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Un ricordo di Davide Lopez

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Un ricordo di Davide Lopez
UN RICORDO DEL DOTTOR DAVIDE LOPEZ
“Il suicidio è irrazionale perché, rinunciando alla vita a causa del disgusto che essa
mi provoca, io mostro di avere un concetto errato dello scopo della mia vita,
supponendo che serva al mio piacere, mentre essa ha per scopo, da un lato, il mio
perfezionamento personale e dall'altro la cooperazione all'opera generale che si
compie nel mondo”. (Lev Tolstoj)
A metà degli anni '70 non ero ancora entrato nella piena adolescenza e mio fratello
Paolo, di dieci anni più grande di me, seguendo i suggerimenti della sua insegnante di
filosofia un po' marxista e un po' freudiana e un po' nietzschiana e un po' marijuana e
un po' troiana, decise di “entrare in analisi” dal dottor Davide Lopez.
Ogni due settimane il Pablo Collo idealizzato della “Stagione calcistica '87-88 &
Campioni del mondo!” (che trovate in formato pdf su questo dominio web e
altrove), partiva la mattina da Massa ed in treno raggiungeva Milano, dove si trovava
lo studio del dottor Lopez, che lo curava al modico prezzo di ventimila lire a sabati
alterni. Paolo si faceva bello, si vestiva bene e si sbarbava per il suo dottore: “deve
essere una persona molto importante questo dottor Lopez”, immaginava la mia mente
di fanciullo. A dir la verità la prima volta che udii il nome “Lopez” la mia fantasia
corse verso l'inseparabile compagno dello Zagor dei fumetti: Felipe Cayetano Lopez
Martinez y Gonzales, detto “Cico”. Seppi abbastanza presto che Davide Lopez non
era Cico ma uno psicoanalista molto più alto del piccolo e simpatico messicano
disegnato dalla matita di Sergio Bonelli...
Crebbi. Tanti anni e tanta fatica mi furono necessari per ricostruire, all'interno del
grande puzzle del mio albero genealogico, il piccolo puzzle del suicidio di mio
fratello: quattro lustri fa comunque sapevo già che i “mandanti” di quella morte erano
tanti, perché quando un essere umano si uccide, la responsabilità di quella scelta
raramente aderisce alla perfezione alla sola responsabilità di chi si toglie la vita. Ma
adesso basta scherzare: saltiamo un po' di anno in anno e di palo in frasca, che
muoversi fa bene...
1937: a dodici anni sulla testa del bambino Davide Lopez si abbatte, sceso dalla
biblioteca del padre, un libro di Freud. Da quell'incidente seguiranno tamponamenti a
catena, ma l'assicuratore del futuro dottor Lopez è un tipo tosto: si chiama Lothair
Henry Rubinstein e sedici anni dopo diverrà l'analista-formatore del medico nativo di
Bari, come quel Cassano dalle inaspettate risorse di chitarrista (Cassano il quasi ex
calciatore e non il più conosciuto Cassano psichiatra, il quale invece suona molto
bene l'elettroshock). Rubinstein muore improvvisamente ed inaspettatamente d'infarto
nel luglio del 1971, a Vienna. Oggi non lo ricorda più nessuno: questione di una
manciata di anni ed il suo ultimo lavoro psicopatologico sul matricidio, condotto
partendo dal tema di Elettra ed Oreste perché Erika ed Omar di Novi Ligure erano
ancora privi dei requisiti necessari, sarà completamente rimosso persino
dall'inconscio dei più raffinati motori di ricerca. Domanda: i cookies sono la via
maestra al sub conscio dei computers? Progetto: disintossicarsi da internet.
1939: in dicembre, su “Diorama”, viene pubblicato un lavoro di René Guénon sulla
“perversione psicanalitica”. Se non ho letto male Guénon, che fu un pluri-iniziato
come io sono un pluri-finito, descrive la psicanalisi come una “iniziazione al
contrario”, uno snaturamento del simbolismo ed una parodia degli antichi misteri e
conclude scrivendo che “la psicanalisi offre, da questo punto di vista, una
rassomiglianza preoccupante con ciò che noi potremmo ben chiamare “i sacramenti
del diavolo”. Ho letto molto, studiato poco e, ripeto ancora, trovandomi nelle
condizioni di finito e non in quelle di iniziato, Guénon mi sovrasta da ogni punto di
vista, però mi chiedo: il diavolo non dovrebbe essere intelligente? Domanda: perché
ho così tanti limiti cognitivi? Progetto: accettarli piangendo poco e di nascosto.
1961: il dottor Lopez, nella sua casa milanese, mette in scena “Edipo re” per i suoi
figli Carlo (oggi maestro di Tai Chi e Qi Gong: un uomo gentile, educato, disponibile
e che sa molte cose sul rapporto tra mente e corpo: è un peccato che faccia di tutto un
fascio un erba in una spiritualità molto “new age”) e Paolo. Carlo mi ha confessato
che nel corso di quelle performance paterne un po' si annoiava: se da grande cercherà
la sua “forma” in Cina qualche ragione ci dovrà pur essere. Il fatto più singolare delle
rappresentazioni famigliari della tragedia di Sofocle è che il dottor Davide
interpretava Edipo, la sua prima moglie Giocasta ed i figli i personaggi minori: sotto
ai riflettori insomma, doveva starci lui. Comunque se io mi chiamassi Sofocle
cambierei nome, imparerei l'arte della viticoltura e illustrerei una bella guida turistica
dell'Egeo. Domanda: Lothair Henry Rubinstein rappresentava Oreste ed Elettra per i
suoi parenti ed affini? Progetto: scroccare a Giorgio un paio di bottiglie di vino della
sua vigna in Candia.
1969: la mattina di Natale mio fratello Paolo mi sveglia e mi prende sulle sue spalle.
Sono assonnato perché a 5 anni e mezzo dormo ancora molto bene, pure senza
Rivotril gocce. Paolo mi porta in cucina e mi sveglia: “Guarda un po' cosa c'è sopra
là”, mi dice. Sbadiglio e mi stropiccio gli occhi: “sopra là”, sopra la vecchia e tarlata
macchina per cucire Singer di mia madre - una Singer sopravvissuta ai nazisti ed ai
partigiani che sulla Linea Gotica non ebbero il tempo di rubare perché più interessati
a sequestrare cibo e bestie - si trova ciò che di più bello io possa desiderare: un
fortino in legno (“Fort Apache”), con tanti soldatini indiani e cow boys attorno. Che
meraviglia! Il mio cuoricino stupito batte forte, abbraccio Paolo in quello che forse è
il Natale più bello della mia vita. Domanda: quando giocavo con i soldatini e facevo
vincere una volta gli indiani ed una volta i cow boys, ero un equanime od un
indeciso? Progetto: comprare e leggere, in settimana, l'ultimo numero di Tex Willer,
che è un Ranger bianco ma difende anche gli indiani, tra i quali è conosciuto come
“Aquila della notte”.
1970: Davide Lopez dà alle stampe il suo lavoro intitolato: “Marx-Freud-Reich:
analisi del carattere ed emancipazione”. La prefazione è curata da Giovanni Carlo
Zapparoli, che nel luglio del 2009 interpreterà la tragedia “Morte improvvisa mentre
nuoto al largo di Camogli” calandosi alla perfezione nei panni del protagonista.
Alcuni statistici stanno mettendo assieme i dati per trovare relazioni significative tra
morte improvvisa d'infarto, studi psicoanalitici e “mappature del potere” nelle equipe
di assistenza a psicotici. “Marx-Freud-Reich”: nel '70 “i momenti di crisi
emancipativa” si manifestano come una vera e propria epidemia di colera: i processi
di contestazione ed emancipazione di tanti si scontrano con gli aspetti evolutivi
dell'emancipazione e della contestazione di altrettanti. Spesso volano parole grosse e
schiaffoni, ma poi si libreranno nell'aria più pesanti proiettili: tutto ovviamente a
favore della crescita dell'umanità ed in nome del progresso e della pace universale.
Davide Lopez vota il partito comunista italiano e fuma tantissimo, ma presto smetterà
di votare comunista: alla nicotina rinuncerà solo nel 2010. Berlinguer succede a
Longo nel 1972 perché nel 1978 ha in programma di compromettersi storicamente
con Aldo Moro: tutti e due fumano, ma non la stessa marca di sigarette. Moro smette
di fumare il 9 maggio 1978 ed il fatto scuote l'Italia. Berlinguer smetterà qualche
anno dopo in modo meno violento ma altrettanto traumatico. Domanda: se scrivono
“il fumo uccide” sopra i pacchetti delle sigarette, perché non lo scrivono anche sopra
i babà al rum e sopra le Brigate Rosse? Progetto: scroccare ad Alessandro della
pasticceria due melette di marzapane. Ma per il momento mi sono stancato di
miscelare tanto seriamente piccole storie con storie più grandi e tornerò semplice...
Il dottor Lopez fondò una rivista: “Gli argonauti (psicanalisi e società)” e mio
fratello, che seguitava a fare il pendolare Massa-Milano, si abbonò. Non ricordo qual
fosse la cadenza periodica iniziale della fanzine che ancor oggi riunisce il fior fiore
dell'intelligenza cosmica, ma ho ben presente il colore della copertina: una tonalità di
arancione. Qualche anno prima l'unico arancione che Pablo Collo avrebbe apprezzato
era quello delle maglie della grande Olanda di Krol, Neeskens, Rep e Cruyff: mio
fratello era cambiato, e degli olandesi aveva perduto la facilità di corsa ed aveva
assimilato la tendenza agli eccessi in fatto di sesso e droga. Un incidente in Vespa
facilitò il suo abbandono del calcio giocato: la sua parabola esistenziale andava
volgendo al termine. Tanti piccoli jabs a volte “suonano” un pugile più che un solo
montante, anche se la salute mentale di Paolo era già un ramo di un albero
genealogico piantato male e cresciuto peggio. Dopo un paio di indigestioni di
Roipnol Pablo riuscì a sopprimersi soffocandosi, il 5 luglio 1982, ad un ulivo, che
teoricamente dovrebbe essere l'albero della pace: credo che la morfina, cedutagli
forse da un amico infermiere, abbia però impedito a Pablo Collo di appropriarsi
consapevolmente della battuta, che mi ha lasciato in eredità...
Paolo Rossi, il “Pablito” dei 3 gol al Brasile il 5 luglio 1982, la scorsa estate,
cogliendo al volo e con la stessa antica rapacità un mio assist in quel dei Ronchi di
Marina di Massa, ha scritto una dedica sullo stampato di “Stagione calcistica '87-88
& Campioni del Mondo!”: “A Giancarlo, che nel luglio dell'82 non ha vinto proprio
nulla!”. Grazie Pablito.
Estate 2006: gli azzurri conquistano il quarto titolo mondiale. Il rigore decisivo lo
trasforma Fabio Grosso, che ha sposato Jessica Repetto, figlia di Giorgio. Giorgio
conobbe Pablo Collo perché esordì in serie A nella Sampdoria quando “il mediano
dalle spiccate doti offensive in fase di ripartenza” giocava nelle giovanili della stessa
squadra. Lo rintraccio telefonicamente a Pescara per confermare a me stesso una
delle poche certezze che mi riguardano: quando voglio rintracciare una persona la
rintraccio, ovunque essa si trovi. Mi congratulo col suocero di Grosso aggiungendo
immediatamente che mio fratello si era suicidato ventiquattro anni prima: dice che gli
dispiace ed io spero di avergli rovinato almeno un pochino la festa, anche se non ci
giurerei.
Estate 2007: suona la sveglia di un altro mio “momento opportuno” e rintraccio
telefonicamente pure il dottor Davide Lopez, a Vicenza, per fargli presente che un suo
ex paziente si era già perso la bellezza di sette mondiali terrestri e la delizia della
Juventus in serie B.
“Buonasera dottore, sa che mio fratello ha mancato l'appuntamento televisivo con
tutti i mondiali a partire da Italia Brasile 3 a 2 in Spagna?”, gli dico.
“Lei chi è?”, risponde una voce un poco affaticata.
“Sono il fratello di un suo paziente morto suicida: Paolo Nicolini”, rispondo cercando
di accusarlo velatamente ma non troppo.
“Il massese...già. Lo ricordo. Seppi, seppi...”, dichiara con la ferma saggezza di chi sa
che togliersi dal mondo è una opzione poco terapeutica ma con una sua intrinseca
rispettabilità.
“Chi la informò?”, domando incuriosito.
“Me lo disse quella donna con la quale aveva una relazione, una professoressa di
filosofia”, mi dice .
“Davvero? E cosa le comunicò? “Missione compiuta”?” (No, non lo dissi: lo pensai
solamente).
Lo lasciai parlare e venni a sapere cose dell'altro mondo, anzi di questo: Paolo lo
aveva minacciato più volte con un coltello e lui si era sempre “salvato” appellandosi
alla sensibilità dell'ex mediano il quale deponeva l'arma quando il dottore gli
ricordava che aveva un figlio piccolo (Diego, nato nel 1980 dalla prima moglie, non
dalla seconda argonauta). Il dottor Lopez interpretava questo “lasciar cadere l'arma”
come frutto dell'identificazione del paziente col figlioletto. In pratica mio fratello
investiva il dottor Lopez di proiezioni paterne, perché non gli era bastato di averne
avuto già uno, di padri psicopatici. Comunque l'analisi ortodossa funzionava così, a
metà degli anni settanta: la famiglia non si poteva avvisare e men che meno un altro
tipo di autorità, che come ogni civiltà, crea disagio, ladies and gentlemen...
“Ma era Lei il genio che prescriveva Roipnol ad un tossicodipendente?”, avrei voluto
chiedere. Non lo feci perché il mio preconscio era in attesa di assaporare il ricordo
che l'analista serbava di mio fratello: “Era un giovane che ad un certo momento
evocò in me uno di quei personaggi dei “Demoni” di Dostoevskij: la stessa forza, la
stessa volontà dissolutiva...”. Capii una volta per tutte che se la letteratura non serve a
vivere e nemmeno a sopravvivere, allora non serve a molto e nello stesso tempo,
mentre il dottore terminava di ricordare, mi rivolsi col pensiero a Pablo Collo:
“Balordo che non sei altro: perché hai speso soldi per finire d'impazzire a Milano
appresso a questo vitello tonnato di aforismi? C'era l'Inter di Evaristo Beccalossi e
Carletto Muraro in campo, a San Siro: quella era la tua lunghezza d'onda!”. Mio
fratello ribatté che ora andava tutto bene e che dovevo rimanere tranquillo,
aggiungendo che l'Inter nel 2010 avrebbe vinto il campionato, la Coppa Italia e la
vecchia Coppa dei Campioni.
Salutai il vecchio analista consapevole di aver interloquito con lui per la prima ed
ultima volta, e mi dispiacque di avergli dato interiormente del vitello tonnato di
aforismi. Mi chiesi in quali forme il dolore avesse bussato alla sua porta...
La scorsa settimana, in occasione di un altro mio “momento opportuno”, domandai
alla seconda moglie di Davide Lopez, l'argonauta che ne ha ereditato il pensiero ma
anche qualcosa di più consistente, come mai avesse organizzato un funerale cristiano
per il marito. La prima risposta, quella che conta, è stata: “A Vicenza non sono
possibili funerali laici”. In seconda battuta ha precisato: “Comunque il dottor Lopez
era religioso”. Ho esplorato l'etimo di “religione” ed ho appurato che la gentile
terapeuta non è stata inesatta: i funerali e gli interessi possono dividere, ma i campi
semantici mettono d'accordo tutti...
Il figlio Carlo mi ha scritto invece che suo fratello Paolo, schizofrenico, è morto
prima di suo padre “ed in qualche modo pure lui si è ucciso”. “La malattia è un
attacco. Chi si uccide compie un grosso attacco. Lei deve perdonare Suo fratello”, mi
ha detto Carlo.
Solo Dio legge nei cuori, ma desidero chiudere questo ricordo di Davide Lopez e di
Pablo Collo – ricordo che avevo aperto con una riflessione di Tostoj per fare bella
figura - con un pensiero ancor più sensato sul suicidio, anche su quello “assistito”.
Siccome sono incapace di serietà, mi aiuto questa volta ricopiando un brano della
lettera aperta che la scrittrice Milly Gualteroni indirizzò a Laura (la ragazza belga
depressa “autorizzata” dai medici a eumorire) il 29 giugno scorso:
“Quante contraddizioni nel racconto dei medici. Non hanno dubbi riguardo alla
capacità di Laura di prendere una simile decisione: “È una persona equilibrata”,
dicono. Non sanno, dunque, delle maschere con cui il depresso sa camuffarsi, della
lucidità perversa che ha il sopravvento nella sua mente quando la sofferenza si fa
intollerabile e in modo perversamente lucido si diviene disposti a tutto, pur di porvi
fine? Ignorano che, per quanto mascherata, la volontà suicida è sempre
accompagnata da un angosciante, tenebroso travaglio, dentro il quale non c’è libertà
di coscienza né può esserci libertà di scelta? Questi medici si sottraggono anche al
compito principe dell’adulto: educare. Perché di fronte a una giovane di 24 anni che
dice “voglio morire”, la risposta dell’adulto che educa può essere soltanto una:
no!”.
Per Davide Lopez una preghiera ed il mio retrospettivo perdono, ma sarei falso se
affermassi di aver letto come una semplice coincidenza la “scelta” di morte di cui fu
vittima suo figlio Paolo, e mi permetto di osservarlo adesso che so che anche la
madre di Paolo, Carlo e Diego è deceduta: lo strazio di una mamma che vede il figlio
uccidersi o lasciarsi morire è troppo grande. Io che ho letto questo strazio sul viso di
mia madre mi sono chiesto “perché”, e la risposta più ragionevole l'ho ricevuta da
Alessandro (non quello della pasticceria), il quale termina così il più celebre romanzo
della nostra letteratura: “Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i
guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e
più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza
colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa
conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam
pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia”.
Alessandro è meglio di Dylan: spero che l'averlo pubblicamente affermato mi ottenga
dal Cielo una maggior fiducia in Dio, ma anche negli esseri umani.
Giancarlo A. Nicolini
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