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La ragionevolezza del dubbio nel delitto di calunnia
QUESTIONI APERTE Calunnia La decisione Calunnia – Dolo – Criterio della ragionevolezza – Incidenza del dubbio sull’innocenza dell’incolpato (C.p., artt. 368, 570, 42, 43, 47). Non sussiste il dolo del delitto di calunnia laddove i dubbi sulla colpevolezza del soggetto cui vengono addebitati fatti penalmente rilevanti assumono il carattere della ragionevolezza e serietà, essendo fondati su elementi fattuali veritieri (fattispecie relativa ad una querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare sporta da una signora nei confronti del proprio ex coniuge). CASSAZIONE PENALE, SEZIONE SESTA, 22 dicembre 2015, CONTI, Presidente – SCALIA, Relatore – SALZANO, P.M. (conf.) – ALESSI, ricorrente. La ragionevolezza del dubbio nel delitto di calunnia: criterio di accertamento del dolo o espediente per una responsabilità sostanzialmente colposa? SOMMARIO: 1. La peculiarità del caso concreto. Le questioni in esame. – 2. La prima quaestio iuris: la c.d. falsità parziale. – 3. La seconda quaestio iuris: l’incidenza del dubbio sull’innocenza. – 3.1. Gli orientamenti della giurisprudenza. Il dubbio ragionevole. – 3.2. Il punto di vista della dottrina: la ragionevolezza come espediente per un’imputazione soggettiva surrettiziamente colposa? - 4. Ulteriore ipotesi di confine: il dolo eventuale. Brevi cenni. – 5. Osservazioni conclusive. 1. La peculiarità del caso concreto. Le questioni in esame Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione si è pronunciata in merito alla questione dell’incidenza dello stato soggettivo di dubbio rispetto all’integrazione del dolo diretto nel delitto di calunnia. Il caso concreto origina dall’accusa mossa da parte della coniuge nei confronti del proprio ex marito per violazione degli obblighi di assistenza materiale e morale del nucleo familiare, ai sensi dell’art. 570 C.p. L’impianto accusatorio della coniuge si articolava su di un primo atto propulsivo – querela di data 6 febbraio 2007 –, ed un secondo atto di integrazione, diretto alla puntualizzazione e specificazione della situazione debitoria intercorrente tra i coniugi. Nel merito dell’incolpazione, la coniuge imputava all’ex marito di non aver adempiuto agli obblighi di mantenimento conformemente alle statuizioni del giudice civile in sede di separazione (se non nei limiti di un unico vaglia postale dell’ammontare di circa 920,00 euro), relegando così essa stessa ed i propri figli in una condizione di assoluta indigenza. Con successivo atto di integrazione di querela, la coniuge aggiungeva ulteriori elementi fattuali, ricostruendo nello specifico la situazione debitoria dell’ex marito e, fornendo, altresì ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 una versione parzialmente più favorevole rispetto al primo atto di impulso: secondo l’integrazione, infatti, l’ex marito avrebbe versato ulteriori somme rispetto alla prima indicazione di assoluta inadempienza e avrebbe contribuito, seppur parzialmente, al mantenimento del proprio nucleo familiare. Archiviato quindi il procedimento de quo, la coniuge diveniva, a sua volta, indagata per il delitto di calunnia, in ragione della contro-querela dell’ex marito, per essere stato accusato falsamente del reato di cui all’art. 570 C.p., il cui accertamento si era concluso in termini ampiamente favorevoli, in sede di indagini preliminari. La ricostruzione processuale della vicenda debitoria tra i coniugi deponeva a favore dell’ex marito (ora persona offesa) e smentiva inequivocabilmente l’impianto accusatorio della coniuge in relazione alla violazione degli obblighi familiari, così come in precedenza contestata. In ragione di tale quadro probatorio, la coniuge veniva condannata per calunnia alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, oltre alle spese processuali; condanna successivamente confermata dalla Corte di Appello di Messina, con sentenza del 17 giugno 2013. La Suprema Corte, con la decisione n. 1399, del 22 dicembre 2015, pur dichiarando i fatti di cui al capo di imputazione ampiamente prescritti, prende comunque posizione sull’annosa questione circa l’incidenza dello stato di dubbio sull’innocenza dell’incolpato rispetto all’integrazione del dolo diretto, previsto dalla norma quale requisito minimo per l’imputazione soggettiva della calunnia. La precisazione – secondo la Cassazione – si rivela opportuna, in ragione dell’erronea ricostruzione fattuale operata, nei precedenti gradi di giudizio. Secondo i giudici, infatti, la pronuncia della Corte di Appello, nel motivare la condanna dell’imputata, avrebbe adotto delle argomentazioni errate rispetto alla qualificazione giuridica del delitto di calunnia: l’iter argomentativo del giudice del gravame rappresenterebbe dunque “un disallineamento” rispetto alla pacifica e costante giurisprudenza in tema di elemento soggettivo del reato di calunnia in relazione alle ipotesi borderline di dubbio circa l’innocenza dell’incolpato. Entrambe le ricostruzioni della fattispecie di calunnia – fornite dai giudici, nei diversi gradi di giudizio – ruotano intorno alla questione della configurabilità o meno del reato nei casi di erronea o inesatta descrizione del fatto posto alla base dell’incolpazione: nei paragrafi che seguono, si tenteranno di evidenziare le criticità della c.d. falsità parziale sia in relazione al profilo più squisitamente oggettivo della tipicità sia in relazione al profilo soggettivo del dolo diretto. 2. La prima quaestio iuris: la c.d. falsità parziale La configurazione del reato di calunnia in relazione alle ipotesi in cui 2 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 nell’incolpazione si prospettino fatti in termini diversi da come essi effettivamente si siano verificati rimanda alla questione della c.d. falsità parziale: in tali casi, infatti, la persona accusata ha realmente commesso un reato ascrivibile ai fatti contenuti nell’atto propulsivo, ma la descrizione fornita è parzialmente non veritiera1. Sul punto, in termini analoghi al caso concreto, la giurisprudenza di legittimità si è costantemente espressa in un’ottica sostanzialmente punitiva, a favore, quindi, della sussistenza del reato di calunnia, nell’ipotesi di indicazioni di circostanze di fatto diverse e più gravi di quelle realmente verificatesi: tale criterio discretivo è stato espresso in relazione all’accusa formulata dalla moglie nei confronti del marito riguardo alla mancata corresponsione degli assegni di mantenimento; circostanza poi smentita in sede di accertamento processuale, attesa la convivenza dei coniugi, anche in una fase successiva alla sentenza di divorzio2. In modo speculare, in una recente pronuncia della Cassazione, si è giunti ad affermare che “rientra nel delitto di calunnia il comportamento del marito che denuncia la moglie di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella modalità di abbandono del domicilio domestico, pur conoscendo che tale comportamento era avvenuto per giusta causa, dovuta all'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, e, pertanto, nella piena consapevolezza dell'innocenza della consorte, secondo quanto previsto dall'art. 368 C.p.”3. Dall’analisi della giurisprudenza di legittimità4, il criterio discretivo nella situazione di inesatta ricostruzione dei fatti in relazione all’integrazione del reato di calunnia del delitto di cui all’art. 570 C.p. sembrerebbe ricondursi alla mera descrizione di circostanze di fatto diverse e più gravi all’interno del medesimo tipo criminoso5 e non agli altri canoni ermeneutici, diversamente elaborati Cfr. PIFFER, Il delitto di calunnia, in I delitti contro l’amministrazione della giustizia, Tomo I, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, Padova, 2005, 238-242. Cfr. Cass., Sez. VI, 11 giugno 2003, Sanminatelli, in Mass. Uff., n. 226645; Id., Sez. VI, 25 ottobre 2002, De Luca, ivi, n. 223338, in Riv. pen., 2003, 1034 ss.; Id., Sez. III, 12 ottobre 1970, Lanzarini, ivi, n. 115831. Per un riferimento bibliografico a tali pronunce, cfr. PIFFER, Il delitto di calunnia, cit., 241, 1 2 nt. 174. Cfr. Cass., Sez. VI, 12 febbraio 2008, X., in forma solo massimata. In termini generali, il trend della giurisprudenza in tema di calunnia, rispetto ad analoghe questioni in punto di simulazione di reato, risulta maggiormente elastico e meno rigoristico: se, infatti, in relazione al delitto di cui all’art. 367 C.p., la Cassazione tende a riconoscere pacificamente la punibilità anche per ipotesi marginali di “falsi” (id est.: denuncia di poche cose in più rispetto al fatto realmente accaduto), in fatto di calunnia, si registra, invece, un atteggiamento cauto da parte della giurisprudenza, anche in ragione – come sottolineato in dottrina – della pena ben più severa da applicare. Cfr. BONINI, Art. 368 C.p. Calunnia, in Reati contro l’amministrazione della giustizia, a cura di Fornasari, Riondato, Torino, 2013, 69. Tale criterio discretivo viene adottato, in termini generali, da una parte autorevole della dottrina, tra cui PAGLIARO, Il delitto di calunnia, Palermo, 1961, 88 ss.; Id., Principi di diritto penale. Parte speciale, 3 4 5 3 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 dalla dottrina, in relazione ad un criterio formale6 (id est.: mutamento del titolo di reato ovvero ipotesi circostanziata) ovvero privilegiando un profilo maggiormente sostanziale7 (id est.: contestazione di un fatto a cui corrisponde un trattamento sanzionatorio più grave). Come è noto, infatti, in tema di c.d. falsità parziale, la dottrina ha progressivamente elaborato il principio della “essenziale diversità” per indicare come per aversi calunnia sia necessario che sussista una diversità notevole tra i fatti di cui in denuncia e la realtà, consistente in un’alterazione del vero tale da generare un mutamento nel nomen iuris del reato: tale impostazione risulta per la dottrina maggioritaria preferibile rispetto alle altre soluzioni, «non tanto perché suggerita in un passo della Relazione ministeriale sul progetto definitivo di codice penale; quanto perché sollecitata dall’opportunità di evitare di sanzionare scostamenti della denuncia rispetto all’accadimento reale fisiologici e “di minima importanza”, in aderenza al principio di offensività, o al criterio di esiguità»8. Tale criterio, fortemente garantista, viene puntualmente disatteso da parte della giurisprudenza maggioritaria, in ordine alle ipotesi di c.d. falsità parziale sulla fattispecie penale di cui all’art. 570 c.p., in cui si è più volte ritenuto sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato di calunnia, una descrizione anche solo parzialmente corrispondente alla realtà, laddove con essa il denunciante vada ad imputare falsamente all’innocente incolpato delle circostanze diverse e, soprattutto, più gravi rispetto al fatto realmente accaduto, anche se il titolo di reato rimane il medesimo9. 3. La seconda quaestio iuris: l’incidenza del dubbio sull’innocenza. vol. II, Milano, 2000, 85 ss.; RANIERI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Padova, 1962, 353 ss.; SANTORIELLO, Calunnia, autocalunnia e simulazione di reato, Padova, 2004, 89; PIFFER, Il delitto di calunnia, cit., 239; PIVA, Falsa denuncia, in I reati contro i beni pubblici, a cura di Cocco, Ambrosetti, Mezzetti, Padova, 2010, 389. Vi aderisce anche Masera in un recentissimo contributo sul delitto di calunnia, cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, Brescia, 2012, 47. Cfr. FERRANTE, Una vecchia questione in tema di calunnia (aggravamento di un fatto effettivamente commesso), in Giust. pen., 1956, II, 633; PANNAIN, Calunnia e autocalunnia, in Nov. Dig. It., vol. II, Torino, 1958, 679; CURATOLA, Calunnia, in Enc. dir., vol. V, Milano, 1959, 82; BOSCARELLI, Il delitto di calunnia verbale, Milano, 1961, 131; GALLO, Il falso processuale, Padova, 1973, 119; MANZINI, Diritto penale italiano, vol. V, Torino, 1982, 830; ROMANO, Commentario sistematico al codice penale, vol. I, Milano, 2004, 634; ROMANO, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, III ed., Padova, 2013, 63; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. II, XV ed., Milano, 2008, 507; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, IV ed., Bologna, 2008, 350. Cfr. PULITANÒ, Calunnia e autocalunnia, in Dig. Pen., vol. II, Torino, 1998, 16. Cfr. BONINI, Art. 368 C.p. Calunnia, cit., 68-69. Cfr., ex multis, Cass., Sez. VI, 11 giugno 2003, Sanminatelli, in Mass. Uff., n. 226645; Id., Sez. VI, 25 ottobre 2002, De Luca, ivi, n. 223338, RP, 2003, 1034 ss.; Id., Sez. III, 12 ottobre 1970, Lanzarini, ivi, n. 115831; Id., Sez. VI, 17 giugno 1991, Mussi, ivi, n. 192101. 6 7 8 9 4 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 In relazione al profilo soggettivo, l’incolpazione parziale e non corrispondente al vero può assumere un’efficacia scusante, laddove tale indicazione sia sorretta da una rappresentazione erronea10 ovvero sia dipesa da uno stato dubitativo11 in cui versi l’agente al momento dell’integrazione dell’accusa calunniosa. Come è noto, l’elemento soggettivo della calunnia è rappresentato dal dolo generico, “consistente nella coscienza e volontà di incolpare un innocente della commissione di un reato, a prescindere dai motivi che hanno spinto il denunciante alla falsa incolpazione”12. Se il profilo volitivo del dolo di calunnia non presenta peculiarità esegetiche di difficile soluzione, maggiori criticità emergono in relazione all’elemento rappresentativo, in ordine al grado di consapevolezza con cui il denunciante formula l’incolpazione, sia direzionandola falsamente verso l’incolpato sia rappresentandosi falsamente il suo contenuto. Costante dottrina e unanime giurisprudenza ricostruiscono la locuzione “egli sa essere innocente” in termini di piena consapevolezza e richiedono, pertanto, la sussistenza del dolo diretto, “bastando che il denunciante nutra un dubbio al riguardo per escludere la sua rimproverabilità a titolo di calunnia”13. L’imputazione soggettiva del delitto di calunnia in termini di dolo diretto si presenta di per sé incompatibile con una situazione di dubbio circa Con riferimento all’errore, che non si ha modo di approfondire, si segnalano due questioni rilevanti. Il dolo di calunnia, infatti, può venire meno in caso di errore sulla qualificazione della condotta incolpata quale illecito civile o amministrativo e non penale: in altri termini il soggetto agente, consapevole dell’innocenza dell’accusato, si rappresenta il fatto contestato non come illecito penale, ma come illecito di natura civile o amministrativa. In applicazione dei principi generali in materia di errore, la dottrina considera tale ipotesi come un errore su legge extrapenale ex art. 47, co. 3, C.p. e vi riconosce un’efficacia scusante. Altra questione di interesse è rappresentata dalla c.d. calunnia putativa, la quale si ha nel caso in cui l’agente rappresenti all’autorità fatti falsamente verificatisi, nella convinzione che integrino gli estremi penali, ma che invece sono privi di rilevanza penale: in tali casi, il soggetto non sarà punibile, in conformità ai principi generali in materia di reato putativo, ex art. 49, co. 1, C.p. Per riferimenti bibliografici in fatto di errore, cfr. PAGLIARO, Il delitto di calunnia, cit., 89; PIFFER, Il delitto di calunnia, cit., 260; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 471; MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit., 20 e 64; Sul punto, cfr. BOSCARELLI, Il delitto di calunnia verbale, cit., 13; RANIERI, Manuale di diritto penale, cit., 353; BENESSIA, Consapevolezza dell’altrui innocenza e dolo eventuale del delitto di calunnia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 996; GALLO, Il falso processuale, cit., 153; PAGLIARO, Il delitto di calunnia, cit., 88; Id., Principi di diritto penale. Parte speciale, vol. II, Milano, 2000, 85; SANTORIELLO, Calunnia, autocalunnia e simulazione di reato, Padova, 2004, 89; PIFFER, Il delitto di calunnia, cit., 239; BONINI, Art. 368 C.p. Calunnia, cit., 68-69. Per alcuni riferimenti giurisprudenziali, cfr. Cass., Sez. VI, 10 luglio 2000, Cotronei, in Riv. pen., 2001, 64 ss.; Id., Sez.VI, 16 marzo 2000, D’Aleo, in Mass. Uff., n. 217872, in Giust. pen., 2001, II, 575 ss.; Id., Sez. VI , 1 giugno 1990, Pantanella, ivi, n. 185511; Id., Sez. VI, 30 marzo 1989, Riccobono, ivi, n. 181438; Id., Sez. VI, 6 febbraio 1974, Gasparotto, ivi, n. 088641. Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit. 59. Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit. 60. 10 11 12 13 5 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 l’innocenza dell’incolpato: il grado di adesione psicologica richiesto dalla norma, infatti, esige una condizione di coscienza certa, precisa ed assoluta, e non, quindi, meramente eventuale. Trattasi, però, di una condizione di certezza di tipo soggettivo (id est: vero soggettivo), e, non di natura oggettiva, «nel senso, cioè, che non si pretende affatto la dimostrazione che il denunciante abbia una contezza, per così dire, naturalisticamente assoluta dell’innocenza dell’accusato”14. In altri termini, “per potersi riscontrare il dolo diretto, non si esige di certo la prova che l’incolpante era in possesso di tutti gli elementi fattuali idonei a comprovare in modo inequivocabile che l’incolpato era “innocente”. Non si esige, cioè, una corrispondenza del vero soggettivo al vero oggettivo»15. Anche in ragione della ricostruzione della certezza in chiave soggettiva, per l’integrazione del dolo diretto è necessario che l’agente si rappresenti falsamente i fatti, in modo tale da sviare l’attività dell’autorità giudiziaria e che abbia come corrispondente soggettivo la nitida consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato16. Laddove, invece, il grado di consapevolezza permanga in uno stato di dubbio, si esclude la configurabilità del dolo diretto: la ratio di tale conclusione risiede anche in ragioni squisitamente extrapenali, di natura politico-criminale, atteso che “punire a titolo di calunnia anche quando l’agente dubitasse dell’innocenza dell’incolpato produrrebbe, in altri termini, l’effetto pregiudizievole di disincentivare i cittadini dal riferire all’autorità quando nutrano dei sospetti in ordine al possibile responsabile di un reato, nel timore di rispondere di calunnia qualora la propria denuncia si riveli infondata all’esito delle indagini”17. Esulano quindi dal campo di operatività del dolo diretto della calunnia le ipotesi fisiologiche di dubbio e di incertezza che contraddistinguono la fase propulsiva del procedimento penale: “in effetti, è ben possibile che il Cfr. EMANUELE, Il delitto di calunnia, Napoli, 2011, 282. Cfr. EMANUELE, Il delitto di calunnia, cit., 282. Rappresentazione falsa dei fatti che può essere formulata anche in chiave dubitativa: sul punto emerge la questione del c.d. dubbio malizioso, nelle misura in cui l’agente ponga la propria rappresentazione in termini di dubbi creati appositamente per sviare l’attività dell’autorità giudiziaria e risultare esente da responsabilità penale. Pagliaro afferma infatti che: “Se il denunciante è in dubbio, deve però evitare di nascondere maliziosamente le ragioni del suo dubbio e di prospettare come certa la notizia recata all’autorità; in tal caso infatti, e ancor più se si creassero falsi indizi per superare il dubbio, i delitti di falsa denunzia si potrebbero configurare”. Cfr. PAGLIARO, Il delitto di calunnia, cit., 87. L’autore introduce così la figura del c.d. dubbio malizioso: in tali casi, la punibilità della calunnia a titolo di dolo diretto rimane ferma, atteso come la rappresentazione dei fatti elaborata dal denunciante risulti in ogni caso falsa, costruita volutamente in termini dubitativi. In tal senso, altresì, PIFFER, Il delitto di calunnia, cit., 239; BONINI, Art. 368 C.p. Calunnia, cit., 75. Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit. 60. 14 15 16 17 6 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 denunciante, quando si rivolge all’autorità giudiziaria per riferire una notitia criminis, non abbia a disposizione elementi tali da consentirgli di essere certo della colpevolezza dell’incolpato, ed anzi lo scopo della denuncia può essere proprio quello di sollecitare indagini volte a chiarire se il sospettato è colpevole o innocente”18. Se è quindi possibile delineare, in via generale, il principio per cui il dubbio del denunciante circa la colpevolezza dell’incolpato esclude il dolo di calunnia, permangono tuttavia dei contrasti sull’individuazione dei limiti e dei requisiti di estensione del concetto di dubbio, in virtù di una visione eccessivamente restrittiva da parte della giurisprudenza rispetto alle posizioni della dottrina. 3.1. Gli orientamenti della giurisprudenza. Il dubbio ragionevole La portata applicativa dell’efficacia scusante del dubbio rispetto all’elemento soggettivo del delitto di calunnia soggiace infatti ad un’interpretazione restrittiva da parte della giurisprudenza di legittimità, secondo cui esclude il dolo della calunnia solamente quel dubbio sulla colpevolezza che assume i connotati di dubbio ragionevole19. Una prima concettualizzazione della figura del dubbio ragionevole emerge con la pronuncia della sesta sezione della Corte di cassazione, n. 6990, del 17 giugno 1995, in ragione della quale si riconosce efficacia scusante ad ipotesi dubitative limitatamente ai casi in cui il dubbio assurge a condizione di incertezza seria ed ancorata ad elementi di fatto20. Successivamente, tale orientamento giurisprudenziale viene ripreso, in un caso analogo, in cui la Suprema Corte specifica la natura del dubbio ragionevole, in termini di “dubbi tali da poter essere condivisi da un cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza”21. Con la pronuncia n. 29117, del 15 giugno 2012, la Cassazione ribadisce, altresì, come il dolo di calunnia rimane escluso allorché “i dubbi sulla colpevolezza del denunciato si pongano su di un piano di ragionevolezza e quindi risultino fondati su elementi di fatto non solo veritieri, ma connotati da un riconoscibile margine di serietà”22. Con decisione n. Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit., 61. Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit., 61-62. Cfr. Cass., Sez. VI, 12 aprile 1995, Leone, in Cass. pen., 1996, 3308. In senso analogo, cfr. Id., Sez. VI, 16 marzo 2000, D’Aleo, ivi, 2001, 2686; Id., Sez. VI, 10 dicembre 1996, Scigliano, ivi, 1998, 803; Id., sez. VI, 2 aprile 2007, P.H.E, in Mass. Uff., n. 17992. Cfr. Cass., Sez. VI, 10 giugno 2009, G.V e G.S., in Mass. Uff., , n. 244421. In senso conforme, Id., Sez. VI, 6 novembre 2009, Palmisano, in Foro it., 2010, 11,2, 577. Cfr. Cass., Sez. VI, 15 giugno 2012, V.L., in Mass. Uff., n. 253254. In senso analogo, Id., Sez. VI, 27 aprile 2012, T.D. e altri, in Mass. Uff., , n. 253106. 18 19 20 21 22 7 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 22922, del 23 maggio 2013, la Suprema Corte introduce un’ulteriore precisazione: il dolo di calunnia è escluso “solo se il convincimento dell'accusatore si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni”23. Nella valutazione dell’incidenza del dubbio, la Cassazione evidenzia come sia necessario che “l’erroneo convincimento sulla colpevolezza dell’accusato riguardi fatti storici concreti, suscettibili di verifica o comunque di corretta rappresentazione nella denuncia”, atteso che “la omissione di tale verifica o rappresentazione determina effettivamente la dolosità di un’accusa espressa in termini perentori”. La Suprema Corte precisa, altresì, che “l’ingiustificata attribuzione come fatto vero di un fatto di cui non si è accertata la realtà presuppone infatti la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all’incolpato”24. Laddove, invece, “l’erroneo convincimento riguarda profili essenzialmente valutativi della condotta oggetto di accusa, l’attribuzione dell’illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva”, la quale, solo nel caso in cui “non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, è inidonea a integrare il dolo tipico della calunnia”25. In una recente pronuncia, la Corte di cassazione precisa, infine, che “la piena consapevolezza, da parte del denunciante, dell'innocenza della persona accusata è esclusa quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza”26. Anche la pronuncia in esame si inserisce in tale filone interpretativo, atteso come la Corte si fosse determinata per l’esclusione del dolo diretto in capo all’imputata, in ragione dello stato dubitativo in cui versava la stessa al momento della proposizione della prima querela. I giudici ritengono, infatti, che l’imputata abbia agito in una condizione psicologica di dubbio giustificata dalla complessità sia della vicenda debitoria intercorrente tra i due coniugi, in relazione al mancato pagamento degli assegni di mantenimento, sia dei rapporti più strettamente personali verso i figli. Tali elementi non rappresentano fatti storici, facilmente verificabili, la cui ricostruzione anche solo parzialmente difforme integra – conformemente all’orientamento giurisprudenziale sopra esaminato – il dolo diretto della caCfr. Cass., Sez. VI, 23 maggio 2013, cit. Cfr. Cass., Sez. VI, 23 maggio 2013, cit. Cfr. Cass., Sez. VI, 23 maggio 2013, cit. Cfr. Cass., Sez. VI, 19 giugno 2014, Falanga e altri, in Mass. Uff , n. 261648. In termini analoghi, cfr. Id., Sez. VI, 13 novembre 2015, Duma, Parodi, in Mass. Uff., n. 265751. 23 24 25 26 8 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 lunnia, trattandosi di una rappresentazione falsa della realtà. La inesatta ricostruzione fattuale della vicenda è dipesa, invece, da un margine di incertezza circa profili “essenzialmente valutativi” della condotta oggetto di accusa, ipotesi in cui l’attribuzione dell’illiceità deve essere guidata da un’adesione soggettiva particolarmente intensa e pregnante. La condizione di incertezza soggettiva dell’imputata assume, inoltre, i connotati della serietà e della ragionevolezza e rientra, quindi, nel margine fisiologico di dubbio proprio del cittadino comune al momento dell’esperimento dell’atto di denuncia: secondo la Corte, infatti, – vale la pena ricordarlo – per aversi efficacia scusante “deve trattarsi di dubbi tali da poter essere condivisi da un cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza”27. Tale argomentazione si presenta sicuramente corretta in relazione ai profili valutativi della condotta di mancato adempimento degli obblighi di natura affettiva e morale, il cui addebito rimanda necessariamente ad una valutazione soggettiva della coniuge; sembra meno convincente, invero, in relazione all’accusa di mancato pagamento degli assegni di mantenimento: in relazione alla vicenda debitoria, infatti, l’inferenza soggettiva è limitata ed i riscontri fattuali sono di agevole verifica tanto che la stessa imputata successivamente si è apprestata ad un’integrazione della prima querela, ricostruendo puntualmente le somme ricevute dal marito in data successiva al primo atto di impulso. È proprio l’integrazione della prima querela a rappresentare – secondo la Cassazione – l’indice probatorio/indiziario di assenza dell’elemento soggettivo della calunnia: la Corte infatti considera tale circostanza come espressione “di una volontà […] di puntualizzare reciproche ragioni di debito-credito, peraltro sortendo, la seconda iniziativa, un effetto di alleggerimento della posizione del coniuge sui successivi versamenti di cui l’atto integrativo ha dato contezza”28. L’integrazione dell’atto di querela costituisce quindi l’elemento processuale con un’efficacia sostanziale tale da elidere il dolo diretto dell’imputata sia in relazione al profilo volitivo sia riguardo alla rappresentazione, andando a precisare una ricostruzione dei fatti ab origine solamente in parte conforme al vero29. In ragione di tale ricostruzione, la Cassazione colloca, quindi, il fulcro della questione giuridica circa l’incidenza del dubbio sul dolo della calunnia non tanto sotto il profilo dell’oggetto del dolo quanto piuttosto sotto la dimensione dell’accertamento in sede processuale. In relazione al profilo Cfr. Cass., Sez. VI, 22 dicembre 2015, Alessi, in Dejure, n. 1399. Cfr. Cass., Sez. VI, 22 dicembre 2015, cit. Sull’efficacia sostanziale degli istituti processuali, cfr., ex multis, MAZZA, La norma processuale nel tempo, in Trattato di procedura penale, vol. I, Milano, 1999. 27 28 29 9 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 dell’accertamento del dolo, si concentrano le principali critiche della dottrina sulla concettualizzazione giurisprudenziale del dubbio ragionevole30. 3.2. Il punto di vista della dottrina: la ragionevolezza come espediente per un’imputazione soggettiva surrettiziamente colposa? Secondo l’impostazione della dottrina, la qualificazione giurisprudenziale del dubbio in chiave di ragionevolezza e serietà non sarebbe condivisibile in ragione dei principi generali sottesi all’imputazione soggettiva a titolo di dolo. Si sostiene infatti che se il denunciante dubita dell’innocenza dell’incolpato, non rileva che il suo dubitare sia stato ragionevole e connotato da un margine di serietà, atteso che, in ragione della sua condizione soggettiva di incertezza, viene meno il coefficiente psicologico richiesto dalla norma, in termini di dolo diretto: non essendo, per di più, punibile il delitto di calunnia colposa, diviene irrilevante se l’errore, che ha determinato il soggetto a sporgere querela, sia dovuto a colpa31. Alla luce della letteratura maggioritaria, quindi, ancorando il concetto di dubbio al requisito della ragionevolezza si rischierebbe di introdurre nell’imputazione a titolo di dolo canoni di accertamento, quali “il grado di leggerezza o di superficialità” dell’agente, di per sé compatibili esclusivamente con il modello soggettivo della colpa e, pertanto, in evidente contrasto con il contenuto dell’art. 368 C.p.32. Seguendo le argomentazioni giurisprudenziali, si arriverebbe a configurare, altresì, in capo ai cittadini un “preventivo obbligo di accertamento diligente, perito e prudente” sull’innocenza o sulla colpevoCfr. Cass., Sez. VI, 22 dicembre 2015, cit. Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit., 60. Sul punto, cfr. altresì Cass., Sez. VI, 17 dicembre 1993, Grandis, in Riv. pen., 1994, 493, in cui si coglie la complessità della problematica: «Inoltre, così impostato il problema, sembrerebbe darsi ingresso anche in siffatto reato ad una distinzione tra errore colpevole ed errore incolpevole, distinzione propria della dottrina e giurisprudenza tedesca, ma che nell’ordinamento penale italiano è codificata solo nell’ipotesi di errore di fatto in fattispecie di reato punito anche a titolo colposo (art. 47, co. 1 C.p.). Poiché invece il reato di calunnia è punito solo a titolo di dolo, l’erroneo convincimento della colpevolezza dell’accusato è di per sé idoneo a escludere la certezza dell’innocenza dello tesso e come tale il dolo dell’agente, qualunque sia la natura e il fondamento di detto errore. In questa sola ottica è accoglibile il principio che la “faciloneria”, la “leggerezza” ed il “momentaneo smarrimento” attengano ai moventi psicologici e non escludano il dolo nel delitto di calunnia. Occorre cioè che, anche se il movente della condotta è da rinvenirsi in uno degli stati psicologici suddetti, l’agente abbia pur sempre la piena consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato». Cfr. EMANUELE, Il delitto di calunnia, cit., 282 ss. Si segnala un diverso orientamento interpretativo, il quale, affinchè il dubbio possa esplicare un’efficacia scusante, richiede che l’imputato esterni le proprie ragioni del suo dubitare con chiarezza e senza ambiguità: in questo senso, cfr. PANNAIN, Calunnia e autocalunnia, cit., 686; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 471; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 353. 30 31 32 10 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 lezza di chi intende denunciare. Ne seguirebbe, altresì – come sopra accennato – un effetto fortemente dissuasivo nei confronti dei cittadini, i quali, per timore di subire conseguenze pregiudizievoli, verrebbero definitivamente disincentivati dall’esporre denuncia/querela e di adire così l’autorità giudiziaria per la tutela dei propri diritti33. La ragionevolezza, per la dottrina, assume, invece, una funzione squisitamente processuale quale criterio di accertamento probatorio, “per valutare se tale dubbio sussistesse davvero nella psiche dell’imputato, o se invece la sua allegazione sia priva di reale fondamento”34. Si ribadisce, infatti, che “la eventuale constatazione di una condizione psicologica di leggerezza o di faciloneria dell’agente nella fase della raccolta e della susseguente valutazione degli elementi d’accusa nei confronti del soggetto che si intende incolpare, lungi dal rilevare quale elemento decisivo”, per ritenere irrilevante ed ammettere, di conseguenza, il dolo “varrà dunque soltanto quale risultanza istruttoria, peraltro anche di un certo spessore, onde ritenere poco, se non per nulla, credibile la sussistenza che l’agente era realmente in dubbio o in errore sullo status penalistico dell’incolpato”35. Laddove, inoltre, tale risultanza probatoria concordasse logicamente con l’insieme di tutte le altre evidenze processuali in ordine ad un quadro psicologico connotato Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit., 60-61. Come si evince dal passo sopra citato, l’autore ricostruisce il delitto di calunnia in chiave pulrioffensiva, rilevando come il bene giuridico tutelato dalla disposizione debba essere rinvenuto sia nel bene giuridico pubblicistico dell’amministrazione della giustizia sia nei beni giuridici individuali, come, in primis, la libertà e l’onore. Fra gli autori inclini a qualificare la calunnia come delitto plurioffensivo, cfr. ID., Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit., 8-13; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 504 ss.; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 358 ss.; EMANUELE, Il delitto di calunnia, cit., 9 ss. Sostenitori della tesi contraria, ex multis, PANNAIN, Calunnia e autocalunnia, cit., 679 ss.; MANZINI, Diritto penale italiano, cit., 828 ss.; SANTORIELLO, Calunnia, autocalunnia e simulazione di reato, cit., 16 ss. Cfr. MASERA, Contributo allo studio del delitto di calunnia, cit., 62-63. Cfr. EMANUELE, Il delitto di calunnia, cit., 283. Sul punto, nuovamente, cfr. Cass., Sez. VI, 17 dicembre 1993, Grandis, cit., 493: “Premesso ciò in via di principio, va tuttavia rilevato che l’assunto secondo cui per escludersi il dolo nel reato di calunnia è necessario che l’erroneo convincimento della colpevolezza dell’accusato sia fondato su elementi seri e non su mere congetture o supposizioni conserva una sua valenza, sotto il profilo probatorio, della ricostruzione dell’elemento psichico dell’agente. In tema di calunnia l’individuazione del richiesto dolo generico è evidenziata, di norma, dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alle sfere intellettiva e volitiva del soggetto. Il problema dell’accertamento del dolo consiste quindi nella considerazione e nella valutazione delle circostanze e delle modalità della condotta, che sono espressioni dell’atteggiamento psichico dell’agente ed indicative dell’esistenza di una rappresentazione e di una voluta motivazione del fatto. Ne deriva che la motivazione in ordine alla sussistenza del dolo si immedesima con l’accertamento di quelle circostanze che evidenziano la cosciente volontà della condotta dell’agente (…). Quindi il fatto che l’errore nella consapevolezza dell’accusato si fondi non su elementi seri e concreti, ma su mere congetture e supposizioni, non è di per sé causa di irrilevanza di detto errore, rende solo non credibile che detto errore sia effettivamente susseguente”. 33 34 35 11 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 dall’incertezza dell’innocenza o della colpevolezza dell’incolpato, allora si giungerebbe ad una sentenza di proscioglimento perché “il fatto non costituisce reato”36: l’accertamento processuale deve essere condotto infatti sulla base di dati oggettivi e fattuali, con particolare riguardo per la personalità dell’imputato e secondo una quadro complessivo della situazione concreta in cui si è realizzata la condotta tipica. In tale prospettiva, deve essere letta, quindi, la motivazione della Corte di cassazione, nella pronuncia in esame, nella misura in cui esclude la sussistenza del dolo, in ragione dello stato di incertezza in cui verteva l’imputata al momento della prima querela circa la colpevolezza dell’ex marito: secondo la valutazione della Corte, l’imputata avrebbe agito in buona fede, tanto da intervenire nuovamente rispetto al primo atto propulsivo, adducendo ulteriori elementi fattuali a precisazione della vicenda personale intercorrente con il proprio coniuge. L’integrazione della querela, per la cassazione, non solo funge da elemento positivo rescindente il dolo sotto il profilo della rappresentazione, ma incide direttamente nella dimensione volitiva, attestando la volontà dell’imputata di adire l’autorità giudiziaria per accertare la colpevolezza del proprio ex marito in ordine ai fatti contestati. Secondo la cassazione, quindi, la condotta dell’imputata può considerarsi unica, comprensiva sia della prima querela sia dell’integrazione della stessa: l’assenza del dolo diretto si palesa già con la prima descrizione della vicenda personale dei due coniugi, in cui l’imputata fornisce una valutazione soggettiva – solo parzialmente corrispondente al vero – degli inadempimenti dell’ex marito37. La circostanza che, in un secondo momento, la medesima ritorni ad integrare In relazione alle formule di assoluzione, la dottrina tende a distinguere tra il dubbio del soggetto in ordine all’innocenza dell’incolpato ed il dubbio del giudice sulla consapevolezza del soggetto sull’accusa: laddove permanga un dubbio in capo al giudice circa la sussistenza dello stato di certezza della falsa incolpazione, allora sarà preclusa una sentenza di condanna e si richiederà, anche in questo, caso, una sentenza assolutoria, da pronunciarsi – secondo la dottrina – con la diversa formula “perché il fatto non costituisce reato”; mentre, in vigenza del codice Rocco, parte della dottrina individuava nella locuzione “per insufficienza di prove” la formula assolutoria idonea nel caso in cui l’incertezza fosse dipesa dall’insufficienza delle prove raccolte dall’accusa, con la formula “perché il fatto non costituisce reato” l’assoluzione piena in caso in cui fosse emersa dalle risultanze istruttorie un’effettiva condizione di dubbio in capo all’imputato. Cfr. PIFFER, Il delitto di calunnia, cit., 259. L’interpretazione della Cassazione in termini di condotta unica, articolata su due momenti, risulta opportuna in ragione della valutazione ex ante del dolo, al momento della commissione del fatto: trattandosi nell’ipotesi di calunnia di reato istantaneo, a nulla rileva il c.d. dolus superveniens, ovverosia, in altri termini, a nulla rileva la circostanza che l’imputata sia venuta a conoscenza solamente in un momento successivo dell’innocenza dell’incolpato, rilevando, infatti, ai fini della punibilità del delitto di calunnia lo stato soggettivo sussistente al momento della commissione del fatto. Sul punto, cfr. anche Cass., Sez. VI, 17 dicembre 1993, cit. 36 37 12 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 l’atto di querela sarebbe anzi un elemento di conferma della sua volontà di precisare le circostanze fattuali, fornendo all’autorità giudiziaria gli elementi per l’accertamento processuale dell’addebito e, pertanto, è un indice che attesta l’assenza del dolo diretto ab origine, difettando nella stessa l’elemento della certezza dell’innocenza o della colpevolezza dell’ex marito. Pur riproducendo le argomentazioni della giurisprudenza maggioritaria in ordine alla qualificazione del dubbio in termini di ragionevolezza e serietà quale elemento oggetto di dolo, di fatto, la Corte ricorre all’espediente concettuale del dubbio ragionevole in chiave probatoria come indice di valutazione della condotta processuale dell’imputata. 6. Ulteriore ipotesi di confine: il dolo eventuale. Brevi cenni La tendenza giurisprudenziale a estendere la punibilità a condotte di per sé colpose si evince anche in relazione alla configurabilità del delitto di calunnia a titolo di dolo eventuale38. Una parte della giurisprudenza di legittimità ricorre infatti all’espediente del dolo eventuale per aggirare le regole generali in materia di imputazione soggettiva dolosa, addebitando, di fatto all’agente una condotta sostanzialmente colposa39. Tale orientamento interpretativo legittima la punibilità a titolo di dolo eventuale, sostenendo come esso sia configurabile non solo in relazione agli altri profili della fattispecie, come ad esempio, intorno alla nozione di reato ovvero all’idoneità della denuncia a dare inizio ad un procedimento penale, ma Sul punto, cfr. BENESSIA, Consapevolezza dell’altrui innocenza e dolo eventuale del delitto di calunnia, cit., 996; CASTELLABATE, Profili soggettivi del delitto di calunnia: il giudice di legittimità esclude la compatibilità con il dolo eventuale in relazione al requisito della scienza dell’innocenza dell’accusato, in Cass. pen., 2010, 160. In termini generali, cfr. DELITALA, Dolo eventuale e colpa cosciente (1954), ora in Diritto penale. Raccolta degli scritti, I, 1976, 446 ss.; EUSEBI, In tema di accertamento del dolo: confusioni fra dolo e colpa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 1060 ss.; ID., Appunti sul confine tra dolo e colpa nella teoria del reato, ivi, 2000, 1053 ss.; DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, ivi, 1988, 113 ss.; PROSDOCIMI, Dolus eventualis. Il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali, Milano, 1993; CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente. Ai confini tra dolo e colpa nella struttura delle tipologie delittuose, Milano, 1999; ID., La definizione legale del dolo: il problema del dolus eventualis, in Riv. it. dir. proc. pen, 2001, 906 ss.; FORTE, Ai confini fra dolo e colpa: dolo eventuale o colpa cosciente?, ivi, 1999, 231 ss.; VENEZIANI, Dolo eventuale e colpa cosciente, in Studium iuris, 2001, 70 ss.; DI SALVO, Dolo eventuale e colpa cosciente, in Cass. pen., 2003, 1932 ss.; CURI, Tertium datur. Dal Common Law al Civil Law per una scomposizione tripartita dell'elemento soggettivo del reato, Bologna, 2003. Cfr. BENESSIA, Consapevolezza dell’altrui innocenza e dolo eventuale del delitto di calunnia, cit., p. 996; CASTELLABATE, Profili soggettivi del delitto di calunnia, cit., 160. 38 39 Si precisa, inoltre, che Antolisei, come è noto, esprima, invece, la necessità di risolvere la questione della calunnia colposa, ipotizzando, de iure condendo, la sanzionabilità del delitto di calunnia per colpa ed, in particolar modo, inserendo la rilevanza penale solamente delle condotte sorrette da colpa grave. Cfr. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 512. 13 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 anche riguardo alla consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato: laddove, quindi, l’agente preveda l’incolpazione di un innocente ed accetti la sua incolpazione quale possibile conseguenza della sua condotta, si integra ugualmente il delitto di calunnia. La ricostruzione del delitto di calunnia in termini di dolo eventuale consente di giustificare la punibilità, nei casi in cui l’agente si determini alla denuncia “con frivolezza e leggerezza”, senza ulteriori e peculiari approfondimenti fattuali circa l’accusa: in un’ottica punitiva di ipotesi borderline, in cui – secondo la Cassazione – l’imputato “non poteva non sapere” dell’innocenza dell’incolpato tanto da accettare “il rischio di offendere i beni giuridici protetti dall'art. 368 C.p.”40, si assiste progressivamente ad un’estensione dell’ambito di operatività del dolo eventuale, punendo una condotta negligente, compatibile di per sé esclusivamente con la colpa. Simili argomentazioni sono ampiamente criticate sia dalla giurisprudenza maggioritaria, la quale ritiene che per tale via si dilati eccessivamente la portata del dolo di calunnia, dando ingresso surrettiziamente ad una responsabilità di tipo colposo (id est.: di tipo imprudente)41 sia, in particolar modo, dalla dottrina unanime, la quale nega da sempre la compatibilità del dolo eventuale rispetto al delitto di calunnia42. 7. Osservazioni conclusive Dalle argomentazioni sin qui svolte, seppur in estrema sintesi, emerge come la querelle giurisprudenziale e dogmatica circa l’incidenza del dubbio sull’elemento soggettivo del delitto di calunnia, sia tutt’ora aperta. È emblematico come una parte della giurisprudenza di legittimità, muovendo da una ricostruzione restrittiva della portata scusante del dubbio rispetto al dolo diretto della calunnia, di fatto introduca all’interno della dimensione del dolo elementi propri della responsabilità colposa, creando così una sovrapposizione tra i due modelli di imputazione soggettiva del reato. Una simile impostazione concettuale dà origine ad un evidente cortocircuito interpretativo: da una parte, infatti, si richiede l’integrazione del dolo diretto in relazione all’innocenza dell’accusato in termini di rappresentazione e di volizione; dall’altra, si argomenta come solamente uno stato dubitativo serio e ragionevole, condiviso dal cittadino comune, possa elidere l’elemento soggettivo, Cfr. CASTELLABATE, Profili soggettivi del delitto di calunnia, cit., 160. Per la giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. VI, 17 dicembre 1993, cit.; Id., Sez. VI, 18 febbraio 2009, Russo, in Mass. Uff., n. 243517. Cfr.: CASTELLABATE, Profili soggettivi del delitto di calunnia, cit., 160. Contra, L. GULLO, La consapevolezza dell'innocenza altrui nel delitto di calunnia. Calunnia e falsa testimonianza, in Giust. pen., 1948, II, c. 35. Cfr. CASTELLABATE, Profili soggettivi del delitto di calunnia, cit., 160. 40 41 42 14 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 laddove invece una situazione di incertezza dipesa da eccessiva faciloneria e leggerezza non possa acquisire portata scusante. Il paradosso concettuale risulta maggiormente evidente, nella misura in cui, ragionando in tal modo, si afferma che, se lo stato di dubbio è ragionevole, allora elide il dolo diretto, se è dipeso da negligenza, rimarrà ferma l’imputazione a titolo di dolo, laddove, invece, in applicazione dei principi generali in materia di errore, si rientrerebbe nell’ipotesi di errore determinato da colpa e, quindi, sarebbe configurabile un’ipotesi tipicamente colposa che sfocia in un addebito per colpa solo nella misura in cui vi sia una prescrizione espressa a tale titolo, cosa che non è nel caso di specie. Sembra, quindi, condivisibile l’impostazione della dottrina che riconduce a sistema tale orientamento giurisprudenziale, scindendo il piano statico dell’individuazione dell’oggetto del dolo, privo di qualsiasi connotazione in termini di ragionevolezza e serietà, e la dimensione dinamica dell’accertamento processuale: tenendo distinti tali momenti, è possibile, infatti, ricorrere ai canoni della ragionevolezza e della pertinenza, non in ordine all’integrazione del dolo, quanto, piuttosto in relazione alla formazione della prova in ragione delle evidenze processuali, legate alle circostanze del singolo caso concreto. Il criterio della ragionevolezza dovrebbe essere correttamente inteso, di conseguenza, come un canone di valutazione, generale e sistematico, al pari di altri criteri logico-formali, da cui muovere per l’esame delle singole risultanze probatorie e da una loro visione d’insieme. La riconduzione della ragionevolezza all’interno dell’iter di valutazione delle evidenze processuali in punto di dolo, consente di recuperare coerenza ed unitarietà all’impianto processualpenalistico, preservando, altresì, la ratio garantistica sottesa sia alle norme penali (id est.: principio di legalità e di colpevolezza) sia alle norme processuali (id est.: regola di giudizio del Bard, “al di là di oltre ogni ragionevole dubbio, ex art. 530 C.p.p.). Se diversamente intesa, la ragionevolezza finirebbe per assurgere ad un escamotage processuale diretto al sostanziale riconoscimento di canoni ermeneutici tipici della colpa pur nel contesto di un’imputazione che resta comunque a titolo di dolo: il quid pluris della ragionevolezza, anche se espunto dal perimetro dell’oggetto del dolo, ricadrebbe comunque nella valutazione dell’elemento soggettivo in sede probatoria, unitamente agli altri indici fattuali, come la modalità della condotta e la personalità dell’agente, finendo, di conseguenza, per determinare l’affermazione di una responsabilità sostanzialmente colposa, se non per il tramite sostanziale, per la via processuale. È evidente, però, che per superare tale impasse sarebbe necessario concepire 15 ARCHIVIO PENALE 2016, n. 2 la scienza penalistica e, quindi, l’esame dell’elemento soggettivo, in una dimensione unitaria che tenga conto sia del profilo statico, inerente la sussistenza dei requisiti del dolo, sia delle dinamiche processuali dell’accertamento: sarebbe, quindi, opportuno superare la rigida divisione scientifica e metodologica tra la procedura e la sostanza e concepire, piuttosto, una scienza penalistica fluida, in grado di considerare entrambi gli aspetti e fornire all’interprete “binari” sicuri su cui muoversi per l’applicazione del diritto penale al caso concreto43. VERONICA MANCA 43 Sulla necessità di superare la rigida separazione metodologica e concettuale delle due discipline, cfr., ex multis, cfr. BRICOLA, La verifica delle teorie penali alla luce del processo e della prassi: problemi e prospettive, in Quest. crim., 1980, 454-455; VARRASO, La giustizia penale negoziata, Milano, 1992, 468 ss.; NOBILI, Principio di legalità e processo penale (in ricordo di F. Bricola), in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 648 ss.; BERNASCONI, La collaborazione processuale. Incentivi, protezione e strumenti di garanzia a confronto con l’esperienza statunitense, Milano, 1995, 104 ss.; MOLARI, Il principio di legalità tra diritto e processo nel pensiero di Franco Bricola, in Ind. pen., 1996, 249 ss.; MARINUCCI, Sui rapporti tra scienza penale italiana e legislazione. Uno schizzo, in Giuristi e legislatori. Pensiero giuridico e innovazione legislativa nel processo di produzione del diritto, Milano 1997, 464 ss.; MAIELLO, Diritto penale e processo: la necessità di un approccio integrato, in Crit. dir., 1998, 285 ss.; DOLCINI, Riforma della parte generale del codice e rifondazione del sistema sanzionatorio penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 848 ss.; CAVALIERE, L’obbligatorietà dell’azione penale nella prospettiva di un sistema penale integrato, in Diritti dell’uomo e sistema penale, II, Napoli, 2002, 327 ss.; STELLA, Giustizia e modernità. 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