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Wikipedia oscurata e libertà vigilata
CULTURANDO Wikipedia oscurata e libertà vigilata di Diana Pirjavec-Rameša Ventiquattrore di blackout per protesta: così Wikipedia, nella versione in lingua inglese, ha deciso di oscurare mercoledì 18 gennaio il servizio per combattere contro il Sopa, la proposta di legge contro la pirateria informatica al vaglio del Congresso USA. L’enciclopedia online fondata da Jimmy Wales ha aperto in home page con una schermata nera: tutte le informazioni erano bloccate e gli utenti non potevano accedere ai contenuti. Il blackout ha riguardato solo la versione in lingua inglese, ma anche la pagina in italiano, pur se funzionante, ha aperto con un messaggio di solidarietà per i colleghi che potrebbero essere sottoposti alla nuova legge. Il dibattito sulla legge contro la pirateria informatica negli States si sta trasformando in una lotta contro la censura: le modifiche che potrebbero essere apportate con la Stopping Online Privacy Act (Sopa) vengono viste più come una nuova censura che come metodi per combattere i pirati informatici. Anche il presidente Barack Obama ha preferito non appog- LA VOCE DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww Il volume è stato presentato presso numerose università Istria e Puglia. L’inscindibile vincolo che lega le culture dell’Adriatico di Mario Simonovich An no VII • n. L’ inizio, se così si può definire, risale al seminario avente a tema l’identità adriatica, svoltosi a Pola nella primavera del 2009 e ad una sessione della Scuola di relazioni interadriatiche tenutasi a Bari nel primo autunno dello stesso anno. La conseguenza è stata il libro “Istria e Puglia fra Europa e Mediterraneo”, pubblicato dalla Edizioni Studium nel 2011 e presentato di recente agli Atenei di Pola, Fiume e Capodistria, presenti fra gli altri i due curatori, Luciano Monzali e Furio Šuran. Come spiegato nell’introduzione al volume, intendimento primo dell’opera è di presentare, attraverso “valutazioni di settore” il quadro delle relazioni interadriatiche così come si vengono delineando agli inizi del XXI secolo. Protagonisti cruciali del processo nato ed evolutosi in parallelo con il crollo del progetto del comunismo jugoslavo di creare un’entità politica forte ed autosufficiente e quindi del tutto sottratta alle grandi potenze, sono state le regioni e le città: Istria e Puglia si sono dimostrate pregne di un inusuale propulsivo dinamismo tanto politico quanto culturale favorito dalla dimensione adriatica, sicché le popolazioni di ambo le aree ne hanno guadagnato in vitalità e dinamismo. Tra gli effetti più evidenti ciò ha portato ad una significativa riscoperta del patrimonio storico e culturale locale ed a una sua accurata e cosciente identificazione quale espressione di un territorio di frontiera fra l’Italia, l’Europa balcanica e danubiana e il Mediterraneo orientale. La Puglia si è qualificata come l’unica regione meridionale italiana che ha reagito al processo d’involuzione economica, culturale e politica del Mezzogiorno, che minacciava ripercussioni di maggior consistenza sul piano sociale nella sua globalità. Puntando sui giovani quali elementi primi di una trasformazione dell’economia che non ammetteva ulteriori indugi, ha registrato il risveglio di Bari e Lecce, le due città più rappresentative, per confermarsi in generale come meta turistica di pregio. La contemporanea riconsiderazione della sua dimensione adriatica, a brevissima distanza dall’Albania e dal Montenegro, ha costituito poi un cultura passo esemplare nel processo teso a fare della società italiana uno dei centri più creativi e propulsivi della vita nello spazio mediterraneo. Ad essa dunque il merito dell’estrinsecazione – in questa parte dell’Adriatico - di un’articolata pluralità culturale, linguistica e religiosa desiderosa di esprimersi ed ampliarsi in maniera sempre più libera e dinamica. Sull’altra sponda, l’Istria, superati gli sconvolgimenti bellici e quel che ne era seguito, dalla collettivizzazione all’esodo, negli Anni Ottanta ha conosciuto pure un progressivo risveglio, peraltro guardato dal nuovo regime in una chiave critica che per certi aspetti si sarebbe potuta tranquillamente confrontare con quello che l’aveva preceduto. Le suaccennate “valutazioni di settore” si avvalgono dei contributi di Luigi Masella, Franco Botta, Onofrio Romano, Giovanna Scianatico, Rita Scotti Jurić, Elis Deghenghi Olujić e Andrea Matošević. Segue a pagina 2 2 201 o i a 58 • Sabato, 21 genn giare il disegno di legge, tanto da scatenare la reazione di Rupert Murdoch, il magnate delle comunicazioni che spinge per l’approvazione della legge. Il braccio di ferro sulla protezione del copyright riguarda un diverbio a tutto campo tra Hollywood e la Silicon Valley: da un lato i giganti della cinematografia, l’industria musicale, i produttori di contenuti televisivi (e anche gli editori), decisi a difendere il loro patrimonio intellettuale saccheggiato dai siti pirata, con un danno stimato in 58 miliardi di dollari nel solo 2011; dall’altro i grandi operatori di Internet che, al di là degli appelli ideali alla libertà d’espressione, temono di subire pesantissime limitazioni se entrerà in vigore una legge che li obbliga a bloccare preventivamente il transito di materiale “proibito” sui loro siti. Le norme in teoria prenderebbero di mira solo i siti-canaglia stranieri che si appropriano di film e brani musicali senza pagare diritti d’autore. Con le nuove regole, però, i provider americani di Internet che non bloccano preventivamente il transito di questi contenuti potrebbero essere denunciati e diventerebbero corresponsabili del danno patrimoniale. Per gli operatori, a cominciare da Google, Bing e dalle reti sociali, sono, dunque, norme ben più stringenti rispetto al Digital Millennium Copyright Act, la legge attualmente in vigore, che garantisce loro l’immunità per le violazioni del copyright, presumendo la buona fede dei provider e chiedendo loro solo di eliminare dai siti il materiale proibito, una volta ricevuta la relativa notifica. Insomma, un vero scontro di titani, nel quale la lobby dello spettacolo, assai più ricca e radicata a Washington di quella di Internet, ha condotto all’inizio un’offensiva imponente, conquistando un vasto consenso parlamentare che, però, ora sta svanendo sotto i colpi della controffensiva della Silicon Valley. Il mondo di Internet, infatti, ha mobilitato milioni di utenti, invitandoli a bombardare di mail e telefonate i loro parlamentari, mentre anche il sarcasmo della stampa cinese, che ora accusa l’America di costruire barriere censorie, viene usato come arma contro il Congresso. Errato infine sarebbe legare il problema solo ad una mera questione di guadagni. Qui viene ridotto lo spazio di libertà e di libero accesso all’informazione. E non è una cosa da poco. 2 cultura Sabato, 21 gennaio 2012 INTERVISTE /«Istria e Puglia fra Europa e Mediterraneo» un prezioso volume che rac L’identità istriana è piuttosto identità col di Mario Simonovich O ltre a curare il libro Istria e Puglia fra Europa e Mediterraneo, Luciano Monzali e Fulvio Šuran sono autori di due capitoli, il primo dei quali - scritto insieme a Federico Imperato - s’intitola Aldo Moro e il problema della cooperazione adriatica nella politica estera italiana 1963 – 1978, il secondo Istria: analisi sociologica di un territorio multiculturale e multietnico. Monzali, docente di storia delle relazioni internazionali alla Facoltà di scienze politiche di Bari, è autore di numerosi studi sulla politica estera italiana e, per quanto riguarda quest’area, curatore del volume Italia e Slovenia fra passato, presente e futuro (2009). Più che opportuno quindi vedere più da vicino quali siano oggi, da parte di un ricercatore italiano, le valutazioni sull’opera dello statista nei confronti dello stato con i cui i rapporti assumevano una precisa specificità, derivante dallo spostamento dei confini e dall’esodo. Un giudizio, quello di Monzali, che oggi appare tanto più degno di nota quando si consideri i mutamenti successivi, che hanno stravolto i rapporti a livello mondiale e dunque anche in quest’area. Nel libro in parola uno dei capitoli di centro riguarda Aldo Moro e il problema della cooperazione adriatica negli anni dal 1963 al 1978. Quale può essere oggi il giudizio in merito? “Con questo saggio abbiamo voluto sottolineare un aspetto dell’attività politica in- Rovigno, la Grisia ternazionale di Aldo Moro, ovvero la sua attenzione al clima di riconciliazione e alla cooperazione con i popoli dell’Adriatico orientale. Su questa sua attenzione, che è uno degli aspetti che hanno contraddistinto la sua azione come capo del governo e ministro degli esteri, di certo ha influito il fatto che egli fosse un “adriatico”, un pugliese molto attento ai rapporti con i popoli dell’altra sponda adriatica e l’Europa orientale. D’altra parte, questa sua azione sicuramente teneva conto anche degli aspetti di politica interna: egli credeva nella necessità di dare all’Italia repubblicana il ruolo di ponte e strumento di mediazione fra i blocchi. Il riavvicinamento alla Jugoslavia e all’Albania era visto come un elemento importante di questo tentativo volto a dare all’Italia repubblicana tale ruolo.” Se da parte italiana si registra questa novità impersonata dall’azione di Moro, si può dire che da parte jugoslava si profilasse pure un atteggiamento nuovo? “A partire dagli inizi degli Anni Sessanta, in contemporanea con l’evoluzione interna della Jugoslavia comunista, segnata dalla riforma economia e dalla parziale liberalizzazione sul piano politico e culturale, divenne più intensa l’azione per la riconciliazione con l’Italia repubblicana con cui era sempre aperta la questione dei confini, ma che a partire dagli Anni Cinquanta era diventata il principale partner commerciale. Si può dire quindi che sicuramente, soprattutto da parte dell’élite di Belgrado, ovvero del governo centrale e della Lega dei comunisti, sussistesse la volontà di un miglioramento dei rapporti con l’Italia.” In che misura questa disponibilità poteva collidere con i problemi che si presentavano all’interno, in testa i rapporti fra le etnie, che poi sarebbero scoppiati negli Anni Novanta? “La domanda è complessa. Penso che da una parte ci fosse la volontà di Tito di pervenire a un miglioramento dei rapporti con l’Italia in quanto processo fondamentale anche per la stabilità interna del sistema comunista jugoslavo. Dall’altra parte si capiva che migliorando i rapporti interstatali sul piano economico, culturale, della cooperazione, si spianava la strada alla chiusura del problema dei confini. A sua volta questo avrebbe avuto per Tito una ricaduta molto importante sul piano interno. Ecco dunque l’importanza di Osimo anche per Tito. Con il Trattato egli garantisce alle repubbliche di Slovenia e Croazia la definitiva stabilizzazione dei confini, ossia l’annessione dei territori che erano stati conquistati e che le grandi potenze avevano riconosciuto alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale.” Le preziose testimonianze raccolte nei diari dei viaggiatori Fra gli altri contributi inseriti nel volume, tutti degni d’attenzione per gli aspetti specifici che mettono in luce, un cenno particolare va dato a Le immagini della Puglia, dell’Istria e del Quarnero nei diari dei viaggiatori di Giovanna Scianatico, ordinario di Letteratura italiana presso l’Università del Salento, che riporta le esperienze acquisite dalle nostre parti da parecchi viandanti che avevano inoltre la capacità di manovrare bene la penna. Il saggio si apre con la descrizione in versi del percorso seguito dallo scrittore e diplomatico napoletano Collantonio Carmignano. Vissuto per lunghi anni alla corte barese di Isabella d’Aragona Sforza quale diplomatico e uomo di fiducia, nel gennaio del 1518 viene incaricato d’accompagnare la ventiquattrenne figlia di questa, Bona, in Polonia, dal cinquantunenne marito Sigismondo, che aveva sposato per procura. Nei suoi versi egli dà ampio spazio alle descrizioni delle coste quarnerine, delle isole di Arbe e Veglia, fino a Fiume, dove il corteo sbarca per continuare via terra. Costa e isole sono ripetutamente definite “molto vezzose” e costellate di golfi, isole e, cosa che lo colpisce in particolare, pregne di aromi. Avvicinandosi a Fiume, la nave è circondata da una flottiglia di barche che la guidano e trainano in porto. La notte si fa festa: l’abitato è illuminato da fiaccole poste sulle torri, sulle mura, per le strade: sparano le bombarde e la gente acclama a gran voce l’imperatore Massimiliano d’Asburgo e i regnanti d’Aragona. Una città che si tratta bene accoglie con molta ospitalità chi arriva, nota compiaciuto Carmignano (la festa de’ Fiumi, con sì grato e bel ricette). Ma anche in quei giorni non viene a mancare quella pioggia che talvolta sa darci tanto fastidio anche oggi. L’acqua cade infatti a catinelle la domenica in cui gli ospiti si recano in duomo. Prima di entrare, acclamata da gente assai et de diverse lingue (già allora!), Bona però non dimentica di fare atto di modestia deponendo il cappello ed il purpureo manto regale, per entrare a capo spoglio. Fosse la stanchezza, fosse il calore dell’accoglienza o i difficili preparative per il prosieguo, sta di fatto che la comitiva si ferma a Fiume nove giorni e, una volta ripartita, incontra molto presto alle sue spalle un “ghiacciato e rustico paese”, insomma un altro mondo dove si susseguono case di legno e in cui gli oggetti più vezzeggiati sono le capaci stufe. Che dire? Che anche oggi, tolti i patiti dello sci, in gennaio il Gorski kotar non si presenta particolarmente attraente... Non meno interessanti le descrizioni dei siti fatte da una categoria di viaggiatori tipi- ca del tempo: i pellegrini che, diretti in Terrasanta, partivano o da Brindisi o, con più frequenza da Venezia, a bordo di galee armate da privati. Era quasi una sorta di viaggio organizzato in cui, una volta sbarcati a Giaffa, venivano prelevati dai frati francescani che facevano loro fare gli usuali tour. Mariano da Siena, in un pellegrinaggio nel 1431, descrive Umago e Parenzo, notando che quest’ultimo è luogo al quale per bello hordine della Signoria di Vinegia, facciano capo ogni nave et galee di Veneziani. Inutile dire che l’obbligo, dettato dalla pericolosità derivante dall’assetto della costa, implicitamente promuoverà traffici e commerci che sarebbero stati di notevole stimolo allo sviluppo della città, in quanto, già che c’erano, i naviganti si provvederanno anche di carni, acqua e legna per il resto della navigazione. Viaggiando alla stessa meta una dozzina d’anni dopo, è Antonio da Crema che si conferma un ammiratore di Parenzo, sì come Plinio la descrive e vole sia colonia de’ Romani battuta da tre parti dal mare, in cui de pietre asai dolce cavati da monte sono le case, templi ed altri edifici constructi. In quanto ai servizi - annota con meticolosità - abbondano le lecarìe, sive taberne, copioso de scorte, cioè meretrice. Insomma anche allora per i pellegrini, che erano quasi per la totalità uomini, le distrazioni e le opportunità di socializzare nel senso più ampio erano generosamente a portata di mano... Il cronista d’occasione però torna subito a concentrare la sua attenzione sull’urbanistica e l’architettura parentina, dove spicca il duomo che dimostra essere antiquo per la sua salicata de musaica, quale è antichissima. Di questi lidi scriverà una sessantina d’anni dopo, un altro pellegrino, rispondente al nome di Pietro Casola, che in un brutto giorno d’ottobre dovrà subirsi una forte tempesta nel Quarnero. La nave cercherà riparo sulla costa istriana in uno porto, secundo se diceva, molto securo da la furia di venti, che da un lato haveva una villa chiamata la Fasana, da l’altro lato, un’altra vila, chiamata Briona. Non ci sono marmi, osserva, ma pietre che sembra quasi fosseno prima squadrate che fosseno misse in quelle montagne. Da lì, conclude, evidentemente ben informato, se levano la maiore parte de le prede (pietre) che se adoperano a Venezia. cultura 3 Sabato, 21 gennaio 2012 coglie importanti ricerche socio - politologiche Fulvio Šuran ollettiva che nazionale Luciano Monzali (a destra in alto) mentre partecipa ad un dibattito Questo patrimonio si può considerare valido a tutt’oggi? “A mio avviso la risposta è positiva. Non c’è dubbio che le origini dell’attuale distensione nelle relazioni fra l’Italia, la Slovenia e la Croazia vanno cercate nella distensione a cui furono caratterizzati i rapporti fra l’Italia repubblicana e la Jugoslavia comunista a decorrere dagli Anni Cinquanta e Sessanta, quindi dal periodo di Moro. Non a caso gli Accordi di Osimo si sono mostrati accordi forti sugli aspetti territoriali. Ovvero, nonostante la disgregazione e la scomparsa di una delle due parti contraenti, sono accordi che hanno retto. Questo significa che c’era, nella logica politica, una forza che portava italiani, serbi, sloveni e croati a riconciliarsi ed a sviluppare una collaborazione politica. Provo anche a sottolineare un limite della politica estera di Moro. Egli non mostrò sicuramente attenzione al problema della tutela della minoranza italiana in Jugoslavia e slovena in Italia, in quanto vi era in lui l’idea che fossero in fondo questioni secondarie. Non a caso gli Accordi di Osimo non contengono ulteriori tutele per le collettività italiane nell’altro Paese. Esse traggono indubbiamente vantaggio dal fatto che si vengono migliorando i rapporti generali fra gli stati, ma manca un’attenzione specifica da parte di Moro e della classe dirigente italiana di quegli anni nei loro confronti. Dall’altra parte ci fu in Moro una sottovalutazione della profondità delle ferite che l’esperienza della seconda guerra mondiale e del tragico dopoguerra avevano lasciato in Istria, Quarnero e Dalmazia in tutti quelli italiani che erano partiti. Deriva da qui in parte anche la perdita di efficacia di alcune parti degli Accordi, nel senso che furono quasi imposti agli esuli, in particolare a Trieste. In effetti lungimirante, la politica praticata allora da Moro e dalla diplomazia italiana, evidenzia effetti molto ritardanti quando si tratta della sua capacità di costruire un consenso in coloro che erano stati le vittime delle tragedie della seconda guerra mondiale. “ Incapacità di capire o effetto di una realpolitik? “Il problema è che era difficile chiedere a Tito un mea culpa, quindi si trattava indubbiamente di realpolitik. La polemica del re- gime contro gli italiani era sicuramente inferiore rispetto a quella verso la Germania, però pure l’Italia era uno dei “nemici ideologici” che avevano legittimato tutta l’esistenza del movimento partigiano. Per Tito una riconciliazione su questa questione era impossibile, per cui prevalse una politica realistica, ossia di non parlare di questioni che non potevano essere ancora risolte sul piano della memoria. Personalmente non condivido la polemica contro gli Accordi di Osimo che ancora viene portata avanti da taluni: non c’è dubbio che essi presentano determinati limiti, però sono stati un momento importante della pacificazione e della stabilizzazione dell’Adriatico.” Analisi della multiculturalità Mentre il saggio di Monzali s’incentra, per forza di cose, sul passato, nell’analisi della multiculturalità e plurietnicità istriana Fulvio Šuran, si mantiene sul presente. Rovignese, laureato in filosofia a Zagabria e acquisito il dottorato in sociologia a Trieste, ha insegnato al Ginnasio di Rovigno ed è stato collaboratore del CRS di Rovigno. Attualmente è docente ordinario di storia della filosofia e associato di sociologia dei fenomeni territoriali e internazionali all’Università di Pola. Nel 2010 ha pubblicato il volume Sociologia della guerra: il caso della ex Jugoslavia (Edit). L’identità nazionale istriana si presenta, nel contempo, con una componente nazionale, di fatto duplice, ossia italiana o croata, e una che lei definisce “marginale”, ovvero l’istrianità. Siccome però quest’ultima sembra prevalere in taluni aspetti più facilmente percepibili, come ad esempio il linguaggio o il modo di pensare, quanto può essere ritenuta profonda quando venga posta in rapporto con le altre due? ”Va detto che questo lavoro si collega a parecchi altri, scritti sia in croato che in italiano, specialmente a uno che mi ha dato anche dei problemi, in cui identificavo l’identità istriana quale forte o debole, dipendentemente dal prevalere dell’una o dell’altra componente nazionale. Io definisco l’istrianità - che chiamerei collettiva piuttosto che nazionale, in quanto anche il “nazionale” in effetti è un costrutto – come un’identi- tà oscura che le genti di questa regione si portano dentro per farla affiorare, portarla alla superficie, nei momenti di convenienza. In altri termini l’istriano se la porta dentro e la sente, però essa si estrinseca, diventa prevalente, dipendentemente dai risvolti socio-storici come anche in quelle che si possono definire momenti di aggregazione nel costrutto sociale. Un’identità che molto volte io chiamo oscura. Basta ricordare quanto avveniva – indipendentemente dalle falsificazioni - nel 1947, nel passaggio fra uno stato e l’altro, quando si chiedeva agli istriani di dichiarare l’appartenenza nazionale: con la Jugoslavia vincitrice molti si dichiararono jugoslavi. Quando si profilò la possibilità delle pensioni italiane molti ridiventarono ad un tratto italiani. Questa è appunto l’espressione dell’identità nascosta. Da parte croata si tende spesso ad attribuire alla presenza veneta in Istria una forte componente italiana o paleoitaliana. Nel suo testo lei si oppone a tali tesi affermando che la parlata venetizzante va vista quale lingua correntemente usata dalla compagine statale più potente. Perché gli storici croati si abbarbicano a una tesi che mi pare carente quanto impropria? ”La risposta è un po’ difficile e a mio avviso fa capo al cosiddetto moderno neocolonialismo. Diversi storici e non solo tali, guardano a questa che per me è una componente culturale del territorio come a un colonialismo, in concreto veneto. All’atto d’incontrare amici o anche qualcuno dei molti parenti e parlando in istroveneto, diverse volte mi è capitato di sentirmi dire Ma, zašto ne govoriš po naški? Ovvero: Ma perché non parli alla nostra? La risposta è che io parlo alla nostra, perché anche questo è nostro, istriano. Nell’opinione pubblica però l’istroveneto è sinonimo di italiano e il concetto è stato assimilato anche da molti storici della componente croata per una questione di piena convenienza: in una società di stati nazionali, dove la paga e quindi il sostentamento ti derivano proprio dallo stato dato, uno non può prendere un’identità che può solo peggiorare la sua posizione esistenziale. Quali possono essere a suo avviso i difetti più evidenti nell’approccio agli studi di sociologia dell’Istria sia da parte italiana che jugo/sloveno/croata? ”All’inizio del saggio ho premesso che nell’accingersi ad analizzare questa realtà – che a me piace chiamare “realtà socio-territoriale istriana” visto come un territorio dal confine statale mobile e di frontiera sia linguistica che etnica - ogni ricercatore dovrebbe liberarsi di quei costrutti etnici/emotivi che in certo senso lo frenano nell’analizzare la realtà. Non è casuale che siano i ricercatori americani, d’oltreoceano, a dare una visione più oggettiva di questa realtà. Ritengo dunque che tutti i ricercatori debbano in un certo senso liberarsi di questa zavorra etno-nazionale per poter osservare meglio la realtà istriana nel suo contesto socio-culturale attuale”. Ma perché, a suo avviso, avviene questo? Per incapacità di capire, per il quieto vivere, per l’immaturità degli strumenti di ricerca? ”No, ripeto quanto detto. Le cause possono essere le più diverse, ma vediamo di concentrarci su quello che rientra nella norma e che tocca dunque la stragrande maggioranza: siamo sempre alla questione dello stato che paga. Il deva fare così se vuol avere successo, soffrire di meno, farsi un nome. Insistendo sul nazionalismo, diventano importanti, ottengono i mezzi per la ricerca e si vedono pubblicati i lavori. Facendo il contrario non otterrebbero nulla”. Sta preparando altre ricerche sul tema? ”Uno dei programmi universitari di cui mi occupo in quanto scelti dagli studenti riguarda l’etnicità e l’identità collettiva. Si tratta di appurare quanto sia importante l’identità collettiva e quanto l’etnicità, con le sue caratteristiche, costituite dai valori tradizionali intesi sia in senso positivo che peggiorativo, ossia come zavorra, o ancora, quale folclore, contribuisce alla creazione dell’identità legata a una o l’altra etnicità dell’Istria. Quando si proceda in questo campo si può agevolmente osservare come la componente slava – favorita anche dalle maggiori possibilità - dia più rilievo ai propri valori tradizionali rispetto alla componente italofona che pertanto appare più soggetta al processo d’assimilazione. Questo emergerà dal lavoro di cui sono pronte già circa 150 pagine. Per la pubblicazione, si vedrà.” 4 cult Sabato, 21 gennaio 2012 INTERVISTE / Studiare in Germania e vivere una realtà completamente nuova aiuta a Il design di qualità è nella sua ess S di Helena Labus Bačić tudiare in un ambiente stimolante, nel quale viene apprezzata ogni forma di sapere e competenza è certamente un’esperienza che arricchisce lo spirito e che sprona a dare il meglio di sé in ogni occasione. Un ambiente del genere, che permette a chi si impegna e lavora di esprimersi e di maturare, è un terreno fertile per idee originali che possono portare, e quasi di regola portano, a risultati concreti in svariati campi di attività, contribuendo allo sviluppo della società, come pure dell’economia. Il desiderio di ampliare i propri orizzonti e di progredire in campo professionale hanno portato l’artista fiumana Ivna Mavrinac in Germania, dove ha la fortuna di vivere quest’esperienza in prima persona, frequentando i quarto semestre della Fachhochschule di Münster. Ivna, classe 1981, ha frequentato la Scuola elementare italiana “Belvedere” per continuare la sua formazione alla Scuola di arti applicate di Fiume. Nel 1999 si iscrive all’Accademia di Belle arti di Brera a Milano, dove consegue la laurea in scultura nel 2005. Ecco cosa ci ha raccontato della sua esperienza all’università tedesca. Come mai ti sei decisa a diventare di nuovo matricola, dopo aver concluso gli studi all’Accademia di Brera? ”Ero ancora studente quando, assieme a mia sorella, feci un viaggio in Germania visitando Berlino e Amburgo. Rimasi talmente affascinata da queste città che da allora in poi divenne mio desiderio vivere a Berlino, che è uno dei centri più importanti dell’arte contemporanea. La città ha un’atmo- dustriale. La mia idea era stata accolta con interesse e già il giorno seguente avevo un incontro con uno dei docenti di Produktdesign al quale mostrai alcune fotografie dei miei lavori scultorei, il mio curruculum vitae e il diploma dell’Accademia di Belle arti di Brera. Mezz’ora dopo ero ammessa alla facoltà. Ovviamente, questa non è una procedura standard in quanto il procedimento di ammissione alla FH di Münster dura di solito tre mesi a partire dalla consegna della mappa dei lavori fino all’esame di ammissione. La facoltà accoglie studenti di tutta la regione del Northreinwestfalen (Renania Settentrionale Vestfalia), come pure da altre parti della Germania. Nel mio caso, a parte il fatto che i miei lavori sono stati apprezzati – il talento e la perseveranza sono le doti più importanti -, quello che ha giocato a mio favore è stata la mia volontà di imparare una nuova lingua e di intraprendere un nuovo percorso accademico. D’altro canto, sono consapevoli del fatto che il numero elevato di studenti stranieri contribuisce ad accrescere il prestigio della facoltà e, inoltre, la mescolanza di culture porta a idee interessanti. Infine, tutti gli studenti stranieri che un giorno decidono di far ritorno nei loro Paesi d’origine diventano promotori della cultura e della lingua tedesca. Quindi, non c’è motivo di perdere tempo con le procedure. I tedeschi sono un popolo efficente. Per quanto riguarda la mia decisione di ritornare ad essere studente, posso dire che l’idea mi è venuta per caso. Volevo trasferirmi e vivere in Germa- Il design è molto diverso dall’arte in quanto le idee si sviluppano in maniera metodica e a uno scopo finale, mentre nel procedimento è essenziale la ricerca. La cosa più importante nel design è il risultato finale, mentre nell' arte è rilevante il percorso sfera magnifica, allo stesso tempo rilassata e lavorativa. Tutto il mondo è a Berlino. Infine decisi di andare a studiare a Münster, che è una città grande come Fiume e conta 60mila studenti provenienti da tutto il mondo. È la città universitaria più grande della Germania, dopo Berlino, ed è conosciuta soprattutto per la Facoltà di architettura e l’Accademia di Belle arti. Due e mezzo anni fa mi ero presentata a un colloquio informativo alla Fachhochschule, nell’ambito del quale avevo espresso, in inglese (all’epoca non conoscevo ancora il tedesco), il mio desiderio di studiare il design in- nia ma non conoscevo la lingua, per cui bisognava superare questo primo gradino. Münster si è dimostrato perfetta in questo senso. Infatti, chi vuole studiare ha diritto a un corso gratuito di lingua tedesca della durata dai sei ai 18 mesi. Poi sono venuta a sapere del corso di design, uno dei più conosciuti e apprezzati in Germania, e gradualmente la mia idea di iscrivere un corso post laurea si è concretizzata con un secondo corso di laurea. Il corso di design offre all’artista un sapere tecnico che non viene appreso all’Accademia. Nell’ambito del corso di Design industriale veniamo a cono- Il vecchio porto di Münster Ivna Mavrinac Uno dei laboratori Durante gli studi a Brera Ivna Mavrinac ha partecipato a numerose mostre collettive in Italia e Germania. In Istria e a Fiume si è pure presentata in mostre personali e collettive quale membro dell'Associazione nazionale degli artisti visivi (HDLU). Nel 2006 è stata premiata alla «Grisia» di Rovigno, mentre nel 2007 ha ottenuto un riconoscimento alla mostra collettiva «Open RIVA Art». Per due estati consecutive, nel 2008 e 2009, ha ideato e gestito il progetto dell'Iniziativa artistica "Stand up/Galleria mobile", organizzato nell'ambito dell'"Udruga Plus" e con il patrocinio della Città di Fiume. Nel 2008 ha collaborato con l'artista brasiliana Karin Schneider, attiva a New York, al progetto "Campo giochi Pomerio", nell'ambito del quale ha disegnato la fontanella pubblica "Vidikovac", realizzata lo stesso anno con il patrocinio della Municipalità di Fiume. Il progetto è il risultato della collaborazione tra la galleria "Art in General" di New York e del Museo di arte moderna e contemporanea del capoluogo quarnerino. L'anno scorso è stata a Graz come borsista dell'organizzazione austriaca "Kulturvermittlung Steiermark", dove ha realizzato una serie di lavori site-specific intitolati "Dialogo intimo" scenza di materiali e di tecniche attuali di produzione. Impariamo a utilizzare i programmi informatici di grafica e di modellazione 3D (tridimensionale). Si tratta di nozioni molto utili per lo scultore. In Germania si investe molto nel sistema scolastico, per cui le università sono perfettamente attrezzate il che ci permette di applicare in pratica tutto il sapere appreso. La mia facoltà dispone di diversi tipi di stampanti (in 3D, per i poster…), nonché di una serie di laboratori (per la lavorazione del legno o del metallo, ma anche per la fotografia e per il film). Insomma, qui è possibile realizzare proprio ogni idea. Vorrei, però, precisare che il design è molto diverso dall’arte in quanto le idee si sviluppano in maniera metodica e possiedono una propria finalità, mentre nel procedimento artistico è essenziale la ricerca. La cosa più importante nel design è il risultato finale, mentre nell’ arte è rilevante il percorso”. Puoi descrivere una tua giornata all’università? La trascorri nei laboratori oppure riesci a trovare il tempo per altri interessi? ”Qui è in vigore il Processo di Bologna, quindi la laurea di primo livello è divisa in sei semestri, di cui i primi due sono generali e come tali anche più impegnativi. Al terzo semestre si sceglie l’indirizzo optando tra: illustrazione, design della comunicazione, quello dei media oppure il design industriale. Il curriculum comprende una serie di materie obbligatorie e quelle opzionali. Tutto sommato, non posso dire di avere troppe lezioni dal momento che si tengono una volta alla settimana. All’università si insiste sul lavoro autonomo, per cui l’80 per cento viene svolto nei laboratori. Le lezioni servono per indirizzare gli studenti, per fare il punto sul nostro lavoro, per uno scambio di idee e di opinioni. Fin dal primo semestre, dagli studenti ci si aspetta molto, per cui non c’è spazio per l’ozio. Il programma della Fachhochschule è tale da abilitare gli studenti per un lavoro autonomo e per renderli concorrenti sul mercato, ma dipende da loro quanto impareranno. Anche dal punto di vista del programma di studio c’è molta libertà. È possibile frequentare e accedere agli esami anche di materie che rientrano nel curriculum di altri corsi di laurea. Quindi, ritornando alla domanda, le mie giornate e le mie settimane non sono ripetitive. Qualche volta trascorro all’università poche ore, altre volte delle giornate intere. Oltre a studiare, lavoro, per cui non ho troppo tempo libero ma ogni volta che posso visito qualche mostra. A Münster ci sono alcuni spazi espositivi molto interessanti, mentre ogni dieci anni viene allestita una gran- Il laboratorio per il film e il video tura Sabato, 21 gennaio 2012 crescere professionalmente enza molto semplice Ivna Mavrinac: Dialogo intimo (scultura site-specific) de mostra internazionale nelle piazze, strade e nei parchi. La città vanta una serie di sculture pubbliche di nomi prestigiosi della storia dell’arte quali Henry Moore, Claes Oldenburg e altri”. Puoi fare un paragone tra l’Italia, la Croazia e la Germania nel contesto del rapporto verso l’istruzione? Quali sono le differenze? ”Le differenze sono notevoli. Direi che l’Italia si trova in una via di mezzo tra la Croazia e la Germania, ma qui non è da trascurare il fattore economico. Le università tedesche sono molto più attrezzate di quelle italiane e croate, il che è un fattore molto importante per lo studio del design. Infatti, se non sei a conoscenza di tutto quello che c’è sul mercato, rimani in disparte e nel design bisogna seguire le novità perché questa disciplina rispecchia l’attualità. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Gli studenti dispongono di tutto il necessario per lavorare, di conseguenza “dimenticano” l’arte dell’arrangiarsi, il che a volte fiacca l’immaginazione e la creatività. Credo che non poche volte gli studenti croati hanno dimostrato notevole creatività e spirito di innovazione proprio a causa della mancanza di mezzi. Ciò che aiuta molto gli studenti della Fachhochschule è il fatto che la facoltà collabora con diverse aziende attive nella regione del Northreinwestfalen (Renania Settentrionale Vestfalia) su numerosi progetti. Questo è il vero lavoro del designer e soltanto così si può imparare veramente il mestiere. Proprio in questo semestre sono coinvolta in due progetti del genere. Tutti i miei professori hanno collaborato per anni con diverse aziende come designer autonomi, molti possiedono proprie ditte. Per questo motivo, si tratta di persone che hanno molta esperienza, sono competenti anche nel campo del mercato, delle tendenze e, non meno importante, hanno dei buoni contatti. Con gli studenti sono molto aperti e amichevoli perché sono consapevoli di essere lì per gli studenti e non viceversa. Si impegnano a creare programmi quanto più interessanti, apprezzano il lavoro e l’opinione dello studente. D’altro canto, ognuno si occupa del proprio lavoro e non c’è spirito di comunità, anche se sono tutti dei buoni colleghi e sono sempre pronti a dare una mano. Da questo punto di vista, l’atmosfera è molto diversa da quella delle facoltà italiane o croate. Credo che nelle università italiane il percorso accademico venga ancora inteso non soltanto come un’abilitazione professionale, ma come un periodo in cui si accumulano esperienze anche fuori dal campo professionale, il che contribuisce alla crescita spirituale e umana di un individuo. In Germania, studiare vuol dire investire nel futuro. In Croazia, a mio parere, l’accento si pone molto di più sulla teoria che sulla pratica. I tedeschi sono efficienti nello studio e non perdono tempo facendo cose inutili”. Quali sono i designer il cui lavoro apprezzi in modo particolare e in che modo la tua preparazione artistica influisce sui tuoi lavori attuali? Tra tutti gli impegni, riesci ancora a occuparti di scultura? ”Per quanto riguarda la scultura, cerco di non trascurarla. La scorsa estate ho trascorso un mese a Graz e propri. Scopro ogni giorno delle cose molto interessanti, come nel campo dell’arte così pure nell’architettura e nel design. Apprezzo il design classico a partire da Alvaro Aalto fino al design contemporaneo di Moooi”. Quali sono le qualità che deve possedere un bravo designer? ”È indispensabile una dose di talento e di innovatività. È fondamentale l’approccio analitico al problema, la flessibilità e, non meno importante, bisogna essere convincenti. Bisogna conoscere il mercato, in quanto dietro a ogni prodotto di qualità c’è una storia interessante che aiuta a venderlo. E infine, a volte bisogna essere audaci e pronti a rischiare. L’interno della Fachhochschule Nel design è indispensabile una dose di talento e di innovatività. È fondamentale l’approccio analitico al problema, la flessibilità e, non meno importante, bisogna essere convincenti. Si deve conoscere il mercato. Dietro a ogni prodotto di qualità c’è una storia interessante che aiuta a venderlo. Bisogna essere audaci e pronti a rischiare. Però la vera arte sta nella creazione di oggetti utili, di qualità e accessibili a tutti, che rendono la vita più facile e più interessante in Austria come borsista del programma Artist-in-Residence “Kulturvermittlung Steiermark”. È stato questo un mese molto interessante, nel corso del quale mi sono dedicata completamente al lavoro. Il mio alloggio si trovava vicino al centro cittadino e proprio di fronte si trovava una stanza sotterranea nella quale ho realizzato tre lavori sitespecific (ovvero legati alla specificità del luogo) ispirati all’architettura della città e intitolati “Dialogo intimo”. A proposito della mia formazione artistica, direi che è stata sempre per me un punto di partenza e un sostegno teorico. Grazie a questo sapere sono più libera e più sicura nelle mie scelte. Gli italiani sono grandi autorità nel campo del design, per cui posso dire che i sei anni di studio che ho trascorso a Milano mi ispirano ancora. Dal punto di vista tecnico, le competenze e le esperienze acquisite negli anni della Scuola Media Superiore mi tornano sempre utili, così come la capacità di “creare qualcosa dal nulla”. Però, devo confessare che da scultrice ho il vizio di complicare le cose, mentre il design di qualità è nella sua essenza semplice e si basa sul motto “less is more” (il meno è più). I designer che apprezzo di più? Non posso dire di avere degli idoli veri Però la vera arte sta nella creazione di oggetti utili, di qualità e accessibili a tutti, che rendono la vita più facile e più interessante. Nel fare ciò è indispensabile soprattutto tutelare la natura, in quanto accumulare oggetti inutili che pure inquinano non aiuta nessuno”. Qual è il settore del design che più ti attira? E infine, dove vedi il tuo futuro, in Germania o in Croazia? ”Ogni progetto è diverso. Sono da sempre interessata allo spazio, che è un tema ricorrente anche nel mio lavoro scultoreo. Pertanto, vorrei occuparmi di arredamento degli interni e del design di mobili. Al momento, però, sto lavorando al design di una confezione estiva di cioccolatini per un’azienda tedesca e devo dire che anche questo mi diverte. Per quanto riguarda i miei piani futuri, per ora desidero rimanere in Germania. Qui mi trovo bene e mi piace come funzionano le cose perché c’è spazio per chi si impegna e lavora. Torno spesso in Croazia, dove ci sono la mia famiglia e i miei amici. Ogni tanto partecipo anche a dei progetti, come lo è stato quello di “Campo Pomerio”, al quale ho collaborato con Karin Schneider. Spero di poter prendere parte anche ad altri progetti del genere”. La sede della Fachhochschule Uno scorcio della cittavecchia di Münster 5 6 cultura Sabato, 21 gennaio 2012 IDEE / Giustizia sociale, l’unica in grado di ridare dignità al grande progetto europeo La Grecia, la filosofia e la democrazia di Irene Dioli M entre la crisi scombussola le vite materiali dei cittadini, ma anche le categorie di pensiero, la filosofia torna a riflettere sui concetti di democrazia e solidarietà che la politica ha abbandonato. La crisi economico-finanziaria ha portato con sé le sue parole d’ordine: “austerità”, “responsabilità”, “sacrifici”. “Adottare provvedimenti impopolari”, “tagliare sprechi e privilegi”, “rassicurare i mercati”. Queste le espressioni e le esortazioni che attraversano l’Europa veicolate da media e politica, senza grandi distinzioni fra destra e sinistra. Una pioggia che si rovescia sulle teste dei cittadini con l’obiettivo di presentare come naturali e ineluttabili quelle che sono precise scelte politiche e sociali, dove a fare la differenza è “chi” deve affrontare l’austerità, “che cosa” viene indicato come spreco o privilegio, “presso quali gruppi sociali” sono impopolari determinati provvedimenti, “a quale prezzo” rassicurare i mercati. La Grecia rimane il caso più emblematico (e drammatico), ma anche l’Italia promette bene. E se la politica non sembra voler mettere in discussione il credo finanziario internazionale e il linguaggio apparentemente neutrale di “esperti” e “tecnici”, a prendere spunto dalla crisi greca per un dibattito sul significato di democrazia, rappresentanza e solidarietà interviene la filosofia. Judith Butler, vite precarie Fra gli intellettuali che di recente hanno fatto sentire la propria voce c’è Judith Butler, autorevole filosofa americana nel campo degli studi queer e della critica ai sistemi sociali, che il 12 novembre scorso ha preso la parola sul blog “Greek Left Review”. In Grecia ma non solo, secondo Butler, non siamo di fronte ad una temporanea fase di difficoltà economica, ma ad una “costellazione di pratiche economiche neo-liberiste” caratterizzate dalla precisa volontà di modificare i rapporti fra strutture economiche e sociali. Lo smantellamento di istituzioni democratiche e servizi sociali produce infatti quelle che Butler chiama “vite precarie”, da intendersi come vite “usa e getta”. Non si tratta semplicemente di esistenze precarie dal punto di vista lavorativo, ma di vite sul cui sfruttamento si produce profitto: si parla in primo luogo di persone povere, senza casa e migranti, e in generale tutte quelle interessate da forme di protezione sociale (protezioni che in Europa vengono sempre più etichettate come “assistenzialismo”, “spreco” e “privilegio”). Il problema, sostiene Butler, non è solo nell’impoverimento materiale di vasta parte della società, ma anche nel fatto che l’abbandono di molteplici gruppi sociali al tritacarne liberista sia stato ri-concettualizzato come pratica periodica, regolare e normale. Slavoj Žižek Jürgen Habermas, dignità e democrazia Questa nuova razionalità, che rende gli Stati meri mediatori delle esigenze indiscusse delle sovrastrutture economico-finanziarie, apre una ferita profondissima nei concetti stessi di rappresentanza e di democrazia. Butler non cita qui lo slogan “noi siamo il 99 p.c.”, ma indica esplicitamente nelle masse di manifestanti a New York, Oakland e altrove il ricostituirsi, letteralmente e fisicamente, della volontà popolare di chi è rimasto escluso da un “noi” istituzionale ormai svuotato di significato. E la democrazia, un concetto che sembrava dato per scontato in Occidente, compare nei dibattiti nel ruolo di creatura in via di estinzione. In un’anticipazione del suo prossimo libro (“The Crisis of the European Union: A Response”) pubblicata sul Guardian il Platone e Aristotele La scuola di Atene rappresentata dal grande Raffaello filosofo tedesco Jürgen Habermas dipinge lo scenario di un’Europa post-democratica, fatta di governi che, sotto minaccia di sanzioni, traducono gli imperativi di mercato in politiche economiche nazionali senza mediazione o legittimazione democratica. Vi suona familiare? In questo modo, secondo Habermas, l’Europa che dovrebbe essere una democrazia transnazionale si trasforma in un sistema caratterizzato dall’asimmetria fra le possibilità di partecipazione democratica a livello nazionale e quelle a livello dell’Unione europea. Ma di fronte al deficit democratico, i governi nazionali fomentano l’euro-scetticismo invece di proporre un’Europa partecipata e autenticamente democratica, che secondo Habermas passa attraverso una solidarietà civica transnazionale. Ma una solidarietà civica, continua, si può sviluppare solo in presenza di equità sociale all’interno dell’Unione, invece che di gerarchie fra ricchi e poveri negli Stati membri. Una posizione che in Germania non può passare inosservata. Infatti, ai primi di novembre, Habermas era intervenuto sulla questione dell’annunciato referendum greco commentando: “Non è soltanto una questione di democrazia: è una questione di dignità”, guadagnandosi sulla stampa tedesca gli appellativi di buonista, isterico e retorico. Tuttavia, anche se lo strumento referendario sembrerebbe la quintessenza della democrazia e la sua cancellazione ha suscitato sospiri di sollievo ai piani alti delle istituzioni europee, da alcuni intellettuali greci la mossa di Papandreou era stata interpretata come tutt’altro che una questione di principio. In diversi contributi, l’ormai ex primo ministro viene ritratto non come costretto dal ricatto internazionale ad abdicare ai propri principi democratici, ma come uno spregiudicato scommettitore che aveva usato il paventato referendum come strumento di ricatto e stratagemma contro l’opposizione interna. Il governo greco come la Fiat, in altre parole. Uno stato d’emergenza che maschera e giustifica la rottura del contratto sociale. Božidar Jakšić e la tradizione di Praxis Dimostrazioni antigovernative dell’estate scorsa ad Atene Di referendum in referendum, arriviamo ad una voce filosofica dall’ex-Jugoslavia: Božidar Jakšić, figura legata alla rivista Praxis, alla scuola estiva di Korčula e all’Istituto di filosofia e teoria sociale dell’Università di Belgrado. A proposito del referendum croato sull’entrata nell’Unione europea (osteggiata in ottica nazionalista da destra e anti-liberista da sinistra), e pur augurandosi un futuro all’interno dell’Unione per la Croazia e in futuro per la Serbia, Jürgen Habermas Jakšić mette in guardia dalla tendenza delle istituzioni europee a guardare ai Balcani come ad entità subordinate anziché stati indipendenti, anche se sotto questo aspetto, in questo momento, i Paesi candidati sembrano essere in buona compagnia degli stati membro. Per Jakšić, le manifestazioni di questi tempi rappresentano una sorta di ritorno alle origini: alle piazze, all’agorà dove la democrazia è nata e potrebbe rinascere dalle proprie ceneri. Con un certo ottimismo, infatti, vede in proteste e occupazioni “l’inizio della fine” per le oligarchie finanziarie, politiche e militari, e nella crisi l’opportunità di ripartire da una critica dell’esistente. Slavoj Žižek, solidarietà trans-europea Come Habermas, Jakšić invita a rivalutare il concetto di solidarietà in chiave civica e umanistica. E all’idea di solidarietà si affidano anche le speranze dell’immancabile Slavoj Žižek. Qui però l’ottica non è universalistica, ma di classe: Žižek indica infatti l’unica possibile via d’uscita dalla crisi, economica e di sistema, nell’emergere di una solidarietà trans-europea fra lavoratori e lavoratrici. Un movimento al 99 p.c. europeo? A sentire la filosofia, quella giustizia sociale che viene presentata come un costoso impiccio alla crescita potrebbe essere l’unica possibilità di ridare significato al progetto europeo. cultura 7 Sabato, 21 gennaio 2012 MOSTRE/ Furono i protagonisti della nascita del fotogiornalismo Il lontano oriente raccontato all’occidente dai fratelli Beato R accontarono il mondo quando la fotografia era ancora sperimentale, furono protagonisti della nascita del fotogiornalismo e del reportage. Fecero scoprire il Giappone, e le meraviglie dell’Egitto, portarono la fotografia nelle terre d’oriente, partendo dal Veneto. Loro sono Antonio e Felice Beato, due fratelli greco-veneziani, e Adolfo Farsari, vicentino. Una mostra, dall’emblematico titolo di “East Zone”, per la prima volta documenta in modo esteso la loro arte. Raccontando anche uno scambio culturale tra l’est italiano e il lontano Oriente, scambio nei due sensi dato che i tre fotografi veneti influenzarono la storia della fotografia in Giappone ma dal questo e dagli altri Paesi visitati trassero elementi che influenzarono la loro maniera di “fare fotografia”. Da segnalare come la mostra proponga accanto alle immagini dei tre protagonisti, una carrellata di foto di confronto, a dar conto di come queste terre lontane seppero calamitare, affascinare fotografi di diverse provenienze. Ad ospitare la mostra, dal 17 dicembre al primo aprile 2012, è Villa Contarini, la reggia delle Ville Venete, oggi proprietà della Regione Veneto, a Piazzola sul Brenta, vicino a Padova. La mostra è curata da Magda di Siena e promossa da Regione del Veneto, da “Photosophia” e “Immobiliare Marco Polo”, una società regionale che gestisce Villa Contarini. Vita avventurosa Felice Beato viene avvicinato alla fotografia dal fotografo della Zecca Ottomana James Robertson, affiancandolo nel suo lavoro a Costantinopoli. A loro si unisce il fratello di Felice e prendono vita le grandi spedizioni fotografiche: Malta (nel 1854-1856), in Grecia e Gerusalemme (1857). Scoppia la Guerra di Crimea e Felice, con Antonio Beato, Tempio di Ramsete III Antonio e Felice Beato, spiega la mostra di Villa Contarini, hanno raccontato il mondo quando la fotografia era ancora sperimentale, facendo conoscere l'Oriente agli europei. A lungo sono stati considerati invece che due fratelli greco - veneziani, un'unica persona. Tutto colpa delle (molte) fotografie firmate a due mani "Felice Antonio Beato" Robertson, crea reportage di guerra che fanno il giro del mondo e contribuiscono non poco a orientare l’opinione pubblica inglese, ma non solo. É il primo esempio di grande fotogiornalismo di guerra. Felice Beato è poi in Cina, ancora al seguito dell’esercito inglese stavolta impegnato nella Guerra dell’Oppio. Negli anni ‘60 i tre fotografi si dividono; Antonio si trasferisce in Egitto, mentre Felice è in Inghilterra. Nel 1863 si trova già a Yokohama, in Giappone, in società con Charles Wirgman, un illustratore giornalista che Beato aveva già in- Kimbei Kusakabe, Samurai 1880 tecipato, come militare, a diverse guerre (fu anche volontario nella guerra civile americana), Farsari si era stabilito a Yokohama specializzandosi nell’importazione di libri e riviste e dedicandosi alla fotografia. Di notevole capacità imprenditoriale e dotato di forte senso estetico, Farsari fa del suo studio un punto di riferimento per la fotografia giapponese del tempo. Le sue foto sono di straordinaria bellezza e si distinguono soprattutto per la qualità della colorazione. Le sue tecniche fotografiche e i suoi alti standard qualitativi influenzano notevolmente la fotografia come forma d’arte in Giappone, ma anche in Cina e in altri paesi d’Oriente. Sicuramente le foto di Farsari pubblicate in occidente, contribuiscono a plasmare l’immagine che del Giappone medievale si ha negli immaginari collettivi contemporanei. Farsari, nei soggetti e nelle scenografie delle sue opere, si ispira al grande artista giapponese dell’ukiyoe Hiroshige, il quale nell’ultimo periodo della sua produzione artistica si cimenta con l’emergente sperimentalismo fotografico. contrato ai tempi della Cina e col quale aveva viaggiato a lungo. Le fotografie giapponesi di Beato rivestono particolare importanza documentaria in quanto riprese in anni in cui l’accesso degli stranieri era decisamente avversato. Il suo corposo archivio di negativi nel 1866 viene distrutto dal grande incendio di Yokohama. Per quasi due anni è impegnato a ricostituire un adeguato fondo di immagini, che pubblicherà negli anni successivi in due diversi volumi, “Native Types” e “Views of Japan”, oggi conservati presso il Victoria and Albert Museum a Londra. Nel 1871 è il fotografo ufficiale di una spedizione navale statunitense in Corea e nel 1873 viene nominato Console Generale per la Grecia in Giappone. Nel 1884 lascia il Giappone e si reca in Egitto, fotografo ufficiale di una spedizione diretta in Sudan, a Khartoum, in soccorso del generale Charles George Gordon. Torna in Inghilterra, ma già nel 1888 lo troviamo in Birmania. Proprio in quell’anno a Yokohama muore Robertson, Felice Beato continua la sua attività e le ultime notizie di questo stravagante ed avventuroso personaggio si ritrovano nel 1907, quando la sua compagnia “F. Beato Ltd” viene liquidata. Anche le ultime notizie di Antonio risalgono a quegli anni; un documento, infatti, riporta l’annuncio di vendita del suo studio fotografico, emesso dalla vedova Beato a Nella primavera del 1890 FarsaLuxor nel 1906. ri fa ritorno a Vicenza con la figlia Kiku, avuta da una relazione con E poi arriva una giapponese, le ultime immagini lo ritraggono vestito alla maniera il momento orientale assieme a sua sorella neldi Farsari la casa di Arcugnano. A Vicenza è Intanto in Giappone lo studio considerato un personaggio stravafotografico di Felice Beato passa- gante, spesso nominato nel foglio to a Baron Von Stillfried nel 1877, satirico locale ‘La freccia’. Muore finisce, nel 1885, nelle mani di un nel 1898 senza aver fatto ritorno in altro veneto: il vicentino Adol- Giappone. Anche se notizie del suo fo Farsari. Dopo aver viaggiato studio fotografico appaiono nel Jaa lungo in Occidente ed aver par- pan Directory con il vecchio nome Le geishe di Adolfo Farsari. Stampa all’albumina colorata a mano (1887) di Farsari and Co. ancora per moltissimi anni fino al terremoto del 1923. Felice Beato è uno dei pionieri delle riprese fotografiche e del fotogiornalismo soprattutto del reportage di guerra. In Giappone la sua influenza è notevole, sia in termini di vero e proprio insegnamento delle tecniche di ripresa, sia per il livello della documentazione che ha prodotto. Un pioniere delle tecniche di colorazione a mano Bisogna tener conto che nella sua lunga attività ha vissuto l’evoluzione dei materiali sensibili e li ha praticamente utilizzati tutti, cominciando dai negativi al collodio umido stampati sulle carte all’albumina fino, probabilmente, alle lastre in gelatina al bromuro d’argento. Deve essere considerato un pioniere anche delle tecniche di colorazione a mano delle copie positive. I suoi reportage hanno il merito di aver portato in Occidente immagini di luoghi e di persone fino a quel momento praticamente sconosciuti. Antonio ne seguì le orme, ma le sue foto sono principalmente concepite come souvenirs, egli riprende sovente monumenti e architetture. Adolfo Farsari, “erede” della ricca attività commerciale di cui il veneziano Felice Beato era stato il pioniere, avrà modo di perfezionarla e di avvalersi dei migliori coloristi giapponesi per fare delle sue fotografie dei veri e propri capolavori. 8 cultura Sabato, 21 gennaio 2012 CARNET CULTURA rubriche a cura di Viviana Car C A A V I T A R R A N A V I T V I T A A R R A I A N T R S R I C A Keith Richards Življenje Učila C I Amy Grey Kako postaneš vampir Mladinska knjiga I T Vesna Milek Cavazza Študenska založba L Amanda Quick Izgubljena čast Mladinska založba B Boštjan Videmšek Vojna teorija: deset let po 11.septembru Cankarjeva založba B S A U I C N P C I Carmine Gallo Steve Jobs - Tajne njegovih inovacija Školska knjiga Haruki Murakami O čem govorim, ko govorim o teku Mladinska knjiga Goran Vojnović Jugoslavija, moja ežela Študenska založba I T Slobodan Šnjader Morendo Profil L Dalaj Lama Sloboda u izgnanstvu Ljevak S Amos Oz Iznenada u dubini šume Fraktura B I Z. Bourek. T. Maroević Eros aresu ures Antibarbarus Millan Cesar Šepetalec psom Tehniška založba Cormac McCarthy Krvavi poldnevnik Mladinska knjiga B Martin Ivanič Na današnji dan Mozaik knjiga Kathryn Stockett Služkinje Mladinska knjiga U C Fabio Volo Le prime luci del mattino Mondadori Denis Avey Auschwitz. Ero il numero 220 543 Newton Compton Irvin Lukežić Ferruccio Busoni Leykam international Ma Jian Pekinška Koma AGM Merita Arslani Anđeli će samo zaspati Naklada Ljevak I Concita De Gregorio Così è la vita Einaudi L Christopher Paolini Inheritance. L’eredità Rizzoli B Giorgio Faletti Tre atti e due tempi Einaudi Pino Aprile Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l’Italia Piemme B Walter Isaacson Steve Jobs Mondadori U Michela Murgia Ave Mary. E la chiesa inventò la donna Einaudi Isabel Alende Il quaderno di Maya Feltrinelli Franz Hammerbacher Bravo Hotel VBZ IN SLOVENIA P Andrea Camilleri Il diavolo, certamente Mondadori IN CROAZIA P A I LIBRI PIÙ VENDUTI IN ITALIA NOVITÀ IN LIBRERIA IL DIARIO ORDINATO DELL’AFFASCINANTE GREGORIO DI SVEVA CASATI MODIGNANI Esce in contemporanea, nelle librerie italiane e croate, il nuovo romanzo di Sveva Casati Modignani Mister Gregory (Sperlin&Kupfer/Italia, Školska knjiga/Croazia). L’autrice in questo suo ultimo lavoro narra le vicende di una vita intricata, creando un romanzo toccante e avvincente. Un diario ordinato, che segue i fatti, i momenti, che vuole descrivere i conflitti famigliari e insieme i drammi di un’epoca intera. Il protagonista ripercorre le sue memorie un periodo che va dagli anni Trenta ai giorni nostri quasi per alleviare, con lucide riflessioni, il peso dei rimpianti, e si ritrova, trascinato da eventi legati al passato, in una nuova avventura. Dettagli, aneddoti e ambientazioni, tramandano poi uno spaccato dei moti delle generazioni che hanno vissuto quegli anni tanto turbolenti quanto significativi per la storia italiana. La prosa rassicurante della scrittrice si compone di un linguaggio che via via si adatta all’epoca storica, conformandosi ai luoghi in cui il protagonista si avventura. I particolari, mirano alla caratterizzazione psicologica dei personaggi, risultando insieme storicamente pertinenti, fortemente contestualizzanti. Una narrazione in equilibrio con gli eventi che rievoca, saldamente ancorata al contesto storico su cui poggia. Uomo affascinante, elegante, carismatico, Gregorio, nonostante l’età avanzata, conserva ancora ciascuna di queste qualità. Abbandonata la carriera di proprietario alberghiero, ormai i suoi giorni procedono senza grandi scossoni. Ha deciso di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nella modesta pensione “Stella Mundi”, circondato da sconosciuti che ignorano completamente la sua storia, interamente all’oscuro delle vicende che hanno segnato la sua esistenza piena e affascinante. Dopo cinque anni di letargo gli arriva una visita inaspettata che fa riaffiorare i ricordi di un passato straordinario, mostrando a Gregorio che, sebbene 85.enne, la sua vita è ben più che un mero insieme di nostalgiche reminescenze. Nelle librerie italiane troviamo L’estate alla fine del secolo (Dalai Editore) di Fabio Geda. Nell’ultima estate del XX secolo un nonno e un nipote si incontrano per la prima volta, dopo che una lunga serie di incomprensioni famigliari li ha tenuti distanti. Il nonno, ebreo, nato il 5 settembre 1938, giorno in cui in Italia vengono promulgate le leggi razziali, ha trascorso la propria vita senza la possibilità di sentirsi vivo nel senso autentico della parola. Ormai anziano, ha scelto la piccola borgata di montagna dove durante la guerra aveva trascorso la clandestinità con la famiglia, per uccidersi. Il ragazzino, un adolescente sensibile ed estroverso che viene affidato a lui perché il padre, malato, deve sottoporsi a una delicata terapia, entra in quell’ultima stagione del vecchio in modo perentorio e imprevisto. E mentre sulle rive del lago artificiale in cui si specchia il paesino riceve la sua iniziazione alla vita, riuscirà, forse, a far uscire il nonno dalla sua condizione di fantasma. Il nuovo romanzo di Fabio Geda è una storia narrata a due voci – quella del nipote ormai diventato adulto e quella del nonno – dove il mondo innocente dei bambini, tema tanto caro all’autore, si incontra con quello dei vecchi dipingendo un abbraccio tra l’inizio e la fine della vita. Ancora una volta una parte della vicenda – quella del nonno – ha una forte componente reale. Nelle librerie croate ritorna Martin Cruz Smith con Staljinov duh (Algoritam). Arkady Renko torna al lavoro in una doppia indagine: deve fare luce su di un omicidio per il quale sono sospettati due ex-poliziotti: Nikolai Isakov e Marat Urman, membri in congedo del corpo d’élite dei Berretti Neri, ricordati per l’assalto alla scuola di Beslan. Anno VII / n. 58 del 21 gennaio 2012 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURA Redattore esecutivo: Silvio Forza / Impaginazione: Saša Dubravčić Collaboratori: Viviana Car, Mario Simonovich, Helena Labus Bačić, Irene Dioli Copertina: Simone Mocenni (Mediterraneo 2008) La redazione del presente inserto ha consultato i siti: www.knjiga.hr, www.kulturaplus.com, www.sveznazdor.com www.svetknjige.si, www.emka.si, www.librerie.it, www.italialibri.net, e la rivista “Arte” (Giorgio Mondadori Editore) Inoltre, nei tunnel della metropolitana di Mosca, molti passeggeri hanno visto l’apparizione del fantasma di Stalin. Due casi molto diversi che però sembrano ricondurre ad un’unica vicenda, al cui centro sembra trovarsi proprio Isakov, oggi candidato politico per un partito ultraconservatore. Non appena Renko comincia a scavare in cerca della verità, alcuni ex-membri dei berretti neri vengono trovati uccisi, e lui stesso, presto, scoprirà di essere al centro del mirino. Il romanzo fa parte della serie di volumi scritti da Martin Cruz Smith cje si snodano attorno alla figura di Arkady Renko: da “Gorky Park” a “Lupo mangia cane”. Ambientato nell’Inghilterra del 1583 arriva in libreria il thriller storico Krug Heretika (Školska knjiga) dell’esordiente S. J. Parris, pseudonimo di Stephanie Merritt, un romanzo che, prendendo le mosse da un episodio della biografia di Giordano Bruno, trascina il lettore in un’avvincente caccia all’uomo costruita con grande accuratezza e intelligenza. Lo sviluppo della trama ha inizio in un’Europa devastata dalle guerre di religione, l’Inghilterra di Elisabetta I sembra un rifugio sicuro ed è per questo motivo che Giordano Bruno, perseguitato dall’Inquisizione, trova riparo a Londra dove viene reclutato come spia al servizio della causa protestante e incaricato di recarsi a Oxford per sventare una congiura contro la Regina. Viviana Car