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3 - Comune di Sant`Antimo

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3 - Comune di Sant`Antimo
Maggio 2012
Pag. 3
2 Giugno festa della Repubblica
Il 2 giugno è la Festa della Repubblica Italiana. In
questa data si ricorda il referendum istituzionale
indetto a suffragio
universale del 2 e 3
giugno 1946 con il
quale gli italiani venivano chiamati alle
urne per esprimersi
su quale forma di
governo, monarchia
o repubblica, dare al
Paese, in seguito alla caduta del fascismo.
Dopo 85 anni di regno, con 12.717.923 voti contro
10.719.284 l’Italia diventava Repubblica e i monarchi di casa Savoia venivano esiliati.
Il 31 gennaio 1948, viene scelto dall’ Assemblea
costituente l’emblema della Repubblica dopo due
anni di ricerca creativa, dopo aver istituito due bandi di concorso e dopo aver visionato 800 bozzetti
presentati da 500 cittadini, tra artisti e dilettanti.
L’emblema della Repubblica è caratterizzato da tre
elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di
quercia. Tali elementi rappresentano i valori su cui si
fonda la Repubblica: “L’ulivo è il simbolo di pace; la
quercia, di vigore; la ruota, di lavoro e di progresso”.
Il 2 giugno è l’unica festa nazionale d’Italia. Nel 1977,
soprattutto a causa della congiuntura economica
sfavorevole, la Festa della Repubblica fu spostata
alla prima domenica di giugno. Con la legge n. 336
del 20 novembre 2000, l’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il secondo governo
Amato, riporta le celebrazioni al 2 giugno, che quindi torna ad essere un giorno festivo.
In tutto il mondo le ambasciate italiane tengono
un festeggiamento cui sono invitati i Capi di Stato
del Paese ospitante. Da tutto il mondo arrivano al
nostro Presidente della Repubblica gli auguri degli
altri capi di Stato e vengono organizzate in Italia
speciali cerimonie ufficiali. Tra queste la deposizione di una corona d’alloro al Milite Ignoto presso
l’Altare della Patria a Roma e una parata militare alla
presenza delle più alte cariche dello Stato.
Alla parata militare e durante la deposizione della
corona d’alloro presso il Milite Ignoto, prendono
parte tutte le Forze Armate della Repubblica. Prendono inoltre parte alla parata militare alcune delegazioni militari della NATO e dell’Unione Europea.
La cerimonia prosegue nel pomeriggio con l’apertura al pubblico dei giardini del palazzo del Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica Italiana,
con esecuzioni musicali da parte dei complessi
bandistici di tutte le Forze Armate.
Rachele Verde
Lingua & Identità 5
Il linguaggio dell’opera lirica
L’opera
lirica ha contribuito a unificare
gli Italiani col suo specifico linguaggio. Nel Settecento conosce una grande fortuna in tutta Europa,
particolarmente in Francia, nei paesi germanici, in
Inghilterra. Alla fama che l’italiano ha acquisito di
lingua più di ogni altra adatta all’unione con la musica hanno contribuito alcune sue caratteristiche
strutturali: foneticamente possiede una perfetta distribuzione di vocali e consonanti, sintatticamente
ha una certa libertà di collocazione delle parole. La
genesi dell’opera si ralizza in due modi: con l’opera fiorentina ( frutto di collaborazione raffinata tra
musicista e poeta) e l’opera veneziana (destinata
ad imporsi). L’opera fiorentina aveva carattere omogeneo e raffinato caratterizzato da una precisa ed
elegante unità stilistica; quella veneziana, di natura
composita ma senza ornamento che potesse appesantire la chiarezza del testo, era caratterizza ta
da pluristilismo, compresenza di diversi registri ed
adesione al codice poetico barocco. La vera svolta
nell’opera del ‘700 fu la divaricazione fra “opera seria”e“opera comica”: la prima ha una forma lineare,
uniforme elevatezza ed un lessico ricco di poetismi,
arcaismi, latinismi e costrutti nobilitanti, mentre
la seconda (che si divide in “buffa napoletana” in
dialetto e “comica veneziana” in italiano) risulta ca-
ratterizzata da onomatopee, bisticci, giochi di parole, clichés, inserti plurilingui e lessico espressivo.
Nell’Ottocento il testo è scritto in funzione di un’unica intonazione musicale ed è strettamente legato
a questa secondo la volontà del compositore, che
spesso sceglie il soggetto, il poeta a cui affidarlo, e
instaura con lui una collaborazione che il più delle
volte lo vede arbitro delle scelte, anche stilisticolinguistiche. Il libretto ottocentesco, dunque, più
che essere un prodotto della creatività e della perizia del poeta, risponde alle necesità della musica,
nasce e si forma in funzione di essa. Il ruolo centrale
della musica nello spettacolo è in rapporto con la
sua forza di attenzione. Il pubblico del melodramma, generalmente considerata l’arte più popolare
dell’Ottocento, si amplia rispetto al secolo precedente, comprendendo anche borghesi (soprattutto commercianti e professioibisti) e i livelli più alti
della servitù nobiliare, che occupavano il loggione
e parte della platea, ma certo non il popolo minuto,
imposibiliato a pagare il biglietto. Gli strati sociali
più bassi, nella città e nella campagne, fruivano del
melodramma in modi diversi, al di fuori dei teatri:
ben documentata è infatti la diffusione di motivi
tematici e musicali dell’opera in canali alternativi e
talora veramente popolari, come la banda, i suonatori ambulanti, il teatro delle marionette, il teatro di
stalla e altri. In questo specifico successo dell’opera
si deve immaginare la funzione di amalgama per la
lingua: accanto al motivetto musicale per le strade
italiane si canticchiava l’opera. Le parole de Il barbiere di Siviglia (1816) di Rossini, della Norma (1831) di
Bellini, dell’Aida (1872) di Verdi, de I pagliacci (1892)
di Leoncavallo e della Tosca (1900) di Puccini dai
teatri erano replicate dalle persone dal sarto o dal
fornaio da prima dell’unità d’Italia fino ad oggi
Antimo Verde
La lettera scarlatta di Hawthorne
La fantasia è sicuramente una buona carta di
presentazione per uno scrittore e, se all’arte della
scrittura si aggiunge un pizzico di mistero, gli ingredienti per un successo sembrano esserci tutti.
Nathaniel Hawthorne non ha solo il giorno e il
mese della data di nascita di particolare, il 4 luglio
del 1804, ma anche il luogo: la famosa Salem. Se
vivendone lontano, Salem è pur sempre “rimasta
nel sangue” dello scrittore, il mistero che ha sempre avvolto il luogo natio
non poteva essere trascurato in quello che è stato
considerato il capolavoro di
Hawthorne: La lettera scarlatta, del 1850. Da misteriosi
documenti, avvolti in una
pergamena come dono del
sorvegliante della dogana,
Nathaniel Hawthorne, tra
mito e tradizione, leggende e storie tramandate, fa
derivare, con ricchezza di
particolari, la storia di una
giovane e bella adultera, Hester Prynne, vissuta nella puritana Bristol del XVIII secolo.
Legata ad una promessa, la giovane donna deve
mantenere un segreto per sette anni, durante i
quali è costretta a portare un marchio, una A scarlatta ricamata sul petto. Ma il frutto del suo peccato,
la misteriosa figlia Pearl, sarà la ragione per andare
avanti e aiuterà Hester Prynne a superare le dicerie,
gli occhi sempre attenti, i pregiudizi dei cittadini di
Boston. Da qui una riflessione che supererà ancora
tanti secoli: oltre ai fardelli interiori e ai rimorsi per
gli incancellabili errori, c’è sempre lo zampino di
qualcun altro a rendere tutto più pesante. Spesso
intorno a noi ci sono persone che si sentono marcate a vita e solo guardandosi allo specchio o vedendo gli indici indirizzarsi contro notano dov’è la
loro “colpa”: il pregiudizio innato negli altri non ha
bisogno di vedere lettere stampate addosso per
esprimersi. Lezione questa di Nathaniel Hawthorne che non può scappare ad alcun lettore, insieme
alla massima del romanzo: “la verità prima o poi
verrà svelata”. A rendere chiara tale massima è la
figura del reverendo Arthur
Dimmesdale. Nella puritana
Boston, una dichiarazione
sul palco della gogna fatta
da un uomo di chiesa su una
debolezza passata avrà sicuramente colpito allo stomaco la prima stampa del romanzo. Così, il “tormentato
artefice del puritanesimo” in
un’ opera colta e ben scritta,
con una prosa molto accattivante per 210 pagine, riesce
ad essere intenso in una narrazione davvero originale…
peccato che la prima traduzione in italiano dell’opera
sia stata fatta solo cento anni dopo. Adesso l’immaginazione passa al lettore per trovare significati
nel plurisemico linguaggio di Hawthorne, l’artefice
delle allegorie del cuore, e…chissà se, tra i tanti,
qualche lettore si abbandonerà alle confidenze
dell’autore: “come se il libro lanciato per il mondo
dovesse trovare senz’altro l’anima gemella di chi lo
scrisse e compiere il suo ciclo di vita con la perfetta
comunione di questa con l’anima dello scrittore”…
Buona lettura!
Antimo Verde
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