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ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL` ANTICO

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ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL` ANTICO
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
indice
→ Comunicato stampa
→ Informazioni tecniche
→ Colophon
→ Testi istituzionali
→ Saggi dal catalogo:
→
Carlo Sisi
Fra Babilonia e Pompei.
Teoria e immaginazione dell’antico.
→
Eugenia Querci
Nostalgia dell’antico.
Alma-Tadema e l’arte neopompeiana in Italia.
→
Nadia Murolo
Materiali archeologici nei quadri
di Alma-Tadema: alcune considerazioni.
→ Biografia Alma Tadema
→ Sezioni della mostra
→ Elenco delle opere in mostra
→ Scheda catalogo
→
→ Scheda Compagnia di San Paolo
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
comunicato stampa
Alma-Tadema
e la nostalgia dell’antico
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008
→
Le suggestive scoperte archeologiche di Pompei e dell’area vesuviana,
oggetto di scavi approfonditi nel corso dell’Ottocento, hanno esercitato un
influsso fortissimo sull’immaginario di pittori e scrittori nel corso del secolo, restituendo un’immagine vivida e straordinariamente presente del
mondo antico, con la sua realtà sociale, politica, quotidiana e artistica.
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico è la mostra promossa dalla
Regione Campania nell’ambito della rassegna “Eventi in Campania 2007”
e dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della
Campania con il sostegno della Compagnia di San Paolo, curata da
Stefano De Caro, Eugenia Querci, Carlo Sisi.
L’esposizione traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della
pittura neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto
internazionale e ponendola a colloquio con le opere del principale e più
riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese
d’adozione, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I quattordici “quadrimuseo” dell’artista rappresentano una straordinaria rinascita del mondo
romano (e in parte minore, greco), con tutto il corredo di antiche suppellettili, abiti raffinati, ambienti impreziositi da marmi e tripudi di fiori. Con
tecnica raffinata e disegno meticoloso, egli evoca il sogno di un mondo
popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità delle
rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e rende struggente e reale la nostalgia dell’antico. Grazie alla profonda conoscenza
archeologica e letteraria dell’antichità classica, egli riesce a far rivivere, in
una chiave finemente estetizzante, un mondo ormai perduto, dove le
scene del quotidiano assumono le sfumature del mito.
Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti provenienti da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti
d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di
artisti italiani e stranieri (sessanta opere in mostra) che si accostano al
genere neopompeiano. La loro pittura è destinata ad un ceto alto borghese
che ama riconoscersi, nobilitando così i propri vizi e virtù, nei riti e nei
costumi di una società ormai remota ma anche riproposta nel presente grazie ai reperti archeologici le cui scoperte erano largamente pubblicizzate.
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ALMA
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DELL’
ANTICO
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Il Museo archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti
degli artisti italiani e di Alma-Tadema.
Una selezione di tali materiali (una cinquantina di reperti archeologici) provenienti dagli scavi vesuviani (statue, tripodi, candelabri, affreschi) sarà presentata in mostra, spesso a confronto con i dipinti che ne hanno tratto ispirazione. Tra le opere archeologiche alcuni arredi pompeiani, soprattutto
bronzi e argenti, vengono esposti per la prima volta dopo essere stati sottoposti a dedicati interventi di restauro.
Il percorso della mostra, che dedica ampio spazio alla scuola italiana
(Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli, D’Orsi, Netti,
Bargellini), prende le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici (gli scavi di Pompei, gli interni delle case, le scavatrici al lavoro, i turisti in visita), interpretati in chiave verista o più sottilmente evocativa, per
poi passare, attraverso un salto temporale e logico, alla materiale rievocazione di quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai
loro abitanti.
L’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana mostra al visitatore il ridestarsi delle antiche botteghe, la vita di padroni e clientes, le
scene d’intimità femminile, i rituali religiosi, gli intrattenimenti gladiatorii,
la vita alle terme: temi interpretati dai diversi artisti secondo una visione
sempre peculiare. Si passa poi alle scene legate alla vita di personaggi
storici e alla storia pubblica, per poi arrivare al cuore della mostra: una
selezione di opere di Alma-Tadema, provenienti da importanti collezioni
internazionali, pubbliche e private, dialoga con i materiali archeologici
vesuviani che più hanno agito sull’immaginazione dell’artista.
Completa il percorso espositivo una scelta di documenti e di oggetti
d’arte decorativa del XIX secolo (tavoli, ceramiche), anch’essa ispirata
alle scoperte archeologiche e alla rievocazione dell’antico.
Il catalogo della mostra è edito dalla casa editrice Electa.
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→
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STALGIA
DELL’
ANTICO
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informazioni tecniche
Titolo
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico
Sede
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Periodo
19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008
Enti promotori
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Campania
Direzione Regionale per i Beni Culturali
e Paesaggistici della Campania
Soprintendenza per i Beni Archeologici
di Napoli e Caserta
Soprintendenza archeologica di Pompei
con il sostegno della Compagnia di San Paolo
Curatori della mostra
Stefano De Caro
Eugenia Querci
Carlo Sisi
Organizzazione
e comunicazione
Electa
con la collaborazione di Civita
Allestimento
Corrado Anselmi, Milano
Progetto grafico
Tassinari/Vetta
Sponsor tecnici
In Più Broker, Arterìa
Catalogo
Electa
Orari
Dalle 9 alle 19.30. Chiuso martedì
Tariffe
la mostra è inserita nel circuito
Campania Artecard
Prenotazione obbligatoria
per gruppi, scuole e visite didattiche
tel. 848800288 /+ 39 081 4422149
Sito internet
www.archeona.arti.beniculturali.it
www.electaweb.com
Ufficio Stampa
Electa
Enrica Steffenini
tel. +39 02 21563433
[email protected]
Carolina Perreca
tel. +39 081 4297435
[email protected]
Soprintendenza archeologica di Pompei
Francesca De Lucia e Raffaella Levèque
tel. +39 081 2486112
[email protected]
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STALGIA
DELL’
ANTICO
colophon
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico
19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008
Enti promotori
Ministero per i Beni e
le Attività Culturali
Regione Campania,
Assessorato al Turismo
e ai Beni Culturali
Direzione regionale per
i Beni Culturali e
Paesaggistici della
Campania
Soprintendenza per i
Beni Archeologici delle
Province di Napoli
e Caserta
Asse II, misura 2.1
POR Campania 20002006, Iniziative turistiche di rilevanza nazionale ed internazionale
per l’annualità 2007
“Eventi in Campania”
Staff organizzativo
regionale
Ilva Pizzorno,
Alessandro Porzio,
Nadia Murolo,
Gennaro Carotenuto,
Antonio Ciampaglia,
Antonio Ranauro,
Rosalba Iodice
con il sostegno della
Soprintendenza
Archeologica di
Pompei
La mostra è stata
promossa da
Comitato promotore
On. Francesco Rutelli
Ministro per i Beni e le
Attività Culturali
On. Antonio Bassolino
Presidente della
Regione Campania
On. Marco Di Lello
Assessore al Turismo e
ai Beni Culturali della
Regione Campania
Progetto co-finanziato
dall’Unione Europea
Stefano De Caro
Direttore Generale per
i Beni Archeologici
→
Vittoria Garibaldi
Direttore Regionale per
i Beni Culturali e
Paesaggistici della
Campania
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Maria Luisa Nava
Soprintendente per i
Beni Archeologici
delle Province di
Napoli e Caserta
Pietro Giovanni Guzzo
Soprintendente
Archeologo di Pompei
Curatori della mostra
Stefano De Caro
Eugenia Querci
Carlo Sisi
Comitato scientifico
Rosemary Barrow,
Gianluca Berardi,
Enrico Colle,
Luisa Martorelli, Eric
M. Moormann,
Nadia Murolo,
Giuseppe Pucci,
Eugenia Querci,
Carlo Sisi
Comitato di
coordinamento
Maria Luisa Nava
Maria Rosaria Borriello
Luisa Melillo
Collaborazioni
scientifiche
Teresa Giove
Marinella Lista
Paola Rubino
Coordinamento
per la sicurezza
Angelo Maisto
Antonio Coppola
Segreteria tecnica
Lisa Rapone
Segreteria
Vincenza Chianese,
Patrizia Cilenti
→
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Enti prestatori
Accademia di Belle Arti
“Pietro Vannucci”,
Perugia
Biblioteca Nazionale
“Vittorio Emanuele III”,
Napoli
Bloomsbury Auction,
Roma
Cecil Higgins Art
Gallery, Bedford
Civico Museo Revoltella
Galleria d’Arte Moderna,
Trieste
Collezione Pérez Simón,
Città del Messico
Comune di Capua
Dahesh Museum of Art,
New York
Galleria Vittoria
Colonna, Napoli
Galleria d’Arte
Ferdinando Donzelli,
Firenze
Galleria d’Arte Moderna,
Milano
Gallerie d’Arte Moderna
e Contemporanea di
Ferrara
Hamburger Kunsthalle
Hood Museum of Art,
Dartmouth College,
Hanover
Indiana University Art
Museum, Bloomington
Musée d’Orsay, Parigi
Musei Civici di Asti
Museo Civico di Castel
Nuovo, Napoli
Museo Correale di
Terranova, Sorrento
Museo Civico d’Arte,
Modena
Museo della Tarsia
Lignea, Sorrento
Museu Nacional d’Art
de Catalunya, Barcellona
Phoenix Art Museum
Philadelphia Museum
of Art
Provincia di Napoli
Royal Academy of Arts,
Londra
Intesa San Paolo Sistema Museale
Provinciale di Foggia
Soprintendenza alla
Galleria Nazionale
d’Arte Moderna e
Contemporanea di
Roma
Soprintendenza
Archeologica di Pompei
Soprintendenza per il
patrimonio storico
artistico e
demoetnoantropologico
per le Province di
Milano Bergamo Como
Lecco Lodi Pavia
Sondrio Varese
Soprintendenza Speciale
per il Polo Museale
Fiorentino
Soprintendenza Speciale
per il Polo Museale
Napoletano
Sovraintendenza ai Beni
Culturali del Comune di
Roma
Testi e schede di
Rosemary Barrow (RB)
Gianluca Berardi
Enrico Colle (EC)
Anna Maria Damigella
(AMD)
Graziella Fotìa (GF)
Alba Irollo (AI)
Elena Lazzarini (EL)
Luisa Martorelli (LM)
Maria Benedetta
Matucci (MBM)
Andrea Milanese
Eric M. Moormann
Mariaserena Mormone
(MM)
Nadia Murolo
Claudia Palazzolo
Olivares (CPO)
Francesco Picca (FP)
Patrizia Piscitello (PP)
Giuseppe Pucci
Eugenia Querci (EQ)
Teresa Sacchi Lodispoto
(TSL)
Carlo Sisi
Sabrina Spinazzè (SS)
Le didascalie dei
materiali archeologici
sono di Tiziana Rocco.
Le schede
contrassegnate
dall’asterisco * sono
relative a opere non in
mostra.
Tutte le opere di AlmaTadema in catalogo
sono identificate in
base all’Opus Number
assegnato dall’artista e
pubblicato nel catalogo
generale della sua opera
(Swanson 1990).
Il prestito del dipinto di
Lawrence
Alma-Tadema Un
altarino,1883,
acquerello, cm 34,7 x
17,3, Cecil Higgins Art
Gallery, Bedford, è stato
concesso a catalogo
ormai chiuso.
L’opera è pertanto
presente in mostra, ma
non riprodotta in
catalogo.
Organizzazione e
comunicazione
Coordinamento
tecnico-organizzativo
Tiziana Rocco
Collaborazione
all’organizzazione
Luigi Mammoccio
Ufficio stampa
Ilaria Maggi ed Enrica
Steffenini, Electa
Francesca De Lucia
e Raffaella Levêque,
Soprintendenza
Archeologica di Pompei
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Exhibit design e
coordinamento
generale
Corrado Anselmi
Realizzazione
dell’allestimento
Meloni Fabrizio srl
con Enrico Vandeli
Progetto della grafica
in mostra
Tassinari/Vetta
Apparato didascalico
Eugenia Querci
Tiziana Rocco
Trasporti
Sponsor tecnico
Assicurazioni
Axa Art D’Ippolito C. &
Lorenzano R. sas
Axa Service
Assicurazioni,
Scandicci
Progress Insurance
Broker srl
Broker ufficiale della
Manifestazione
e sponsor tecnico:
→
Coperture Assicurative
INA Assitalia Spa
Axa Arte
Lloyd's
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Restauri
Laboratorio di restauro
della Soprintendenza
per i Beni Archeologici
delle Province di
Napoli e Caserta
Laboratorio di restauro
della Soprintendenza
per il Polo Museale
Napoletano
Studio di
Conservazione e
Restauro d’Opere
d’Arte di Federico
Tempesta, Firenze
Si ringraziano
vivamente tutti gli enti
prestatori,
i collezionisti che
hanno preferito
rimanere anonimi e
tutti coloro che, a vario
titolo, hanno
contribuito allo
sviluppo e alla buona
riuscita
del progetto espositivo
Ana Ara
Antiche Gallerie d’Arte
“ Il Magnifico”, Firenze
Archivio
dell’Ottocento romano
Maria Teresa Benedetti
Laura Benini
Giorgio Bompiani
Mirco Bonfiglioli
Rosario Caputo
Angela Cipriani
Gianluca Confessore
Giancarlo Cosenza
Sofia Crifò
Elena Di Majo
Mercé Doñate
Laura Feliciotti
Ivo Ferraguti
Sandro Fiorentino
Dalma Frascarelli
Luisa Fucito
Manuel García Guatas
Giuliana Gargiulo
Michele Gargiulo
Giovanna Giusti
Riccardo Helg
Vittoria Kienerk
Matteo Lafranconi
Claudia La Malfa
Lola Landa
Maria Paola Maino
Aide Maltagliati
Bruno Mantura
Sonia Marcelli
Anna Maria Marmo
Jerzy Miziolek
Alida Moltedo
Giorgia Montesano
Maurizio Morragreco
Emanuele Natangelo
Eleonora Nunziante
Charles O’Brien
Alberto Olivetti
Anna Querci
Sandra Romito
Krystyna Sadowska
Gaetano Sarnelli
Michela Sartorio
Antonella Sbrilli
Annalisa Scarpa
Angelo Terruzzi
Javier Barón
Thaidigsmann
Anna Maria Troili
Dominika
Wronikowska
Marisa Volpi
Un ringraziamento
particolare
a Juan Antonio Pérez
Simón per la generosa
e fondamentale
collaborazione.
ALMA
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DELL’
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testi istituzionali
Saluto con grande interesse e soddisfazione questo importante evento
espositivo. Ancora una volta, dopo il ciclo di mostre “Un Anno al Museo”,
assistiamo a un evento culturale di ampio respiro al Museo Archeologico
Nazionale di Napoli, frutto di un’intensa collaborazione tra le due
Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei,
sotto l’egida della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici
della Campania e in sinergia con l’Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali
della Regione Campania, che lo ha inserito nella rassegna “Eventi in
Campania 2007”.
Iniziative come la mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico assecondano e favoriscono un processo, ormai avviato nella città campana, di
riappropriazione del proprio primato intellettuale e culturale; un processo
che questo governo intende favorire e determinare tramite scelte e atti
concreti. L’originalità e il taglio internazionale dato al progetto, così come
l’aspetto interdisciplinare che lo contraddistingue, sapranno incontrare il
favore di un pubblico ampio e diversificato, che potrà ammirare, in un’unica irripetibile occasione, opere pittoriche e scultoree provenienti da tutta
Italia e dall’estero, ma anche reperti archeologici custoditi da una sede
prestigiosa come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La mostra affronta il tema della pittura neopompeiana e del suo più noto
rappresentante, Sir Lawrence Alma-Tadema. Si tratta di un’importante
operazione culturale e di una preziosa risorsa turistica per Napoli e il territorio campano, luoghi che ancora oggi, come allora nei dipinti di AlmaTadema, costituiscono un cuore vitale, plurimillenario, delle culture mediterranee. Auguro il più grande successo di pubblico ed esprimo l’apprezzamento e le più vive congratulazioni del Ministero.
→
Francesco Rutelli
Vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attività Culturali
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DELL’
ANTICO
I siti archeologici di Pompei ed Ercolano, fin dai primi ritrovamenti risalenti a oltre due secoli fa, sono stati fonte d’ispirazione e materia di elaborazione per il movimento artistico e intellettuale europeo. In particolare,
l’Ottocento reca tracce indelebili delle molteplici e complesse suggestioni che questo scorcio di Campania ha saputo regalare al talento e all’opera di numerosi artisti. È per questo motivo che la Regione Campania, nell’ambito della rassegna “Eventi in Campania 2007”, in collaborazione con
la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, ha voluto dedicare una mostra ai capolavori di Lawrence Alma-Tadema, un autentico
punto di riferimento di tutta la pittura neopompeiana. I “quadri-museo”
dell’artista anglo-olandese, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il
Novecento, propongono la rievocazione del vissuto quotidiano di venti
secoli fa in una combinazione tra sogno, mito e realtà. La mostra è arricchita dalle opere di altri importanti autori della scuola italiana della pittura neopompeiana (Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli,
D’Orsi, Netti, Bargellini) oltre che dai numerosi reperti depositati al Museo
Archeologico Nazionale di Napoli. Ogni opera moderna viene, infatti,
affiancata dal ritrovamento antico da cui ha tratto ispirazione, andando
così a ricostruire il percorso di rielaborazione artistica compiuto dall’autore. Si tratta di un’idea assolutamente originale poiché ricrea le condizioni
stesse entro le quali l’opera è nata.
Questa mostra, d’altro canto, è l’ulteriore dimostrazione di quanto ampio,
ricco e importante sia il patrimonio artistico e culturale della Campania.
Attraverso iniziative ed eventi come questo, stiamo lavorando affinché
esso diventi sempre di più il nostro valore aggiunto per creare sviluppo,
valorizzando il meglio dei nostri territori. Ci sono, infatti, tutte le condizioni per far diventare questa regione un punto di riferimento mediterraneo
nel panorama dell’evoluzione dei gusti e delle tendenze artistiche. Su questa strada continueremo a impegnarci in un rapporto di collaborazione
con le altre istituzioni e con tutti coloro che sono impegnati nel mondo
della cultura e dell’arte.
→
Antonio Bassolino
Presidente della Regione Campania
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DELL’
ANTICO
La mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico non poteva non essere
ospitata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e quindi sostenuta
dall’Assessorato Regionale al Turismo e ai Beni Culturali della Regione, che
da anni è impegnato nella valorizzazione del patrimonio archeologico e
monumentale in sinergia con le altre Istituzioni: la Campania è il punto
d’incontro della cultura che la mostra vuole raccontare. Dal 2000 numerose le mostre realizzate per la promozione turistica della regione. Così, da
poco conclusa Ambre. Trasparenze dall’antico, che ha ottenuto l’apprezzamento del pubblico, si apre un’altra significativa esposizione, in cartellone
per cinque mesi, per ricordare come le suggestive scoperte archeologiche
di Pompei e dell’area vesuviana, oggetto di scavi approfonditi nel corso
dell’Ottocento, abbiano esercitato un influsso fortissimo sull’immaginario
di pittori e scrittori nel corso del secolo, restituendo un’immagine vivida e
straordinariamente presente del mondo antico.
Esperienze antiche, di enorme importanza culturale, sospinte sia da interesse propriamente scientifico sia da impulsi più vicini al collezionismo.
Alma-Tadema propone la rinascita del mondo antico, soprattutto romano,
con una tecnica raffinata. Quasi paradossalmente la “nostalgia dell’antico”
viene in Alma-Tadema interpretata in chiave “verista”, coerentemente con
quanto avviene in altri autori che, con soggetti diversi, si aprono a una cultura romantica. L’artista di origine olandese ricerca invece il mito nel quotidiano, facendo rivivere l’antico in una chiave finemente estetizzante.
E far rivivere l’antico può servire ai contemporanei a realizzare iniziative
culturali idonee a potenziare l’offerta artistica perché, come abbiamo più
volte sottolineato, in Campania l’arte conta, e con eventi come AlmaTadema e la nostalgia dell’antico conta ogni anno sempre di più.
→
Marco Di Lello
Assessore al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania
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→
ALMA
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STALGIA
DELL’
ANTICO
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Al valore culturale, all’interesse storico-artistico e al fascino che proverà il
visitatore di questa mostra si unisce un motivo di grande soddisfazione
per la Direzione Regionale ai Beni Culturali e Paesaggistici della Campania.
L’esposizione nasce infatti da un progetto congiunto con le due
Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei,
che l’hanno fortemente voluta e si sono impegnate per realizzarla. Grande
riconoscenza va alla Regione Campania che, nel consolidato quadro della
collaborazione con questa Direzione, ha incluso la mostra nei suoi programmi di valorizzazione e fruizione turistica “Eventi in Campania 2007”,
consentendone la realizzazione, cui ha contribuito anche la Compagnia di
San Paolo con la sua consueta generosità, già mostrata per precedenti
mostre al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A tutti va il mio ringraziamento per il lavoro di sinergia che fin qui si è svolto.
L’esposizione che si presenta ha come obiettivo quello di ricostruire il quadro iconografico della ricezione dell’antichità classica nel corso del secondo Ottocento: a partire dal caposcuola Alma-Tadema, attraverso il ricco
filone italiano.
L’argomento è affrontato nelle sue diverse sfaccettature interpretative,
dando perciò spazio anche alla pittura di storia, ispirata dalle evidenze
documentarie e archeologiche del mondo classico, ma anche ai dipinti e
alle rilevazioni eseguite dal vero nei siti archeologici di maggior rilievo da
artisti, architetti e disegnatori professionisti.
Il cuore della mostra è rappresentato da una selezione di opere di AlmaTadema che, con tecnica raffinata e disegno meticoloso, evoca il sogno di
un mondo popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità delle rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e
rende struggente e reale la nostalgia dell’antico.
Grazie alla profonda conoscenza archeologica e letteraria dell’antichità
classica, egli riesce a far rivivere, in una chiave finemente estetizzante, un
mondo ormai perduto, dove le scene del quotidiano assumono le sfumature del mito.
Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti
provenienti da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti
d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di
artisti italiani e stranieri che si accostano al genere neopompeiano. La loro
pittura è destinata a confermare sentimenti nazionali e, ancor più, esotismo antichizzante, di un ceto alto-borghese che ama riconoscervisi, nobilitando così i propri vizi e virtù, nei riti e nei costumi di una società ormai
remota ma anche riproposta nel presente grazie ai reperti archeologici le
cui scoperte erano largamente pubblicizzate.
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie
una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti italiani e di Alma-Tadema.
Il percorso espositivo, che dedica ampio spazio alla scuola italiana, prende le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici per poi passare a trattare il tema della dimensione quotidiana e le scene di storia
pubblica. Completa una scelta di documenti e di arte decorativa del XIX
secolo, anch’essa ispirata alle scoperte archeologiche e alla rievocazione
dell’antico. Il tema della mostra, finora rimasto ristretto all’ambito degli
specialisti di storia dell’arte dell’Ottocento e degli archeologi, viene ora
presentato al pubblico, per la prima volta in Italia.
È un onore poter presentare capolavori e opere meno note, ma ugualmente importanti, in connessione con una selezione di materiali archeologici
del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che hanno affascinato e
influenzato la produzione dei pittori neopompeiani.
Un ringraziamento particolare va ai numerosi musei internazionali e
nazionali e ai collezionisti privati, che con il prestito delle proprie opere
hanno permesso la realizzazione dell’evento.
→
Vittoria Garibaldi
Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania
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→
ALMA
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STALGIA
DELL’
ANTICO
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Il risultato lusinghiero ottenuto con il numero di visitatori dell’ultima
mostra del Museo Archeologico Nazionale di Napoli nell’ambito della rassegna “Un Anno al Museo”, che la Soprintendenza per i Beni Archeologici
per le Province di Napoli e Caserta ha fortemente promosso di intesa con
la Regione Campania, premia lo sforzo congiunto delle Istituzioni che
hanno inteso offrire al pubblico una serie di eventi di altissima qualità.
Tra queste la punta di diamante è stata la mostra sull’ambra, per la novità dell’argomento e i magnifici capolavori esposti, che hanno destato
forte interesse nel pubblico italiano e straniero.
Sono certa che la mostra che ora si presenta, Alma-Tadema e la nostalgia
dell’antico, nata dalla feconda collaborazione tra le due Soprintendenze
per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei, sotto l’egida della
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania,
otterrà i più ampi successi di critica e di pubblico, contribuendo a migliorare sensibilmente l’offerta turistica della Regione Campania, che non a
caso ha sostenuto l’evento inserendolo nella rassegna “Eventi in
Campania 2007”.
La mostra traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della pittura neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto internazionale e ponendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I “quadri-museo” dell’artista
rappresentano una straordinaria rilettura del mondo romano, con tutto il
corredo di antiche suppellettili, abiti raffinati, ambienti impreziositi da
marmi e tripudi di fiori.
Il lungo viaggio in Italia del 1863 fu per Alma-Tadema un’occasione
importante per visitare i musei e i siti archeologici, e avere un approccio
diretto con l’antichità. Visitando scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare i siti, le architetture e i reperti, di cui raccogliere successivamente
la documentazione grafica e fotografica. Tra le antiche città vesuviane fu
Pompei – la Pompei scavata e restaurata in quegli anni da Giuseppe
Fiorelli – il set preferito delle ambientazioni di Alma-Tadema.
Un importante strumento di documentazione per Alma-Tadema fu la
fotografia. Il suo archivio era un vero e proprio database di materiali
archeologici, greci e romani: sculture e decorazioni architettoniche, ma
anche affreschi parietali delle città vesuviane. Tale “museo virtuale di
reperti antichi”, insieme alla documentazione grafica, era uno strumento
di lavoro essenziale per l’artista.
Dopo il viaggio in Italia, la collezione fotografica, già iniziata in precedenza, si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi di Pompei ed
Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Sicuramente, accanto
al British Museum di Londra, il Museo Archeologico di Napoli fu per Alma-
ALMA
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STALGIA
DELL’
ANTICO
Tadema un vero e proprio “manuale dell’antico”, rappresentando con la
varietà di oggetti e materiali la sua fonte più importante e peculiare di
documentazione per il numero e la particolarità degli oggetti. AlmaTadema ebbe modo di conoscere le importanti collezioni della Magna
Grecia, le sculture della collezione Farnese e, soprattutto, i numerosi
reperti provenienti da Pompei e dalle città vesuviane. Questi erano presentati secondo i criteri museografici del tempo, ovvero suddivisi per classi di materiali e del tutto estrapolati dal loro contesto. Tale visione decontestualizzata, per classi di materiali, fu anch’essa fonte di ispirazione per
l’utilizzo che il pittore faceva di questi reperti.
Dei materiali del Museo Archeologico di Napoli circolavano anche numerose riproduzioni artigianali, che Alma-Tadema, come altri artisti
dell’Ottocento, aveva acquistato, sia in scala sia in riproduzioni al vero. In
particolare, l’artista possedeva bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi,
che detenevano il monopolio della riproduzione delle opere del Museo
Archeologico di Napoli.
Di tutto ciò intende dar conto la mostra, allestita accostando opere pittoriche, talora celebri di Alma-Tadema, in alcuni casi meno conosciute di
artisti neopompeiani, a una selezione di materiali archeologici che ne
hanno influenzato la produzione. Sono lieta di mostrare i risultati degli
studi e delle ricerche da cui questa mostra scaturisce, grazie al lavoro
comune tra Istituzioni e professionisti di grande qualità. Sono certa che la
novità del tema trattato e la particolare rilettura dell’artista, operata dai
curatori della mostra che ne hanno con sapienza confrontato e accostato
le pitture ai reperti del Museo, saprà stimolare l’interesse del grande pubblico, decretando il pieno successo dell’iniziativa.
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Maria Luisa Nava
Soprintendente per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta
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ALMA
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La vita di Alma-Tadema trascorre tra l’edizione prima de Gli ultimi giorni
di Pompei e la applicazione delle regole della Altertumswissenschaft.
Dall’antiquaria che cede attenzione all’archeologia, al divenire di questa
una disciplina normata. Ma non troviamo, e di certo non è da meravigliarsi, echi di questo percorso epistemologico nelle opere del Nostro. In quanto la sua libera creazione artistica può prendere spunto documentario da
reperti antichi: ma non si può confondere lo spunto con l’ispirazione.
Saremmo, ove ciò fosse avvenuto, di fronte a un illustratore di monumenti antichi: dagli incisori dei rami che compongono Le Antichità di Ercolano
esposte agli acquarellisti che documentano gli affreschi vesuviani.
Alma-Tadema sogna scene di vita ambientate in un’antichità che, per
essere rigorosa nel dettaglio, rimane comunque fantastica e libera: è la sua
antichità. Non quella che, in parallelo allo scorrere della sua vita e al moltiplicarsi delle sue opere, gli studiosi si sforzano di intendere in quella che
ritengono sia stata l’originale essenza, grazie a nuovi scavi e scoperte e
all’incessante critica filologica sui testi letterari antichi superstiti.
Che Alma-Tadema abbia preferito, tra tutte le possibili fonti di ispirazione
delle proprie creazioni artistiche, l’antichità classica, oltre che una casualità che forse gli esperti potranno studiare e chiarire, può essere riportato
all’ultimo spunto di attenzione che la scoperta di Ercolano e Pompei ha
indotto nell’Europa colta. A due generazioni abbondanti da quelle prime
luminose scoperte, il romanzo di Bulwer-Lytton attualizza, e diffonde in
ambienti non più solamente antiquari, l’antica vita disseppellita.
L’accrescersi delle conoscenze, e proprio anche l’impiantarsi della tassonomia e della categorizzazione nel corso del XIX secolo, rende più articolato, e possiamo aggiungere oggettivo, quell’improvviso squarcio di luce
sul passato. Che ha lasciato, allora, sbalorditi anche i più acuti fra quanti
se ne sono interessati. Alma-Tadema normalizza visivamente quanto
Bulwer-Lytton aveva, per primo, reso piano, attraverso la formula del
romanzo, a molti lettori. Il tono fantasmatico potrebbe far ricordare Arria
Marcella di Théophile Gautier: ed è segno del tempo che incalza, di una
scienza che non si accontenta più solamente di raccogliere dati ma che
preme per farne sistema, la più recente analisi freudiana della Gradiva. E,
infatti, la pretesa oggettività del Nostro nel rendere gli arredi (così ci limitiamo a dire, ma Alma-Tadema avrebbe aggiunto e ambientazione generale e temi illustrati) tende a situare con precisione la libera creazione artistica, vincolandola, anche qui, a un sistema che gli austeri professori stanno costruendo, pezzo per pezzo.
L’identificare l’autentico modello dal quale Alma-Tadema ha tratto ispirazione e documentazione è opera meritoria, ma attiene, se si consente un
paragone, più alla registrazione dei dati climatici che allo studio della
meteorologia. Può, al massimo, documentare rapidità di aggiornamento,
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DELL’
ANTICO
approfondimento delle conoscenze, abilità nell’utilizzazione iconografica
complessiva. Ma senza sfiorare il livello artistico, che è quello che distingue Alma-Tadema dall’anonima, fitta schiera degli illustratori di monumenti antichi.
Per gli archeologi di oggi c’è poco da imparare da quei dipinti; il pubblico
più ampio può documentarsi più facilmente su internet. Ma quelle scene
fiorite, rigorose e languide insieme, documentano del fascino e del richiamo che la visione dell’Antichità induce sulla fantasia artistica. Fosse solo
questo il motivo, varrebbe lo sforzo di conservare quei vetusti monumenti, renderli noti e visitabili a tanti, illustrarli senza pedanterie.
Fra i milioni di visitatori armati di videocamera potrebbe manifestarsi un
secondo Alma-Tadema. Anche solo per questo, il nostro ingrato lavoro
contro il tempo che erode, contro l’incuria di tanti che sconvolge, deve
continuare a svolgersi.
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Pietro Giovanni Guzzo
Soprintendente Archeologo di Pompei
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saggio dal catalogo
Fra Babilonia e Pompei.
Teoria e immaginazione
dell’antico.
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Carlo Sisi
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In un quadro elegante di Gustave Boulanger (fig. 1) è rievocata la recita
del Joueur de flûte e de La Femme de Diomède fatta nell’atrio pompeiano
della casa del principe Napoleone in rue Montaigne a Parigi dagli attori del
Théâtre Français, con la partecipazione di Théophile Gautier che aveva
composto il Joueur come prologo alla pièce di Émile Auger. Gli attori abbigliati all’antica recitano sullo sfondo dell’architettura di Alfred Normand
che, su sollecitazione dell’illustre committente, aveva costruito l’edificio
ispirandosi alla villa di Diomede, alla Casa di Pansa e a quella del Poeta
Tragico; e aveva affidato a Sébastien Cornu la decorazione delle pareti alla
maniera del III stile illusionistico di Pompei. Il fatto di cronaca mondana,
reso singolare dall’eccentricità dell’evento e dalla statura dei suoi protagonisti, avrebbe acquistato ulteriore aura dal duplice risultato cui programmaticamente aspirava la composizione pittorica: quello di essere un
elegante travestimento di abitudini e di sentimenti moderni, e inoltre “une
excursion ingénieuse [...] dans le domaine du passé”, come scrisse il critico La Fizelière nella sua recensione al Salon del 18611.
In effetti l’opera interpretava le aspirazioni di alcuni intellettuali del
Secondo Impero disgustati dal ritmo del progresso e dalla banalità della
vita quotidiana, tentati di conseguenza dal fascino di reclusioni immaginative e spirituali, da quella “maison de rêve” descritta dallo stesso
Gautier in Mademoiselle de Maupin e tanto simile all’eremo pompeiano
del principe Napoleone. Era in questi recinti metastorici e accessibili a
pochi che giungevano infatti a maturazione le teorie di l’art pour l’art e,
d’altra parte, veniva infranta l’intesa conformistica in base alla quale la
cultura della Restaurazione aveva realizzato l’armonia – nella vita come
nell’arte – fra particolare e generale, natura e istituzioni, presente e storia,
esprimendo la passione immediata, coinvolgente e, in fondo, fiduciosa che
era stata della civiltà romantica.
Sempre nel 1861, Ingres lavorava al Bagno turco e, con l’immaginazione
turbata dalla fragranza di promiscuità orientali, insinuava nel puro alabastro della forma raffaellesca quelle privatissime sensazioni che dovevano
essere percepite ben oltre il selezionato circolo degli ingristes.
Se si pensa infine che nel 1862 Flaubert pubblicava il romanzo ‘archeologico’ Salammbô con l’intento di trasferire nel mito, disumanizzandolo,
l’oscuro lamento del cuore e dei sensi oppressi dal grigiore della quotidia-
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na fatica2, si può intendere compiutamente la temperatura elevatissima
entro la quale si trovò a operare chi, in quegli anni, avesse inteso confrontarsi con un’arte che non chiedeva più la comprensione e l’assenso dei
contemporanei ma si concentrava nello sforzo di costituirsi al di fuori dei
rapporti di vita, di operare in traccia di ineffabili sintonie ricercate appunto nel rêve pompeiano, nel molle fascino dell’Oriente o nella brutale maestà di Cartagine.
Questa diffusa predisposizione intellettuale ed estetica nei confronti della
bellezza eletta e delle metafore del mito aveva prodotto, sin dagli anni
Quaranta, le composizioni neogreche di Jean-Léon Gérôme e di Charles
Gleyre e quelle, ambientate in scenari quasi cesellati e vividi di lapislazzuli, di Gustave Moreau. Le scelte giovanili di quest’ultimo, venuto a Roma
per studiare il canone classico, maturarono proprio negli anni in cui l’esaltazione della libertà – e quindi di vie indipendenti invece che convergenti – aveva ammesso l’imposizione delle particolarità del sentimento nell’ampia gamma che poteva includere tutte le espressioni connesse con i
sussulti dell’intimità liberata3; quadri quali la Sera di Gleyre e i Giovani
greci che fanno combattere i galli di Gérôme inducevano inoltre a pensare
che la forma levigata e quasi astraente insegnata in Accademia per servire da antidoto alle grigie apparenze quotidiane fosse tuttavia capace di
alimentare, in virtù della perfezione formale, pensieri anche inquietanti
intorno alla resurrezione di civiltà sepolte4.
La favolosa bellezza pagana dei nudi di Hippolyte Flandrin e di William
Bouguereau – per restare nell’eletto contesto di l’art pour l’art e delle sue
conseguenze nella cultura figurativa europea della seconda metà
dell’Ottocento – trascende infatti l’ordinaria avvenenza del modello reale
perché quei pittori vi seppero innestare fantasie letterarie alimentate
dallo stesso bacino estetico nel quale sbocciarono gli Emaux et camées di
Gautier; non diversamente da come Luigi Mussini, dipingendo nel 1855 il
grande quadro raffigurante Eudoro e Cimodoce, saprà estrarre da Les
Martyrs di Chateaubriand il giusto contemperamento degli affetti, riunendo nella frescura di un bosco arcadico la perfezione della bellezza antica e
i trepidi sentimenti del cristianesimo rivalutato in tutti i suoi aspetti dalla
castità metodologica del purismo e fatto oggetto, proprio a partire da
quel giro d’anni, di avvincenti traslitterazioni romanzesche e figurative5.
“O noble poésie du silence vivant et passionné! Bel art que celui qui, sous
une enveloppe matérielle, miroir des beautés physiques, réfléchit également les grands élans de l’âme, de l’esprit, du cœur et de l’imagination et
répond à ces besoins divins de l’être humain de tous les temps [...]”6.
Queste righe scritte da Gustave Moreau sulla pagina di un album chiariscono il percorso creativo dell’artista che, resuscitando appunto i fantasmi del passato, attribuisce a quelle spoglie preziose e fragranti la forza
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espressiva della bellezza impassibile, la volontà di dire chiusa nell’ermetica avvenenza del gesto ineffabile e dell’allusione colta.
Gli Ateniesi sacrificati al Minotauro (fig. 2), i Pretendenti, Le figlie di Tespio
sono infatti le giovanili immaginazioni di un pittore sedotto dalla mitologia e fiducioso nelle capacità evocative della forma; così come il quadro
di Alfred de Curzon, Un rêve dans les ruines de Pompéi. Les ombres des
anciens habitants reviennent visiter leurs demeures (fig. 3), si configura
come apice di questo indirizzo estetico coniugando magistralmente analogia formale e poesia, tanto che un critico contemporaneo, in vena di traslati letterari, proponeva di intitolare l’opera Songe d’une nuit d’été aux
ruines de Pompéi e Théophile Gautier la recensiva quale parafrasi figurativa della sua Arria Marcella, ponendo così in evidenza le diverse matrici
dell’ispirazione che diverranno di lì a poco viatico essenziale del pittore
“neopompeiano”: “fantastique par les personnages qui ne sont que des
ombres; réel par l’architecture qui a la solidité de la chose vraie”7.
In virtù di questi pensieri e del dibattito critico sollecitato dalle sempre più
frequenti apparizioni di opere d’arte aventi per soggetto le antiche civiltà,
non passò inosservato all’Esposizione fiorentina del 1861 il Bagno pompeiano di Domenico Morelli (cat. 36) che avviava un genere ancora inconsueto per l’arte italiana di quegli anni; non a caso richiamando un celebre
modello francese, il Tepidarium dipinto da Théodore Chassériau nel 1853,
che restituiva alla sua originaria funzione la rovina di una delle sale del
bagno pubblico presso la Porta di Stabia, dove un folto gruppo di giovani
donne è ritornato a godere degli ozi sontuosi attribuiti per antonomasia
agli abitanti di Pompei8.
Chi, come Giuseppe Rovani, aveva potuto vedere il quadro di Morelli ancora nello studio milanese dell’artista, si era soffermato con agio ad ammirare le trasparenze ardite dei panni nell’ombra stillante dell’edificio, la
fedeltà archeologica della ricostruzione architettonica, la “trascuratezza
cercata” della pittura che dimostrava, anche nell’artista napoletano, la
partecipazione commossa all’evocazione del tempo e del luogo9.
Altri, come Yorick, intuirono i probabili debiti letterari, la traccia di letture
capaci di dar nomi e caratteri alle bagnanti pompeiane: era forse tra esse
– si chiedeva, nella sua recensione, il critico toscano – la figlia di Arrio
Diomede, l’amante di Glauco dalle belle chiome, discesa a bagnarsi nelle
terme pubbliche dalla sua splendida villa suburbana? L’integrazione narrativa avanzata da Yorick poteva in effetti coincidere con l’anastilosi letteraria operata nel romanzo di Bulwer-Lytton, in cui la risorta Pompei diviene
scenario di passioni attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura classica e l’entusiasmo delle ininterrotte scoperte archeologiche:
componenti, però, sottratte all’esame della filologia e consegnate all’avvincente arbitrio della ricostruzione romanzesca10.
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Nel traffico di una via assolata, nel quartiere delle botteghe, tra fioraie e
servi indaffarati, bighelloni in veste di porpora e, a sfondo, brani di affreschi negli interni aperti alla vista, Glauco, il protagonista de Gli ultimi giorni di Pompei, si imbatte in Giulia, la più bella e la più ricca delle donne della
città che, velata e seguita da due schiave, si sta avviando alle terme del
Foro. Può darsi in effetti che da questo spunto narrativo Morelli traesse
materia per la composizione del suo quadro e che rimanesse avvinto dalla
lettura del romanzo, molto diffuso grazie alla frequenza delle sue numerose traduzioni, proprio per la convivenza in esso della finzione narrativa,
riferita alle passioni dei protagonisti, e della verità storica, ricercata nella
descrizione della città e dei suoi costumi; per cui vi si poteva leggere che
gli abitanti di Pompei “escludevano volentieri la luce dell’ardente loro
cielo, associando nei voluttuosi loro ritiri l’idea del lusso con quella delle
tenebre”11. Fra il 1861 e il 1863 Morelli meditava un seguito della storia
letta e poi dipinta con la mente accesa dalla tangibile evocazione dei luoghi, e poneva quindi mano alla forte istantanea di un triclinio dopo l’orgia12, dove l’assopimento scomposto della crapula e la paziente sottomissione del giovane schiavo ci appaiono come pensieri attuali filtrati attraverso il fascino turbativo dell’ambientazione antica. Se da una parte la
crudezza del tema avrebbe avuto conseguenze nella polemica restituzione della storia manifestata in opere, come i Parassiti di Achille D’Orsi (cat.
30), che coniugavano il referto con le istanze sociali; non è d’altro canto
improbabile che l’antitesi di bellezza e decadenza, implicita nella rappresentazione del soggetto morelliano, dipendesse anche da suggestioni ricavate dal ‘clima’ del quadro di Chassériau e da analoghi modelli francesi,
come i Romani della decadenza di Thomas Couture13, dove l’antico diveniva tramite di pensieri ulteriori e di privatissime evasioni estetiche: in
Morelli, però, alleviate dal sontuoso fardello parnassiano e animate da
spunti di trepida realtà. Il calidarium delle terme vi appare dunque disadorno e quasi scabro, come appena estratto dalle secolari scorie del vulcano, e nella sua ombra il panno luminoso dà risalto alla grazia semplice
della serva contadina; mentre i corpi riversi sul triclinio paion serbare
memoria del groviglio di forme esanimi che Giuseppe Fiorelli estraeva in
quegli anni dalle rovine della città14 assecondando, attraverso l’impassibile indagine positiva, il sogno letterario e artistico cresciuto intorno alle
vicende di quelle vite trapassate.
Allora il dato aveva provocato la resurrezione di eventi trascorsi, immaginati e veri a un tempo (come voleva Morelli), per la pregnanza del referto, per le implicite suggestioni poetiche, per l’intimo fuoco che li aveva
subito tradotti in impressioni di vita quotidiana, distanti dagli ineffabili
colloqui fra révenants coltivati dai parnassiani francesi15. L’abbandono
della monumentalità dell’antico e la sua subordinazione all’accidentalità
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dei fatti e dei caratteri, ai diversi pensieri che l’indagine sul vero sapeva
dedurre dall’ambito letterario e dagli orizzonti inaspettati dischiusi dai
nuovi metodi della ricerca archeologica, venivano conferendo anche a
quel genere storico facoltà di introspezione, di spregiudicata inchiesta su
bellezze antiche e decadenza, narrate come inquietudini presenti. La prefazione di Dall’Ongaro all’edizione fiorentina del Tito Vezio di Anselmo
Rivalta adombra l’aspirazione ormai diffusa a recuperare da quegli inesauribili depositi della storia i vizi e le virtù che ne costituivano l’ininterrotta
continuità – epoche in cui “agli elementi latini già trasformati e corrotti
dalle conquiste, si venivano mescolando le cupe e misteriose superstizioni dell’Egitto e dell’Asia Minore, e l’arte greca e la mollezza orientale finivano di stemperare la ferrea fibra dei vincitori, già vinti”16 –, e che potevano rendere vive e spiranti le reliquie del passato soltanto alla sensibilità di
chi le avvicinasse con trasporto letterario, corroborato però dalla storicità
e verità delle circostanze e dei luoghi: il dato appunto, che si contrapponeva, nell’arte italiana postunitaria, al sontuoso mito flaubertiano e
all’estetismo evocativo di l’art pour l’art.
Roma e Pompei offrirono a questo proposito scenari emozionanti all’officina di artisti e letterati convinti delle possibili analogie fra passato e presente, e il romanzo di Bulwer-Lytton – destinato ad avere grande successo in Italia grazie soprattutto alla traduzione di Francesco Cusani – rappresentò un campione di quella capacità evocativa basata sui dati dell’archeologia e della storia, ma subito rivolta a recuperare sensualità e moniti nutriti appunto dalla nostalgia di epoche restituite per frammenti alla
conoscenza e alla sensibilità dei moderni17. Così, per fare un esempio, la
scena in cui Jone sfiora il volto di Nidia per intuirne la celebrata bellezza,
si avvale dell’immediato corrispettivo archeologico – la cosiddetta Psiche
di Capua (fig. 4) – capace di immettere la finzione narrativa nel flusso dei
dati verificabili: “Non aspettò la risposta Jone, ma parlando, passava lenta
e lieve la mano sul volto chino e un po’ ritroso della greca: su quei lineamenti che solo un’immagine al mondo può ancora rappresentare e ricordare, una statua mutilata e pur sempre meravigliosa, della sua città nativa, della sua stessa Napoli; quel volto pario, innanzi al quale tutta la bellezza della Venere fiorentina è povera e terrena, quell’aspetto pieno d’armonia, di giovinezza, di genio, d’anima, in cui i moderni studiosi hanno
creduto di riconoscere l’immagine di Psiche”18.
Nel capitolo titolato L’anfiteatro, la descrizione dei ludi gladiatorii attesta,
per fare un altro esempio, il meticoloso aggiornamento dello scrittore su
quanto sino ad allora si sapeva intorno all’argomento: in compagnia dell’egiziano Arbace entriamo nel circo già gremito di spettatori in tutti i suoi
ordini, dai popularia ai sedili più bassi destinati ai magistrati e agli insigniti di dignità senatoriale o equestre; siamo invitati a osservare i dipinti che
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ornano il parapetto e il velarium tessuto nella più candida tela di Puglia e
ornato di ampie striature cremisi che, manovrato dai guardiani del circo,
quel giorno non andava a posto come di consueto, “e poi che un largo
squarcio di cielo rimaneva visibile in fondo al baldacchino, per l’ostinato
rifiuto di una parte del velario di allearsi al resto, i mormorii di malcontento furono alti e generali”.
Ma l’apparizione del rituale corteo dei gladiatori distrae il pubblico e in
special modo impressiona le matrone, delle quali possiamo cogliere il concitato dialogo: “quello è un retiarius; è armato soltanto, vedi, d’una lancia
a tre punte come un tridente e una rete; non porta armatura, solo la
benda intorno al capo e la tunica. È un uomo fortissimo e combatterà con
Sporo, quel gladiatore là, atticciato, con lo scudo rotondo e la spada sguainata, ma senza corazza; adesso non ha l’elmetto, perché gli si possa vedere il viso – com’è intrepido ! – ma a suo tempo calerà la visiera”. Grande
effetto sortiscono poi due gladiatori a cavallo – “portavano la lancia e lo
scudo rotondo splendidamente intarsiato; l’armatura era formata di
bande di ferro intrecciate, ma copriva solo le cosce e il braccio destro;
corti martelletti che arrivavano solo alla sella davano al costume un’aria
pittoresca; le gambe erano nude, i sandali allacciati sopra la caviglia” – che
preludono con le loro evoluzioni allo “spettacolo imponente e terribile”
rievocato da Bulwer-Lytton attraverso una sequenza di dettagli e immagini19 in grado appunto di collegare, sul filo tesissimo della narrazione, le
crudeltà del passato alle curiosità del lettore moderno in cerca di emozionanti affinità sul confine di immaginazione e di fedeltà archeologica. I
soggetti gladiatorii dipinti da Jean-Léon Gérôme, a cominciare da Ave
Caesar, morituri te salutant (1859, fig. 5), corrisposero in special modo a
quella esigenza di contemperare fantasia colta e precisione narrativa
intorno a un tema di forte coinvolgimento estetico e morale: la nostalgia
per le epoche antiche – prima alimentata dalle forme elette di l’art pour
l’art quindi dall’attenzione al dato dell’indirizzo realista – aveva portato
infatti il pittore a introdurre nel quadro di storia le stesse analisi condotte in quegli anni in ambito letterario (si veda, nel dipinto, il velario inceppato che compare anche nel ricordato episodio degli Ultimi giorni di
Pompei), ottenendo di conseguenza la resurrezione di eventi trascorsi per
cui la precisione dello scenario architettonico e la corrispondenza storica
delle armi e degli ornamenti, perfettamente resi dal magistero formale
accademico, facevano quasi sentire al pubblico dei Salons lo strepito dell’anfiteatro e le grida canoniche: “jugula, ure, verbera!”. Del resto, già per i
pittori neogreci, il tema scelto doveva essere viatico a integrazioni di
diversa natura poiché, scriveva Edoardo Dalbono nella sua commemorazione di Gérôme, “invenzione non vuol dir soggetto, ma vuol dire quanto
vede e aggiunge l’artista alla interpretazione del soggetto enunciato”20:
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che nel caso nostro significa rappresentare l’antico come scenario di passioni attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura classica e
l’entusiasmo destato dalle sempre più frequenti scoperte archeologiche.
Un’escursione a Pompei poteva del resto lasciare nell’artista l’impressione d’una vita da poco interrotta se ancora si vedevano dipinti sui muri gli
avvisi di imminenti munera (“venti coppie di gladiatori appartenenti a
Decimo Lucrezio Satrio Valente, sacerdote per la vita di Nerone, figlio di
Cesare Augusto, e dieci coppie di gladiatori appartenenti a Decimo
Lucrezio Valente suo figlio gareggeranno dall’8 al 12 aprile. Ci sarà un programma completo di combattimenti con bestie feroci e tende di riparo”);
come pure una visita al Museo Nazionale di Napoli era la migliore occasione per arricchire il repertorio delle armi con la visione diretta di galeae, galerii, ocreae, baltei, lì raccolti insieme alle altre preziose testimonianze della civiltà pompeiana. Gérôme dà prova d’aver studiato quei reperti
in una serie di statuette di gladiatori modellate con le attenzioni ricostruttive di un archeologo (cat. 33, 34), nel celeberrimo Pollice verso (1873) e
nella monumentale scultura (1878) che dallo stesso dipinto ricava le sole
figure del reziario e del mirmillone, dove più evidente appare la fedele
riproduzione dell’elmo decorato con scene della caduta di Troia conservato nel Museo di Napoli, dettaglio che vincola entrambe le opere al dato
storico ma dal quale esse traggono anche lo spunto per pensieri attuali filtrati attraverso il fascino turbativo dell’ambientazione antica21.
“L’antichità non è morta nel mondo moderno; un ardore d’investigazioni
s’è messo negli intelletti, e rimossi li schermi tra popolo e popolo, riceviamo per gli aperti spiragli come uno spirito nuovo; i pregiudizi di scuola boccheggiano tra le querimonie senili di chi sente sguizzarsi di mano la vita, e
bestemmia, pur moribondo, la luce che gli spunta sugli occhi. Le lingue e le
letterature sono già divenute problemi di storia e la storia una scienza.
Abbiamo deposto, ed era già tempo, i logori calzari d’Arcadia in cui siam
nati, per mettere i piedi nella sacra terra abitata dal vero”22. Neppure la filologia restava esente da quella partecipata indagine sulle vicende dell’antichità se, nel 1868, Gaetano Trezza preludeva al suo corso di letteratura latina con l’esortazione a introdurre il passato nello studio dei fenomeni
umani essendo l’antico “parte organica del moderno” e il fatto un’evoluzione ideale di forme eterogenee e non una “specie stabile”, di riferimento
assoluto. In contrasto aperto con la rigidità del dettato accademico, il
richiamo agli studi classici come a linfe rigeneranti il pensiero moderno,
lucrezianamente definite vitaï lampada, doveva dunque richiamare in vita
i mondi defunti, e non tramite colte analogie ma attraverso la predisposizione sperimentale della cultura positiva, capace appunto di fondere il lirismo della tragedia classica con il realismo del dramma contemporaneo.
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Antonio Ciseri, impegnato dal 1873 a dipingere la grande scena dell’Ecce
Homo! (fig. 6), avrebbe condiviso quella esplorazione del passato affidandosi alle pagine della Vie de Jésus di Ernest Renan, che gli consentiranno di
evitare le convenzioni stilistiche e narrative della pittura sacra a favore,
nell’ordine, dell’analisi imparziale delle fisionomie e delle attitudini; dell’oggettiva messa a fuoco del contesto architettonico, riprodotto con acribia archeologica; dello scandaglio dei sentimenti che rimanda alle inquietudini della civiltà di fine secolo, nel dipinto adombrate dalla fede o dal
dubbio dei diversi protagonisti23.
Sempre in quegli anni, Raffaello Sorbi (cat. 22 e fig. 7) dipingeva scene
romane nelle quali il forte risalto dato alla descrizione degli ambienti – il
più delle volte ricostruiti sotto la guida del prezioso repertorio di Guhl e
Koner24 – riverberava sugli episodi narrati suggestioni di verità, a loro volta
accentuate dai ritratti attualissimi di uomini e donne coinvolti nell’avventura dell’atelier e divenuti attori di eventi che il pittore sottraeva all’epopea per convertirli in semplice dato di cronaca, in istantanea ricavata dall’accurata indagine sui costumi di Roma, spesso con un’ardita messa a
fuoco di caratteristiche fisiche e morali.
In linea con quanto accadeva nelle arti figurative, nella filologia positivista e, in sintesi, nel complice dialogo fra discipline diverse ma per molti
aspetti affini, Giuseppe Rovani scriveva La giovinezza di Giulio Cesare componendo una sequenza di Scene romane nelle quali il recupero dei più
minuti particolari della vita quotidiana e, insieme, la rappresentazione di
stati passionali spesso anomali e patologici, miravano a studiare il protagonista come “umano poliedro” formato di qualità molteplici e opposte,
non escluse le “debolezze e le aberrazioni del sentimento e del senso”25.
Rovani intendeva innanzi tutto collegare con immediatezza attualizzante
i fatti di Roma antica a quelli dell’esperienza contemporanea: sia nel
descrivere la caratteristica dei luoghi – “Il Palatino era il quartiere dove
sorgevano i palazzi del più vetusto patrizio romano (i nobiloni dei quattro
quarti d’allora). Esso, come dice Ampère, era a Roma quel che il sobborgo
St.Germain è a Parigi. Era la nostra Porta Nuova, il Borgo Nuovo, la via de’
Bigli, la via Monforte; quel che si vuole insomma”26 –, sia nel delineare icasticamente le peculiarità di famosi comprimari – “Allora giovane ancora
(Sallustio) faceva quel che oggi si direbbe il giornalista, e redigeva coll’aiuto d’altri, e segnatamente di Cesare, il Commentarium rerum urbanarum; il
Moniteur d’allora; perché Roma fu la prima ad avere una gazzetta [...]”27.
A un livello più emozionante, la pagina letteraria condivide con la pittura
espedienti cromatici e luministici che avvalorano l’indagine inquieta sui
caratteri, come avviene in un episodio del romanzo di Rovani quando la
luce lunare si posa sulle figure di Cesare e di Cetego “tagliando il viso di
quest’ultimo, di maniera che la parte inferiore era in ombra, spiccando
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netta la superiore, la quale pareva uscire, come di soppiatto e sospettosa,
da una selva densissima di capegli a larghe anella, che [...] insieme coi
sopraccigli congiungentisi fitti all’inizio della linea nasale, davano un
aspetto terribilmente fantastico a quella testa giovanile, cui Cesare artista
ed esploratore di caratteri guardò a lungo”28. Sono i casi in cui la ricognizione archeologica e le componenti della narrazione subordinano il vero
storico agli ‘squilibri’ dell’animo umano, alla predilezione scoperta per le
anomalie e le abiezioni che connota il ribellismo di veristi e scapigliati e
dà materia a nuove interpretazioni della vita antica e dei suoi controversi personaggi, a cominciare da Nerone e dal sontuoso e tragico contesto
delle sue azioni efferate. Applicando all’analisi dei fenomeni sociali e culturali dei suoi anni la scienza statistica, Domenico Gnoli trovava, per
esempio, che le parole “orgia”, “ebbrezza”, “agonia”, “febbre”, “convulsione”, erano divenute così frequenti in letteratura da costituire un lessico
poetico della trasgressione, ammesso là dove prima quelle stesse parole
rivestivano significati ributtanti29.
Il quadro di Siemiradzki Le torce di Nerone viene allora portato a esempio
della nuova attitudine a privilegiare gli affetti “che fan ballare i nervi”, rappresentando appunto l’efficace contrasto fra la tortura dei cristiani accusati dell’incendio di Roma e il sadismo dell’imperatore immerso nel lusso
e nell’orgia: elegante nelle sue voluttà, quasi attraente nella sua ferocia,
Nerone incarna in questo caso l’ideale dell’“essere diverso”, del “patire per
eccezione” cui aspirava la cultura antiaccademica di quegli anni, tanto che
l’Enobarbo diviene protagonista di drammi e di opere in musica – la più
celebre quella composta da Arrigo Boito –, di quadri dipinti senza reticenze come quelli celebratissimi di Piloty e Kaulbach30, di poemi, come
l’Ahasver in Rom di Robert Hamerling, i cui versi contengono l’esplicito
richiamo al piacere incontrollato che gli scapigliati paragonavano ai desideri violenti e conflittuali della sensibilità moderna (“Altre ebbrezze or
domandano i sensi; / Non la gioja, ma l’orgia furente / E dell’orgia gli strepiti immensi”)31.
Accanto alla provocatoria riabilitazione di Nerone quale uomo in rivolta, i
grandi eventi nei quali si fondevano coraggio e crudeltà davano adito a
inaspettate metafore delle anomalie e dei conflitti sociali in atto nella
società postunitaria: in campo artistico, la prevalenza di temi pompeiani
e, più in generale, romani all’Esposizione di Napoli del 187732 rappresentò
la massima affermazione di quel genere e di conseguenza la prima occasione ufficiale per motivare da un punto di vista critico l’ammissione del
soggetto antico fra le questioni sollevate, da metà secolo, intorno all’autonomia dell’artista e al concetto di vero anche nelle rappresentazioni
storiche. All’Esposizione di Torino del 1880 l’arte del boudoir sarà d’altra
parte sconfitta dalla “verità non abietta” dei motivi ricavati dalla storia
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antica, tanto più che in quella occasione gli artisti avevano puntato su
soggetti eroici e di esplicito significato morale e politico, come dimostrarono il gruppo Cum Spartaco pugnavit del massone Ettore Ferrari, che
ribadiva l’interpretazione umanitaria dello Spartaco di Vincenzo Vela e gli
spiriti libertari del popolare romanzo di Raffaello Giovagnoli; o come l’altro gruppo del Combattimento del reziario col mirmillone di Eugenio
Maccagnini, che fissava in monumentale evidenza l’inesorabile destino
dell’uomo sottoposto ai capricci del potere33.
L’impegno ideologico aveva allora sollecitato un classicismo impervio e
senza pregiudizi nella rappresentazione dello strazio, fosse stato quello
dell’eroe proletario o del martire cristiano, e, di conseguenza, l’affondo
spettacolare e il puntiglio didascalico dichiaravano di subordinare la forma
alla preminenza del gesto retorico: un classicismo, si direbbe, di intonazione carducciana, tra “epodi” e “odi barbare”, che insieme al monito civile e
alla vis polemica ammetteva tuttavia la bellezza oggettiva di rivisitazioni
antiche “lavorate come una tazza greca”, oppure temperate al fuoco di
un’immaginazione sontuosa (“Da i gradi alti del circo ammantellati / Di
porpora, esse ritte / Ne i lunghi bissi, gli occhi dilatati, / Le pupille in giù
fitte, / Abbassavano il pollice nervoso / De la mano gentile, / [...] / E le
nipoti di Camilla, pria / Di cedere le mani / A i ferri, assaporavano l’agonia
/ De’ cerulei Germani”)34.
Episodi di crudeltà o di clemenza egualmente enfatizzati dallo scenario
tumultuante dell’anfiteatro si potevano trovare rappresentati, negli anni
Ottanta, in quadri molto graditi al mercato internazionale e ricercati
soprattutto per la loro dipendenza dalla pittura antichizzante di Gérôme,
della quale si ammiravano ancora la lucida oggettività della ricostruzione
storica, intesa come “divinazione perfetta di mondi lontani”, e la coltivata
letterarietà dei contenuti, che allargava gli orizzonti narrativi seguendo la
convinzione ormai diffusa che la storia fosse per l’arte come un immenso
magazzino “dov’essa sceglie quel che meglio convenga allo spirito e alle
idee del suo tempo” rivestendolo infine “de’ propri panni”35. Dipinti di
Carlo Ademollo come Il monaco Almadio impedisce gli spettacoli gladiatorii (1880) dimostrano infatti la fortuna del pittore francese, conosciuto
in Italia grazie alla diffusione delle incisioni della casa Goupil, e documentano altresì l’affermazione di uno stile narrativo che nuovamente mirava
a svincolare la rappresentazione dei soggetti antichi da metafore civili e
morali, a vantaggio di più cordiali intese sul piano della colta contemplazione estetica o dell’avventurosa narrazione.
Son queste le ultime figurazioni di un genere artistico destinato a esaurirsi con la crisi dello storicismo e delle varie declinazioni del principio di
verità, tant’è che Camillo Boito, visitando l’Esposizione Nazionale di
Torino, scriveva a proposito del quadro di Netti: “Finiscono a parere stan-
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tii i Triclinii, sebbene a rallegrare il convito, oltre alle donne ignude e agli
uomini briachi fradici e inghirlandati di fiori, vi sieno gladiatori feriti o
morti lunghi distesi per terra”36.
Avranno maggior spazio, a partire dagli anni Ottanta, i sostenitori di una
“pittura di idee” opposta all’erudizione archeologica e alla sensualità
pagana degli epigoni di Gérôme: la luce mediterranea che illumina gli
affreschi del Senato di Cesare Maccari (fig. 8) e certe visioni della Magna
Grecia dipinte da Francesco Netti sono alcuni indizi della nuova aspirazione dell’artista volta a esprimere nella figurazione l’evidenza di bellezze
tangibili e le risonanze interiori contenute, in misura analoga, nelle rievocazioni pittoriche di Alma-Tadema e favorite in Italia dall’apporto del classicismo tedesco e dalle mitologie preziose del Decadentismo letterario37.
L’opera d’arte aspira d’ora in avanti a essere “natura ripensata”38 capace di
“far sentire l’umanità anche dove la figura umana non è presente”39,
secondo un’evoluzione teorica ed estetica che coinvolge persino chi, come
Luigi Capuana, aveva condiviso con Verga la battaglia verista: “quando
siamo costretti dalla meschina realtà e dobbiamo respirare la pesante aria
moderna, sforziamoci di impregnarla di sottili aromi, estratti da fiori esotici, che hanno virtù di insolite ebrezze; e assottigliamo così la materiale
brutalità del vero, da ridurla almeno a simbolo, ad apparenza che vi faccia
pensare a tutt’altra cosa che al vero”40. Se, in questa particolare accezione estetico-letteraria, le Scene tiberiane di Rocco De Zerbi potevano aver
ispirato le tele di Giovanni Muzzioli e, di pari passo, la prosa immaginosa
di Adolfo Venturi impegnato a ritrascrivere la biografia del pittore modenese in brani levigati e dannunzianamente traboccanti di immagini41, non
è da escludere che la rêverie pagana dei Poemi conviviali di Giovanni
Pascoli presiedesse alla riconversione simbolista del genere storico-antico
quale si avverte nell’arte italiana dell’ultimo decennio del secolo.
Sono soprattutto gli Idilli di Giulio Bargellini (fig. 9) a sostenere questa
svolta idealizzante, e a condividere le evasioni alessandrine coltivate nella
cerchia aristocratica del Convito, dove la dialettica fra realtà e immaginazione che aveva originato la moderna rivisitazione dell’antico cede alla
fascinazione del tema raro, del traslato allegorico, alla misteriosa risonanza delle immagini alleviate da ogni contingenza terrena e finalmente consegnate all’ineffabilità del simbolo: donne in attesa di approdi divini (“Non
forse hanno veduto a fior dell’onde / un qualche dio, che come un grande
smergo / viene sui gorghi sterili del mare?)42; giovani legati da corrispondenze appassionate di sensi e di intelletto, che abitano residenze marmoree (“Tra mare e cielo, sopra un’erta roccia / la Scuola era del coro: era, di
marmo / candida, la sonante arnia degli inni)43; conviti intrecciati di
umane tenerezze (“Oh! Nulla, io dico, è bello di più, che udire / un buon
cantore, placidi, seduti / l’un presso l’altro, avanti mense piene / di pani
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biondi e di fumanti carni, / mentre il fanciullo dal cratere attinge / vino, e
lo porta e versa nelle coppe”)44; trionfali apparizioni sulla riva del mare
(“[...] Ed ecco dalla nave / scese una schiera di settanta capi / bruni, tutti
fioriti di corimbi, / e su la spiaggia stettero. Un chiomato / citaredo sedé
sopra un pilastro, / e preso lui gli auleti con le lunghe / tibie alla bocca.
[...]”)45; consoli, guerrieri e schiavi di Roma, atteggiati per un ultimo ricordo sullo sfondo della città ancora pagana (“[...] Roma dormiva. Agli archi
quadrifronti / battea la luna: e il Tevere sonoro / fioria di spuma percotendo ai ponti. / Alto fulgeva col suo tetto d’oro / il Capitolio [...]”)46.
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1 Si veda in L’art en France 1978, p. 314, e,
inoltre, Sisi 1989, pp. 27-34.
2 Lukàcs 1970, pp. 235 e ss.
3 Si veda a proposito Del Bravo 1973, pp.
107-115.
4 Ivi, p. 113.
5 Si veda Sisi 2005, pp. 29-33.
6 H. Rupp, in Musée Gustave Moreau 1983, p.
14.
7 L’art en France 1978, pp. 337-338.
8 Ivi, pp. 323-324.
9 Le osservazioni di Giuseppe Rovani sono
riportate dalla ‘Gazzetta di Milano’, 4-7
novembre 1861 e si leggono in Levi l’Italico
1906, p. 112. Alcune parti del presente
saggio sono riprese da Sisi 1993, pp. 174189.
10 Bulwer-Lytton 1955.
11 Tra le innumerevoli traduzioni italiane del
romanzo, la più utorevole è considerata
quella di Francesco Cusani
(Cusani 1871, III, p. 105).
12 Del dipinto, rimasto incompiuto, si parla
in Levi l’Italico 1906, p. 113,
e con ulteriori informazioni in Disegni e
autografi 1975, p. 30.
13 Domenico Morelli poté vedere i due
dipinti nel suo viaggio a Parigi del 1855.
14 Fiorelli 1873b.
15 Avviato in Francia dalla pubblicazione, fra
il 1824 e il 1838, dei quattro volumi de Les
Ruines de Pompéi di C.F. Mazois, il gusto per
la rievocazione romantica della città
dissepolta trova significative manifestazioni
a partire dal ricordato quadro di Alfred de
Curzon; cfr. L’art en France 1978, pp. 323324, n. 90, e pp. 337-338, n. 205.
16 Si veda la prefazione di F. Dall’Ongaro al
racconto storico di A. Rivalta, Tito Vezio
ovvero Roma cento anni avanti l’era cristiana,
Firenze 1867, pp. VIII-IX.
17 Per l’indirizzo archeologico del romanzo
storico dopo il 1848 e, in particolare, sul
concetto di modernizzazione della storia
e l’interpretazione soggettiva della stessa si
rimanda a Lukàcs 1970.
18 Bulwer-Lytton 1955, p. 162.
19 Ivi, pp. 431-446.
20 Dalbono 1915, p. 113.
21 Si veda in Sisi 2003.
22 Trezza 1962, pp. 1009-1010.
23 Si veda il capitolo relativo all’opera in
Antonio Ciseri 1991, pp. 86-104.
24 Guhl, Koner 1875.
25 Si fa qui riferimento ai concetti espressi
nel Preludio in Rovani 1873.
26 Ivi, vol. I, cap. II, p. 35.
27 Ivi, vol. I, cap. II, p. 51.
28 Ivi, cap. V, pp. 107-108.
29 Gnoli 1876, pp. 55-75.
30 Ivi, p. 56.
31 I versi sono tratti dal poema di R.
Hamerling, qui riportati nella traduzione di V.
Betteloni, Nerone (Assuero in Roma), Roma
1877 (seconda edizione).
32 Si vedano i titoli numerosi e i relativi
commenti in Abbatecola 1877, e inoltre gli
scritti di Netti 1980, pp. 141 e ss., e Bindi
1876, pp. 17-18, 24.
33 Mimita Lamberti 1982a,
pp. 42-44.
34 Carducci 1879.
35 Gnoli 1876, p. 64.
36 Si veda in Civiltà dell’Ottocento 1997, p.
588, 17.218 (scheda a cura di C. Farese
Sperken).
37 Si veda a proposito Scotoni 1981, pp. 1819.
38 Capuana 1905, p. 224.
39 Corradini 1897.
40 Capuana 1905, p.221.
41 Agosti 1991.
42 G. Pascoli, L’ultimo viaggio. XXIV. Calypso,
in Poemi conviviali (1904).
43 Ivi, L’inno eterno.
44 Ivi, Solon.
45 Ivi, I vecchi di Ceo. V. L’inno nuovo.
46 Ivi, In occidente.
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saggio dal catalogo
Nostalgia dell’antico.
Alma-Tadema e l’arte
neopompeiana in Italia.
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Eugenia Querci
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Se si eccettuano alcuni contributi isolati, tra cui il fondamentale saggio di
Carlo Sisi Umbertini in toga1, esiste un vuoto bibliografico sull’arte neopompeiana motivato, oltreché dal naturale superamento primonovecentesco di linguaggi e contenuti ormai desueti rispetto alle nuove urgenze
della società e della storia, dall’ostracismo di natura ideologica alimentato dalla critica dominante soprattutto tra gli anni Quaranta e Sessanta del
Novecento. La stessa definizione di arte neopompeiana (includendo in
questa anche la scultura) è sostanzialmente assente nei dizionari e nei
manuali e, eccettuando interventi critici recenti focalizzati su temi limitrofi o intersecanti la questione neopompeiana, il termine è scarsamente
utilizzato anche nella saggistica storico-artistica.
Mancano studi specifici e ricognizioni su scala nazionale del panorama
degli artisti che hanno affrontato le tematiche neopompeiane, sia in
forma episodica, sia come pratica sistematica e di mestiere. Una disamina che al contrario, anche effettuata senza rigorose pretese di sistematicità, rivela scenari complessi e presenze inattese. Obiettivo di questa
mostra è proprio quello di disegnare un primo quadro d’insieme, cercando di cogliere le diverse venature e implicazioni. Trattando soprattutto la
scuola italiana, si è scelto di collocarla nel più ampio panorama internazionale, mettendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione,
Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). Pur rilevando in molti casi sostanziali differenze tra l’intonazione tademiana e quella nostrana, fondamentale è il comune punto di partenza: Pompei. Da qui, l’arte della seconda
metà dell’Ottocento prende spunto come bruciante motivo reale e, a un
tempo, condensato iconografico di suggestioni letterarie e trasposizioni
immaginative, aspirando a ricomporre, in un irresistibile tableau vivant,
quell’antichità classica che in Roma trovava da sempre la massima valenza simbolica. Ma la Roma imperiale o repubblicana, la sua vita politica, il
linguaggio monumentale dell’architettura, la nobiltà dei sentimenti e
delle aspirazioni ideali, naturali interlocutori della tradizione accademica,
rispondono solo in parte alle necessità della società di fine Ottocento.
Occorre passare dalla sfera dell’ethos al terreno vivo e prosaico della realtà umana, e Pompei costituisce la parola chiave, l’innesco che permette
all’immaginazione di agganciare e richiamare al fluire vibrante della vita
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quella dimensione quotidiana che i monumenti romani, nella loro magnifica imponenza, non hanno potuto conservare. Lo aveva già inteso
Madame de Staël: “A Roma non si trovano altro che resti di pubblici
monumenti, e questi non rammentano altro che la storia politica dei
secoli passati. Ma a Pompei vi è la vita privata degli antichi, che si presenta tal quale essa era”2.
Non occorre e non è possibile qui ripercorrere le vicende degli scavi di
Pompei (ma anche Ercolano, Stabia, Oplontis, Boscoreale). È noto il ruolo
fondamentale avuto dall’approccio sistematico e divulgativo di Giuseppe
Fiorelli nella conoscenza della vita di queste città, ma soprattutto il potere suggestivo esercitato dal metodo dei calchi da lui messo a punto, testimonianza impressionante di dolore e istantaneità della morte da lasciare
ancora oggi senza fiato. Perfino Auguste Rodin, che a ben altra antichità
usa rivolgere lo sguardo, quella rinascimentale e della statuaria classica,
pare trasfondere in molti dei suoi gessi (tra i tanti Le Jongleur e La Martire,
Parigi, Musée Rodin) quello stesso spasmo muscolare e quelle superfici
scabre e irregolari, come consunte pur nell’orrida corposità.
Senza contare lo stimolo esercitato sull’immaginazione di letterati e artisti
da parte di quelle prime opere illustrate dedicate agli scavi, in cui l’inserzione all’interno delle rovine ricostruite di figure umane rese con vivacità,
come già nella Pompeiana di William Gell (Londra, 1832), crea l’illusione
dell’antico nuovamente abitato dai suoi defunti. Impostazione che guida
anche François Mazois nel redigere Les Ruines de Pompéi (Parigi, 18241838), che appunto mirava a integrare “la storia dei costumi con la storia
dell’arte”. Infine scopo magistralmente conseguito ne Le case e i monumenti di Pompei disegnati e descritti (1854-1896), illustrata dai fratelli
Niccolini con splendide tavole litografiche ricche di suppellettili antiche.
Il Bagno pompeiano (1861) di Domenico Morelli è, in ambito italiano, il
primo dipinto d’ispirazione neopompeiana. Ritrae un luogo reale, l’apodyterium delle Terme Stabiane riportate alla luce in quegli anni e ricostruite
da Morelli con alcune licenze nella definizione delle finiture decorative3. Il
confronto è immediato con il Tepidarium (1853, Parigi, Musée d’Orsay) di
Théodore Chassériau4, presentato al Salon parigino del 1855: nel solco di
Delacroix, Chassériau unisce un languido scenario orientalista da hammam algerino, fitto di suggestioni erotiche, alla fine ricostruzione archeologica delle Terme del Foro di Pompei. È proprio questo dipinto, visto direttamente al Salon, a muovere per la prima volta Morelli sulla strada del suo
Bagno pompeiano ma, a distanza di sei anni, in quella “voluttà semplice”
voluta da Morelli, i retaggi compositivi accademici si sostanziano in
maniera contundente dei colori e delle luci del vero resi con una pennellata vibrante. Entrambi i dipinti nascono dalla suggestione di Pompei, ma
Morelli, che dopo il Triclinio (cat. 31) abbandonerà il genere, compie quel
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salto che ci introduce a pieno titolo nel mondo della pittura neopompeiana, nel reame del ridestamento sensoriale ed estetico di un’antichità
classica resa viva, destituita della sua aura di inarrivabile idealità.
A partire da Morelli, il genere neopompeiano è ampiamente coltivato nell’ambito napoletano, con diverse declinazioni, da artisti di varia provenienza, il calabrese Enrico Salfi, il siciliano Giuseppe Sciuti, il lucano
Michele Tedesco5, e partenopei come Camillo Miola e Francesco Netti,
che, attraverso il contatto con lo scintillante virtuosismo cromatico di
Mariano Fortuny e il solare luminismo della scuola paesaggista napoletana (che alle rovine vesuviane dedica ampia attenzione), adottano una fattura sciolta ma sicura, imprimendo i colori del vero alle loro cronache dell’antico ricreate sulla scorta degli autori classici latini. Lo snodo morelliano e napoletano sembra inoltre fecondare, attraverso la ricettiva mediazione di Eleuterio Pagliano (Zeusi e le modelle, 1889, Milano, Galleria
d’Arte Moderna) anche l’ambito milanese e braidense, sul quale agiscono
d’altro canto, per tutti gli anni Sessanta, gli influssi dell’art pompier esposta ai Salon. Seppure con cadenza sporadica, in area lombarda si cimentano nei soggetti neopompeiani artisti tra loro diversi: Mosè Bianchi, per
esempio, che passa dalle sensuali languidezze alla Gleyre di Cleopatra
(1865, Milano, Galleria d’Arte Moderna) alla sciolta e raffinata divagazione del Bagno pompeiano (cat. 36), percorso da allettanti richiami orientalisti. Ma anche Federico Faruffini che, ancora una volta sotto lo stimolo
dell’arte parigina da Salon, concepisce l’impegnativo e discusso Le orge di
Messalina (1867), dove coniuga il gusto storicista per la fastosa ricostruzione archeologica di ambienti e particolari d’arredo antichi, alla prova del
nudo, infine alla rappresentazione di passioni sfrenate e squilibri dell’intelletto interpretati da figure storiche tradizionalmente simbolo di devianza.
Nel panorama milanese si muovono anche personaggi come Ludovico
Pogliaghi che, accanto alle opere di carattere religioso, si cimenta nella
pittura di storia affontata con taglio cronachistico. Eclettico collezionista
di opere d’arte antica (egizie, greco-romane, rinascimentali, barocche e
settecentesche) riunite in una casa-museo a Sacro Monte di Varese,
Pogliaghi lega il suo nome all’imponente lavoro di illustrazione della Storia
di Roma di Francesco Bertolini (Fratelli Treves, Milano 1886)6.
Passaggi fondamentali, nella diffusione del nuovo genere pittorico, sono le
mostre napoletane come le Promotrici del 1876-1877, quando si registra
un’autentica fioritura di soggetti ispirati all’antico, maturati sulla scorta di
profonde conoscenze o più amatoriali infatuazioni archeologiche. Si scontrano in questi anni due differenti concezioni, quella dell’art pour l’art, per
cui il bello risiede nella forma svincolata da ogni impegno etico, e quella
che attribuisce preminenza all’altezza e alla nobiltà concettuale del soggetto. A giudicare dai premi via via assegnati, sembra che sia il soggetto a
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prevalere sulla forma. In polemica con questo orientamento, favorito
anche dai critici-letterati, l’Esposizione Nazionale di Torino del 1880 registra l’intervento di Ippolito Castiglioni che, in polemica con Camillo Boito,
Tullo Massarani, Enrico Panzacchi, si scaglia contro gli abbellimenti “ruffiani” dei seguaci di Fortuny, la pedanteria erudita nella scelta dei soggetti,
la trascuratezza della forma in nome del sentimento, sostenendo che “il
soggetto è sempre un pretesto per far dell’arte”7.
La prima Mostra Internazionale di Roma del 1883, tenuta a Palazzo delle
Esposizioni, sancisce d’altro canto l’affermazione di dipinti e sculture ispirati alla storia romana repubblicana e imperiale, traguardata attraverso il
filtro dell’attualità post-unitaria. Numerose sono le sculture che interpretano singoli personaggi fortemente simbolici, come il notevole Giulio
Cesare di Ettore Ximenes8.
Il dipinto Il fatto di Virginia di Miola, presentato appunto in questa occasione, nasce con l’intento di richiamare l’antica vis romana, attingendo
come suggestiva fonte iconografica a Pompei, che riplasma l’immagine di
Roma come una città di provincia palpitante di vita, dalle dimensioni
misurate e senza sfarzi decorativi. Un’immagine sostanziata anche delle
impressioni d’esuberante animazione delle strade e dei vicoli di Napoli9.
Se Morelli nel suo Bagno pompeiano aveva scelto un frammento di vita
popolato d’interpreti senza nome, cui lo spettatore colto poteva restituire un’identità sulla scorta di ricostruzioni letterarie contemporanee (si
veda il saggio di Carlo Sisi), scultori come Vincenzo Gemito o pittori come
Saverio Altamura infondono nel genere neopompeiano umori patriottici
da leggersi alla luce dell’attualità postrisorgimentale. Un abbinamento
adottato anche da Cesare Maccari, con forte investimento simbolico, nei
celebri affreschi di Palazzo Madama. In Dulce pro patria mori10, presentato
a Roma nel 1883, Altamura mostra il campo di battaglia con i corpi
ammassati dei soldati della X legione, quasi un ricordo de La Barricade di
Ernest Meissonier (Parigi, Musée du Louvre): un richiamo ai valori della
patria “in questo tempo di materialismo eccessivo, di indecorose transazioni, di vigliacche apostasie”11. Un dipinto forse debole sotto il profilo
“pittorico”, ma “artisticamente” valido, poiché coglie “la poesia della storia, cioè il vero unito al concetto”12.
Alcuni commentatori potevano scusare eventuali cadute ‘tecniche’ in
nome dell’idea, ma la fattura accurata e brillante s’accompagnava il più
delle volte ai soggetti neopompeiani. Come per l’art pompier13, per molta
parte di questa produzione, anche quando narrativa, la questione si gioca
tutta sulla téchne, capace di mantenere le opere di artisti tra loro diversi
su un livello di gratificazione estetica tale da rendere perdonabili eventuali cedimenti contenutistici. Mai come in questa fase contenuto e forma
divengono due insiemi distinti e non necessariamente comunicanti.
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Lo nota già Rocco De Zerbi nel commento alla Mostra Nazionale di Belle
Arti di Napoli del 1877, in cui osserva un fiorire di artisti che “perfezionano la forma, il procedimento, il mezzo, il mestiere, la verità del tono, la
verità del colore, la verità di luce e d’ombra”14. Ma, ammonisce il critico,
non basta parlare agli occhi, “bisogna giungere al cuore, e o turbarlo o
affascinarlo o inebriarlo – o turbamento, o ebbrezza, o fascino – senza
questi sintomi non v’è arte”15. Anche sulla scorta delle teorie di Théophile
Gautier, queste vibrazioni del sentimento, dell’anima, dei sensi, potevano
del resto originare esclusivamente dalla sofisticata perfezione formale,
divenendo il tema un mero pretesto come nella Sappho dello svizzero
Charles Gleyre (1867, Losanna, Musée Cantonal des Beaux-Arts, fig. 1); ma
anche nelle squisite finitezze lucenti di raso di Federico Maldarelli (fig. 2 e
cat. 19), che nella lezione purista coniugata alle teorie del vero trova la
misura di un nuovo idealismo risolto nella forma: corporeo e atemporale
insieme. Non il “sublime” nella forma propugnato da Luigi Mussini, che
comprendeva “la linea, il gesto, la nobile espressione del concetto”16, ma il
bello tale in quanto non eterno, infiltrato da quei sentori di corruttibilità
diffusi dai princípi del naturalismo ravvisabili per esempio nella Fabiola di
Maccari (Siena, collezione Chigi Saracini, fig. 3), che nelle vicende della
morta e risorta città di Pompei trovava un culmine di significazione.
Certamente, per i primi passi del filone neopompeiano, la lezione francese è fondamentale. È la graduale, ritrovata fortuna dei temi legati all’antichità classica, a partire dagli anni Quaranta in Francia, dopo la crisi dei
davidiani, a permettere, pur con le dovute correzioni d’angolazione, il fiorire del genere neopompeiano.
Già Paul Delaroche, con il suo storicismo cronachistico, aveva indicato un
nuovo possibile approccio alle vicende della storia, testimone raccolto poi
da Jean-Léon Gérôme attraverso la mediazione ingresiana. Se Antioco e
Stratonice di Ingres (Chantilly, Musée Condé), presentato al Salon del
1840, già mostra, nell’accurata raffigurazione di decorazioni murali e suppellettili antiche, la strada di una fedeltà al dato documentario come possibile potenziamento della suggestione pittorica pur nel dominio della
linea, è Gérôme, al centro della cerchia dei Neo-Greci17, a comprendere lo
straordinario potere insito in una rievocazione dell’antico rivestita delle
spoglie del quotidiano. Un metodo applicato con costanza, in concomitanza con le richieste della Maison Goupil, ai soggetti greco-romani, storici, orientalisti.
L’incontro tra Alma-Tadema e Gérôme a Parigi nel 1864, al ritorno dal
primo viaggio dell’artista inglese in Italia, dopo la ‘rivelazione’ di Pompei,
sembra coincidere con la maturazione della pittura neopompeiana di
Alma-Tadema. Quell’accentuazione epico-enfatica che Gérôme non cessa
di imprimere alla narrazione delle cronache della storia e dei frammenti
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del reale (basti vedere Pollice verso, 1872, Phoenix Art Museum e Le ultime preghiere, The Walters Art Museum, Baltimora), viene epurata già nei
primi dipinti di soggetto romano di Alma-Tadema.
Pur affiancato da altri artisti come Edward Poynter, Alma-Tadema rappresenta l’artista neopompeiano internazionalmente più noto in grado, grazie alle formidabili conoscenze archeologiche e alla tecnica impeccabile,
di rievocare l’antico quasi illusionisticamente, in una dimensione non aulica bensì intima e raffinata. Nelle sue opere è pienamente soddisfatto il
desiderio già espresso, nel 1834, da Edward Bulwer-Lytton dopo aver visitato le rovine di Pompei: “[...] popolare nuovamente quelle strade deserte,
ricomporre quelle affascinanti rovine, infondere nuova vita in quei corpi
sopravvissuti; attraversare quell’abisso di diciotto secoli e donare una
seconda vita alla Città dei Morti!”18. E Alma-Tadema attraversa quell’abisso con un veleggiare leggero, sospeso tra mito e realtà: ricompone una
società scomparsa, con tutta la sontuosa ricchezza o l’ordinaria semplicità dei suoi arredi, oggetti, costumi e abitudini, sempre traguardati attraverso il filtro dell’attualità sociale di fine Ottocento. Alma-Tadema, sentenzia Ugo Fleres nel 1883, “si slancia indietro attraverso i secoli e pianta
il suo cavalletto nella vera vita pagana”19.
Se da un lato l’esito più immediato dei suoi dipinti è quello di appagare
un ampio pubblico, non necessariamente colto, dall’altro l’estrema finezza tecnica, la sensibilità cromatica e luminosa, la complessità compositiva, la vaghezza dilettosa e senza tempo delle sue ambientazioni, lo apparentano pienamente al filone estetizzante anglosassone. Filone estetizzante che per artisti coevi come Frederic Leighton o Albert Moore tende
però a spostare la visione, nella rarefazione delle atmosfere e nella mitizzata bellezza dei corpi, verso esiti trasfiguranti e simbolisti. L’orizzonte di
questi artisti è una Grecia favolosa e depurata di ogni accidente, in una
visione apollinea dell’antichità classica (mentre in Alma-Tadema e nei
neopompeiani prevale, anche iconograficamente, la pur controllata componente dionisiaca) che lascia poco o nessuno spazio agli elementi del
quotidiano: un colloquio con l’antico che si sostanzia dell’ammirazione
per la statuaria classica, tradotta nei corpi torniti, nella purezza del disegno, nella latente astrazione delle ambientazioni e dei tratti fisionomici
che si ricollega all’estetica preraffaellita. Una contaminazione non estranea anche a molte opere di Alma-Tadema, dove talune figure mostrano
l’interrogativa fissità di antichi oracoli, dove l’elaborata bellezza femminile e maschile rinnova senza fine un’impossibile promessa di felicità terrena e libertà dei sensi, dove la corporea materialità delle rappresentazioni
rende struggente e reale la nostalgia dell’antico. Nei dipinti di Leighton,
osserva acutamente Richard Jenkyns, “il domestico si fa monumentale” e,
aggiungiamo noi, si tratta di un domestico affidato alla sottigliezza delle
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sfumature emotive, all’inafferrabilità delle vibrazioni del sentimento, più
che al dettaglio materiale e decorativo. L’antico di Alma-Tadema è visto
invece con gli occhi di un collezionista che gode nell’assemblaggio, spesso incoerente, dei capolavori del decoro e della statuaria greco-romana: la
sua resurrezione dell’antico sarebbe stata impensabile senza quella wunderkammer a cielo aperto chiamata Pompei.
Già Francesco Netti aveva definito i dipinti di Alma-Tadema “quadrimuseo”20 e non c’è dubbio che il riferimento iconografico principale,
soprattutto per la produzione del decennio 1864-1875, sia, più propriamente, quello della “casa-museo”; gli esempi sono innumerevoli, ma
basterà citare la stessa dimora di Alma-Tadema in Grove End Road a
Londra, il Museo di Gian Giacomo Poldi Pezzoli a Milano,Villa San Michele
di Axel Munthe a Capri, la casa “petit musée” di Gustave Moreau a Parigi:
in parte museo, in parte cabinet de curiosités, in cui lo sguardo può vagare tra piccoli bibelot ed eclatanti capolavori. La cultura materiale di fine
Ottocento tende inesorabilmente ad accumulare oggetti secondo una
foga feticista e onnivora che gradatamente, nell’intersecarsi degli umori
decadenti, si raffina nel culto dell’oggetto prezioso, sintesi di qualità estetiche irripetibili.
E nei dipinti di Alma-Tadema gli oggetti sono spesso i reali protagonisti,
posti sullo stesso piano della figura umana: in Un sacrificio a Bacco (1889,
cat. 61) la baccante che si staglia ieratica sulla sinistra del dipinto è materialmente ed esteticamente equiparata, quasi accorpata, al prezioso cratere in argento del tesoro di Hildesheim posto ai suoi piedi. Lo stesso si
può dire de La processione verso il tempio (1882, cat. 63), in cui la giovane donna fulva coronata di pampini è ‘offerta’ allo sguardo del visitatore
composta in un assemblaggio di importanti oggetti antichi e autentiche
minuzie, come la piccola statuina in bronzo sorretta dalla mano della giovane donna. Del resto, è proprio in questi anni che le ditte Sommer e
Chiurazzi diffondono nelle case borghesi, attraverso le proprie fonderie di
Napoli, l’oggettistica pompeiana ed ercolanense. Alcuni artisti, come Ettore
Forti, si specializzano in dipinti di piccolo-medio formato in cui il gusto
popolare per l’aneddoto s’unisce all’esposizione di una variegata oggettistica archeologica: in sinergia con le esigenze del mercato, Forti crea una
messe di scenette dalle tinte vivaci in cui i personaggi, per lo più ripetitivi
e ben distinti in stereotipate categorie psicologiche, sono intenti in azioni
quotidiane oppure occupati in effusioni condite di fatua malizia.
I quadri-museo di Alma-Tadema, come il sontuoso La galleria di statue
(1874, cat. 62), si distanziano dall’antico atemporale proposto dalla casamuseo neoclassica, in cui si privilegia il bello archetipico della statuaria
greco-romana. I repertori di sculture, dipinti e oggetti proposti da AlmaTadema sono invece calati in una dimensione quotidiana che conferisce
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credibilità a un passato ricostruito soggettivamente, creando l’illusione
seducente della “storia recuperata”21 e vivente. Come è noto, AlmaTadema è un conoscitore espertissimo, costantemente aggiornato in
materia archeologica, servendosi, oltre che di libri, di misurazioni e osservazioni eseguite personalmente durante le sue visite agli scavi e di un
vastissimo repertorio di fotografie di vari autori che ritraggono, oltre ad
ambientazioni pompeiane erotico-arcadiche con giovinetti nudi e rovine
(Wilhelm von Plüschow, Wilhelm von Gloeden), soprattutto immagini
degli scavi vesuviani e oggetti conservati nei musei più importanti
(Giorgio Sommer e altri). Ma non c’è sequenza cronologica nell’ordinamento delle immagini, bensì raggruppamenti in base al soggetto, il che
allontana metodologicamente l’artista dall’opera-documento, eliminando
l’equivoco di una pittura archeologica filologicamente impeccabile: trionfano invece la manipolazione di materiali e dimensioni, l’accostamento
antigerarchico di oggetti di diversa epoca e provenienza, in un’eclettica
varietà paragonabile, oltreché a una collezione, all’assortimento di una
galleria antiquaria: un tema, non a caso, spesso raffigurato nei dipinti di
Alma-Tadema. Le sue opere acquistano, in questa traccia, il carattere di
autentici Gesamtkunstwerk, “storia globale” del gusto e delle inclinazioni
di una società in un dato tempo.
Se il filtro interpretativo è quello dell’attualità, come dobbiamo intendere
questi “vittoriani in toga”22? Sulla stessa traccia di Bulwer-Lytton, le opere
di Alma-Tadema partono da un assunto tanto semplice quanto poderoso
per gli esiti immaginativi: gli antichi e i moderni sono fatti della stessa
carne, “mossi dalle stesse passioni ed emozioni”23. Le forme sociali che,
nelle diverse stagioni della storia, incanalano, organizzano e disciplinano
questa natura secondo diverse priorità, non mutano nel profondo la sua
sostanza. Pur variando le modalità, questo principio agisce tanto per
Alma-Tadema quanto per tutta la pittura neopompeiana, che dipinge un
altrove fisico e temporale con un’operazione raffrontabile, per certi versi,
a quella orientalista, ma afferma un principio esattamente inverso: non
evasione nella distanza bensì sorprendente contiguità.
In questo orizzonte acquista significato anche la conturbante rinascita del
paganesimo antico cui Alma-Tadema dà vita nei suoi dipinti: una pittura
sostanzialmente sollevata da implicazioni concettuali o preoccupazioni
spirituali, bensì puro godimento estetico e diletto dei sensi. Ma l’edonismo
di fondo che domina le sue opere non impedisce di leggerle anche come
un tributo all’affermarsi dell’irrazionalismo di fine secolo, all’interesse, diffuso anche dagli studi antropologici, verso magia e superstizione, verso
una visione del mondo sollevata dalla responsabilità e dalla problematicità del messaggio cristiano. Acquista senso in tale orizzonte la frequente
raffigurazione dei culti dionisiaci nelle opere di Alma-Tadema e in genera-
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le dei neopompeiani: “ogni epoca è capace di vedere solo quei simboli
dell’Olimpo che può riconoscere e assimilare in virtù dello sviluppo dei
suoi strumenti di visione interiore”, avrebbe più tardi sostenuto Aby
Warburg24. È evidente, però, che il dionisismo di Alma-Tadema rimane in
superficie, avulso dalla problematicità nietzschiana, bensì impegnato in
una celebrazione della bellezza come dato essenzialmente materiale,
esprimibile attraverso lo splendore abbagliante della forma e della sostanza degli oggetti, e grazie alla sicurezza della tecnica pittorica.
Come è noto, una più larga conoscenza della pittura di Alma-Tadema da
parte del pubblico italiano si ha all’indomani della Mostra Internazionale
di Roma del 1883, seguita alla prima mostra retrospettiva dell’artista alla
Grosvenor Gallery di Londra (1882-1883). Di Alma-Tadema, che quell’anno visita Roma e si trattiene a lungo a Pompei, sono in mostra a Palazzo
delle Esposizioni i due acquerelli Un domanda e La scala, e tre oli “che l’incisione ha popolarizzato”25, Lo studio del pittore, Il gabinetto dello scultore, Le feste vendemmiali. Non si tratta di una rivelazione, dato che AlmaTadema è legato all’Italia da un’intensa familiarità, connessa ai suoi ripetuti viaggi (1863, 1875, 1878, 1883) e ai rapporti stretti a partire dagli
anni Sessanta con l’ambiente napoletano, con Giovan Battista Amendola
e Morelli, di cui diviene amico e corrispondente26, argomenti approfonditi,
in questo stesso catalogo, da Luisa Martorelli e Alba Irollo. Ma sono molti
i contatti anche con gli artisti della cerchia romana. Nella capitale lavorano Luigi Bazzani e Roberto Bompiani, specializzati nel genere neopompeiano già negli anni Settanta, e molti altri artisti legati ad Adolphe Goupil
(si veda il saggio di Gianluca Berardi); senza contare l’attività
dell’Academia de España al Gianicolo27, i cui pensionanti, come Joaquín
Sorolla, Arcadio Mas Fondevila (cat. 41), Manuel Ramírez Ibáñez, si cimentano nelle tematiche neopompeiane attraverso la mediazione di fortunismo e pittura pompier. A Roma lo stesso Alma-Tadema incontra gli artisti
del Caffè Greco e visita lo studio del polacco Henryk Siemiradzki che in via
Gaeta si era costruito, non lontano dal Villino Maccari in piazza Sallustio,
una dimora in stile eclettico-antico. L’artista inglese è poi in amichevoli
rapporti con Guglielmo De Sanctis: presso il Fondo De Sanctis del Museo
di Roma sono infatti conservate tre fotoincisioni di dipinti di AlmaTadema affettuosamente dedicate “à mon ami De Sanctis”28.
Senza contare che l’ampia circolazione di incisioni29 che riproducono le
opere del pittore anglosassone contribuisce (come nel caso di Gérôme) a
diffondere il nome e l’iconografia tademiana. Carlo Bonatto Minella sembra conoscere le opere di Alma-Tadema quando nel 1878 esegue La religione dei trapassati (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e
Contemporanea, fig. 6): pur basato sui modelli iconografici della pittura
vascolare greca (cfr. Guhl, Koner 1875, fig. 321), è accostabile all’analogo
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Un’offerta votiva (1873, opus CXVIII, collezione privata30) dell’artista inglese, portando però il soggetto sul terreno della rievocazione malinconicamente toccante di un’antichità più sognata che materialmente riportata
alla vita. Era d’altro canto consuetudine di artisti e critici viaggiare oltre
confine per visitare le mostre europee: al Salon parigino del 1873,
Telemaco Signorini dichiara interesse per l’arte di James Tissot e AlmaTadema31, e all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 Diego Martelli, di
dichiarato credo verista, spende parole di apprezzamento per l’opera di
Alma-Tadema, di cui ammira la sensibilità coloristica, quasi un’eco dei
veneziani e di Veronese32.
Non mancano polemiche in merito ai dipinti dell’artista anglosassone
esposti a Roma nel 1883: Ferdinando Fontana, quell’anno in forte contrasto con De Zerbi33, nota come altri suoi contemporanei la rigidità delle
figure, le pose poco naturali, il disegno secco e meticoloso. Ma nel complesso le reazioni della critica sono positive. Luigi Bellinzoni, tradendo un
approccio languido e sentimentale, definisce gli acquerelli, inseriti nella
prima sala “gentile e profumata come un canestro di rose”, come un
“incanto di grazia inventiva e di fattura”34, mentre gli oli rivelano la profonda conoscenza del mondo antico, tale da fare di Alma-Tadema un
“Winkelmann della pittura moderna”35.
Ma soprattutto è D’Annunzio a catalizzare l’attenzione attorno ad AlmaTadema, dedicandogli un celebre articolo sul “Fanfulla della Domenica”36
in cui, commentando l’esposizione romana, dimostra ammirazione per
“quelle fini fioriture architettoniche e quelle suppellettili sacre e quegli
ornamenti eleganti”, a contatto con i quali “le carni prendono una nitidezza gemmea”. D’Annunzio ha impresse negli occhi quelle fanciulle eteree e
attonite, le loro chiome fulve che incorniciano visi diafani illuminati da un
sole che più che la potenza del Mediterraneo esprime i riverberi argentei
dei cieli anglosassoni. La suggestione di queste visioni agisce a lungo sulla
sua penna, fino a manifestarsi con enfasi trasfigurante, attraverso il meccanismo ecfrastico37, ne Il Piacere (1889), suo romanzo d’esordio.
Alma-Tadema è accostato da D’Annunzio ai Preraffaelliti di cui si fa sostenitore, contribuendo a diffondere il gusto estetizzante della loro pittura
nell’ambiente artistico che frequenta a Roma, riunito, a partire dal 1889,
attorno al conte Giuseppe Primoli e al principe Baldassarre Odescalchi.
Nei primi anni Novanta, Primoli è anche autore di curiosi tableaux vivant
in cui lui stesso, la marchesa San Felice e Giulio Aristide Sartorio mimano,
forse non senza ironia, scene neopompeiane con anfore, buccheri e pelli di
leopardo (Roma, Fondazione Primoli). Sartorio sembra particolarmente
risentire delle indicazioni dannunziane, producendo a partire dalla fine
degli anni Ottanta alcuni dipinti d’ambientazione neopompeiana-tademiana, per lo più dispersi e noti attraverso fotografie d’epoca (fig. 5).
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Un’antica riproduzione di Un caloroso benvenuto di Alma-Tadema (1878,
Oxford, Ashmolean Museum), conservata presso gli Eredi Sartorio, conferma la traccia di questo interesse verso l’artista, mentre sarebbe da vagliare con attenzione il contenuto delle Carte Pietro Giorgi, recentemente
depositate alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma38.
La datazione delle opere tademiane di Sartorio non è chiara, ma pare evidente che esse riflettono una genesi sofferta e non del tutto coerente,
frutto di una molteplicità di stimoli e forse anche della confusione creata
dalle valutazioni di D’Annunzio (e non solo) tra temperie preraffaellita e
tademiana, certamente limitrofe, talvolta intrecciate (si veda la produzione di John William Waterhouse), ma non sovrapponibili. Confusione poi
superata da Sartorio nei dipinti bizantini e simbolisti.
Le ricerche di Sartorio sono raffrontabili con quelle condotte da Giulio
Bargellini39 a Firenze a partire dal 1889, anno in cui, ventenne, dipinge
Mestizia (Foto Alinari, ubicazione ignota). Li accomuna la predilezione per
gli intrecci sentimentali-amorosi, lo stretto taglio orizzontale, la vaghezza
dei riferimenti archeologici, lontana dall’erudizione di Alma-Tadema ma,
allo stesso tempo, non estranea a molti dei suoi dipinti degli anni Ottanta
più liberi dal citazionismo del primo decennio.
A queste date, l’ambiente fiorentino risulta già pienamente fecondato dai
dipinti ispirati alla storia di Roma del modenese Giovanni Muzzioli che, già
nel 1876, vi aveva esposto La vendetta di Poppea (cat. 48), concepito sulla
scia di Gustave Boulanger e Gérôme, continuando poi a specializzarsi nel
genere neopompeiano con un’angolazione sempre più tademiana:
all’esposizione di Parigi del 1878, infatti, ha modo di osservare, secondo
quanto testimonia Adolfo Venturi40, i dipinti dell’artista inglese, di cui tradurrà poi le suggestioni archeologiche e d’ambientazione in opere raffinate come Al tempio di Bacco (1881, cat. 28), reinterpretato in scultura da
Luigi Preatoni nel 188441, e L’offerta nuziale (esposto a Torino nel 1884, cat.
27). Seguono poi capolavori come I funerali di Britannico (esposto a
Bologna nel 1888, cat. 47), in cui vibra una forza espressiva del tutto peculiare, aliena dalla composta rarefazione ritratta da Alma-Tadema, più affine, forse, alla carica drammatica e al senso del pathos tipico dell’arte storicista francese dell’epoca, capace di far convivere retaggi romantici e
accuratezza verista.
Del resto, Muzzioli produce anche, sospinto dalle indicazioni mercantili
impartite da Luigi Pisani soprattutto tra fine anni Ottanta e primi anni
Novanta, dipinti di piccolo-medio formato in cui trionfano, analogamente alle opere contemporanee di Raffaello Sorbi e Amos Cassioli, scene
galanti, talvolta leziose, ambientate in eleganti interni marmorei (Il
responso delle nozze, ubicazione sconosciuta42). Giovanni Fattori ha forse
in mente alcune di queste opere più frivole quando definisce criticamen-
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te Giovanni Muzzioli come un “Almatadema [sic] in decadenza”43. La
Galleria Pisani, analogamente alla linea di mercato di Goupil ed Ernest
Gambart per Alma-Tadema, sembra favorire i soggetti neopompeiani,
commerciando opere scenografiche e di notevole forza espressiva, in linea
con il gusto internazionale geromiano, come La corsa delle bighe nel Circo
Massimo di Carlo Ademollo (ubicazione sconosciuta44), tema allora molto
in voga come testimoniano numerosi e più seriali dipinti di Ettore Forti,
ma anche The Chariot Race di Alexander von Wagner (Manchester Art
Gallery). È lecito pensare che su Bargellini agisca anche l’influsso di
Muzzioli, sebbene la sua resa dei soggetti tradisca il più delle volte una differente intonazione, talvolta quasi misticheggiante, più facilmente conciliabile con gli umori preraffaelliti-simbolisti respirati a Roma da Sartorio
grazie alla mediazione dannunziana.
Gli anni Novanta vedono un’affermazione internazionale assoluta di
Alma-Tadema: alla World’s Columbian Exhibition di Chicago del 189345
viene affermato che quello di Alma-Tadema, che presenta Un passo di
Omero, è probabilmente il nome più popolare dopo quello del presidente!
In Italia, negli stessi anni, Alma-Tadema espone alla prima Biennale di
Venezia (1895) e alla celebre Festa dell’Arte e dei Fiori di Firenze (18961897), dove presenta l’Autoritratto donato agli Uffizi (1896, cat. 55). A
consacrare la fama italiana di Alma-Tadema contribuirà infine la voce
autorevole del mensile illustrato “Emporium” che, nell’ambito di una politica pubblicistica volta alla valorizzazione di tutta l’arte inglese orbitante
attorno al preraffaellismo e alle correnti estetizzanti (Rossetti, Burnes
Jones, Poynter, Millais), gli dedica nel 1897 un lungo articolo ampiamente illustrato a firma Helen Zimmern46. A suggello di questo lungo rapporto con l’Italia, nel 191247, anno della morte dell’artista, entra a far parte
delle collezioni dell’Accademia di San Luca, per donazione dell’autore, un
Autoritratto in cui Alma-Tadema, nella stessa posa dell’autoritratto degli
Uffizi, si ritrae con il cappello di paglia, feriale e dimesso, al lavoro su una
tela senza cornice che ci piace immaginare sia ancora da compiere.
È curioso che un romanzo come À rebours di Joris-Karl Huysmans (1884),
testo cardine della poetica simbolista e dello spirito decadente, ci fornisca
una delle possibili chiavi di lettura della temperie culturale che ha permesso l’affermazione del genere neopompeiano. Entriamo nella biblioteca del
protagonista del romanzo, Des Esseintes. Su tutta la cultura letteraria latina cala, tagliente e senza appello, la condanna del protagonista: per Des
Esseintes solo Petronio è in grado di procurare un autentico godimento:
“[...] eccolo finalmente un acuto osservatore, un fine analista, un pittore
meraviglioso”, sentenzia il protagonista. Il Satyricon, di cui anche AlmaTadema possiede una copia nella vasta biblioteca48, è per lui un autentico
romanzo verista: una “fetta di vita romana tagliata nel vivo” dove l’auto-
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re “dipinge in una lingua da orafo i vizi d’una civiltà decrepita, d’un impero che si va sfasciando”49. In queste parole prende corpo un topos della
pittura e in generale dell’arte neopompeiana, ovvero l’istintivo confronto
tra l’opulenta e materialista società borghese di fine Ottocento e quella
romana imperiale, satolla e corriva, già infiltrata dei germi che avrebbero
causato, nel collidere con la ‘rivoluzione’ cristiana, il futuro disfacimento.
È, in qualche misura, l’atteggiamento che ritroviamo nei sontuosi dipinti
neopompeiani di Siemiradzki. Nel fastoso Orgia romana al tempo dei
Cesari (San Pietroburgo, Museo Russo), l’artista immagina scenari di lascive sfrenatezze che amplificano, estremizzandolo, il senso di dissoluzione
dei valori e corruzione dei costumi che già Thomas Couture aveva impresso al suo celebre dipinto I Romani della decadenza (1847, Parigi, Musée
d’Orsay), ispirato a Giovenale. Ma se nel dipinto di Couture resiste ancora
un senso di classica e ariosa compostezza, il rigore metrico della quinta
architettonica, l’intensa significatività del gesto di sicura derivazione
accademica, nell’opera di Siemiradzki prevalgono il disordinato ammasso
dei corpi, la flacca grassezza dei ventri, i violenti contrasti luministici in
un’atmosfera notturna e losca che costituisce il reale commento alla
scena. Anche nel dipinto più celebre di Siemiradzki Le torce di Nerone
(1876, Cracovia, Muzeum Narodowe, fig. 7), eseguito a Roma e presentato in tutta Europa, a partire dall’Accademia di San Luca a Roma (1876), in
un trionfante tour d’ammirate ovazioni, permane un atteggiamento ambiguo: sebbene il tema principale sia quello del martirio cristiano celebrato
con esibita e indifferente crudeltà dallo scellerato per eccellenza, il Divo
Nerone, ai sacrificandi non è lasciata che un’angusta porzione della scena.
In una spettacolare ambientazione architettonica, sorprendente anticipazione del futuro Vittoriano a Roma50, una folla di uomini e donne, che
incarna tutte le categorie e tutte le classi della società romana d’epoca
imperiale, prende posizione in questa pantomima della lussuosità, licenziosa e crapulona, che tuttavia non sembra incorrere in un’effettiva condanna da parte dell’autore.
Due mondi, quello pagano e quello cristiano, del tutto incomunicanti. Ma
da quel mondo antico è distante anche l’uomo moderno, tormentato dai
tumulti dell’anima e dalla “tempra nervosa”, stordito dal rêve e dal sentimento. Al mondo romano si può guardare, è il caso di Rocco De Zerbi,
come a un’èra perduta di libero e sensuale “rigoglio del sangue”: “Amore,
pel Romano, era possedere; il godimento era l’orgia, l’orgia alla quale le
nostre forze non reggono. […]. L’ubbriachezza nostra è opposta a quella
del mondo romano. L’orgia della birra ha vinta l’orgia del Falerno”51.
Per l’uomo (e l’artista) moderno, De Zerbi disegna due Rome, entrambe
capaci di corrispondere ai bisogni della sua epoca: una terribile e affascinante, la grande Roma, quella dei Silla e dei Cesari, dove regna “la vertigi-
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ne dell’insaziabilità, del poter suscitare ed abbattere, del creare e distruggere”, l’altra, la piccola Roma, quella elegante e piena di gusto, comoda e
posata (borghese) di Orazio, “una pozza piena d’acqua di rose” opposta
alla vertigine oscura dell’Impero.
“Il culmine del vizio è il soglio dei Cesari. Su quel soglio si levano pingui
profumi che ubriacano gli imperatori di vanità sublime e terribile […] e il
papato è stato erede dei Cesari”, conclude De Zerbi. Dunque è ancora sulla
natura umana che si fissa l’obiettivo, sulla sostanziale immutabilità delle
sue aspirazioni e dei suoi squilibri, come anche delle sue qualità.
Guardiamo due facce della stessa medaglia: le familiari scene da cortile di
Camillo Miola (Orazio in villa, cat. 49), piene di garbo brioso e verità di
tono, e il Nerone di Siemiradzki che uccide con indifferenza sublime.
L’imperatore sanguinario, il primo persecutore dei cristiani, l’artista paradossale ed egotico, l’uomo lascivo e volubile, tiranneggiato dalle proprie
debolezze, immorale: in una parola Nerone. La sua è senza dubbio una
delle figure più popolari nella letteratura52 e nell’arte italiane, anzi europee, tra fine Ottocento e primi Novecento, la cui narrazione prende spunto dai princípi veristi, si intreccia ai languori di un incipiente decadentismo
e a tutti quegli studi che, sotto diverse angolazioni, ripercorrono e riesaminano la storia della prima èra cristiana.
Citando Paul Saint Victor, nel 1891, Enrico Callegari53 descrive Nerone: “un
giovane uomo biondo, miope, nervoso, un po’ grasso, gracile di gambe e
dall’aria indecisa. Aveva molto del dandy moderno; ne aveva i tic, l’insolenza, la passione equestre, l’amore per le coulisses”. Nerone, dunque,
come un moderno, tale anche nella sua versione più domestica, che ne
sottolinea la venatura patetica e risibile, le inclinazioni viziose e sconciamente trasgressive dell’“istrione da taverna”; ed ecco il noto Nerone travestito da donna di Emilio Gallori, che Camillo Boito aveva descritto come
“una donnaccia”, dalle mani polpute, le braccia nude, le spalle cicciose che
canta e recita in un teatro da trivio54. Un’attrazione per l’equivoco (condannato o meno) che solletica le fantasie di fine Ottocento, in un salto
temporale che dal lupanare pompeiano, scoperto sotto la guida di Fiorelli,
porta ai bordelli parigini di Henri de Toulouse-Lautrec.
Ma la rievocazione di un’antichità popolata di personaggi di dubbia moralità, dediti all’appagamento dei propri bisogni e desideri materiali, inclini
all’ebbrezza, lassi e concupiscenti, si tinge delle più diverse sfumature,
come nel caso dell’enorme gruppo scultoreo di Ernesto Biondi I Saturnali
(1888-1899, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, fig. 4)55, preceduto dal ‘caso’ creato dai Parassiti di D’Orsi (cat. 30) e, non a caso, apprezzato anche da Domenico Morelli. Una scena di pura decadenza, fisica e
morale. Due mondi, quello patrizio e quello plebeo, si intrecciano e si fondono in un comune destino di annientamento e scomparsa. Biondi,
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agguerrito socialista, anticlericale ma severo fustigatore dei costumi, disegna “tipi eterni”, trasfonde nel gruppo, alle soglie del nuovo secolo, tutto
il disgusto, l’amarezza, la preoccupazione per il materialismo del suo
tempo, per la vacuità d’ideali e sentimenti che non riempie più le speranze postunitarie, in una prospettiva che non vuole essere storica, bensì
umana e universale.
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1 Sisi 1993. Come interventi successivi si
vedano Sisi 1997-1999; Mazzocca 19971999; Ascione 2003, pp. 84-93; Martorelli
2005; Frezzotti 2006, pp. 41-47.
2 M. de Staël, Corinne ou l’Italie, Parigi 1807.
Edizione consultata de Staël 1985, p. 300.
3 Martorelli 2005, p. 62.
4 Chassériau 2002, pp. 366-369.
5 Si veda il dipinto Filelleni della Magna
Grecia, esposto a Bologna nel 1888, e il
relativo commento ne
L’Illustrazione Italiana 1888.
6 Pogliaghi realizza le tavole da cui vari
incisori ricavano le illustrazioni per più di
mille pagine di testi e immagini. Alcune
tavole originali sono riprodotte, attraverso
fotoincisioni dell’Ospizio di San Michele di
Roma, in Una raccolta di 180 tavole
riproducenti opere d’arte (s.a.) conservata
presso la Biblioteca di Archeologia e Storia
dell’Arte, Roma, Palazzo Venezia (BIASA).
7 Castiglioni 1880, p. 18.
8 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883.
9 Lo nota anche Bulwer-Lytton all’inizio del
primo capitolo di The last days of Pompeii
(1834) descrivendo l’arrivo di Clodio in Via
Domitiana: “era affollata di passanti e carri e
mostrava tutta quella gaia e animata
esuberanza di vita e movimento che
troviamo ai nostri giorni per le strade di
Napoli” (traduzione dell’autore).
10 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883.
11 Lazzaro 1883, p. 38.
12 Ibidem.
13 Si veda in proposito Luderin 1997.
14 De Zerbi 1877, p. 46.
15 Ibidem, p. 47
16 Mussini 1893.
17 Il termine Néo-Greques è coniato da
Claude Vignon nel 1852 (Vignon 1852).
Sui rapporti tra Alma-Tadema e i Neo-Greci
si veda Whiteley 1996, pp. 69-76.
18 Edward Bulwer Lytton, The last days of
Pompeii, prefazione all’edizione del 1834. La
presente traduzione è dell’autore.
19 Fleres 1883. Sulla mostra del 1883, si
veda Piantoni, in Il Palazzo delle Esposizioni
1990, pp. 109-121.
20 Netti 1938, p. 145; Netti 1980, p. 231.
21 L’espressione è utilizzata da Mottola
Molfino 2003, p. 99, a proposito degli
allestimenti museali di secondo Ottocento.
22 Definizione utilizzata da Forbes 1973.
23 Alma-Tadema 1909.
24 Cfr. Gombrich 2003, p. 166.
25 Bellinzoni 1883, p. 105. I titoli sono
quelli utilizzati nei cataloghi d’epoca.
26 Cfr. Picone Petrusa 1991, vol. 2, pp. 510513, 520.
27 Sull’argomento González, Martí 1996.
28 Ringrazio Teresa Sacchi Lodispoto per
l’utile segnalazione.
29 Ne dà chiarissima testimonianza
Francesco Netti (Netti 1938, p. 144)
commentando le opere esposte alla mostra
di Roma del 1883: “una bella incisione della
Festa della vendemmia ricomparisce
periodicamente nelle vetrine dei negozianti
di stampe da quattro o cinque anni; e coloro
che sfogliano i giornali illustrati inglesi,
conoscono Lo studio dello scultore […] e Il
gabinetto di un amatore”.
30 Riprodotto in Alma-Tadema 1996, p. 178.
31 Monti 1984, pp. 101-108.
32 Dini, Dini 1996, p. 189.
33 Fontana 1883.
34 Bellinzoni 1883, p. 27.
35 Ibidem, p. 105
36 D’Annunzio 1883.
37 Pieri 2001.
38 Bruno Mantura accenna al contenuto di
alcune di queste lettere in Giulio Aristide
Sartorio 1989, pp. 20-22.
39 Presso il Museo di Roma di Palazzo
Braschi si trova, nel Fondo Bargellini, un
gruppo di riproduzioni a stampa di dipinti di
Alma-Tadema, senza date, dediche o
iscrizioni, a testimoniare il supporto
documentario ricercato dall’artista alla
produzione di questi anni.
40 Cfr. Modena Ottocento e Novecento
1991, p. 116.
41 Riprodotto come L. Preantoni [sic], Al
tempio di Bacco, in Ricordo della Pubblica
Esposizione 1884. Devo la segnalazione di
questo album, che raccoglie alcune opere
ALMA
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STALGIA
DELL’
ANTICO
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neopompeiane importanti oggi disperse, a
Teresa Sacchi Lodispoto, Archivio
dell’Ottocento Romano.
42 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole,
cit., serie III, tav. 23, Roma, BIASA.
43 Lettera indirizzata nel 1887 a Diego
Martelli, in Giovanni Fattori 1983, p. 242.
44 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole,
cit., serie III, tav. 22, Roma, BIASA.
45 Cfr. “The World’s Columbian Exposition
of 1893” in http://columbus.gl.iit.edu/, sito
web dell’Illinois Institute of Technology che
fornisce informazioni rigorose e complete
(testi e immagini dei cataloghi compresi)
su questo evento di rilevanza mondiale.
46 Zimmern 1897. La Zimmern era già
autrice di un ampio intervento
monografico su Alma-Tadema pubblicato a
Londra nel 1886
(Zimmern 1886).
47 L’artista aveva esposto anche l’anno
prima a Roma, nel padiglione inglese della
mostra del Cinquantenario: Galleria di
sculture (n. 119), Il bacio (n. 120), Ritratto
del prof. George Aitchison (n. 121).
48 Barrow 2001, p. 39.
49 Huysmans 1994, p. 47.
50 Il 9 gennaio 1878, due anni dopo
l’esposizione a Roma, presso l’Accademia di
San Luca, dell’imponente dipinto di
Siemiradzki Le torce di Nerone, il
Parlamento italiano decide di erigere un
monumento al Re Padre della Patria
Vittorio Emanuele II, morto quell’anno. È
possibile che il dipinto di Siemiradzki,
stabilitosi a Roma già nel 1872 e lì
residente fino alla morte (1902), abbia
costituito motivo di ispirazione per il
progetto del Vittoriano. Per le vicende e la
storia del Vittoriano si confrontino:
Antellini 2003 e Brice 2005.
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51 De Zerbi 1877, p. 59.
52 Numerose e diverse le opere che
potremmo citare: la commedia Nerone di
Pietro Cossa (1871), il poema di Robert
Hamerling Nerone: Assuero a Roma (1872),
Lucio Domizio Nerone Claudio Imperatore.
Baloccagine fiorentina di Diego Martelli
(1872), la tragedia Nerone di Arrigo Boito,
rappresentata postuma nel 1924, il
melodramma Nerone, di Attilio Catelli
(1888), infine il classico Quo vadis di
Henryk Sienkiewicz (1894-1896). Senza
contare il noto romanzo di Alexandre
Dumas padre dedicato all’amante di
Nerone Actè (1838).
53 Gli interventi di Callegari (Callegari
1890, Callegari 1891) erano stati preceduti
da quello di Domenico Gnoli, Nerone
nell’arte contemporanea (Gnoli 1876).
54 Boito 1877b, pp. 333-334.
55 Per una più ampia trattazione cfr.
Frezzotti 2006, pp. 41-47.
ALMA
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E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
saggio dal catalogo
Materiali archeologici nei quadri di
Alma-Tadema: alcune considerazioni
Nadia Murolo
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Alma-Tadema non è un archeologo. Né è sua intenzione esserlo.
Pur apparendo ai suoi contemporanei come “un ricercatore instancabile di
cose antiche” 1, il suo rapportarsi con gli spazi e le strutture architettoniche dell’antichità, con le più svariate suppellettili, è altro, evidentemente,
da quello di uno specialista.
Pur suscitando ammirazione per la ricchezza e i dettagli degli oggetti
riprodotti nei suoi quadri (paragonati a veri e propri ‘musei’), il suo approccio all’antico e ai suoi materiali è segnato dall’intrecciarsi di esperienze di
documentazione e di interventi di manipolazione sugli oggetti così come
sulle strutture, che gli permettono di farli scivolare dalla dimensione di
reperti archeologici a quella di edifici abitati, di oggetti in uso o di opere
d’arte pienamente fruibili nella loro integrità.
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Le forme e le fonti della documentazione sui materiali archeologici
“My first visit to Italy was a revelation to me. It extended my archaeological learning to such a degree that my brain soon become hungry for it”2.
Per Alma-Tadema le visite ai musei e ai siti archeologici durante il lungo
viaggio in Italia del 1863, e in quelli che seguirono, furono occasioni ineguagliabili per conoscere l’antichità con un approccio diretto, senza alcuna forma di mediazione. Poté veder riuniti nelle grandi raccolte dei maggiori musei italiani3, veri e propri ‘ammassi’ di opere d’arte antica (esposte
secondo i criteri positivistici dominanti al tempo) e li ripropose poi, nell’effetto di accumulo, in alcuni spettacolari dipinti (Una galleria di statue
nella Roma augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il collezionista di quadri al tempo di Augusto, La galleria di quadri (fig. 1), Appassionato d’arte
romano del 1868 (fig. 2), Appassionato d’arte romano del 1870,
Giocoliere, Festa della vendemmia. Ebbe modo di confrontarsi direttamente con i grandi monumenti di Roma e soprattutto di conoscere le peculiarità delle città vesuviane, con gli edifici e i tessuti urbani riemersi in oltre
un secolo di scavi archeologici. Di Pompei riprodusse alcuni scorci in
Ingresso in un teatro romano, Il mercato dei fiori, Un altarino, Un’esedra
(cat. 65) riportando le rovine alla loro antica integrità, rivitalizzandole con
i colori degli intonaci e delle stoffe, popolandole di personaggi. Visitando
scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare i siti, le architetture e i
reperti di cui raccogliere successivamente la documentazione grafica e
(ormai soprattutto) fotografica, di fare rilievi e disegni, di ricopiare iscri-
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DELL’
ANTICO
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zioni e particolari architettonici, di fare rapidi schizzi degli oggetti che
maggiormente lo interessavano. Della sua pratica del disegno dal vero e
delle sue elaborazioni ci restano diversi bozzetti che riuniscono insieme
oggetti della stessa tipologia4 e sviluppi grafici – nella ben collaudata tecnica che risaliva già alla pubblicazione della prima collezione di antichità
di William Hamilton5 – come quello realizzato per trasformare la decorazione dello stamnos del Pittore del Deinos al Museo Archeologico di
Napoli6 (fig. 4) in una pittura parietale nel dipinto Una festa privata.
Lo strumento che più caratterizza il modo con cui Alma-Tadema si documentava sui materiali archeologici è, però, la fotografia7. Il suo archivio,
organizzato con criteri tematici, comprendeva un gran numero di immagini di reperti greci e romani: in prevalenza sculture e decorazioni architettoniche ma anche le immancabili riproduzioni di affreschi parietali
delle città vesuviane. Esso costituiva il suo personale data base di materiali archeologici, un vero e proprio ‘museo virtuale di reperti antichi ’ cui
l’artista attingeva in maniera sistematica e che, insieme alla documentazione grafica e alle copie di reperti archeologici di cui pure disponeva, era
per lui, così come i colori e i pennelli, uno strumento di lavoro fondamentale8. Dopo il viaggio in Italia del 1863 la collezione fotografica, già iniziata in precedenza, si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi
di Pompei ed Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Il quadro
Tibullo nella casa di Delia del 1866 (fig. 3 e cat. 56), con l’inserimento nell’arredo di diversi oggetti provenienti dai siti vesuviani, di cui possedeva
copie fotografiche9, dimostra che il sistema di elaborazione delle immagini pittoriche partendo da spunti fotografici era pienamente consolidato. Il
suo archivio comprendeva in gran numero le serie di fotografie realizzate
dai maggiori fotografi di antichità come souvenir, per una clientela di turisti colti, dei siti più frequentati al tempo: le immagini di Pompei, molto
ben documentata, sono di Michele Amodio, Robert Rive e Giorgio
Sommer10, che collaborò a lungo con il direttore degli scavi Giuseppe
Fiorelli. Anche Atene, e in particolare l’Acropoli della città antica, di cui si
realizzavano in quegli anni lo scavo e il restauro11, è ben documentata nel
suo archivio con fotografie di William Stillman; tra queste, l’immagine con
vista del fregio del Partenone dalle impalcature12 presenta la stessa inquadratura con cui fu realizzato Fidia mostra agli amici il fregio del Partenone13.
L’endiadi disegno dal vero-fotografia, quali strumenti di documentazione
del pittore, è ben rappresentata nella scelta di farsi fotografare mentre è
impegnato a far rilievi e a disegnare nella Casa di Sallustio a Pompei.
Come molti altri artisti dell’Ottocento Alma-Tadema possedeva, inoltre,
una collezione di riproduzioni di oggetti antichi, sia in scala sia in proporzioni pari al vero: in marmo, bronzo, terracotta o realizzati con la recente
tecnica della galvanoplastica. Tali riproduzioni, ben distinte dagli oggetti
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antichi falsificati, ma al tempo stesso non esenti da integrazioni moderne
in stile, rientravano pienamente nel gusto eclettico dell’epoca e allo stesso tempo risultavano funzionali per il suo lavoro. Tra queste, alcune dei
vasi in argento più spettacolari del tesoro di Hildesheim, rinvenuto nel
1865, di cui fece uso ricorrente nelle sue composizioni14: il grande cratere
a campana decorato a sbalzo con girali ed eroti, la patera lobata15 e molto
probabilmente anche la patera con, sul fondo, Atena in trono a rilievo.
Aveva, inoltre, bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi (che detenevano il
monopolio della riproduzione delle opere del Museo Archeologico di
Napoli)16 oltre, ovviamente, alle meno costose ceramiche, anche queste
spesso oggetto di rielaborazioni se non di vere e proprie falsificazioni da
parte degli artigiani ottocenteschi i quali, approcciandosi con notevole
autonomia agli originali, le riproducevano realizzando in diversi casi veri e
propri pastiches di tecniche, forme e decorazioni evidentemente improbabili che pure ritornano in alcuni suoi quadri17.
Anche la sua biblioteca privata fu per Alma-Tadema un’importante fonte
di documentazione. Con i suoi oltre quattromila volumi18 essa costituiva,
certamente, una delle più ricche raccolte di tema storico e archeologico
nell’Inghilterra vittoriana19.
Ma, al di là dell’antichità riprodotta o descritta, è soprattutto quella nota
per esperienza diretta, nelle visite ai musei e ai siti archeologici, a fornire,
come ricordato, documentazione e soprattutto ambientazione per le sue
composizioni. Tra i tanti visitati, il British Museum di Londra e il Museo
Archeologico di Napoli costituirono, sicuramente, i poli di maggior interesse; veri e propri ‘manuali dell’antico’ squadernati nella loro varietà di
oggetti e materiali, nella loro vivacità di colori accompagnarono negli anni
la sua pittura. Nel grande museo britannico ebbe modo di avvicinarsi alle
diverse realtà archeologiche del mondo antico20, conoscere le collezioni
Hamilton e Townley e i complessi delle decorazioni architettoniche del
Partenone e del tempio di Apollo a Basse21, e poté, inoltre, familiarizzare
con alcune classi di materiali tra cui le cosiddette “tanagrine”, statuette
greche femminili di terracotta policroma che ritorneranno con le loro eleganti silhouettes nei suoi quadri, riprodotte come ninnoli d’arredo o riecheggiate di frequente negli abbigliamenti e nelle pose dei personaggi
femminili22. Al Museo Archeologico di Napoli, di certo la sua fonte più
importante e peculiare di documentazione per il numero e la particolarità degli oggetti, Alma-Tadema conobbe soprattutto la grande varietà di
reperti dalle città vesuviane. Anche questi, evidentemente, erano presentati secondo i criteri museografici del tempo, già tipici dell’allestimento
borbonico, suddivisi cioè per classi e del tutto privati del loro contesto originario, per cui, per esempio, intere sezioni di affreschi parietali staccate
dagli edifici erano incorniciate ed esposte come quadri e gli emblemata dei
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mosaici, originariamente decorazioni pavimentali, erano murati alle pareti.
Tale visione decontestualizzata, per categorie, incoraggiava, evidentemente, l’impiego per singoli elementi che il pittore faceva di questi reperti.
Tra le antiche città vesuviane fu Pompei il set preferito delle ambientazioni di Alma-Tadema. La Pompei visitata e disegnata dal pittore era fondamentalmente la Pompei scavata e restaurata da Giuseppe Fiorelli23, concretamente fissata nel plastico di sughero che lo stesso archeologo faceva realizzare in quegli anni24. Una città, a quell’epoca, riportata alla luce
per metà circa della sua estensione, nella parte a ovest della Via di Stabia;
una città dalla conservazione ineguale che nelle zone indagate negli anni
più lontani era già ridotta a un rudere con i muri sbrecciati e le pitture
sbiadite, mentre in quelle di esplorazione più recente mostrava la possenza delle murature e i colori vivi degli affreschi anche se le case e gli edifici pubblici erano ancora senza tetti, riparati piuttosto solo da modeste
tettoie. Le ricostruzioni complete degli ambienti con gli alzati e con i
sistemi di copertura erano al tempo, infatti, soltanto disegnate dagli illustratori dell’opera dei fratelli Niccolini Le case ed i monumenti di Pompei
disegnati e descritti (1854-1896)25, come già in passato dai pensionnaires
dell’École des Beaux-Arts, e fu forse proprio il successo indiscusso di queste ‘ricostruzioni per immagini’ – presenti sia nelle illustrazioni delle grandi pubblicazioni scientifiche sia nei quadri di soggetto ‘antico’ (di cui i
dipinti di Alma-Tadema rappresentano una delle massime espressioni
europee) – a spianare la strada al metodo del restauro di ricostruzione
inaugurato con l’intervento sulla Casa dei Vettii (scavata nel 1894-1895)
a opera di Michele Ruggiero e proseguito, nella generazione successiva, da
Vittorio Spinazzola sugli edifici dei Nuovi Scavi di Via dell’Abbondanza26.
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La ricostruzione inventiva delle strutture e degli spazi
Pur se essenzialmente vera, l’affermazione che le case antiche di AlmaTadema sono quelle di Pompei va mitigata nel senso che il pittore le reinterpreta in chiave grandiosa e sfarzosa; mai meschine come pure spesso
erano in realtà, mai povere, esse diventano nei suoi quadri ampie e sontuose, dotate sempre di colonne e pavimenti marmorei, di statue di
marmo e bronzo, come potevano essere solo le domus e le villae dell’aristocrazia romana.
La rappresentazione dello spazio domestico si fa più aderente agli
ambienti delle domus pompeiane nella riproduzione di pareti decorate ad
affreschi e squarci di giardini. È il caso, per esempio, del triclinio in cui è
ambientato Tibullo nella casa di Delia (cat. 56) che sul fondo ripropone la
sintassi di una parete di III-IV stile (la loro classificazione a opera di A. Mau
avverrà solo nel 1882) con l’inserimento di quadri (l’unico ben visibile
sembra, però, un pastiche) e decorazioni accessorie, come il pannello cen-
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DELL’
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trale con il sileno funambolo che, invece, trova un riscontro puntuale da
Pompei27. Uno degli spazi preferiti nell’immaginario del pittore è l’atrio,
certamente ispirato a modelli pompeiani e tuttavia più solenne e ricco,
corinzio, ovvero con più colonne per lato, piuttosto che tetrastilo, con l’alto tetto munito di sontuosi cassettonati e architravi decorati con fregi e
con il particolare delle grondaie fittili a testa leonina o di cane, più fedele
di altri elementi agli originali.
Questa ricostruzione inventiva degli atri ricorre in Appassionato d’arte
romano del 1868 (fig. 2), in Appassionato d’arte romano del 1870, in
Giocoliere e in Festa della vendemmia. L’inquadratura del primo dipinto si
concentra su un lato dell’ambiente ponendo in primo piano un angolo
della vasca dell’impluvium e la pavimentazione musiva. La parete di fondo,
non sviluppata in tutta la sua altezza, più che richiamare una sintassi di III
stile presenta un affollarsi di quadri non coerenti con l’impianto decorativo; all’estremità sinistra c’è un’apertura che dà su un peristilio di cui si
intravedono le colonne ioniche e il fregio. L’atrio nella seconda versione di
Appassionato d’arte romano è ancora più imponente e più ampia è l’inquadratura con cui è presentato. È un atrio corinzio esastilo con fregio di
grifi sulla trabeazione su cui si alzano balaustre che segnano lo sviluppo di
un secondo piano (la sua veduta è, però, interrotta dall’estremità superiore del quadro); le pareti sono decorate all’incirca alla maniera del III stile
e il soffitto a grottesche, le aperture su spazi esterni sono solo suggeriti,
sul fondo, dal portone chiuso all’estremità delle fauces. Anche in
Giocoliere è riprodotto sostanzialmente lo stesso spazio architettonico
ma l’inquadratura ne copre un solo angolo, come in una zoomata fotografica; manca il secondo piano e c’è, invece, una resa puntuale delle trabeazioni del tetto, mentre sono riproposte in maggior dettaglio, e con qualche modifica della composizione, le decorazioni ad affresco delle pareti e
del soffitto. Lo spazio dell’atrio è espanso ancor di più nella larga composizione di Festa della vendemmia dove la profondità dei piani della composizione e gli ‘sfondamenti’ prospettici richiamano, forse, come modello
le architetture tipiche delle pitture di IV stile. La struttura è sempre corinzia esastila, l’ampio spazio centrale non coperto, su cui si alzano balaustre,
è decorato come il resto dell’ambiente da statue in marmo e pitture; l’ingresso sul fondo, all’estremità destra, è incorniciato da un portale con
girali di acanto che riprende fedelmente quello dell’edificio di Eumachia28
e lascia intravedere un piccolo scorcio del paesaggio.
Ancora edifici pompeiani sono alla base delle riproduzioni di alcuni
ambienti termali, tra cui quello di Un’abitudine prediletta dove è ricostruito, introducendo alcune soluzioni autonome nella resa dei motivi decorativi, il tepidarium della sezione maschile delle Terme Stabiane (qui destinato, però, a un’utenza femminile) con le nicchie per il deposito degli abiti
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lungo le pareti, la volta di stucco baccellato e la vasca circolare per i bagni
tiepidi. Il quadro Thermae Antoninianae, invece, si rifà ai grandi impianti
termali romani e, pur richiamandosi nel titolo alle Terme di Caracalla,
ripropone quasi puntualmente la struttura della grande aula centrale delle
Terme di Diocleziano29.
A monumentali modelli di architetture urbane, inoltre, modificati nella
composizione con evidente autonomia e tagliati spesso di netto nelle
inquadrature, si rifanno le messe in scena di quadri come Un’udienza da
Agrippa, Dopo l’udienza, Il trionfo di Tito e La primavera del 1899.
Un caso a sé è, infine, quello della riproduzione in Un’esedra (cat. 65) della
tomba a schola della sacerdotessa Mamia eretta sulla Via dei Sepolcri a
Pompei. La ripresa dell’ubicazione e dell’architettura è fedele30, completata, quest’ultima, dall’aggiunta arbitraria di due acroteri a palmetta posti a
coronamento dei pilastrini laterali, e il rivestimento in tufo nell’originale
sostituito con il più pregiato marmo; l’antica funzione del sepolcro-sedile
per viandanti è riproposta con l’inserimento di un gruppo di personaggi
che coprono con le loro figure buona parte dell’iscrizione31 rendendola
quasi illeggibile. La stessa struttura, liberata da ogni elemento di contesto
e con diverse varianti decorative, sarà riproposta in molte composizioni
successive32 come spazio conclusus che accoglie i personaggi della scena
e allude, giocando sul nitore del marmo che si staglia sugli sfondi luminosi dei paesaggi mediterranei, alle grandi esedre e ai sontuosi peristili delle
lussuose villae maritimae del golfo di Napoli.
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La trama sottile del ricorrere degli oggetti antichi
Si è discusso su quanto Alma-Tadema fosse un approfondito conoscitore
dei materiali archeologici e su quanto fosse attento – e in qualche modo
anche partecipe – al dibattito su alcuni aspetti della ricerca archeologica
del suo tempo33. Dal suo modo di selezionare, presentare e contestualizzare i materiali emerge una dimensione per certi aspetti contraddittoria: su
alcuni temi si dimostra sorprendentemente aggiornato mentre riguardo ad
altri cade in qualche ingenuità; d’altra parte la libertà che dimostra nel
gestire gli oggetti può spiegare, in diversi casi, le sue scelte.
Si è insistito, inoltre, sulla sua precisione nel riprodurre i dettagli archeologici evidenziando che tale abilità, da una parte, trasmette all’osservatore
una sensazione di realismo e dall’altra lo coinvolge nella sfida erudita a
cogliere le citazioni e a riconoscere nei dipinti gli oggetti esposti nei musei34.
Sicuramente Alma-Tadema si avvaleva, lo abbiamo visto, di un notevole
bagaglio di documentazione, ma su questa operava forti interventi di selezione, modifica e interpolazione, tanto che i materiali archeologici risultano inseriti nelle sue composizioni con un procedimento eclettico di “interpolazione creativa” di immagini tratte da fonti differenti35.
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ALMA
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Nel riprodurre gli oggetti antichi, infatti, il pittore spesso interveniva su di
essi: li manipolava, li modificava, li sottoponeva a un processo di restauro-rifacimento che li riportava all’originaria integrità (o presunta tale,
come per esempio nel mosaico della battaglia di Isso in Appassionato
d’arte romano del 1868 (fig. 2); li trasformava modificandone il materiale
costitutivo36 e le dimensioni originarie; in alcuni casi, poi, ne cambiava la
funzione inserendoli in contesti differenti37. Inoltre riproponeva i medesimi oggetti in diverse composizioni, spesso anche lontane nei tempi di esecuzione (basti pensare alla piccola oinochoe d’argento, al pendente d’oro
con maschera di sileno o ancora al set da bagno in bronzo)38 tessendo una
trama sottile di ricorrenze che, al di là delle esigenze funzionali, può essere letta come una ‘marca d’autore’ e rendendo, così, ancor più stimolante
il gioco delle citazioni e dei riconoscimenti.
La presenza di anacronismi in alcuni dipinti con composizioni di materiali cronologicamente o culturalmente incoerenti è un altro aspetto da
prendere in considerazione. Talvolta si tratta di un anacronismo solo apparente, giacché, in verità, sono raffinate citazioni da connaisseur: così per gli
oggetti di antiquariato di epoca greca classica o ellenistica che arredano
ricche domus romane (Appassionato d’arte romano del 1868, fig. 2,
Appassionato d’arte romano del 1870, Giocoliere, Festa della vendemmia)
o sono esposti in gallerie commerciali di opere d’arte (Una galleria di statue nella Roma augustea, La galleria di statue, cat. 2, Il collezionista di quadri al tempo di Augusto, La galleria di quadri, fig. 1). Allo stesso modo la
presenza di alcuni oggetti egizi in quadri di contesto greco e romano non
è il segno di anacronismi, inammissibili in un frequentatore di musei come
Alma-Tadema, ma la citazione di oggetti ritenuti più intensamente carichi
di significati rituali, come le statuine di Bes in La processione verso il tempio (cat. 63), Un oleandro e Un sacrificio a Bacco (cat. 61), o di preziosa
cultura esotica (la statuina di faraone in Prosa), o ancora indicativi di
nazionalità, come le cassettine degli ushabty che fanno da contenitori per
gli oggetti del saltimbanco egizio in Giocoliere. Anacronismi apparenti
sono inoltre provocati anche dall’inserimento in contesti antichi di oggetti di produzione moderna o di forte rielaborazione moderna su frammenti antichi che Alma-Tadema non poteva identificare come tali: per esempio l’oinochoe ad alto collo39 in Tibullo nella casa di Delia (fig. 3), il bacino
in marmo rosso con sostegno configurato come Scilla e la scultura
dell’Eracle bambino che strozza i serpenti di G. della Porta40 in La galleria
di statue (cat. 62) e il candelabro in marmo in stile neoattico decorato con
sfingi e trampolieri41 in Festa per la vendemmia.
In altri quadri, invece, gli anacronismi sono più evidenti e derivano dal
mancato riconoscimento delle cronologie e degli ambiti di appartenenza
(peraltro al tempo ancora incerti anche presso gli archeologi specialisti)
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dei materiali utilizzati, come nel caso di alcune pitture funerarie italiche
proposte (in assenza di pitture greche certe) come decorazioni parietali di
templi e di case in contesti definiti come greci (La processione verso il tempio, cat. 63, Donna greca e Il soldato di Maratona)42 o di alcuni vasi ed elementi d’arredo di epoca romana più disinvoltamente inseriti in ambienti in
cui si svolgono scene per il resto connotate come greche anche nei titoli
(Vino greco, cat. 60), La cena (greca) 43. Ma una scelta ancor più forte nella
gestione dei materiali archeologici rispetto a tutte quelle che abbiamo sino
a ora evidenziato – e che si intreccia profondamente con la conoscenza dei
materiali stessi – è la dimensione del “non visibile”, del “tagliato fuori dall’inquadratura” su cui ha efficacemente insistito da tempo E. Prettejohn44.
Queste soluzioni compositive sono interpretate come allusive alla dimensione necessariamente lacunosa della conoscenza e della comprensione
del mondo antico; il segno, cioè, dei dati irrimediabilmente persi, di quei
lost data di cui lo stesso Alma-Tadema prendeva atto non solo vedendo i
materiali archeologici musealizzati, ma soprattutto confrontandosi con la
realtà della irriducibile incompletezza nella nostra percezione del mondo
antico anche nello scavo archeologico di siti come Pompei.
Questo approccio ricorre nelle manipolazioni dell’artista sui diversi tipi di
materiali archeologici ma risulta soprattutto efficace nella rappresentazione delle sculture e delle pitture antiche, con soluzioni che si possono
considerare, ormai, paradigmatiche45.
D’altronde la consapevolezza che parte consistente delle sculture delle collezioni dei musei archeologici era copia46 di originali greci ancor più antichi
e irrimediabilmente persi, così come lo erano le pitture parietali e i mosaici figurati che tornavano alla luce nelle città vesuviane ha segnato, di certo,
il modo di rapportarsi di Alma-Tadema con queste classi di materiali.
Alla base c’era, comunque, una conoscenza ampia e consolidata degli
oggetti: notevole era, infatti, la documentazione di cui egli disponeva per
la scultura e la pittura, composta non solo da un ricco bagaglio di immagini ma anche da testimonianze delle fonti letterarie antiche. Notevole
doveva essere, poi, la suggestione delle forme di musealizzazione di questi stessi materiali che pure gli erano familiari: La galleria di quadri (fig. 1)
ripropone una delle sale degli affreschi del Museo Archeologico di Napoli,
La galleria di statue (cat. 62) ha alla base del suo impianto compositivo la
sala dell’Agrippina e dei busti dei Cesari dei Musei Capitolini, fissata nella
sua monumentalità da una fotografia Sommer.
Su questi spazi reali si innestava, quindi, un processo di rielaborazione in
cui si andavano a intrecciare l’estrapolazione e la ricollocazione dei singoli elementi, la concentrazione volutamente anacronistica delle opere d’arte, le modifiche di materie e dimensioni, le inversioni delle posizioni gerarchiche, la rappresentazione di quanto era perduto attraverso le immagini
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interrotte o negate. Ecco dunque, per esempio, la statua di Sofocle riproposta in bronzo e i quadri di Timante e M. Ludio esposti insieme o, ancora, il bacino con piede configurato, manufatto di non particolar pregio, che
occupa il centro della composizione e il quadro con la battaglia di Isso
confinato all’estremità della scena47.
Alla sua vasta conoscenza di esemplari di pittura e di scultura AlmaTadema attingeva in modo ricorrente punteggiando le sue composizioni
di richiami ai dipinti antichi e soprattutto alla grande statuaria, ai rilievi e
alla piccola plastica, rinnovando così, di quadro in quadro, la sfida erudita
con l’osservatore48. Inoltre, la scelta di riprodurre il fregio del Partenone
colorato come doveva essere in antico in Fidia mostra ai suoi amici il fregio del Partenone se da un lato rientra perfettamente nel suo modo di
ricomporre l’antichità, riportando gli oggetti nella loro originaria dimensione, dall’altro è segno della sua attenzione per il dibattito che proprio in
quegli anni cresceva intorno al colore della scultura antica49.
L’interesse di Alma-Tadema per la ceramica antica si concentra sulle produzioni a figure rosse attiche e della Magna Grecia e sulle produzioni della
Gallia romana di cui possedeva bozzetti con serie di forme vascolari,
sezioni di vasi e acquerelli con riproduzioni a colori di singoli esemplari50.
I vasi a figure rosse ricorrono essenzialmente in quadri di ambientazione
greca51, soprattutto in rappresentazioni di banchetti e simposi (La siesta
ecc.) ma è Le donne di Anfissa che presenta il numero e la varietà maggiori di esemplari, così come richiedeva il soggetto stesso52. Le forme utilizzate da Alma-Tadema sono le più tradizionali dei repertori delle officine
attiche e magnogreche, anche se non mancano alcuni pastiches53, mentre
i soggetti delle decorazioni, talvolta non ben distinguibili, risultano quasi
sempre coerenti con le forme cui sono abbinati, come l’hydria con Eracle
in La processione verso il tempio (cat. 63), lo skyphos con civetta e la lekythos con Eros alato in Decoratrici di ceramica o il piatto da pesce con
fauna marina in Le donne di Anfissa. Sempre a ceramiche attiche e magnogreche si rifanno, inoltre, le pitture murali inserite come sfondo in Una
festa privata, Tra speranza e timore, Vino greco (cat. 60) e La cena (greca)
che si rivelano, a ulteriore dimostrazione dell’autonomia con cui AlmaTadema gestiva i materiali archeologici di cui disponeva, la trasposizione
in affreschi di pitture vascolari54. La modesta ceramica gallo-romana è,
invece, il tema principale del grande quadro, poi suddiviso in tre tele,
Adriano in Inghilterra: visita a una bottega anglo-romana di vasaio55 (cat. 64
per la parte tagliata e ridipinta intitolata Un vasaio anglo-romano): una
produzione seriale di scarso pregio artistico, ben documentata al British
Museum, che costituiva uno dei principali temi di studio della nascente
archeologia romano-britannica (non a caso il protagonista del dipinto è
l’imperatore del Vallum Hadriani). Oltre che in questo quadro l’interesse di
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Alma-Tadema per il lavoro artigianale dei ceramisti è ancor più evidente
in Decoratrici di ceramica dove, a dispetto delle tante firme maschili sui
vasi attici, sono due decoratrici a dipingere in rosso (invece che lasciarle
non dipinte a risparmio) palmette e girali su vasi verniciati di nero.
Gli elementi d’arredo, gli utensili – e quant’altro rientra nell’instrumentum
domesticum –, documenti della vita quotidiana che gli scavi nelle città
vesuviane continuavano a restituire mettendo in luce la dimensione ‘privata’ della vita dei pompeiani, erano un’altra tipologia di materiali che
interessava notevolmente il pittore. La fonte primaria di documentazione
era, evidentemente, il Museo Archeologico di Napoli ma anche di questi
materiali, che in alcuni casi rientrano nelle produzioni di vero e proprio
artigianato artistico, circolavano numerose riproduzioni56: l’ammasso di
candelabri e lucerne raffigurati sullo sfondo insieme a statue di bronzo di
piccole e medie dimensioni di Una galleria di statue nella Roma augustea
e di La galleria di statue (cat. 62) richiama l’allestimento del Museo
Archeologico di Napoli ma anche i cataloghi di vendita dei riproduttori.
Questi oggetti, nella loro varietà e specificità costituivano veri e propri
‘marchi di fabbrica’ di ambientazioni pompeiane e quindi, per traslato, dell’antichità romana, e ricorrevano chiaramente anche nei repertori dei pittori “neopompeiani”57.
Nello specifico dei dipinti di Alma-Tadema in molti casi è stato possibile
giungere a una puntuale identificazione degli esemplari riprodotti con
quelli del Museo Archeologico di Napoli, come per il tavolino con gambe
pieghevoli, lo sgabello e la stufa samovar58 in Tibullo nella casa di Delia
(fig. 3 e cat. 56), il candelabro portalucerne59 in La galleria di statue (cat.
62) o ancora la statuetta di sileno portalampada in Vino greco (cat. 60) e
il candelabro ad altezza regolabile in Giocoliere 60.
La riproduzione accurata e dettagliata di iscrizioni greche e latine è ricorrente nei quadri di Alma-Tadema61 e si realizza in un’ampia gamma di
soluzioni. Appare già consolidata alla metà degli anni Sessanta in Ingresso
in un teatro romano, con la lunga iscrizione parietale dipinta in rosso, l’annuncio della messa in scena di una commedia di Terenzio, e perdura sino
alle ultime produzioni, come in Preparativi al Colosseo del 1912 dove a un
segmento di epigrafe su marmo leggibile sullo sfondo si aggiunge il meticoloso dettaglio dei numeri incisi e dipinti di rosso sugli schienali dei sedili. La diversità dei supporti e delle tecniche e la varietà dei contenuti delle
iscrizioni si intrecciano di quadro in quadro con un gioco sottile di richiami: sono epigrafi in greco o in latino iscritte su superfici di marmo, in alcuni casi con la semplice ma regolare incisione delle lettere, in altri casi con
la loro coloritura in rosso porpora o ancora con l’applicazione di lettere in
bronzo62; sono iscrizioni realizzate a mosaico su soglie e pavimenti63, sono
sbalzate su bronzo o ricamate su tappezzerie64, sono graffite o dipinte su
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pareti, cornici, anfore o su altri grandi contenitori65. Riproducono iscrizioni
ufficiali o tracce della vita quotidiana e in alcuni casi, poi, il testo è costituito da un gruppo di versi tratti da componimenti poetici che chiosano
le scene raffigurate66. Anche nel caso delle iscrizioni la suggestione del
dato archeologico lacunoso, non più comprensibile pienamente, si realizza con il ‘gioco’ del messaggio frammentato e interrotto. In alcuni casi il
testo è reso con caratteri troppo piccoli per essere leggibile ed è collocato sullo sfondo, in altri è parzialmente coperto dalla sovrapposizione di
oggetti o personaggi, in altri, infine, come nel caso di Un passo di Omero
(cat. 66), è troncato dall’inquadratura del dipinto.
Per realizzare le iscrizioni Alma-Tadema prende spunto, ancora una volta,
dalle diverse fonti documentarie di cui dispone, ma soprattutto utilizza i
testi che ha visto di persona e ha puntualmente ricopiato, in particolare a
Pompei. Tra le riproduzioni fedeli di iscrizioni del corpus pompeiano, in
Un’esedra (cat. 65) compaiono, oltre all’epigrafe del sepolcro di Mamia,
anche un’epigrafe su un cippo confine della tomba di M. Porcio67 rinvenuta
accanto a quella della sacerdotessa; l’iscrizione elettorale in cui il tribuno
pretoriano T. Suedio Clemente sostiene la candidatura di M. Epidio Sabino68
è, invece, collocata liberamente al lato del thermopolium raffigurato in Il
mercato dei fiori; l’iscrizione otiosis locus hic non est / discede morator69, rinvenuta su un muro in Via del Lupanare, è riprodotta in nero su una parete
intonacata in Un altarino, cui segue, con gli stessi caratteri paleografici, in
un gioco di epoche e ruoli, la firma del pittore. Infine l’epigrafe M.OLCONIUS.M.F.70 su una soglia di marmo in Festa per la vendemmia è stata puntualmente ricopiata dal pavimento dell’odeion di Pompei come documenta anche il disegno che Alma-Tadema fece del monumento71.
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I lost data e gli oggetti ‘interrotti’ – Il gioco delle inversioni gerarchiche e gli oggetti camuffati
In Le rose di Eliogabalo con la metafora del sommerso e del riemerso si
declina ancora una volta il suggestivo modello di lettura dei lost data.
Dalla coltre di petali di rosa riemergono piccoli oggetti preziosi e raffinati: sono gioielli di alta oreficeria, sono le pregiate coppe murrine, sono gli
intarsi in madreperla e le ageminature in argento che rifiniscono i piedi dei
mobili del triclinio.
La fonte letteraria72 ci racconta la crudeltà del giovane imperatore che per
puro divertimento faceva morire i suoi ospiti soffocati da una pioggia di
petali di rose ma il richiamo alla tragica fine dei pompeiani – certamente
Alma-Tadema aveva visto i calchi dei loro corpi realizzati dal Fiorelli – è
altrettanto forte: i piccoli oggetti preziosi, i visi e le mani dei personaggi
del dipinto riemergono a tratti dalla impalpabile coltre di petali di rose
così come dalla grumosa coltre di lava riemergevano a tratti i resti degli
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uomini e i frammenti degli oggetti sepolti dall’eruzione. Entrambe le piogge leggere, di petali di rose e di grumi di lapillo – ci narrano le fonti –
coprirono e soffocarono fino a uccidere.
Anche l’inversione delle posizioni degli oggetti rispetto a una gerarchia
compositiva tradizionale, quale segno caratterizzante delle composizioni
di Alma-Tadema, è stata efficacemente evidenziata già da tempo73 per
alcuni dipinti, tra cui Una galleria di statue (cat. 62).
Uno dei quadri dell’artista, Festa della vendemmia, offre lo spunto per sottolineare la valenza di questo modello interpretativo anche da un punto di
vista specificamente archeologico, dell’archeologia della cultura materiale
cioè, e non solo della storia dell’arte antica. Il tema bacchico, evidentemente, permea tutta la composizione in un richiamo complesso che intercorre
tra gli oggetti con i loro significati puntuali e i loro valori simbolici, ma il
centro della scena, sottolineato dall’irraggiarsi delle tibiae delle suonatrici,
su cui convergono con i loro movimenti e i loro sguardi i personaggi in
primo piano, è tenuto da un semplice dolio in terracotta grezza con coperchio, un recipiente di uso comune per conservare il vino74, qui coronato con
un tralcio d’edera e poggiato su un treppiedi di bronzo, per nulla pertinente al suo uso, ma che ne enfatizza la posizione e quindi il ruolo. In una collocazione marginale all’estremità destra della scena, dopo due anfore da
trasporto, invece, camuffato tra grappoli d’uva in un cesto di vimini e reso
in monocromo blu su blu – che spegne l’effetto di forte contrasto cromatico del vetro cammeo – c’è il “vaso blu”, uno degli oggetti più pregiati
delle collezioni del Museo Archeologico di Napoli75, anch’esso legato, in una
sfera molto più alta e raffinata, al consumo del vino.
Il gioco sottile di Alma-Tadema dell’inversione delle posizioni gerarchiche
nella composizione e quindi della diversa sottolineatura dei ruoli torna
ancora una volta: si propone in una dimensione estrema tra il pregio del
vaso in vetro cammeo e l’ordinarietà del dolio e proprio in questo suo
definirsi punta il fuoco su una classe di materiali di uso comune, documento della cultura materiale del mondo romano, che gli scavi a Pompei
e negli altri siti vesuviani degli ultimi decenni andavano riscoprendo e su
cui andava crescendo, progressivamente, l’interesse degli studiosi. L’ ‘ironia’ dell’artista che evidenzia oggetti di scarso valore a scapito di oggetti
di pregio è allo stesso tempo l’interesse dell’autore che presta attenzione
al dibattito contemporaneo tra i fautori della tradizione delle arti maggiori e i rivalutatori delle arti minori.
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1 Netti 1906, p. 231. Cfr. il saggio di L.
Martorelli in questo catalogo.
2 Alma-Tadema 1909, p. 295.
3 Durante il primo viaggio in Italia e nei
successivi visitò la Galleria degli Uffizi a
Firenze, i Musei Vaticani, i Musei Capitolini, e
altre raccolte romane oltre che il Museo
Archeologico di Napoli.
4 Cfr., per esempio, il bozzetto con
pettinature femminili da sculture antiche
(Disegni Alma Tadema Portfolio CXVII, n. E.
2623) e il bozzetto con ceramiche
magnogreche (Disegni Alma Tadema Fiche
19192 E 5).
5 Le Antiquités étrusques, grecques et
romaines furono pubblicate a Napoli nel
1766-1767 a cura di P.F.H. d’Hancarville con
tavole di P. Bacci. Cfr. Vases and Volcanoes
1996.
6 MANN, inv. 81674. Cfr. inoltre i disegni da
decorazioni vascolari raccolti in Disegni Alma
Tadema Portfolio LXXXI.
7 Pohlmann 1996.
8 Aveva la consuetudine di procurarsi diverse
inquadrature dei pezzi che più lo
interessavano. Molte delle sue fotografie,
inoltre, documentano l’attenzione per le
riproduzioni dettagliate dei particolari.
9 Braciere-samovar, che compare anche in Il
mercato dei fiori, MANN, inv. 72968 e tavolo
MANN, inv. 72995 riprodotti nella fotografia
Foto Alma-Tadema Birmingham CXIX 11089.
10 Cfr. Fanelli 2007.
11 Melucco Vaccaro 2000, pp. 178-179. Vlad
Borrelli 2003, pp. 113-117.
12 La fotografia è del 1868 circa (Foto
Alma-Tadema Birmingham LXXVIII, 9890).
13 Pohlmann 1996, p. 120, osserva che la
data della pubblicazione della fotografia,
successiva alla realizzazione del dipinto, non
può essere stata modello per la
composizione; una posizione così categorica
non è condivisibile dal momento che
sicuramente immagini come questa
circolavano tra gli “addetti ai lavori” anche
prima della loro pubblicazione.
14 Il cratere, per esempio, è riprodotto in
Dopo l’udienza (con una leggera modifica del
profilo), Un sacrificio a Bacco (come vaso
utilizzato per il rituale), in Confidenza
indesiderata (come vaso da fiori), in L’ora
d’oro e in Un’abitudine prediletta (come
recipiente impiegato nei bagni termali); la
patera lobata in La cena (greca), Un’udienza
da Agrippa, Preparativi al Colosseo; la patera
con Atena compare in primo piano in La
galleria di statue.
15 La patera lobata compare sul camino del
suo studio in una fotografia del 1884, cfr.
Treuherz 1997, p. 47, fig. 28.
16 La riproduzione avveniva tramite calchi
in gesso e le fonderie Chiurazzi avevano nel
tempo creato una formidabile gipsoteca di
modelli con oltre tremila calchi. Cfr. il saggio
di L. Martorelli in questo catalogo con
relativa bibliografia.
17 Per esempio un’imitazione di un aryballos
attico a figure rosse decorato con un
improbabile elmo crestato è riprodotta in La
siesta (versione californiana), in Scriba
romano che compila messaggi e in
Confidenze mentre pastiches che rielaborano
la forma del lébes gamikòs sono in entrambe
le versioni di La siesta, in Una festa privata e
in Decoratrici di ceramica.
18 Barrow 2004, p. 30.
19 Possedeva, per esempio, una copia
dell’opera Les ruines de Pompéi di F. Mazois
da una cui immagine trasse spunto per
dipingere il thermopolium di Il mercato dei
fiori.
20 È il caso della conoscenza dell’arte e
dell’artigianato egizio che Alma-Tadema
basò e consolidò essenzialmente sullo studio
della collezione del British Museum, mentre
si recò in Egitto solo nel 1902. Barrow 2004,
pp. 22-27 e p. 179.
21 Furono acquistati dal British
rispettivamente nel 1772, 1805, 1816, 1818.
Il fregio del tempio di Apollo a Basse è
inserito in Un sacrificio a Bacco (cat. 61), in
La modella dello scultore e in La primavera
del 1894.
22 Cfr. La processione verso il tempio (cat.
63) e Appassionato d’arte romano del 1868
(fig. 2). Per le donne-tanagrine cfr. Pesca, Un
poeta favorito, Le donne di Anfissa,
Prospettiva privilegiata o ancora Favoriti
d’argento.
23 A Giuseppe Fiorelli 1999.
24 Sampaolo 1993.
25 Edita in quattro volumi dai fratelli
Niccolini tra il 1854 e il 1896, è stata riedita
nel 2004 da Franco Di Mauro a cura di S. De
Caro.
26 De Caro 2006, p. 326. Sulle città
vesuviane come soggetti ideali per la
riprduzione grafica di architetture e oggetti
antichi cfr. da ultime Lyons, Reed 2007.
27 MANN, invv. 9119 e 9163; il medesimo
soggetto compare anche in Il mercato dei
fiori.
28 Il portale dell’edificio di Eumachia a
Pompei era uno dei soggetti preferiti del
pittore tanto che ne volle una riproduzione
in bronzo come ingresso del suo studio e ne
inserì ben due riproduzioni nella scenografia
che curò per l’allestimento del Giulio Cesare
di H. Tree. Lo dipinse anche, con una variante
nel profilo della cornice, in La galleria di
statue (cat. 62) e ne ripropose un segmento
in Un saluto silenzioso.
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29 In epoca rinascimentale su progetto di
Michelangelo la grande aula centrale era
stata trasformata nella chiesa di Santa Maria
degli Angeli; Alma-Tadema aveva fotografie
di entrambi i complessi termali.
30 La tomba per la sua forma peculiare e il
suo buono stato di consevazione è stata
riprodotta in diverse vedute dal vero. Cfr. il
dipinto di Ph. Hackert Due tombe a forma di
esedra in Zanker 1993, p. 135, fig. 71.
31 CIL X, 998.
32 Esedre sono riprodotte, per esempio, in
Una dichiarazione, Il riposo, Bisbigli di
mezzogiorno, Favoriti d’argento,
L’improvvisatore, Non chiedermelo più, La
voce della primavera; in una struttura a
esedra è ambientato anche Un passo di
Omero (cat. 66) mentre l’esedra di Autunno
del 1874 presenta un’epigrafe sulla spalliera
del sedile sul modello dell’esedra di Mamia.
33 Barrow 2004 con relativa bibliografia.
34 Barrow 2004, p. 25.
35 Lippincott 1990, p. 40.
36 È il caso, per esempio, dei rytha a testa di
cervo: il modello è, molto probabilmente,
l’esemplare del MANN, inv. 69174 in bronzo
ed esso è riprodotto in oro in La processione
verso il tempio (cat. 63), in entrambe le
versioni di La siesta, in Saffo ecc., è invece in
argento in Festa della vendemmia e così via.
37 È il caso, per esempio, della sfinge in
bronzo trasformata in fontana in Un bagno,
mentre con la sua originaria funzione di
elemento decorativo per mobile (cfr. Foto
Alma-Tadema Birmingham CXIX, 11082)
compare in Promesse di primavera.
38 L’oinochoe riprende l’esemplare in bronzo
del MANN, inv. 69082 e ricorre in
Un’udienza da Agrippa (1875), Un bagno
termale (1876), La processione verso il
tempio (1882), Un sacrificio a Bacco (1889)
(cat. 61), Il trionfo di Tito AD 71 (1885), Un
saluto silenzioso (1889), Tra speranza e
timore (1876) (di dimensioni maggiori), Le
rose di Eliogabalo (1888) e La conversione di
Paola per opera di San Girolamo (1898). Il
pendente è molto simile a quello del Louvre
in oro, configurato a testa di Acheloo e
decorato a granulazione, ma richiama anche
le protomi di sileno della collana d’oro con
protomi, ghiande e fiori di loto da Ruvo del
MANN, inv. 24883 e ritorna, sempre come
oggetto d’ornamento femminile in Donne
gallo-romane (1865), Festa della vendemmia
(1870), e ancora in La conversione di Paola
per opera di San Girolamo (1898). Il set da
bagno MANN, inv. 69904 a-f è riprodotto in
Balneator (1877) e Il bacio (1891).
39 Si tratta di un pastiche di frammenti
antichi pertinenti a oggetti diversi realizzato
in epoca moderna di cui circolavano
riproduzioni fotografiche Sommer. Già
MANN, inv. 69089, è stata di recente
smontata. Cfr. Rolley 1996, p. 232, n. 15.19.
Ringrazio Angela Luppino e Andrea Milanese
della Soprintendenza Archeologica di Napoli
e Caserta per le ricerche d’archivio.
40 MANN, inv. 5821. Il solo bacino è antico
e proviene da Pompei, il sostegno
configurato fu probabilmente predisposto
per l’esposizione nel Museo Palatino della
regina Carolina Murat, cfr. Borriello 1997, p.
286, n. 14.9 e Borriello 2002,
p. 392, n. 96. La statua di G. della Porta,
attualmente nella Pinacoteca di
Capodimonte, era all’epoca nelle collezioni
del MANN; si tratta di un bronzo raffigurato
come tale in Giocoliere mentre in La galleria
di statue è riprodotto in marmo.
41 Il candelabro riprodotto nel dipinto
compone, con un altro molto simile, MANN,
invv. 6781, 6782, una coppia della quale si è
fortemente discussa l’autenticità: Borriello
1997 p. 286,
n. 14.7; Bosso 2005.
42 Nei primi due quadri è raffigurato
l’affresco tombale con “Il ritorno del
guerriero” da Nola MANN, inv. 9363; nel
terzo una lastra dell’affresco tombale con
“danzatrici” da Ruvo MANN, inv. 9355. Lo
stesso anacronismo ricorre in Il tempio di
Venere di Sciuti (cat. 25) dove è riprodotta
un’altra lastra, MANN, inv. 9357, del
medesimo affresco.
43 Rispettivamente la statuetta di sileno
portalampada MANN 72199 e una coppa
d’argento su piede (cfr. MANN 25696) e la
patera lobata dal tesoro di Hildesheim e
coppette d’argento tipiche di contesti
romani.
44 Prettejohn 1996, in particolare pp. 34-35.
45 In Rivali inconsapevoli sono raffigurate
soltanto le gambe della statua del Gladiatore
seduto di Palazzo Altemps; in Il collezionista
di quadri al tempo di Augusto (e in La galleria
di quadri) del quadro di Apelle, il più
importante della galleria, è raffigurato solo il
retro della tavola su cui era dipinto.
46 Gasparri 1994.
47 I quadri di riferimento sono quelli
paradigmatici per queste due classi di
materiali: Una galleria di statue nella Roma
augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il
collezionista di quadri al tempo di Augusto, La
galleria di quadri (fig. 1).
48 Anche nei quadri di piccole dimensioni
c’è posto per un richiamo alla scultura
antica. Cfr., per esempio, Una baccante, dove
inserisce il rilievo del MANN, inv. 6688 con
Apollo e le Grazie di cui pure il pittore aveva
una riproduzione fotografica (cfr. Foto AlmaTadema Birmingham LXVIII, 9529).
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49 Cfr. Barrow 2004, pp. 43-45 con relativa
bibliografia. È da osservare, però, che il fregio
del tempio di Apollo a Basse, che pure
ritorna più volte nei suoi quadri, è sempre
raffigurato senza colore così come tutta
l’altra scultura in marmo.
50 Cfr. nota 4; cfr., inoltre, le sezioni di un
cratere apulo e di un cratere attico a volute
(Disegno Alma Tadema Fiche 192 A 2) e
l’acquerello con piatto da pesce campano a
figure rosse (Disegno Alma Tadema Fiche
192 C 2).
51 La lekythos attica (così come le statuette
tanagrine), in Appassionato d’arte romano
del 1868 è normalmente interpretata come
un oggetto d’antiquariato posseduto dal
collezionista.
52 Rappresenta l’episodio narrato nei
Moralia di Plutarco (249-250) in cui le Taiadi
in fuga furono rifocillate dalle donne della
città di Anfissa.
53 Cfr. nota 17.
54 Le prime due derivano rispettivamente
dallo stamnos attico del cosiddetto Pittore
del Deinos MANN, inv. 81674 e dal cratere a
campana apulo della cerchia del Pittore
dell’Iliupersis MANN, inv. 82130.
55 Alcuni esemplari di coppe di questa
classe compaiono in Festa della vendemmia.
56 In Tibullo nella casa di Delia (cat. 56), per
esempio, è raffigurato un candelabro
decorato alla sommità con una sfinge
(MANN s.n.i.) che rientra tra gli oggetti
riprodotti negli atelier Sommer e Chiurazzi
(cfr. il catalogo Sommer del 1886).
57 Cfr., per esempio, il braciere in bronzo
MANN, inv. 73104 in Bagno pompeiano di
D’Agostino (cat. 35), il tripode con satiri
MANN, inv. 27874 in Donna romana di
Altamura (cat. 20).
58 MANN, inv. 72995 (il medesimo tavolino
è riprodotto anche in Appassionato d’arte
romano del 1868 (fig. 2) e in Donna e fiori),
MANN, inv. 74009, MANN, inv. 72968.
59 MANN, inv. 72191; il medesimo
candelabro compare anche in Catullo legge
le sue poesie nella casa di Lesbia.
60 MANN, inv. 72199 (il medesimo bronzo
ritorna anche nell’Antiquario di Forti e in
Ione e Nidia di Maldarelli) e MANN, inv.
111228.
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61 Sono gli anni del crescente interesse per
gli studi epigrafici e delle pubblicazioni dei
grandi Corpora.
62 Cfr., per esempio, Un’esedra (cat. 65),
Autunno del 1874, Xante e Faone, La
conversione di Paola per opera di San
Girolamo, Il bacio, Un’udienza da Agrippa.
63 Cfr., per esempio, Un imperatore romano
A.D. 44.
64 Cfr., per esempio, Un poeta favorito, Voti
d’amore.
65 Cfr. Il mercato dei fiori, Un altarino, La
galleria di quadri (fig. 1), Festa della
vendemmia, Bacco e Sileno, Autunno del
1877.
66 Cfr. Un poeta favorito, La primavera del
1894.
67 CIL X, 997. Il margine destro della
medesima iscrizione ritorna anche in Una
domanda (cat. 68).
68 CIL IV 1059. Il pittore aveva ricopiato
puntualmente l’iscrizione, cfr. Disegno Alma
Tadema CLX E 2846.
69 CIL IV, 813.
70 CIL X, 845.
71 Cfr. Disegno Alma Tadema CXLIX, E. 2823.
L’epigrafe in lettere di bronzo sul pavimento
dell’orchestra dell’odeion fu erroneamente
integrata in un restauro ottocentesco con il
gentilizio Olconius (scritto senza l’aspirata
iniziale) invece che Oculatius. Alma-Tadema
la riprodusse puntualmente perpetuando
l’errore epigrafico (mentre scrive
correttamente il nome della gens Holconia
sulla tunica di un servo in Un’esedra, cat. 65).
72 Scriptores Historiae Augustae, De vita
Eliogabali, 21.5.
73 Prettejohn 1996, p. 33 ss.
74 Alma-Tadema doveva aver visto anche
esemplari di doli interrati che riprodusse in
Autunno del 1877.
75 MANN, inv. 13521; il vaso era stato
rinvenuto in una sepoltura pompeiana nel
1834.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
biografia
Lawrence Alma-Tadema (1836-1912)
Lawrence Alma-Tadema è uno dei pittori più conosciuti dell’epoca vittoriana, apprezzato soprattutto per i suoi dipinti ispirati all’antichità classica, in particolare greco-romana. Grazie alle approfondite conoscenze
archeologiche e storiche, Alma-Tadema ricrea verosimili ambientazioni
neopompeiane, fitte di oggetti per lo più ispirati a reperti archeologici
reali, molti provenienti dagli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Nasce l’8 gennaio 1836, nel villaggio di Dronrijp in Olanda, ma viene
naturalizzato inglese nel 1873. Destinato ad una carriera giuridica, ottiene infine di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Anversa, in Belgio, dove
si forma sotto l’influenza di Gustave Wappers, pittore di storia d’ispirazione romantica. Frequenta poi Louis de Taeye, con cui divide casa e studio
tra il 1855 e il 1858, ed entra nello studio di Henri Leys, che conferma
l’orientamento verso la pittura romantica di storia e di genere interpretata con fedeltà ai dettagli ambientali. In quest’epoca Alma-Tadema si
appassiona alle vicende della dinastia Merovingia, che traduce in vari
dipinti storici con cui attira le prime attenzioni di pubblico e critica. Si
accosta anche ai soggetti tratti dal mondo egizio.
→
Nel 1861, lascia Anversa e si sposta in Germania, poi a Londra; nel 1863
ha luogo il matrimonio con la prima moglie Marie Pauline Gressin
Dumoulin de Boisgirard. Il viaggio di nozze porta la coppia in Italia, dove
visitano anche Roma, Napoli e soprattutto Pompei. L’Italia costituisce per
l’artista, secondo i suoi stessi ricordi, un’autentica rivelazione, esercitando
un’influenza fondamentale e duratura sulla sua carriera.
L’anno seguente Alma-Tadema conosce il mercante belga Ernest Gambart,
che diventerà il suo promotore e rappresentante commerciale. In quest’epoca l’artista inizia a produrre dipinti ispirati al mondo romano e alle
ville pompeiane, genere coltivato con costanza durante il lungo soggiorno
a Bruxelles, dove Alma-Tadema si trasferisce con la famiglia nel 1865. I
dipinti neopompeiani contribuiscono al suo successo e alla sua fama,
soprattutto in Gran Bretagna, dove questo tipo di soggetti è molto
apprezzato e coltivato, sebbene con approccio diverso, da altri artisti
come Edward Poynter.
Morta la prima moglie nel 1869, dopo lo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870, si trasferisce a Londra, dove incontra la futura seconda
moglie Laura Epps, anche lei pittrice, presentatagli dal pittore preraffaellita Ford Madox Brown.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
→
Nel 1873 diviene cittadino britannico. Gli anni Settanta sono dominati da
un grande successo commerciale e di pubblico; nel 1879 diviene membro
della Royal Academy of Arts di Londra.
Nel frattempo è stato ancora una volta in Italia (1875), visitando varie
città tra cui Firenze e Roma, dove compra numerose foto di architetture e
oggetti antichi.
Nel 1878 è a Pompei, dove si intrattiene schizzando, disegnando, misurando e studiando le rovine.
Tra il 1882 e il 1883 la Grosvenor Gallery di Londra, dedica ad AlmaTadema un’importante mostra personale.
Nel 1883, quando alcune sue opere vengono esposte alla Mostra internazionale di Belle Arti di Roma, l’artista è di nuovo a Pompei, dove trascorre molto tempo. In quest’epoca i suoi dipinti diventano meno “enciclopedici” e colmi di oggetti preziosi e citazioni, puntando di più a cogliere la
suggestione delle atmosfere.
Nel 1884 compra a Londra la casa appartenuta all’amico James Tissot,
ristrutturandola completamente in uno stile eclettico (mobili, decorazioni e oggetti in stili diversi) che riflette il suo gusto originale, la sua passione antiquaria e l’interesse per l’antichità in generale: alcuni mobili del suo
studio sono ispirati a manufatti pompeiani.
In questi anni Alma-Tadema mette insieme un’enorme biblioteca e uno
straordinario archivio fotografico di tema per lo più archeologico, di cui si
serve per le sue ricerche e i suoi quadri. Conduce un’intensa vita sociale ed
è in generale benvoluto dalla comunità artistica londinese.
A partire dagli anni Novanta si osserva un progressivo calo produttivo. I
soggetti dei dipinti sono sempre più semplificati e privi di oggetti. Prevale
su tutto la fascinazione per il cielo e il mare Mediterraneo, per scene di
incontri e liaison sentimentali ambientate in bianche terrazze affacciate
sul mare. Nel 1892 Alma-Tadema diventa membro della Japan Society di
Londra e nel 1906 membro onorario del Royal Institute of British
Architects, che lo invita a tenere una conferenza sull’architettura antica in
virtù delle sue approfondite conoscenze in materia.
Muore nel 1912 a Wiesbaden.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
percorso della mostra
Introduzione
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico
Per la prima volta in Italia, la mostra offre una panoramica dell’arte ‘neopompeiana’, che cioè si ispira, nella seconda metà dell’Ottocento, alla
suggestione degli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e, più in generale,
all’antichità e all’archeologia classiche. Dipinti e sculture di artisti italiani
dialogano con le opere del pittore olandese, naturalizzato inglese,
Lawrence Alma-Tadema (1836-1912).
Perché Alma-Tadema
Alma-Tadema è internazionalmente riconosciuto come il più coerente e
raffinato cultore del genere neopompeiano: i suoi ‘quadri-museo’, carichi
di oggetti, statue, suppellettili, evocano il sogno di un mondo antico nuovamente riportato in vita, di struggente bellezza e ricercata eleganza, vicino, nell’interpretazione data dall’artista, ai bisogni e ai desideri dell’uomo
dell’Ottocento.
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie
una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce
molti dei reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti italiani
e di Alma-Tadema. Una corposa selezione di questi oggetti provenienti
dagli scavi vesuviani viene presentata in mostra.
→
Il percorso espositivo
La mostra segue un percorso ideale che porta il visitatore dalla raffigurazione di paesaggi archeologici còlti dal vero, alla materiale rievocazione di
quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai loro
abitanti.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Gli scavi
Il paesaggio archeologico
Le opere, dedicate alla rappresentazione realistica o evocativa del paesaggio archeologico, sono disposte sui due lati di un asse centrale, che idealmente richiama il rettilineo di una strada pompeiana. Come in una passeggiata tra le rovine, i dipinti aprono scorci sul panorama degli scavi col
Vesuvio sullo sfondo, ma anche sui cumuli di detriti, sui resti di botteghe,
sui particolari di case e vedute d’interni, in quegli anni portati alla luce o
sistematicamente studiati su vasta scala dall’archeologo Giuseppe Fiorelli,
poi dal collaboratore Michele Ruggero.
Tanti occhi, una sola Pompei
Una Pompei vista con tanti occhi: quelli della popolana-scavatrice che si
ferma a riflettere sull’antico; quelli della turista borghese che, persa nelle
proprie riflessioni, si isola nell’ombra di un peristilio; quelli dei visitatori
colti e curiosi, che disegnano e studiano i reperti; quelli degli aristocratici
che delle suggestive rovine fanno lo scenario dei propri intrattenimenti.
→
Pittura dal vero
Artisti diversi, tutti di area napoletana, dipingono dal vero sotto un sole
brillante, ognuno adottando un punto d’osservazione diverso, talvolta aiutandosi con la fotografia, rendendo le rovine una materia palpitante e viva
che tramanda l’immagine di una Pompei popolare, ma non ancora invasa
dal turismo di massa.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Vita Quotidiana
Immaginare il quotidiano
Dalla contemplazione del paesaggio archeologico si passa alla sua ricostruzione. Nell’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana, costellata di reperti archeologici inerenti i dipinti, pittori ma anche scultori
immaginano di ricostruire quelle rovine e far risorgere le antiche case e
botteghe, ridando corpo a tutti gli aspetti della vita di ricchi e plebei: l’intimità domestica, gli ozi, le cerimonie pagane, gli intrattenimenti gladiatorii, il rito delle terme.
La citazione dei reperti
Con maggiore o minore fedeltà, gli artisti-archeologi citano o reinterpretano antichi reperti, oggetti semplici o lussuosi osservati nei musei più
importanti o studiati su quei libri illustrati (con incisioni o litografie a
colori) che nel corso dell’Ottocento rendono popolari soprattutto gli
oggetti di provenienza vesuviana.
Rispecchiarsi nell’antico
L’immagine dell’antico che ne risulta, pur verosimile e credibile, reca in
realtà le tracce del pensiero e della sensibilità ottocentesca che in quell’immagine tende a rispecchiarsi. Dalle donne che filano ai crapuloni gonfi
di cibo e bevande, l’antico si presta tanto alla semplice celebrazione della
pace domestica, tipica dell’agio borghese, quanto alla critica della decadenza dei costumi e del materialismo dell’Italia postunitaria.
→
La storia
torna all’indice
La storia come cronaca
Una sezione speciale è dedicata alla rievocazione dell’antico non più popolato di personaggi anonimi, ma di personalità risonoscibili, le cui vicende
sono tramandate dai grandi scrittori latini, come Svetonio e Tacito. Ma non
si celebrano le gesta clamorose o le battaglie memorabili, soggetti tipici
della pittura di storia neoclassica. Oggetto d’attenzione sono invece i delitti e i drammi interiori, gli svaghi e gli ozi campestri, che fanno somigliare la
storia degli antichi alla cronaca dell’Ottocento. Da un lato, della storia ci
viene mostrato l’aspetto più domestico e familiare, riconoscibile nelle semplici vicende biografiche del poeta Orazio o del commediografo Plauto.
Dall’altro si narrano episodi più eclatanti della storia romana, prediligendo
vicende fosche che illuminano la crudeltà e la miseria della natura umana,
come nel caso del sanguinario imperatore Nerone.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Alma-Tadema
Alma-Tadema, l’Italia, Pompei
Alma-Tadema ha un rapporto strettissimo con l’Italia, che visita più volte
nel corso della sua vita, intessendo rapporti d’amicizia con numerosi artisti, tra cui Domenico Morelli e Giovan Battista Amendola. Nel 1863 è per
la prima volta a Roma, attratto dalla storia del tardo impero e del primo
Medioevo, ma la successiva tappa a Pompei chiarisce definitivamente la
sua passione per la storia romana, repubblicana ed imperiale, e per l’ambiente mediterraneo.
Archeologo e artista
A Pompei misura e disegna le rovine come un vero archeologo. Matura le
sue conoscenze tramite lo studio sul campo e la lettura di libri di ogni tipo,
dal romanzo storico, ai classici latini, ai manuali d’architettura e archeologia. Questa preparazione viene riversata nelle sue opere, che non si risolvono in erudite esposizioni di oggetti: i reperti sono manipolati con libertà, i soggetti attualizzati secondo il punto di vista di un uomo
dell’Ottocento, la bellezza femminile e maschile è modellata su modelli
anglosassoni e interpretata secondo un fine estetismo.
→
Le opere in mostra
Vengono toccate le tappe fondamentali del percorso dell’artista, attraverso dipinti di ampio formato, usualmente concepiti su commissione di
facoltosi clienti, ma anche di piccolo formato, prodotti per il mercato e
destinati agli spazi misurati delle case borghesi. Accanto ai dipinti, viene
presentata una ricca scelta di materiali archeologici che hanno stimolato
l’immaginazione dell’artista, tutti conservati nel Museo Archeologico di
Napoli.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Le arti applicate
→
Il gusto eclettico e lo stile neopompeiano
Verso metà Ottocento si diffonde in Europa un eclettismo che porta alla
rilettura di tutti gli stili storici, tra cui anche quello pompeiano. Si fa strada un gusto archeologizzante che nelle decorazioni predilige i violenti
accostamenti cromatici dei riquadri rossi e neri delle pareti pompeiane.
Un gusto adatto ad adornare le pareti degli edifici pubblici, come ministeri, teatri o musei, dove la borghesia umbertina ama ritrovarsi.
Come la decorazione parietale, anche l’arredamento (mobili, oggetti)
risente del gusto pompeiano, sebbene siano più rari gli esempi a noi noti.
Tavoli intarsiati, porcellane dipinte, diffondono invenzioni originali ma
anche rivisitazioni di soggetti tratti da dipinti italiani e stranieri, resi celebri dalle incisioni o dalle grandi esposizioni internazionali.
Un interessante esempio dello stile decorativo pompeiano è quello legato al progetto (pareti e arredi) per le quattro “sale pompeiane” volute da
Giuseppe Fiorelli nel Museo Archeologico di Napoli, destinate ad ospitare
il riallestimento della prestigiosa collezione di statue in bronzo del museo.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
elenco delle opere
Gli scavi
Alessandro La Volpe
Panorama di Pompei
Napoli, Galleria “Vittoria Colonna”
Una veduta degli scavi di Pompei
col Vesuvio sullo sfondo, forse
presa dai cumuli di terreno
solitamente lasciati ai margini
delle aree appena portate
alla luce.
Laezza
Panorama di Pompei
Napoli, Galleria “Vittoria Colonna”
Tre contadini in costume, gli scavi
di Pompei osservati in
prossimità dell’imbocco di Via
delle Scuole e in lontananza il
Vesuvio fumante.
Michele Cammarano
Veduta degli scavi di Pompei
collezione privata
Dalla Torre di Mercurio, punto di
vista utilizzato anche da fotografi
dell’epoca, il dipinto abbraccia
l’intero paesaggio archeologico
con le colline vesuviane sullo
sfondo.
→
Filippo Palizzi
Gli scavi di Pompei
1865
collezione privata
Palizzi si interessa agli scavi dopo
una visita a Pompei e Pestum nel
1864. Qui immagina una
popolana-scavatrice che depone
la cesta per riflettere sull’affresco
appena riemerso.
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Filippo Palizzi
Studio di uno scavo (Pompei)
1864
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna
I resti di un’architettura
monumentale, frammenti di
colonne e di trabeazioni, sono
colti dal vero e in piena luce,
esaltando il carattere di attualità
di una realtà appena esumata.
Enrico Gaeta
L’arco trionfale del Foro di Pompei
1873 ca.
Napoli, Museo di Capodimonte
L’insolita inquadratura risulta
presa dall’interno dell’arco
onorario imperiale, sulla strada
che fiancheggia il Tempio di
Giove, a nord-est del Foro di
Pompei.
Teodoro Duclere
Veduta del Foro
dopo il 1860
Sorrento, Museo Correale Terranova
Duclere si interessa a Pompei
durante la sua collaborazione al
progetto editoriale di Fausto e
Felice Niccolini Le Case e i
monumenti di Pompei,
pubblicato a partire dal 1854.
Teodoro Duclere
Bottega
dopo il 1860
Sorrento, Museo Correale Terranova
Si tratta di una bottega di Pompei
ampiamente descritta
dall’archeologo Giuseppe Fiorelli,
caratterizzata da un pilastro
affrescato con Venere e Mercurio,
oggi perduto.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Enrico Gaeta
Veduta della casa così detta
dell’Argenteria
collezione privata
È l’atrio secondario con colonne
ioniche della Casa dell’Argenteria
(scavata tra il 1829 e il 1835), così
detta per il ricco complesso di
vasellame d’argento che vi fu
ritrovato.
Marco de Gregorio
Signora a Pompei-La casa dei
capitelli colorati
collezione privata
Una turista a Pompei: dietro di lei
il peristilio dalla Casa detta anche
di Arianna, una delle più grandi e
decorate di Pompei, assai
danneggiata dai bombardamenti
alleati del 1943.
Giacinto Gigante
Casa di Cornelio Rufo
1862
Sorrento, Museo Correale Terranova
Giacinto Gigante
Cena notturna nella casa
di Sallustio
1859
Sorrento, Museo Correale Terranova
Nelle rovine della casa di Sallustio
a Pompei, un gruppo di
aristocratici ha organizzato una
cena al chiaro di luna; tre popolani
improvvisano un intrattenimento
per allietare gli ospiti.
→
Giacinto Gigante
Casa di Cornelio Rufo
1861
Napoli, collezione privata
L’ambientazione dei due dipinti è
un luogo reale di Pompei,
riconoscibile dai due sostegni con
forme animali del cartibulum,
tavolo usualmente posto nell’atrio
delle case romane, e dall’ermaritratto di Cornelius Rufus sullo
sfondo, conservata
nell’Antiquarium di Pompei.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Vita quotidiana
Enrico Salfi
Venditore di anfore a Pompei
1883 ca.
Milano, Galleria d’Arte Moderna
Salfi è un appassionato studioso
delle rovine vesuviane: una scena
di semplice quotidianità è qui
ambientata in una delle tante
botteghe ancora oggi visibili a
Pompei.
Roberto Bompiani
Salutatio matutina
1899
Milano, Galleria d’Arte Moderna
Sono raffigurati i clientes,
persone che in cambio di
protezione
o assistenza materiale, erano al
servizio di notabili romani,
omaggiandoli ogni mattina con
il proprio saluto.
→
Gaetano d’Agostino
I saltimbanchi a Pompei
1877
Comune di Capua
Lo spunto è la commedia Hecyra
di Terenzio di cui, sulla cornice,
è riportato un verso del secondo
prologo: in esso si rivela al
pubblico che alla prima della
rappresentazione era stato
preferito uno spettacolo di
funamboli.
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Luigi Bazzani
Interno pompeiano
1882
New York, Dahesh Museum
Bazzani si basa sulla diretta
conoscenza dei materiali
archeologici: il tavolo con i grifi
alati al centro del dipinto è quello
della Casa di Meleagro a Pompei.
Cesare Mariani
Gelosia
Firenze, collezione privata
L’attento studio archeologico si
lega qui ad un’iconografia
maliziosa che attribuisce agli
antichi la sensibilità e la
psicologia dell’uomo
dell’Ottocento.
Francesco Saverio Altamura
Donna romana
1881
Foggia, Galleria Provinciale d’Arte
Moderna e Contemporanea
(proprietà San Paolo IMI - Banco
di Napoli) A destra, su un tavolo
marmoreo, poggia il famoso
tripode bronzeo con satiri itifallici
rinvenuto a Pompei nel 1755
e conservato nel Museo
Archeologico Nazionale di Napoli.
Federico Maldarelli
La vestizione
1864
Roma, collezione privata
Sebbene non illustri un episodio
preciso, Maldarelli trae
probabilmente ispirazione dal
romanzo di Edward Bulwer-Lytton
Gli ultimi giorni di Pompei (1834).
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Raffaello Sorbi
Scena pompeiana
1879
collezione privata
Due patrizie filano ed elargiscono
cure materne in un peristilio:
un’immagine sovrapponibile alle
tante scene d’intimità domestica
della pittura di secondo
Ottocento.
Francesco Sagliano
L’ultimo giorno dei baccanali
1867
Napoli
Amministrazione Provinciale.
Due fanciulle rendono omaggio
all’erma di Pan. Dal soffitto pende
una lucerna trilicne in bronzo, un
reperto del I secolo a.C.
conservato al Museo Archeologico
di Napoli.
→
Amos Cassioli
L’offerta a Venere
1875-1885 ca.
Firenze, Galleria d’Arte Moderna
di Palazzo Pitti
Sulla parete affrescata di rosso
a destra, il motivo ornamentale
monocromo con menadi danzanti
è tratto da studi su stoffa eseguiti
dal pittore forse per decorare
ventagli.
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Giuseppe Sciuti
Il tempio di Venere
1876
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna
Tre fanciulle recano un omaggio
floreale alla dea dell’Amore la cui
statua, liberamente ispirata alla
Venere Capitolina, è custodita da
un vecchio sacerdote.
Roberto Bompiani
Sacerdotessa di Minerva
1875-1880
Roma
collezione privata
Sulla destra si intravede in
controluce, sullo sfondo di un atrio
con colonne, una statua di
Minerva, riconoscibile dall’elmo e
dallo scudo rotondo.
Giovanni Muzzioli
L’offerta nuziale
1884 ca.
Trieste, Civico Museo Revoltella
Il rito nuziale è studiato nei minimi
dettagli, come il velo rosso della
donna (flammeum). L’altare in
marmo è basato su un esemplare
romano conservato agli Uffizi di
Firenze.
Giovanni Muzzioli
Al tempio di Bacco
1881
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna
La scena bacchica è ambientata
nella Roma imperiale del I secolo
d.C., con la danzatrice Vistilia, la
prostituta ricordata da Tacito negli
Annali, coperta di una pelle
maculata.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Ernesto Biondi
Testa di donna patrizia
(modello per i Saturnali)
1888-1899 ca., gesso
Roma, collezione privata
Modello di una delle figure de I
Saturnali, monumento bronzeo
della Galleria d’Arte Moderna di
Roma, la testa mostra
un’acconciatura ispirata a
esemplari romani d’età flavia.
Francesco Netti
Lotta dei gladiatori durante una
cena a Pompei
1880 ca.
Napoli, Museo di Capodimonte
Il gladiatore ucciso viene
trascinato via mentre il vincitore,
che indossa un elmo confrontabile
con reperti da Pompei, viene
esaltato dall’entusiasmo delle
giovani donne.
Achille D’Orsi
I Parassiti
1877
gesso patinato color bronzo,
Napoli, Museo di Capodimonte
Due crapuloni, satolli di cibo e di
vino, sono accasciati su un triclinio
modellato su analoghi esemplari
rinvenuti a PompeieErcolano.
Jean-Léon Gérôme
Reziario
1859 ca.
bronzo
Phoenix, Phoenix Art Museum
→
Domenico Morelli
Il triclinio o Il triclinio
dopo l’orgia
1860-1862 ca.
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna
In un triclinio all’aperto, struttura
tipica nelle zone meridionali e
frequente a Pompei, uno schiavo,
al lavoro, getta un’occhiata sui
corpi dei bacchettanti
abbandonati nel sonno.
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Jean-Léon Gérôme
Mirmillone
1859-1873 ca., bronzo, Phoenix,
Phoenix Art Museum
I due gladiatori sono ispirati a un
bronzetto (II sec.) conservato
presso la Bibliothèque Nationale
di Parigi, ma anche a reperti del
Museo Archeologico Nazionale
di Napoli.
Gaetano d’Agostino
Bagno pompeiano (o La vita
romana sotto Claudio)
Roma, collezione privata
- D. Morelli, Bagno pompeiano,
1861 (non in mostra ma in
catalogo)
Una donna, introdottasi nelle
terme maschili, giace abbracciata
al suo amante: la probabile fonte
letteraria è la VI satira di
Giovenale, contro le donne di
costumi dissoluti.
→
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
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Attilio Simonetti
Attrice pompeiana
1863-1864
Milano, Pinacoteca di Brera
in deposito presso Civiche
Raccolte d’Arte. Il giovane
Simonetti si ‘esercita’ sul genere
neopompeiano: al nudo sensuale
accosta un un flautista di sapore
arcadico seduto su un cartibulum, e
maschere teatrali greche.
Arcadio Mas Fondevila
Fanciullo pompeiano
1879
Barcellona, Museu Nacional
d’Art de Catalunya
L’ambientazione rimanda a Pompei
non con circostanziate citazioni
archeologiche ma per via evocativa,
attraverso l’acceso colore rosso
‘pompeiano’ delle colonne
stuccate.
Federico Maldarelli
Pompeiana al bagno
1871
collezione privata
L’ambientazione rimanda
all’apodyterium (spogliatoio)
femminile con pareti a nicchie delle
Terme Stabiane di Pompei.
La donna sosta sulla vasca per il
bagno in acqua fredda.
Erulo Eroli
Suonatore di nacchere
1875 ca.
Roma, collezione privata
Su un pilastro è sistemata una
statua di Venere accovacciata,
disegnata su una delle tante copie
romane dell’originale in bronzo
attribuito allo scultore Doidalsas di
Bitinia (III secolo a.C.).
Mosè Bianchi
Bagno pompeiano
1892 ca.
collezione privata
L’autore assembla motivi tardoantichi, elementi ercolanensi, ma
anche egizi, come le due sculture
leonine poste sul bordo del
frigidarium (vasca per il bagno
freddo).
Giulio Bargellini
Eterno Idioma
1899 ca.
Firenze, Galleria d’Arte Moderna di
Palazzo Pitti
Una scena romantica, in cui
l’artista raffigura sè stesso: a destra
trattiene la mano di una fanciulla,
emblema della musa ispiratrice, a
sinistra canta alcuni versi
accompagnato dalle note di un
organo.
Alessandro Pigna
Frigidarium
1882
Roma, Galleria Comunale d’Arte
Moderna e Contemporanea
Sullo sfondo, un letto con protomi
animali raffrontabile con quello
funerario in bronzo proveniente da
una tomba di Amiterno, nelle
collezioni dei Musei Capitolini
di Roma.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
La storia
Aslan d’Abro Pagratide
(Funus Indictivum) Funerale d’un
console presso Miseno nell’epoca
dell’impero Romano
1877
Napoli, Museo di San Martino
(in sottoconsegna alla Prefettura
di Napoli)
Il funus indictivum, funerale
pubblico di un console romano la
cui descrizione è basata sulla
Pragmateia di Polibio, si staglia su
una veduta di Capo Miseno con
Monte di Procida sul fondo.
Cesare Maccari
Quo usque tandem
1881-1887
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna
Studio preparatorio per l’affresco
di palazzo Madama, a Roma,
raffigurante Cicerone che
pronuncia l’invettiva contro
Catilina. “Quo usque tandem”è
appunto l’inizio della prima
Catilinaria.
→
Camillo Miola
Il fatto di Virginia
1882
Napoli, Museo di Capodimonte
A terra è Virginia, giovane plebea
uccisa dal padre (nella folla con il
pugnale in mano) per sottrarla
alle bramosie non corrisposte del
decemviro Appio Claudio.
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Giovanni Muzzioli
I funerali di Britannico
1888
Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna
e Contemporanea Museo
dell’Ottocento
Nerone fa avvelenare Britannico,
potenziale minaccia al trono
imperiale. I sostegni del tavolo su
cui è riversa la sorella di
Britannico, Ottavia, sono ispirati
a quelli della casa di Cornelio
Rufo a Pompei.
Giovanni Muzzioli
La vendetta di Poppea
1876
Modena, Museo Civico d’Arte
Medievale e Moderna
Nerone e Poppea sono quasi
nascosti dall’ombra del velabro
sospeso: un servo porta la testa
di Ottavia, prima moglie di
Nerone, sacrificata per volere di
Poppea che le subentra come
imperatrice.
Camillo Miola
Orazio in villa
1877, Napoli
Museo di Capodimonte
Un momento di gioco e di festa,
durante i Saturnali, nella villa
Sabina che Orazio aveva ricevuto
in dono da Mecenate.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Camillo Miola
Plauto mugnaio
1864
Napoli, Museo Civico
di Castelnuovo
Un episodio della vita di Plauto: a
seguito di un cattivo
investimento, il commediografo
Plauto si vide costretto a lavorare
presso un mugnaio girando le
macine.
Giulio Bargellini
Pigmalione
1896
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna
Si tratta della leggenda dello
scultore di Cipro, Pigmalione, che
si invaghisce della statua da lui
modellata ottenendo, con la
supplica e il sacrificio ad Afrodite,
che essa si animi.
Alma-Tadema
Giovan Battista Amendola
Ritratto di Laura Alma-Tadema
bronzo
collezione privata
Amendola, amico e protetto di
Alma-Tadema, conosciuto a
Napoli, ne eseguì un ritratto in
marmo, disperso, insieme ad una
statuetta d’argento raffigurante la
seconda moglie, qui replicata in
bronzo.
Giovan Battista Amendola
Venere che avvolge la chioma
1886
bronzo
collezione privata
Amendola segue un’impostazione
simile a quella del dipinto del
maestro olandese Una modella
dello scultore (1877).
→
Jean-Léon Gérôme
Danzatrice con il cerchio
1891
bronzo dorato
Bloominton, Indiana University
Art Museum
Gérôme inserisce questo soggetto
in diversi dipinti, in un costante
gioco di autocitazione. Lo stesso
Alma-Tadema raffigura la statuina
in Ore dorate (1908).
torna all’indice
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
L. Alma-Tadema
Autoritratto
1896
Firenze, Galleria degli Uffizi,
Corridoio Vasariano
L’autoritratto viene
appositamente eseguito, su
esplicita richiesta, per la Galleria
degli Uffizi di Firenze, delle cui
collezioni entra a far parte nel
1896.
Riproduzione retroilluminata:
L. Alma-Tadema
Tibullo nella casa di Delia
1866
Boston, Museum of Fine Arts
opera non in mostra
Il poeta Tibullo declama un
componimento all’amante Delia
nella sua casa, un tipico
ambiente pompeiano fitto di
oggetti, come la stufa di bronzo
rinvenuta in una villa vicino a
Stabia.
→
L. Alma-Tadema
Agrippina visita le ceneri
di Germanico
1866
Città del Messico
collezione Pérez Simon
Modello di fedeltà muliebre,
Agrippina contempla
mestamente lo scrigno con le
ceneri del marito Germanico
all’interno di un cinerarium
finemente ricostruito.
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L. Alma-Tadema
La scala
1870
New York, Dahesh Museum
La cornice, architettonicamente
costruita, può essere considerata
parte integrante dell’opera, poichè
inquadra e allo stesso tempo
amplia l’angusto spazio pittorico.
L. Alma-Tadema
Un altarino
1883
Cecil Higgins Art
Dietro la ghirlanda tesa dalla
donna, un’iscrizione latina
presente a Pompei in Vico del
Lupanare Otiosis locus hic non est.
Discede Morator/ Non c’è posto
per gli sfaccendati. Via di qua
perditempo!, maliziosamente
riferito al flautista.
L. Alma-Tadema
L’architetto del Colosseo
1875
Città del Messico
collezione Pérez Simon
Alma-Tadema, che possedeva
approfondite conoscenze
architettoniche, immagina
l’artefice del Colosseo mentre
medita sui complessi problemi
costruttivi del monumento.
L. Alma-Tadema
Vino greco
1873
Città del Messico
collezione Pérez Simon
Il modello sono le tante scene di
simposio che decorano vasi greci
antichi, in cui spesso compare
anche la suonatrice di aulos qui
raffigurata di profilo.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
L. Alma-Tadema
Un sacrificio a Bacco
1889
Amburgo, Hamburger Kunsthalle
Un bambino è iniziato al culto di
Bacco. Il Gruppo scultoreo con
uomini che cuociono un cinghiale,
a sinistra, è conservato presso il
Museo Archeologico di Napoli.
L. Alma-Tadema
La galleria di statue
1874
Hanover, Dartmouth College,
Hood Museum of Art
Un mercante d’arte mostra ad un
collezionista una vasca, copia
dell’originale in marmo rosso
scavato a Pompei. Il supporto, su
cui è avvolto il mostro Scilla, è
un’aggiunta successiva.
→
L. Alma-Tadema
La processione verso il tempio
1882
Londra, Royal Academy of Arts
Sullo sfondo di una processione,
una donna vende statuette e
oggetti votivi. Accanto a lei un
vaso greco (hydria) a figure rosse,
con Eracle e Leontè, ed un
elegante tripode etrusco.
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L. Alma-Tadema
Un vasaio anglo-romano
1884
Parigi, Musee d’ Orsay
Il dipinto è una delle tre porzioni
in cui Alma-Tadema divise l’opera
originale, con l’imperatore
Adriano in visita ad un’officina
per la produzione ceramica nella
Britannia romana.
Riproduzione retroilluminata:
L. Alma-Tadema
La galleria di pittura
1874
Burnley, Towneley Hall Art Gallery
and Museum
Con ironia, Alma-Tadema ritrae al
centro in piedi Ernest Gambart,
mercante di opere d’arte e suo
rappresentante europeo,
circondato da membri della sua
famiglia.
L. Alma-Tadem
Un’esedra
1871
Città del Messico
collezione Pérez Simon
L’ampia panca marmorea su cui
riposano e da cui ammirano il
paesaggio i viaggiatori, è la
tomba di Mamia, ancora oggi
visibile sulla Via dei Sepolcri, alla
periferia di Pompei.
L. Alma-Tadema
Un passo di Omero
1885
Filadelfia, Philadelphia Museum
of Art, George
W. Elkins Collection
Il dipinto era appeso nella stanza
da musica di una casa di New
York, progettata da Alma-Tadema
e decorata con mobili
liberamente ispirati a modelli
pompeiani.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
L. Alma-Tadema
Missile d’amore
1909
Città del Messico
collezione Pérez Simon
Il “missile” è un mazzo di fiori
lanciato sulla terrazza da un
ammiratore segreto. Sullo sfondo
la casa londinese di Alma-Tadema,
in primo piano un lectus affine a
quelli in stile pompeiano che
decoravano lo studio dell’artista.
L. Alma-Tadema
Una domanda
1877
Città del Messico
collezione Pérez Simon
Il dipinto, una scena di
corteggiamento, ispirò una
novella dell’egittologo tedesco e
romanziere storico Georg Ebers,
amico di Alma-Tadema.
→
Oliver Rhys
Sulla terrazza
1891
collezione privata
Sulle orme di Alma-Tadema,
Rhys si specializza nella
raffigurazione di donne sognanti,
abbandonate su bianche terrazze
marmoree affacciate sul
Mediterraneo.
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Le arti applicate
Francesco Grandi
Scuola d’Arte d’Intarsio di
Sorrento, e Arturo Guidi
Tavolo
1890
legno di mogano intagliato e
intarsiato
Sorrento, Museo della tarsia
lignea. Al centro, una scena
pompeiana e ai lati quattro
vedute della penisola sorrentina
tutte incorniciate da ornati
all’antica
in avorio.
Almerico Gargiulo
Interno di casa pompeiana
1895
legno impiallacciato, intarsiato e
in parte dipinto
Sorrento, Collezione privata
La tarsia si ispira a dipinti coevi
aventi come soggetto scene di
genere ispirate alla vita
quotidiana dell’antichità classica.
Wagner (da Henryk Siemiradzki)
Il vaso o la fanciulla?
1878
porcellana dipinta
collezione privata
Il soggetto di questa porcellana
firmata Wagner è tratto
dall’omonimo e analogo dipinto
dell’artista polacco Henryk
Siemiradzki, esposto a Parigi nel
1878.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Carlo Nogaro
Progetto di decorazione in stile
neopompeiano
1874-1878
acquerello e tempera su carta
Asti, Museo Civico
Il dipinto fa parte di una serie di
cinque studi per decorazioni
neopompeiane ideate dal pittore
astigiano Carlo Nogaro dopo il
suo trasferimento a Parigi nel
1868.
Ulisse Ribustini
Progetto di decorazione in stile
neopompeiano
1872
tempera su carta
Perugia, Accademia di Belle Arti
Questo progetto decorativo
segue un gusto diffuso dalla
Maison pompèienne fatta
costruire a Parigi dal principe
Gerolamo Napoleone tra il 1856
e il 1860.
Repertorio archeologico
che ha ispirato i pittori
neompompeiani:
una selezione dal Museo
Archeologico Nazionale
di Napoli
Sileno portalampada da Ercolano
bronzo
MANN
Il portalampada, che veniva utilizzato per il banchetto – e la
scelta di un personaggio del
mondo dionisiaco ne è la conferma – è puntualmente riprodotto
in Vino greco di Alma-Tadema.
Rython a forma di cervo
Bronzo
MANN
Il corno, proveniente da Ercolano,
era principalmente utilizzato
nella sfera cultuale. L’oggetto
ritorna in diverse varianti nelle
opere di Alma-Tadema: in argento in Festa alla vendemmia e in
oro in La processione verso il
tempio.
→
Askos da Ercolano
Bronzo
MANN
Molti recipienti di questo tipo,
utilizzati per l’olio, si sono rinvenuti in area vesuviana.
Il vaso è riprodotto in più opere
di Alma-Tadema, tra le quali
Festa alla vendemmia.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Patera con presa a testa
di medusa, da Ercolano
Bronzo
MANN
La patera con presa a testa di
medusa, di uso termale, è raffigurata in Tibullo a casa di Delia di
Alma-Tadema.
Candelabro
Bronzo
MANN
Il candelabro, a stelo scanalato
su zampe ferine e capitello ionico con coronamento a sfinge, era
molto noto nell’Ottocento. Viene
riprodotto in Tibullo a casa di
Delia di Alma-Tadema.
Lucerna bilicne
Bronzo
MANN
Una lucerna di questo tipo, sormontata da una larga foglia
triangolare, viene riprodotta, su
candelabro, in Tibullo a casa di
Delia di Alma-Tadema.
→
Tavolo
bronzo e marmo
MANN
Tavolo con gambe pieghevoli a
zampa di leone, che terminano
con un calice di foglie di acanto,
da cui emerge un satirello che
stringe al petto un leprotto. Il
tavolo è riprodotto anche in
Tibullo a casa di Delia di AlmaTadema
torna all’indice
Sgabello
bronzo
MANN
Questa tipologia di sgabello era
un arredo molto diffuso nelle abitazioni romane. L’esemplare, di
dimensioni più grandi, viene riprodotto in Tibullo a casa di Delia di
Alma-Tadema .
Letto rimontato come
sedile-bisellio
bronzo e legno moderno; intarsi di
argento e rame
MANN
Ricostruzione ottocentesca di elementi decorativi pertinenti a più
letti di provenienza pompeiana,
rimontati come sedile-bisellio su
quattro piedi torniti.
Sgabello tipo “sella curule”
bronzo
MANN
Lo sgabello, di provenienza pompeiana, ha la tipica forma della
sella curule, ovvero il sedile in origine di spettanza solo di alcuni
alti magistrati e che poi si diffuse
nell’ambito dell’arredo domestico
di committenza elevata.
Coronamenti di letto
a forma di mulo
bronzo
MANN
Le teste di mulo fungevano da
coronamento del telaio (fulcrum)
del letto tricliniare, di cui erano
considerati gli spiriti tutelari.
Riferimento puntuale a coronamenti di letto di questo tipo si ha
in Le rose di Eliogabalo di AlmaTadema.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Labrum decorato con figura di
Scilla avvinghiata al piede
marmo rosso
MANN
Il bacino di fontana, dall’atrio di
una casa pompeiana, venne portato nel 1812 nel Real Museo
Borbonico, e posizionato su un
sostegno moderno (il mostro
marino Scilla). La riproduzione, in
marmo nero, si ha in Galleria di
sculture di Alma-Tadema.
Cartibulum
marmo bianco
Soprintendenza archeologica
di Pompei
Coppia di sostegni di tavolo (trapezofori) decorati con grifi, dalla
Casa di Cornelio Rufo a Pompei.
Riiprodotto in Galleria di sculture
di Alma Tadema..
→
Statue di caprioli
bronzo
MANN
Le statue, che appartenevano
all’apparato decorativo della Villa
dei Papiri di Ercolano, vengono
riprodotte in versione miniaturistica su uno scaffale in alto in
Galleria di sculture di AlmaTadema.
torna all’indice
Candelabro con bracci a volute
per lucerne
bronzo, agemine in argento
MANN
Il candelabro, proveniente dalla
Casa di Pansa di Pompei, si compone di un pilastrino dal cui
capitello partono quattro bracci
a volute, da cui pendono quattro
lucerne. La base ospita una statuetta di Dioniso su pantera con
rhyton e un’arula. E’ raffigurato in
diverse opere di Alma-Tadema,
tra cui la Galleria di sculture.
Lanterna
bronzo
MANN
La lanterna, che era sospesa
mediante anelli e catene si ritrova in Galleria di sculture di AlmaTadema.
Lucerna trilicne
bronzo
MANN
Lucerna a sospensione del I sec.
a.C., con tre lunghi becchi e
vasca decorata da maschere di
schiavi musicisti addetti al banchetto. E’ riprodotta in Galleria di
sculture di Alma-Tadema.
Lucerna con catenella
bronzo
MANN
Lucerna con catena di sospensione. Sul rostro è un piccolo topo
accucciato. Si ritrova tra i numerosi esemplari raffigurati in
Galleria di sculture di AlmaTadema.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Lucerna con tabula ansata
bronzo
MANN
Lucerna a due becchi con catene
di sospensione e una tabula
ansata, priva di epigrafe. Si ritrova tra i numerosi esemplari raffigurati in Galleria di sculture di
Alma-Tadema.
Gruppo scultoreo con uomini che
cuociono un cinghiale
marmo
MANN, Collezione Farnese
Rielaborazione di età romana per
decorazione di giardini e ville di
originale alessandrino del II sec.
a.C. Due satiri seminudi sono
impegnati nella cottura di un
cinghiale nel calderone. La scultura viene riprodotta, in parte, in
Sacrificio a Bacco di AlmaTadema.
→
Rilievo con tiaso dionisiaco
da Ercolano
marmo
MANN
Il rilievo neoattico della prima
età imperiale, da Ercolano, sembra ispirare la composizione del
Sacrificio a Bacco di AlmaTadema: una menade con tamburello e due satiri, uno con pelle
ferina e doppio flauto e l’altro
che danza con il tirso.
torna all’indice
Candelabri quadrilicni
bronzo
MANN
Candelabri scanalati da Pompei,
con base a piedi ferini e coronamento a quattro bracci, per il
sostegno di lucerne. Vengono
riprodotti in Sacrificio a Bacco di
Alma-Tadema, ma a sostegno di
candele.
Situla
bronzo
MANN
La situla priva di manici è provvista un breve orlo piano, al di
sotto del quale corre una decorazione.
Maniglia
bronzo
MANN
La maniglia, probabilmente
appartenente a un braciere o un
samovar di produzione campana
del I secolo a.C., presenta gli
attacchi a forma di mani aperte.
Cembali
bronzo
MANN
Strumento musicale tipico dei
culti orientali e orgiastici, quali
quelli di Iside, Dioniso e Cibele. I
sonagli si battevano l’uno contro
l’altro.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Statuetta di Afrodite
bronzo
MANN
Copia di età romana di una celebre statua di Afrodite pudica,
funzionale all’arredo di giardino.
In versione minuta, come questa,
ritorna in opere di Alma-Tadema,
tra cui L’appassionato di arte
romana.
Statua di Eros con delfino
marmo
MANN, Collezione Farnese
L’Eros che gioca con delfino è
una scultura decorativa per fontana di età imperiale. La statua
funge da ambientazione termale
in Strigili e spugne di AlmaTadema.
Meridiana da Pompei
marmo, bronzo
MANN
Lo gnomone fuoriesce dal foro
superiore. Linee orarie sono incise sul quadrante emisferico.
→
Tanagrina a capo coperto
Terracotta
MANN
Statuetta femminile panneggiata
a capo velato, tipica dell’età ellenistica e di ambito cultuale.
Statuette di questo tipo sono
riprodotte in opere di AlmaTadema, tra le quali per esempio
L’appassionato di arte romana.
torna all’indice
Piatti da pesci a figure rosse
ceramica
MANN
Pesci e seppia decorano i due
piatti. Sono riprodotti, a mo’ di
quadro, come decoro dello stipite del tempio nelle Donne di
Anfissa di Alma-Tadema.
Affresco con Medea, da Ercolano
MANN
L’affresco in IV stile, derivante da
originale ellenistico, raffigura
Medea che, pur se esitante,
medita la tragica vendetta nei
confronti del marito, che realizzerà con l’uccisione dei figli. E?
riprodotto in Galleria di pitture di
Alma-Tadema.
Affresco con sacrificio di Ifigenia,
da Pompei, Casa del Poeta
Tragico
MANN
Raffigura un episodio della saga
omerica, legato al sacrificio di
Ifigenia. A sinistra Agamennone
che accetta di dare in sacrificio
la figlia ad Artemide; a destra
Ulisse e Diomede conducono la
giovinetta al sacrificio, contro il
suo volere. In alto Artemide
interviene e salva la giovane,
sostituendola nel sacrificio con
una cerva. L’affresco è riprodotto
in Galleria di pitture di AlmaTadema.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Affresco con Eracle e Onfale
MANN
Eracle in abiti femminili stordito
dal vino e dalla musica, ed
Onfale con la leontè e la clava
osserva i risultati della propria
vittoria. L’affresco è riprodotto in
Galleria di pitture di AlmaTadema.
Affresco con coppia in volo
MANN
Il satiro e la menade con corona
volano, recando nel manto frutti
e fiori, simbolo di fertilità.
E’ raffigurato su un’insegna portata da un partecipante al corteo
bacchico di Primavera di AlmaTadema.
Affresco con coppia in volo
MANN
Un satiro e una baccante si sollevano in volo. E’ raffigurato su
un’insegna portata da un partecipante al corteo bacchico di
Primavera di Alma-Tadema.
→
Braciere-tripode con satiri itifallici
bronzo
MANN
Il tripode, che divenne molto
noto nel Settecento, proviene
dalla Casa di Giulia Felice di
Pompei. Sorretto da tre piedi,
configurati come giovani itifallici
nell’atto, forse di danza, di tendere il braccio, è riprodotto nell’opera di Saverio Altamura
Donna romana.
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Statua di Afrodite del tipo
“pudica” da Ercolano
marmo
MANN
La dea, raffigurata nel gesto
pudico di coprirsi con il braccio
destro ripiegato il seno e con
quello sinistro il pube, è una
copia di età romana del tipo
Dresda-Capitolino. E’ riprodotta
nell’opera di Giuseppe Sciuti Il
tempio di Venere.
Lastre dipinte con danzatrici
da Ruvo
MANN
Lastre dipinte con danza di
lamentatrici funebri a mani
intrecciate, provenienti da una
tomba a semicamera da Ruvo
della seconda metà del IV secolo
a.C. Sono riprodotte nell’opera di
Giuseppe Sciuti Il tempio di
Venere.
Elmi e schinieri
Bronzo
MANN
Armi gladiatorie da parata rinvenute nel quadriportico dei teatri
di Pompei. Hanno ispirato la
figura del gladiatore dell’opera di
Francesco Netti Lotta dei gladiatori durante una cena a Pompei.
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Braciere
bronzo
MANN
Braciere, proveniente dalla Casa
del Fauno di Pompei, con piedi a
zampa di animale ed applique sui
lati lunghis a testa leonina. E
riprodotto in Gaetano d’Agostino,
Bagno pompeiano o la vita romana sotto Claudio.
→
Afrodite accovacciata ed Eros
marmo
MANN, collezione Farnese
Copia di età romana di originale
reato dallo scultore bitinio
Doidalsas alla metà del III secolo
a.C. La scultura della dea nuda al
bagno, priva di Eros, è riprodotta
in Erulo Eroli, Suonatore di nacchere .
torna all’indice
Busto del cosiddetto “Thespis”
da Ercolano, Villa dei Papiri
bronzo, boccoli in rame
MANN
Copia romana di originale del
tardo ellenismo, dalla Villa dei
Papiri di Ercolano. L’acconciatura
particolare, a parrucca, di Thespis
-musicista alla corte di Tolomeo I
di Egitto o uno degli ultimi sovrani del regno di Arabia?.- sembra
ispirare una delle figure di Giulio
Bargellini, Eterno idioma.
scheda catalogo
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico
Catalogo
Formato
Pagine
Illustrazioni
Prezzo in libreria
Electa - www.electaweb.com
24x28 cm
312
250
euro 35
A cura di
Eugenia Querci e Stefano De Caro
→
Sommario
torna all’indice
Pag. 19
Saggi
Pag. 20
Nostalgia dell’antico. Alma-Tadema e l’arte
neopompeiana in Italia.
Eugenia Querci
Pag. 40
Arte, archeologia e antichità:
Alma-Tadema e Pompei
Rosemary Barrow
Pag. 54
I materiali archeologici nei quadri di
Alma-Tadema: alcune considerazioni
Nadia Murolo
Pag. 70
Alma-Tadema e Napoli: incontri sui
modelli dell’antico
Luisa Martorelli
Pag. 86
Artisti, opere e mercato fra Napoli e Londra:
appunti su Alma-Tadema, Amendola e Morelli
Alba Irollo
Pag. 98
I “pittori archeologi” nella Roma postunitaria
e il signor Goupil
Gianluca Berardi
→
ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
torna all’indice
Pag. 110
Dall’Olimpo al Vesuvio: pittori vittoriani a Pompei
Giuseppe Pucci
Pag. 122
Questa rovina viva: Pompei nella letteratura del
secondo ottocento
Eric M. Moormann
Pag. 138
Fra Babilonia e Pompei.
Teoria e immaginazione dell’antico
Carlo Sisi
Pag. 158
Il gusto neopompeiano nelle arti applicate
Enrico Colle
Pag. 168
Nostalgia dell’antico o nostalgia d’un contesto?
Sale neopompeiane nel Museo Nazionale
di Napoli tra 1864 e 1870
Andrea Milanese
Pag. 181
Opere
Pag. 295
Apparati
Pag. 296
Bibliografia generale
Pag. 311
Referenze fotografiche
scheda San Paolo
Compagnia di SanPaolo
STANZIATO UN CONTRIBUTO DI 100 MILA EURO A FAVORE DELLA
DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESSAGISTICI DELLA
CAMPANIA A SOSTEGNO DELLA MOSTRA
“ALMA TADEMA A POMPEI. LA NOSTALGIA DELL’ANTICO”
→
L’impegno per il 2007 nel settore arte
Nel 2007 le azioni di restauro continuano ad assorbire un’ampia quota
delle risorse che la Compagnia destina al patrimonio artistico. Tale scelta
nasce dalla premessa che la riqualificazione dei monumenti e del paesaggio, applicata secondo logiche integrate, è in grado di generare valori
aggiunti che consentono di migliorare la vita dei cittadini e sviluppare
nuove opportunità.
Accanto alle attività di restauro, un peso non secondario è riservato al
tema della valorizzazione, declinato, da un lato, in termini di fruizione attraverso il sostegno alle Associazioni che si adoperano per le visite guidate ai monumenti - dall’altro, in termini di conoscenza e sensibilizzazione di nuovi pubblici attraverso eventi di grande spessore culturale. Aree
geografiche di intervento sono Torino, Genova e, per il Mezzogiorno, l’area
di Napoli. Ad esse si affianca un impegno a valenza più capillare in
Piemonte e in Liguria, con azioni mirate a potenziare e a sviluppare
distretti culturali su cui fondare un’economia del turismo significativa e
rispettosa dei luoghi.
Continua il sostegno accordato al Programma Musei al fine di generare
ricadute positive sullo spazio urbano e sui sistemi di governance del sistema museale del centro storico di Torino. Il maggior uso dello strumento
dei bandi, ben tre nell’anno, e la rinnovata adesione all’Accordo Quadro in
materia di Beni Culturali, hanno consentito di limitare la logica del “pronto soccorso”a favore di un’attività tesa al corretto equilibrio tra il recupero di complessi monumentali di eccellenza e la salvaguardia di “beni artistici minori”. Il tratto comune dell’attività del settore Arte rimane comunque l’impegno per trasformare l’insieme dei beni culturali in un patrimonio “noto”, e in questa chiave vanno letti gli interventi a favore di campagne di catalogazione e di riordino di archivi d’arte, e per sensibilizzare gli
studiosi e gli abitanti delle singole città a una progettualità volta al rispetto dei valori e della cultura del territorio.
Nel 2006 le iniziative sostenute nel settore Arte sono state 162 per un
ammontare di 27,5 milioni di euro.
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Una fondazione per lo sviluppo della società
La Compagnia di San Paolo, fondata il 25 gennaio 1563 come confraternita a fini benefici, è oggi una fondazione di diritto privato, tra le maggiori in
Europa, con un patrimonio superiore a 9 miliardi di euro.
Persegue finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, allo scopo di favorire lo sviluppo civile, culturale ed economico delle comunità in cui opera
ed è attiva nei settori della ricerca scientifica, economica e giuridica; dell’istruzione; dell’arte; della conservazione e valorizzazione dei beni e delle
attività culturali e dei beni ambientali; della sanità; dell’assistenza alle categorie sociali deboli. Nel corso del 2006 la Compagnia ha effettuato stanziamenti per 880 iniziative nei settori istituzionali di attività per complessivi 148,5 milioni di euro.
Compagnia di San Paolo - www.compagnia.torino.it
Corso Vittorio Emanuele II, 75 – 10128 Torino
Tel. (+39) 011 5596911 – Fax (+39) 011 5596976
[email protected]
Enti strumentali della compagnia di San Paolo
Fondazione per l’arte
La Fondazione per l’Arte interviene nel settore dei beni culturali con
modalità prettamente operative, che integrano e completano il profilo
prevalentemente grantmaking della Compagnia. Il suo ruolo si delinea
sempre più quale quello di “incubatore” di enti volti a presidiare aspetti
peculiari della valorizzazione dei beni e delle attività culturali, della formazione e della gestione museale.
www.fondazionearte.it
→
Fondazione per la scuola
La Fondazione per la Scuola è una struttura operativa che sviluppa progetti volti a promuovere una migliore qualità dell’istruzione, aiutare le scuole a valorizzare e gestire efficacemente le opportunità offerte dall’autonomia scolastica, facilitare la diffusione di buone esperienze, contribuire alla
formazione degli insegnanti, sostenere il sistema educativo nel promuovere la crescita culturale, umana e sociale delle nuove generazioni.
www.fondazionescuola.it
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ALMA
TADEMA
E LA NO
STALGIA
DELL’
ANTICO
Ufficio Pio della compagnia di San Paolo - Onlus
Fondato nel 1595, l’Ufficio Pio svolge una funzione di sostegno a favore
delle fasce più deboli di cittadini, mediante interventi destinati a persone
e nuclei familiari in difficoltà, nell’area metropolitana torinese. L’Ufficio
Pio, grazie all’azione di circa 200 Delegati riuniti in Associazione, opera sia
come “Pronto Soccorso Sociale”, attraverso due sportelli dedicati, sia realizzando attività progettuali e percorsi finalizzati all’integrazione sociale.
www.ufficiopio.torino.it
Istituto superiore Mario Boella sulle tecnologie dell’informazione
e delle telecomunicazioni
Fondato nel 2000 dalla Compagnia e dal Politecnico di Torino, l’ISMB ha
poi accolto i soci industriali Motorola, SKF, STMicroelectronics e Telecom
Italia. Oggi è un Centro di Ricerca Applicata Industriale nelle tecnologie
wireless con circa 250 ricercatori nelle aree Antenne e Compatibilità
Elettromagnetica, e-Security, Fotonica, Microsistemi, Navigazione
Satellitare, Networking, Tecnologie Radiomobili per Multimedialità.
www.ismb.it
Collegio Carlo Alberto
La Fondazione Collegio Carlo Alberto è stata costituita dalla Compagnia e
dall’Università di Torino e oggi è al centro di un sistema articolato nella
didattica avanzata e nella ricerca in campo economico e politico-istituzionale. La sua attività è fondata sull’utilizzo di research fellows, assistant
professors selezionati sul job market internazionale. L’attività di ricerca si
articola anche nell’azione di cinque Unità di ricerca.
www.carloalberto.org
→
SiTI - Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione
Associazione senza fini di lucro fondata nel 2002 dalla Compagnia e dal
Politecnico di Torino. Produce ricerca e formazione superiore orientate alla
crescita socio-economica. Il compito principale di SiTI, sin dall’inizio della
sua attività, è quello di offrire un supporto allo sviluppo innovativo dei sistemi territoriali attraverso ricerche basate su un approccio multidisciplinare.
www.siti.polito.it
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