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21. a) La clementia di Cesare
21. a) La clementia di Cesare Abbiamo trovato nel discorso di Cesare ai soldati prima della battaglia (B. C. III 90, 2) un accenno programmatico alla clemenza e alla misericordia. Più avanti (III 98, 2) egli introduce poi il termine lenitas «moderazione» per definire il suo atteggiamento nei confronti dei nemici vinti a Farsalo. Una lettera di Cesare, inviata a Oppio e Cornelio Balbo, due compagni di partito, pervenutaci nel corpus dell’epistolario ciceroniano (Cic., Epistole ad Attico IX 7, C) , scritta poco dopo la resa di Corfinio (B. C. I 17 ss.), quando Cesare aveva lasciato liberi ed incolumi i capi pompeiani, enuncia programmaticamente la nuova politica della «misericordia e della liberalità» come mezzi adatti a prolungare la vittoria: «Vivamente mi compiaccio, afferma Cesare, di apprendere dalla vostra lettera quanto voi approviate ciò che è stato fatto a Corfinio. Mi adeguerò volentieri al vostro parere, tanto più volentieri in quanto già di mia iniziativa ho deciso di mostrarmi mite quanto più è possibile e di cercare di riconciliarmi con Pompeo. Voglio provare, se possibile, in questo modo a riguadagnarmi le simpatie di tutti, e ad assicurarmi una vittoria duratura, giacché gli altri con la crudeltà non riuscirono a sottrarsi all’odio, né a conservarsi la vittoria un po’ a lungo, tranne il solo Lucio Silla, di cui non intendo seguire l’esempio. Voglio inaugurare un nuovo modo di vincere: rafforzare la mia posizione con la mitezza e la generosità. Ho già qualche idea su come ciò si possa fare, e molte altre se ne possono trovare. Vorrei che voi rifletteste su questo argomento». Riportiamo, in proposito, il pensiero di Luca Canali: «Io credo che Cesare si comportasse più umanamente nella guerra civile che nella guerra gallica, non già per esigenze propagandistiche o per la distinzione dei suoi attuali 1 civili avversari dagli antichi nemici barbari (e con ciò non voglio dire che questi due fatti non avessero nessuna influenza, ma soltanto che non avevano un’influenza determinante), bensì perché il suo giudizio sulla realtà e il suo atteggiamento razionale scevro di pregiudizi, rancori, passioni personali, gli dicevano che quel conflitto poteva essere vinto più agevolmente con la pace che con la guerra, con la clemenza piuttosto che con la crudeltà; Cesare sentiva di assecondare il corso della storia, di interpretare le esigenze progressive del suo tempo; e che i suoi nemici lottavano contro tale corso ed erano storicamente condannati alla sconfitta; perciò comprendeva che il suo compito era quello di condurre con la massima energia, ma insieme di circoscrivere quanto più possibile il conflitto, cioè di isolare il nucleo dell’opposizione conservatrice più intransigente, gettando viceversa un ponte tra i rappresentanti consapevoli o inconsapevoli del nuovo ordine e gli avversari, dai più modesti ai più insigni, che per ragioni personali, ideologiche, economiche (le quali tutte egli avrebbe cercato di superare con la sua generosità e il suo equilibrio) si trovassero ancora in campo contro di lui. L’ideale della clementia non corrispondeva soltanto a un’esigenza della guerra psicologica e della propaganda cesariana, né costituiva esclusivamente una generica interpretazione del bisogno di pace da parte di genti stremate da decenni di sanguinosi conflitti civili (in questo senso generico è stata più volte giustamente rilevata la contrapposizione, che Cesare amava fare, di sé a Silla); e tantomeno un messaggio di saggezza politica lanciato alla posterità. Certo essa era tutte queste cose insieme: ma doveva essere, sul terreno politico, qualcosa di più limitato e concreto, e insieme di più storicamente significativo: il rovesciamento della parola d’ordine ciceroniana della concordia ordinum (alleanza delle classi), ossia, propriamente, la sua acquisizione come concetto, ma detrattane la componente reazionaria (coalizione delle classi dei boni homines sotto l’egemonia dei ceti conservatori), e innestandovi invece l’imperativo di una nuova alleanza e partecipazione di tutte le genti dello stato universale romano sotto l’egemonia dei ceti progressisti, di cui Cesare si poneva come più alto rappresentante. 2 Questa alleanza era sì espressione di una precisa esigenza storica, ma di fatto promanava dalla personalità che di essa si era fatta insieme interprete e arbitra. E tale concordia aveva come necessaria premessa la degnazione del principe, ossia il concetto che il bisogno di pace sarebbe stato soddisfatto solo nell’ordine di un potere personale fortemente centralizzato. La concordia (paternalisticamente garantita dalla clementia) avrebbe dovuto realizzarsi sulla base programmatica o semplicemente sulla prassi del regime rivoluzionario che, fatte le dovute concessioni, faceva però anche le sue scelte, e chiedendo lealtà nei confronti di esse, garantiva in compenso non solo incolumità, ma prestigio, ricchezze, potenza. V’era indubbiamente nel nuovo regime una distruzione della libertà repubblicana: ma quella libertà che tanto risuonava nei discorsi degli oligarchi, nella pratica dello stato non esisteva più. E v’era, al contrario, in quel regime una libertà ben più alta di quella tradizionale: la libertà che avrebbe permesso, e già permetteva, alle classi e alle popolazioni fino allora oppresse dal privilegio della polis, un apporto decisivo all’economia e alla cultura dello stato universale. Ma quella clemenza, di cui necessitavano tutte le genti dell’impero, era pur sempre la clementia Caesaris. E il fatto che essa coincidesse con un lato incontestabile della psicologia cesariana e che avesse la sua premessa nella magnanimità dell’uomo, nella sua generosità e urbanità, e nel culto dell’amicizia e della riconoscenza che sempre gli fu proprio, costituisce ancora una volta la prova che essenziale di questa personalità fu l’armonia di intelletto e di carattere, di razionalità e sentimento: e che le sue passioni ebbero sempre la ventura di esplicarsi nell’ambito di un grande disegno intellettuale»1. Il motivo della clementia Caesaris sarà largamente reclamizzato, per esempio attraverso le monete, soprattutto dopo gli esiti finali della guerra civile. 1. Luca Canali, Cesare senza miti, ERI, Torino 1969 3