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Immagine del Corpo Disturbata

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Immagine del Corpo Disturbata
FONDAMENTI STORICO EPISTEMOLOGICI DELLE
SCIENZE MOTORIE 2005/2006
Docente Attilio Carraro
Tutor online Alessandro Grainer
LEZIONE 9 (4° Modulo On-line, 8 Maggio 2006)
L’Immagine Corporea disturbata, il caso
limite dei disturbi del comportamento
alimentare; tecniche per valutare
l’Immagine Corporea; l’Indice di Massa
Corporea (BMI Body Mass Index); aree
di indagine sul corpo come oggetto
psicologico.
ƒ
Le alterazioni dell’Immagine
Corporea
ƒ
I metodi per la valutazione
dell’Immagine
ƒ
Corporea
Il BMI (Body Mass Index), indice di
massa corporea
ƒ
oggetto
Aree di indagine sul corpo come
psicologico
Materiali di approfondimento:
ƒ
Il corpo nel cervello di Aglioti e Berlucchi
ƒ
Psychopatology of body experience: expanded perspective, di Thomas Pruzinsky
Approfondimento su altri materiali:
ƒ
Umberto Galimberti, 1997, Il corpo, Milano: Universale Economica Feltrinelli, Capitolo Terzo
Psicoanalisi del corpo: la presenza, paragrafo 5 Il corpo e la sua immagine.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
PREMESSA
Come abbiamo visto nella precedente lezione, l’immagine corporea si costruisce con il
contributo di quelle funzioni neurofisiologiche che eventualmente chiamiamo schema corporeo,
ma si arricchisce e si amplifica, con il contributo della memoria, delle esperienze passate, degli
affetti, delle sofferenze somatopsichiche e si confronta infine con un mondo interno, per lo più
inconscio, e contemporaneamente con i modelli culturali, le opinioni espresse dagli altri e gli
accadimenti esterni.
Se si analizza l'esperienza corporea in termini di immagine mentale si può verificare, prima di
tutto, che la rappresentazione del proprio corpo è la rappresentazione di un oggetto del tutto
particolare, poiché il corpo è contemporaneamente oggetto di rappresentazione e soggetto che
rappresenta.
Si può allora comprendere la difficoltà dell'evocazione di un’immagine che sia corrispondente al
suo oggetto. Inoltre tutte le immagini mentali sono in genere fuggevoli quando si tenta di
evocarle, si modificano rapidamente e senza un grande sforzo, non sono che rappresentazioni
parziali e difettose.
Il tentativo di rappresentazione del proprio corpo, soprattutto come immagine visiva, è ancora
più difficile per l'assenza del modello, non è infatti possibile vedere l’immagine nella sua
interezza (non si può ad esempio vedersi alle spalle). Visibili sono soltanto i movimenti delle
mani e dei piedi, non è possibile vedere, se non allo specchio, il proprio volto con il quale ci si
identifica più di ogni altra parte.
La complessità di questo fenomeno è immediatamente evidente. Per questo, data l’esiguità
degli spazi e dei tempi a disposizione, ho scelto di presentarvi una dimensione amplificata
dell’approccio alle problematiche connesse all’immagine corporea (ho, per così dire, alzato il
volume) sperando così di aumentare la vostra attenzione ed il vostro ascolto verso questa
importante problematica che riverbera inevitabilmente nella prassi didattica.
Noterete perciò che in questo modulo si fa riferimento, non ad un ambito scolastico, ma ad uno
clinico, quello che riguarda i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Studiare
l’Immagine Corporea ha significato e significa tutt’oggi per molti ricercatori, occuparsi
principalmente dei disturbi e delle distorsioni dell’Immagine Corporea e molte pazienti
bulimiche e la totalità delle pazienti anoressiche rivelano un’alterata percezione del proprio
corpo.
Con questo approccio al problema della valutazione dell’Immagine Corporea assumiamo una
dimensione estrema, ed aggiungerei spesso drammatica, di questo fenomeno, che non
corrisponde alle osservazioni che si possono compiere in una popolazione scolastica, ma che
può utilmente orientare in senso didattico le considerazioni che abbiamo sviluppato sino a
questo punto attorno alla tematica della corporeità.
Non va dimenticato, inoltre, che l’età di insorgenza caratteristica dei DCA è l’adolescenza e che
spesso l’insegnante di Educazione Fisica è tra i primi che notano il problema.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Nella prima parte del modulo viene presentato un sintetico capitolo sulle alterazioni
dell’Immagine Corporea nei DCA con lo scopo di fornire gli strumenti essenziali per affrontare
lo studio del secondo capitolo, dedicato alle tecniche di valutazione dell’Immagine Corporea.
Nella terza parte del modulo sono descritte le procedure per calcolare l’Indice di Massa
Corporea (BMI), che è la misurazione di composizione corporea più utilizzata negli studi su
popolazioni numerose, alla fine della lezione è presentato come materiale di approfondimento
una ricerca di T. Pruzinsky sulle distorsioni psicopatologiche dell’esperienza del proprio corpo.
Si tratta sempre di corsa, no?
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
LE ALTERAZIONI DELL’IMMAGINE CORPOREA
Dal 1987, l’American Psychiatric Association ha incluso nelle sue edizioni del manuale statistico
diagnostico (DSM III-R, DSM IV e DSM IV-TR) il disturbo dell’immagine corporea come criterio
di diagnosi per un disturbo del comportamento alimentare.
Il concetto di disturbo dell'immagine corporea nei DCA è stato affrontato, nelle sue questioni
teoriche e nelle implicazioni pratiche, da Hilde Bruch a partire dal 1962. La Bruch è stata la
prima a mettere in evidenza la presenza del disturbo dell'immagine Corporea nell'Anoressia
Nervosa. “Ciò che è patognomonico dell'Anoressia Nervosa non è la severità della
malnutrizione di per se ... ma più la distorsione dell'immagine corporea associata ad essa:
l'assenza di consapevolezza circa l'emaciazione, anche quando sia avanzata. L’anoressica nega
la sua magrezza, difende accanitamente il suo corpo emaciato, sostenendo che non è affatto
troppo sottile, ma è giusto, normale” (1973).1
La Bruch ha inoltre messo in evidenza come l'atteggiamento della società nei confronti del
corpo, i suoi giudizi di valore sulla bellezza ed i suoi canoni, abbiano creato un atteggiamento
ossessivo sulla necessità di avere una taglia snella. Secondo la Bruch, nell’anoressia sono
sempre presenti un’immagine distorta del corpo, una percezione errata e virtualmente
ingannevole di esso come grasso, un'incapacità di identificare sentimenti interiori e condizioni
di bisogno e un senso pervasivo e paralizzante di ineffettualità, la percezione cioè che le
proprie azioni, pensieri e sentimenti non originino attivamente dentro di se, ma riflettano
passivamente aspettative e richieste esterne.
Su una linea convergente al pensiero della Bruch si colloca l'ipotesi di Thoma (1967)2. Questo
autore pone l'accento sulla problematica relativa all'immagine corporea rivolgendo la sua
attenzione alla percezione che le anoressiche hanno del proprio corpo. A differenza della Bruch,
Thoma non fa risalire la strutturazione di questo difetto percettivo al periodo evolutivo e alle
distorte relazioni familiari, bensì al periodo della pubertà e ai suoi connotati simbolici. La
pubertà
rappresenta
per
l’anoressica
una
minaccia,
le
modificazioni
corporee
che
accompagnano questo periodo e la comparsa degli istinti sessuali vengono a mettere in crisi
una struttura psichica infantile e precaria. A partire da ciò si viene a sviluppare una sorta di
alterazione dell'immagine del sé, sia psichica che fisica, che viene ad essere indirizzata verso
un ideale mascolino e asessuato. Si struttura così un ideale estetico che collude con la ricerca
dell'evitamento dell'identificazione femminile in senso adulto, anche attraverso il mancato
riconoscimento delle esigenze del corpo “… la fame e la proposta di aiuto e di cibo vengono a
rappresentare una minaccia al senso di sicurezza raggiunto con il distacco dalla realtà: anche
da quella relativa alla propria immagine di sé“.
1 Bruch H., Eating disorders ... 1973, tr. it. Patologia del comportamento alimentare. Obesità, anoressia
mentale e personalità, Feltrinelli, Milano, 1982
2 in Cash & Pruzinsky, Body Images, development deviance and change, The Guilford Press, New York,
1990
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Selvini Palazzoli (1963)3 ha affermato l’esistenza di un'alterazione delirante dell'Immagine
Corporea espressa dalla necessità di divenire emaciata e che si possa ipotizzare, riguardo al
disturbo della percezione degli stimoli che provengono dal corpo, un rinnegamento del
sentimento corporeo. Selvini Palazzoli, individua come fenomeni basici del disturbo, la
persistenza della fame e la lotta volontaria e acerrima contro di essa. Il vivere il proprio corpo
come il nemico minacciante che non deve essere distrutto brutalmente, ma deve essere
soltanto tenuto in rispetto, è il fenomeno centrale dell'anoressia mentale. “L’anoressica ha
paura del corpo e quindi del cibo che, inghiottito, subito diviene corpo crescente. Essa vive la
nutrizione come potenziamento del corpo a spese del suo Sé. Per la paziente anoressica essere
corpo significa essere cosa. Se il corpo cresce anche la cosa cresce, a spese della persona. La
sua lotta contro il corpo cosa è la sua lotta contro l'essere cosa.”
Pantano e Santonastaso (1988)4 hanno sottolineato la presenza nell'anoressia di un nucleo
narcisistico e come l'immagine di sé di queste pazienti non si configura a partire dal punto di
vista dell'altro, ma si fonda sull'ideale dell'Io Corporeo e sperimenta le continue delusioni della
manifestazione concreta della corporeità. Non esiste alcuna rappresentazione del corpo, esiste
soltanto un'immagine del corpo scissa dall'immagine di sé e aggredita come oggetto estraneo.
Nella dimensione narcisistica quando l'anoressica si guarda allo specchio non vede sé stessa,
se non in rapporto ad un ideale altro da sé, e non riesce a vedersi con gli occhi dell'altro, non
c’è cioè un'immagine condivisa.
Secondo Galimberti (1987)5 “quando la parola tace è il corpo ad incaricarsi direttamente del
messaggio” e l'anoressica evita di alimentarsi non per vergogna dell'aspetto corporeo, ma per
ridurre il più possibile “la corporeità dell'esistenza e la sua esposizione all'osservazione altrui
che sente minacciosa”.
Mentre Sims (1988)6 afferma che la distorsione dell'Immagine Corporea può essere spesso,
ma non sempre, il risultato di un'anomala capacità percettiva.
Anche nella Bulimia Nervosa è presente una distorsione dell'immagine del proprio corpo e tale
distorsione viene definita come l’ossessione dell’idea della magrezza e del persistente ed
eccessivo timore di ingrassare (DSM III-R, 1987).
In seguito al riconoscimento del disturbo dell'immagine corporea come criterio di diagnosi per i
disordini alimentari, sono andate sviluppandosi diverse metodiche di misurazione dei molteplici
aspetti di questo disturbo. Negli ultimi anni parte della letteratura internazionale ha però
messo in discussione lo stesso concetto di disturbo dell'immagine corporea come fino ad ora
indagato (Ben-Tovim e Walker 19907, Hsu e Sobkiewcs 19918).
3 M. Selvini Palazzoli, L’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano, 1963
4 Pantano, Santonastaso, Anoressia mentale e dismorfofobia, Atti del Simposio internazionale “Anoressia
Bulimia Obesità”, Roma 22-23 Ottobre 1988
5 Umberto Galimberti, opera citata
6 in Cash Pruzinsky opera citata
7 Ben Tovim D., Walker M., Body size estimates: body image or body attitude measures, International
Journal of eating Disorders, 9, 1990
8 Hsu L., Sobkiewcs T., Body image disturbance: time to abandon the concept for eatin g disorders?,
International Journal of eating Disorders, 10, 1991
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
A tale proposito Probst (1997)9 ha sottolineato e criticato l'affermazione che nei disturbi del
comportamento
alimentare
sia presente un disturbo percettivo e che si debba piuttosto
parlare di un disturbo più complesso dell'esperienza corporea, volendo indicare con questa
definizione un diverso approccio alle strategie terapeutiche e riabilitative dei DCA.
9 Probst M., Body Experience in Eating Disorder Patients, Doctoral dissertation, Katholieke Universiteit
Leuven, 1997
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
I METODI PER LA VALUTAZIONE DELL’IMMAGINE CORPOREA
Da quanto esposto nelle precedenti lezioni, emerge con evidenza che non esiste una
definizione dell’Immagine Corporea unanimemente accettata e che il fenomeno si presenta in
una molteplicità di interpretazioni che dipendono dai diversi modelli culturali di riferimento dei
vari autori. Thompson, Penner e Altabe, sostengono che il termine body image è stato usato
come “un’etichetta ombrello con significati specifici che dipendono dalle definizioni individuali
dei ricercatori”. (10)
Sembra comunque possibile distinguere due aree di formulazione in cui si possono iscrivere le
diverse definizioni: la prima di impostazione neurologica individua il concetto di schema del
corpo, intendendo con esso una sorta di rappresentazione topografica che il soggetto si
costruisce del proprio corpo, la seconda definisce l’immagine corporea in termini più
psicologici, come l’insieme delle attitudini e dei sentimenti rivolti al corpo. Le due aree hanno
molti punti di contatto e sono probabilmente entrambe necessarie per spiegare il fenomeno.
All’ampia varietà delle formulazioni teoriche corrisponde una altrettanto ampia produzione di
strumenti per la valutazione della percezione e della distorsione dell’immagine corporea che
non hanno peraltro portato a risultati omogenei. Hsu e Sobkiewcs nella loro rassegna del 1991,
in cui sono stati esaminati 19 diversi studi sull’alterazione dell’immagine corporea in pazienti
con disturbi del comportamento alimentare, hanno messo in luce le contraddittorietà dei
risultati delle ricerche, che si possono riassumere nei seguenti punti:
⇒ alcune anoressiche sovrastimano le misure del loro corpo più del campione casuale di
riferimento, ma tale sovrastima non è condivisa da tutte le anoressiche e neppure dalla
maggior parte di esse;
⇒ le stesse conclusioni si possono applicare alle pazienti bulimiche, alcune sovrastimano, altre
no;
⇒ molte anoressiche e alcune bulimiche sono più insoddisfatte del loro corpo rispetto ai
controlli normali e desiderano essere più magre, ma non tutte le pazienti esprimono questo
vissuto, mentre la stessa marcata insoddisfazione rispetto al corpo può essere presente
anche nel gruppo di controllo.
Hsu e Sobkiewcs fanno inoltre notare che il termine sovrastima della taglia è stato spesso
usato come sinonimo di disturbo dell’immagine corporea, contribuendo a creare confusione
sull’argomento, i due termini non sarebbero intercambiabili e la stima della taglia potrebbe
essere usata al più come misura operativa del costrutto di schema del corpo.
I metodi di indagine possono essere suddivisi in due gruppi il primo gruppo valuterebbe la
componente percettiva dell’immagine corporea, comunemente descritta come accuratezza
della percezione della taglia, il secondo gruppo comprende le tecniche che esplorano la
10 J. K. Thompson, L. A. Penner , M. N. Altabe, Procedures, Problems and Progress in the Assessment of
Body Images, in Cash, Pruzinsky, Body Images, development deviance and change, The Guilford Press,
New York, 1990
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
componente soggettiva, gli atteggiamenti, i vissuti, i sentimenti e i modi di pensare la taglia
e il peso corporeo, le diverse parti del corpo e l’apparenza fisica globale.
Secondo Cash e Brown le procedure di indagine della immagine corporea si possono
distinguere in due categorie: la stima di parti separate del corpo (body-site size-estimation) e
l’analisi dell’immagine intera (whole image adjustment methods). Per la stima di parti separate
del corpo il soggetto viene invitato a focalizzare selettivamente la sua attenzione su diverse
misure corporee, ad esempio Thompson e coll. con la loro apparecchiatura proiettavano
quattro raggi luminosi rappresentanti le guance, la vita, i fianchi e le cosce, chiedendo al
soggetto di regolare la larghezza dei raggi. Con le procedure di aggiustamento dell’immagine
globale il soggetto viene posto di fronte ad una immagine di dimensioni reali della propria
figura che può essere distorta fino a diventare più sottile o più larga di quella reale. Al soggetto
viene chiesto di scegliere l’immagine stimolo che corrisponde alla concezione della propria
taglia (la video-distorsione che Probst e coll. conducono a Lovanio si basa su questo
procedimento).
Un’ampia rassegna delle tecniche più frequentemente usate per la stima della taglia
(componente percettiva), correlate con aspetti dell’immagine corporea, è stata elaborata da
Thompson, Penner e Altabe (11) ed è presentata in sintesi nella tabella che segue:
Nome
Autori
Descrizione
Attendibilità
Campione
Procedimenti di stima di singole parti del corpo
Adjustable
Light Bean
Apparatus (ALBA)
Thompson &
Spana 1988
Adattamento di fasci
luminosi proiettati
sul muro
IC 0.83
TR 0.83-0.92
159 donne
Movable
Caliper
Technique (MCT)
Slade &
Russell 1973
Adattamento della
distanza tra due fasci
IC anoressiche
0.72-0.93
controllo
0.37-0.79
14 anoressich
Body Size
Estimation
Kreitler &
Kreitler 1988
20 studentesse
Ad occhi chiusi il soggetto IC corpo0.75-0.93
utilizza la distanza tra le IC volto 0.79-0.82
mani stese per indicare la TR 0.93-0.97
taglia che percepisce
240 maschi e
femmine da 4
a 30 anni
Procedure a corpo intero
TV-Video
Method
Gardner, Martinex
& Sandoval 1987
Il soggetto adatta le
non riportata
dimensioni orizzontali di
una sua immagine televisiva
38 adulti
Distorting
Video
Technique
Touyz e coll.
1985
Il soggetto indica la sua
IC non applicabile
taglia adattando l’immagine TR immed. 0.82
che è distorta di più o di
1 giorno 0.63
meno del 50% della taglia
8 giorni 0.61
attuale
anoressiche e
bulimiche
11 J. K. Thompson, L. A. Penner , M. N. Altabe, in Cash Pruzinsky, opera citata
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Figure e Silhouette
Figure Rating
Scale
undegraduate
Fallon & Rozin
1985
Il soggetto seleziona tra
nove figure di diverse taglie
IC non applicabile
TR non dato
475 maschi e
femm,
Body Build
maschi e
Assessment
Program
Dickson, Parnell
Un programma di computer
IC non applicabile
Jones & Bradley
1987
permette al soggetto di
creare figure
TR risultati simili
nei diversi t.
Ward e coll. 1990
Il soggetto indica il grado IC 0.90
di sensazione positiva
TR 2 sett. 0.73
verso varie parti o aspetti
del proprio corpo
403 femmine
undergraduate
Eating Disorders Garner, Olmsted
Body
& Polivy 1983
Dissatisfaction
Scale
I soggetti indicano il loro IC 0.90 anoress.
grado di gradimento con 0. 91 control.
nove affermazioni sulle
TR non dato
parti del corpo sentite
come troppo grasse
113 anoress.
577 femm.
Body Shape
Questionnaire
I soggetti indicano la
IC 0.93
frequenza con cui
reagiscono in un particolare
modo ad un evento
bulimiche
197
femmine
undergrad.
Questionari
Revised Body
Cathexis Scale
Cooper, Taylor
& Fairburn 1987
IC, Consistenza Interna (alfa di Cronbach);
TR, affidabilità Test Re-test.
Gli autori suggeriscono un valore di 0.70 come IC minimo accettabile per la validazione degli
strumenti e raccomandano un rapporto ideale di 0.90.
Gli
strumenti
dell’immagine
indirizzati
corporea
autosomministrati,
test
prevalentemente
(le
attitudini
proiettivi,
alla
riguardo
scelta
tra
misura
al
della
corpo),
diverse
figure
componente
comprendono
o
silhouette,
soggettiva
questionari
interviste
semistrutturate.
Il test proiettivo più usato è il Machover test o disegno della figura umana, basato sull’assunto
che “il disegno di una figura umana che una persona esegue, è la proiezione dell’immagine del
proprio corpo non tanto negli aspetti propriamente fisici, quanto negli aspetti più profondi del
proprio Io”.(12) La consegna che si da all’intervistato è: “Disegna una figura umana meglio che
puoi”. Uno dei test di figura più usato è il Body Shape Questionnaire (BSQ) di Cooper e
coll.(13), ai soggetti viene chiesto di scegliere la figura che pensano corrispondere alla loro
taglia, prima reale e poi ideale.
12 Luigi Barbarossa, Massimo Grusovin, Machover test, sue applicazioni per rilevare tratti della
personalità caratterizzanti adolescenti sportivi e non, Didattica del Movimento, 106-107, 1996
13 Cooper P. J., Taylor M. J., Cooper Z., Fairburn C. G., The Development and validation of the Body
Shape Questionnaire, International Journal of Eating Disorders, Vol. 6, N° 4, 1987
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Figura 4.1: figure somministrate nel BSQ
Le interviste semistrutturate, nonostante la loro buona capacità di adattarsi alle diverse
situazioni individuali, non sono molto impiegate in questo campo di indagine, mentre hanno
incontrato grande favore i questionari ad autosomministrazione.
Il primo questionario ad autosomministrazione, in ordine di tempo, è stato il Body Cathexis
Scale di Secord e Jourard (la prima versione è del 1953, la versione riveduta da Ward e coll. è
del 1990). Gli autori hanno definito l’espressione Body Cathexis, come l’entità del sentimento
di soddisfazione o insoddisfazione nei confronti delle varie parti del proprio corpo e ritengono
che il questionario indaghi la relazione tra soddisfazione del corpo e stima di sé.
Il Body Attitude Test (BAT) è un questionario ad autosomministrazione elaborato da Van
Coppenolle e coll. nel 199014, costituito da 20 items. Nel 1995 Probst e coll. hanno pubblicato
i dati di una validazione del BAT su un campione clinico di pazienti alimentari (15). Dall’analisi
di questo lavoro sono stati ottenuti tre fattori denominati: attenzione per la taglia, familiarità
per il corpo, confronto con gli altri, più un quarto fattore residuo costituito da due items di
valutazione generale della propria immagine, “osservo il mio corpo allo specchio”, “il mio
aspetto corporeo è molto importante”. La versione italiana del BAT è stata curata dalla Centro
per i Disturbi Alimentari dell’Università di Padova (16
-
17), una copia del BAT italiano è
allegata in appendice al capitolo.
14 Van coppenolle H., Probst M., Vandereycken W., Goris M., Meermann R., Construction of a
Questionnaire on the Body Experience of Anorexia Nervosa, in H. R. Remschmidt & M. Manneim,
Anorexia Nervosa, Hogrefe & Huber Publishers, 1990
15 Probst M., Vandereycken W., Van Coppenolle H., Vanderlinden J., The body attitude testfor patients
with an eating disorders: psychometric characteristics of a new questionnaire, Eating Disorders the
journal of Treatment and Prevention, 3, 133-145, 1995
16 Santonastaso P., Favaro A., Ferrara S., Sala A., Favaretto G., Vidotto G., Dalle Grave R. & Probst M.,
Confronto degli atteggiamenti corporei di un gruppo di pazienti con disturbi dell’alimentazione con un
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Il questionario attualmente più impiegato nello studio dei disturbi del comportamento
alimentare [viene citato nella quasi totalità della produzione scientifica sui DCA] è l’Eating
Disorders Inventory (EDI) proposto da Williams e coll. nel 198618. L’EDI indaga gli
atteggiamenti verso il corpo e l’alimentazione e alcune caratteristiche psicologiche spesso
associate a questi disturbi. Il questionario ha 64 items ed è suddiviso in otto sottoscale:
a. desiderio di magrezza;
b. bulimia;
c. insoddisfazione corporea;
d. consapevolezza introcettiva;
e. senso di incapacità;
f. paure maturative;
g. perfezionismo;
h. difficoltà interpersonali.
Le prime quattro sottoscale riguardano aspetti principali del disturbo alimentare, in particolare
le sottoscale desiderio di magrezza e insoddisfazione corporea descrivono gli atteggiamenti
verso il proprio corpo, la sottoscala bulimia descrive gli impulsi verso il cibo o verso i
comportamenti di eliminazione, la sottoscala consapevolezza introcettiva è rivolta alla capacità
di discriminare sensazioni corporee quali fame e sazietà, ma anche emozioni e sentimenti. La
sottoscala incapacità riguarda le paure e le sensazioni di non essere in grado di fronteggiare gli
eventi della vita e la scarsa stima di sé, la sottoscala paure maturative descrive il timore di
crescere e la nostalgia per l’infanzia, la sottoscala perfezionismo riguarda la le alte aspettative
verso sé così come manifestate dalla paziente o dai familiari e infine la sottoscala difficoltà
interpersonali descrive la capacità dei soggetti di stabilire relazioni intime con altre persone.
campione di studentesse: validazione italiana del Body Attitudes Test, Rivista Sperimentale di Freniatria,
69, 423-436, 1995
17 Santonastaso P., Zanetti T., Sala A., Favaretto G., Vidotto G., Favaro A., Prevalence of eating
disorders in Italy: a survey on a sample of 16-year of female students, Psychotherapy and
Psychosomatics 65, 1996
18 Williams R. L. e coll., Eating attitudes and behaviors in adolescent women: Discriminations of normals,
dieters and suspected bulimcs, using EAT and EDI, International Journal of Eating Disorders, 5, 1986
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Tabella n. 1
EDI
EATING DISORDERS INVENTORY
Istruzioni: questa scala misura una serie di attitudini, sensazioni e comportamenti. Alcune domande
riguardano il cibo ed il mangiare. Altre domande riguardano l’opinione che avete di voi stessi. Non ci sono
risposte giuste o sbagliate, sia il più sincero possibile nel rispondere. Legga ogni domanda con attenzione e
segni con una X la colonna corrispondente alla risposta più adatta.
sempre
quasi
sempre
spesso
qualche
volta
1. Mangio dolci e carboidrati senza sentirmi nervoso
2. Penso che il mio stomaco sia troppo grande
3. Vorrei ritrovare lo stato di sicurezza della mia
infanzia
4. Quando sono turbato mangio
5. Mi rimpinzo di cibo
6. Vorrei essere più giovane
7. Mi preoccupo della dieta
8. Mi spavento quando le emozioni sono troppo
forti
9. Penso che le mie cosce siano troppo grosse
10. Come persona mi ritengo incapace
11. Mi sento colpevole dopo una grande mangiata
12. Penso che il mio stomaco sia della giusta
dimensione
13. Nella mia famiglia si apprezzano adeguatamente
solo le prestazioni eccezionali
14. Il periodo più bello della mia vita è stata l’infanzia
15. Riesco a parlare apertamente dei miei sentimenti
16. Ho terrore di aumentare di peso
17. Mi fido degli altri
18. Mi sento solo al mondo
19. Mi sento soddisfatto della mia figura fisica
20. Posso affermare che generalmente sono in grado di
controllare le vicende della mia vita
21. Non ho ben chiaro da quale emozione sono preso
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
raramente mai
22. Preferirei essere adulto piuttosto che un fanciullo
23. Riesco facilmente a comunicare con gli altri
24. Desidererai essere qualcun altro
25. Esagero o do troppa importanza al fattore peso
26. Sono in grado di identificare con chiarezza il tipo di
emozioni che provo
27. Mi sento inadeguato
28. Ho finito per fare delle abbuffate tutte le volte che
mi sono reso conto di non potermi controllare
29. Da bambino ho tentato in tutti i modi di evitare
dissapori con i miei genitori e con i miei insegnanti
30. Ho amicizie profonde
31. Mi piace la forma delle mie natiche
32. Sono ossessionato dal desiderio di essere più magro
33. Non mi rendo conto di che cosa sta succedendo
dentro di me
34. Mi sento in difficoltà nello spiegare le mie
emozioni agli altri
35.
L’essere adulti comporta degli obblighi
molto rilevanti
36. In tutte le cose odio essere meno che il migliore
37. Mi sento sicuro di me stesso
38. Sono preoccupato delle abbuffate e del
mangiare troppo
39. Sono felice di non essere più un bambino
40. Non mi rendo perfettamente conto se ho fame o no
41. Ho una scarsa opinione di me stesso
42.
Ritengo di poter raggiungere il livello che
mi compete
43. I miei genitori si aspettavano da me risultati
eccellenti
44. Temo di perdere il controllo sui miei sentimenti
45. Penso che i miei fianchi siano troppo grossi
46. Mangio con moderazione di fronte agli altri e mi
ingozzo quando se ne sono andati
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
47. Mi sento gonfio dopo un pasto normale
48. Io penso che la gente sia più felice durante
l’infanzia
49. Se aumento un chilo temo che continuerò
ad ingrassare
50. Ritengo di essere una persona degna
51. Quando sono turbato non riesco a capire se sono
triste, spaventato o arrabbiato
52. Ritengo che io debba fare le cose perfettamente o
non farle affatto
53. Ho pensato di vomitare in modo da perdere peso
54. Sento il bisogno di tenere la gente ad una certa
distanza (mi sento a disagio se qualcuno cerca
di entrare troppo in intimità con me
55. Ritengo che le mie cosce siano proprio della
misura giusta
56. Mi sento vuoto dentro (emotivamente)
57. Posso parlare a proposito di pensieri e
sentimenti personali
58. I migliori anni della vita sono quando
si diventa adulti
59. Ritengo che le mie natiche siano troppo grosse
60. Ho delle sensazioni che non riesco a definire bene
61. Mangio e bevo di nascosto
62. Ritengo che le proporzioni dei miei fianchi siano
proprio giuste
63. Ho dei traguardi molto elevati
64. Quando sono turbato temo di cominciare
a mangiare
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Tabella n. 2
BAT
BODY ATTITUDE TEST
sempre
quasi
sempre
spesso
qualche raramente
volta
1.Quando mi confronto con gli altri (miei coetanei)
mi sento insoddisfatto/a del mio corpo
2. Il mio corpo sembra un oggetto insensibile
3. I miei fianchi mi sembrano troppo larghi
4. Mi sento a mio agio nel mio corpo
5. Ho un gran desideri di essere più magro/a
6. Penso che i miei seni siano troppo grossi
7. Tendo a nascondere il mio corpo (ad esempio
con vestiti larghi
8. Quando guardo me stesso/a allo specchio sono
insoddisfatto/a del mio aspetto
9. Mi è facile rilassarmi fisicamente
10. Penso di essere troppo grasso/a
11. Sento il mio corpo come un peso
12. Il mio corpo rappresenta una minaccia per me
13. Alcune parti del mio corpo sembrano gonfie
14. Sembra che il mio corpo non sia mio
15. Il mio aspetto corporeo è molto importante
16.
Ho una pancia come se fossi incinta
17. Mi sento teso/a fisicamente
18. Invidio gli altri per il loro aspetto
19. Nel mio corpo accadono cose che mi spaventano
20. Osservo il mio aspetto allo specchio
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
mai
COME CALCOLARE L’INDICE DI MASSA CORPOREA (BMI Body Mass Index)
Il BMI rappresenta un indice di facile
derivazione (è sufficiente misurare peso
ed altezza del soggetto) e di pronto
utilizzo, da impiegare negli studi che
riguardano la composizione corporea ed
il
calcolo
del
peso
ideale.
È
un
indicatore validato e riconosciuto in una
quantità di studi internazionali, che
permette di ottenere rapidamente un
importante informazione da associare ai
dati che possono emergere da altri
strumenti, ad esempio i questionari e le
griglie che sono stati presentati nel
precedente
calcolo
è
capitolo.
riportata
La
formula
nell’immagine
di
a
sinistra: è necessario dividere il peso in
kg del soggetto per il quadrato della
sua altezza in metri, oppure può essere
utilizzato il normogramma, collegando con una linea peso e altezza. I valori normali di BMI
variano per uomo e donna, nel maschio sono compresi tra 20 e 25, nella donna tra 19 e 24.
Allo stato normale il tessuto adiposo rappresenta a 18 anni dal 15 al 18% del peso corporeo
nell’uomo e dal 18 al 22% nella donna. Vi è teoricamente un sovraccarico ponderale e si può
parlare di obesità quando il tessuto adiposo oltrepassa il 25% del peso corporeo nell’uomo e il
30% nella donna. Tecniche molto sofisticate permettono di valutare con precisione la quantità
di grasso corporeo e la sua distribuzione (ad esempio mediante l’uso di bioimpedenziometri),
ma queste tecniche sono difficilmente applicabili nella pratica.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Più semplice da realizzare potrebbe essere la misura delle pliche cutanee (quella tricipitale
normalmente è inferiore a 1 cm, si può definire una persona obesa quando la plica supera i 3
cm) anche se tale misurazione comporta una indaginosità che si avvicina maggiormente al
contesto clinico piuttosto che a quello scolastico.
Oltre al BMI sono state proposte molte formule per determinare il “peso ideale”, tra le
principali possono essere citate la formula di Lorentz:
Al risultato ottenuto si applica per la donna una correzione = Px0.9
e la formula in base agli anni:
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
AREE DI INDAGINE SUL CORPO COME OGGETTO PSICOLOGICO [Fisher, 1990] 19
Quali sono le aree di indagine che è ancora necessario esplorare per approfondire le
conoscenze sull’Immagine Corporea? Fischer ne individua nove (già sinteticamente presentate
nella scorsa lezione), raccomandando un’attenzione multidisciplinare allo studio di queste
problematiche:
1. percezione e valutazione dell’apparenza del proprio corpo;
2. accuratezza della percezione della propria taglia;
3. accuratezza della percezione delle sensazioni del proprio corpo;
4. abilità nel giudicare la posizione spaziale del proprio corpo;
5. sentire la finitezza e proteggere il valore del proprio corpo;
6. distorsioni delle sensazioni e dell’esperienza corporea associate con psicopatologie e danni
cerebrali;
7. risposte a danni del corpo, amputazioni, e interventi chirurgici;
8. risposte ai vari procedimenti destinati al camuffamento del corpo con la cosmesi o con
qualunque altra cosa destinata a “migliorarlo”;
9. attitudini e sensazioni pertinenti l’identità sessuale del proprio corpo.
Ci sono relativamente pochi lavori attorno a queste aree di ricerca, considerate, non
separatamente, ma come domini multipli della stesso ambito di indagine; diversi ricercatori
hanno teso a sviluppare ciascuno il proprio personale mini-modello e la conseguente tecnica di
misurazione, preoccupandosi scarsamente di integrare i propri risultati con quelli di altri studi.
La diversità di origine del concetto di Esperienza Corporea continua a riflettersi nei molti rivoli
della scena scientifica attuale e lo stesso primitivo uso del termine Immagine Corporea
rappresenta un costrutto unidimensionale che oggi appare troppo semplicistico.
L’Esperienza Corporea sta modificandosi in un “affare complesso” che non può essere
compreso soltanto nel termine ombrello Immagine Corporea. I dati della ricerca più accreditata
indicano che si tratta di un fenomeno multidimensionale, nello stesso momento una persona
19
S. Fischer, in Cash & Pruzinsky (a cura di), opera citata
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
può elaborare simultaneamente diverse informazioni che vengono dal proprio corpo:
l’attrattività che deriva dalla propria apparenza fisica, la posizione nello spazio, la preminenze
di singole parti rispetto alla percezione totale del corpo (ad esempio come succede quando si
avverte mal di testa), le variazioni nell’attribuzione di misura di diverse del corpo (ad esempio
la sensazione di sentirsi la pancia smisuratamente gonfia).
Inoltre sappiamo che alcuni aspetti dell’Esperienza-Immagine Corporea sono legati alla
percezione cosciente, mentre altri rimangono a livello inconscio. Alcuni aspetti dell’Esperienza
Corporea includono aree di funzionamento relativamente libere da ansia, mentre altre vengono
percepite come fortemente minacciose. In aggiunta a questa complessità si deve considerare
che c’è una forte componente di genere e forti differenze rispetto al periodo di sviluppo nel
modo in cui l’Esperienza Corporea si struttura.
La quasi inesauribile lista di comportamenti che sono stati utilizzati per esprimere diverse
misure nel dominio dell’Esperienza Corporea, documentano l’onnipresente influenza delle
attitudini corporee nella nostra vita. L’identità umana non può essere compresa se separata dal
luogo somatico in cui abitiamo il mondo e le sensazioni che le persone provano dal proprio
corpo assumono un significato mediatico nella maggior parte delle situazioni sociali.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
IL CORPO NEL CERVELLO:
BASI NEUROLOGICHE DELLA CONSAPEVOLEZZA CORPOREA
di Giovanni Berlucchi e Salvatore Aglioti
[traduzione italiana di G. Berlucchi and S. Aglioti, The body in the brain: neural bases of corporeal awareness, Trends
Neuroscience TINS, 1997, 20, 560-564]
Studi recenti hanno incominciato a sondare i meccanismi del cervello che sottostanno alla rappresentazione mentale
del corpo. L’imitazione dei movimenti da parte dei neonati suggerisce una conoscenza implicita della struttura del
corpo che anticipa lo schema del corpo adulto. Questo include oggetti inanimati che portano relazioni sistematiche con
il corpo, come dimostrato attraverso l’eliminazione dall’autocoscienza di una parte del corpo e i suoi “corredi” associati
dopo lesioni di alcune parti del cervello. Gli aspetti dinamici dello schema corporeo sono rivelati da sensazioni
spontanee da parte di una parte del corpo persa, così come dalle sensazioni fantasma sollecitate dalla stimolazione di
aree del corpo lontane dalla linea di amputazione e perfino dalla stimolazione visiva. I meccanismi dello schema
corporeo mostrano stabilità, perché alcune regioni del cervello sono destinate permanentemente a rappresentare le
corrispondenti parti corporee nella coscienza e plasticità perché le regioni del cervello private dei loro input naturali da
una parte del corpo diventano reattive agli input da altre parti del corpo.
La capacità del nostro cervello di rappresentare il corpo ha probabilmente un’origine innata se
non esplicita. Le ore o persino i minuti dopo il parto, i neonati possono imitare i movimenti
della testa e oro-facciali mostrati dagli adulti di fronte a loro. Ad un punto che essi identificano
un movimento o una specifica parte del corpo dell’adulto, e poi producono un movimento
simile nella parte corrispondente della loro anatomia, i bambini devono in qualche modo essere
consci della struttura corporea generale. Una base neurologica per questa performance
visuomotoria
è
probabilmente
costituita
dai
neuroni
che
diventano
attivi
o
durante
l’osservazione di un specifico movimento fatto da un altro individuo, o durante la performance
dello stesso movimento. E’ immaginabile che i primati nascano dotati di questo meccanismo
per l’imitazione di azioni elementari, e che durante la maturazione il meccanismo inizia un
raffinamento graduale come conseguenza di interazioni sistematiche tra gli input tattili e
propriocettivi e vestibolari, così come tra quegli input e la percezione visiva della struttura e
dei propri movimenti e del corpo degli altri. Il risultato finale, una costruzione mentale che
comprende le impressioni sensitive, le percezioni e le idee sull’organizzazione dinamica del
corpo e le sue relazioni al corpo degli altri viene chiamata schema corporeo, immagine
corporea e
coscienza corporea. Gli input somatosensitivi al cervello, specialmente dai
propriocettori, sono senza dubbio essenziali per la coscienza corporea, come attestato dai
cambiamenti duraturi causati in esso (corpo) dalla vibrazione minima del muscolo elitre
manipolazioni somatiche; comunque l’importanza della visione è attestata dalle distorsioni
anatomiche evidenti nei tentativi “malformati” dei soggetti ciechi congeniti nel disegno o nella
scultura del proprio corpo e in quello degli altri. Il fatto che gli adulti con vista normale sono
facilitati nella discriminazione visiva dei cambiamenti posturali delle braccia di un’altra persona
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
durante i movimenti delle loro stesse braccia ma non delle gambe, e viceversa, dimostra
l’esistenza di meccanismi per la rappresentazione delle parti corrispondenti del proprio corpo e
di quelli di altre persone.
Le lesioni del cervello influenzano la rappresentazione del corpo
Le lesioni del cervello possono portare profondi cambiamenti nel modo in cui il corpo è
rappresentato e percepito. In alcuni casi questi cambiamenti possono essere attribuiti a un
disordine di uno specifico dominio cognitivo, come il linguaggio o l’attenzione spaziale. I
disturbi della coscienza corporea che sono causati da lesioni del lobo parietale posteriore
sinistro, come autotopagnosia, finger agnosia e il disorientamento destra/sinistra, sembrano
dipendere da una alterata rappresentazione principalmente linguistica delle parti del corpo.
Nello stesso modo, la dimenticanza dell’emisoma sinistro che segue le lesioni parietali
posteriori destre di solito si colloca nel contesto di una dimenticanza generale dell’emispazio
sinistro e sembra
dipendere
da un danneggiamento dell’attenzione spaziale
o della
rappresentazione spaziale piuttosto che da disgregazione selettiva dello schema corporeo.
Alcuni disturbi, comunque, possono riflettere una specifica alterazione dello schema corporeo o
parti di esso, come per esempio, in quei pazienti infartuati che sono anosognosici per i loro
difetti motori sensoriali così da negare che siano danneggiati del tutto. Quando si colloca
nell’assenza di una dimenticanza, la dimenticanza personale nella forma di emisomatoagnosia
suggerisce una specifica alterazione nello schema corporeo. Sensazioni di non appartenenza,
negazioni di possesso di una parte del corpo e misoplegia (odio delle terminazioni
emiparetiche) possono verificarsi subito dopo un danno della parte destra del cervello. Le parti
del corpo dimenticate sono cancellate dalla rappresentazione mentale del corpo e l’esistenza
materiale di queste parti viene giustificata da spiegazioni confabulatorie. Sebbene anosognosia
per emiplegia e somatoparafrenia sono state osservate dopo lesioni grandi all’emisfero sinistro,
esse si trovano principalmente dopo lesioni all’emisfero destro, per cui la loro frequenza è
maggiore sulla parte sinistra del corpo che sulla destra.
I mutilati agli arti di solito dicono che un singolo arto fantasma può cambiare di forma e
grandezza nel tempo. Di contro i pazienti con lesioni al cervello senza amputazioni possono
testimoniare la presenza di parti del corpo multiple nella maggior parte dei casi mani o piedi.
I racconti di arti in soprannumero possono coesistere con la negazione dell’emiplegia e con la
sensazione di non appartenenza dell’arto controlesionato, suggerendo che i sintomi negativi e
positivi condividono meccanismi comuni.
Al contrario delle sensazioni fantasma dei mutilati, le sensazioni degli arti in soprannumero
sono illogicamente credute vere dai pazienti, anche quando la coscienza del resto del corpo è
normale.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Aree mentali per la percezione e rappresentazione del corpo
Secondo Melzack la coscienza corporea si basa su una rete neurologica dove la corteccia
somatosensoriale, il lobo parietale posteriore e la corteccia insulare giocano ruoli differenti e
cruciali, come indicato dagli effetti delle lesioni selettive in questa rete. Lesioni della corteccia
primaria somatosensoriale causa deficit nelle sfere propriocettive e tattili, ma non è dimostrato
che possano causare alterazioni ad un ordine superiore della coscienza corporea, come
l’anosognosia per hemianestesia, sensazioni di non appartenenza, somatoparafrenia e
hemisomatoagnosia. Di contro tutti questi sintomi sono osservati frequentemente dopo lesioni
che riguardano il lobo parietale posteriore destro. In più le percezioni di arti fantasma da parte
dei mutilati può essere soppressa attraverso lesioni parietali posteriori destre ma non da tagli
della corteccia primaria somatosensoriale. Le lesioni parietali posteriori possono causare sia
sintomi negativi (per es. di non appartenenza di parti del corpo) e sintomi positivi (per es. arti
in soprannumero). Un emissione tomografica (PET) ha dimostrato che un sistema parietale
posteriore che comprende la corteccia parietale superiore, il solco intraparietale e la maggior
parte del lobo parietale inferiore, viene attivata durante le trasposizioni mentali del corpo nello
spazio. La corteccia insulare viene anche coinvolta nella coscienza del corpo, particolarmente in
relazione agli aspetti emotivi, visto che le lesioni insulari possono causare allucinazioni
somatiche, e la stimolazione elettroniche vicino alla corteccia insulare inducono illusioni di
cambiamenti nella posizione del corpo e sensazioni di essere al di fuori del proprio corpo.
Disordini psichiatrici e immagine del corpo
Le delusioni centrate sul corpo, come la sottovalutazione della grandezza di parti del corpo,
sono osservate spesso in malattie psichiatriche coma la schizofrenia, dove questi sintomi sono
frequentemente in relazione alla parte sinistra, e la depressione dove sono più frequentemente
in relazione con la parte destra. Gli ipocondriaci tendono a riferire le loro sofferenze (per es. un
braccio dolorante) più frequentemente alla parte destra del corpo che alla sinistra. Queste
differenze di lato possono essere espressioni patologiche del funzionamento asimmetrico degli
emisferi cerebrali. Nella sindrome depersonalizzazione c’è una sensazione persistente di vivere
fuori dal proprio corpo, mentre i pazienti con la dismorfofobia sono preoccupati di difetti fisici,
concernenti per es. la forma del naso, la grandezza del pene o del seno, fino al punto di
cercare correzioni chirurgiche non necessarie o soffrono di ferite che si sono autoinflitti. Le
attività neurologiche che sottostanno a queste complesse condizioni psichiatriche saranno
esplorate nel futuro.
Lo schema esteso del corpo
Lo schema del corpo può essere esteso per includere oggetti non corporei che portano una
relazione sistematica al corpo stesso, come vestiti ornamenti e oggetti.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
Esempi noti vanno dalle piume del cappello delle donne dell’epoca di King Edward (1600) al
coltello del chirurgo e così via. Queste inclusioni di oggetti inanimati nello schema corporeo
sono viste generalmente come temporanee e contingenti nell’associazione tra corpo e oggetto:
quando il ciclista smonta dalla bici questa cessa di far parte del suo schema corporeo. Il
carattere temporale dello schema esteso del corpo è anche manifesto nell’operazione di uno
dei suoi probabili meccanismi neurologici. I neuroni nel gyrus post centrale caudale delle
scimmie rispondono agli stimoli visuali e somatosensoriali provenienti dalle mani. Se la
scimmia prende il cibo con una mano i campi visuali recettivi di questi neuroni sono limitati a
quella mano, ma se lo prende con un bastone i campi visuali recettivi si espandono per
includere sia la mano che il bastone, e la modificazione è strettamente limitata al tempo
dell’uso dell’attrezzo.
Recentemente abbiamo fatto un’osservazione clinica che, oltre a sottolineare il concetto di uno
schema esteso del corpo, suggerisce l’esistenza di relazioni più complesse e più durature tra
questo schema e gli oggetti in esso incorporati. Dopo una lesione all’emisfero destro una donna
di settantatre anni con nessun segno di demenza mostra una totale incoscienza della paralisi al
braccio sinistro e infatti afferma ripetutamente che la mano paralizzata appartiene a qualcun
altro. La peculiarità di questo paziente è che mentre è in grado di vedere e descrivere gli anelli
che aveva portato per anni e che portava ora sulla sinistra, negava risolutamente la loro
appartenenza alla mano. Di contro la donna riconosceva immediatamente questi anelli come
propri (e dava informazioni autobiografiche su di loro) quando essi (gli anelli) venivano
spostati sulla mano destra o mostrati di fronte a lei. Nello steso modo lei riconosceva
l’appartenenza di altri oggetti personali, che, nella sua vita passata, non erano stati associati
con la mano sinistra (per es. un portachiavi o un pettine), anche quando vedeva questi oggetti
in contatto con quella mano (sinistra). La negazione di appartenenza degli anelli della mano
sinistra era per cui legata non solo all’essere visti sulla mano rinnegata (sinistra), ma anche
sull’esistenza di una precedente associazione sistematica tra di loro e la mano. Era come se
una rappresentazione visiva congiunta della mano sinistra e dei suoi anelli fosse stata tenuta
nella memoria ma eliminata dalla sua autocoscienza, significando che prima del colpo gli anelli
erano diventati parte di un steso schema corporeo. William James fa notare che le parti
corporei e gli oggetti personali possono essere vissuti nell’autocoscienza alcune volte come
miei e
alcune volte come me. Come suggeriscono i risultati suddetti la somatoparafrenia
sopprime sia “il me e il mio” delle parti del corpo rinnegate e la relativa paraphernalia, ma
l’ultima se rimossa dalla mano rinnegata attiva una rappresentazione visuale del “mio” che è
indipendente da quella mano, sebbene generando una giusta esperienza di appartenenza.
Il corpo reale e il corpo nella mente
Lo schema corporeo non è una semplice percezione del corpo, ma coinvolge componenti
mnemoniche e immaginative, come dimostrato dall’esperienza dei mutilati della continua
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
esistenza delle parti amputate del corpo. Recentemente la conoscenza sulla “coscienza degli
arti persi” è stata supportata da prove nuove di fenomeni fantasma localizzati in altri parti del
corpo rimosse o “denervate”, come il seno, la mandibola, il pene. Le sensazioni fantasma
visive, uditive e olfattive sono state riportate dopo la deafferenziazione dei corrispondenti
organi di senso, ma i più ovvi fenomeni fantasma sono certamente somatoestetiche in natura
dal dolore alla sensazione di movimento, dal tatto alla ricezione termica, rappresentati in
esperienze fantasma. L’attivazione dei nervi sensoriali nella cicatrice da amputazione può
contribuire a questo tipo di esperienza (quella fantasma), ma è ora chiaro che i fenomeni
fantasma hanno un’origine primaria centrale. Come già menzionato, secondo Melzack lo
schema
corporeo
è
comandato
da
una
rete
neurologica
distribuita
o
neuromatrice,
continuamente aperta a esperienze che includono il sistema somatosensoriale, afferenti
reticolari al sistema limbico e le regioni corticali che sono importanti per l’autoriconoscimento e
il riconoscimento di entità e oggetti esterni. I fenomeni fantasma sarebbero causati in primo
luogo dalla persistente attività dei componenti della neuromatrice che sono stati privati dei loro
input normali a causa della perdita di una parte del corpo, e dall’interpretazione del cervello di
questa attività come originata dalla parte persa. Sembrerebbe ovvio che se il segmento perso
è, per esempio, un piede l’attività centrale staccata dalla periferia dovrebbe essere (l’attività)
esclusivamente somatosensoriale, giustificando la tesi di Dennett che se i mutilati possono
sentire un piede perso, essi non possono sentire, odorare o vederlo. Non possono sentirlo,
odorarlo, ma i Ramachandrans hanno mostrato recentemente che un arto amputato può
essere sia visto che sentito. Il riflesso del braccio normale in uno specchio verticale genera in
sei mutilati alle braccia una percezione del braccio perso. Questa percezione visiva interagisce
con le sensazioni illusorie in modo così effettivo così da sentire spasmi dolorosi nel braccio
mancante. In più i soggetti riportano vivide sensazioni tattili sull’arto mancante quando vedono
il ricercatore che tocca l’immagine allo specchio del loro braccio normale, come se gli input
visivi virtuali, ma realistici che nascono dall’arto non esistente, potessero attivare neuroni che
normalmente ricevono input visivi propriocettivi e tattili da quell’arto.
Sensazioni fantasma evocate
Mentre precedentemente l’attenzione è stata indirizzata sulle sensazioni fantasma spontanee,
gli studi moderni hanno esaminato dettagliatamente le sensazioni fantasma evocate nei
mutilati da appropriate stimolazioni sensoriali. La stimolazione tattile del moncone di un arto
amputato da vita a sensazioni nell’arto fantasma, e più recentemente è stato trovato che simili
sensazioni fantasma possono essere generate in mutilati agli arti inferiori o al seno come
risultato di stimolazione tattile di regioni distanti dalla linea di amputazione.
Nei mutilati alla mano, le sensazioni nella mano fantasma possono essere provocate da stimoli
tattili nella parte bassa del viso dalla parte amputata. Come le sensazioni facciali, le sensazioni
fantasma provocate danno una precisa informazione sulla forma, il numero, il movimento e la
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
temperatura degli stimoli facciali, e c’è di solito una corrispondenza punto per punto tra la
collocazione vera degli stimoli provocanti e la posizione sentita sul fantasma, cosicché è
possibile costruire una mappa ordinata di una mano fantasma o di un dito sul viso. Siccome
nella corteccia somatosensoriale la rappresentazione di ogni emifaccia sta adiacente a quella
della mano ipsilaterale, le sensazioni della mano fantasma causate dalla stimolazione facciale
sono probabilmente causate da un’appropriazione della rappresentazione corticale della mano
persa attraverso input sensoriali inerenti alla rappresentazione della faccia adiacente. Questo è
dimostrato con il fatto che parti amputate della corteccia primaria somatosensoriale di animali
cavia diventa sensibile a impulsi sensoriali che normalmente sono attribuiti a regioni corticali
adiacenti. Nello stesso modo la stimolazione elettronica delle regioni della corteccia motoria
che originariamente rappresentavano muscoli senza nervi tende ad attivare muscoli che sono
normalmente rappresentati in parti contigue della corteccia. Questi risultati da esperimenti
animali sono stati estesi a mutilati in studi che usavano registrazioni magnetoencefalografiche,
stimolazioni magnetiche corticali e tecniche illusorie; tutte hanno rivelato espansioni di
rappresentazioni centrali motoriesensoriali, di segmenti intatti del corpo a discapito di
rappresentazioni mutilate adiacenti.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
PSYCHOPATOLOGY OF BODY EXPERIENCE: EXPANDED PERSPECTIVES
di Thomas Pruzinsky
in Body Images, Development Deviance and Change, The Guilford Press, 1990
The vast majority of contemporary research on body-image psychopathology focuses on the
eating
disorders
(Rosen,
1990;
Thompson, 1990).
This
research
provides
important
information regarding the roles of body image in the etiology, maintenance, relapse, and
treatment of anorexia and bulimia nervosa. On the other hand, the domination of eatingdisorders research risks inhibiting the development of a comprehensive understanding and
treatment of the vast range of body-image psychopathologies (Cash, 1988). Many other forms
of pathology are expressed primarily through bodily feelings, attitudes, or symptoms (Bix &
Snaith, 1988; Cumming, 1988; Kolb, 1975; Lacey & Birtchnell, 1986; Nightingale, 1982;
Shontz, 1974; Sims, 1988; Vaeth' 1986), and some have not been adequately elucidated from
a body-image perspective-for example, hypochondria, body dysmorphic disorder, somatic
delusions, transsexualism, and self-mutilation. Existing research on these disorders is
scattered across the genera! medicine, psychiatric, dermatological, and plastic surgery
journals. The perspectives on body image offered by these disciplines allows us to expand our
thinking and knowledge about body-image psychopathology.
Much of the scholarly literature focuses on appearance-related variables. However,
individuals focus on many aspects or body experience other than appearance, including
feelings regarding strength, size, degree of masculinity and femininity, experience of body
boundaries, overall level of body security, and feelings about emotional arousal (see Fisher,
1986, 1989). Thus, this chapter focuses not only on physical appearance but on subjective
body experiences including perceptions, beliefs, and emotions vis-a-vis bodily functions
(Lipowski, 1977).
There are two major categories of body-experience psychopathology. In the first group the
body-image problem is a central defining feature of the disorder-as in hypochondria, body
dysmorphic disorder, somatic delusions, gender identity disorders, koro, and self-mutilation.
The second group consists of psychological disorders associated with but not primarily focused
on body image, including depression, sexual dysfunction, and schizophrenia.
Hypochondria
Hypochondria is a classic psychopathology of body experience and is one of the Somatoform
Disorders listed in the revised third edition of the Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders (American Psychiatric Association [APA], 1987). Many reviews of the etiology and
treatment of hypochondria already exist (e.g., Barsky & Klerman, 1983; Kellner, 1986;
Kenyon, 1965). The central defining characteristic of hypochondria is the patient's fear that
they have a serious illness, despite the fact that there is no objective medical evidence that
such a disease exists. The patient's fear of illness and the subsequent preoccupation with this
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
fear is “. . . based on the person's interpretation of physical signs or symptoms as physical
illness” (APA, 1987, p. 261).
Hypochondriacal patients often experience impaired functioning as a result of their beliefs
about their medical condition and are usually unshakable in their beliefs. There is a clear
relationship between hypochondria and the sense of self.
the primary theme of hypochondriacal communication is, "There is something wrong with me," it is proposed that
the symptom serves a symbolic representation of low self-esteem. The mechanism of symptom formation is a
simple displacement of the feeling that there is something wrong with the self from the psyche to the soma. The
transformation of the amorphous feeling into a somatic disease enables the patient to define and communicate his
problem in a concrete form (McCranie, 1979, p. 12)
Despite clarification of the diagnostic criteria for hypochondria (e.g., in DSM-ill-R), there is
still much confusion regarding the specific meaning of hypochondriacal symptoms. Part of this
confusion is because a hypochondriacal focus on bodily symptoms can take many forms,
including a somatic hallucination, a somatic delusion, a somatic delusion secondary to another
form of psychopathology, an overvalued idea, an obsessional rumination, or an anxious
preoccupation (Sims, 1988). Another source of confusion is the wide range of extant
conceptual and etiological perspectives. For example, hypochondria is regarded as a form of
masked depression, an anxiety disorder, as well as a body-image disturbance (see Kc1lner,
1986, pp. 9-10). Additionally, hypochondria has been viewed in terms of psychodynamic
processes, perceptual or cognitive abnormalities, or learned social behaviour (Barsky &
Klerman, 1983). In light of this confusion, Barsky and Klerman (1983) suggest replacing the
term hypochondria with the alternative term amplifying somatic style.
Individuals with an amplifying somatic style scrupulously monitor their normal body sensations and functions;
they scrutinize trivial and transitory symptoms that others might note but dismiss as insignificant; they react to
these perceptions with apprehension and alarm; they readily attribute them to physical disease. (Barsky &
Klerman, 1983, p. 280)
Thus, far the hypochondriacal individual, the body is in the foreground of life experiences,
whereas the rest of the world is background. For most individuals the reverse is true, except in
times of illness, bodily threat, or bodily change. This "hypochondriacal somatic style" leads to
chronic anxiety and misperceptions of bodily experience.
Body Dysmorphic Disorder
Another DSM-III-R Somatoform Disorder is Body Dysmorphic Disorder (AP A, 1987).
Historically, Body Dysmorphic Disorder (BDD) has been referred to as "beauty hypochondria"
(Ladee, 1966) and more commonly as "dysmorphophobia" (Andreasen & Bardach, 1977;
Birtchnell, 1988; Braddock, 1982; Conno11y & Gipson, 1978; Crisp, 1981; Hardy & Cotterill,
1982; Hay, 1970, 1983; Thomas, 1984). BDD is a "preoccupation with some imagined defect
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in a normal-appearing person" (APA, 1987, p. 255), which is not a somatic delusion nor due to
an eating disorder or Gender Identity Disorder (APA, 1987). DSM-III-R (1987) also states that
if the person does have some "slight physical anomaly" (p. 256) but reacts to it in a manner
grossly out of proportion to the actual deformity than he/she would also be classified as having
BDD. BDD is attributed to a body-image disturbance (Hardy, 1984; Thomas, 1984). The focus
of the individuals concern can be on any body part, though it is most commonly on the fare
(APA, 1987).
These patients often repeatedly seek medical consultations and are frequently treated by
plastic
surgeons
and
dermatologists
(Thomas,
1984).
Contemporary
descriptions
of
dysmorphophobia are largely based on reports of plastic surgery patients who seek treatment
far "minimal deformities" (Conno11y & Gipson, 1978; Edgerton, Jacobson, & Meyer, 1960;
Hay, 1970). Dysmorphophobic patients often evidence obsessional, depressive, schizoid, and
narcissistic traits (Cotterill, 1981; Hardy & Cotterill, 1982; Stekel, 1950; Thomas, 1984). The
degree of social, occupational, and psychological impairment varies from individual to
individual but can be severe (Birtchnel1, 1988; Thomas, 1984). In the past, dysmorphophobic
symptoms were considered to be prognostically ominous (Bychowski, 1943; Hay, 1970;
Stekel, 1950).
Despite increasing clinical attention being paid to dysmorphophobia, many questions
remain regarding the classification of these symptoms (Birthchnell, 1988; Thomas, 1984).
First, there is no evidence of a phobia in dysmorphophobia; there is no fear of other individuals
with a physical deformity. There is no fear of an existing deformity or a fear of becoming
deformed in tube future. Thus, "dysmorphophobia" is a misnomer (APA, 1987; Thomas, 1984),
and the more accurate term to describe these problems is BDD. The term phobia in
dysmorphophobia has been employed because these individuals often report apprehensiveness
regarding the reaction that their perceived appearance will evoke from others. This concern
often leads to social avoidance and inhibition. Furthermore, "it is not yet determined whether
dysmorphophobia is one presentation of an underlying disease, or exists in its own right as a
separate disease entity" (Lacey & Birtchnell, 1986, p. 628, citing Andreasen & Bardach, 1977).
However, there is agreement that dysmorphophobia should not be used to describe bodyimage disturbances associated with organic diseases (Birtchnell, 1988; Hay, 1970; Thomas,
1984). Additionally, dysmorphic symptoms in the presence of psychotic symptomology or
severe mood disorders are considered "secondary" dysmorphophobia (Thomas, 1984).
Some confusion is evident regarding the definition of dysmorphophobia because its
symptoms "may range from obsessional preoccupation to a frank delusion, whilst the
accompanying self-consciousness may similarly range to delusions of reference" (Lacey &
Birtchnell, 1986, p. 627). DSM-III-R diagnostic criteria clarify that the critical differential
diagnosis with respect to Delusional Disorder, Somatic Type, hinges upon the intensity of the
patient's belief in the defectiveness of their appearance. The nondelusional patient "can
acknowledge the possibility that he or she may be exaggerating the extent of the defect or
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that there may be no defect at all" (APA, 1987, p. 256). In delusional disorder, this ability to
disengage or distance one's self from the perception of the deformity is not present.
Despite this attempted distinction between delusional and nondelusional dysmorphic
beliefs, it remains "unclear . . . whether or not the belief is a delusion, or whether they are
merely variants of the same disorder" (AP A, 1987, p. 256). However, it does appear that BDD
experiences are characteristic of an overvalued idea (Andreasen, 1977; Birtchnell, 1988; de
Leon, Bott, & Simpson, 1989; Sims, 1988; Thomas, 1984), which is "a solitary, abnormal
belief that is neither delusional nor obsessional in nature, but which is preoccupying to the
extent of dominating the suffer's life" (McKcnna, 1984, p. 579).
The phenomenology of the overvalued idea seems to combine the unlike1y e1ements of non-delusional conviction,
non-obsessional preoccupation and non-phobic fear. At the heart of all the disorders is an abnormally intense
conviction that has been repeatedly observed not to be delusional. . . . The preoccupation that inevitably accompanies
the beliefs shows none of the features of obsessional preoccupation; the idea is seen as natural rather than intrusive,
is acquiesced to without resistance, and is not regarded as senseless or even futile. (McKenna, 1984)
Summary
Given that BDD is new to the official diagnostic nomenclature, it will take rime to evaluate
its usefulness (de Leon et al., 1989; Munro, 1987). An important step will be the refinement of
the definition of the "degree of physical deformity present" (Birtchne1l, 1988). In other words,
what is a "minimal deformity?" The plastic surgery literature clearly documents that there is no
necessary relationship between the degree of physical deformity and the degree of
psychological distress experienced by the patient (Edgerton & Langman, 1982; Pruzinsky,
1988). This is a critical maxim far the psychologically astute plastic surgeon. Very large
physical deformities may cause little psychological distress, and small deformities often cause
great psychological distress. Just because a patient's physical deformity is objectively
"minimal" does not necessarily rule out the possibility of a positive impact from surgery
(Edgerton & Langman, 1982). Additionally, the patient's degree of distress regarding the
physical deformity must be considered in his or her unique cultural context (Birtchnell, 1988;
Macgregor, 1981, 1989). For example, in some cultures, even small facial scars on women
have profound social and psychological implications (Birtchnell, 1988; Macgregor, 1981, 1989).
The experience of BDD can be usefully interpreted in terms of a "somatic style". As Barksy
and Klerman (1983) point out, just as there is an "amplifying somatic style" evident in
hypochondria, “there are surely other somatic styles. . . [which] include ways of dealing with
physical appearance and physical attractiveness; attitudes toward physical fitness, strength,
and activity; perceptions of aging and other non-pathological deviations such as baldness,
short stature, infertility, myopia, and colour-blindness . . .”. Thus, in BDD, as in hypochondria,
the individual pays a great deal of attention to bodily processes (i.e., appearance factors in
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BDD and arousal factors in hypochondria). In hypochondria, this attentional focus leads to
increased accuracy in the perception of some aspects of bodily arousal, but with concomitant
overreaction to this arousal as well as oversensitivity to any type of arousal fluctuation (Fisher,
1986). A similar process occurs in BDD, where the attentional focus leads the individual to be
more discerning of their physical appearance, but also more
distressed about and likely to
misinterpret or exaggerate their perceptions. Fisher (1986) states that "although a good deal
of the research dealing with the impact of being exposed to one's mirror image has shown that
it stirs guilt and self-disapproval, evidence has also emerged that it increases the accuracy of
perception of other events" (Fisher, 1986). Thus, the person who spends an inordinate amount
of rime looking at their reflection in the mirror can become very discerning regarding the
details of their physical appearance and experience a range of negative emotions (e. g.,
shame) (Fisher, 1986).
In the two forms of Somatoform disorders described in this chapter (Hypochondriasis and
BDD), two different "somatic styles" are evident. The hypochondriacal somatic style focuses on
bodily sensations and the BDD somatic style focuses on bodily appearance.
Somatic Delusions
Somatic delusions are classified in DSM-III-R under the rubric of Delusional (Paranoid)
Disorder, which is described as "the presence of a persistent, nonbizzare delusion that is not
due to any other mental disorder, such as Schizophrenia, Schizophreniform Disorder, or a
Mood Disorder" (APA, 1987, p. 199). There are five common variants of Delusional (Paranoid)
Disorders described in DSM-III-R (i.e., erotomanie, grandiose, jealous, persecutory, and
somatic). The somatic type is a "disorder in which the predominant theme of the delusion(s) is
that the person has some physical defect, disorder or disease" (APA, 1987, p. 203).
Development of this DSM-III-R category was partially based on Munro's description of
monosymptomatic hypochondriacal psychosis (MHP) (Munro, 1978, 1980, 1983, 1988; Munro
& Chmara, 1982; Munro & Pollock, 1981). MHP "is characterized by a single hypochondriacal,
delusional system, distinct from the remainder of the personality" (Munro & Chmara, 1982, p.
374). MHP "appears to be a form of paranoia and is distinct from the neurotic
dysmorphophobias, and from hypochondriasis arising from other neurotic or personality
disorders" (Munro, 1978, 'p. 497).
There are three common presentations of MHP: delusions of dysmorphosis (i.e., belief that
one's body or parts are ugly or misshapen), delusions of body odor (e.g., halitosis), and
delusions of infestation (e.g., with insects, worms) (Munro, 1988; Munro & Chmara, 1982;
Munro & Pollock, 1981). These three types of MHP are similar in terms of descriptive features,
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predisposing factors, associated symptomology, and treatment outcome (Munro & Chmara,
1982). Delusions of infestation appear to be the most commonly reported somatic delusions
(see Bishop, 1980, 1983, as well as Wykoff, 1987, far reviews of delusions of infestation).
The onset of MHP can be abrupt or insidious and is sometimes associated with a particular
stressor (Franees & Munro, 1989). The predisposing psychological characteristics of these
individuals include personality disorders, as well as obsessional and schizoid traits (Franees &
Munro, 1989). The condition dominates the individual's life as the person searches far medical
"cures" far the problems.
These patients experience profound disturbance of their lives as a result of their illness. Its chronicity, the tension
it generates, the endless quest for unavailing treatments, and the conflicting and inappropriate advice they are
given, cause enormous concern and anguish to them and their families. The more distressed and delusional they
become, the more frantically they seek the wrong kind of help and the more antagonistic they become towards
psychiatric help. The literature suggests that some may commit suicide, (Munro, 1988)
As stated earlier, the main distinction between dysmorphic delusions and BDD is the
intensity of the belief held by the patient. However, while "most experienced clinicians can
describe delusional beliefs and can distinguish between ideas that are delusional and those
that are not, it is very difficult to obtain consensus on a specific definition of delusions
(Oltmanns & Maher, 1988, p. ix). The "difference between body-dysmorphic disorder and
delusional disorder, somatic type, depends on whether the thoughts of the defect in
appearance represent an overvalued idea (with uncertainty) as in dysmorphophobia . . . or
reach delusional intensity (with certainty) as in monosymptomatic hypochondriacal psychosis"
(Hollander, Liebowitz, Winchel, Klumker, & Klein, 1989,), though some clinicians do not believe
that such a distinction can be made (de Leon et al., 1989)
The psychological condition of most MHP patients does not appear to deteriorate aver rime
(Frances & Munro, 1989), and there are effective treatments available. The most frequently
cited treatment far delusional disorder is with the drug Pimozide (Frances & Munro, 1989;
Munro, 1988; Munro & Chmara, 1982), which
is a powerful neuroleptic, closely related to haloperidol . . . The patient's usual course with treatment, even in
chrome cases, is of substantial symptomatic recovery within two weeks and continued improvement over a period
of several months . . . Some patients eventually come off all medication, but many require prolonged
maintenance therapy . . . The success rate in treatment compliant patients is 60 to 80 percent, with complete or
substantial rectum to normal existence. (Frances & Munro, 1989)
Despite this effective treatment, patients often remain susceptible to heightened sensitivity
regarding their previously delusional concern as well to recurrence of the full-blown delusional
disorder during periods of increased stress.
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Gender Identity Disorders
Gender identity is a basic component of our sense of self and body image (Fisher, 1986, 1989;
Fleming et al., 1982). "Gender identity is the sense of knowing to which sex one belongs, that
is, the awareness that 'I am a male' or 'I am a female.' Gender identity is the private
experience of gender role, and gender role is the public expression of gender identity" (APA,
1987, p. 71). Gender identity problems exist when an individual is concerned about
discrepancies between biological sex, gender identity, and gender role. Under the rubric of
gender identity disorders are patients with various degrees of gender identity disturbance. The
most extreme form of gender identity disturbance is transsexualism, in which "the person not
only is uncomfortable with the assigned sex but has the sense of belonging to the apposite
sex" (APA, 1987, p. 71). Transsexuals are so disturbed by the discrepancy between their
physical characteristics and their psychological gender that they seek surgical correction.
Transsexuals are born with normal male or female anatomy, but they firmly believe that they
were born "in the wrong body" -clearly a body-image problem.
The concept of body image has particular relevance to the phenomenon of transsexualism . . . The transsexual is
unable to form a satisfactory body image because of the dissonance between his (or her) anatomic sex and
gender identity (psychological sex). The reality of the transsexual's body does not conform to the preferred and
desired body image. The result is a disturbance of a complete and consistent self-concept. (Pauly & Lindgten,
1976-1977).
Despite the obvious relevance, little has been written regarding the relationship between
body image and transsexualism (Fisher, 1989). Much of the extant empirical work utilizes
projective methodologies of body-image assessment (Fisher, 1989; Freyrag, 1977).
Transsexuals represent a fascinating group of patients to study in terms of body-image
transformation. Although much speculation exists regarding the etiological factors of
transsexualism (Hoenig, 1985), among professionals experienced in treating transsexualism
there is agreement regarding the current treatment of choice (Pauly & Edgerton, 1986). The
goal of the treatment process is the reduction of discrepancies between the patient's biological
sex and their subjective self-perception. This is accomplished by facilitating the patient's
progressive body-image transformation, which' 'initially requires "cross-dressing" in the
desired gender and taking on the social role of the gender of choice. In addition to crossdressing in all social situations and living completely in the desired gender, these patients
undergo hormone treatment to facilitate the masculinization or feminization process.
Only after patients have successfully traversed these initial treatment stages (cross-living
and hormone treatment) can they be candidates far surgical modifications. Surgical
intervention often begins with reduction of the breasts of biological females and breast
augmentation in biological males. Patients experience psychological satisfaction from these
surgeries, yet many still desire reconstructive genital surgery.
Lindgren and Pauly (1975), using the Lindgren-Pauly Body Image Scale, found that as
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patients progress through treatment, from the initial use of hormones followed by surgery,
there is a progressive increase in body-image satisfaction. Clinically, patients report some
positive change in body image when , they begin cross-dressing. As they undertake hormone
treatment, biological males reduce beard growth, experience testicular atrophy, and may
experience moderate breast development. Biological females may experience beard growth,
voice deepening, and cessation of menstruation. As these changes occur patients report
greater body-image satisfaction (Langman, Pruzinsky, Edgerton, & Nachbar, 1987). Thus,
properly treated transsexuals experience a progressive transformation of their bodies to match
their self-perceptions. However, different patients have different goals. Most patients do not
experience relief from their sense of body-image discrepancy until undergoing genital surgery.
Other patients do not psychologically require genital surgery; that is, some experience
sufficient psychological relief from cross-dressing and hormonal interventions alone. Still other
patients psychologically require hormonal treatment, genital surgeries, and multiple facial
surgeries to feminize or masculinize appearance. In one patient I assessed, after all of the
standard medical interventions had been successfully completed, surgical reduction of the
ankle and shin bones was relentlessly pursued by a biological male (who underwent surgery to
become female). The patient's goal was to achieve a "feminine" contour of the leg. This patient
was not satisfied until this change occurred.
It is important to note that these patients do not experience genital surgery (or any
medical intervention) as facilitating "gender reassignment." Rather, far the "true" transsexual
the medical-surgical interventions are experienced as "gender confirmation" -that is, having
the physical body "confirm" what has "always" been internally experienced.
Koro
A fascinating form of body-experience psychopathology is koro, an apparently rare syndrome
(Ang & Weller, 1984; Fishbain, Barsky & Goldberg, 1989; Mellor, 1988; Rubin, 1982; Yap,
1965) composed of the belief that the penis is retracting into the abdomen, leading to the
experience of intense anxiety and panic and the use of mechanical devises to prevent the
retraction of the penis into the abdomen. "The strength of the delusory belief determines the
degree of fear and panic, which in turn determines the vigour with which the remedies are
attempted, leading to various degrees of physical damage to the genitals" (Rubin, 1982). .
There is a strong cultural influence regarding the experience of koro (Yap, 1965). Most
victims are Chinese males (Rubin, 1982). There are very few reports of cases of koro in
Western cultures. The cultural impact most likely occurs because:
of the long tradition in Chinese culture of attaching great importance to the preservation of sexual function. . . .
Thus, guilt over excessive masturbation, unsatisfactory intercourse with one's wife, promiscuity . . . frequently
have been psychological precipitants of an acute koro attack. . . . Thus . . . hearsay information about koro, along
with pre-existing sexual fears and subjective sensations in the genitalia . . . leads to a vicious circle of the
delusion of genital shrinkage, attendant panic, and enhanced fears of a delusory nature, with even greater panic
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and crude attempts to prevent the disappearance of the penis. (Rubin, 1982)
Koro is described here to emphasize the critical interaction among cultural-social,
perceptual (i.e., proprioceptive), and intrapsychic-situational factors in the etiology of
psychopathology of body experience.
[T]he visual angle subtended by one's own penis on casual self-inspection is less than that of the view of another
man's genitals, which may be the basis of a general regard of one's own genital apparatus as smaller than
another's. Under normal circumstances this remains but a fleeting impression, being
counteracted by one's adequacy of sexual performance and competence in other areas of life. However, in men
with predisposing sexual conflicts or with . . . culturally determined beliefs, an otherwise innocuous phenomenon
such as the normal retraction of the penis after a bath or on a particularly cold day may serve to trigger the koro
fear of the penis completely shrinking into the abdomen . . . (Rubin, 1982)
Self-Mutilation
Self-mutilation is a symptom occurring in a range of psychiatric disorders (Walsh & Rosen,
1988). Because of their physical injuries, many self-mutilating patients are treated in the
general hospital setting (DeMuth, Strain, & Lomabardo Maher, 1983; Drinker, Knorr, &
Edgerton, 1972; Goldywn, Cahill, & Grunebaum, 1967; Phelps, Buchler, & Boswick, 1977).
Walsh and Rosen (1988) describe a study (Walsh, 1987), that found that "body alienation"
was the single-most important predictor of self-mutilation 'in adolescents. Body alienation
refers to the individuals' experience of "their bodies as somehow separate from their real
selves-as contaminated, alien and grotesque" (Walsh & Rosen, 1988, p. 74). Walsh (1987)
found that body alienation was related to childhood experiences of physical illness and/or
hospitalization, physical or sexual abuse, family violence and substance abuse, and parental
loss (through death, divorce, or foster home placement) (Walsh, 1987). Body alienation
resulted in a range of body-related problems, including eating disorders, a disregard far
physical appearance, sexual identity problems, distortions in the thoughts and feelings about
body size and shape, as well as higher incidence of physical illnesses (Walsh, 1987).
It is clear that self-mutilation was only one way in which these adolescents expressed their body alienation. For
most, there was a pervasive pattern of disrespect, discomfort and debasement of their physical selves. Selfmutilation was simply the most dramatic form of expression of body dissatisfaction. (Rosen & Walsh, 1988)
Self-mutilation is directly related to the belief that one deserves to be mutilated. "The
belief that self-injury is deserved derives from a broader condemnation of self. Self-mutilators
report that they loathe and hate themselves" (Walsh & Rosen, 1988, pp. 156-157). "
Especially common are derogatory thoughts about their bodies. . . . These mutilators have thoughts such as . . . :
"I hate my body. I'm so ugly. I'm so disgusting, I can't stand looking at myself in the mirror." These negative
thoughts about body image are critical since they establish the person's own body as repulsive and as a likely
target far abuse. When guilt or other emotions become intolerable, the mutilator has psychologically established
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his or her body as target far self-sacrifice.
In treating adolescents who are self-mutilators, Yalsh and Rosen (1985, 1988) utilize a
multimodal approach emphasizing body alienation. This approach attempts to facilitate the
patient's more adaptive and integrated bodily experience, including cognitive changes of the
self-statements and beliefs regarding body and self, as well as direct approaches to body care
(e.g., personal grooming, makeup, and the selection of clothes). This treatment regimen has
shown initial promise in the reduction of self-mutilative behaviour.
Another important component of the treatment of self-mutilation is the development of
social skills. The scarring that results from the self-mutilation further exacerbates these
patients' feelings of unacceptability and repulsiveness to others, leading to a decrease in social
interaction (Walsh & Rosen, 1988). In my own clinical work, I have evaluated patients seeking
plastic surgery far removal of the physical stigmata of self-mutilation, including the
replantation of amputated body parts. These patients are usually hesitant to discuss the cause
of their scars and experience a great deal of shame. However, they are willing to discuss their
motivations far surgery as part of their preoperative evaluation. In properly selected patients,
these surgical interventions greatly benefit the patient and facilitate positive body-image
change.
Other Dysfunctional Body Experiences
There are a number of other psychiatric disorders that can be considered within the realm of
body experience psychopathology. For example, conversion disorders "may be viewed as a
particular distortion of body image, and much attention has been given by psychoanalysts to
the symbolic values which may be ascribed to certain body parts and how these may become
the vehicle far the expression of psychopathology" (Lacey & Birtchnell, 1986, p. 628). Although
depersonalization is a very common psychological experience, which is considered by many to
be a body-image problem (Fisher, 1986; Mellor, 1988; Schilder, 1935), little research exists
relating body-image variables and depersonalization (Fisher, 1986). There are also the more
rare autoscopic phenomenon “in which a person visualizes a veritable hallucinatory image of
his double” (Grotstein, 1982), which Schilder (1935) described as the external projection of
body image (Grotstein, 1982). A range of body-image related problems are variants of selfmutilation,
including
Munehausen
syndrome
(Nadelson,
1986)
and
surgical
addiction
(Menninger, 1939; Wright, 1985). In this regard, it is interesting to note the relatively high
incidence
of
self-mutilation
in
patients
with
eating
disorders
(Garner,
Garfinkel,
&
O'Shaughnessy, 1982). Moreover, "Crisp (1977) reports that some anorexic patients,
especially the young, undergo laparotomy or appendectomy to correct an uneasy sense that
there is something wrong within the body" (Yates, Shisslak, Allender, & Wolman, 1988).
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PSYCHOPATHOLOGIES WITH A POSSIBLE
BODY-IMAGE COMPONENT
There are other psychiatric problems that are proposed to have an important, though not a
defining body-image component. Such syndromes include depression, sexual dysfunctions, and
schizophrenia.
Depression
The proposition that there is a relationship between depression and body-image disturbances
has drawn from many theoretical perspectives, including the cognitive (Noles, Cash, &
Winstead, 1985) and the psychodynamic (Peto, 1972). The relationship between depression
and body-image disturbance can range from the appearance-related concerns of patients with
general self-esteem problems (e.g., Teri, 1982) to patients who are so depressed that their
body-image disturbances are manifested in terms of hypochondriacal preoccupations, which
may reach the intensity of delusions concerning disease and decay" (Lacey & Birtchnell, 1986,
p. 628). Significant empirical documentation exists regarding the relationship between
depression and body-image problems (Fisher, 1986; Marsella, Shizuru, Brennan, & Kameoka,
1981; Noles et al., 1985; Taylor & Cooper, 1986; Teri, 1982; Thompson, 1990; Thompson &
Psaltis, 1988). It is clear from the available research that depressed individuals view their
appearance more negatively than non depressed individuals, despite the lack of objectively
evaluated differences in appearance (Noles et al., 1985). Furthermore, there is a relationship
between depression and requests for cosmetic surgery (Cash & Horton, 1983, 1990; Harris,
1982; Schlebuseh, 1989).
Currently, no empirical investigation has addressed the question of causation. Does the
experience of depression lead to increased negative perception of appearance or does the
negative evaluation of appearance lead to the depressive symptoms? Regardless of causal
direction, enough research and clinical evidence exists to warrant the routine evaluation of
body-image experiences in depressed patients in order to assess the salience and role of this
dimension vis-à-vis the patient's depression.
Sexual Dysfunction
Clear relationships exist among bodily experience, body image, and sexual functioning (Fisher,
1989). For example, the experience of sex guilt, the impact of parental attitudes toward bodily
processes and sexuality, and the manner in which one integrates the powerful emotional
experiences of sexual arousal are critical to body-image development (Fisher, 1989).
Furthermore, among physically traumatized persons, body-image variables influence
sexual experience. For example, it is not difficult to imagine that cancer affecting the sexual
organs (Derogatis, 1986; Pruzinsky, 1990; Vaeth, 1986), burns resulting in disfigurement
(Tudahl, Blades, & Munster, 1987), or spinal cord injury (Wilmutb, 1987) could negatively
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affect sexual functioning.
However, the effect of body-image variables on sexual functioning is not limited to the
dramatic and obvious impact of physical disability and disease (Fisher, 1989; Freedman,
1989). While there is little empirical research on the relationship between body-image
attitudes and sexual functioning, it is easy to imagine that if individuals are uncomfortable with
their bodily appearance then it would be difficult to enjoy sexual contact or be comfortable,
with sexual expression (Freedman, 1989; Hangen & Cash, 1990).
Citing empirical research documenting a positive relationship between the quality and
quantity of sexual experience and degree of body satisfaction (MacCorquodale & DeLamater,
1979), Cash (1985) states that "An aversion to one's own body parts or appearance. . . . or
the belief that the partner is repulsed by some aspect of one's body may heighten sexual
anxiety and avoidance" (p. 203). In DSM-III-R (American Psychiatric Association, 1987), these
problems are potentially classifiable under the rubric of "Sexual Disorders Not Otherwise
Specified," which include "marked feelings of inadequacy concerning body habitus, size and
shape of sex organs, sexual performance, or other traits related to self-imposed standards of
masculinity or femininity" (p. 296). or course, body-image concerns attenuate desire, promote
aversion and avoidance, or engender sexual anxiety and spectatoring that inhibit arousal or
orgasm (Hangen & Cash, 1990). If so, such difficulties may represent dysfunctions of sexual
desire, arousal, or orgasm.
In summary, there is clear rationale far assessing the sexually dysfunctional individual's
body experience and body image. Body-image problems can potentially interfere with any
phase of the sexual response cycle. Failure to address these issues in sex therapy could
decrease treatment efficacy.
Schizophrenia
Much theoretical speculation and clinical observation has focused on the role of body-image
disturbance in schizophrenia (e.g., Blatt & Wild, 1976; Lacey & Birthchnell, 1986; Schilder,
1935). Observations regarding schizophrenic body image disturbances were often made by
psychodynamic theorists (e.g., Rose, 1966; Woodbury, 1966), though many clinicians have
commented on this issue.
Leading psychopathologists . . . have described schizophrenic's deviant perceptions, feelings and beliefs concerning
their bodies. Every experienced clinician has encountered schizophrenics who report delusions of rotting organs or
changed sex, or perceptions of alterations in the size and shape of their bodies, or feelings of unreality of the body,
of the merging of the body with external objects, and of the body not being one's own. These experience have come
to be described as disturbances of body image. (Chapman, Chapman, & Raulin, 1978)
Despite the widespread description of body-image deviations in schizophrenia, Fisher (1986),
after a thorough review of the literature "unequivocally" concludes:
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
there is no solid evidence that adult schizophrenics experience their bodies in any unique fashion or that they suffer
from some extraordinary "body image deficit." Why empirical studies fail to verify the flamboyant body image dramas
that abound in the many clinical vignettes about schizophrenics remains a mystery. (Fisher, 1986)
SUMMARY AND CONCLUSIONS
This chapter has reviewed a range of psychopathologies focusing on bodily experience. Mental
health professionals have experience treating some of these disorders (e.g., hypochondria,
self-mutilation, depression, and sexual dysfunction), though there has not been adequate
attention paid to their body-image components. Patients with body dysmorphic disorder,
somatic delusions, and transsexualism, however, are not in the usual bailiwick of most mental
health professionals. These individuals seek out dentists (Marbach, 1978), dermatologists
(Cotterill, 1981; Gould & Gragg, 1976; 1983; Van Moffaert, 1974, 1982, 1986), internists, and
primary care physicians (Barsky & Klerman, 1983), as well as plastic surgeons (Pruzinsky,
1988; Pruzinsky & Persing, in press). Given the ego-syntonic nature of their body-image
complaints, these patients are very resistant to psychological treatment. Therefore, mental
health professionals have had contact with only a small proportion of the total patient
population (Barsky & Klerman, 1983). This lack of experience has resulted in a paucity of
research regarding the body-image components of these disorders. However, learning more
about these disorders can teach us a great deal about body image.
Some of the disorders described in this chapter are rare (e.g., koro). However, many of the
disorders are quite common (e.g., hypochondriasis). Additionally, some of these symptoms are
common to many other forms of psychopathology (e. g., self-mutilation). Furthermore,
patients with BDD and somatic delusions are more common than preV1ously thought (AP A,
1987; Franees & Munro, 1989; Munro, 1988).
Individuals with these disorders experience much psychological suffering. Even brief
contact with individuals with hypochondria, body dysmorphic disorder, somatic delusions, or
transsexualism reveals the profound impact of these disorders on the individual's quality of life
(Edgerton et al., 1990; Pruzinsky & Persing, in press). For many of these patients, life is put
"on hold" until a "cure" is found far their problems. These patients go from physician to
physician, often travelling many miles at great monetary expense and disruption to their lives.
In view of such suffering, we must learn more about these patients in order to 'develop
effective interventions for them. Effective treatments already exist far some of these disorders.
For example, far patients with somatic delusions, Pimozide holds hope far approximate1y 80%
of treatment compliant patients (Franees & Munro, 1989). Currently, however, our treatment
goals are limited to relieving the symptomatic distress and disability resulting from these disorders. That is, it appears that far patients with overvalued ideas and somatic delusions, the
realistic therapeutic goal is symptom reduction, not symptom eradication. Munro (1988) has
noted that most of the MHP patients retain their delusional beliefs despite drastic symptom
reduction-a finding consistent with what we know about delusions (Oltmanns & Maher, 1988),
about individuals with eating disorders, and about the more seriously disturbed patients
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
treated by plastic surgeons. These patients are able to find some relief, but retain residual
sensitivity regarding their bodily experience (Frances & Munro, 1989).
In order to capitalize on what these patients have to teach us about body image and to
maximize our treatment effectiveness, we (as mental health professionals) need to go to the
patients by establishing collaborative relationships with the health professionals most likely to
see these patients. Models far these inter-professional relationships already exist in plastic
surgery (Pruzinsky, 1988, 1990; Pruzinsky, Edgerton, & Barth, in press), oral surgery,
(Buffone, 1989), and dermatology (Gould & Gragg, 1983; Van Moffaert, 1974, 1982, 1986).
These health professionals often will welcome our contributions. Our continuing education of
these professionals allows form more frequent and precise identification of patients who can
benefit from psychological treatment.
For the mental health professional willing to venture from the familiar territory of the
mental health clinic, these collaborations hold the promise of a great education about bodyimage psychopathology and body experience in general. These unique treatment contexts
(e.g., the dermatologist's office) provide opportunities far in vivo study of body-experience
psychopathological processes not available elsewhere.
In
conclusion,
it
is
clear
that
despite
the
compilation
of
known
body-image
psychopathologies, no current synthesis of these currently exists (Fisher, 1986; Sims, 1988).
Such a synthesis must take into account contemporary knowledge regarding the neurological
and psychophysiological aspects of body image, along with the sociocultural, psychodynamic,
and phenomenological characteristics of these disorders (Schilder, 1935). I agree with Sims
(1988) that "unification of the concepts used to describe body image disorders is not possible"
(Sims, 1988) -at least given our present understanding of these variables.
The best we can presently do is to ensure that our description of body-image problems is
as comprehensive as possible. Too narrow a focus just on eating disorders and just on physical
appearance in defining the study of body image psychopathology is limiting. Our knowledge
will be vastly increased by taking a more expanded perspective on the relationship between
body experience and psychopathology.
A. Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2005-2006
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