braccio di mare, un
MERCOLEDÌ 28 APRILE 2004
LA REPUBBLICA 37
1953 LA CRISI DI TRIESTE
Improvvisa crisi nei rapporti tra Italia e
Jugoslavia. Si discute del destino del
Territoro Libero di Trieste, diviso in zona A
e zona B. I due eserciti si schierano al
confine. Grande tensione anche a Gorizia
1975 GLI ACCORDI DI OSIMO
Gli accordi di Osimo sanciscono in
maniera definitiva i confini. Gorizia incassa
finanziamenti norevoli per la creazione di
un grande complesso doganale
autoportuale
2004 IL PRIMO MAGGIO
Primo maggio 2004. E’ la data fissata per
l’ingresso della Slovenia nell’Unione
Europea. Possono circolare liberamente
merci e capitali, non ancora le persone
che dovranno aspettare il 2007
LA TESTIMONIANZA DELLO SCRITTORE GORIZIANO
QUANDO RIPENSO
A QUEL FILO SPINATO
PAOLO MAURENSIG
inquant’anni sono passati da quando ho capito che
cos’era un confine. Mezzo
secolo, dieci lustri, un’eternità o
un attimo soltanto...
A guardare avanti, cinquant’anni mi parevano tanti a
quel tempo, ed ora, invece,
quando mi volgo indietro sembra sia solo ieri. Ieri che per la
prima volta ho visto un confine.
Per arrivarci, si percorreva una
strada che portava in periferia, si
costeggiava l’alto muro del convento delle Orsoline, dopo il
quale l’abitato si diradava,
ed ecco che la strada finiva su un reticolato.
Una matassa dipanata di filo spinato
ti impediva di
proseguire, e
sembrava proprio che il mondo stesso finisse in quel punto e che oltre
non ci fosse più
nulla, nulla di
duraturo perlomeno, nulla di costruttivo, solo pietre che si sgretolavano sotto le intemperie,
resti di focolari che erano
stati un tempo e di cui rimaneva ben poco: cumuli di sassi
invasi dalle erbacce, qualche
cantone di muro dove cresceva
a stento il fico selvatico. Ecco dove finisce il mondo, nessuno
sembra sapere che cosa ci sia oltre quel filo spinato e a che cosa
montino la guardia quei figuri
vestiti di grigio, con berretti dalle pendule orecchie di bracco e
con la puska a tracolla, infreddoliti sonnambuli che camminano avanti e indietro e s’incrociano senza scambiarsi una parola.
Cinquant’anni sono passati
da allora, ma l’immagine è ancora viva. Avevo undici anni e
frequentavo un doposcuola che
si trovava a pochi passi dal reticolato. Quella strada la facevo
tutti i giorni con la cartella sotto
C
confine poteva riaprirsi. Migliaia
di persone si riversarono a Gorizia. Era domenica ma gli italiani
aprirono i negozi. La città si rianimò, la gente non aveva soldi e
scambiava uova e burro contro
quelle bellissime scope di saggina introvabili oltreconfine. Al calar del buio, i carri ripresero la
strada di casa, e le famiglie tenevano alte le loro scope come fossero preziosi trofei. Scrive Darko
Bratina, intellettuale, senatore al
Parlamento italiano, scomparso
nel 1997: «Fu una domenica indimenticabile. Capii allora in modo definitivo la tragedia del confine». Anche Nadja Veluscek partecipò alla domenica delle scope,
in braccio al padre. Nel suo album di istantanee, il confine ha
però un’altra immagine forte:
«Dovevo essere piccolissima. Ricordo le sbarre, un soldato con il
fucile, un pacchetto di caramelle
per terra. E mio padre che mi dice: “Vai, vai a prenderle”. Io esito,
so quanto siano dolci quelle caramelle, mi faccio coraggio, comincio a correre, i militari mi vedono
e alzano gli occhi al cielo. Afferro
il pacchetto e torno indietro. Vedo il sorriso di mia nonna. Le caramelle me le aveva gettate lei,
dall’Italia, ma non era riuscita a
tirarle abbastanza lontano e io
avevo dovuto passare il confine
per prenderle».
GLI AUTORI
Massimo Cacciari, filosofo, ha da poco pubblicato Della cosa ultima (Adelphi). Paolo Maurensig,
scrittore, si è imposto alcuni anni fa con il romanzo La variante di Lünenburg (Adelphi), il suo ultimo romanzo è Il guardiano dei sogni (Mondadori). Piero Zanini, architetto, si occupa di ricerche
in ambito geografico e antropologico. Ha pubblicato Il significato dei confini (Bruno Mondadori)
braccio. Quell’istituto era la Casa dello Studente slovena, che io
frequentavo gratuitamente poiché ero orfano di padre. Ricordo
molto bene l’ora del pranzo con
le cuoche che sospingevano un
carrello con un gran pentolone
di jota — il tipico minestrone
giuliano con fagioli e cappucci
macerati nell’aceto — sento ancora l’odore che si spandeva dalle cucine e che impregnava gli
ampi stanzoni in cui si passava il
pomeriggio a studiare, o il fumo
della legna e i grandi recipienti
di lisciva che bollivano in un angolo del cortile, e le braci rimaste
in cui seppellivo qualche patata
che avrei mangiato la sera lungo
IL PASSAGGIO
Il confine
che
attraversa
la città,
divide le
famiglie,
impedisce
i commerci
e le attività
più
elementari
ERNEST HEMINGWAY
LA DIVISIONE
La provincia di Gorizia,
con il trattato del ’47,
ha perso una notevole
parte dei territori
conquistati dall’Italia
con la Grande Guerra
deserto).
Idea che ha sempre a che fare con delle persone, con il loro vissuto e la loro
esperienza del mondo, esperienza che
ancora si intreccia per la stragrande
maggioranza degli abitanti di questo
pianeta (al di là delle retoriche della
globalizzazione e della virtualità) con
un villaggio, una città, un luogo preciso, insomma con una territorialità.
Un confine non è solo una linea di
qualche colore tracciata — sempre
fuori scala, accentuata rispetto agli altri segni grafici — su una carta geografica ma il risultato, provvisorio come
mostra anche il caso di Gorizia, di una
continua negoziazione tra soggetti e
forze diverse. E’ intorno a questa pratica dell’interazione, che non può prescindere dal riconoscere l’esistenza di
qualcuno dall’altra parte della linea,
che si gioca la nostra capacità di limitare il potenziale di violenza impresso
nella parola confine, almeno per come
la intendiamo noi che veniamo dalla
tradizione greco/romana. Ricordandoci però che non è l’unica maniera
possibile di farlo, sempre che non vogliamo reiterare all’infinito le disastrose politiche di questi tempi.
Andammo a stare a Gorizia
in una casa che aveva una
fontana e molti grandi
alberi ombrosi in un
giardino cintato e un
pergolato di glicini violacei
Addio alle armi
1929
FULVIO TOMIZZA
A distanza di quarant’anni,
rimettere piede a Gorizia
significava introdursi in un
mondo incantato, fuori dal
frastuono della vita
ultramoderna
Franziska
1997
la strada verso casa. Con il tempo, l’immagine del confine si era
fatta familiare, persino le sentinelle armate di moschetto e con
i berretti di pelo non mi parevano più così minacciose: quando
in cortile giocavamo a calcio ci
osservavano divertite e avevano
la bontà di rimandarci il pallone,
se questo sconfinava.
Quel luogo l’ho rivisto di recente, proprio in occasione di
un’intervista televisiva sui confini. Cinquant’anni erano passati da allora, ma non mi è sembrato che fosse cambiato
molto: gli stessi odori di
legno bruciato, di
crauti, di lisciva. Non
c’erano più i reticolati, eppure il confine restava ancora. I confini
sono come ferite che quando
si rimarginano
lasciano visibile una cicatrice.
Che dire poi di
quei confini che
ci portiamo dentro? Già, di quei
confini vorrei evitare
di parlare perché nel ricordo della mia infanzia,
altrimenti luminosa, portano una vena d’amarezza. In quel
collegio, in quel doposcuola, ho
capito che cosa sono questi confini interiori che ci segnano, è
stato proprio lì, in uno di quegli
ampi stanzoni in cui si studiava
chini sui libri, in cui si architettavano scherzi e burle ai nostri
prefetti, ai nostri controllori, ragazzi di poco più vecchi di noi, e
con i quali ingaggiavamo a volte
lotte furibonde finendo sempre
per soccombere e per subire la
punizione, ecco, proprio lì, su
quei tavoli in cui ripassavamo le
lezioni di latino, un libro circolò
tra le nostre mani, un libro terribile, un album di fotografie che
avrei voluto dimenticare, e che
mi tolse il sonno per parecchie
notti: l’immagine di un mio insegnante, di qualche anno più
giovane ma ben riconoscibile,
che indossando un’improbabile uniforme e brandendo un fucile si fa ritrarre ghignante accanto ad una tavola imbandita
di teste mozzate, esibite nelle
espressioni più grottesche, alcune con la sigaretta accesa in
bocca, un’immagine che mi ha
perseguitato per molti anni, e
ancora oggi non la dimentico.
Bela garda era il nome, la rosa
bianca che distingueva i fascisti
sloveni.
Sì, ho vissuto la mia infanzia in
una città divisa, in un mondo diviso fuori e dentro, diviso tra i divisi. Io stesso, passando dalle
scuole italiane a quelle slovene,
e poi nuovamente a quelle italiane, mi sono sentito attratto da
due culture, da due lingue, per
cinquant’anni, e per qualsiasi
scelta abbia fatto, per qualsiasi
giudizio abbia espresso, mi sono visto costretto a togliere ad
una parte per dare all’altra, perché è inevitabile essere parziali
quando si è divisi dentro, quando i confini dentro di noi passano tra cuore e cervello. Ci sono
voluti cinquant’anni, ma ora i
muri sono abbattuti, le barriere
finalmente divelte. Qualche reticolato, semmai, ancora ruggine, impregnato di tetano, resterà ancora nell’anima di qualcuno, perché a lenire certi dolori non basta un’intera vita.
I LIBRI
OLIVIER
RAZAC
Storia politica
del filo spinato,
Ombre Corte
2001
PIERO
ZANINI
Significati del
confine, Bruno
Mondadori
1997
MARTA
SORDI (A
CURA DI)
Il confine nel
mondo
classico, Vita e
Pensiero 1987
ALFONSO
ANGELILLO
ANTONIO
ANGELILLO
CHIARA
MENATO
Città di
Confine,
conversazioni
sul futuro di
Gorizia e Nova
Gorica,
Ediciclo 1994
ANNALIA
DELNERI (A
CURA DI)
Il Novecento a
Gorizia.
Ricerca di
un’identità.
Arti Figurative,
Marsilio 2000
FABIO
CUSIN
Il confine
orientale
d’Italia nella
politica
europea del
XIV e XV
secolo,
Lint 1977
PIO
PASCHINI
Storia del
Friuli, Arti
Grafiche
Friulane 1975
ISONZOSOCA
Giornale di
frontiera
bilingue,
Editore
Transmedia,
Gorizia
FULVIO
SALIMBENI
ROBERTO
SPAZZALI
Gorizia
moderna,
Editrice
Goriziana
1994
Fondatore Eugenio Scalfari
ALVOHXEBbahaajA CIDEDIDQDW
40428
9 770390 107009
Anno 29 - Numero 100
€ 0,90 in Italia
SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b, tel. 06/49821, Fax
06/49822923. Spedizione abbonamento postale, articolo 2, comma 20/b,
legge 662/96 - Roma.
Direttore Ezio Mauro
(con “LA FIGLIA DEL CAPITANO”
€ 8,80)
mercoledì 28 aprile 2004
PREZZI DI VENDITA ALL’ESTERO: Austria € 1,85; Belgio € 1,85; Canada
$ 1; Danimarca Kr. 15; Finlandia € 2,00; Francia € 1,85; Germania € 1,85;
Grecia € 1,60; Irlanda € 2,00; Lussemburgo € 1,85; Malta Cents 50;
Monaco P. € 1,85; Norvegia Kr. 16; Olanda € 1,85; Portogallo € 1,20 (Isole
€ 1,40); Regno Unito Lst. 1,30; Rep. Ceca Kc 56; Slovenia Sit. 280; Spagna
€ 1,20 (Canarie € 1,40); Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr.
2,5 (con il Venerdì Fr. 2,80); Ungheria Ft. 350; U.S.A $ 1. Concessionaria
di pubblicità: A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941
INTERNET
www.repubblica.it
Domani la manifestazione “per la pace, non contro il governo”. Aderiscono le associazioni cattoliche e i no global. Berlusconi: “Non stiamo occupando l’Iraq”
Ostaggi,corteoconifamiliariaSanPietro
IL RETROSCENA
LE IDEE
Il concerto trasmesso in differita
Il Cda censura la Annunziata
Lo scenario più nero: Portare un fiore
un sequestro lungo all’Altare della patria
GIUSEPPE D’AVANZO
ADRIANO SOFRI
AVVERO c’è spazio per una
trattativa? Davvero c’è un
“qualcosa” che possa essere
concesso senza piegare le scelte di
politica estera del governo e soddisfare i sequestratori degli italiani favorendo la liberazione degli ostaggi? Sono le due domande che il video
consegnato dai terroristi ad Al Arabiya fa scivolare sul tavolo del governo e della maggioranza.
SEGUE A PAGINA 7
PRIVATI carcerieri degli ostaggi
italiani hanno calcolato, al facile
costo dell’assassinio di altre tre
persone, di mettere alle strette il governo italiano, di appropriarsi della
mobilitazione pacifista, e insomma
di guidare per un fatale momento il
gioco della vita pubblica (e dei sentimenti privati) nel nostro paese. Il
rifiuto dei partiti di prestarsi al ricatto dei sequestratori era inevitabile.
SEGUE A PAGINA 14
D
Primo maggio
senza diretta Rai
L’opposizione:
“Un’arroganza
inaudita”
I
Il padre di Salvatore Stefio
ALLE PAGINE 2, 3, 4, 7 e 10
BATTISTINI e CASADIO
ALLE PAGINE 4, 18 e 19
Bombardamenti Usa in Iraq. Catena di attentati a Damasco
Morchio: una svolta l’incontro coi sindacati
Scontro su Alitalia
oggi voli a rischio
Melfi, la Fiat tratta
Un’immagine dell’attacco notturno a Falluja
“Con i palestinesi non si può negoziare”. Il Likud vota sul ritiro dalle colonie
Sharon: la road map è morta
ANTA. Maledetta. Italianissima. Slava. Delizia. Inferno.
Città delle rose. Corona di
spine. L’hanno definita in tutti i
modi. Ma che cos’è veramente Gorizia, tagliata per più di mezzo secolo da un confine assurdo che cadrà il primo maggio, con l’ingresso
della Slovenia in Europa? Che cos’è questo luogo-simbolo conquistato nella Grande Guerra a prezzo
di sofferenze bestiali e stranamente sparito dalla memoria degli italiani? Quali frontiere mentali conserva ora che il “secolo terribile” si
chiude davvero? E soprattutto,
perché Gorizia sembra aprirsi all’evento — il May day europeo —
con più naturalezza di Trieste?
Quanto sta per accadere davanti alla stazione dell’ex Ferrovia
Transalpina — la Porta di Brandeburgo della piccola Berlino di casa
nostra — non è solo la sutura di una
ferita apertasi nel 1947, quando la
Jugoslavia comunista stese i reticolati a due passi dal centro città.
Non è solo il naturale sbriciolamento di una cortina di ferro che
non blocca più nessuno, tantomeno le migliaia di clandestini. E’ anche l’inizio della fine di uno scontro lungo un secolo, uno scontro
iniziato alla vigilia della Prima
Guerra Mondiale. La storia della
“città contesa” che finisce. Contesa tra Italia e Austria, assai prima
che tra Italia e Jugoslavia.
«La diletta», la chiamava l’imperatrice Maria Teresa quando l’Europa non era in fiamme. Era piccola, ma per il suo clima incantevole
l’avevano ribattezzata “Nizza
d’Austria”. Aveva un’anima complessa, era polo e mercato naturale per genti diverse. Scriveva nel
1567 il nunzio apostolico Girolamo da Porcia: «Nel mangiare, nel
bere e nel vestire sono tedeschi. Vi
si parlano tre lingue: tedesca,
schiava e italiana». «Nobile città
del Friuli austriaco» la definì Lorenzo da Ponte, il librettista di
Wolfgang Amadeus Mozart. Luogo tranquillo di delizie. «I suoi vini
— scrisse Carlo Goldoni — danno
motivo a graziosissime lepidezze».
SEGUE A PAGINA 35
CACCIARI, LONGO,
MAURENSIG e ZANINI
ALLE PAGINE 35, 36 e 37
ALLE PAGINE 12, 13 e 27
A PAGINA 11
LA STORIA
IL CASO
Il mistero della Gioconda
malata per un millimetro
Vogliono abolire il pareggio
addio alla partita perfetta
FRANCESCO MERLO
PARIGI
guancia destra, come
fosse un brivido della
L CONSERVATORE
Gioconda che all’illucapo Vincent Posione del movimento,
marède ci ripete
del calore e della vita
che quell’impercettiaggiunge la grazia indibile, pressoché invisicibile di sembrare peribile deformazione
tura. Così a cinque pasdella tavola di pioppo,
si di distanza e dietro il
meno di un millimevetro sul quale rimbalzano i flash si
tro, «è solo un’inquietudine che
crede di vedere la nuova malattia
non bisogna né minimizzare né
drammatizzare». E tuttavia l’imdella Gioconda con la stessa mistimaginazione del popolo dei musei
ca morbosità con la quale si vedono
riesce subito a notare il cedimento
senza vederle le lacrime delle Madella materia sulla guancia sinistra
donne che piangono.
o se preferite il rigonfiamento sulla
SEGUE A PAGINA 39
I
Gorizia
cade
l’ultimo muro
d’Europa
S
InfernoaFallujaeNajaf
BAGDAD — Attacco alle roccheforti
dei ribelli iracheni. Le forze americane hanno lanciato operazioni notturne prima contro la città sciita, feudo di Al Sadr: negli scontri vi sarebbero state almeno 64 vititme tra i miliziani dell’imam; tregua saltata ancora una volta nella cittadina sunnita di
Falluja dove sono entrati in azione
caccia ed elicotteri Usa e dove è saltato l'esperimento delle pattuglie congiunte iracheno-americane. Il capo
dell'Autorità civile provvisoria Paul
Bremer ha affermato che, dopo gli
scontri, Falluja verrà ricostruita in 8
settimane. E, mentre l’inviato dell’Onu Brahimi si dice ottimista su un accordo entro maggio per la formazione d’un nuovo governo a interim che
sostituisca la Coalizione e ponga fine
all’occupazione entro la data del 30
giugno, inviati della Croce rossa hanno di nuovo incontrato il prigioniero
Saddam.
Ieri sera attacco terroristico a Damasco. Le forze di sicurezza siriane
avrebbero ingaggiato scontri con un
gruppo d’attentatori in azione nel
quartiere diplomatico della capitale.
DA PAGINA 8 A PAGINA 11
DIARIO
PAOLO RUMIZ
Notte di fuoco nella città santa degli sciiti, i morti sono almeno 64. In Siria attacchi terroristici nel quartiere delle ambasciate
Bremer: in due mesi
ricostruiremo tutto
La Croce rossa
in visita da Saddam
AB
GIANNI MURA
CON REPUBBLICA
“I racconti” di Puskin
Il 19°
volume
della
Collana
dell’800
a richiesta
a soli
7,90 euro
in più
EPP Blatter ne ha buttata lì
un’altra delle sue: abolire i pareggi. È lo stesso Blatter che
proponeva il body per rendere più
attraenti le calciatrici, quello che
puniva i calciatori del Camerun per
aver usato il body. È sempre lui. Il
fatto che sia presidente della Fifa,
cioè del calcio mondiale, obbliga a
prendere quasi sul serio l’ultima
uscita.
Intanto, come reagirebbe Gianni Brera? «Svizzer, va a scoà el mar».
SEGUE A PAGINA 14
CROSETTI A PAGINA 49
S
Fly UP