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Irresponsabile disseminazione
San Leonardo di Siponto e Don Mastrobuoni Lungo la statale, che da Foggia conduce a Manfredonia, al km. 27,6, località segnata nelle carte turistiche col nome di Monte Aquilone (m. 100 sul livello del mare), l'occhio è attratto da un complesso di fabbriche monumentali, che interrompono la uniformità del paesaggio agreste e invitano a sostare, per visitarle. Sono le testimonianze superstiti di San Leonardo di Siponto, costituite dal monastero, dalla chiesa e dall'ospizio, cioè foresteria ed infermeria, ad uso dei pellegrini diretti al famoso santuario di San Michele Arcangelo sul monte Gargano. LE ANTICHE ORIGINI. Il monastero, che si suppone fondato dall'Ordine dei Canonici Agostiniani tra la fine del secolo XI ed il principio del secolo XII, non gettava, secondo l'Ughelli, nella sua seconda metà del secolo XII e nei primi del XIII « meno di 20.000 fiorini d'oro di rendita annua ». Periodo aureo quindi della sua conventualità, a cui purtroppo seguì la piena decadenza, tanto che la chiesa di S. Leonardo poteva apparire talmente degenerata da sembrare non più una casa di Dio, ma una « spelonca di ladri ». Nel 1261 S. Leonardo passava ai Frati dell'Ordine Teutonico, che ne fecero il centro della loro attività in Puglia, e vi rimasero fino alla seconda metà del secolo XV. Ultimo rappresentante di quest'Ordine fu il vescovo di Troia, Stefano Gruben, poi arcivescovo di Reggio Calabria. Alla sua morte, la chiesa, considerata come badia, cominciò ad assegnarsi ai Cardinali. Le truppe del maresciallo Lautrec occuparono il convento durante l'assedio di Manfredonia, nel 1527. Vi si celebrava già solennemente la festa di Nostro Signore nel 1538, quando l'aveva in commenda il fiorentino Taddeo Gaddi, che poi fu arcivescovo di Cosenza. Tra gli altri abati commendatari ricordiamo 156 Bonifacio Gaetani, che vi costruì nel 1600 un'edicola cimiteriale da non molto demolita; i cardinali Carlo Barberini, Albani e Pasquale Acquaviva d'Aragona, che fu l'ultimo. Dall'inizio del sec. XVII i Frati Minori Osservanti governarono la badia, fino a quando, soppressa nel 1810, si trasferirono in Manfredonia, nel Convento di S. Maria delle Grazie, dove portarono le statue di S. Leonardo e di S. Marina e le reliquie del corpo di S. Celestino Martire. Dichiarato laicale il « beneficio » il convento passava con le rendite all'Ordine Costantiniano. Il re Gioacchino Murat, sopprimendo il beneficio, ne assegnava le rendite all'Ospedale Civile di Foggia, con l'obbligo di ricoverare gli infermi di quei paesi che erano prima ricevuti. DECADENZA E RESTAURI. Le fabbriche conventuali furono affidate in locazione con i circostanti terreni; utilizzate ai fini dell'agricoltura, subirono l'azione corrosiva del tempo e della ignoranza, rimanendo inascoltate le voci degli studiosi, che chiedevano la salvezza di quell'eccezionale patrimonio storico-artistico. Esso risultò ancora abbandonato alla decadenza nel 1925, quando il giovane Mario Simone (Sipontinus), ne descrisse le vestigia, che « dormivano i lunghi sonni in un paesaggio tristissimo », documentando la sua accorata protesta con una fotografia. Eppure, alla indifferenza delle autorità e degli uffici competenti si era da tempo rivolta la denuncia di autorevoli studiosi, quale Alfredo Petrucci, che fin dal 1921, nella rubrica « Italia ignota » di « Le vie d'Italia » del T.C.I., scopriva San Leonardo del Gargano, che sei anni dopo segnalava anche ne « La Gazzetta del Mezzogiorno », come Un fiore nel deserto, mentre il Bacchelli ne parlava, ambientandovi un suo drammatico racconto - Agnus Dei -, nella « Illustrazione Italiana » del 1929. A costoro si unirono ultimamente altri scrittori e uomini politici, tra i quali Rosario Labadessa, commissario del Consorzio di Bonifica del Tavoliere e il canonico prof. D. Silvestro Mastrobuoni da Cerreto Sannita, teologo del Capitolo metropolitano di Manfredonia e ispettore onorario alle Antichità e Belle Arti. Il complesso monumentale alfine, restaurato dal Ministero della P.I., da S. E. Mons. Cesarano, pastore della storica Diocesi, fu affidato in rettoria allo stesso D. Mastrobuoni. La chiesa, riaperta al culto il 1° maggio 1950, ottenne riconoscimento giuridico il 1° dicembre 1952. 157 Con altro decreto del Presidente della Repubblica, in data 7 giugno 1956, fu conferita la personalità giuridica alla Parrocchia, fondata con decreto dell'Arcivescovo del 15 novembre 1950, insieme con l'Opera dei Pastori, di cui diremo in seguito, e successivamente dotata dallo stesso Mastrobuoni di rendita per il parroco e per le spese di culto. La storia degli ultimi due decenni, sino al 1966, è legata a quel Sacerdote e Docente, che diede tutto se stesso per il risveglio delle opere e del culto di questo monumento nazionale. IL COMPLESSO ARCHITETTONICO. Di esso - la chiesa, le fabbriche conventuali, l'ospizio dei poveri - la parte da ammirare (e che alta ammirazione e godimento spirituale!) è la chiesa, « sentinella avanzata dei templi a cupola, in Puglia », per dirla con Alfredo Petrucci, col suo meraviglioso portale, la cui bellezza sprigiona una luce esaltante per lo spirito estasiato. Attingiamo questi cenni dallo stesso Petrucci e dal Mastrobuoni. Delle fabbriche conventuali, che non sollecitano alcun interesse artistico, parzialmente addossate alla chiesa, diremo che vi si accede da una scala rifatta sull'antico sistema. Sette stanze, con stemmi della famiglia Gaetani di Roma, ci assicurano l'opera dei due cardinali commendatari della seconda metà del Cinquecento, Nicola ed Enrico. Le altre stanze, costruite posteriormente, sono rovinate e inabitabili, all'infuori del così detto « palazzo », costruito nel 1763 da un frate francescano, P. Costantino da Manfredonia. Dell'antico ospizio dei pellegrini, che funzionava già nel sec. XII, restano pochissime tracce, poiché fu più volte restaurato. L'edificio sorge isolato ad alcuni metri dagli altri edifici, anch'esso recentemente, ma solo in parte, rifatto nelle mura che minacciavano rovina. Di notevole, le due finestre di stile ogivale con il portoncino d'ingresso; dalla parte opposta vi si possono osservare due porte dalle ornie di pietra calcarea tenera, di cui si legge la data (1327), e due finestrette a sesto acuto, incassate oltre la fodera esterna del muro perimetrale. Il terremoto del 1731 lo rovinò completamente, per cui venne ricostruito quasi dalle fondamenta nel 1745, a cura dell'ultimo abate commendatario D. Pasquale Acquaviva di Aragona, del quale vediamo lo stemma sul parapetto del pozzo esterno, e funzionò da ospedale per i pastori abruzzesi fino all'inizio del secolo XIX. La chiesa risale, per le sue due cupolette, al secolo XII. Gli avanzi 158 di più remota antichità ci fanno ritenere l'esistenza di una chiesa bizantina, trasformata in chiesa latina nel secolo XI. La chiesa bizantina, di forma quadrata, doveva avere la porta d'ingresso ad oriente, come si intuisce per l'esistenza di altri particolari: le tre absidi ne chiusero il primitivo ingresso. Eretto in un periodo di pieno fervore religioso ed artistico, da un popolo vecchio di storia e di civiltà, questo monumento emana un fascino particolare, sì che possiamo dire con Nicola De Feudis che « non la mole, né la fastosità o la ricchezza di materiali, e neppure la complessità di strutture murarie, tese al gioco statico della costruzione, caratterizzano questo tempio, sibbene la chiarità delle sue linee architettoniche essenziali, il gusto evoluto della sua ornamentazione, dosata con sicuro senso della misura e realizzata con disinvolta sicurezza, e soprattutto il solenne portale, nel quale è esploso il genio inventivo di un originale maestro della pietra ». La nota caratteristica che fa scorgere il complesso da oltre due chilometri sull'antica « strada dei pellegrini » è questa: le due cupole, con un campanile ed il tipico camino a torretta, che si innalza sulla cappa dell'antica cucina del convento. Delle due facciate, dallo stile caratteristicamente romanico, la principale è rivolta ad occidente ed il suo portale è meno ricco dell'altro che con la sua facciata secondaria risponde sul viale verso la strada. La facciata principale, la primogenita, che denuncia la presenza di tre navate con copertura a volta, consente la vista del tamburo ottagonale, ricoprente una delle volte coniche, abbellito e alleggerito da archetti a tutto sesto, poggianti su fasce a sezione rettangolare. Alla sommità della facciata, gli archetti di sinistra scendono gradatamente fino alla cantonata, e l'unica rosetta incastonata e la finestra romboidale denunciano la parte più antica della chiesa, mentre l'altro angolo con il suo campanile secentesco, di recente ricostruito, indicano una ricostruzione ed un adattamento che continua verso il chiostro, nel quale si affacciano bellissime bifore e artistiche colonnine di magnifico effetto. Non sappiamo se il portale di questa facciata, assai manomesso, trovasse riscontro in origine al meraviglioso portale di cui diremo in seguito. Certo, la facciata è giunta a noi mutilata e contraffatta dai restauri eseguiti nel 1635, quando la conventualità era già passata ai francescani. E passiamo all'altra facciata, nella quale è incastonato quel gioiello 159 di portale con la ricchezza e la solennità della struttura e con la forza del rilievo aggettante. Qui il maestro architettore, che nulla ha tralasciato per rendere perfetta la compagine del suo lavoro, ha trovato nello scultore un sapientissimo interprete. Questo fastoso portale fu costruito al tempo della maggiore opulenza della Comunità, quando ne era Priore il monaco Riccardus, detto « il gran Riccardo » (1157-1170). Primo a descriverlo compiutamente, nella sua armoniosa architettura, fu Alfredo Petrucci, il quale gli diede una data, anteriore alle edificazioni sveve, ed una firma, come la scuola dei maestri garganici, inaugurata nel secolo XI dall'Acceptus. Egli fa rilevare che, purtroppo, poche parole vi dedicarono gli scrittori del secolo scorso che si sono interessati, fra l'altro, di S. Leonardo di Siponto: Emile Bertaux accenna alla « ricchezza del portale scolpito che immette nella nave di sinistra »; il Lenormant dice di questa porta che « è un bel tipo dello stile della metà del secolo XIII in questa regione »; il Gregorovius scrive che la chiesa « ha una porta bellissima ed una tribuna di puro stile romanico »; ed Arthur Haseloff la definisce: « mirabile, tutta adorna di splendidi fregi e tralci ed animali ». Il Petrucci, ampiamente lo analizza, ed afferma di questo portale che « se per la sua sontuosità sembra volerci ricordare la straordinaria opulenza della badia cui apparteneva, si può dire che gareggi, per armonia d'insieme e finezza di dettagli, con i più begli esemplari di decorazione architettonica di tutto il periodo romanico pugliese ed anche italiano ». Per meglio descriverlo, il portale lo dividiamo in 3 sezioni: l'interna, che rappresenta il portale vero e proprio, con i suoi stipiti, le due colonnine, i due capitelli, l'architrave, le quattro cornici a tutto sesto concentriche e i due capitelli; l'esterna, rappresentata da una sorta di baldacchino schiacciato o pseudopròtiro fortemente aggettante, che termina in alto con una cornice a cuspide, sostenuto da due leoni, che a loro volta sostengono due colonne con capitelli e grifi; nello spazio tra le dette sezioni, il frontone con figure. Sugli stipiti, i due motivi più originali dell'intero complesso monumentale: nell'uno il tralcio, con figure antropomorfe, zoomorfe e mostruose imprigionate nelle volute, nell'altro la seguenza delle foglie ad S abbinate: l'accordo di due mezze foglie, accostate in basso e divergenti in alto: motivi che continuano per tutto il giro dell'archivolto. I capitelli sono costituiti da due blocchi trapezoidali, tagliati in 160 pianta ad angolo rientrante. In quello a sinistra è rappresentato « Il pellegrino sul Gargano » e in quello a destra « L'arrivo dei Re Magi », come dimostrano i doni ch'essi recano in mano e la presenza della stella in cielo. Nel primo, dice il Petrucci, « è figurato un uomo in cammino con la sua bestia, nel quale alcuni scrittori credettero di vedere la storia di Balaam e la sua asina; ma il popolo vi ravvisa fin dalle origini la figura del pellegrino medioevale in viaggio verso il Santuario. E nessuna cosa è tanto commovente quanto la vista di quest'uomo, non più pagano ma cristiano, che, incurante d'estate del torrido Atabulus, d'inverno del « tremolizzo grandissemo », sia egli un regnante o un villano, un porporato o uno scaccino, si va avvicinando, di tappa in tappa, di xenodochium in xenodochium, alla favoleggiata ed agognata sua mèta ». L'architrave presenta un motivo a sé, consistente nella ripetizione simmetrica di un fregio somigliante ad un'armilla barbarica. Ma dove il portale vero e proprio raggiunge l'acme della sua ricchezza e della sua armonia è nella parte superiore dell'architrave, ove si sviluppano le quattro cornici a tutto sesto e la lunetta. Nella prima e nella terza cornice vediamo continuare e svolgersi in curva i due motivi degli stipiti: il tralcio figurato e le foglie a doppio S. Il tralcio contiene, nelle otto eleganti volute di questo arco, i simboli dei quattro Evangelisti ed altri bassorilievi figurati, tutti differenti tra loro, tra cui un cervo, un centauro con la bùccina in bocca ed una centauressa musicante di grande leggiadria. Tra le due precedenti, la seconda cornice, un semicerchio a sguancio di foglie accartocciate sulle punte, a mo' di valva, e nella quarta terminale una fila di losanghe contenute tra due listerelle piatte, i cui motivi, forse, in origine dovevano essere riempiti di marmette policrome. Nella lunetta è figurato, con altrettanto forte rilievo, « Gesù benedicente » in una sorta di medaglione a mandorla, tenuto per le mani da due angeli in ginocchio, adoranti il Legislatore, Gesù Cristo, Salvatore del Mondo. E passiamo al baldacchino o pseudo-pròtiro che termina in alto, come si è detto, con una cornice a cuspide, che è come il sopracciglio del portale, e nell'interno con un arco ricco di un giro di foglie alte e snelle, alternate a palmettine. I due leoni in basso, a sostegno delle colonne e del resto, rappresentano: l'uno che maciulla una figura umana, nuda, richiama l'ammonimento dell'Apostolo Pietro che invita i fedeli ad essere sobri e vigilanti 161 nella preghiera, perché il nostro avversario, il diavolo, è « come un leone ruggente che cerca chi divorare », e l'altro, nelle cui fauci ha un pesce, è l'espressione del cristiano che, cibandosi di Cristo, ossia del pane eucaristico, e meditando la sua dottrina, diventa forte come un leone, terribile al demonio, ispiratore di ogni male. Nel frontone, nello spazio cioè tra il portale vero e proprio ed il così detto baldacchino, due figure maschili aureolate, scolpite a mezzorilievo: l'una a sinistra, in piedi ed orante, a capo scoperto, potrebbe rappresentare S. Agostino, al cui ordine, appunto, appartenevano i fondatori del tempio, e l'altra a destra, pure in piedi, con il cappuccio tirato sulla fronte, un libro in mano ed una pesante catena, non può non essere che S. Leonardo, cui il tempio fu dedicato, patrono dei carcerati. Tra le due figure, al centro del campo, n'era una terza, oggi mancante, che doveva presumibilmente rappresentare la Vergine con il Bambino Gesù. Tutte queste immagini fra tanta flora e fauna e figurazioni simboliche suscitano un incanto che Alfredo Petrucci, poetando, sintetizza: « Chi compì questo miracolo? Chi vestì di tanta bellezza la pietra da cui ancora si sprigiona una parola così calda di vita? Immagini lievi, come creature in punta di piedi, giungono da lontano al nostro spirito. Il tempo antico si fa presente. Le distanze si accorciano come le ombre alla radice delle cose, mentre il sole è ancora alto all'orizzonte. Il tralcio che ascende in larghe volute su per gli stipiti e gli archivolti, trema al soffio del vento ... E le figure intricate nei cirri riprendono il moto, al punto in cui lo scalpello dell'umile maestro le fermò or sono ottocento anni. La centauressa si stacca dalla pietra; la siringa stretta tra le sue mani intona, percossa, la sua più bella canzone ». E passiamo alla descrizione della facciata, il cui cornicione di coronamento è sostenuto da una serie di mensole, interessanti per la varietà e la delicatezza dei motivi, mentre al disotto di esse numerosi archetti, divisi in serie di tre, da lesene che s'innalzano fino a raggiungere la linea d'imposta, ripetono il motivo romanico dominante. Quattro monofore arricchiscono, fra le lesene, il complesso della facciata. Sulla faccia posteriore della chiesa, non meno decorata, per quanto con diversi motivi, si arrotondano tre absidi: una centrale, maggiore, e due laterali, in cui non è difficile rivedere in quelle figure mostruose simboli di divinità pagane, che rappresentano i demoni che stanno fuori della chiesa. Su una fascia dell'abside maggiore, che ha pure un coronamento 162 di archetti, ripartiti a due a due da pilastrini quadrati, troviamo un nome: « Guilielmus sacerdos »: probabilmente è il nome di uno dei canonici regolari di S. Agostino del secolo XII. Nel mezzo di quest'abside si apre una finestra a tutto sesto circoscritta da una bella fascia ornamentale, composta di un tralcio dipartentesi, da un lato e dall'altro, dalla bocca di due draghi. Sulla chiave dell'arco un grosso grifo ed ai lati degli stipiti si vedono i frammenti dei mostri fra i quali dovevano innalzarsi due colonnine. Dalla cornice di quest'abside pendono, a grappolo, mensolette scolpite, con mostri, bizzarri intrecci e nodi di rami, maschere ed altri viluppi di corpi. Parimenti, coronato di archetti, è il tamburo ottagonale dell'unica cupoletta integra, rispetto all'altra. Trattasi delle due cupolette di cui abbiamo detto innanzi. Entrando nella chiesa dalla facciata principale, notiamo la mancanza della navata di destra, che però corrisponde ad un specie di matroneo, ossia coretto: fu questo anteriormente un lato esterno della Chiesa, come risulta dalla stessa muratura e dalle fondazioni. Il pilastro con colonnine semiaddossate ed i diversi capitelli istoriati, non ha riscontro con gli altri, di diverso stile. Nella volta centrale una graziosa rosetta denuncia l'esistenza di un'antica meridiana, che doveva regolare il ritmo della vita religiosa e claustrale. Alcuni affreschi e scudi crociati teutonici ci riportano alla seconda metà del secolo XIII, quando vi giunsero i Frati dell'Ordine Teutonico di S. Maria di Prussia. Durante gli ultimi restauri, tutti gli altari esistenti, in stile di decadente barocco, che davano un aspetto confuso e disarmonico al tempio, furono rimossi, ed il materiale venne depositato in un locale attiguo, con alcuni ruderi delle più antiche costruzioni. Attualmente vi è il solo altare centrale, di recente costruzione, consacrato nel 1951 dal vescovo di Lucera, Monsignor Ventola. Una lapide nell'interno, sulla porta centrale, ricorda la data di riapertura al culto (1950). IL CROCIFISSO ASSENTE. Dalla sua riapertura al culto fino al 1956 la chiesa custodiva un grande Crocifisso di legno, opera pregevolissima, eseguita fra il 1220 ed il 1230, quando cioè il monastero era ricco e potente: uno sculto del tipo detto « vivente », con gli occhi aperti ed i piedi staccati, e chi lo eseguì mostra di aver puntato più che sulla espressione del 163 Cristo, sulla esasperata anatomia del suo corpo, resa più evidente, anche attraverso la trasparenza del perizoma, dalla pittura sovrapposta all'intaglio. L'artista, forse del luogo, aveva dietro di sé esemplari insigni di Crocifissi, non solo dipinti ma anche scolpiti; ma preferì fare da sé, rimanendo estraneo alla suggestione delle stupende sculture di spirito classico che si andavano lavorando per la porta maggiore della chiesa. Per l'interessamento del nostro D. Silvestro, che sensibilizzò la Sovrintendenza ai Monumenti e alle Gallerie della Puglia in Bari, nel 1956 questo Crocifisso fu restaurato dall'Istituto Centrale del Restauro e nel 1958 il M.ro della P.I. lo destinò alla Esposizione Universale di Bruxelles. Successivamente, invece di essere riconsegnato alla chiesa di S. Leonardo, fu inviato a Bari dove trovasi esposto nel Castello Svevo. Vane sono risultate le proteste e le sollecitazioni, per il ritorno a Manfredonia di quella vera opera d'arte, formulate dalle autorità ecclesiastiche, da enti culturali e turistici e dalla stampa, tanto che non soltanto dai Manfredoniani, ma anche da ogni studioso e visitatore - deluso da quella sparizione -, se ne chiede conto ai revv. P.P. Minori, cui spetta il possesso del Crocifisso. IL « CAPPELLANO DEL LAVORO ». Ma, esaltando il tempio di S. Leonardo di Siponto, noi intendiamo onorare anche la venerata memoria di D. Silvestro Mastrobuoni, nella cornice di San Leonardo, cui donò tutto se stesso, attingendo dalla poesia della pietra e dalle fonti della storia tutto quanto l'una e l'altra potevano offrire. Né sarebbe possibile disgiungere da lui e da San Leonardo quanti, come noi, lo amarono, collaborando alle sue attività sociali e culturali. Dopo i primi restauri, il monumento ebbe in lui il suo rianimatore e illustratore, con una pregevole monografia storica sulla insigne badia e la sua chiesa, con dedica al militante Ordine dei Frati Minori, ritornato colà dopo un secolo e mezzo per officiare nella nuova Parrocchia. Nato a Cerreto Sannita nel 1889, egli può considerarsi pugliese per dimora e per affetto. Studioso e scrittore di agiografia e storia ecclesiastica, venne in Capitanata quando reggeva la diocesi di Ascoli e Cerignola il vescovo Monsignor Giovanni Sodo, che gli affidò diversi incarichi per il ministero sacerdotale. Iscritto all'albo professionale degli insegnanti medi della Campania 164 per la sua laurea in lettere, insegnava nel Collegio « Davanzati » dei PP. Barnabiti in Trani da un triennio, allorché fu chiamato alla Curia di S. Severo, dove rivestì la dignità di Vicario, ed ebbe modo di studiare le pergamene di quella Cattedrale, che furono pubblicate. Successivamente, nel 1937, fu incardinato come canonico teologo del Duomo di Manfredonia. Insegnò Lettere nel Seminario e nel Collegio arcivescovile « Sacro Cuore » ed anche nel convento dei Frati Minori, quindi Religione nell'Istituto Tecnico Commerciale Statale. Come direttore dell'Ufficio Catechistico Diocesano, tenne numerosi corsi di aggiornamento agli insegnanti elementari. Fu per breve tempo anche nel Liceo del Pontificio Seminario di Benevento (1942). Nominato ispettore onorario per le antichità ed opere d'arte di Manfredonia, dal Ministero della Pubblica Istruzione, per il triennio 1945-47, e più volte riconfermato, direttore onorario della civica Biblioteca « Luigi Pascale » e dell'annessa raccolta archeologica, componente autorevole della Commissione municipale per la Toponomastica e del Comitato Pro-cultura, collaboratore della « Enciclopedia Cattolica » e probo-viro della Società Dauna di Cultura di Foggia, Don Mastrobuoni fu presente in tutte le iniziative e manifestazioni, rivolte all'incremento culturale. L'OPERA DEI PASTORI. Al poeta abruzzese Alfredo Luciani, la cui produzione letteraria ebbe il plauso e l'ammirazione del D'Annunzio, del Di Giacomo, del Croce, del Papini, del Bargellini, devesi la prima idea della fondazione dell'Opera dei Pastori in Italia. La stessa Opera il nostro D. Silvestro volle fondare a Manfredonia, collegandola all'Opera di San Leonardo di Siponto. E noi avemmo il Luciani, ospite gradito ed applaudito a Manfredonia il 1951, quando ci lesse le sue liriche, in una memorabile riunione, e ci aprì la sua anima squisitamente lirica. La prima idea dell'Opera gli balenò quando, per la morte dell'unico figlio maschio, ritiratosi a meditare sul suo dolore nella natia Montagna d'Abruzzo, ebbe dai pastori sollievo ed amicizia, ed in segno di affetto le prime pecore della Carità, distinte dalle altre dal rosso segno di croce sul candido vello. Così dalla poesia che aveva cantato sulla gioia e sul dolore umani, egli passa ad altra poesia, quella costruttiva che deve formare i 165 Missionari della Montagna per accompagnare ed assistere spiritualmente i pastori nelle loro transumanze. Da quella data, aprile 1951, si lavorò perché l'Opera dei Pastori avesse avuto il massimo incremento, a S. Leonardo di Siponto. Ed inoltre, qui, in questo periodo per l'attività di D. Silvestro, sorsero corsi di qualificazione per caseari, due scuole, elementare e popolare, per i figli dei pastori e dei contadini della zona, una piccola biblioteca popolare, un campo sperimentale per la coltivazione dell'olivo e di altri alberelli, ed infine si diffuse il periodico mensile « Il Pastore ». Prima di chiudere mi piace riportare questo pensiero del Dyson. Quanto più quelle sacre fabbriche ci appaiono rovinate dal tempo e dagli eventi, tanto più ci interessano, al pensiero che un giorno, nel Medioevo, un'abazia rappresentava la comunità più potente del mondo occidentale: « Codesti retaggi di pietre, di mattoni, di archi, di colonne, sono le più commoventi reliquie del passato, le custodi gelose di ciò che i nostri avi intendevano per civiltà, per comunanza di fede, per vittoria dello spirito ». E chiudo invocando chi, fra queste espressioni d'arte imperitura, tenace e dinamico credente, ha lavorato in silenzio, pietra su pietra, a tante opere egrege, per cui doveroso è da noi testimoniare per la sua sacra Memoria tutta la nostra riconoscenza e quella di Manfredonia, che lo ebbe prima ospite e dopo suo cittadino, avendola egli eletta e servita, per oltre un ventennio quale seconda patria, e auspicare che la fiaccola da Lui agitata sia raccolta dai giovani. ANTONIO FERRARA CONTRIBUTI BIBLIOGRAFICI DI NOSTRI SCRITTORI NICOLA DE FEUDIS e S. MASTROSUONI (a cura di), Manfredonia (Siponto e San Leonardo), Foggia, 1958. DANIELE PERLA, II Crocifisso ligneo di S. Leonardo di Siponto, ne « Il Mattino » (Napoli) 29.10.1970. ALFREDO PETRUCCI, Una città morta (Siponto), in « Emporium » (Bergamo), 1921. IDEM, Italia ignota: San Leonardo del Gargano, in « Le vie d'Italia » (Mila no), 1922. IDEM, Paesi e monumenti di Puglia. Un fiore nel deserto: San Leonardo, in « Gazzet ta di Puglia » (Bari), 5.6.1927. IDEM, Cattedrali di Puglia, I ed., Roma 1960, II ed. Roma 1964. IDEM, II pellegrino al Gargano, Foggia, 1968. MARIUS SIPONTINUS, I monumenti dell'antica e della nuova Siponto, in « Man fredonia e il Gargano», Manfredonia, 1921. IDEM, Gli scavi archeologici e il restauro di un antico monumento, ne « Il Giornale d'Italia» (Roma), 1937. 166 OPERE DI SILVESTRO MASTROBUONI Cenni biografici di Mons. Luigi Sodo, vescovo di Telese Cerreto, morto in odore di santità il 30 luglio 1895. Napoli, Tip. Ed. Pontificia 1917. In 8°, pp. 48. Una gloria di Cerreto: P. Domenico Bruno S. J.. Nel 2° Centenario della sua morte. In «Regina dei Monti», Cerreto Sannita 1930-1931. Pergamene della Chiesa Cattedrale di San Severo. Estr. da «Bollettino Diocesano », 1932, marzo-dic. San Severo, Curia Vescovile. (San Severo, Tip. Morrico). In 8°, pp. 8. San Lorenzo Maiorano, vescovo Sipontino. « Ai margini della Storia Sipontina », Fase. I. Estr. da «Vita Cattolica», a. 1938, Manfredonia, Tip. Sipontina, s. d. [1938]. In 8°, pp. 14. Il culto della Madonna di Siponto. « Ai margini della Storia Sipontina », Fase. II, Estr. dal « Bollettino dell'Archidiocesi di Manfredonia » a. 1941. Manfredonia, Tip. Ortensio Bilancia, 1942. In 80, pp. 50. Cronotassi e blasonario dei Vescovi ed Arcivescovi Sipontini. « Ai margini della Storia Sipontina », Fase. III, Benevento, Libr. ed. Fallarino, 1943 (Tip. Bilancia, Manfredonia). In 8°, pp. 78. La Chiesa Sipontina e i suoi rapporti con altre Chiese della Regione Appuro-San nita. Anno 1943. « Pagine di storia della Regione ecclesiastica beneventana, fase. I ». Benevento, Libr. ed. Fallarino, 1943 (Tip. Bilancia, Manfredonia). In 8°, pp. 86. S. Leonardo di Siponto, guida illustrata con note d'arte e di storia. Manfredonia, Opera San Leonardo di Siponto, 1951. (Foggia, Tip. Cappetta). A beneficio dell'Opera dei pastori di S. Leonardo di Siponto. In 16°, pp. 40. Antichità Sipontine. Documenti ed illustrazioni con note d'arte e di storia. Manfredonia, Procura capitolare della Chiesa S. Maria di Siponto, 1955. In 16° pp. 29, ill. (a beneficio del Santuario). Manfredonia (Siponto e San Leonardo). Foggia, Quaderni turistici dell'E.P.T., 1958 (in collab. di N. De Feudis). San Leonardo di Siponto. Storia di un'antico monastero della Puglia. Pres. Di Marius Sipontimus. Foggia, Studio Editoriale Dauno, 1960 (Tip. Laurenziana, Napoli). In 8°, pp. 190, ill. (« Biblioteca Dauna », n. 1). I cinque anni d'esilio del vescovo Mons. Luigi Sodo. Rievocazioni e rettifiche ill-u strate da documenti. Napoli, Tip. Laurenziana, 1964. In 8°, pp. 16. Un missionario poliglotta di Cerreto nel Barese: P. Domenico Bruno. 2 a ed. a cura del Comitato per le celebrazioni di Cerreto. Cerreto Sannita, Ed. «Democrazia Umanitaria », 1965 (Napoli, Tip. Laurenziana). In 8°, pp. 79, ill. * Queste opere, con molti articoli apparsi sui quotidiani e periodici, sono consultabili nella pubblica biblioteca del Centro di Cultura Popolare « Antonio Simone» di Manfredonia, che custodisce anche un voluminoso carteggio di Don Mastrobuoni relativo alla sua attività pro-Cultura. 167 TESTIMONIANZE PER DON MASTROBUONI IL RICOSTRUTTORE DELLE CIVILTÀ SEPOLTE. Per uno dei convegni, promossi dalla Società Dauna di Cultura, nel 1954 AMEDEO MAIURI, venuto in Capitanata, fece un sopralluogo anche nella zona archeologica di Manfredonia, e ne riferì al «Corriere della Sera» (14 ag.) in un articolo dal quale stralciamo questo passo: A Siponto, naturale porto e sbocco dell'antica Arpi, m'attende, fermo e mansueto, in tonaca e tricorno, Mastrobuoni. Mastrobuoni è il parrocco, lo scavatore, il maestro della vecchia Siponto fra le due basiliche di S. Leonardo e di S. Maria di Siponto, poste lungo il vecchio tratturo pedemontano che circuiva il massiccio del Gargano. Era la via maestra che conduceva alla grotta dell'Arcangelo quando all'Ospizio di S. Leonardo sostavano pellegrini e pastori con le loro mandrie. Mastrobuoni ha la vocazione dello scavatore: dietro la chiesa di S. Maria di Siponto sono i resti d'una basilica paleocristiana inserita entro i muri di un edificio romano con sovrapposizioni e inserzioni da mettere a cimento la più consumata esperienza di un archeologo pagano e cristiano. Da quel luogo sacro, fra tombe e fossa della prima comunità cristiana sipontina, proviene una iscrizione dedicatoria a Diana. Mastrobuoni, prete secolare, è animato di eguale reverente fervore per i pavimenti del presbiterio basilicale e per i mosaici dell'edificio romano; distribuisce cartoline ricordo dello scavo con la stessa compunzione con cui distribuisce santini ai fedeli della parrocchia. Ma da quando ha ritrovato nei depositi del Museo di Napoli l'iscrizione sipontina di Diana, ha messo in pace la sua coscienza di scavatore e di credente, ristabilendo una pacifica convivenza fra la Madonna di Siponto e la Diana dell'antico tempio. Amedeo Maturi IL PRESIDENTE DELLA « PROVINCIA » DI FOGGIA. « Celebrare un uomo meritevole ed illustrare un monumento è sempre opera altamente civile: farlo, come nella presente occasione, assume particolare significato, perché si concorre allo sforzo degli intellettuali di Manfredonia, per preservarla dai pericoli della falsa cultura, che va sconvolgendo le linee classiche della civiltà cristiana, nel velleitario tentativo di sovrapporsi con linguaggio arbitrario e per ciò incomprensibile, con formule capricciose, stridenti con gli stessi assunti canoni comunitari. Don Silvestro, che anche io apprezzai ed amai, è tuttora vivo ed operante nel suo apostolato religioso e civile: ricordarlo con riverenza e fedeltà vale accoglierne la lezione e tramandarla ai giovani, per i quali raccolse e divulgò il magistero di San Filippo e del suo Oratorio. I suoi scritti e San Leonardo sono i monumenti, che ci ha lasciati in pegno dell'amore e dell'azione, per tanti anni rivolti alla nostra Città, sua diletta patria di adozione ». Berardino Tizzani 168 PER IL RESTAURO DI « SAN LEONARDO » E IL RITORNO DEL SUO CROCIFISSO 1. L'O. D. G. DEGLI « AMICI DI DON MASTROBUONI ». GLI AMICI DI DON MASTROBUONI che, nel IV annuale della sua morte, partecipano alle manifestazioni « in Memoria », promosse dal Comitato Cittadino per le Onoranze, operante nel promotore Centro di Cultura Popolare e Biblioteca « Antonio Simone »; mentre confermano la loro fedeltà agli ideali, che animarono l'azione pro-cultura di quel Cappellano del Lavoro; compresi della influenza dei monumenti sulla educazione popolare, della esigenza e del dovere di proteggerli, valorizzarli e proporli al rispetto e allo studio; - premesso che: a cura e spese di un Comitato cittadino, costituitosi intorno a Don Mastrobuoni, l'antico Crocifisso ligneo di « San Leonardo » fu affidato, per i lavori occorrenti, all'Istituto Centrale del Restauro presso il Ministero della P. I.; quest'ultimo, per i pregi eccezionali dello sculto, il 1958 ne dotò il Padiglione Vaticano della Esposizione Universale di Bruxelles e alla sua chiusura, invece di restituirlo all'Ordine dei Frati Minori, cui si appartiene, lo affidò alla Soprintendenza regionale ai Monumenti e alle Gallerie che tuttora lo detiene; per il brillamento di mine e per le piogge, le fabbriche di « San Leonardo » hanno subito notevoli danni, senza che fin’oggi si sia provveduto nemmeno al relativo accertamento, escluse, come sono, anche da ogni e qualsiasi intervento per la manutenzione ordinaria; - fanno voti perché : da parte degli organi e degli uffici competenti si provveda, nel più breve termine possibile, a rimuovere le denunciate inadempienze e deficienze; qualora non si voglia istituire la custodia permanente delle fabbriche di « San Leonardo » (Chiesa, Ospizio dei pellegrini), il Crocifisso sia collocato nella Chiesa di S. Maria delle Grazie, ubicata nel centro storico urbano e officiata dai Padri dell'attiguo Convento, che dell'opera d'arte e di culto avrebbero custodia; che tutto il complesso delle antiche fabbriche conventuali, attualmente di proprietà privata, sia acquisito al pubblico patrimonio, restaurato e destinato a un'opera sociale. Manfredonia, 20 giugno 1970 2. L'ADESIONE DELL’A. A. SOGGIORNO E TURISMO. « In riferimento al voto riflettente le fabbriche di S. Leonardo e la pregevole opera del Crocifisso, quest'Azienda, sensibile alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale della nostra Città, esprime tutto il suo plauso e confida che il voto stesso possa essere accolto dagli organi preposti. Auspica che finalmente possa essere restituito il Cristo e che, acquisite a patrimonio pubblico, possano essere eseguite tutte le opere necessarie alla conservazione delle fabbriche di S. Leonardo ». Manfredonia, 30 - 6 - 1970. Il presidente Avv. Antonio Fatone 169 3. LE ASSICURAZIONI DELLA SOPRINTENDENZA. «Si accusa ricevuta dell'ordine del giorno votato dal Centro di Cultura Popolare «Antonio Simone» in occasione delle onoranze in memoria di Don Silvestro Mastrobuoni e si assicura che saranno presi provvedimenti per la risoluzione del problema del restauro e della salvaguardia della Chiesa e del Convento di S. Leonardo di Siponto. Non appena sarà provveduto nell'ambito delle proprie competenze alla risoluzione di tali gravissime questioni, si affronterà il problema della destinazione del Crocifisso ligneo sipontino, scoperto una quindicina d'anni addietro in un pagliaio abbandonato e restaurato a cura dell'istituto Centrale del Restauro e conservato costà con tutte le cure che l'importanza dell'opera richiede». Bari, 2 - 9 - 1970. Il soprintendente Arch. Renato Chiurazzi