II. Scoppia il dopoguerra - Osservatorio Scolastico Provinciale di Pisa
by user
Comments
Transcript
II. Scoppia il dopoguerra - Osservatorio Scolastico Provinciale di Pisa
II. Scoppia il dopoguerra. Finita la guerra, “scoppia il dopoguerra”, per usare un’espressione del bel film C’eravamo tanto amati di Ettore Scola del 1974. Sotto il profilo istituzionale, gli Alleati, dopo l’ingresso in un comune liberato, procedono come segue: riuniscono il locale Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) e i capi partigiani o, in assenza di questi, i notabili locali e impartiscono le prime disposizioni, ossia l’immediata consegna delle armi e la nomina del sindaco e della giunta. Nella provincia di Pisa, tra i primi sindaci ci saranno alcune figure di “vecchi socialisti” con alle spalle esperienze amministrative che risalivano agli anni precedenti all’avvento del fascismo. Gli Alleati provvedono, inoltre, come è noto e come è rimasto indelebile nella memoria collettiva, alle necessità primarie attraverso la distribuzione di viveri e di medicinali. Dispongono che si creino o si organizzino i primi nuclei di assistenza47. Tuttavia la fase di passaggio è, dal punto di vista istituzionale, molto complessa e attraversata da profonde paure relative all’ordine pubblico e alla capacità di tenere sotto controllo una società per aspetti diversi allo stremo. Vi è una corrispondenza importante, del luglio del 1945, tra il questore ed il prefetto, inerente ad una serie di “istruzioni” per la salvaguardia dell’ordine pubblico, alquanto rivelatrice del clima generale: a. relativamente alla sospensione del coprifuoco, è richiesto il parere del questore, che è contrario alla sua abolizione; nonostante ciò, viene eliminato ugualmente per decisione delle autorità alleate. Si conviene di applicare le disposizioni relative al coprifuoco solo per persone sospette e notoriamente di cattiva condotta; b. riguardo alla libertà di stampa e di affissione di manifesti, invece, non saranno abolite le restrizioni in atto sulla diffusione di stampati di qualsiasi genere. Anche in questo caso, il maggiore americano avrebbe voluto concedere maggiore libertà, ma poi, sulla base del parere contrario del questore, conviene sulla necessità di adottare una politica più repressiva per non favorire “i contrari alle leggi” e rendere più difficile il controllo delle azioni illegali. c. sulle pubbliche manifestazioni, il maggiore americano ha prescritto di vietare i cortei (tranne quelli religiosi) finché rimarranno i soldati alleati. d. relativamente alle condizioni materiali della popolazioni, il maggiore si informa sulle quantità di grano disponibile, sull’andamento della trebbiatura e sulle preoccupazioni degli agricoltori. Relativamente ai bisogni primari, il sindaco fa presente l’urgenza di reperire medicinali e automezzi per far ripartire l’industria ed il commercio. Da parte del Cln si avanza, invece, significativamente la richiesta di una maggiore libertà politica48. Le preoccupazioni per l’ordine pubblico e le limitazioni alle libertà primarie, come quelle di stampa, segnano fortissime continuità con lo Stato fascista; naturalmente balzano 47 48 Carla Forti, Dopoguerra in provincia, cit., p. 83. ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 15, Carteggio. 19 subito agli occhi le differenze, relativamente a questi temi, tra gli Alleati e i nostri funzionari preposti all’ordine pubblico, certo poco avvezzi al riconoscimento delle libertà personali, come si sarà notato nel documento appena citato49. La società è fortemente disgregata. Il dissesto sociale, che come ho già evidenziato è di natura materiale e immateriale, si misura anche attraverso le variegate forme di microcriminalità che raggiungono, nel periodo compreso tra il 1945 e il 1947, livelli indiscutibilmente alti di gravità e di diffusione. La cronaca ci restituisce un susseguirsi di episodi che spaziano dall’assalto alle caserme e a tutte le residenze militari alle rapine a mano armata in luoghi privati, dai furti ai tentativi di evasione dalle carceri, dalle innumerevoli estorsioni alle continue aggressioni. Le aree occupate dagli alleati sono, per ovvi motivi, zone predilette per realizzare furti di alimenti e oggetti di qualsiasi tipo: nel 1945, vengono fermate cinquantatre persone, tra cui numerosi minorenni, provenienti da Roma e da zone limitrofe - certamente ragazzi in fuga - accusati di piccoli furti proprio nella zona costiera, tra Tombolo e Calambrone, occupata dagli Alleati50. L’area costiera assurge inoltre, per ovvi motivi, a capitale della prostituzione. Tutta la zona vede da tempo una forte presenza militare; fu scelta infatti sia per la vicinanza al porto, sia come luogo idoneo per l’organizzazione logistica delle retrovie del fronte. Attorno all’insediamento militare, proprio nella pineta di Tombolo, viene presto notata la presenza di figure tipiche della marginalità post-bellica: disertori, contrabbandieri, ladri e prostitute. Tra queste figure spicca anche quella degli «sciuscià», ragazzini attivi sia in tutte le attività più minute, sia nelle intermediazioni dei mercati illegali. Fioriscono rapidamente due mercati di dimensioni davvero imponenti: quello nero e quello della prostituzione. Nel linguaggio popolare, giornalistico e cinematografico c’è un termine preciso: “segnorine”, che rinvia proprio allo specifico mercato della prostituzione. Con tale appellativo, la cui origine rinvia ovviamente al modo in cui gli americani storpiavano il termine italiano, erano popolarmente note le donne che si prostituivano con i soldati americani (prevalentemente) di colore, che stazionavano a Tombolo; vi risiedeva infatti, dal 1944, la 92a divisione “Buffalo”, unico reparto dell’esercito americano composto da uomini di colore51. Nel corso del 1945 il numero di donne arrivate a Livorno per prostituirsi non è ovviamente quantificabile, ma è certamente alquanto sostenuto. Sappiamo infatti che nel 1945 vengono arrestate circa centocinquanta donne e, nel 1947, la cifra giunge a oltre le quattrocento unità52. Sul tema della continuità delle strutture statuali, socio economiche e del personale amministrativo tra fascismo e Italia repubblicana, rinvio a Claudio Pavone, Alle origini della Repubblica: scritti sul fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995. 50 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 4, a. 1945, Fasc. Fermi per misure di ps. di 53 individui. 51 La “Buffalo” partecipò attivamente alla liberazione di molte aree della Toscana e fu la prima divisione ad arrivare a Sant’Anna di Stazzema dopo la strage nazista. Recentemente l’episodio è stato al centro di un lungo dibattito innescato dal film di Spike Lee Miracolo a Sant’Anna del 2008. Cfr. anche il recente lavoro di Paolo Pezzino, Sant’Anna di Stazzema, cit. 52 Cfr. Tiziana Noce, Nella città degli uomini. Donne e pratica politica a Livorno fra guerra e ricostruzione. Presentazione di Claudio Pavone, Soveria Mannelli, Rubettino, 2004, in particolare pp. 124 e ss. 49 20 Tutta l’area sarà infatti chiamata “paradiso nero” e rimarrà nella memoria collettiva come angusto luogo di perdizione. Trascurato dalla più approfondita riflessione storiografica, il tema è divenuto oggetto prevalentemente di note giornalistiche di costume e di una precisa stagione cinematografica53. Più interessante è, a mio avviso, la lettura avanzata da Tiziana Noce, secondo cui Tombolo costituisce l’ennesimo tributo pagato dai civili alla guerra; un luogo simbolico estremo e paradigmatico della violenza e della miseria che si era abbattuta nel paese intero dopo il secondo conflitto mondiale54. L’area sarà dismessa in seguito ad un episodio di cronaca molto grave: nell’agosto del 1947, alcuni fuoriusciti da Tombolo organizzano un assalto ad un carico di pneumatici. La vicenda degenera in un grave conflitto tra i banditi e la polizia militare americana: rimangono sul terreno alcuni cadaveri. Le autorità americane decidono così di porre definitivamente fine al cosiddetto paradiso nero55. Il numero di omicidi, le cui motivazioni sono difficili da ricostruire, è all’indomani della guerra altissimo. Nel pomeriggio del 14 novembre del 1945, ad esempio, nei pressi del campo di Coltano un militare di colore spara un colpo di pistola uccidendo un soldato italiano, Andrea Bernacchi, per cause imprecisate56. Al di là delle possibili e più varie motivazioni, che ignoriamo, è ovviamente il clima generale che consente un uso frequente e spasmodico delle armi. Le quali hanno in sé sempre una carica ed un potenziale di violenza incontenibili, maggiormente accentuati ovviamente in questi contesti57. Il campo di Coltano era uno dei luoghi caldi del tempo: creato dagli Alleati per raccogliere i prigionieri provenienti da varie zone, era popolato principalmente da ex combattenti di Salò, irregolari, collaborazionisti di ogni tipo; accanto ai tanti repubblichini, vi erano anche alcuni partigiani, magari ex prigionieri dei fascisti. Quest’ultimi riceveranno presto l’appoggio dei Cln per uscire dal campo, ma le operazioni di sfollamento in genere sono alquanto complicate58. Furono create infatti due commissioni, una civile ed una militare, incaricate di esaminare le posizioni dei singoli internati, decidendo della loro liberazione o deferimento ad altra istanza. Alla fine, circa trentamila internati furono liberati; ne furono trattenuti poco meno di tremila, parecchi dei quali La storia di Tombolo ha una certa rilevanza nella storia italiana del dopoguerra tanto che ad essa furono dedicati due film che rientrano nella grande stagione del neorealismo italiano: Senza pietà del 1946 di Alberto Lattuada, con Carla Del Poggio, John Kitzmiller e Giulietta Masina e Tombolo, paradiso nero del 1947 di Giorgio Ferroni con Aldo Fabrizi e Adriana Benetti. 54 Tiziana Noce, Nella città degli uomini, cit., p. 126. 55 Cfr. Giuseppe Meucci, Boccadarno. Le storie, i personaggi, le immagini, Pisa, ETS, 2007, in particolare pp. 129 e ss. 56 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 4, a. 1945, Fasc. Omicidio in persona del soldato Bernacchi Andrea. 57 Cfr. le riflessioni sul tema in Joan Rothschild (a cura di), Donne, tecnologia, scienza. Un percorso al femminile attraverso mito, storia, antropologia, con un’introduzione all’edizione italiana di Elisabetta Donini, Torino, Rosenberg & Sellier, 1986 (ed. orig. 1983). 58 Cfr. Guido Crainz, L’ombra della guerra. Il 1945, l’Italia, Roma, Donzelli, 2007, pp. 98 e ss.; Carla Forti, Dopoguerra in provincia, cit., pp. 72 e ss. 53 21 sarebbero scappati subito dopo. Un capitolo non secondario – commenta giustamente Carla Forti - di come sarebbero andate le cose a proposito dell’epurazione59. La dismissione del campo fu per l’appunto occasione di non pochi contrasti: nel novembre del 1945 arrivarono trenta “elementi della polizia partigiana” di La Spezia, con un commissario di pubblica sicurezza, per eseguire dei mandati di cattura ai danni di alcuni internati nel campo di prigionia60. Una diecina di partigiani si recarono poi presso l’Arcivescovado di Pisa per rintracciare questi soggetti che nel frattempo erano già stati liberati dal campo: furono infatti lì identificati undici soggetti appartenenti alle Brigate Nere che avevano collaborato con i nazi-fascisti. Da parte dell’Arcivescovado si sollevarono proteste varie per la violazione da parte della polizia dei propri locali e si intuisce un atteggiamento di protezione nei confronti di questi rifugiati, che saranno comunque trasferiti nel carcere di Pisa in attesa di un regolare ordine di cattura, che la polizia partigiana non mancherà di provocare61. Le carceri sono, inoltre, un altro centro nevralgico dell’instabilità del momento: nell’agosto del 1945 a Pisa fu tentata una rivolta e una fuga di detenuti; si trattava di delinquenti comuni già tradotti dal carcere Regina Coeli di Roma. Un mese dopo, si avranno diversi tentativi di evasione da parte di detenuti locali. Nel novembre del 1945, tra carabinieri, questura e prefettura circola un documento riservatissimo che dava l’allarme per una rivolta nel carcere pisano e un possibile tentativo di fuga; viene messo a punto, pertanto, un piano di vigilanza speciale, anche notturna, del carcere stesso. La preoccupazione era legata all’arresto di un noto bandito – Placido Stanislao, conosciuto col nome di Ciccio – che poteva vantare una rete di aiuti e favoreggiamenti esterni per l’eventuale fuga. Saranno sparati dei colpi, ci saranno dei detenuti contusi, ma l’episodio sembra presto rientrare senza effetti dirompenti. Dai documenti si hanno, inoltre, brevi ma eloquenti note sulle condizioni generali dell’istituto penitenziario, che risulta insicuro, fatiscente, sovraffollato e in condizioni igieniche naturalmente precarie62. Nel biennio 1946-47 saranno innumerevoli gli arresti per furti presso le abitazioni private e la segnalazione di “bande di ladri” più o meno strutturate; in genere operano sia nei centri urbani, sia nelle aree agricole; alcune certo mostrano un’organizzazione più articolata sul territorio: ad esempio, un gruppo di giovani “specializzati“ in furto con scasso – poi rei confessi – avevano costituito una rete di smistamento delle refurtive; quest’ultime venivano trasportate, infatti, per ferrovia a Napoli e a Grosseto (dove furono 59 Carla Forti, Dopoguerra in provincia, cit., pp. 76 e ss. “Polizia partigiana” è l’espressione con cui si indicano genericamente delle organizzazioni di origine partigiana, che ancora nel corso del conflitto furono esclusivamente interne ai vari raggruppamenti di combattenti contro eventuali delatori e per facilitare i rapporti con le popolazioni civili; dopo la guerra, invece, danno luogo ad organizzazioni ibride, cioè con elementi della pubblica sicurezza, createsi su base locale. In sostanza, alcuni aderenti alle formazioni partigiane vollero coadiuvare le forze dell'ordine nel mantenimento dell'ordine pubblico. Successivamente, infatti, questo personale sarà in parte inquadrato nella Polizia regolare. 61 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 4, a. 1945, Fasc. Arresto da parte della polizia partigiana di La Spezia di internati già liberati dal campo di concentramento di Coltano. 62 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 4, a. 1945, Fasc. Pisa – vigilanza alle carceri giudiziarie. 60 22 recuperate grandi quantità di merci rubate) per essere poi rimesse sul mercato63. Altre bande appaiono più effimere, ma non per questo meno operative sul territorio. 1. Postumi di una guerra civile: i rossi e i neri. Accanto a questi innumerevoli e drammatici squarci sulle variegate forme di microcriminalità, le fonti ci restituiscono un quadro molto denso di conflitti con un più netto connotato politico. Il panorama è quanto mai articolato e credo che si possano individuare almeno tre diverse tipologie di scontri: un conflitto politico, che a sua volta vede una lotta profonda - che assume talvolta le tinte fosche della vendetta - tra fascisti e antifascisti (o tra monarchici e antifascisti) ed una contrapposizione dai toni certamente più contenuti che divide i cattolici dai comunisti o dai socialisti. Se la prima classe di scontri ha a che fare con odi e contrapposizioni ideologiche radicate, la seconda investe prevalentemente i temi della laicità dello stato e rivela una diversità di posizioni notevole su talune questioni che riguardavano le libertà personali su cui, invece, a livello istituzionale i tre grandi partiti di massa, al di là delle peculiari specificità, si sforzavano di raggiungere un punto di equilibrio. E’ possibile definire questa tipologia di conflitti anche una sorta di guerra di simboli: l’esposizione di una falce e martello o l’accenno a motivetti come Giovinezza o Bandiera Rossa bastavano per surriscaldare animi già logorati da conflitti decennali e profondi; sui temi della laicità, inoltre, alcuni momenti rituali particolarmente coinvolgenti – i funerali in primo luogo, ma anche la deposizione di una lapide – costituivano occasioni potenziali di conflitti di più contenuta gravità. All’interno di questo quadro generale, e dunque in un clima di microconflittualità latente che, come si vedrà, tende ad esplodere con molta frequenza, si muovono altri due ordini di conflitti: quello operaio, con scioperi e mobilitazioni periodiche, e quello agrario, di dimensioni epocali certamente maggiori. Nel dicembre del 1945 dal governo centrale vengono inviate a tutte le sedi di prefetture indicazioni precise contro l’eventualità, tutt’altro che remota, che si verifichino episodi violenti tra frange fasciste e gruppi di sinistra. La preoccupazione, sollecitata da fatti analoghi accaduti in alcuni paesi della Puglia, nasce ovviamente dalla presenza su tutto il territorio di opposte fazioni che avevano mantenuto le armi (nonostante le numerose e precise direttive in senso contrario), dai reiterati tentativi di rifondare diversi nuclei fascisti, dalla presenza di bande criminali che, certo, la generale situazione di indigenza non poteva che ulteriormente alimentare. Naturalmente, le indicazioni provenienti dagli organi centrali dello Stato sollecitano soluzioni robuste: contro ogni possibile manifestazione fascista bisogna attuare una ”repressione immediata ed energica”, intensificare i controlli, sgominare eventuali gruppi di organizzazioni fasciste clandestine64. 63 64 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 8, a. 1946, Fasc. Arresto di una banda di ladri a Pisa. ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 4, a. 1945, Fasc. Manifestazioni di violenza a sfondo politico. 23 Le cronache parlano di continui sequestri di armi illegali, di assalti alle sedi dei partiti politici, di misure di sicurezza per queste ultime come per le sedi dei sindacati. Lo scontro tra “rossi e neri” è certo quello più temuto. Nel luglio del 1945 il rientro dei “repubblichini dal Nord” accende gli animi: a Cascina viene ucciso un fascista repubblicano, Antonio Manca; a Pisa viene sottratto a stento al linciaggio Aurelio Ceccarelli, poi condannato a dieci anni di carcere ed ancora successivamente amnistiato. Il 12 settembre dello stesso anno, un comizio di Ferruccio Parri, al tempo Presidente del Consiglio, attrae a Pisa un gruppo di partigiani ascianesi desiderosi di dare una lezione ad un ex maggiore della Milizia fascista, diventato gestore di una merceria in via S. Maria. Un calzolaio, noto antifascista militante, eviterà il peggio65. Un altro episodio, paradigmatico del clima generale, avviene a Pietrasanta: lo scultore Oscar Bresciani, ex anarchico, divenuto un fascista fanatico, in prima fila nella compilazione delle liste dei candidati che sarebbero stati poi condotti nei campi di internamento, nel luglio del 1945 ritorna nella cittadina toscana. La popolazione gli si scaglia contro e, certo, ne avrebbe fatto una giustizia sommaria se non fossero intervenuti i carabinieri del luogo a strapparlo dalle furie della folla66. Storie analoghe riempiono la cronaca del tempo67. Tra la fine del 1945 e l’inizio del 1946 la presenza di nuclei fascisti armati è largamente attestata sul territorio: un manifesto anonimo, proprio di quei mesi, viene inviato alle diverse forze preposte all’ordine pubblico sollevando notevoli preoccupazioni sia all’interno del fronte della Resistenza, sia tra le stesse istituzioni di controllo; il documento parla di “macchina social-fascista” [che] è regolarmente in marcia per la difesa del suo popolo” e si conclude con la frase: “il popolo affamato si solleva al grido di viva l’Italia libera, viva il social fascismo”. La retorica del ventennio è presente in modo quasi filologico: vengono evocati i valori legati alla Patria, l’importanza del Nazionalismo, il ruolo preminente ricoperto dalla Toscana nel processo risorgimentale. Più interessante l’appello che i fascisti fanno alle autorità affinché parteggino per la causa social-fascista, contro gli “stranieri” e affinché “sappiano scegliere il buono dal cattivo coadiuvando il movimento social-fascista”. Il manifesto specifica, inoltre, che si auspica un passaggio al nuovo regime “col minor numero di vittime possibile”. La risposta dei carabinieri, impegnati a ricercare gli autori, tende a smentire l’esistenza di forze clandestine fasciste nell’area toscana, attribuendo la paternità del manifesto a “persone di fuori”68. L’intero biennio vede una continua pubblicità neofascista, costituita prevalentemente da volantini e manifestini, rinvenuti nelle vie della città di Pisa e periodicamente riportati dalla stampa. Nel gennaio del 1946, ad esempio, nei pressi di San Giuliano Terme, un autore sconosciuto lancia dei volantini dove, con un timbro di gomma, è stato scritto: “Viva il Duce, Viva il fascismo repubblicano ed Hitler ed abbasso il comunismo”. Carla Forti, Dopoguerra in provincia, cit., p. 58. L’episodio è bene noto; per una ricostruzione, cfr. Mimmo Franzinelli, L’Amnistia Togliatti. 22 giugno 1946 colpo di spugna sui crimini fascisti, Milano, Mondadori, 2006, in particolare p. 88. 67 Per una analisi delle dinamiche e dei valori culturali del linciaggio, cfr. Gabriele Ranzato, Il linciaggio di Carretta. Roma 1944. Violenza politica e ordinaria violenza, Milano, Il Saggiatore, 1997. 68 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 8, a. 1946, Fasc. Socialfascismo - esito accertamenti. 65 66 24 Qualcuno del paese pare li abbia bruciati69. San Giuliano rappresenta, infatti, uno dei luoghi più importanti di queste forme di microconflittualità tra fascisti ed antifascisti che, pur senza dar luogo ad episodi gravi, sono fortemente significative del clima del dopoguerra: nel dicembre del 1945, infatti, come risulta dai rapporti che i carabinieri trasmettono al prefetto e poi questi al Ministero degli Interni, si svolge un corteo di circa trecento persone aderenti ai partiti di sinistra che intonano canti quali Bandiera Rossa e gridano slogan come “vogliamo la rivoluzione”, “a morte la monarchia”, “abbasso i preti”. Alcuni di loro (non identificati), giunti presso l’abitazione di un ex fascista, dopo aver preso a calci la porta, la sfondano al grido “vieni fuori fascista”. Il tutto non ha particolari conseguenze e il corteo si scioglie regolarmente70. Per tutto il 1946, si susseguono episodi, più o meno gravi, di un conflitto tra rossi e neri che ha ovviamente addentellati più radicati. La lettura della lunga sequenza di questi episodi fa emergere un elemento: colpisce, infatti, la grande capacità dei gruppi neofascisti di riprodursi. Tra queste esperienze, spicca quella del “partito democratico fascista”, il gruppo fondato da Domenico Leccisi all’indomani della guerra e balzato alle cronache internazionali per aver pianificato ed attuato la trafugazione della salma di Benito Mussolini dal cimitero di Musocco, a Milano, proprio nei giorni del primo anniversario della Liberazione. Il gruppo preoccupa non poco gli organi del Ministero degli Interni. Che lancia a tutte le prefetture, sulla base di notizie riservate, l’allarme di possibili scontri legati alla ricorrenza del 28 ottobre: pare, infatti, che si stiano organizzando iniziative del sedicente partito democratico fascista in tutta Italia. Anche in questo caso, il gruppo, che si ispira ai principi della democrazia “organica” o “funzionale”, si muove all’interno del recupero delle tradizioni: la propaganda è costituita anche dall’esposizione di emblemi e gagliardetti propri del regime e si concentra nei centri rurali del paese, più che nei centri urbani. Si riparte dalle campagne, insomma. Le loro intenzioni, secondo le fonti di polizia, sarebbero quelle di operare dei colpi di mano presso le stazioni radio e dar vita simultaneamente a più manifestazioni fasciste. Naturalmente dal Ministero si invitano le prefetture a disporre misure di vigilanza intensificando i servizi anagrafici, i controlli stradali, sviluppando i servizi fiduciari ed estendendo controlli sui cosiddetti scontenti, esaltati o compromessi con il passato regime, così come su elementi di ambiente neofascista71. A scadenza davvero ravvicinata, e in alcune stagioni addirittura quasi con ritmi quotidiani, si svolgono degli scontri o dei piccoli tafferugli di piazza. A Pisa i gruppi della Folgore sono senza dubbio quelli maggiormente coinvolti negli scontri con i “rossi”. Non sfugge al locale PCI che la presenza dei militari della Folgore causa continui conflitti, tanto che nel 1946 fa presente al Ministero della Guerra, attraverso una lettera di protesta, i continui incidenti provocati in città da questo corpo militare. La risposta ministeriale non potrà che essere rassicurante72. ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 8, Fasc. Lancio di bigliettini di propaganda fascista (1946). ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 4, Fasc. S. Giuliano terme – ordine pubblico (1945). 71 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 8, a. 1946, Catg. 11: personale varie amministrazioni (P. S.). 72 «Il Tirreno» 25 ottobre 1946. 69 70 25 In un caffè, sempre a Pisa nel 1946, mentre un gruppo di civili cantava Bandiera Rossa, un gruppo di giovani della Folgore intona canzoni militari fasciste. Un militare, percosso, resta a terra grondante di sangue. Naturalmente si procede con gli interrogatori dei testimoni e del proprietario del locale, ma il tutto non ha ulteriori conseguenze. Contemporaneamente, però, un altro militare viene picchiato in un locale da ballo del circolo ricreativo “Avvenire”, in seguito ad un futile diverbio con una signora. Anche in questo caso non si hanno conseguenze per i responsabili73. Le ferite sono evidentemente del tutto aperte e laceranti: nel gennaio del 1946 l’arresto di Giuseppe Cini, un fascista repubblicano, riconosciuto da alcuni partigiani come ex fervente sostenitore del regime e repubblichino, con anche un lungo curriculum di attività criminali che risalivano agli anni Venti (violenze domiciliari personali, lesioni, violenza carnale, furto aggravato) non può che essere occasione di piccole manifestazioni politiche e di contenuti tafferugli74. Tra gli episodi più gravi ed inquietanti, spicca il lancio di una bomba, probabilmente la sera del 4 giugno 1946, in piazza Garibaldi, mentre si attendevano i risultati del referendum istituzionale. Il lancio della bomba causerà la morte di un operaio comunista, Giovanni Cappato, e il ferimento di altre persone75. A luglio saranno denunciate due persone che si proclameranno innocenti76. Il prefetto Peruzzo registra la simmetrica volontà dei social-comunisti e dei democristiani di attribuire all’avversario politico la responsabilità dei fatti77. Naturalmente, non sarà mai accertata la verità. Non molto tempo dopo, il 24 luglio, un’altra bomba esplode in una Casa del Popolo in una frazione di San Miniato. Questa volta muore una bambina e sette persone rimangono ferite. I carabinieri forniscono subito una lettura dei fatti poco credibile: attribuiscono, infatti, la responsabilità dell’accaduto ad una lotta interna agli stessi comunisti. Anche in questo caso, i responsabili non avranno mai un volto78. Vari carteggi tra il Ministero degli Interni e la prefettura, così come qualche documento firmato dai partiti socialista, repubblicano, democristiano, comunista, azionista, dalla Camera del Lavoro e dalle associazioni partigiane, chiedono a chiare lettere l’identificazione e la punizione di coloro che si rendevano quotidianamente responsabili di questi eventi di microconflittualità; naturalmente non mancano di auspicare una maggiore capacità di controllo del territorio e di prevenzione del crimine e indicano la chiara volontà di uscire da un clima facinoroso che si voleva giustamente ricomporre. Ma tale processo di pacificazione e di ricomposizione sociale stenta ad avviarsi. I conti dovevano essere ancora regolati: è del 27 gennaio 1947 l’esecuzione della pena capitale, precisamente la fucilazione a Marina di Pisa (secondo la stampa), nel campo alleato di San Rossore (secondo l’arma), di Italo Simonetti, ex capitano della milizia fascista. La condanna era stata decretata dalla Suprema Corte Alleata di Firenze perché il ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 8, a. 1946, Fasc. Ufficiali gruppo “Folgore”, inneggiamenti al fascismo e incidenti. 74 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 8, a.1946, Fasc. Arresto del fascista repubblicano Cini Giuseppe. 75 «Il Tirreno» 6 e 7 giugno 1946; cfr. anche Carla Forti, Dopoguerra in provincia, cit., p. 221. 76 «Il Tirreno» 9 luglio 1946. 77 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 11, Relazioni mensili, luglio 1946. 78 Carla Forti, Dopoguerra in provincia, cit., p. 221. 73 26 capitano in questione si era reso responsabile dell’assassinio di un tenente pilota americano79. Sempre nel gennaio del 1947 si consuma a Pisa, sul Lungarno Gambacorti, un altro tra gli episodi più gravi che costellano il dopoguerra: alcuni soldati a bordo di un autocarro attraversano la città intonando canzoncine militari e l’immancabile Giovinezza, quando vengono sparati dei colpi. I responsabili sono dei giovani provenienti dai vicoli retrostanti il Lungarno; resta comunque oscura la dinamica esatta dei fatti. Un militare, Giovanni (in altre fonti Giacomo) Sferrazza, è gravemente colpito e, dopo due giorni, morirà presso il locale ospedale. La stessa sera degli scontri accadono dei disordini nella caserma dei militari coinvolti. Alcuni di essi, in seguito ad atteggiamenti provocatori e canti fascisti, saranno “trattenuti”80. Per l’omicidio, vengono additati due noti antifascisti; ma anche in questo caso gli accusati riconquisteranno dopo poco tempo la libertà. Le forze monarchiche non appaiono particolarmente presenti sulla scena pubblica né su quella degli scontri, con una eccezione non del tutto priva di interesse: nell’agosto del 1947 l’ex segretario del partito monarchico viene aggredito a Pisa da due sconosciuti che gli intimano di ingoiare il giornale “Idea Monarchica”; a ciò si aggiunge il lancio in faccia di un involucro contenente ”materie fecali”. I fatti sarebbero in relazione ad una precedente denuncia dell’esponente monarchico contro Togliatti81. Nel febbraio del 1947 si riapre anche un’altra antica ferita: si ha la remissione del processo penale per un antico delitto compiuto nel 1922 a Cascina. A quel tempo, una squadra di fascisti aveva sparato ed ucciso un anarchico molto conosciuto in paese non solo per il suo impegno politico, ma anche per le sue doti umane: Comasco Comaschi. In un primo momento si chiede l’apposito parere al prefetto, per la remissione; questi, sentiti anche i partiti politici che avevano confermato che il primo processo di condanna si era svolto regolarmente e convinto che le richieste della difesa poggiavano su considerazioni non apprezzabili, dà parere contrario. Ciononostante la remissione del processo sarà avviata e il procedimento sarà trasferito a Firenze. L’opinione pubblica ne rimane colpita e i giornali riportano la vicenda con toni di biasimo82. Ed ancora: nel maggio del 1947, a Peccioli, sono affissi dei manifesti “sgrammaticati” con frasi avverse ai fascisti locali e con incitamento ai popolani di vendicarsi83; nell’ottobre successivo, a Riglione, giovani comunisti con tono spavaldo e provocatorio intimavano ai fascisti di “andare a letto”, senza trascendere ulteriormente in episodi di conclamata violenza84. L’episodio clou di questa violenza diffusa, che, come è emerso chiaramente, ha sfumature e contorni alquanto diversi, è rappresentato da quella sorta di “suicidio” ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri. Gli Americani fucilano un capitano repubblichino è il titolo di spalla dell’articolo, molto sintetico, che «Il Tirreno» del 28 gennaio 1947 dedica all’episodio. 80 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 15, Carteggio. Il Tirreno titola: Un delitto inspiegabile. E’ morto il soldato ferito di rivoltella, in «Il Tirreno» 16 gennaio 1947. 81 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri. 82 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 15, a. 1947, Carteggio. 83 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947 Catg. 11: mattinali questura e carabinieri. 84 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 15, a. 1947, Carteggio. 79 27 verificatosi in piazza dei Cavalieri nel corso della manifestazione svoltasi in occasione dell’attentato a Togliatti. Il ferimento del segretario nazionale del PCI, il 14 luglio del 1948, come è noto, ha suscitato una vivissima commozione in tutto il paese: ovunque si svolgono manifestazioni popolari imponenti, un po’ ovunque - soprattutto nel CentroNord della penisola - si registrano scontri e feriti, devastazioni, incendi, assalti alle sedi dei partiti, blocchi stradali; non mancano neppure le vittime: il bilancio definitivo è di sedici morti e duecentosei feriti. A Pisa, la Camera del Lavoro indice una manifestazione in piazza dei Cavalieri, che registra una amplissima partecipazione e durante la quale dal palco prendono la parola, tra gli altri, anche il prof. Carlo Smuraglia e Fatima Bozzoni. Nella piazza gremita, uno studente di 20 anni, Vittorio Ferri, aderente al MSI, da una carrozza spara diversi colpi. Aggredito dai manifestanti sarà letteralmente linciato. Giungerà in ospedale cadavere. Sarà accertato che Vittorio Ferri è morto in seguito a ferite da armi da fuoco. Nel corso degli scontri pochi altri presenti riporteranno ferite e contusioni85. L’episodio è, tra i tanti che affollano il periodo preso in considerazione, quello maggiormente scolpito nella memoria della cittadinanza; tra gli intervistati - anche tra coloro che hanno nel tempo dimenticato il ritmo incalzante di questa specifica forma di conflittualità politica dell’immediato dopoguerra - è l’episodio che spicca con maggiore nitidezza. Certo tanto fu il clamore, notevole la teatralità dei gesti, particolarissimo il contesto specifico, tutti elementi che contribuiscono ad alimentarne la memoria. Tutti, però, ricordano il linciaggio di Ferri, nessuno i proiettili che lo uccisero. Come è noto, l’Italia del primissimo secondo dopoguerra è attraversata da molti episodi violenti: l’area pisana ne conosce molti, ma indubbiamente di gravità minore rispetto ai tanti avvenuti nell’area più settentrionale del paese. A Carpi, ad esempio, vengono uccisi sedici fascisti, esattamente come prima erano stati uccisi altrettanti partigiani. A Padova, durante un processo ad un gruppo di fascisti, la folla infrange lo sbarramento di polizia e trascina gli imputati in piazza: uno di essi è fatto inginocchiare e ucciso a colpi di pistola nello stesso luogo dove era stato ucciso un antifascista86. A Trasacco, un paesino abruzzese, nel 1945 ritorna una ragazza di ventiquattro anni, che era stata l’amante di un comandante tedesco; è accusata di aver provocato la morte di alcuni contadini: sarà massacrata a colpi di scure e coltello ed appesa ad un grande olmo della piazza. La folla vorrebbe portare il corpo della ragazza sul dorso di un somaro in giro per il paese in segno di infinito dileggio; il macabro rituale sarà impedito solo dall’intervento delle forze di polizia87. Le distinzioni e le diversità degli episodi che allontanano le varie aree del paese non vanno sottovalutate, né poste sotto silenzio; il clima generale, gli umori, il sentire del tempo possono, tuttavia, essere accomunati. Tutti questi episodi, mi pare, in egual misura rinviino ad un tema di grande complessità e ad un interrogativo di altrettanto interesse: in 85 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 26, a. 1948, Fasc. Attentato on.le Togliatti. Cfr. anche Carla Forti, pp. 279 e ss. 86 87 Guido Crainz, L’ombra della guerra, cit., p. 93. Ivi, p. 119. 28 che modo le donne e gli uomini vogliono chiudere un’esperienza di vita segnata dalla sottomissione ad un sistema dittatoriale? Con quali umani sentimenti si attua la transizione da un sistema dittatoriale ad un nuovo sistema politico? Combattimenti feroci e processi di giustizia sommaria, esplosioni di odi e rancori si intrecciano ad esplosioni di gioia e vitalità. Moltissime le uccisioni silenziose. Questo è il clima generale. A partire dai protagonisti di quella stagione - il partigiano Roberto Battaglia, ad esempio - ci si è interrogati sulla legittimità di dare la morte; ci si è chiesti, in sostanza, se le motivazioni politiche fossero state sufficienti a legittimare quelle forme di violenza88. Su questa scia, è stata sottolineata la specificità di una violenza praticata in assenza di un quadro istituzionale, ossia in un contesto di assenza della statualità legittima: ed infatti la gran parte delle uccisioni si concentra immediatamente dopo la fine della guerra, nel vuoto di potere lasciato dal crollo del vecchio ordine e nell’attesa che si ricostruisca quello nuovo; la violenza si scatena sulle macerie della legalità89. Penso che tutte queste forme di violenza ci restituiscano il significato profondo e non possano che confermare la tesi secondo cui il secondo conflitto mondiale è stato anche una guerra civile. Il ciclo di violenze che si consumano anche dopo la Liberazione è un ultimo atto, lo svolgimento finale, di una guerra civile o di un conflitto apertosi il 1919 e temporaneamente conclusosi con la marcia su Roma90. I passaggi istituzionali, le transizioni politiche, prevedono infatti il forte coinvolgimento di componenti psicologiche e culturali mediamente represse91. Può, in questo senso, sorprendere la riproposizione in tempi moderni di riti lontani nel tempo, arcaici, come l’episodio della ragazza abruzzese il cui corpo era destinato ad una pubblica esposizione sul dorso di un somaro. Egualmente, i rituali dei linciaggi presentano tratti di una violenza antica. Ciò che vorrei sottolineare è il fatto che i passaggi istituzionali di tale natura investono così in profondità i sentimenti umani da richiedere una prepotente ritualità collettiva; le transizioni delle configurazioni politiche sono accompagnati quindi da riti di passaggio culturalmente altrettanto profondi. In grandi come in piccole città si ripresenta la feroce e arcaica scena di Piazzale Loreto, ove, come è noto, il corpo del tiranno ucciso è esposto e vilipeso nel luogo dove aveva fatto esporre i corpi di quindici antifascisti. A quel cadavere, la gente comune offre, in segno di disprezzo, ortaggi simbolicamente segni di povertà e carogne di quegli animali capaci di suscitare maggiormente ribrezzo e disgusto. Un bisogno, attraverso il sangue, di tornare ad una nuova purezza; in tutta evidenza, un rito collettivo di purificazione che vuole fortemente significare la rottura con il passato92. Roberto Battaglia, Un uomo, un partigiano, Bologna, Il Mulino, 2004 (1a ed. 1945). Giovanni De Luna, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Torino, Einaudi, 2006. 90 Cfr. Claudio Pavone, Una guerra civile, cit., in particolare p. 256. 91 Su questi temi, rinvio alla recentissima ricerca di Guri Schwartz, «Tu mi devi seppellir». Lutti, miti e riti all’origine della Repubblica, in corso di stampa. 92 Cfr. Luisa Passerini, Mussolini, in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria: personaggi e date dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 165-185; Ead., Mussolini immaginario. Storia di una biografia (1915-1939), Roma-Bari, Laterza, 1991; Sergio Luzzatto, Il corpo del duce. Un cadavere tra immaginazione, storia e memoria, Torino, Einaudi, 1998. 88 89 29 2. I rossi e i bianchi. L’altro fronte di conflittualità politica vede contrapporsi i rossi e i bianchi, ossia i socialisti e i comunisti contro i cattolici: i comizi, le feste popolari e soprattutto i funerali sono i teatri principali di questa contrapposizione, ma l’irascibilità è tale che le scintille per i piccoli tafferugli sono davvero un po’ in ogni luogo. Nel maggio del 1945 a Monteverdi Marittimo, si assiste ad una “delle solite baruffe”, non meglio specificata; si intuisce che “i rossi “ abbiano agito ai danni del parroco e che il tutto abbia rischiato di degenerare in rissa. In preparazione della locale festa religiosa il parroco chiede la presenza dei carabinieri: processione e altre manifestazioni finiranno così con l’essere “scortate”93. L’interruzione di comizi, conferenze e altre iniziative fanno parte di una vivace e quanto mai sentita partecipazione ideale alle ragioni della politica; in questo clima la degenerazione in scontri e contrapposizioni è quanto mai diffusa. Su questo terreno, indiscutibilmente, le contrapposizioni maggiori riguardano i cattolici e i comunisti. Nel marzo del 1946 a Buti, durante un comizio di un esponente comunista, un militante democristiano chiede il contraddittorio, che inizia ma non può continuare a causa dei fischi e degli urli dei partecipanti94. Un’occasione di piccola contrapposizione, senza dubbio più originale, riguardò l’opportunità di procedere alla rituale benedizione pre-pasquale delle abitazioni delle “segnorine”: il parroco, per ordini superiori, si rifiuta di benedire le loro case, ottenendo, però, in questo caso, l’approvazione della popolazione, che per l’appunto appare vicina alle ragioni del prelato e accusa le donne di vilipendio del ministro del culto cattolico95. Una incomprensione più classica è quella che vede il rifiuto da parte di una Madre Superiora di una cospicua offerta in denaro in quanto non ne giudica idonea la provenienza. La raccolta era stata, infatti, organizzata dall’Associazione dei partigiani di Pomarance in occasione di un ballo di beneficenza. La Madre Superiora giustifica la sua scelta dopo essere venuta a conoscenza che la fonte di quel denaro era stata un’occasione peccaminosa, quale per l’appunto la festa da ballo che la Chiesa cattolica continua a condannare senza riserve96. I balli sono in effetti una passione condivisa da liberatori e liberati. Si balla dappertutto, nelle piazze e, soprattutto, nei locali. Sorprende come essi siano occasione di profonda divisione tra laici e religiosi. Negli ambienti ecclesiastici, come abbiamo visto, sono considerati occasione peccaminosa e di perdizione e sarà a causa di tale giudizio intransigente che non avrà seguito l’idea di taluni democristiani di contrapporre ai balli “rossi” quelli “bianchi”. Il tentativo era evidente: alla chiara esigenza di un radicamento ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 2, a. 1945 , Fasc. Comune di Monteverdi Marittimo. ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 8, a. 1946 Fasc. Buti - comizio del partito comunista. 95 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri. 96 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri. 93 94 30 sociale per i neo-nati partiti di massa, tutti i possibili strumenti sarebbero stati contemplati. Ma il ballo, no; non era accettabile. Sebbene organizzati da giovani democristiani, agli occhi di suore e di parroci i balli sarebbero rimasti sempre degli eventi sconvenienti97. Restituiscono il clima di quegli anni episodi altrettanto minori, ma non per questo meno sintomatici: un comunista di Calci, nel 1947, mentre in tutte le parrocchie ferveva un importante lavoro di propaganda politica in favore della Democrazia Cristiana, non esita ad esprimere il proprio dissenso interrompendo l’erogazione della corrente elettrica e facendo così sospendere la cerimonia religiosa per dieci minuti98. E’ una società che attraverso i simboli esprime sentimenti profondi: nel febbraio del 1947 a San Miniato, ignoti tolgono una croce di legno indicante la sepoltura militare di un tedesco caduto in guerra99. Non si contano, inoltre, i casi in cui, soprattutto tra i giovani, l’esposizione, in genere all’occhiello del bavero, di distintivi di partito o i tradizionali fazzoletti al collo degenerano in zuffe e tafferugli100. Più articolata è la protesta a Calci di tre comunisti che, nel giorno della strage di Portella della Ginestra in Sicilia, che vede scoppiare peraltro in tantissimi luoghi manifestazioni di solidarietà (a Volterra ad esempio è subito indetto uno sciopero generale), criticano la cerimonia religiosa che nel frattempo si stava svolgendo e chiedono lo sciopero generale. L’intervento del comandante dei carabinieri garantisce il proseguimento della funzione religiosa101. Sono i funerali, come ho già anticipato, i teatri principali degli scontri tra cattolici e comunisti: uno di questi si svolge, nel settembre del 1947, in occasione del funerale di un reduce deceduto nel santuario dei Cappuccini. Durante la funzione religiosa, un esponente comunista interrompe la cerimonia dicendo di intervenire a nome e per volontà del fratello del defunto che voleva una cerimonia civile, data l’appartenenza di quest’ultimo ad una famiglia comunista. Il prete si oppone e dice di non poter interrompere la cerimonia. I due cercano di impossessarsi della bara, ma alla fine desistono. Conclusa la funzione religiosa, il feretro sarà preso e trasportato nella sede del Partito Comunista. In seguito all’intervento delle forze dell’ordine, la bara sarà successivamente portata al cimitero102. Molti i casi come quello appena citato; d'altronde sui funerali era attiva una lunghissima tradizione di scontri politici. A Cascina, e precisamente a Marciana, nel dicembre del 1944 ai funerali non religiosi del comunista Ottavio Paoletti una significativa divergenza fra il sindaco – l’ex partigiano Ideale Guelfi - e il parroco, “in merito al luogo del camposanto” dove seppellire il suddetto Ottavio Paoletti, sfocia in una serie di incidenti di non poco conto. Protagonisti principali degli scontri sono in sostanza i cattolici e i comunisti. Durante il corteo funebre si hanno non solo “lanci di frasi di dileggio” verso i cattolici, ma anche colpi di rivoltella nella direzione della canonica; il parroco viene colpito con pugni e, infine, arrestato dalla guardia comunale. Sarà arrestato, interrogato e Carla Forti, Dopoguerra in provincia, cit., pp. 96-97 e p. 226. ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri 99 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri. 100 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri 101ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 14, a. 1947; Catg. 11: mattinali questura e carabinieri. 102 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 15, a. 1947; Carteggio. 97 98 31 si aprirà un procedimento penale anche contro il sindaco per sequestro di persona, minaccia aggravata e offesa alla religione dello stato. Successivamente, sarà accordato al sindaco la libertà provvisoria, anche in seguito alla mobilitazione della popolazione dei comuni limitrofi che avevano organizzato sottoscrizioni e varie campagne di stampa. Nel gennaio del 1946 giungerà il proscioglimento. Le reazioni delle forze politiche sono differenti: il Cln lascia agire le autorità legittime, la Federazione Provinciale di Pisa del Partito Comunista protesta invece presso il prefetto, senza risparmiare accuse di falsità, assenza di prove e volontà di screditare la stessa forza politica comunista. L’episodio, che avrà anche una vasta eco sulla stampa, innesca una discussione tra i partiti (soprattutto tra i democristiani e i comunisti) sulle questioni confessionali103. 103 ASPi, Prefettura di Pisa, Gab., b. 2, a. 1945, Fasc. Comune Cascina (44-45). 32