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ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL` ANTICO
ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO indice → Comunicato stampa → Informazioni tecniche → Colophon → Testi istituzionali → Saggi dal catalogo: → Carlo Sisi Fra Babilonia e Pompei. Teoria e immaginazione dell’antico. → Eugenia Querci Nostalgia dell’antico. Alma-Tadema e l’arte neopompeiana in Italia. → Nadia Murolo Materiali archeologici nei quadri di Alma-Tadema: alcune considerazioni. → Biografia Alma Tadema → Sezioni della mostra → Elenco delle opere in mostra → Scheda catalogo → → Scheda Compagnia di San Paolo torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO comunicato stampa Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico Napoli, Museo Archeologico Nazionale 19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008 → Le suggestive scoperte archeologiche di Pompei e dell’area vesuviana, oggetto di scavi approfonditi nel corso dell’Ottocento, hanno esercitato un influsso fortissimo sull’immaginario di pittori e scrittori nel corso del secolo, restituendo un’immagine vivida e straordinariamente presente del mondo antico, con la sua realtà sociale, politica, quotidiana e artistica. Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico è la mostra promossa dalla Regione Campania nell’ambito della rassegna “Eventi in Campania 2007” e dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania con il sostegno della Compagnia di San Paolo, curata da Stefano De Caro, Eugenia Querci, Carlo Sisi. L’esposizione traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della pittura neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto internazionale e ponendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I quattordici “quadrimuseo” dell’artista rappresentano una straordinaria rinascita del mondo romano (e in parte minore, greco), con tutto il corredo di antiche suppellettili, abiti raffinati, ambienti impreziositi da marmi e tripudi di fiori. Con tecnica raffinata e disegno meticoloso, egli evoca il sogno di un mondo popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità delle rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e rende struggente e reale la nostalgia dell’antico. Grazie alla profonda conoscenza archeologica e letteraria dell’antichità classica, egli riesce a far rivivere, in una chiave finemente estetizzante, un mondo ormai perduto, dove le scene del quotidiano assumono le sfumature del mito. Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti provenienti da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di artisti italiani e stranieri (sessanta opere in mostra) che si accostano al genere neopompeiano. La loro pittura è destinata ad un ceto alto borghese che ama riconoscersi, nobilitando così i propri vizi e virtù, nei riti e nei costumi di una società ormai remota ma anche riproposta nel presente grazie ai reperti archeologici le cui scoperte erano largamente pubblicizzate. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → Il Museo archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti italiani e di Alma-Tadema. Una selezione di tali materiali (una cinquantina di reperti archeologici) provenienti dagli scavi vesuviani (statue, tripodi, candelabri, affreschi) sarà presentata in mostra, spesso a confronto con i dipinti che ne hanno tratto ispirazione. Tra le opere archeologiche alcuni arredi pompeiani, soprattutto bronzi e argenti, vengono esposti per la prima volta dopo essere stati sottoposti a dedicati interventi di restauro. Il percorso della mostra, che dedica ampio spazio alla scuola italiana (Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli, D’Orsi, Netti, Bargellini), prende le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici (gli scavi di Pompei, gli interni delle case, le scavatrici al lavoro, i turisti in visita), interpretati in chiave verista o più sottilmente evocativa, per poi passare, attraverso un salto temporale e logico, alla materiale rievocazione di quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai loro abitanti. L’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana mostra al visitatore il ridestarsi delle antiche botteghe, la vita di padroni e clientes, le scene d’intimità femminile, i rituali religiosi, gli intrattenimenti gladiatorii, la vita alle terme: temi interpretati dai diversi artisti secondo una visione sempre peculiare. Si passa poi alle scene legate alla vita di personaggi storici e alla storia pubblica, per poi arrivare al cuore della mostra: una selezione di opere di Alma-Tadema, provenienti da importanti collezioni internazionali, pubbliche e private, dialoga con i materiali archeologici vesuviani che più hanno agito sull’immaginazione dell’artista. Completa il percorso espositivo una scelta di documenti e di oggetti d’arte decorativa del XIX secolo (tavoli, ceramiche), anch’essa ispirata alle scoperte archeologiche e alla rievocazione dell’antico. Il catalogo della mostra è edito dalla casa editrice Electa. torna all’indice → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice informazioni tecniche Titolo Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico Sede Museo Archeologico Nazionale di Napoli Periodo 19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008 Enti promotori Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Campania Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta Soprintendenza archeologica di Pompei con il sostegno della Compagnia di San Paolo Curatori della mostra Stefano De Caro Eugenia Querci Carlo Sisi Organizzazione e comunicazione Electa con la collaborazione di Civita Allestimento Corrado Anselmi, Milano Progetto grafico Tassinari/Vetta Sponsor tecnici In Più Broker, Arterìa Catalogo Electa Orari Dalle 9 alle 19.30. Chiuso martedì Tariffe la mostra è inserita nel circuito Campania Artecard Prenotazione obbligatoria per gruppi, scuole e visite didattiche tel. 848800288 /+ 39 081 4422149 Sito internet www.archeona.arti.beniculturali.it www.electaweb.com Ufficio Stampa Electa Enrica Steffenini tel. +39 02 21563433 [email protected] Carolina Perreca tel. +39 081 4297435 [email protected] Soprintendenza archeologica di Pompei Francesca De Lucia e Raffaella Levèque tel. +39 081 2486112 [email protected] ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO colophon Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico 19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008 Enti promotori Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Campania, Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta Asse II, misura 2.1 POR Campania 20002006, Iniziative turistiche di rilevanza nazionale ed internazionale per l’annualità 2007 “Eventi in Campania” Staff organizzativo regionale Ilva Pizzorno, Alessandro Porzio, Nadia Murolo, Gennaro Carotenuto, Antonio Ciampaglia, Antonio Ranauro, Rosalba Iodice con il sostegno della Soprintendenza Archeologica di Pompei La mostra è stata promossa da Comitato promotore On. Francesco Rutelli Ministro per i Beni e le Attività Culturali On. Antonio Bassolino Presidente della Regione Campania On. Marco Di Lello Assessore al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania Progetto co-finanziato dall’Unione Europea Stefano De Caro Direttore Generale per i Beni Archeologici → Vittoria Garibaldi Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania torna all’indice Maria Luisa Nava Soprintendente per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta Pietro Giovanni Guzzo Soprintendente Archeologo di Pompei Curatori della mostra Stefano De Caro Eugenia Querci Carlo Sisi Comitato scientifico Rosemary Barrow, Gianluca Berardi, Enrico Colle, Luisa Martorelli, Eric M. Moormann, Nadia Murolo, Giuseppe Pucci, Eugenia Querci, Carlo Sisi Comitato di coordinamento Maria Luisa Nava Maria Rosaria Borriello Luisa Melillo Collaborazioni scientifiche Teresa Giove Marinella Lista Paola Rubino Coordinamento per la sicurezza Angelo Maisto Antonio Coppola Segreteria tecnica Lisa Rapone Segreteria Vincenza Chianese, Patrizia Cilenti → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Enti prestatori Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Perugia Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, Napoli Bloomsbury Auction, Roma Cecil Higgins Art Gallery, Bedford Civico Museo Revoltella Galleria d’Arte Moderna, Trieste Collezione Pérez Simón, Città del Messico Comune di Capua Dahesh Museum of Art, New York Galleria Vittoria Colonna, Napoli Galleria d’Arte Ferdinando Donzelli, Firenze Galleria d’Arte Moderna, Milano Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara Hamburger Kunsthalle Hood Museum of Art, Dartmouth College, Hanover Indiana University Art Museum, Bloomington Musée d’Orsay, Parigi Musei Civici di Asti Museo Civico di Castel Nuovo, Napoli Museo Correale di Terranova, Sorrento Museo Civico d’Arte, Modena Museo della Tarsia Lignea, Sorrento Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcellona Phoenix Art Museum Philadelphia Museum of Art Provincia di Napoli Royal Academy of Arts, Londra Intesa San Paolo Sistema Museale Provinciale di Foggia Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma Soprintendenza Archeologica di Pompei Soprintendenza per il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico per le Province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Pavia Sondrio Varese Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma Testi e schede di Rosemary Barrow (RB) Gianluca Berardi Enrico Colle (EC) Anna Maria Damigella (AMD) Graziella Fotìa (GF) Alba Irollo (AI) Elena Lazzarini (EL) Luisa Martorelli (LM) Maria Benedetta Matucci (MBM) Andrea Milanese Eric M. Moormann Mariaserena Mormone (MM) Nadia Murolo Claudia Palazzolo Olivares (CPO) Francesco Picca (FP) Patrizia Piscitello (PP) Giuseppe Pucci Eugenia Querci (EQ) Teresa Sacchi Lodispoto (TSL) Carlo Sisi Sabrina Spinazzè (SS) Le didascalie dei materiali archeologici sono di Tiziana Rocco. Le schede contrassegnate dall’asterisco * sono relative a opere non in mostra. Tutte le opere di AlmaTadema in catalogo sono identificate in base all’Opus Number assegnato dall’artista e pubblicato nel catalogo generale della sua opera (Swanson 1990). Il prestito del dipinto di Lawrence Alma-Tadema Un altarino,1883, acquerello, cm 34,7 x 17,3, Cecil Higgins Art Gallery, Bedford, è stato concesso a catalogo ormai chiuso. L’opera è pertanto presente in mostra, ma non riprodotta in catalogo. Organizzazione e comunicazione Coordinamento tecnico-organizzativo Tiziana Rocco Collaborazione all’organizzazione Luigi Mammoccio Ufficio stampa Ilaria Maggi ed Enrica Steffenini, Electa Francesca De Lucia e Raffaella Levêque, Soprintendenza Archeologica di Pompei ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Exhibit design e coordinamento generale Corrado Anselmi Realizzazione dell’allestimento Meloni Fabrizio srl con Enrico Vandeli Progetto della grafica in mostra Tassinari/Vetta Apparato didascalico Eugenia Querci Tiziana Rocco Trasporti Sponsor tecnico Assicurazioni Axa Art D’Ippolito C. & Lorenzano R. sas Axa Service Assicurazioni, Scandicci Progress Insurance Broker srl Broker ufficiale della Manifestazione e sponsor tecnico: → Coperture Assicurative INA Assitalia Spa Axa Arte Lloyd's torna all’indice Restauri Laboratorio di restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta Laboratorio di restauro della Soprintendenza per il Polo Museale Napoletano Studio di Conservazione e Restauro d’Opere d’Arte di Federico Tempesta, Firenze Si ringraziano vivamente tutti gli enti prestatori, i collezionisti che hanno preferito rimanere anonimi e tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito allo sviluppo e alla buona riuscita del progetto espositivo Ana Ara Antiche Gallerie d’Arte “ Il Magnifico”, Firenze Archivio dell’Ottocento romano Maria Teresa Benedetti Laura Benini Giorgio Bompiani Mirco Bonfiglioli Rosario Caputo Angela Cipriani Gianluca Confessore Giancarlo Cosenza Sofia Crifò Elena Di Majo Mercé Doñate Laura Feliciotti Ivo Ferraguti Sandro Fiorentino Dalma Frascarelli Luisa Fucito Manuel García Guatas Giuliana Gargiulo Michele Gargiulo Giovanna Giusti Riccardo Helg Vittoria Kienerk Matteo Lafranconi Claudia La Malfa Lola Landa Maria Paola Maino Aide Maltagliati Bruno Mantura Sonia Marcelli Anna Maria Marmo Jerzy Miziolek Alida Moltedo Giorgia Montesano Maurizio Morragreco Emanuele Natangelo Eleonora Nunziante Charles O’Brien Alberto Olivetti Anna Querci Sandra Romito Krystyna Sadowska Gaetano Sarnelli Michela Sartorio Antonella Sbrilli Annalisa Scarpa Angelo Terruzzi Javier Barón Thaidigsmann Anna Maria Troili Dominika Wronikowska Marisa Volpi Un ringraziamento particolare a Juan Antonio Pérez Simón per la generosa e fondamentale collaborazione. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO testi istituzionali Saluto con grande interesse e soddisfazione questo importante evento espositivo. Ancora una volta, dopo il ciclo di mostre “Un Anno al Museo”, assistiamo a un evento culturale di ampio respiro al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, frutto di un’intensa collaborazione tra le due Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei, sotto l’egida della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania e in sinergia con l’Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania, che lo ha inserito nella rassegna “Eventi in Campania 2007”. Iniziative come la mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico assecondano e favoriscono un processo, ormai avviato nella città campana, di riappropriazione del proprio primato intellettuale e culturale; un processo che questo governo intende favorire e determinare tramite scelte e atti concreti. L’originalità e il taglio internazionale dato al progetto, così come l’aspetto interdisciplinare che lo contraddistingue, sapranno incontrare il favore di un pubblico ampio e diversificato, che potrà ammirare, in un’unica irripetibile occasione, opere pittoriche e scultoree provenienti da tutta Italia e dall’estero, ma anche reperti archeologici custoditi da una sede prestigiosa come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La mostra affronta il tema della pittura neopompeiana e del suo più noto rappresentante, Sir Lawrence Alma-Tadema. Si tratta di un’importante operazione culturale e di una preziosa risorsa turistica per Napoli e il territorio campano, luoghi che ancora oggi, come allora nei dipinti di AlmaTadema, costituiscono un cuore vitale, plurimillenario, delle culture mediterranee. Auguro il più grande successo di pubblico ed esprimo l’apprezzamento e le più vive congratulazioni del Ministero. → Francesco Rutelli Vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attività Culturali torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO I siti archeologici di Pompei ed Ercolano, fin dai primi ritrovamenti risalenti a oltre due secoli fa, sono stati fonte d’ispirazione e materia di elaborazione per il movimento artistico e intellettuale europeo. In particolare, l’Ottocento reca tracce indelebili delle molteplici e complesse suggestioni che questo scorcio di Campania ha saputo regalare al talento e all’opera di numerosi artisti. È per questo motivo che la Regione Campania, nell’ambito della rassegna “Eventi in Campania 2007”, in collaborazione con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, ha voluto dedicare una mostra ai capolavori di Lawrence Alma-Tadema, un autentico punto di riferimento di tutta la pittura neopompeiana. I “quadri-museo” dell’artista anglo-olandese, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, propongono la rievocazione del vissuto quotidiano di venti secoli fa in una combinazione tra sogno, mito e realtà. La mostra è arricchita dalle opere di altri importanti autori della scuola italiana della pittura neopompeiana (Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli, D’Orsi, Netti, Bargellini) oltre che dai numerosi reperti depositati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ogni opera moderna viene, infatti, affiancata dal ritrovamento antico da cui ha tratto ispirazione, andando così a ricostruire il percorso di rielaborazione artistica compiuto dall’autore. Si tratta di un’idea assolutamente originale poiché ricrea le condizioni stesse entro le quali l’opera è nata. Questa mostra, d’altro canto, è l’ulteriore dimostrazione di quanto ampio, ricco e importante sia il patrimonio artistico e culturale della Campania. Attraverso iniziative ed eventi come questo, stiamo lavorando affinché esso diventi sempre di più il nostro valore aggiunto per creare sviluppo, valorizzando il meglio dei nostri territori. Ci sono, infatti, tutte le condizioni per far diventare questa regione un punto di riferimento mediterraneo nel panorama dell’evoluzione dei gusti e delle tendenze artistiche. Su questa strada continueremo a impegnarci in un rapporto di collaborazione con le altre istituzioni e con tutti coloro che sono impegnati nel mondo della cultura e dell’arte. → Antonio Bassolino Presidente della Regione Campania torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO La mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico non poteva non essere ospitata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e quindi sostenuta dall’Assessorato Regionale al Turismo e ai Beni Culturali della Regione, che da anni è impegnato nella valorizzazione del patrimonio archeologico e monumentale in sinergia con le altre Istituzioni: la Campania è il punto d’incontro della cultura che la mostra vuole raccontare. Dal 2000 numerose le mostre realizzate per la promozione turistica della regione. Così, da poco conclusa Ambre. Trasparenze dall’antico, che ha ottenuto l’apprezzamento del pubblico, si apre un’altra significativa esposizione, in cartellone per cinque mesi, per ricordare come le suggestive scoperte archeologiche di Pompei e dell’area vesuviana, oggetto di scavi approfonditi nel corso dell’Ottocento, abbiano esercitato un influsso fortissimo sull’immaginario di pittori e scrittori nel corso del secolo, restituendo un’immagine vivida e straordinariamente presente del mondo antico. Esperienze antiche, di enorme importanza culturale, sospinte sia da interesse propriamente scientifico sia da impulsi più vicini al collezionismo. Alma-Tadema propone la rinascita del mondo antico, soprattutto romano, con una tecnica raffinata. Quasi paradossalmente la “nostalgia dell’antico” viene in Alma-Tadema interpretata in chiave “verista”, coerentemente con quanto avviene in altri autori che, con soggetti diversi, si aprono a una cultura romantica. L’artista di origine olandese ricerca invece il mito nel quotidiano, facendo rivivere l’antico in una chiave finemente estetizzante. E far rivivere l’antico può servire ai contemporanei a realizzare iniziative culturali idonee a potenziare l’offerta artistica perché, come abbiamo più volte sottolineato, in Campania l’arte conta, e con eventi come AlmaTadema e la nostalgia dell’antico conta ogni anno sempre di più. → Marco Di Lello Assessore al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania torna all’indice → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Al valore culturale, all’interesse storico-artistico e al fascino che proverà il visitatore di questa mostra si unisce un motivo di grande soddisfazione per la Direzione Regionale ai Beni Culturali e Paesaggistici della Campania. L’esposizione nasce infatti da un progetto congiunto con le due Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei, che l’hanno fortemente voluta e si sono impegnate per realizzarla. Grande riconoscenza va alla Regione Campania che, nel consolidato quadro della collaborazione con questa Direzione, ha incluso la mostra nei suoi programmi di valorizzazione e fruizione turistica “Eventi in Campania 2007”, consentendone la realizzazione, cui ha contribuito anche la Compagnia di San Paolo con la sua consueta generosità, già mostrata per precedenti mostre al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A tutti va il mio ringraziamento per il lavoro di sinergia che fin qui si è svolto. L’esposizione che si presenta ha come obiettivo quello di ricostruire il quadro iconografico della ricezione dell’antichità classica nel corso del secondo Ottocento: a partire dal caposcuola Alma-Tadema, attraverso il ricco filone italiano. L’argomento è affrontato nelle sue diverse sfaccettature interpretative, dando perciò spazio anche alla pittura di storia, ispirata dalle evidenze documentarie e archeologiche del mondo classico, ma anche ai dipinti e alle rilevazioni eseguite dal vero nei siti archeologici di maggior rilievo da artisti, architetti e disegnatori professionisti. Il cuore della mostra è rappresentato da una selezione di opere di AlmaTadema che, con tecnica raffinata e disegno meticoloso, evoca il sogno di un mondo popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità delle rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e rende struggente e reale la nostalgia dell’antico. Grazie alla profonda conoscenza archeologica e letteraria dell’antichità classica, egli riesce a far rivivere, in una chiave finemente estetizzante, un mondo ormai perduto, dove le scene del quotidiano assumono le sfumature del mito. Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti provenienti da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di artisti italiani e stranieri che si accostano al genere neopompeiano. La loro pittura è destinata a confermare sentimenti nazionali e, ancor più, esotismo antichizzante, di un ceto alto-borghese che ama riconoscervisi, nobilitando così i propri vizi e virtù, nei riti e nei costumi di una società ormai remota ma anche riproposta nel presente grazie ai reperti archeologici le cui scoperte erano largamente pubblicizzate. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti italiani e di Alma-Tadema. Il percorso espositivo, che dedica ampio spazio alla scuola italiana, prende le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici per poi passare a trattare il tema della dimensione quotidiana e le scene di storia pubblica. Completa una scelta di documenti e di arte decorativa del XIX secolo, anch’essa ispirata alle scoperte archeologiche e alla rievocazione dell’antico. Il tema della mostra, finora rimasto ristretto all’ambito degli specialisti di storia dell’arte dell’Ottocento e degli archeologi, viene ora presentato al pubblico, per la prima volta in Italia. È un onore poter presentare capolavori e opere meno note, ma ugualmente importanti, in connessione con una selezione di materiali archeologici del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che hanno affascinato e influenzato la produzione dei pittori neopompeiani. Un ringraziamento particolare va ai numerosi musei internazionali e nazionali e ai collezionisti privati, che con il prestito delle proprie opere hanno permesso la realizzazione dell’evento. → Vittoria Garibaldi Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania torna all’indice → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Il risultato lusinghiero ottenuto con il numero di visitatori dell’ultima mostra del Museo Archeologico Nazionale di Napoli nell’ambito della rassegna “Un Anno al Museo”, che la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Napoli e Caserta ha fortemente promosso di intesa con la Regione Campania, premia lo sforzo congiunto delle Istituzioni che hanno inteso offrire al pubblico una serie di eventi di altissima qualità. Tra queste la punta di diamante è stata la mostra sull’ambra, per la novità dell’argomento e i magnifici capolavori esposti, che hanno destato forte interesse nel pubblico italiano e straniero. Sono certa che la mostra che ora si presenta, Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico, nata dalla feconda collaborazione tra le due Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei, sotto l’egida della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania, otterrà i più ampi successi di critica e di pubblico, contribuendo a migliorare sensibilmente l’offerta turistica della Regione Campania, che non a caso ha sostenuto l’evento inserendolo nella rassegna “Eventi in Campania 2007”. La mostra traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della pittura neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto internazionale e ponendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I “quadri-museo” dell’artista rappresentano una straordinaria rilettura del mondo romano, con tutto il corredo di antiche suppellettili, abiti raffinati, ambienti impreziositi da marmi e tripudi di fiori. Il lungo viaggio in Italia del 1863 fu per Alma-Tadema un’occasione importante per visitare i musei e i siti archeologici, e avere un approccio diretto con l’antichità. Visitando scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare i siti, le architetture e i reperti, di cui raccogliere successivamente la documentazione grafica e fotografica. Tra le antiche città vesuviane fu Pompei – la Pompei scavata e restaurata in quegli anni da Giuseppe Fiorelli – il set preferito delle ambientazioni di Alma-Tadema. Un importante strumento di documentazione per Alma-Tadema fu la fotografia. Il suo archivio era un vero e proprio database di materiali archeologici, greci e romani: sculture e decorazioni architettoniche, ma anche affreschi parietali delle città vesuviane. Tale “museo virtuale di reperti antichi”, insieme alla documentazione grafica, era uno strumento di lavoro essenziale per l’artista. Dopo il viaggio in Italia, la collezione fotografica, già iniziata in precedenza, si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi di Pompei ed Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Sicuramente, accanto al British Museum di Londra, il Museo Archeologico di Napoli fu per Alma- ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Tadema un vero e proprio “manuale dell’antico”, rappresentando con la varietà di oggetti e materiali la sua fonte più importante e peculiare di documentazione per il numero e la particolarità degli oggetti. AlmaTadema ebbe modo di conoscere le importanti collezioni della Magna Grecia, le sculture della collezione Farnese e, soprattutto, i numerosi reperti provenienti da Pompei e dalle città vesuviane. Questi erano presentati secondo i criteri museografici del tempo, ovvero suddivisi per classi di materiali e del tutto estrapolati dal loro contesto. Tale visione decontestualizzata, per classi di materiali, fu anch’essa fonte di ispirazione per l’utilizzo che il pittore faceva di questi reperti. Dei materiali del Museo Archeologico di Napoli circolavano anche numerose riproduzioni artigianali, che Alma-Tadema, come altri artisti dell’Ottocento, aveva acquistato, sia in scala sia in riproduzioni al vero. In particolare, l’artista possedeva bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi, che detenevano il monopolio della riproduzione delle opere del Museo Archeologico di Napoli. Di tutto ciò intende dar conto la mostra, allestita accostando opere pittoriche, talora celebri di Alma-Tadema, in alcuni casi meno conosciute di artisti neopompeiani, a una selezione di materiali archeologici che ne hanno influenzato la produzione. Sono lieta di mostrare i risultati degli studi e delle ricerche da cui questa mostra scaturisce, grazie al lavoro comune tra Istituzioni e professionisti di grande qualità. Sono certa che la novità del tema trattato e la particolare rilettura dell’artista, operata dai curatori della mostra che ne hanno con sapienza confrontato e accostato le pitture ai reperti del Museo, saprà stimolare l’interesse del grande pubblico, decretando il pieno successo dell’iniziativa. → Maria Luisa Nava Soprintendente per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta torna all’indice → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice La vita di Alma-Tadema trascorre tra l’edizione prima de Gli ultimi giorni di Pompei e la applicazione delle regole della Altertumswissenschaft. Dall’antiquaria che cede attenzione all’archeologia, al divenire di questa una disciplina normata. Ma non troviamo, e di certo non è da meravigliarsi, echi di questo percorso epistemologico nelle opere del Nostro. In quanto la sua libera creazione artistica può prendere spunto documentario da reperti antichi: ma non si può confondere lo spunto con l’ispirazione. Saremmo, ove ciò fosse avvenuto, di fronte a un illustratore di monumenti antichi: dagli incisori dei rami che compongono Le Antichità di Ercolano esposte agli acquarellisti che documentano gli affreschi vesuviani. Alma-Tadema sogna scene di vita ambientate in un’antichità che, per essere rigorosa nel dettaglio, rimane comunque fantastica e libera: è la sua antichità. Non quella che, in parallelo allo scorrere della sua vita e al moltiplicarsi delle sue opere, gli studiosi si sforzano di intendere in quella che ritengono sia stata l’originale essenza, grazie a nuovi scavi e scoperte e all’incessante critica filologica sui testi letterari antichi superstiti. Che Alma-Tadema abbia preferito, tra tutte le possibili fonti di ispirazione delle proprie creazioni artistiche, l’antichità classica, oltre che una casualità che forse gli esperti potranno studiare e chiarire, può essere riportato all’ultimo spunto di attenzione che la scoperta di Ercolano e Pompei ha indotto nell’Europa colta. A due generazioni abbondanti da quelle prime luminose scoperte, il romanzo di Bulwer-Lytton attualizza, e diffonde in ambienti non più solamente antiquari, l’antica vita disseppellita. L’accrescersi delle conoscenze, e proprio anche l’impiantarsi della tassonomia e della categorizzazione nel corso del XIX secolo, rende più articolato, e possiamo aggiungere oggettivo, quell’improvviso squarcio di luce sul passato. Che ha lasciato, allora, sbalorditi anche i più acuti fra quanti se ne sono interessati. Alma-Tadema normalizza visivamente quanto Bulwer-Lytton aveva, per primo, reso piano, attraverso la formula del romanzo, a molti lettori. Il tono fantasmatico potrebbe far ricordare Arria Marcella di Théophile Gautier: ed è segno del tempo che incalza, di una scienza che non si accontenta più solamente di raccogliere dati ma che preme per farne sistema, la più recente analisi freudiana della Gradiva. E, infatti, la pretesa oggettività del Nostro nel rendere gli arredi (così ci limitiamo a dire, ma Alma-Tadema avrebbe aggiunto e ambientazione generale e temi illustrati) tende a situare con precisione la libera creazione artistica, vincolandola, anche qui, a un sistema che gli austeri professori stanno costruendo, pezzo per pezzo. L’identificare l’autentico modello dal quale Alma-Tadema ha tratto ispirazione e documentazione è opera meritoria, ma attiene, se si consente un paragone, più alla registrazione dei dati climatici che allo studio della meteorologia. Può, al massimo, documentare rapidità di aggiornamento, ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO approfondimento delle conoscenze, abilità nell’utilizzazione iconografica complessiva. Ma senza sfiorare il livello artistico, che è quello che distingue Alma-Tadema dall’anonima, fitta schiera degli illustratori di monumenti antichi. Per gli archeologi di oggi c’è poco da imparare da quei dipinti; il pubblico più ampio può documentarsi più facilmente su internet. Ma quelle scene fiorite, rigorose e languide insieme, documentano del fascino e del richiamo che la visione dell’Antichità induce sulla fantasia artistica. Fosse solo questo il motivo, varrebbe lo sforzo di conservare quei vetusti monumenti, renderli noti e visitabili a tanti, illustrarli senza pedanterie. Fra i milioni di visitatori armati di videocamera potrebbe manifestarsi un secondo Alma-Tadema. Anche solo per questo, il nostro ingrato lavoro contro il tempo che erode, contro l’incuria di tanti che sconvolge, deve continuare a svolgersi. → Pietro Giovanni Guzzo Soprintendente Archeologo di Pompei torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO saggio dal catalogo Fra Babilonia e Pompei. Teoria e immaginazione dell’antico. → Carlo Sisi torna all’indice In un quadro elegante di Gustave Boulanger (fig. 1) è rievocata la recita del Joueur de flûte e de La Femme de Diomède fatta nell’atrio pompeiano della casa del principe Napoleone in rue Montaigne a Parigi dagli attori del Théâtre Français, con la partecipazione di Théophile Gautier che aveva composto il Joueur come prologo alla pièce di Émile Auger. Gli attori abbigliati all’antica recitano sullo sfondo dell’architettura di Alfred Normand che, su sollecitazione dell’illustre committente, aveva costruito l’edificio ispirandosi alla villa di Diomede, alla Casa di Pansa e a quella del Poeta Tragico; e aveva affidato a Sébastien Cornu la decorazione delle pareti alla maniera del III stile illusionistico di Pompei. Il fatto di cronaca mondana, reso singolare dall’eccentricità dell’evento e dalla statura dei suoi protagonisti, avrebbe acquistato ulteriore aura dal duplice risultato cui programmaticamente aspirava la composizione pittorica: quello di essere un elegante travestimento di abitudini e di sentimenti moderni, e inoltre “une excursion ingénieuse [...] dans le domaine du passé”, come scrisse il critico La Fizelière nella sua recensione al Salon del 18611. In effetti l’opera interpretava le aspirazioni di alcuni intellettuali del Secondo Impero disgustati dal ritmo del progresso e dalla banalità della vita quotidiana, tentati di conseguenza dal fascino di reclusioni immaginative e spirituali, da quella “maison de rêve” descritta dallo stesso Gautier in Mademoiselle de Maupin e tanto simile all’eremo pompeiano del principe Napoleone. Era in questi recinti metastorici e accessibili a pochi che giungevano infatti a maturazione le teorie di l’art pour l’art e, d’altra parte, veniva infranta l’intesa conformistica in base alla quale la cultura della Restaurazione aveva realizzato l’armonia – nella vita come nell’arte – fra particolare e generale, natura e istituzioni, presente e storia, esprimendo la passione immediata, coinvolgente e, in fondo, fiduciosa che era stata della civiltà romantica. Sempre nel 1861, Ingres lavorava al Bagno turco e, con l’immaginazione turbata dalla fragranza di promiscuità orientali, insinuava nel puro alabastro della forma raffaellesca quelle privatissime sensazioni che dovevano essere percepite ben oltre il selezionato circolo degli ingristes. Se si pensa infine che nel 1862 Flaubert pubblicava il romanzo ‘archeologico’ Salammbô con l’intento di trasferire nel mito, disumanizzandolo, l’oscuro lamento del cuore e dei sensi oppressi dal grigiore della quotidia- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice na fatica2, si può intendere compiutamente la temperatura elevatissima entro la quale si trovò a operare chi, in quegli anni, avesse inteso confrontarsi con un’arte che non chiedeva più la comprensione e l’assenso dei contemporanei ma si concentrava nello sforzo di costituirsi al di fuori dei rapporti di vita, di operare in traccia di ineffabili sintonie ricercate appunto nel rêve pompeiano, nel molle fascino dell’Oriente o nella brutale maestà di Cartagine. Questa diffusa predisposizione intellettuale ed estetica nei confronti della bellezza eletta e delle metafore del mito aveva prodotto, sin dagli anni Quaranta, le composizioni neogreche di Jean-Léon Gérôme e di Charles Gleyre e quelle, ambientate in scenari quasi cesellati e vividi di lapislazzuli, di Gustave Moreau. Le scelte giovanili di quest’ultimo, venuto a Roma per studiare il canone classico, maturarono proprio negli anni in cui l’esaltazione della libertà – e quindi di vie indipendenti invece che convergenti – aveva ammesso l’imposizione delle particolarità del sentimento nell’ampia gamma che poteva includere tutte le espressioni connesse con i sussulti dell’intimità liberata3; quadri quali la Sera di Gleyre e i Giovani greci che fanno combattere i galli di Gérôme inducevano inoltre a pensare che la forma levigata e quasi astraente insegnata in Accademia per servire da antidoto alle grigie apparenze quotidiane fosse tuttavia capace di alimentare, in virtù della perfezione formale, pensieri anche inquietanti intorno alla resurrezione di civiltà sepolte4. La favolosa bellezza pagana dei nudi di Hippolyte Flandrin e di William Bouguereau – per restare nell’eletto contesto di l’art pour l’art e delle sue conseguenze nella cultura figurativa europea della seconda metà dell’Ottocento – trascende infatti l’ordinaria avvenenza del modello reale perché quei pittori vi seppero innestare fantasie letterarie alimentate dallo stesso bacino estetico nel quale sbocciarono gli Emaux et camées di Gautier; non diversamente da come Luigi Mussini, dipingendo nel 1855 il grande quadro raffigurante Eudoro e Cimodoce, saprà estrarre da Les Martyrs di Chateaubriand il giusto contemperamento degli affetti, riunendo nella frescura di un bosco arcadico la perfezione della bellezza antica e i trepidi sentimenti del cristianesimo rivalutato in tutti i suoi aspetti dalla castità metodologica del purismo e fatto oggetto, proprio a partire da quel giro d’anni, di avvincenti traslitterazioni romanzesche e figurative5. “O noble poésie du silence vivant et passionné! Bel art que celui qui, sous une enveloppe matérielle, miroir des beautés physiques, réfléchit également les grands élans de l’âme, de l’esprit, du cœur et de l’imagination et répond à ces besoins divins de l’être humain de tous les temps [...]”6. Queste righe scritte da Gustave Moreau sulla pagina di un album chiariscono il percorso creativo dell’artista che, resuscitando appunto i fantasmi del passato, attribuisce a quelle spoglie preziose e fragranti la forza → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice espressiva della bellezza impassibile, la volontà di dire chiusa nell’ermetica avvenenza del gesto ineffabile e dell’allusione colta. Gli Ateniesi sacrificati al Minotauro (fig. 2), i Pretendenti, Le figlie di Tespio sono infatti le giovanili immaginazioni di un pittore sedotto dalla mitologia e fiducioso nelle capacità evocative della forma; così come il quadro di Alfred de Curzon, Un rêve dans les ruines de Pompéi. Les ombres des anciens habitants reviennent visiter leurs demeures (fig. 3), si configura come apice di questo indirizzo estetico coniugando magistralmente analogia formale e poesia, tanto che un critico contemporaneo, in vena di traslati letterari, proponeva di intitolare l’opera Songe d’une nuit d’été aux ruines de Pompéi e Théophile Gautier la recensiva quale parafrasi figurativa della sua Arria Marcella, ponendo così in evidenza le diverse matrici dell’ispirazione che diverranno di lì a poco viatico essenziale del pittore “neopompeiano”: “fantastique par les personnages qui ne sont que des ombres; réel par l’architecture qui a la solidité de la chose vraie”7. In virtù di questi pensieri e del dibattito critico sollecitato dalle sempre più frequenti apparizioni di opere d’arte aventi per soggetto le antiche civiltà, non passò inosservato all’Esposizione fiorentina del 1861 il Bagno pompeiano di Domenico Morelli (cat. 36) che avviava un genere ancora inconsueto per l’arte italiana di quegli anni; non a caso richiamando un celebre modello francese, il Tepidarium dipinto da Théodore Chassériau nel 1853, che restituiva alla sua originaria funzione la rovina di una delle sale del bagno pubblico presso la Porta di Stabia, dove un folto gruppo di giovani donne è ritornato a godere degli ozi sontuosi attribuiti per antonomasia agli abitanti di Pompei8. Chi, come Giuseppe Rovani, aveva potuto vedere il quadro di Morelli ancora nello studio milanese dell’artista, si era soffermato con agio ad ammirare le trasparenze ardite dei panni nell’ombra stillante dell’edificio, la fedeltà archeologica della ricostruzione architettonica, la “trascuratezza cercata” della pittura che dimostrava, anche nell’artista napoletano, la partecipazione commossa all’evocazione del tempo e del luogo9. Altri, come Yorick, intuirono i probabili debiti letterari, la traccia di letture capaci di dar nomi e caratteri alle bagnanti pompeiane: era forse tra esse – si chiedeva, nella sua recensione, il critico toscano – la figlia di Arrio Diomede, l’amante di Glauco dalle belle chiome, discesa a bagnarsi nelle terme pubbliche dalla sua splendida villa suburbana? L’integrazione narrativa avanzata da Yorick poteva in effetti coincidere con l’anastilosi letteraria operata nel romanzo di Bulwer-Lytton, in cui la risorta Pompei diviene scenario di passioni attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura classica e l’entusiasmo delle ininterrotte scoperte archeologiche: componenti, però, sottratte all’esame della filologia e consegnate all’avvincente arbitrio della ricostruzione romanzesca10. → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Nel traffico di una via assolata, nel quartiere delle botteghe, tra fioraie e servi indaffarati, bighelloni in veste di porpora e, a sfondo, brani di affreschi negli interni aperti alla vista, Glauco, il protagonista de Gli ultimi giorni di Pompei, si imbatte in Giulia, la più bella e la più ricca delle donne della città che, velata e seguita da due schiave, si sta avviando alle terme del Foro. Può darsi in effetti che da questo spunto narrativo Morelli traesse materia per la composizione del suo quadro e che rimanesse avvinto dalla lettura del romanzo, molto diffuso grazie alla frequenza delle sue numerose traduzioni, proprio per la convivenza in esso della finzione narrativa, riferita alle passioni dei protagonisti, e della verità storica, ricercata nella descrizione della città e dei suoi costumi; per cui vi si poteva leggere che gli abitanti di Pompei “escludevano volentieri la luce dell’ardente loro cielo, associando nei voluttuosi loro ritiri l’idea del lusso con quella delle tenebre”11. Fra il 1861 e il 1863 Morelli meditava un seguito della storia letta e poi dipinta con la mente accesa dalla tangibile evocazione dei luoghi, e poneva quindi mano alla forte istantanea di un triclinio dopo l’orgia12, dove l’assopimento scomposto della crapula e la paziente sottomissione del giovane schiavo ci appaiono come pensieri attuali filtrati attraverso il fascino turbativo dell’ambientazione antica. Se da una parte la crudezza del tema avrebbe avuto conseguenze nella polemica restituzione della storia manifestata in opere, come i Parassiti di Achille D’Orsi (cat. 30), che coniugavano il referto con le istanze sociali; non è d’altro canto improbabile che l’antitesi di bellezza e decadenza, implicita nella rappresentazione del soggetto morelliano, dipendesse anche da suggestioni ricavate dal ‘clima’ del quadro di Chassériau e da analoghi modelli francesi, come i Romani della decadenza di Thomas Couture13, dove l’antico diveniva tramite di pensieri ulteriori e di privatissime evasioni estetiche: in Morelli, però, alleviate dal sontuoso fardello parnassiano e animate da spunti di trepida realtà. Il calidarium delle terme vi appare dunque disadorno e quasi scabro, come appena estratto dalle secolari scorie del vulcano, e nella sua ombra il panno luminoso dà risalto alla grazia semplice della serva contadina; mentre i corpi riversi sul triclinio paion serbare memoria del groviglio di forme esanimi che Giuseppe Fiorelli estraeva in quegli anni dalle rovine della città14 assecondando, attraverso l’impassibile indagine positiva, il sogno letterario e artistico cresciuto intorno alle vicende di quelle vite trapassate. Allora il dato aveva provocato la resurrezione di eventi trascorsi, immaginati e veri a un tempo (come voleva Morelli), per la pregnanza del referto, per le implicite suggestioni poetiche, per l’intimo fuoco che li aveva subito tradotti in impressioni di vita quotidiana, distanti dagli ineffabili colloqui fra révenants coltivati dai parnassiani francesi15. L’abbandono della monumentalità dell’antico e la sua subordinazione all’accidentalità → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice dei fatti e dei caratteri, ai diversi pensieri che l’indagine sul vero sapeva dedurre dall’ambito letterario e dagli orizzonti inaspettati dischiusi dai nuovi metodi della ricerca archeologica, venivano conferendo anche a quel genere storico facoltà di introspezione, di spregiudicata inchiesta su bellezze antiche e decadenza, narrate come inquietudini presenti. La prefazione di Dall’Ongaro all’edizione fiorentina del Tito Vezio di Anselmo Rivalta adombra l’aspirazione ormai diffusa a recuperare da quegli inesauribili depositi della storia i vizi e le virtù che ne costituivano l’ininterrotta continuità – epoche in cui “agli elementi latini già trasformati e corrotti dalle conquiste, si venivano mescolando le cupe e misteriose superstizioni dell’Egitto e dell’Asia Minore, e l’arte greca e la mollezza orientale finivano di stemperare la ferrea fibra dei vincitori, già vinti”16 –, e che potevano rendere vive e spiranti le reliquie del passato soltanto alla sensibilità di chi le avvicinasse con trasporto letterario, corroborato però dalla storicità e verità delle circostanze e dei luoghi: il dato appunto, che si contrapponeva, nell’arte italiana postunitaria, al sontuoso mito flaubertiano e all’estetismo evocativo di l’art pour l’art. Roma e Pompei offrirono a questo proposito scenari emozionanti all’officina di artisti e letterati convinti delle possibili analogie fra passato e presente, e il romanzo di Bulwer-Lytton – destinato ad avere grande successo in Italia grazie soprattutto alla traduzione di Francesco Cusani – rappresentò un campione di quella capacità evocativa basata sui dati dell’archeologia e della storia, ma subito rivolta a recuperare sensualità e moniti nutriti appunto dalla nostalgia di epoche restituite per frammenti alla conoscenza e alla sensibilità dei moderni17. Così, per fare un esempio, la scena in cui Jone sfiora il volto di Nidia per intuirne la celebrata bellezza, si avvale dell’immediato corrispettivo archeologico – la cosiddetta Psiche di Capua (fig. 4) – capace di immettere la finzione narrativa nel flusso dei dati verificabili: “Non aspettò la risposta Jone, ma parlando, passava lenta e lieve la mano sul volto chino e un po’ ritroso della greca: su quei lineamenti che solo un’immagine al mondo può ancora rappresentare e ricordare, una statua mutilata e pur sempre meravigliosa, della sua città nativa, della sua stessa Napoli; quel volto pario, innanzi al quale tutta la bellezza della Venere fiorentina è povera e terrena, quell’aspetto pieno d’armonia, di giovinezza, di genio, d’anima, in cui i moderni studiosi hanno creduto di riconoscere l’immagine di Psiche”18. Nel capitolo titolato L’anfiteatro, la descrizione dei ludi gladiatorii attesta, per fare un altro esempio, il meticoloso aggiornamento dello scrittore su quanto sino ad allora si sapeva intorno all’argomento: in compagnia dell’egiziano Arbace entriamo nel circo già gremito di spettatori in tutti i suoi ordini, dai popularia ai sedili più bassi destinati ai magistrati e agli insigniti di dignità senatoriale o equestre; siamo invitati a osservare i dipinti che → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice ornano il parapetto e il velarium tessuto nella più candida tela di Puglia e ornato di ampie striature cremisi che, manovrato dai guardiani del circo, quel giorno non andava a posto come di consueto, “e poi che un largo squarcio di cielo rimaneva visibile in fondo al baldacchino, per l’ostinato rifiuto di una parte del velario di allearsi al resto, i mormorii di malcontento furono alti e generali”. Ma l’apparizione del rituale corteo dei gladiatori distrae il pubblico e in special modo impressiona le matrone, delle quali possiamo cogliere il concitato dialogo: “quello è un retiarius; è armato soltanto, vedi, d’una lancia a tre punte come un tridente e una rete; non porta armatura, solo la benda intorno al capo e la tunica. È un uomo fortissimo e combatterà con Sporo, quel gladiatore là, atticciato, con lo scudo rotondo e la spada sguainata, ma senza corazza; adesso non ha l’elmetto, perché gli si possa vedere il viso – com’è intrepido ! – ma a suo tempo calerà la visiera”. Grande effetto sortiscono poi due gladiatori a cavallo – “portavano la lancia e lo scudo rotondo splendidamente intarsiato; l’armatura era formata di bande di ferro intrecciate, ma copriva solo le cosce e il braccio destro; corti martelletti che arrivavano solo alla sella davano al costume un’aria pittoresca; le gambe erano nude, i sandali allacciati sopra la caviglia” – che preludono con le loro evoluzioni allo “spettacolo imponente e terribile” rievocato da Bulwer-Lytton attraverso una sequenza di dettagli e immagini19 in grado appunto di collegare, sul filo tesissimo della narrazione, le crudeltà del passato alle curiosità del lettore moderno in cerca di emozionanti affinità sul confine di immaginazione e di fedeltà archeologica. I soggetti gladiatorii dipinti da Jean-Léon Gérôme, a cominciare da Ave Caesar, morituri te salutant (1859, fig. 5), corrisposero in special modo a quella esigenza di contemperare fantasia colta e precisione narrativa intorno a un tema di forte coinvolgimento estetico e morale: la nostalgia per le epoche antiche – prima alimentata dalle forme elette di l’art pour l’art quindi dall’attenzione al dato dell’indirizzo realista – aveva portato infatti il pittore a introdurre nel quadro di storia le stesse analisi condotte in quegli anni in ambito letterario (si veda, nel dipinto, il velario inceppato che compare anche nel ricordato episodio degli Ultimi giorni di Pompei), ottenendo di conseguenza la resurrezione di eventi trascorsi per cui la precisione dello scenario architettonico e la corrispondenza storica delle armi e degli ornamenti, perfettamente resi dal magistero formale accademico, facevano quasi sentire al pubblico dei Salons lo strepito dell’anfiteatro e le grida canoniche: “jugula, ure, verbera!”. Del resto, già per i pittori neogreci, il tema scelto doveva essere viatico a integrazioni di diversa natura poiché, scriveva Edoardo Dalbono nella sua commemorazione di Gérôme, “invenzione non vuol dir soggetto, ma vuol dire quanto vede e aggiunge l’artista alla interpretazione del soggetto enunciato”20: ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → che nel caso nostro significa rappresentare l’antico come scenario di passioni attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura classica e l’entusiasmo destato dalle sempre più frequenti scoperte archeologiche. Un’escursione a Pompei poteva del resto lasciare nell’artista l’impressione d’una vita da poco interrotta se ancora si vedevano dipinti sui muri gli avvisi di imminenti munera (“venti coppie di gladiatori appartenenti a Decimo Lucrezio Satrio Valente, sacerdote per la vita di Nerone, figlio di Cesare Augusto, e dieci coppie di gladiatori appartenenti a Decimo Lucrezio Valente suo figlio gareggeranno dall’8 al 12 aprile. Ci sarà un programma completo di combattimenti con bestie feroci e tende di riparo”); come pure una visita al Museo Nazionale di Napoli era la migliore occasione per arricchire il repertorio delle armi con la visione diretta di galeae, galerii, ocreae, baltei, lì raccolti insieme alle altre preziose testimonianze della civiltà pompeiana. Gérôme dà prova d’aver studiato quei reperti in una serie di statuette di gladiatori modellate con le attenzioni ricostruttive di un archeologo (cat. 33, 34), nel celeberrimo Pollice verso (1873) e nella monumentale scultura (1878) che dallo stesso dipinto ricava le sole figure del reziario e del mirmillone, dove più evidente appare la fedele riproduzione dell’elmo decorato con scene della caduta di Troia conservato nel Museo di Napoli, dettaglio che vincola entrambe le opere al dato storico ma dal quale esse traggono anche lo spunto per pensieri attuali filtrati attraverso il fascino turbativo dell’ambientazione antica21. “L’antichità non è morta nel mondo moderno; un ardore d’investigazioni s’è messo negli intelletti, e rimossi li schermi tra popolo e popolo, riceviamo per gli aperti spiragli come uno spirito nuovo; i pregiudizi di scuola boccheggiano tra le querimonie senili di chi sente sguizzarsi di mano la vita, e bestemmia, pur moribondo, la luce che gli spunta sugli occhi. Le lingue e le letterature sono già divenute problemi di storia e la storia una scienza. Abbiamo deposto, ed era già tempo, i logori calzari d’Arcadia in cui siam nati, per mettere i piedi nella sacra terra abitata dal vero”22. Neppure la filologia restava esente da quella partecipata indagine sulle vicende dell’antichità se, nel 1868, Gaetano Trezza preludeva al suo corso di letteratura latina con l’esortazione a introdurre il passato nello studio dei fenomeni umani essendo l’antico “parte organica del moderno” e il fatto un’evoluzione ideale di forme eterogenee e non una “specie stabile”, di riferimento assoluto. In contrasto aperto con la rigidità del dettato accademico, il richiamo agli studi classici come a linfe rigeneranti il pensiero moderno, lucrezianamente definite vitaï lampada, doveva dunque richiamare in vita i mondi defunti, e non tramite colte analogie ma attraverso la predisposizione sperimentale della cultura positiva, capace appunto di fondere il lirismo della tragedia classica con il realismo del dramma contemporaneo. torna all’indice → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Antonio Ciseri, impegnato dal 1873 a dipingere la grande scena dell’Ecce Homo! (fig. 6), avrebbe condiviso quella esplorazione del passato affidandosi alle pagine della Vie de Jésus di Ernest Renan, che gli consentiranno di evitare le convenzioni stilistiche e narrative della pittura sacra a favore, nell’ordine, dell’analisi imparziale delle fisionomie e delle attitudini; dell’oggettiva messa a fuoco del contesto architettonico, riprodotto con acribia archeologica; dello scandaglio dei sentimenti che rimanda alle inquietudini della civiltà di fine secolo, nel dipinto adombrate dalla fede o dal dubbio dei diversi protagonisti23. Sempre in quegli anni, Raffaello Sorbi (cat. 22 e fig. 7) dipingeva scene romane nelle quali il forte risalto dato alla descrizione degli ambienti – il più delle volte ricostruiti sotto la guida del prezioso repertorio di Guhl e Koner24 – riverberava sugli episodi narrati suggestioni di verità, a loro volta accentuate dai ritratti attualissimi di uomini e donne coinvolti nell’avventura dell’atelier e divenuti attori di eventi che il pittore sottraeva all’epopea per convertirli in semplice dato di cronaca, in istantanea ricavata dall’accurata indagine sui costumi di Roma, spesso con un’ardita messa a fuoco di caratteristiche fisiche e morali. In linea con quanto accadeva nelle arti figurative, nella filologia positivista e, in sintesi, nel complice dialogo fra discipline diverse ma per molti aspetti affini, Giuseppe Rovani scriveva La giovinezza di Giulio Cesare componendo una sequenza di Scene romane nelle quali il recupero dei più minuti particolari della vita quotidiana e, insieme, la rappresentazione di stati passionali spesso anomali e patologici, miravano a studiare il protagonista come “umano poliedro” formato di qualità molteplici e opposte, non escluse le “debolezze e le aberrazioni del sentimento e del senso”25. Rovani intendeva innanzi tutto collegare con immediatezza attualizzante i fatti di Roma antica a quelli dell’esperienza contemporanea: sia nel descrivere la caratteristica dei luoghi – “Il Palatino era il quartiere dove sorgevano i palazzi del più vetusto patrizio romano (i nobiloni dei quattro quarti d’allora). Esso, come dice Ampère, era a Roma quel che il sobborgo St.Germain è a Parigi. Era la nostra Porta Nuova, il Borgo Nuovo, la via de’ Bigli, la via Monforte; quel che si vuole insomma”26 –, sia nel delineare icasticamente le peculiarità di famosi comprimari – “Allora giovane ancora (Sallustio) faceva quel che oggi si direbbe il giornalista, e redigeva coll’aiuto d’altri, e segnatamente di Cesare, il Commentarium rerum urbanarum; il Moniteur d’allora; perché Roma fu la prima ad avere una gazzetta [...]”27. A un livello più emozionante, la pagina letteraria condivide con la pittura espedienti cromatici e luministici che avvalorano l’indagine inquieta sui caratteri, come avviene in un episodio del romanzo di Rovani quando la luce lunare si posa sulle figure di Cesare e di Cetego “tagliando il viso di quest’ultimo, di maniera che la parte inferiore era in ombra, spiccando → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice netta la superiore, la quale pareva uscire, come di soppiatto e sospettosa, da una selva densissima di capegli a larghe anella, che [...] insieme coi sopraccigli congiungentisi fitti all’inizio della linea nasale, davano un aspetto terribilmente fantastico a quella testa giovanile, cui Cesare artista ed esploratore di caratteri guardò a lungo”28. Sono i casi in cui la ricognizione archeologica e le componenti della narrazione subordinano il vero storico agli ‘squilibri’ dell’animo umano, alla predilezione scoperta per le anomalie e le abiezioni che connota il ribellismo di veristi e scapigliati e dà materia a nuove interpretazioni della vita antica e dei suoi controversi personaggi, a cominciare da Nerone e dal sontuoso e tragico contesto delle sue azioni efferate. Applicando all’analisi dei fenomeni sociali e culturali dei suoi anni la scienza statistica, Domenico Gnoli trovava, per esempio, che le parole “orgia”, “ebbrezza”, “agonia”, “febbre”, “convulsione”, erano divenute così frequenti in letteratura da costituire un lessico poetico della trasgressione, ammesso là dove prima quelle stesse parole rivestivano significati ributtanti29. Il quadro di Siemiradzki Le torce di Nerone viene allora portato a esempio della nuova attitudine a privilegiare gli affetti “che fan ballare i nervi”, rappresentando appunto l’efficace contrasto fra la tortura dei cristiani accusati dell’incendio di Roma e il sadismo dell’imperatore immerso nel lusso e nell’orgia: elegante nelle sue voluttà, quasi attraente nella sua ferocia, Nerone incarna in questo caso l’ideale dell’“essere diverso”, del “patire per eccezione” cui aspirava la cultura antiaccademica di quegli anni, tanto che l’Enobarbo diviene protagonista di drammi e di opere in musica – la più celebre quella composta da Arrigo Boito –, di quadri dipinti senza reticenze come quelli celebratissimi di Piloty e Kaulbach30, di poemi, come l’Ahasver in Rom di Robert Hamerling, i cui versi contengono l’esplicito richiamo al piacere incontrollato che gli scapigliati paragonavano ai desideri violenti e conflittuali della sensibilità moderna (“Altre ebbrezze or domandano i sensi; / Non la gioja, ma l’orgia furente / E dell’orgia gli strepiti immensi”)31. Accanto alla provocatoria riabilitazione di Nerone quale uomo in rivolta, i grandi eventi nei quali si fondevano coraggio e crudeltà davano adito a inaspettate metafore delle anomalie e dei conflitti sociali in atto nella società postunitaria: in campo artistico, la prevalenza di temi pompeiani e, più in generale, romani all’Esposizione di Napoli del 187732 rappresentò la massima affermazione di quel genere e di conseguenza la prima occasione ufficiale per motivare da un punto di vista critico l’ammissione del soggetto antico fra le questioni sollevate, da metà secolo, intorno all’autonomia dell’artista e al concetto di vero anche nelle rappresentazioni storiche. All’Esposizione di Torino del 1880 l’arte del boudoir sarà d’altra parte sconfitta dalla “verità non abietta” dei motivi ricavati dalla storia → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice antica, tanto più che in quella occasione gli artisti avevano puntato su soggetti eroici e di esplicito significato morale e politico, come dimostrarono il gruppo Cum Spartaco pugnavit del massone Ettore Ferrari, che ribadiva l’interpretazione umanitaria dello Spartaco di Vincenzo Vela e gli spiriti libertari del popolare romanzo di Raffaello Giovagnoli; o come l’altro gruppo del Combattimento del reziario col mirmillone di Eugenio Maccagnini, che fissava in monumentale evidenza l’inesorabile destino dell’uomo sottoposto ai capricci del potere33. L’impegno ideologico aveva allora sollecitato un classicismo impervio e senza pregiudizi nella rappresentazione dello strazio, fosse stato quello dell’eroe proletario o del martire cristiano, e, di conseguenza, l’affondo spettacolare e il puntiglio didascalico dichiaravano di subordinare la forma alla preminenza del gesto retorico: un classicismo, si direbbe, di intonazione carducciana, tra “epodi” e “odi barbare”, che insieme al monito civile e alla vis polemica ammetteva tuttavia la bellezza oggettiva di rivisitazioni antiche “lavorate come una tazza greca”, oppure temperate al fuoco di un’immaginazione sontuosa (“Da i gradi alti del circo ammantellati / Di porpora, esse ritte / Ne i lunghi bissi, gli occhi dilatati, / Le pupille in giù fitte, / Abbassavano il pollice nervoso / De la mano gentile, / [...] / E le nipoti di Camilla, pria / Di cedere le mani / A i ferri, assaporavano l’agonia / De’ cerulei Germani”)34. Episodi di crudeltà o di clemenza egualmente enfatizzati dallo scenario tumultuante dell’anfiteatro si potevano trovare rappresentati, negli anni Ottanta, in quadri molto graditi al mercato internazionale e ricercati soprattutto per la loro dipendenza dalla pittura antichizzante di Gérôme, della quale si ammiravano ancora la lucida oggettività della ricostruzione storica, intesa come “divinazione perfetta di mondi lontani”, e la coltivata letterarietà dei contenuti, che allargava gli orizzonti narrativi seguendo la convinzione ormai diffusa che la storia fosse per l’arte come un immenso magazzino “dov’essa sceglie quel che meglio convenga allo spirito e alle idee del suo tempo” rivestendolo infine “de’ propri panni”35. Dipinti di Carlo Ademollo come Il monaco Almadio impedisce gli spettacoli gladiatorii (1880) dimostrano infatti la fortuna del pittore francese, conosciuto in Italia grazie alla diffusione delle incisioni della casa Goupil, e documentano altresì l’affermazione di uno stile narrativo che nuovamente mirava a svincolare la rappresentazione dei soggetti antichi da metafore civili e morali, a vantaggio di più cordiali intese sul piano della colta contemplazione estetica o dell’avventurosa narrazione. Son queste le ultime figurazioni di un genere artistico destinato a esaurirsi con la crisi dello storicismo e delle varie declinazioni del principio di verità, tant’è che Camillo Boito, visitando l’Esposizione Nazionale di Torino, scriveva a proposito del quadro di Netti: “Finiscono a parere stan- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice tii i Triclinii, sebbene a rallegrare il convito, oltre alle donne ignude e agli uomini briachi fradici e inghirlandati di fiori, vi sieno gladiatori feriti o morti lunghi distesi per terra”36. Avranno maggior spazio, a partire dagli anni Ottanta, i sostenitori di una “pittura di idee” opposta all’erudizione archeologica e alla sensualità pagana degli epigoni di Gérôme: la luce mediterranea che illumina gli affreschi del Senato di Cesare Maccari (fig. 8) e certe visioni della Magna Grecia dipinte da Francesco Netti sono alcuni indizi della nuova aspirazione dell’artista volta a esprimere nella figurazione l’evidenza di bellezze tangibili e le risonanze interiori contenute, in misura analoga, nelle rievocazioni pittoriche di Alma-Tadema e favorite in Italia dall’apporto del classicismo tedesco e dalle mitologie preziose del Decadentismo letterario37. L’opera d’arte aspira d’ora in avanti a essere “natura ripensata”38 capace di “far sentire l’umanità anche dove la figura umana non è presente”39, secondo un’evoluzione teorica ed estetica che coinvolge persino chi, come Luigi Capuana, aveva condiviso con Verga la battaglia verista: “quando siamo costretti dalla meschina realtà e dobbiamo respirare la pesante aria moderna, sforziamoci di impregnarla di sottili aromi, estratti da fiori esotici, che hanno virtù di insolite ebrezze; e assottigliamo così la materiale brutalità del vero, da ridurla almeno a simbolo, ad apparenza che vi faccia pensare a tutt’altra cosa che al vero”40. Se, in questa particolare accezione estetico-letteraria, le Scene tiberiane di Rocco De Zerbi potevano aver ispirato le tele di Giovanni Muzzioli e, di pari passo, la prosa immaginosa di Adolfo Venturi impegnato a ritrascrivere la biografia del pittore modenese in brani levigati e dannunzianamente traboccanti di immagini41, non è da escludere che la rêverie pagana dei Poemi conviviali di Giovanni Pascoli presiedesse alla riconversione simbolista del genere storico-antico quale si avverte nell’arte italiana dell’ultimo decennio del secolo. Sono soprattutto gli Idilli di Giulio Bargellini (fig. 9) a sostenere questa svolta idealizzante, e a condividere le evasioni alessandrine coltivate nella cerchia aristocratica del Convito, dove la dialettica fra realtà e immaginazione che aveva originato la moderna rivisitazione dell’antico cede alla fascinazione del tema raro, del traslato allegorico, alla misteriosa risonanza delle immagini alleviate da ogni contingenza terrena e finalmente consegnate all’ineffabilità del simbolo: donne in attesa di approdi divini (“Non forse hanno veduto a fior dell’onde / un qualche dio, che come un grande smergo / viene sui gorghi sterili del mare?)42; giovani legati da corrispondenze appassionate di sensi e di intelletto, che abitano residenze marmoree (“Tra mare e cielo, sopra un’erta roccia / la Scuola era del coro: era, di marmo / candida, la sonante arnia degli inni)43; conviti intrecciati di umane tenerezze (“Oh! Nulla, io dico, è bello di più, che udire / un buon cantore, placidi, seduti / l’un presso l’altro, avanti mense piene / di pani ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → biondi e di fumanti carni, / mentre il fanciullo dal cratere attinge / vino, e lo porta e versa nelle coppe”)44; trionfali apparizioni sulla riva del mare (“[...] Ed ecco dalla nave / scese una schiera di settanta capi / bruni, tutti fioriti di corimbi, / e su la spiaggia stettero. Un chiomato / citaredo sedé sopra un pilastro, / e preso lui gli auleti con le lunghe / tibie alla bocca. [...]”)45; consoli, guerrieri e schiavi di Roma, atteggiati per un ultimo ricordo sullo sfondo della città ancora pagana (“[...] Roma dormiva. Agli archi quadrifronti / battea la luna: e il Tevere sonoro / fioria di spuma percotendo ai ponti. / Alto fulgeva col suo tetto d’oro / il Capitolio [...]”)46. torna all’indice 1 Si veda in L’art en France 1978, p. 314, e, inoltre, Sisi 1989, pp. 27-34. 2 Lukàcs 1970, pp. 235 e ss. 3 Si veda a proposito Del Bravo 1973, pp. 107-115. 4 Ivi, p. 113. 5 Si veda Sisi 2005, pp. 29-33. 6 H. Rupp, in Musée Gustave Moreau 1983, p. 14. 7 L’art en France 1978, pp. 337-338. 8 Ivi, pp. 323-324. 9 Le osservazioni di Giuseppe Rovani sono riportate dalla ‘Gazzetta di Milano’, 4-7 novembre 1861 e si leggono in Levi l’Italico 1906, p. 112. Alcune parti del presente saggio sono riprese da Sisi 1993, pp. 174189. 10 Bulwer-Lytton 1955. 11 Tra le innumerevoli traduzioni italiane del romanzo, la più utorevole è considerata quella di Francesco Cusani (Cusani 1871, III, p. 105). 12 Del dipinto, rimasto incompiuto, si parla in Levi l’Italico 1906, p. 113, e con ulteriori informazioni in Disegni e autografi 1975, p. 30. 13 Domenico Morelli poté vedere i due dipinti nel suo viaggio a Parigi del 1855. 14 Fiorelli 1873b. 15 Avviato in Francia dalla pubblicazione, fra il 1824 e il 1838, dei quattro volumi de Les Ruines de Pompéi di C.F. Mazois, il gusto per la rievocazione romantica della città dissepolta trova significative manifestazioni a partire dal ricordato quadro di Alfred de Curzon; cfr. L’art en France 1978, pp. 323324, n. 90, e pp. 337-338, n. 205. 16 Si veda la prefazione di F. Dall’Ongaro al racconto storico di A. Rivalta, Tito Vezio ovvero Roma cento anni avanti l’era cristiana, Firenze 1867, pp. VIII-IX. 17 Per l’indirizzo archeologico del romanzo storico dopo il 1848 e, in particolare, sul concetto di modernizzazione della storia e l’interpretazione soggettiva della stessa si rimanda a Lukàcs 1970. 18 Bulwer-Lytton 1955, p. 162. 19 Ivi, pp. 431-446. 20 Dalbono 1915, p. 113. 21 Si veda in Sisi 2003. 22 Trezza 1962, pp. 1009-1010. 23 Si veda il capitolo relativo all’opera in Antonio Ciseri 1991, pp. 86-104. 24 Guhl, Koner 1875. 25 Si fa qui riferimento ai concetti espressi nel Preludio in Rovani 1873. 26 Ivi, vol. I, cap. II, p. 35. 27 Ivi, vol. I, cap. II, p. 51. 28 Ivi, cap. V, pp. 107-108. 29 Gnoli 1876, pp. 55-75. 30 Ivi, p. 56. 31 I versi sono tratti dal poema di R. Hamerling, qui riportati nella traduzione di V. Betteloni, Nerone (Assuero in Roma), Roma 1877 (seconda edizione). 32 Si vedano i titoli numerosi e i relativi commenti in Abbatecola 1877, e inoltre gli scritti di Netti 1980, pp. 141 e ss., e Bindi 1876, pp. 17-18, 24. 33 Mimita Lamberti 1982a, pp. 42-44. 34 Carducci 1879. 35 Gnoli 1876, p. 64. 36 Si veda in Civiltà dell’Ottocento 1997, p. 588, 17.218 (scheda a cura di C. Farese Sperken). 37 Si veda a proposito Scotoni 1981, pp. 1819. 38 Capuana 1905, p. 224. 39 Corradini 1897. 40 Capuana 1905, p.221. 41 Agosti 1991. 42 G. Pascoli, L’ultimo viaggio. XXIV. Calypso, in Poemi conviviali (1904). 43 Ivi, L’inno eterno. 44 Ivi, Solon. 45 Ivi, I vecchi di Ceo. V. L’inno nuovo. 46 Ivi, In occidente. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO saggio dal catalogo Nostalgia dell’antico. Alma-Tadema e l’arte neopompeiana in Italia. → Eugenia Querci torna all’indice Se si eccettuano alcuni contributi isolati, tra cui il fondamentale saggio di Carlo Sisi Umbertini in toga1, esiste un vuoto bibliografico sull’arte neopompeiana motivato, oltreché dal naturale superamento primonovecentesco di linguaggi e contenuti ormai desueti rispetto alle nuove urgenze della società e della storia, dall’ostracismo di natura ideologica alimentato dalla critica dominante soprattutto tra gli anni Quaranta e Sessanta del Novecento. La stessa definizione di arte neopompeiana (includendo in questa anche la scultura) è sostanzialmente assente nei dizionari e nei manuali e, eccettuando interventi critici recenti focalizzati su temi limitrofi o intersecanti la questione neopompeiana, il termine è scarsamente utilizzato anche nella saggistica storico-artistica. Mancano studi specifici e ricognizioni su scala nazionale del panorama degli artisti che hanno affrontato le tematiche neopompeiane, sia in forma episodica, sia come pratica sistematica e di mestiere. Una disamina che al contrario, anche effettuata senza rigorose pretese di sistematicità, rivela scenari complessi e presenze inattese. Obiettivo di questa mostra è proprio quello di disegnare un primo quadro d’insieme, cercando di cogliere le diverse venature e implicazioni. Trattando soprattutto la scuola italiana, si è scelto di collocarla nel più ampio panorama internazionale, mettendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). Pur rilevando in molti casi sostanziali differenze tra l’intonazione tademiana e quella nostrana, fondamentale è il comune punto di partenza: Pompei. Da qui, l’arte della seconda metà dell’Ottocento prende spunto come bruciante motivo reale e, a un tempo, condensato iconografico di suggestioni letterarie e trasposizioni immaginative, aspirando a ricomporre, in un irresistibile tableau vivant, quell’antichità classica che in Roma trovava da sempre la massima valenza simbolica. Ma la Roma imperiale o repubblicana, la sua vita politica, il linguaggio monumentale dell’architettura, la nobiltà dei sentimenti e delle aspirazioni ideali, naturali interlocutori della tradizione accademica, rispondono solo in parte alle necessità della società di fine Ottocento. Occorre passare dalla sfera dell’ethos al terreno vivo e prosaico della realtà umana, e Pompei costituisce la parola chiave, l’innesco che permette all’immaginazione di agganciare e richiamare al fluire vibrante della vita → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice quella dimensione quotidiana che i monumenti romani, nella loro magnifica imponenza, non hanno potuto conservare. Lo aveva già inteso Madame de Staël: “A Roma non si trovano altro che resti di pubblici monumenti, e questi non rammentano altro che la storia politica dei secoli passati. Ma a Pompei vi è la vita privata degli antichi, che si presenta tal quale essa era”2. Non occorre e non è possibile qui ripercorrere le vicende degli scavi di Pompei (ma anche Ercolano, Stabia, Oplontis, Boscoreale). È noto il ruolo fondamentale avuto dall’approccio sistematico e divulgativo di Giuseppe Fiorelli nella conoscenza della vita di queste città, ma soprattutto il potere suggestivo esercitato dal metodo dei calchi da lui messo a punto, testimonianza impressionante di dolore e istantaneità della morte da lasciare ancora oggi senza fiato. Perfino Auguste Rodin, che a ben altra antichità usa rivolgere lo sguardo, quella rinascimentale e della statuaria classica, pare trasfondere in molti dei suoi gessi (tra i tanti Le Jongleur e La Martire, Parigi, Musée Rodin) quello stesso spasmo muscolare e quelle superfici scabre e irregolari, come consunte pur nell’orrida corposità. Senza contare lo stimolo esercitato sull’immaginazione di letterati e artisti da parte di quelle prime opere illustrate dedicate agli scavi, in cui l’inserzione all’interno delle rovine ricostruite di figure umane rese con vivacità, come già nella Pompeiana di William Gell (Londra, 1832), crea l’illusione dell’antico nuovamente abitato dai suoi defunti. Impostazione che guida anche François Mazois nel redigere Les Ruines de Pompéi (Parigi, 18241838), che appunto mirava a integrare “la storia dei costumi con la storia dell’arte”. Infine scopo magistralmente conseguito ne Le case e i monumenti di Pompei disegnati e descritti (1854-1896), illustrata dai fratelli Niccolini con splendide tavole litografiche ricche di suppellettili antiche. Il Bagno pompeiano (1861) di Domenico Morelli è, in ambito italiano, il primo dipinto d’ispirazione neopompeiana. Ritrae un luogo reale, l’apodyterium delle Terme Stabiane riportate alla luce in quegli anni e ricostruite da Morelli con alcune licenze nella definizione delle finiture decorative3. Il confronto è immediato con il Tepidarium (1853, Parigi, Musée d’Orsay) di Théodore Chassériau4, presentato al Salon parigino del 1855: nel solco di Delacroix, Chassériau unisce un languido scenario orientalista da hammam algerino, fitto di suggestioni erotiche, alla fine ricostruzione archeologica delle Terme del Foro di Pompei. È proprio questo dipinto, visto direttamente al Salon, a muovere per la prima volta Morelli sulla strada del suo Bagno pompeiano ma, a distanza di sei anni, in quella “voluttà semplice” voluta da Morelli, i retaggi compositivi accademici si sostanziano in maniera contundente dei colori e delle luci del vero resi con una pennellata vibrante. Entrambi i dipinti nascono dalla suggestione di Pompei, ma Morelli, che dopo il Triclinio (cat. 31) abbandonerà il genere, compie quel → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice salto che ci introduce a pieno titolo nel mondo della pittura neopompeiana, nel reame del ridestamento sensoriale ed estetico di un’antichità classica resa viva, destituita della sua aura di inarrivabile idealità. A partire da Morelli, il genere neopompeiano è ampiamente coltivato nell’ambito napoletano, con diverse declinazioni, da artisti di varia provenienza, il calabrese Enrico Salfi, il siciliano Giuseppe Sciuti, il lucano Michele Tedesco5, e partenopei come Camillo Miola e Francesco Netti, che, attraverso il contatto con lo scintillante virtuosismo cromatico di Mariano Fortuny e il solare luminismo della scuola paesaggista napoletana (che alle rovine vesuviane dedica ampia attenzione), adottano una fattura sciolta ma sicura, imprimendo i colori del vero alle loro cronache dell’antico ricreate sulla scorta degli autori classici latini. Lo snodo morelliano e napoletano sembra inoltre fecondare, attraverso la ricettiva mediazione di Eleuterio Pagliano (Zeusi e le modelle, 1889, Milano, Galleria d’Arte Moderna) anche l’ambito milanese e braidense, sul quale agiscono d’altro canto, per tutti gli anni Sessanta, gli influssi dell’art pompier esposta ai Salon. Seppure con cadenza sporadica, in area lombarda si cimentano nei soggetti neopompeiani artisti tra loro diversi: Mosè Bianchi, per esempio, che passa dalle sensuali languidezze alla Gleyre di Cleopatra (1865, Milano, Galleria d’Arte Moderna) alla sciolta e raffinata divagazione del Bagno pompeiano (cat. 36), percorso da allettanti richiami orientalisti. Ma anche Federico Faruffini che, ancora una volta sotto lo stimolo dell’arte parigina da Salon, concepisce l’impegnativo e discusso Le orge di Messalina (1867), dove coniuga il gusto storicista per la fastosa ricostruzione archeologica di ambienti e particolari d’arredo antichi, alla prova del nudo, infine alla rappresentazione di passioni sfrenate e squilibri dell’intelletto interpretati da figure storiche tradizionalmente simbolo di devianza. Nel panorama milanese si muovono anche personaggi come Ludovico Pogliaghi che, accanto alle opere di carattere religioso, si cimenta nella pittura di storia affontata con taglio cronachistico. Eclettico collezionista di opere d’arte antica (egizie, greco-romane, rinascimentali, barocche e settecentesche) riunite in una casa-museo a Sacro Monte di Varese, Pogliaghi lega il suo nome all’imponente lavoro di illustrazione della Storia di Roma di Francesco Bertolini (Fratelli Treves, Milano 1886)6. Passaggi fondamentali, nella diffusione del nuovo genere pittorico, sono le mostre napoletane come le Promotrici del 1876-1877, quando si registra un’autentica fioritura di soggetti ispirati all’antico, maturati sulla scorta di profonde conoscenze o più amatoriali infatuazioni archeologiche. Si scontrano in questi anni due differenti concezioni, quella dell’art pour l’art, per cui il bello risiede nella forma svincolata da ogni impegno etico, e quella che attribuisce preminenza all’altezza e alla nobiltà concettuale del soggetto. A giudicare dai premi via via assegnati, sembra che sia il soggetto a → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice prevalere sulla forma. In polemica con questo orientamento, favorito anche dai critici-letterati, l’Esposizione Nazionale di Torino del 1880 registra l’intervento di Ippolito Castiglioni che, in polemica con Camillo Boito, Tullo Massarani, Enrico Panzacchi, si scaglia contro gli abbellimenti “ruffiani” dei seguaci di Fortuny, la pedanteria erudita nella scelta dei soggetti, la trascuratezza della forma in nome del sentimento, sostenendo che “il soggetto è sempre un pretesto per far dell’arte”7. La prima Mostra Internazionale di Roma del 1883, tenuta a Palazzo delle Esposizioni, sancisce d’altro canto l’affermazione di dipinti e sculture ispirati alla storia romana repubblicana e imperiale, traguardata attraverso il filtro dell’attualità post-unitaria. Numerose sono le sculture che interpretano singoli personaggi fortemente simbolici, come il notevole Giulio Cesare di Ettore Ximenes8. Il dipinto Il fatto di Virginia di Miola, presentato appunto in questa occasione, nasce con l’intento di richiamare l’antica vis romana, attingendo come suggestiva fonte iconografica a Pompei, che riplasma l’immagine di Roma come una città di provincia palpitante di vita, dalle dimensioni misurate e senza sfarzi decorativi. Un’immagine sostanziata anche delle impressioni d’esuberante animazione delle strade e dei vicoli di Napoli9. Se Morelli nel suo Bagno pompeiano aveva scelto un frammento di vita popolato d’interpreti senza nome, cui lo spettatore colto poteva restituire un’identità sulla scorta di ricostruzioni letterarie contemporanee (si veda il saggio di Carlo Sisi), scultori come Vincenzo Gemito o pittori come Saverio Altamura infondono nel genere neopompeiano umori patriottici da leggersi alla luce dell’attualità postrisorgimentale. Un abbinamento adottato anche da Cesare Maccari, con forte investimento simbolico, nei celebri affreschi di Palazzo Madama. In Dulce pro patria mori10, presentato a Roma nel 1883, Altamura mostra il campo di battaglia con i corpi ammassati dei soldati della X legione, quasi un ricordo de La Barricade di Ernest Meissonier (Parigi, Musée du Louvre): un richiamo ai valori della patria “in questo tempo di materialismo eccessivo, di indecorose transazioni, di vigliacche apostasie”11. Un dipinto forse debole sotto il profilo “pittorico”, ma “artisticamente” valido, poiché coglie “la poesia della storia, cioè il vero unito al concetto”12. Alcuni commentatori potevano scusare eventuali cadute ‘tecniche’ in nome dell’idea, ma la fattura accurata e brillante s’accompagnava il più delle volte ai soggetti neopompeiani. Come per l’art pompier13, per molta parte di questa produzione, anche quando narrativa, la questione si gioca tutta sulla téchne, capace di mantenere le opere di artisti tra loro diversi su un livello di gratificazione estetica tale da rendere perdonabili eventuali cedimenti contenutistici. Mai come in questa fase contenuto e forma divengono due insiemi distinti e non necessariamente comunicanti. → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Lo nota già Rocco De Zerbi nel commento alla Mostra Nazionale di Belle Arti di Napoli del 1877, in cui osserva un fiorire di artisti che “perfezionano la forma, il procedimento, il mezzo, il mestiere, la verità del tono, la verità del colore, la verità di luce e d’ombra”14. Ma, ammonisce il critico, non basta parlare agli occhi, “bisogna giungere al cuore, e o turbarlo o affascinarlo o inebriarlo – o turbamento, o ebbrezza, o fascino – senza questi sintomi non v’è arte”15. Anche sulla scorta delle teorie di Théophile Gautier, queste vibrazioni del sentimento, dell’anima, dei sensi, potevano del resto originare esclusivamente dalla sofisticata perfezione formale, divenendo il tema un mero pretesto come nella Sappho dello svizzero Charles Gleyre (1867, Losanna, Musée Cantonal des Beaux-Arts, fig. 1); ma anche nelle squisite finitezze lucenti di raso di Federico Maldarelli (fig. 2 e cat. 19), che nella lezione purista coniugata alle teorie del vero trova la misura di un nuovo idealismo risolto nella forma: corporeo e atemporale insieme. Non il “sublime” nella forma propugnato da Luigi Mussini, che comprendeva “la linea, il gesto, la nobile espressione del concetto”16, ma il bello tale in quanto non eterno, infiltrato da quei sentori di corruttibilità diffusi dai princípi del naturalismo ravvisabili per esempio nella Fabiola di Maccari (Siena, collezione Chigi Saracini, fig. 3), che nelle vicende della morta e risorta città di Pompei trovava un culmine di significazione. Certamente, per i primi passi del filone neopompeiano, la lezione francese è fondamentale. È la graduale, ritrovata fortuna dei temi legati all’antichità classica, a partire dagli anni Quaranta in Francia, dopo la crisi dei davidiani, a permettere, pur con le dovute correzioni d’angolazione, il fiorire del genere neopompeiano. Già Paul Delaroche, con il suo storicismo cronachistico, aveva indicato un nuovo possibile approccio alle vicende della storia, testimone raccolto poi da Jean-Léon Gérôme attraverso la mediazione ingresiana. Se Antioco e Stratonice di Ingres (Chantilly, Musée Condé), presentato al Salon del 1840, già mostra, nell’accurata raffigurazione di decorazioni murali e suppellettili antiche, la strada di una fedeltà al dato documentario come possibile potenziamento della suggestione pittorica pur nel dominio della linea, è Gérôme, al centro della cerchia dei Neo-Greci17, a comprendere lo straordinario potere insito in una rievocazione dell’antico rivestita delle spoglie del quotidiano. Un metodo applicato con costanza, in concomitanza con le richieste della Maison Goupil, ai soggetti greco-romani, storici, orientalisti. L’incontro tra Alma-Tadema e Gérôme a Parigi nel 1864, al ritorno dal primo viaggio dell’artista inglese in Italia, dopo la ‘rivelazione’ di Pompei, sembra coincidere con la maturazione della pittura neopompeiana di Alma-Tadema. Quell’accentuazione epico-enfatica che Gérôme non cessa di imprimere alla narrazione delle cronache della storia e dei frammenti → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice del reale (basti vedere Pollice verso, 1872, Phoenix Art Museum e Le ultime preghiere, The Walters Art Museum, Baltimora), viene epurata già nei primi dipinti di soggetto romano di Alma-Tadema. Pur affiancato da altri artisti come Edward Poynter, Alma-Tadema rappresenta l’artista neopompeiano internazionalmente più noto in grado, grazie alle formidabili conoscenze archeologiche e alla tecnica impeccabile, di rievocare l’antico quasi illusionisticamente, in una dimensione non aulica bensì intima e raffinata. Nelle sue opere è pienamente soddisfatto il desiderio già espresso, nel 1834, da Edward Bulwer-Lytton dopo aver visitato le rovine di Pompei: “[...] popolare nuovamente quelle strade deserte, ricomporre quelle affascinanti rovine, infondere nuova vita in quei corpi sopravvissuti; attraversare quell’abisso di diciotto secoli e donare una seconda vita alla Città dei Morti!”18. E Alma-Tadema attraversa quell’abisso con un veleggiare leggero, sospeso tra mito e realtà: ricompone una società scomparsa, con tutta la sontuosa ricchezza o l’ordinaria semplicità dei suoi arredi, oggetti, costumi e abitudini, sempre traguardati attraverso il filtro dell’attualità sociale di fine Ottocento. Alma-Tadema, sentenzia Ugo Fleres nel 1883, “si slancia indietro attraverso i secoli e pianta il suo cavalletto nella vera vita pagana”19. Se da un lato l’esito più immediato dei suoi dipinti è quello di appagare un ampio pubblico, non necessariamente colto, dall’altro l’estrema finezza tecnica, la sensibilità cromatica e luminosa, la complessità compositiva, la vaghezza dilettosa e senza tempo delle sue ambientazioni, lo apparentano pienamente al filone estetizzante anglosassone. Filone estetizzante che per artisti coevi come Frederic Leighton o Albert Moore tende però a spostare la visione, nella rarefazione delle atmosfere e nella mitizzata bellezza dei corpi, verso esiti trasfiguranti e simbolisti. L’orizzonte di questi artisti è una Grecia favolosa e depurata di ogni accidente, in una visione apollinea dell’antichità classica (mentre in Alma-Tadema e nei neopompeiani prevale, anche iconograficamente, la pur controllata componente dionisiaca) che lascia poco o nessuno spazio agli elementi del quotidiano: un colloquio con l’antico che si sostanzia dell’ammirazione per la statuaria classica, tradotta nei corpi torniti, nella purezza del disegno, nella latente astrazione delle ambientazioni e dei tratti fisionomici che si ricollega all’estetica preraffaellita. Una contaminazione non estranea anche a molte opere di Alma-Tadema, dove talune figure mostrano l’interrogativa fissità di antichi oracoli, dove l’elaborata bellezza femminile e maschile rinnova senza fine un’impossibile promessa di felicità terrena e libertà dei sensi, dove la corporea materialità delle rappresentazioni rende struggente e reale la nostalgia dell’antico. Nei dipinti di Leighton, osserva acutamente Richard Jenkyns, “il domestico si fa monumentale” e, aggiungiamo noi, si tratta di un domestico affidato alla sottigliezza delle → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice sfumature emotive, all’inafferrabilità delle vibrazioni del sentimento, più che al dettaglio materiale e decorativo. L’antico di Alma-Tadema è visto invece con gli occhi di un collezionista che gode nell’assemblaggio, spesso incoerente, dei capolavori del decoro e della statuaria greco-romana: la sua resurrezione dell’antico sarebbe stata impensabile senza quella wunderkammer a cielo aperto chiamata Pompei. Già Francesco Netti aveva definito i dipinti di Alma-Tadema “quadrimuseo”20 e non c’è dubbio che il riferimento iconografico principale, soprattutto per la produzione del decennio 1864-1875, sia, più propriamente, quello della “casa-museo”; gli esempi sono innumerevoli, ma basterà citare la stessa dimora di Alma-Tadema in Grove End Road a Londra, il Museo di Gian Giacomo Poldi Pezzoli a Milano,Villa San Michele di Axel Munthe a Capri, la casa “petit musée” di Gustave Moreau a Parigi: in parte museo, in parte cabinet de curiosités, in cui lo sguardo può vagare tra piccoli bibelot ed eclatanti capolavori. La cultura materiale di fine Ottocento tende inesorabilmente ad accumulare oggetti secondo una foga feticista e onnivora che gradatamente, nell’intersecarsi degli umori decadenti, si raffina nel culto dell’oggetto prezioso, sintesi di qualità estetiche irripetibili. E nei dipinti di Alma-Tadema gli oggetti sono spesso i reali protagonisti, posti sullo stesso piano della figura umana: in Un sacrificio a Bacco (1889, cat. 61) la baccante che si staglia ieratica sulla sinistra del dipinto è materialmente ed esteticamente equiparata, quasi accorpata, al prezioso cratere in argento del tesoro di Hildesheim posto ai suoi piedi. Lo stesso si può dire de La processione verso il tempio (1882, cat. 63), in cui la giovane donna fulva coronata di pampini è ‘offerta’ allo sguardo del visitatore composta in un assemblaggio di importanti oggetti antichi e autentiche minuzie, come la piccola statuina in bronzo sorretta dalla mano della giovane donna. Del resto, è proprio in questi anni che le ditte Sommer e Chiurazzi diffondono nelle case borghesi, attraverso le proprie fonderie di Napoli, l’oggettistica pompeiana ed ercolanense. Alcuni artisti, come Ettore Forti, si specializzano in dipinti di piccolo-medio formato in cui il gusto popolare per l’aneddoto s’unisce all’esposizione di una variegata oggettistica archeologica: in sinergia con le esigenze del mercato, Forti crea una messe di scenette dalle tinte vivaci in cui i personaggi, per lo più ripetitivi e ben distinti in stereotipate categorie psicologiche, sono intenti in azioni quotidiane oppure occupati in effusioni condite di fatua malizia. I quadri-museo di Alma-Tadema, come il sontuoso La galleria di statue (1874, cat. 62), si distanziano dall’antico atemporale proposto dalla casamuseo neoclassica, in cui si privilegia il bello archetipico della statuaria greco-romana. I repertori di sculture, dipinti e oggetti proposti da AlmaTadema sono invece calati in una dimensione quotidiana che conferisce → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice credibilità a un passato ricostruito soggettivamente, creando l’illusione seducente della “storia recuperata”21 e vivente. Come è noto, AlmaTadema è un conoscitore espertissimo, costantemente aggiornato in materia archeologica, servendosi, oltre che di libri, di misurazioni e osservazioni eseguite personalmente durante le sue visite agli scavi e di un vastissimo repertorio di fotografie di vari autori che ritraggono, oltre ad ambientazioni pompeiane erotico-arcadiche con giovinetti nudi e rovine (Wilhelm von Plüschow, Wilhelm von Gloeden), soprattutto immagini degli scavi vesuviani e oggetti conservati nei musei più importanti (Giorgio Sommer e altri). Ma non c’è sequenza cronologica nell’ordinamento delle immagini, bensì raggruppamenti in base al soggetto, il che allontana metodologicamente l’artista dall’opera-documento, eliminando l’equivoco di una pittura archeologica filologicamente impeccabile: trionfano invece la manipolazione di materiali e dimensioni, l’accostamento antigerarchico di oggetti di diversa epoca e provenienza, in un’eclettica varietà paragonabile, oltreché a una collezione, all’assortimento di una galleria antiquaria: un tema, non a caso, spesso raffigurato nei dipinti di Alma-Tadema. Le sue opere acquistano, in questa traccia, il carattere di autentici Gesamtkunstwerk, “storia globale” del gusto e delle inclinazioni di una società in un dato tempo. Se il filtro interpretativo è quello dell’attualità, come dobbiamo intendere questi “vittoriani in toga”22? Sulla stessa traccia di Bulwer-Lytton, le opere di Alma-Tadema partono da un assunto tanto semplice quanto poderoso per gli esiti immaginativi: gli antichi e i moderni sono fatti della stessa carne, “mossi dalle stesse passioni ed emozioni”23. Le forme sociali che, nelle diverse stagioni della storia, incanalano, organizzano e disciplinano questa natura secondo diverse priorità, non mutano nel profondo la sua sostanza. Pur variando le modalità, questo principio agisce tanto per Alma-Tadema quanto per tutta la pittura neopompeiana, che dipinge un altrove fisico e temporale con un’operazione raffrontabile, per certi versi, a quella orientalista, ma afferma un principio esattamente inverso: non evasione nella distanza bensì sorprendente contiguità. In questo orizzonte acquista significato anche la conturbante rinascita del paganesimo antico cui Alma-Tadema dà vita nei suoi dipinti: una pittura sostanzialmente sollevata da implicazioni concettuali o preoccupazioni spirituali, bensì puro godimento estetico e diletto dei sensi. Ma l’edonismo di fondo che domina le sue opere non impedisce di leggerle anche come un tributo all’affermarsi dell’irrazionalismo di fine secolo, all’interesse, diffuso anche dagli studi antropologici, verso magia e superstizione, verso una visione del mondo sollevata dalla responsabilità e dalla problematicità del messaggio cristiano. Acquista senso in tale orizzonte la frequente raffigurazione dei culti dionisiaci nelle opere di Alma-Tadema e in genera- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice le dei neopompeiani: “ogni epoca è capace di vedere solo quei simboli dell’Olimpo che può riconoscere e assimilare in virtù dello sviluppo dei suoi strumenti di visione interiore”, avrebbe più tardi sostenuto Aby Warburg24. È evidente, però, che il dionisismo di Alma-Tadema rimane in superficie, avulso dalla problematicità nietzschiana, bensì impegnato in una celebrazione della bellezza come dato essenzialmente materiale, esprimibile attraverso lo splendore abbagliante della forma e della sostanza degli oggetti, e grazie alla sicurezza della tecnica pittorica. Come è noto, una più larga conoscenza della pittura di Alma-Tadema da parte del pubblico italiano si ha all’indomani della Mostra Internazionale di Roma del 1883, seguita alla prima mostra retrospettiva dell’artista alla Grosvenor Gallery di Londra (1882-1883). Di Alma-Tadema, che quell’anno visita Roma e si trattiene a lungo a Pompei, sono in mostra a Palazzo delle Esposizioni i due acquerelli Un domanda e La scala, e tre oli “che l’incisione ha popolarizzato”25, Lo studio del pittore, Il gabinetto dello scultore, Le feste vendemmiali. Non si tratta di una rivelazione, dato che AlmaTadema è legato all’Italia da un’intensa familiarità, connessa ai suoi ripetuti viaggi (1863, 1875, 1878, 1883) e ai rapporti stretti a partire dagli anni Sessanta con l’ambiente napoletano, con Giovan Battista Amendola e Morelli, di cui diviene amico e corrispondente26, argomenti approfonditi, in questo stesso catalogo, da Luisa Martorelli e Alba Irollo. Ma sono molti i contatti anche con gli artisti della cerchia romana. Nella capitale lavorano Luigi Bazzani e Roberto Bompiani, specializzati nel genere neopompeiano già negli anni Settanta, e molti altri artisti legati ad Adolphe Goupil (si veda il saggio di Gianluca Berardi); senza contare l’attività dell’Academia de España al Gianicolo27, i cui pensionanti, come Joaquín Sorolla, Arcadio Mas Fondevila (cat. 41), Manuel Ramírez Ibáñez, si cimentano nelle tematiche neopompeiane attraverso la mediazione di fortunismo e pittura pompier. A Roma lo stesso Alma-Tadema incontra gli artisti del Caffè Greco e visita lo studio del polacco Henryk Siemiradzki che in via Gaeta si era costruito, non lontano dal Villino Maccari in piazza Sallustio, una dimora in stile eclettico-antico. L’artista inglese è poi in amichevoli rapporti con Guglielmo De Sanctis: presso il Fondo De Sanctis del Museo di Roma sono infatti conservate tre fotoincisioni di dipinti di AlmaTadema affettuosamente dedicate “à mon ami De Sanctis”28. Senza contare che l’ampia circolazione di incisioni29 che riproducono le opere del pittore anglosassone contribuisce (come nel caso di Gérôme) a diffondere il nome e l’iconografia tademiana. Carlo Bonatto Minella sembra conoscere le opere di Alma-Tadema quando nel 1878 esegue La religione dei trapassati (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, fig. 6): pur basato sui modelli iconografici della pittura vascolare greca (cfr. Guhl, Koner 1875, fig. 321), è accostabile all’analogo → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Un’offerta votiva (1873, opus CXVIII, collezione privata30) dell’artista inglese, portando però il soggetto sul terreno della rievocazione malinconicamente toccante di un’antichità più sognata che materialmente riportata alla vita. Era d’altro canto consuetudine di artisti e critici viaggiare oltre confine per visitare le mostre europee: al Salon parigino del 1873, Telemaco Signorini dichiara interesse per l’arte di James Tissot e AlmaTadema31, e all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 Diego Martelli, di dichiarato credo verista, spende parole di apprezzamento per l’opera di Alma-Tadema, di cui ammira la sensibilità coloristica, quasi un’eco dei veneziani e di Veronese32. Non mancano polemiche in merito ai dipinti dell’artista anglosassone esposti a Roma nel 1883: Ferdinando Fontana, quell’anno in forte contrasto con De Zerbi33, nota come altri suoi contemporanei la rigidità delle figure, le pose poco naturali, il disegno secco e meticoloso. Ma nel complesso le reazioni della critica sono positive. Luigi Bellinzoni, tradendo un approccio languido e sentimentale, definisce gli acquerelli, inseriti nella prima sala “gentile e profumata come un canestro di rose”, come un “incanto di grazia inventiva e di fattura”34, mentre gli oli rivelano la profonda conoscenza del mondo antico, tale da fare di Alma-Tadema un “Winkelmann della pittura moderna”35. Ma soprattutto è D’Annunzio a catalizzare l’attenzione attorno ad AlmaTadema, dedicandogli un celebre articolo sul “Fanfulla della Domenica”36 in cui, commentando l’esposizione romana, dimostra ammirazione per “quelle fini fioriture architettoniche e quelle suppellettili sacre e quegli ornamenti eleganti”, a contatto con i quali “le carni prendono una nitidezza gemmea”. D’Annunzio ha impresse negli occhi quelle fanciulle eteree e attonite, le loro chiome fulve che incorniciano visi diafani illuminati da un sole che più che la potenza del Mediterraneo esprime i riverberi argentei dei cieli anglosassoni. La suggestione di queste visioni agisce a lungo sulla sua penna, fino a manifestarsi con enfasi trasfigurante, attraverso il meccanismo ecfrastico37, ne Il Piacere (1889), suo romanzo d’esordio. Alma-Tadema è accostato da D’Annunzio ai Preraffaelliti di cui si fa sostenitore, contribuendo a diffondere il gusto estetizzante della loro pittura nell’ambiente artistico che frequenta a Roma, riunito, a partire dal 1889, attorno al conte Giuseppe Primoli e al principe Baldassarre Odescalchi. Nei primi anni Novanta, Primoli è anche autore di curiosi tableaux vivant in cui lui stesso, la marchesa San Felice e Giulio Aristide Sartorio mimano, forse non senza ironia, scene neopompeiane con anfore, buccheri e pelli di leopardo (Roma, Fondazione Primoli). Sartorio sembra particolarmente risentire delle indicazioni dannunziane, producendo a partire dalla fine degli anni Ottanta alcuni dipinti d’ambientazione neopompeiana-tademiana, per lo più dispersi e noti attraverso fotografie d’epoca (fig. 5). → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Un’antica riproduzione di Un caloroso benvenuto di Alma-Tadema (1878, Oxford, Ashmolean Museum), conservata presso gli Eredi Sartorio, conferma la traccia di questo interesse verso l’artista, mentre sarebbe da vagliare con attenzione il contenuto delle Carte Pietro Giorgi, recentemente depositate alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma38. La datazione delle opere tademiane di Sartorio non è chiara, ma pare evidente che esse riflettono una genesi sofferta e non del tutto coerente, frutto di una molteplicità di stimoli e forse anche della confusione creata dalle valutazioni di D’Annunzio (e non solo) tra temperie preraffaellita e tademiana, certamente limitrofe, talvolta intrecciate (si veda la produzione di John William Waterhouse), ma non sovrapponibili. Confusione poi superata da Sartorio nei dipinti bizantini e simbolisti. Le ricerche di Sartorio sono raffrontabili con quelle condotte da Giulio Bargellini39 a Firenze a partire dal 1889, anno in cui, ventenne, dipinge Mestizia (Foto Alinari, ubicazione ignota). Li accomuna la predilezione per gli intrecci sentimentali-amorosi, lo stretto taglio orizzontale, la vaghezza dei riferimenti archeologici, lontana dall’erudizione di Alma-Tadema ma, allo stesso tempo, non estranea a molti dei suoi dipinti degli anni Ottanta più liberi dal citazionismo del primo decennio. A queste date, l’ambiente fiorentino risulta già pienamente fecondato dai dipinti ispirati alla storia di Roma del modenese Giovanni Muzzioli che, già nel 1876, vi aveva esposto La vendetta di Poppea (cat. 48), concepito sulla scia di Gustave Boulanger e Gérôme, continuando poi a specializzarsi nel genere neopompeiano con un’angolazione sempre più tademiana: all’esposizione di Parigi del 1878, infatti, ha modo di osservare, secondo quanto testimonia Adolfo Venturi40, i dipinti dell’artista inglese, di cui tradurrà poi le suggestioni archeologiche e d’ambientazione in opere raffinate come Al tempio di Bacco (1881, cat. 28), reinterpretato in scultura da Luigi Preatoni nel 188441, e L’offerta nuziale (esposto a Torino nel 1884, cat. 27). Seguono poi capolavori come I funerali di Britannico (esposto a Bologna nel 1888, cat. 47), in cui vibra una forza espressiva del tutto peculiare, aliena dalla composta rarefazione ritratta da Alma-Tadema, più affine, forse, alla carica drammatica e al senso del pathos tipico dell’arte storicista francese dell’epoca, capace di far convivere retaggi romantici e accuratezza verista. Del resto, Muzzioli produce anche, sospinto dalle indicazioni mercantili impartite da Luigi Pisani soprattutto tra fine anni Ottanta e primi anni Novanta, dipinti di piccolo-medio formato in cui trionfano, analogamente alle opere contemporanee di Raffaello Sorbi e Amos Cassioli, scene galanti, talvolta leziose, ambientate in eleganti interni marmorei (Il responso delle nozze, ubicazione sconosciuta42). Giovanni Fattori ha forse in mente alcune di queste opere più frivole quando definisce criticamen- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice te Giovanni Muzzioli come un “Almatadema [sic] in decadenza”43. La Galleria Pisani, analogamente alla linea di mercato di Goupil ed Ernest Gambart per Alma-Tadema, sembra favorire i soggetti neopompeiani, commerciando opere scenografiche e di notevole forza espressiva, in linea con il gusto internazionale geromiano, come La corsa delle bighe nel Circo Massimo di Carlo Ademollo (ubicazione sconosciuta44), tema allora molto in voga come testimoniano numerosi e più seriali dipinti di Ettore Forti, ma anche The Chariot Race di Alexander von Wagner (Manchester Art Gallery). È lecito pensare che su Bargellini agisca anche l’influsso di Muzzioli, sebbene la sua resa dei soggetti tradisca il più delle volte una differente intonazione, talvolta quasi misticheggiante, più facilmente conciliabile con gli umori preraffaelliti-simbolisti respirati a Roma da Sartorio grazie alla mediazione dannunziana. Gli anni Novanta vedono un’affermazione internazionale assoluta di Alma-Tadema: alla World’s Columbian Exhibition di Chicago del 189345 viene affermato che quello di Alma-Tadema, che presenta Un passo di Omero, è probabilmente il nome più popolare dopo quello del presidente! In Italia, negli stessi anni, Alma-Tadema espone alla prima Biennale di Venezia (1895) e alla celebre Festa dell’Arte e dei Fiori di Firenze (18961897), dove presenta l’Autoritratto donato agli Uffizi (1896, cat. 55). A consacrare la fama italiana di Alma-Tadema contribuirà infine la voce autorevole del mensile illustrato “Emporium” che, nell’ambito di una politica pubblicistica volta alla valorizzazione di tutta l’arte inglese orbitante attorno al preraffaellismo e alle correnti estetizzanti (Rossetti, Burnes Jones, Poynter, Millais), gli dedica nel 1897 un lungo articolo ampiamente illustrato a firma Helen Zimmern46. A suggello di questo lungo rapporto con l’Italia, nel 191247, anno della morte dell’artista, entra a far parte delle collezioni dell’Accademia di San Luca, per donazione dell’autore, un Autoritratto in cui Alma-Tadema, nella stessa posa dell’autoritratto degli Uffizi, si ritrae con il cappello di paglia, feriale e dimesso, al lavoro su una tela senza cornice che ci piace immaginare sia ancora da compiere. È curioso che un romanzo come À rebours di Joris-Karl Huysmans (1884), testo cardine della poetica simbolista e dello spirito decadente, ci fornisca una delle possibili chiavi di lettura della temperie culturale che ha permesso l’affermazione del genere neopompeiano. Entriamo nella biblioteca del protagonista del romanzo, Des Esseintes. Su tutta la cultura letteraria latina cala, tagliente e senza appello, la condanna del protagonista: per Des Esseintes solo Petronio è in grado di procurare un autentico godimento: “[...] eccolo finalmente un acuto osservatore, un fine analista, un pittore meraviglioso”, sentenzia il protagonista. Il Satyricon, di cui anche AlmaTadema possiede una copia nella vasta biblioteca48, è per lui un autentico romanzo verista: una “fetta di vita romana tagliata nel vivo” dove l’auto- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice re “dipinge in una lingua da orafo i vizi d’una civiltà decrepita, d’un impero che si va sfasciando”49. In queste parole prende corpo un topos della pittura e in generale dell’arte neopompeiana, ovvero l’istintivo confronto tra l’opulenta e materialista società borghese di fine Ottocento e quella romana imperiale, satolla e corriva, già infiltrata dei germi che avrebbero causato, nel collidere con la ‘rivoluzione’ cristiana, il futuro disfacimento. È, in qualche misura, l’atteggiamento che ritroviamo nei sontuosi dipinti neopompeiani di Siemiradzki. Nel fastoso Orgia romana al tempo dei Cesari (San Pietroburgo, Museo Russo), l’artista immagina scenari di lascive sfrenatezze che amplificano, estremizzandolo, il senso di dissoluzione dei valori e corruzione dei costumi che già Thomas Couture aveva impresso al suo celebre dipinto I Romani della decadenza (1847, Parigi, Musée d’Orsay), ispirato a Giovenale. Ma se nel dipinto di Couture resiste ancora un senso di classica e ariosa compostezza, il rigore metrico della quinta architettonica, l’intensa significatività del gesto di sicura derivazione accademica, nell’opera di Siemiradzki prevalgono il disordinato ammasso dei corpi, la flacca grassezza dei ventri, i violenti contrasti luministici in un’atmosfera notturna e losca che costituisce il reale commento alla scena. Anche nel dipinto più celebre di Siemiradzki Le torce di Nerone (1876, Cracovia, Muzeum Narodowe, fig. 7), eseguito a Roma e presentato in tutta Europa, a partire dall’Accademia di San Luca a Roma (1876), in un trionfante tour d’ammirate ovazioni, permane un atteggiamento ambiguo: sebbene il tema principale sia quello del martirio cristiano celebrato con esibita e indifferente crudeltà dallo scellerato per eccellenza, il Divo Nerone, ai sacrificandi non è lasciata che un’angusta porzione della scena. In una spettacolare ambientazione architettonica, sorprendente anticipazione del futuro Vittoriano a Roma50, una folla di uomini e donne, che incarna tutte le categorie e tutte le classi della società romana d’epoca imperiale, prende posizione in questa pantomima della lussuosità, licenziosa e crapulona, che tuttavia non sembra incorrere in un’effettiva condanna da parte dell’autore. Due mondi, quello pagano e quello cristiano, del tutto incomunicanti. Ma da quel mondo antico è distante anche l’uomo moderno, tormentato dai tumulti dell’anima e dalla “tempra nervosa”, stordito dal rêve e dal sentimento. Al mondo romano si può guardare, è il caso di Rocco De Zerbi, come a un’èra perduta di libero e sensuale “rigoglio del sangue”: “Amore, pel Romano, era possedere; il godimento era l’orgia, l’orgia alla quale le nostre forze non reggono. […]. L’ubbriachezza nostra è opposta a quella del mondo romano. L’orgia della birra ha vinta l’orgia del Falerno”51. Per l’uomo (e l’artista) moderno, De Zerbi disegna due Rome, entrambe capaci di corrispondere ai bisogni della sua epoca: una terribile e affascinante, la grande Roma, quella dei Silla e dei Cesari, dove regna “la vertigi- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice ne dell’insaziabilità, del poter suscitare ed abbattere, del creare e distruggere”, l’altra, la piccola Roma, quella elegante e piena di gusto, comoda e posata (borghese) di Orazio, “una pozza piena d’acqua di rose” opposta alla vertigine oscura dell’Impero. “Il culmine del vizio è il soglio dei Cesari. Su quel soglio si levano pingui profumi che ubriacano gli imperatori di vanità sublime e terribile […] e il papato è stato erede dei Cesari”, conclude De Zerbi. Dunque è ancora sulla natura umana che si fissa l’obiettivo, sulla sostanziale immutabilità delle sue aspirazioni e dei suoi squilibri, come anche delle sue qualità. Guardiamo due facce della stessa medaglia: le familiari scene da cortile di Camillo Miola (Orazio in villa, cat. 49), piene di garbo brioso e verità di tono, e il Nerone di Siemiradzki che uccide con indifferenza sublime. L’imperatore sanguinario, il primo persecutore dei cristiani, l’artista paradossale ed egotico, l’uomo lascivo e volubile, tiranneggiato dalle proprie debolezze, immorale: in una parola Nerone. La sua è senza dubbio una delle figure più popolari nella letteratura52 e nell’arte italiane, anzi europee, tra fine Ottocento e primi Novecento, la cui narrazione prende spunto dai princípi veristi, si intreccia ai languori di un incipiente decadentismo e a tutti quegli studi che, sotto diverse angolazioni, ripercorrono e riesaminano la storia della prima èra cristiana. Citando Paul Saint Victor, nel 1891, Enrico Callegari53 descrive Nerone: “un giovane uomo biondo, miope, nervoso, un po’ grasso, gracile di gambe e dall’aria indecisa. Aveva molto del dandy moderno; ne aveva i tic, l’insolenza, la passione equestre, l’amore per le coulisses”. Nerone, dunque, come un moderno, tale anche nella sua versione più domestica, che ne sottolinea la venatura patetica e risibile, le inclinazioni viziose e sconciamente trasgressive dell’“istrione da taverna”; ed ecco il noto Nerone travestito da donna di Emilio Gallori, che Camillo Boito aveva descritto come “una donnaccia”, dalle mani polpute, le braccia nude, le spalle cicciose che canta e recita in un teatro da trivio54. Un’attrazione per l’equivoco (condannato o meno) che solletica le fantasie di fine Ottocento, in un salto temporale che dal lupanare pompeiano, scoperto sotto la guida di Fiorelli, porta ai bordelli parigini di Henri de Toulouse-Lautrec. Ma la rievocazione di un’antichità popolata di personaggi di dubbia moralità, dediti all’appagamento dei propri bisogni e desideri materiali, inclini all’ebbrezza, lassi e concupiscenti, si tinge delle più diverse sfumature, come nel caso dell’enorme gruppo scultoreo di Ernesto Biondi I Saturnali (1888-1899, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, fig. 4)55, preceduto dal ‘caso’ creato dai Parassiti di D’Orsi (cat. 30) e, non a caso, apprezzato anche da Domenico Morelli. Una scena di pura decadenza, fisica e morale. Due mondi, quello patrizio e quello plebeo, si intrecciano e si fondono in un comune destino di annientamento e scomparsa. Biondi, ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → agguerrito socialista, anticlericale ma severo fustigatore dei costumi, disegna “tipi eterni”, trasfonde nel gruppo, alle soglie del nuovo secolo, tutto il disgusto, l’amarezza, la preoccupazione per il materialismo del suo tempo, per la vacuità d’ideali e sentimenti che non riempie più le speranze postunitarie, in una prospettiva che non vuole essere storica, bensì umana e universale. torna all’indice 1 Sisi 1993. Come interventi successivi si vedano Sisi 1997-1999; Mazzocca 19971999; Ascione 2003, pp. 84-93; Martorelli 2005; Frezzotti 2006, pp. 41-47. 2 M. de Staël, Corinne ou l’Italie, Parigi 1807. Edizione consultata de Staël 1985, p. 300. 3 Martorelli 2005, p. 62. 4 Chassériau 2002, pp. 366-369. 5 Si veda il dipinto Filelleni della Magna Grecia, esposto a Bologna nel 1888, e il relativo commento ne L’Illustrazione Italiana 1888. 6 Pogliaghi realizza le tavole da cui vari incisori ricavano le illustrazioni per più di mille pagine di testi e immagini. Alcune tavole originali sono riprodotte, attraverso fotoincisioni dell’Ospizio di San Michele di Roma, in Una raccolta di 180 tavole riproducenti opere d’arte (s.a.) conservata presso la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, Roma, Palazzo Venezia (BIASA). 7 Castiglioni 1880, p. 18. 8 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883. 9 Lo nota anche Bulwer-Lytton all’inizio del primo capitolo di The last days of Pompeii (1834) descrivendo l’arrivo di Clodio in Via Domitiana: “era affollata di passanti e carri e mostrava tutta quella gaia e animata esuberanza di vita e movimento che troviamo ai nostri giorni per le strade di Napoli” (traduzione dell’autore). 10 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883. 11 Lazzaro 1883, p. 38. 12 Ibidem. 13 Si veda in proposito Luderin 1997. 14 De Zerbi 1877, p. 46. 15 Ibidem, p. 47 16 Mussini 1893. 17 Il termine Néo-Greques è coniato da Claude Vignon nel 1852 (Vignon 1852). Sui rapporti tra Alma-Tadema e i Neo-Greci si veda Whiteley 1996, pp. 69-76. 18 Edward Bulwer Lytton, The last days of Pompeii, prefazione all’edizione del 1834. La presente traduzione è dell’autore. 19 Fleres 1883. Sulla mostra del 1883, si veda Piantoni, in Il Palazzo delle Esposizioni 1990, pp. 109-121. 20 Netti 1938, p. 145; Netti 1980, p. 231. 21 L’espressione è utilizzata da Mottola Molfino 2003, p. 99, a proposito degli allestimenti museali di secondo Ottocento. 22 Definizione utilizzata da Forbes 1973. 23 Alma-Tadema 1909. 24 Cfr. Gombrich 2003, p. 166. 25 Bellinzoni 1883, p. 105. I titoli sono quelli utilizzati nei cataloghi d’epoca. 26 Cfr. Picone Petrusa 1991, vol. 2, pp. 510513, 520. 27 Sull’argomento González, Martí 1996. 28 Ringrazio Teresa Sacchi Lodispoto per l’utile segnalazione. 29 Ne dà chiarissima testimonianza Francesco Netti (Netti 1938, p. 144) commentando le opere esposte alla mostra di Roma del 1883: “una bella incisione della Festa della vendemmia ricomparisce periodicamente nelle vetrine dei negozianti di stampe da quattro o cinque anni; e coloro che sfogliano i giornali illustrati inglesi, conoscono Lo studio dello scultore […] e Il gabinetto di un amatore”. 30 Riprodotto in Alma-Tadema 1996, p. 178. 31 Monti 1984, pp. 101-108. 32 Dini, Dini 1996, p. 189. 33 Fontana 1883. 34 Bellinzoni 1883, p. 27. 35 Ibidem, p. 105 36 D’Annunzio 1883. 37 Pieri 2001. 38 Bruno Mantura accenna al contenuto di alcune di queste lettere in Giulio Aristide Sartorio 1989, pp. 20-22. 39 Presso il Museo di Roma di Palazzo Braschi si trova, nel Fondo Bargellini, un gruppo di riproduzioni a stampa di dipinti di Alma-Tadema, senza date, dediche o iscrizioni, a testimoniare il supporto documentario ricercato dall’artista alla produzione di questi anni. 40 Cfr. Modena Ottocento e Novecento 1991, p. 116. 41 Riprodotto come L. Preantoni [sic], Al tempio di Bacco, in Ricordo della Pubblica Esposizione 1884. Devo la segnalazione di questo album, che raccoglie alcune opere ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → neopompeiane importanti oggi disperse, a Teresa Sacchi Lodispoto, Archivio dell’Ottocento Romano. 42 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole, cit., serie III, tav. 23, Roma, BIASA. 43 Lettera indirizzata nel 1887 a Diego Martelli, in Giovanni Fattori 1983, p. 242. 44 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole, cit., serie III, tav. 22, Roma, BIASA. 45 Cfr. “The World’s Columbian Exposition of 1893” in http://columbus.gl.iit.edu/, sito web dell’Illinois Institute of Technology che fornisce informazioni rigorose e complete (testi e immagini dei cataloghi compresi) su questo evento di rilevanza mondiale. 46 Zimmern 1897. La Zimmern era già autrice di un ampio intervento monografico su Alma-Tadema pubblicato a Londra nel 1886 (Zimmern 1886). 47 L’artista aveva esposto anche l’anno prima a Roma, nel padiglione inglese della mostra del Cinquantenario: Galleria di sculture (n. 119), Il bacio (n. 120), Ritratto del prof. George Aitchison (n. 121). 48 Barrow 2001, p. 39. 49 Huysmans 1994, p. 47. 50 Il 9 gennaio 1878, due anni dopo l’esposizione a Roma, presso l’Accademia di San Luca, dell’imponente dipinto di Siemiradzki Le torce di Nerone, il Parlamento italiano decide di erigere un monumento al Re Padre della Patria Vittorio Emanuele II, morto quell’anno. È possibile che il dipinto di Siemiradzki, stabilitosi a Roma già nel 1872 e lì residente fino alla morte (1902), abbia costituito motivo di ispirazione per il progetto del Vittoriano. Per le vicende e la storia del Vittoriano si confrontino: Antellini 2003 e Brice 2005. torna all’indice 51 De Zerbi 1877, p. 59. 52 Numerose e diverse le opere che potremmo citare: la commedia Nerone di Pietro Cossa (1871), il poema di Robert Hamerling Nerone: Assuero a Roma (1872), Lucio Domizio Nerone Claudio Imperatore. Baloccagine fiorentina di Diego Martelli (1872), la tragedia Nerone di Arrigo Boito, rappresentata postuma nel 1924, il melodramma Nerone, di Attilio Catelli (1888), infine il classico Quo vadis di Henryk Sienkiewicz (1894-1896). Senza contare il noto romanzo di Alexandre Dumas padre dedicato all’amante di Nerone Actè (1838). 53 Gli interventi di Callegari (Callegari 1890, Callegari 1891) erano stati preceduti da quello di Domenico Gnoli, Nerone nell’arte contemporanea (Gnoli 1876). 54 Boito 1877b, pp. 333-334. 55 Per una più ampia trattazione cfr. Frezzotti 2006, pp. 41-47. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO saggio dal catalogo Materiali archeologici nei quadri di Alma-Tadema: alcune considerazioni Nadia Murolo → Alma-Tadema non è un archeologo. Né è sua intenzione esserlo. Pur apparendo ai suoi contemporanei come “un ricercatore instancabile di cose antiche” 1, il suo rapportarsi con gli spazi e le strutture architettoniche dell’antichità, con le più svariate suppellettili, è altro, evidentemente, da quello di uno specialista. Pur suscitando ammirazione per la ricchezza e i dettagli degli oggetti riprodotti nei suoi quadri (paragonati a veri e propri ‘musei’), il suo approccio all’antico e ai suoi materiali è segnato dall’intrecciarsi di esperienze di documentazione e di interventi di manipolazione sugli oggetti così come sulle strutture, che gli permettono di farli scivolare dalla dimensione di reperti archeologici a quella di edifici abitati, di oggetti in uso o di opere d’arte pienamente fruibili nella loro integrità. torna all’indice Le forme e le fonti della documentazione sui materiali archeologici “My first visit to Italy was a revelation to me. It extended my archaeological learning to such a degree that my brain soon become hungry for it”2. Per Alma-Tadema le visite ai musei e ai siti archeologici durante il lungo viaggio in Italia del 1863, e in quelli che seguirono, furono occasioni ineguagliabili per conoscere l’antichità con un approccio diretto, senza alcuna forma di mediazione. Poté veder riuniti nelle grandi raccolte dei maggiori musei italiani3, veri e propri ‘ammassi’ di opere d’arte antica (esposte secondo i criteri positivistici dominanti al tempo) e li ripropose poi, nell’effetto di accumulo, in alcuni spettacolari dipinti (Una galleria di statue nella Roma augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il collezionista di quadri al tempo di Augusto, La galleria di quadri (fig. 1), Appassionato d’arte romano del 1868 (fig. 2), Appassionato d’arte romano del 1870, Giocoliere, Festa della vendemmia. Ebbe modo di confrontarsi direttamente con i grandi monumenti di Roma e soprattutto di conoscere le peculiarità delle città vesuviane, con gli edifici e i tessuti urbani riemersi in oltre un secolo di scavi archeologici. Di Pompei riprodusse alcuni scorci in Ingresso in un teatro romano, Il mercato dei fiori, Un altarino, Un’esedra (cat. 65) riportando le rovine alla loro antica integrità, rivitalizzandole con i colori degli intonaci e delle stoffe, popolandole di personaggi. Visitando scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare i siti, le architetture e i reperti di cui raccogliere successivamente la documentazione grafica e (ormai soprattutto) fotografica, di fare rilievi e disegni, di ricopiare iscri- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice zioni e particolari architettonici, di fare rapidi schizzi degli oggetti che maggiormente lo interessavano. Della sua pratica del disegno dal vero e delle sue elaborazioni ci restano diversi bozzetti che riuniscono insieme oggetti della stessa tipologia4 e sviluppi grafici – nella ben collaudata tecnica che risaliva già alla pubblicazione della prima collezione di antichità di William Hamilton5 – come quello realizzato per trasformare la decorazione dello stamnos del Pittore del Deinos al Museo Archeologico di Napoli6 (fig. 4) in una pittura parietale nel dipinto Una festa privata. Lo strumento che più caratterizza il modo con cui Alma-Tadema si documentava sui materiali archeologici è, però, la fotografia7. Il suo archivio, organizzato con criteri tematici, comprendeva un gran numero di immagini di reperti greci e romani: in prevalenza sculture e decorazioni architettoniche ma anche le immancabili riproduzioni di affreschi parietali delle città vesuviane. Esso costituiva il suo personale data base di materiali archeologici, un vero e proprio ‘museo virtuale di reperti antichi ’ cui l’artista attingeva in maniera sistematica e che, insieme alla documentazione grafica e alle copie di reperti archeologici di cui pure disponeva, era per lui, così come i colori e i pennelli, uno strumento di lavoro fondamentale8. Dopo il viaggio in Italia del 1863 la collezione fotografica, già iniziata in precedenza, si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi di Pompei ed Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Il quadro Tibullo nella casa di Delia del 1866 (fig. 3 e cat. 56), con l’inserimento nell’arredo di diversi oggetti provenienti dai siti vesuviani, di cui possedeva copie fotografiche9, dimostra che il sistema di elaborazione delle immagini pittoriche partendo da spunti fotografici era pienamente consolidato. Il suo archivio comprendeva in gran numero le serie di fotografie realizzate dai maggiori fotografi di antichità come souvenir, per una clientela di turisti colti, dei siti più frequentati al tempo: le immagini di Pompei, molto ben documentata, sono di Michele Amodio, Robert Rive e Giorgio Sommer10, che collaborò a lungo con il direttore degli scavi Giuseppe Fiorelli. Anche Atene, e in particolare l’Acropoli della città antica, di cui si realizzavano in quegli anni lo scavo e il restauro11, è ben documentata nel suo archivio con fotografie di William Stillman; tra queste, l’immagine con vista del fregio del Partenone dalle impalcature12 presenta la stessa inquadratura con cui fu realizzato Fidia mostra agli amici il fregio del Partenone13. L’endiadi disegno dal vero-fotografia, quali strumenti di documentazione del pittore, è ben rappresentata nella scelta di farsi fotografare mentre è impegnato a far rilievi e a disegnare nella Casa di Sallustio a Pompei. Come molti altri artisti dell’Ottocento Alma-Tadema possedeva, inoltre, una collezione di riproduzioni di oggetti antichi, sia in scala sia in proporzioni pari al vero: in marmo, bronzo, terracotta o realizzati con la recente tecnica della galvanoplastica. Tali riproduzioni, ben distinte dagli oggetti → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice antichi falsificati, ma al tempo stesso non esenti da integrazioni moderne in stile, rientravano pienamente nel gusto eclettico dell’epoca e allo stesso tempo risultavano funzionali per il suo lavoro. Tra queste, alcune dei vasi in argento più spettacolari del tesoro di Hildesheim, rinvenuto nel 1865, di cui fece uso ricorrente nelle sue composizioni14: il grande cratere a campana decorato a sbalzo con girali ed eroti, la patera lobata15 e molto probabilmente anche la patera con, sul fondo, Atena in trono a rilievo. Aveva, inoltre, bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi (che detenevano il monopolio della riproduzione delle opere del Museo Archeologico di Napoli)16 oltre, ovviamente, alle meno costose ceramiche, anche queste spesso oggetto di rielaborazioni se non di vere e proprie falsificazioni da parte degli artigiani ottocenteschi i quali, approcciandosi con notevole autonomia agli originali, le riproducevano realizzando in diversi casi veri e propri pastiches di tecniche, forme e decorazioni evidentemente improbabili che pure ritornano in alcuni suoi quadri17. Anche la sua biblioteca privata fu per Alma-Tadema un’importante fonte di documentazione. Con i suoi oltre quattromila volumi18 essa costituiva, certamente, una delle più ricche raccolte di tema storico e archeologico nell’Inghilterra vittoriana19. Ma, al di là dell’antichità riprodotta o descritta, è soprattutto quella nota per esperienza diretta, nelle visite ai musei e ai siti archeologici, a fornire, come ricordato, documentazione e soprattutto ambientazione per le sue composizioni. Tra i tanti visitati, il British Museum di Londra e il Museo Archeologico di Napoli costituirono, sicuramente, i poli di maggior interesse; veri e propri ‘manuali dell’antico’ squadernati nella loro varietà di oggetti e materiali, nella loro vivacità di colori accompagnarono negli anni la sua pittura. Nel grande museo britannico ebbe modo di avvicinarsi alle diverse realtà archeologiche del mondo antico20, conoscere le collezioni Hamilton e Townley e i complessi delle decorazioni architettoniche del Partenone e del tempio di Apollo a Basse21, e poté, inoltre, familiarizzare con alcune classi di materiali tra cui le cosiddette “tanagrine”, statuette greche femminili di terracotta policroma che ritorneranno con le loro eleganti silhouettes nei suoi quadri, riprodotte come ninnoli d’arredo o riecheggiate di frequente negli abbigliamenti e nelle pose dei personaggi femminili22. Al Museo Archeologico di Napoli, di certo la sua fonte più importante e peculiare di documentazione per il numero e la particolarità degli oggetti, Alma-Tadema conobbe soprattutto la grande varietà di reperti dalle città vesuviane. Anche questi, evidentemente, erano presentati secondo i criteri museografici del tempo, già tipici dell’allestimento borbonico, suddivisi cioè per classi e del tutto privati del loro contesto originario, per cui, per esempio, intere sezioni di affreschi parietali staccate dagli edifici erano incorniciate ed esposte come quadri e gli emblemata dei ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → mosaici, originariamente decorazioni pavimentali, erano murati alle pareti. Tale visione decontestualizzata, per categorie, incoraggiava, evidentemente, l’impiego per singoli elementi che il pittore faceva di questi reperti. Tra le antiche città vesuviane fu Pompei il set preferito delle ambientazioni di Alma-Tadema. La Pompei visitata e disegnata dal pittore era fondamentalmente la Pompei scavata e restaurata da Giuseppe Fiorelli23, concretamente fissata nel plastico di sughero che lo stesso archeologo faceva realizzare in quegli anni24. Una città, a quell’epoca, riportata alla luce per metà circa della sua estensione, nella parte a ovest della Via di Stabia; una città dalla conservazione ineguale che nelle zone indagate negli anni più lontani era già ridotta a un rudere con i muri sbrecciati e le pitture sbiadite, mentre in quelle di esplorazione più recente mostrava la possenza delle murature e i colori vivi degli affreschi anche se le case e gli edifici pubblici erano ancora senza tetti, riparati piuttosto solo da modeste tettoie. Le ricostruzioni complete degli ambienti con gli alzati e con i sistemi di copertura erano al tempo, infatti, soltanto disegnate dagli illustratori dell’opera dei fratelli Niccolini Le case ed i monumenti di Pompei disegnati e descritti (1854-1896)25, come già in passato dai pensionnaires dell’École des Beaux-Arts, e fu forse proprio il successo indiscusso di queste ‘ricostruzioni per immagini’ – presenti sia nelle illustrazioni delle grandi pubblicazioni scientifiche sia nei quadri di soggetto ‘antico’ (di cui i dipinti di Alma-Tadema rappresentano una delle massime espressioni europee) – a spianare la strada al metodo del restauro di ricostruzione inaugurato con l’intervento sulla Casa dei Vettii (scavata nel 1894-1895) a opera di Michele Ruggiero e proseguito, nella generazione successiva, da Vittorio Spinazzola sugli edifici dei Nuovi Scavi di Via dell’Abbondanza26. torna all’indice La ricostruzione inventiva delle strutture e degli spazi Pur se essenzialmente vera, l’affermazione che le case antiche di AlmaTadema sono quelle di Pompei va mitigata nel senso che il pittore le reinterpreta in chiave grandiosa e sfarzosa; mai meschine come pure spesso erano in realtà, mai povere, esse diventano nei suoi quadri ampie e sontuose, dotate sempre di colonne e pavimenti marmorei, di statue di marmo e bronzo, come potevano essere solo le domus e le villae dell’aristocrazia romana. La rappresentazione dello spazio domestico si fa più aderente agli ambienti delle domus pompeiane nella riproduzione di pareti decorate ad affreschi e squarci di giardini. È il caso, per esempio, del triclinio in cui è ambientato Tibullo nella casa di Delia (cat. 56) che sul fondo ripropone la sintassi di una parete di III-IV stile (la loro classificazione a opera di A. Mau avverrà solo nel 1882) con l’inserimento di quadri (l’unico ben visibile sembra, però, un pastiche) e decorazioni accessorie, come il pannello cen- → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice trale con il sileno funambolo che, invece, trova un riscontro puntuale da Pompei27. Uno degli spazi preferiti nell’immaginario del pittore è l’atrio, certamente ispirato a modelli pompeiani e tuttavia più solenne e ricco, corinzio, ovvero con più colonne per lato, piuttosto che tetrastilo, con l’alto tetto munito di sontuosi cassettonati e architravi decorati con fregi e con il particolare delle grondaie fittili a testa leonina o di cane, più fedele di altri elementi agli originali. Questa ricostruzione inventiva degli atri ricorre in Appassionato d’arte romano del 1868 (fig. 2), in Appassionato d’arte romano del 1870, in Giocoliere e in Festa della vendemmia. L’inquadratura del primo dipinto si concentra su un lato dell’ambiente ponendo in primo piano un angolo della vasca dell’impluvium e la pavimentazione musiva. La parete di fondo, non sviluppata in tutta la sua altezza, più che richiamare una sintassi di III stile presenta un affollarsi di quadri non coerenti con l’impianto decorativo; all’estremità sinistra c’è un’apertura che dà su un peristilio di cui si intravedono le colonne ioniche e il fregio. L’atrio nella seconda versione di Appassionato d’arte romano è ancora più imponente e più ampia è l’inquadratura con cui è presentato. È un atrio corinzio esastilo con fregio di grifi sulla trabeazione su cui si alzano balaustre che segnano lo sviluppo di un secondo piano (la sua veduta è, però, interrotta dall’estremità superiore del quadro); le pareti sono decorate all’incirca alla maniera del III stile e il soffitto a grottesche, le aperture su spazi esterni sono solo suggeriti, sul fondo, dal portone chiuso all’estremità delle fauces. Anche in Giocoliere è riprodotto sostanzialmente lo stesso spazio architettonico ma l’inquadratura ne copre un solo angolo, come in una zoomata fotografica; manca il secondo piano e c’è, invece, una resa puntuale delle trabeazioni del tetto, mentre sono riproposte in maggior dettaglio, e con qualche modifica della composizione, le decorazioni ad affresco delle pareti e del soffitto. Lo spazio dell’atrio è espanso ancor di più nella larga composizione di Festa della vendemmia dove la profondità dei piani della composizione e gli ‘sfondamenti’ prospettici richiamano, forse, come modello le architetture tipiche delle pitture di IV stile. La struttura è sempre corinzia esastila, l’ampio spazio centrale non coperto, su cui si alzano balaustre, è decorato come il resto dell’ambiente da statue in marmo e pitture; l’ingresso sul fondo, all’estremità destra, è incorniciato da un portale con girali di acanto che riprende fedelmente quello dell’edificio di Eumachia28 e lascia intravedere un piccolo scorcio del paesaggio. Ancora edifici pompeiani sono alla base delle riproduzioni di alcuni ambienti termali, tra cui quello di Un’abitudine prediletta dove è ricostruito, introducendo alcune soluzioni autonome nella resa dei motivi decorativi, il tepidarium della sezione maschile delle Terme Stabiane (qui destinato, però, a un’utenza femminile) con le nicchie per il deposito degli abiti ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → lungo le pareti, la volta di stucco baccellato e la vasca circolare per i bagni tiepidi. Il quadro Thermae Antoninianae, invece, si rifà ai grandi impianti termali romani e, pur richiamandosi nel titolo alle Terme di Caracalla, ripropone quasi puntualmente la struttura della grande aula centrale delle Terme di Diocleziano29. A monumentali modelli di architetture urbane, inoltre, modificati nella composizione con evidente autonomia e tagliati spesso di netto nelle inquadrature, si rifanno le messe in scena di quadri come Un’udienza da Agrippa, Dopo l’udienza, Il trionfo di Tito e La primavera del 1899. Un caso a sé è, infine, quello della riproduzione in Un’esedra (cat. 65) della tomba a schola della sacerdotessa Mamia eretta sulla Via dei Sepolcri a Pompei. La ripresa dell’ubicazione e dell’architettura è fedele30, completata, quest’ultima, dall’aggiunta arbitraria di due acroteri a palmetta posti a coronamento dei pilastrini laterali, e il rivestimento in tufo nell’originale sostituito con il più pregiato marmo; l’antica funzione del sepolcro-sedile per viandanti è riproposta con l’inserimento di un gruppo di personaggi che coprono con le loro figure buona parte dell’iscrizione31 rendendola quasi illeggibile. La stessa struttura, liberata da ogni elemento di contesto e con diverse varianti decorative, sarà riproposta in molte composizioni successive32 come spazio conclusus che accoglie i personaggi della scena e allude, giocando sul nitore del marmo che si staglia sugli sfondi luminosi dei paesaggi mediterranei, alle grandi esedre e ai sontuosi peristili delle lussuose villae maritimae del golfo di Napoli. torna all’indice La trama sottile del ricorrere degli oggetti antichi Si è discusso su quanto Alma-Tadema fosse un approfondito conoscitore dei materiali archeologici e su quanto fosse attento – e in qualche modo anche partecipe – al dibattito su alcuni aspetti della ricerca archeologica del suo tempo33. Dal suo modo di selezionare, presentare e contestualizzare i materiali emerge una dimensione per certi aspetti contraddittoria: su alcuni temi si dimostra sorprendentemente aggiornato mentre riguardo ad altri cade in qualche ingenuità; d’altra parte la libertà che dimostra nel gestire gli oggetti può spiegare, in diversi casi, le sue scelte. Si è insistito, inoltre, sulla sua precisione nel riprodurre i dettagli archeologici evidenziando che tale abilità, da una parte, trasmette all’osservatore una sensazione di realismo e dall’altra lo coinvolge nella sfida erudita a cogliere le citazioni e a riconoscere nei dipinti gli oggetti esposti nei musei34. Sicuramente Alma-Tadema si avvaleva, lo abbiamo visto, di un notevole bagaglio di documentazione, ma su questa operava forti interventi di selezione, modifica e interpolazione, tanto che i materiali archeologici risultano inseriti nelle sue composizioni con un procedimento eclettico di “interpolazione creativa” di immagini tratte da fonti differenti35. → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Nel riprodurre gli oggetti antichi, infatti, il pittore spesso interveniva su di essi: li manipolava, li modificava, li sottoponeva a un processo di restauro-rifacimento che li riportava all’originaria integrità (o presunta tale, come per esempio nel mosaico della battaglia di Isso in Appassionato d’arte romano del 1868 (fig. 2); li trasformava modificandone il materiale costitutivo36 e le dimensioni originarie; in alcuni casi, poi, ne cambiava la funzione inserendoli in contesti differenti37. Inoltre riproponeva i medesimi oggetti in diverse composizioni, spesso anche lontane nei tempi di esecuzione (basti pensare alla piccola oinochoe d’argento, al pendente d’oro con maschera di sileno o ancora al set da bagno in bronzo)38 tessendo una trama sottile di ricorrenze che, al di là delle esigenze funzionali, può essere letta come una ‘marca d’autore’ e rendendo, così, ancor più stimolante il gioco delle citazioni e dei riconoscimenti. La presenza di anacronismi in alcuni dipinti con composizioni di materiali cronologicamente o culturalmente incoerenti è un altro aspetto da prendere in considerazione. Talvolta si tratta di un anacronismo solo apparente, giacché, in verità, sono raffinate citazioni da connaisseur: così per gli oggetti di antiquariato di epoca greca classica o ellenistica che arredano ricche domus romane (Appassionato d’arte romano del 1868, fig. 2, Appassionato d’arte romano del 1870, Giocoliere, Festa della vendemmia) o sono esposti in gallerie commerciali di opere d’arte (Una galleria di statue nella Roma augustea, La galleria di statue, cat. 2, Il collezionista di quadri al tempo di Augusto, La galleria di quadri, fig. 1). Allo stesso modo la presenza di alcuni oggetti egizi in quadri di contesto greco e romano non è il segno di anacronismi, inammissibili in un frequentatore di musei come Alma-Tadema, ma la citazione di oggetti ritenuti più intensamente carichi di significati rituali, come le statuine di Bes in La processione verso il tempio (cat. 63), Un oleandro e Un sacrificio a Bacco (cat. 61), o di preziosa cultura esotica (la statuina di faraone in Prosa), o ancora indicativi di nazionalità, come le cassettine degli ushabty che fanno da contenitori per gli oggetti del saltimbanco egizio in Giocoliere. Anacronismi apparenti sono inoltre provocati anche dall’inserimento in contesti antichi di oggetti di produzione moderna o di forte rielaborazione moderna su frammenti antichi che Alma-Tadema non poteva identificare come tali: per esempio l’oinochoe ad alto collo39 in Tibullo nella casa di Delia (fig. 3), il bacino in marmo rosso con sostegno configurato come Scilla e la scultura dell’Eracle bambino che strozza i serpenti di G. della Porta40 in La galleria di statue (cat. 62) e il candelabro in marmo in stile neoattico decorato con sfingi e trampolieri41 in Festa per la vendemmia. In altri quadri, invece, gli anacronismi sono più evidenti e derivano dal mancato riconoscimento delle cronologie e degli ambiti di appartenenza (peraltro al tempo ancora incerti anche presso gli archeologi specialisti) → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice dei materiali utilizzati, come nel caso di alcune pitture funerarie italiche proposte (in assenza di pitture greche certe) come decorazioni parietali di templi e di case in contesti definiti come greci (La processione verso il tempio, cat. 63, Donna greca e Il soldato di Maratona)42 o di alcuni vasi ed elementi d’arredo di epoca romana più disinvoltamente inseriti in ambienti in cui si svolgono scene per il resto connotate come greche anche nei titoli (Vino greco, cat. 60), La cena (greca) 43. Ma una scelta ancor più forte nella gestione dei materiali archeologici rispetto a tutte quelle che abbiamo sino a ora evidenziato – e che si intreccia profondamente con la conoscenza dei materiali stessi – è la dimensione del “non visibile”, del “tagliato fuori dall’inquadratura” su cui ha efficacemente insistito da tempo E. Prettejohn44. Queste soluzioni compositive sono interpretate come allusive alla dimensione necessariamente lacunosa della conoscenza e della comprensione del mondo antico; il segno, cioè, dei dati irrimediabilmente persi, di quei lost data di cui lo stesso Alma-Tadema prendeva atto non solo vedendo i materiali archeologici musealizzati, ma soprattutto confrontandosi con la realtà della irriducibile incompletezza nella nostra percezione del mondo antico anche nello scavo archeologico di siti come Pompei. Questo approccio ricorre nelle manipolazioni dell’artista sui diversi tipi di materiali archeologici ma risulta soprattutto efficace nella rappresentazione delle sculture e delle pitture antiche, con soluzioni che si possono considerare, ormai, paradigmatiche45. D’altronde la consapevolezza che parte consistente delle sculture delle collezioni dei musei archeologici era copia46 di originali greci ancor più antichi e irrimediabilmente persi, così come lo erano le pitture parietali e i mosaici figurati che tornavano alla luce nelle città vesuviane ha segnato, di certo, il modo di rapportarsi di Alma-Tadema con queste classi di materiali. Alla base c’era, comunque, una conoscenza ampia e consolidata degli oggetti: notevole era, infatti, la documentazione di cui egli disponeva per la scultura e la pittura, composta non solo da un ricco bagaglio di immagini ma anche da testimonianze delle fonti letterarie antiche. Notevole doveva essere, poi, la suggestione delle forme di musealizzazione di questi stessi materiali che pure gli erano familiari: La galleria di quadri (fig. 1) ripropone una delle sale degli affreschi del Museo Archeologico di Napoli, La galleria di statue (cat. 62) ha alla base del suo impianto compositivo la sala dell’Agrippina e dei busti dei Cesari dei Musei Capitolini, fissata nella sua monumentalità da una fotografia Sommer. Su questi spazi reali si innestava, quindi, un processo di rielaborazione in cui si andavano a intrecciare l’estrapolazione e la ricollocazione dei singoli elementi, la concentrazione volutamente anacronistica delle opere d’arte, le modifiche di materie e dimensioni, le inversioni delle posizioni gerarchiche, la rappresentazione di quanto era perduto attraverso le immagini → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice interrotte o negate. Ecco dunque, per esempio, la statua di Sofocle riproposta in bronzo e i quadri di Timante e M. Ludio esposti insieme o, ancora, il bacino con piede configurato, manufatto di non particolar pregio, che occupa il centro della composizione e il quadro con la battaglia di Isso confinato all’estremità della scena47. Alla sua vasta conoscenza di esemplari di pittura e di scultura AlmaTadema attingeva in modo ricorrente punteggiando le sue composizioni di richiami ai dipinti antichi e soprattutto alla grande statuaria, ai rilievi e alla piccola plastica, rinnovando così, di quadro in quadro, la sfida erudita con l’osservatore48. Inoltre, la scelta di riprodurre il fregio del Partenone colorato come doveva essere in antico in Fidia mostra ai suoi amici il fregio del Partenone se da un lato rientra perfettamente nel suo modo di ricomporre l’antichità, riportando gli oggetti nella loro originaria dimensione, dall’altro è segno della sua attenzione per il dibattito che proprio in quegli anni cresceva intorno al colore della scultura antica49. L’interesse di Alma-Tadema per la ceramica antica si concentra sulle produzioni a figure rosse attiche e della Magna Grecia e sulle produzioni della Gallia romana di cui possedeva bozzetti con serie di forme vascolari, sezioni di vasi e acquerelli con riproduzioni a colori di singoli esemplari50. I vasi a figure rosse ricorrono essenzialmente in quadri di ambientazione greca51, soprattutto in rappresentazioni di banchetti e simposi (La siesta ecc.) ma è Le donne di Anfissa che presenta il numero e la varietà maggiori di esemplari, così come richiedeva il soggetto stesso52. Le forme utilizzate da Alma-Tadema sono le più tradizionali dei repertori delle officine attiche e magnogreche, anche se non mancano alcuni pastiches53, mentre i soggetti delle decorazioni, talvolta non ben distinguibili, risultano quasi sempre coerenti con le forme cui sono abbinati, come l’hydria con Eracle in La processione verso il tempio (cat. 63), lo skyphos con civetta e la lekythos con Eros alato in Decoratrici di ceramica o il piatto da pesce con fauna marina in Le donne di Anfissa. Sempre a ceramiche attiche e magnogreche si rifanno, inoltre, le pitture murali inserite come sfondo in Una festa privata, Tra speranza e timore, Vino greco (cat. 60) e La cena (greca) che si rivelano, a ulteriore dimostrazione dell’autonomia con cui AlmaTadema gestiva i materiali archeologici di cui disponeva, la trasposizione in affreschi di pitture vascolari54. La modesta ceramica gallo-romana è, invece, il tema principale del grande quadro, poi suddiviso in tre tele, Adriano in Inghilterra: visita a una bottega anglo-romana di vasaio55 (cat. 64 per la parte tagliata e ridipinta intitolata Un vasaio anglo-romano): una produzione seriale di scarso pregio artistico, ben documentata al British Museum, che costituiva uno dei principali temi di studio della nascente archeologia romano-britannica (non a caso il protagonista del dipinto è l’imperatore del Vallum Hadriani). Oltre che in questo quadro l’interesse di → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Alma-Tadema per il lavoro artigianale dei ceramisti è ancor più evidente in Decoratrici di ceramica dove, a dispetto delle tante firme maschili sui vasi attici, sono due decoratrici a dipingere in rosso (invece che lasciarle non dipinte a risparmio) palmette e girali su vasi verniciati di nero. Gli elementi d’arredo, gli utensili – e quant’altro rientra nell’instrumentum domesticum –, documenti della vita quotidiana che gli scavi nelle città vesuviane continuavano a restituire mettendo in luce la dimensione ‘privata’ della vita dei pompeiani, erano un’altra tipologia di materiali che interessava notevolmente il pittore. La fonte primaria di documentazione era, evidentemente, il Museo Archeologico di Napoli ma anche di questi materiali, che in alcuni casi rientrano nelle produzioni di vero e proprio artigianato artistico, circolavano numerose riproduzioni56: l’ammasso di candelabri e lucerne raffigurati sullo sfondo insieme a statue di bronzo di piccole e medie dimensioni di Una galleria di statue nella Roma augustea e di La galleria di statue (cat. 62) richiama l’allestimento del Museo Archeologico di Napoli ma anche i cataloghi di vendita dei riproduttori. Questi oggetti, nella loro varietà e specificità costituivano veri e propri ‘marchi di fabbrica’ di ambientazioni pompeiane e quindi, per traslato, dell’antichità romana, e ricorrevano chiaramente anche nei repertori dei pittori “neopompeiani”57. Nello specifico dei dipinti di Alma-Tadema in molti casi è stato possibile giungere a una puntuale identificazione degli esemplari riprodotti con quelli del Museo Archeologico di Napoli, come per il tavolino con gambe pieghevoli, lo sgabello e la stufa samovar58 in Tibullo nella casa di Delia (fig. 3 e cat. 56), il candelabro portalucerne59 in La galleria di statue (cat. 62) o ancora la statuetta di sileno portalampada in Vino greco (cat. 60) e il candelabro ad altezza regolabile in Giocoliere 60. La riproduzione accurata e dettagliata di iscrizioni greche e latine è ricorrente nei quadri di Alma-Tadema61 e si realizza in un’ampia gamma di soluzioni. Appare già consolidata alla metà degli anni Sessanta in Ingresso in un teatro romano, con la lunga iscrizione parietale dipinta in rosso, l’annuncio della messa in scena di una commedia di Terenzio, e perdura sino alle ultime produzioni, come in Preparativi al Colosseo del 1912 dove a un segmento di epigrafe su marmo leggibile sullo sfondo si aggiunge il meticoloso dettaglio dei numeri incisi e dipinti di rosso sugli schienali dei sedili. La diversità dei supporti e delle tecniche e la varietà dei contenuti delle iscrizioni si intrecciano di quadro in quadro con un gioco sottile di richiami: sono epigrafi in greco o in latino iscritte su superfici di marmo, in alcuni casi con la semplice ma regolare incisione delle lettere, in altri casi con la loro coloritura in rosso porpora o ancora con l’applicazione di lettere in bronzo62; sono iscrizioni realizzate a mosaico su soglie e pavimenti63, sono sbalzate su bronzo o ricamate su tappezzerie64, sono graffite o dipinte su ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → pareti, cornici, anfore o su altri grandi contenitori65. Riproducono iscrizioni ufficiali o tracce della vita quotidiana e in alcuni casi, poi, il testo è costituito da un gruppo di versi tratti da componimenti poetici che chiosano le scene raffigurate66. Anche nel caso delle iscrizioni la suggestione del dato archeologico lacunoso, non più comprensibile pienamente, si realizza con il ‘gioco’ del messaggio frammentato e interrotto. In alcuni casi il testo è reso con caratteri troppo piccoli per essere leggibile ed è collocato sullo sfondo, in altri è parzialmente coperto dalla sovrapposizione di oggetti o personaggi, in altri, infine, come nel caso di Un passo di Omero (cat. 66), è troncato dall’inquadratura del dipinto. Per realizzare le iscrizioni Alma-Tadema prende spunto, ancora una volta, dalle diverse fonti documentarie di cui dispone, ma soprattutto utilizza i testi che ha visto di persona e ha puntualmente ricopiato, in particolare a Pompei. Tra le riproduzioni fedeli di iscrizioni del corpus pompeiano, in Un’esedra (cat. 65) compaiono, oltre all’epigrafe del sepolcro di Mamia, anche un’epigrafe su un cippo confine della tomba di M. Porcio67 rinvenuta accanto a quella della sacerdotessa; l’iscrizione elettorale in cui il tribuno pretoriano T. Suedio Clemente sostiene la candidatura di M. Epidio Sabino68 è, invece, collocata liberamente al lato del thermopolium raffigurato in Il mercato dei fiori; l’iscrizione otiosis locus hic non est / discede morator69, rinvenuta su un muro in Via del Lupanare, è riprodotta in nero su una parete intonacata in Un altarino, cui segue, con gli stessi caratteri paleografici, in un gioco di epoche e ruoli, la firma del pittore. Infine l’epigrafe M.OLCONIUS.M.F.70 su una soglia di marmo in Festa per la vendemmia è stata puntualmente ricopiata dal pavimento dell’odeion di Pompei come documenta anche il disegno che Alma-Tadema fece del monumento71. torna all’indice I lost data e gli oggetti ‘interrotti’ – Il gioco delle inversioni gerarchiche e gli oggetti camuffati In Le rose di Eliogabalo con la metafora del sommerso e del riemerso si declina ancora una volta il suggestivo modello di lettura dei lost data. Dalla coltre di petali di rosa riemergono piccoli oggetti preziosi e raffinati: sono gioielli di alta oreficeria, sono le pregiate coppe murrine, sono gli intarsi in madreperla e le ageminature in argento che rifiniscono i piedi dei mobili del triclinio. La fonte letteraria72 ci racconta la crudeltà del giovane imperatore che per puro divertimento faceva morire i suoi ospiti soffocati da una pioggia di petali di rose ma il richiamo alla tragica fine dei pompeiani – certamente Alma-Tadema aveva visto i calchi dei loro corpi realizzati dal Fiorelli – è altrettanto forte: i piccoli oggetti preziosi, i visi e le mani dei personaggi del dipinto riemergono a tratti dalla impalpabile coltre di petali di rose così come dalla grumosa coltre di lava riemergevano a tratti i resti degli ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → uomini e i frammenti degli oggetti sepolti dall’eruzione. Entrambe le piogge leggere, di petali di rose e di grumi di lapillo – ci narrano le fonti – coprirono e soffocarono fino a uccidere. Anche l’inversione delle posizioni degli oggetti rispetto a una gerarchia compositiva tradizionale, quale segno caratterizzante delle composizioni di Alma-Tadema, è stata efficacemente evidenziata già da tempo73 per alcuni dipinti, tra cui Una galleria di statue (cat. 62). Uno dei quadri dell’artista, Festa della vendemmia, offre lo spunto per sottolineare la valenza di questo modello interpretativo anche da un punto di vista specificamente archeologico, dell’archeologia della cultura materiale cioè, e non solo della storia dell’arte antica. Il tema bacchico, evidentemente, permea tutta la composizione in un richiamo complesso che intercorre tra gli oggetti con i loro significati puntuali e i loro valori simbolici, ma il centro della scena, sottolineato dall’irraggiarsi delle tibiae delle suonatrici, su cui convergono con i loro movimenti e i loro sguardi i personaggi in primo piano, è tenuto da un semplice dolio in terracotta grezza con coperchio, un recipiente di uso comune per conservare il vino74, qui coronato con un tralcio d’edera e poggiato su un treppiedi di bronzo, per nulla pertinente al suo uso, ma che ne enfatizza la posizione e quindi il ruolo. In una collocazione marginale all’estremità destra della scena, dopo due anfore da trasporto, invece, camuffato tra grappoli d’uva in un cesto di vimini e reso in monocromo blu su blu – che spegne l’effetto di forte contrasto cromatico del vetro cammeo – c’è il “vaso blu”, uno degli oggetti più pregiati delle collezioni del Museo Archeologico di Napoli75, anch’esso legato, in una sfera molto più alta e raffinata, al consumo del vino. Il gioco sottile di Alma-Tadema dell’inversione delle posizioni gerarchiche nella composizione e quindi della diversa sottolineatura dei ruoli torna ancora una volta: si propone in una dimensione estrema tra il pregio del vaso in vetro cammeo e l’ordinarietà del dolio e proprio in questo suo definirsi punta il fuoco su una classe di materiali di uso comune, documento della cultura materiale del mondo romano, che gli scavi a Pompei e negli altri siti vesuviani degli ultimi decenni andavano riscoprendo e su cui andava crescendo, progressivamente, l’interesse degli studiosi. L’ ‘ironia’ dell’artista che evidenzia oggetti di scarso valore a scapito di oggetti di pregio è allo stesso tempo l’interesse dell’autore che presta attenzione al dibattito contemporaneo tra i fautori della tradizione delle arti maggiori e i rivalutatori delle arti minori. torna all’indice → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice 1 Netti 1906, p. 231. Cfr. il saggio di L. Martorelli in questo catalogo. 2 Alma-Tadema 1909, p. 295. 3 Durante il primo viaggio in Italia e nei successivi visitò la Galleria degli Uffizi a Firenze, i Musei Vaticani, i Musei Capitolini, e altre raccolte romane oltre che il Museo Archeologico di Napoli. 4 Cfr., per esempio, il bozzetto con pettinature femminili da sculture antiche (Disegni Alma Tadema Portfolio CXVII, n. E. 2623) e il bozzetto con ceramiche magnogreche (Disegni Alma Tadema Fiche 19192 E 5). 5 Le Antiquités étrusques, grecques et romaines furono pubblicate a Napoli nel 1766-1767 a cura di P.F.H. d’Hancarville con tavole di P. Bacci. Cfr. Vases and Volcanoes 1996. 6 MANN, inv. 81674. Cfr. inoltre i disegni da decorazioni vascolari raccolti in Disegni Alma Tadema Portfolio LXXXI. 7 Pohlmann 1996. 8 Aveva la consuetudine di procurarsi diverse inquadrature dei pezzi che più lo interessavano. Molte delle sue fotografie, inoltre, documentano l’attenzione per le riproduzioni dettagliate dei particolari. 9 Braciere-samovar, che compare anche in Il mercato dei fiori, MANN, inv. 72968 e tavolo MANN, inv. 72995 riprodotti nella fotografia Foto Alma-Tadema Birmingham CXIX 11089. 10 Cfr. Fanelli 2007. 11 Melucco Vaccaro 2000, pp. 178-179. Vlad Borrelli 2003, pp. 113-117. 12 La fotografia è del 1868 circa (Foto Alma-Tadema Birmingham LXXVIII, 9890). 13 Pohlmann 1996, p. 120, osserva che la data della pubblicazione della fotografia, successiva alla realizzazione del dipinto, non può essere stata modello per la composizione; una posizione così categorica non è condivisibile dal momento che sicuramente immagini come questa circolavano tra gli “addetti ai lavori” anche prima della loro pubblicazione. 14 Il cratere, per esempio, è riprodotto in Dopo l’udienza (con una leggera modifica del profilo), Un sacrificio a Bacco (come vaso utilizzato per il rituale), in Confidenza indesiderata (come vaso da fiori), in L’ora d’oro e in Un’abitudine prediletta (come recipiente impiegato nei bagni termali); la patera lobata in La cena (greca), Un’udienza da Agrippa, Preparativi al Colosseo; la patera con Atena compare in primo piano in La galleria di statue. 15 La patera lobata compare sul camino del suo studio in una fotografia del 1884, cfr. Treuherz 1997, p. 47, fig. 28. 16 La riproduzione avveniva tramite calchi in gesso e le fonderie Chiurazzi avevano nel tempo creato una formidabile gipsoteca di modelli con oltre tremila calchi. Cfr. il saggio di L. Martorelli in questo catalogo con relativa bibliografia. 17 Per esempio un’imitazione di un aryballos attico a figure rosse decorato con un improbabile elmo crestato è riprodotta in La siesta (versione californiana), in Scriba romano che compila messaggi e in Confidenze mentre pastiches che rielaborano la forma del lébes gamikòs sono in entrambe le versioni di La siesta, in Una festa privata e in Decoratrici di ceramica. 18 Barrow 2004, p. 30. 19 Possedeva, per esempio, una copia dell’opera Les ruines de Pompéi di F. Mazois da una cui immagine trasse spunto per dipingere il thermopolium di Il mercato dei fiori. 20 È il caso della conoscenza dell’arte e dell’artigianato egizio che Alma-Tadema basò e consolidò essenzialmente sullo studio della collezione del British Museum, mentre si recò in Egitto solo nel 1902. Barrow 2004, pp. 22-27 e p. 179. 21 Furono acquistati dal British rispettivamente nel 1772, 1805, 1816, 1818. Il fregio del tempio di Apollo a Basse è inserito in Un sacrificio a Bacco (cat. 61), in La modella dello scultore e in La primavera del 1894. 22 Cfr. La processione verso il tempio (cat. 63) e Appassionato d’arte romano del 1868 (fig. 2). Per le donne-tanagrine cfr. Pesca, Un poeta favorito, Le donne di Anfissa, Prospettiva privilegiata o ancora Favoriti d’argento. 23 A Giuseppe Fiorelli 1999. 24 Sampaolo 1993. 25 Edita in quattro volumi dai fratelli Niccolini tra il 1854 e il 1896, è stata riedita nel 2004 da Franco Di Mauro a cura di S. De Caro. 26 De Caro 2006, p. 326. Sulle città vesuviane come soggetti ideali per la riprduzione grafica di architetture e oggetti antichi cfr. da ultime Lyons, Reed 2007. 27 MANN, invv. 9119 e 9163; il medesimo soggetto compare anche in Il mercato dei fiori. 28 Il portale dell’edificio di Eumachia a Pompei era uno dei soggetti preferiti del pittore tanto che ne volle una riproduzione in bronzo come ingresso del suo studio e ne inserì ben due riproduzioni nella scenografia che curò per l’allestimento del Giulio Cesare di H. Tree. Lo dipinse anche, con una variante nel profilo della cornice, in La galleria di statue (cat. 62) e ne ripropose un segmento in Un saluto silenzioso. → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice 29 In epoca rinascimentale su progetto di Michelangelo la grande aula centrale era stata trasformata nella chiesa di Santa Maria degli Angeli; Alma-Tadema aveva fotografie di entrambi i complessi termali. 30 La tomba per la sua forma peculiare e il suo buono stato di consevazione è stata riprodotta in diverse vedute dal vero. Cfr. il dipinto di Ph. Hackert Due tombe a forma di esedra in Zanker 1993, p. 135, fig. 71. 31 CIL X, 998. 32 Esedre sono riprodotte, per esempio, in Una dichiarazione, Il riposo, Bisbigli di mezzogiorno, Favoriti d’argento, L’improvvisatore, Non chiedermelo più, La voce della primavera; in una struttura a esedra è ambientato anche Un passo di Omero (cat. 66) mentre l’esedra di Autunno del 1874 presenta un’epigrafe sulla spalliera del sedile sul modello dell’esedra di Mamia. 33 Barrow 2004 con relativa bibliografia. 34 Barrow 2004, p. 25. 35 Lippincott 1990, p. 40. 36 È il caso, per esempio, dei rytha a testa di cervo: il modello è, molto probabilmente, l’esemplare del MANN, inv. 69174 in bronzo ed esso è riprodotto in oro in La processione verso il tempio (cat. 63), in entrambe le versioni di La siesta, in Saffo ecc., è invece in argento in Festa della vendemmia e così via. 37 È il caso, per esempio, della sfinge in bronzo trasformata in fontana in Un bagno, mentre con la sua originaria funzione di elemento decorativo per mobile (cfr. Foto Alma-Tadema Birmingham CXIX, 11082) compare in Promesse di primavera. 38 L’oinochoe riprende l’esemplare in bronzo del MANN, inv. 69082 e ricorre in Un’udienza da Agrippa (1875), Un bagno termale (1876), La processione verso il tempio (1882), Un sacrificio a Bacco (1889) (cat. 61), Il trionfo di Tito AD 71 (1885), Un saluto silenzioso (1889), Tra speranza e timore (1876) (di dimensioni maggiori), Le rose di Eliogabalo (1888) e La conversione di Paola per opera di San Girolamo (1898). Il pendente è molto simile a quello del Louvre in oro, configurato a testa di Acheloo e decorato a granulazione, ma richiama anche le protomi di sileno della collana d’oro con protomi, ghiande e fiori di loto da Ruvo del MANN, inv. 24883 e ritorna, sempre come oggetto d’ornamento femminile in Donne gallo-romane (1865), Festa della vendemmia (1870), e ancora in La conversione di Paola per opera di San Girolamo (1898). Il set da bagno MANN, inv. 69904 a-f è riprodotto in Balneator (1877) e Il bacio (1891). 39 Si tratta di un pastiche di frammenti antichi pertinenti a oggetti diversi realizzato in epoca moderna di cui circolavano riproduzioni fotografiche Sommer. Già MANN, inv. 69089, è stata di recente smontata. Cfr. Rolley 1996, p. 232, n. 15.19. Ringrazio Angela Luppino e Andrea Milanese della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta per le ricerche d’archivio. 40 MANN, inv. 5821. Il solo bacino è antico e proviene da Pompei, il sostegno configurato fu probabilmente predisposto per l’esposizione nel Museo Palatino della regina Carolina Murat, cfr. Borriello 1997, p. 286, n. 14.9 e Borriello 2002, p. 392, n. 96. La statua di G. della Porta, attualmente nella Pinacoteca di Capodimonte, era all’epoca nelle collezioni del MANN; si tratta di un bronzo raffigurato come tale in Giocoliere mentre in La galleria di statue è riprodotto in marmo. 41 Il candelabro riprodotto nel dipinto compone, con un altro molto simile, MANN, invv. 6781, 6782, una coppia della quale si è fortemente discussa l’autenticità: Borriello 1997 p. 286, n. 14.7; Bosso 2005. 42 Nei primi due quadri è raffigurato l’affresco tombale con “Il ritorno del guerriero” da Nola MANN, inv. 9363; nel terzo una lastra dell’affresco tombale con “danzatrici” da Ruvo MANN, inv. 9355. Lo stesso anacronismo ricorre in Il tempio di Venere di Sciuti (cat. 25) dove è riprodotta un’altra lastra, MANN, inv. 9357, del medesimo affresco. 43 Rispettivamente la statuetta di sileno portalampada MANN 72199 e una coppa d’argento su piede (cfr. MANN 25696) e la patera lobata dal tesoro di Hildesheim e coppette d’argento tipiche di contesti romani. 44 Prettejohn 1996, in particolare pp. 34-35. 45 In Rivali inconsapevoli sono raffigurate soltanto le gambe della statua del Gladiatore seduto di Palazzo Altemps; in Il collezionista di quadri al tempo di Augusto (e in La galleria di quadri) del quadro di Apelle, il più importante della galleria, è raffigurato solo il retro della tavola su cui era dipinto. 46 Gasparri 1994. 47 I quadri di riferimento sono quelli paradigmatici per queste due classi di materiali: Una galleria di statue nella Roma augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il collezionista di quadri al tempo di Augusto, La galleria di quadri (fig. 1). 48 Anche nei quadri di piccole dimensioni c’è posto per un richiamo alla scultura antica. Cfr., per esempio, Una baccante, dove inserisce il rilievo del MANN, inv. 6688 con Apollo e le Grazie di cui pure il pittore aveva una riproduzione fotografica (cfr. Foto AlmaTadema Birmingham LXVIII, 9529). ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → 49 Cfr. Barrow 2004, pp. 43-45 con relativa bibliografia. È da osservare, però, che il fregio del tempio di Apollo a Basse, che pure ritorna più volte nei suoi quadri, è sempre raffigurato senza colore così come tutta l’altra scultura in marmo. 50 Cfr. nota 4; cfr., inoltre, le sezioni di un cratere apulo e di un cratere attico a volute (Disegno Alma Tadema Fiche 192 A 2) e l’acquerello con piatto da pesce campano a figure rosse (Disegno Alma Tadema Fiche 192 C 2). 51 La lekythos attica (così come le statuette tanagrine), in Appassionato d’arte romano del 1868 è normalmente interpretata come un oggetto d’antiquariato posseduto dal collezionista. 52 Rappresenta l’episodio narrato nei Moralia di Plutarco (249-250) in cui le Taiadi in fuga furono rifocillate dalle donne della città di Anfissa. 53 Cfr. nota 17. 54 Le prime due derivano rispettivamente dallo stamnos attico del cosiddetto Pittore del Deinos MANN, inv. 81674 e dal cratere a campana apulo della cerchia del Pittore dell’Iliupersis MANN, inv. 82130. 55 Alcuni esemplari di coppe di questa classe compaiono in Festa della vendemmia. 56 In Tibullo nella casa di Delia (cat. 56), per esempio, è raffigurato un candelabro decorato alla sommità con una sfinge (MANN s.n.i.) che rientra tra gli oggetti riprodotti negli atelier Sommer e Chiurazzi (cfr. il catalogo Sommer del 1886). 57 Cfr., per esempio, il braciere in bronzo MANN, inv. 73104 in Bagno pompeiano di D’Agostino (cat. 35), il tripode con satiri MANN, inv. 27874 in Donna romana di Altamura (cat. 20). 58 MANN, inv. 72995 (il medesimo tavolino è riprodotto anche in Appassionato d’arte romano del 1868 (fig. 2) e in Donna e fiori), MANN, inv. 74009, MANN, inv. 72968. 59 MANN, inv. 72191; il medesimo candelabro compare anche in Catullo legge le sue poesie nella casa di Lesbia. 60 MANN, inv. 72199 (il medesimo bronzo ritorna anche nell’Antiquario di Forti e in Ione e Nidia di Maldarelli) e MANN, inv. 111228. torna all’indice 61 Sono gli anni del crescente interesse per gli studi epigrafici e delle pubblicazioni dei grandi Corpora. 62 Cfr., per esempio, Un’esedra (cat. 65), Autunno del 1874, Xante e Faone, La conversione di Paola per opera di San Girolamo, Il bacio, Un’udienza da Agrippa. 63 Cfr., per esempio, Un imperatore romano A.D. 44. 64 Cfr., per esempio, Un poeta favorito, Voti d’amore. 65 Cfr. Il mercato dei fiori, Un altarino, La galleria di quadri (fig. 1), Festa della vendemmia, Bacco e Sileno, Autunno del 1877. 66 Cfr. Un poeta favorito, La primavera del 1894. 67 CIL X, 997. Il margine destro della medesima iscrizione ritorna anche in Una domanda (cat. 68). 68 CIL IV 1059. Il pittore aveva ricopiato puntualmente l’iscrizione, cfr. Disegno Alma Tadema CLX E 2846. 69 CIL IV, 813. 70 CIL X, 845. 71 Cfr. Disegno Alma Tadema CXLIX, E. 2823. L’epigrafe in lettere di bronzo sul pavimento dell’orchestra dell’odeion fu erroneamente integrata in un restauro ottocentesco con il gentilizio Olconius (scritto senza l’aspirata iniziale) invece che Oculatius. Alma-Tadema la riprodusse puntualmente perpetuando l’errore epigrafico (mentre scrive correttamente il nome della gens Holconia sulla tunica di un servo in Un’esedra, cat. 65). 72 Scriptores Historiae Augustae, De vita Eliogabali, 21.5. 73 Prettejohn 1996, p. 33 ss. 74 Alma-Tadema doveva aver visto anche esemplari di doli interrati che riprodusse in Autunno del 1877. 75 MANN, inv. 13521; il vaso era stato rinvenuto in una sepoltura pompeiana nel 1834. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO biografia Lawrence Alma-Tadema (1836-1912) Lawrence Alma-Tadema è uno dei pittori più conosciuti dell’epoca vittoriana, apprezzato soprattutto per i suoi dipinti ispirati all’antichità classica, in particolare greco-romana. Grazie alle approfondite conoscenze archeologiche e storiche, Alma-Tadema ricrea verosimili ambientazioni neopompeiane, fitte di oggetti per lo più ispirati a reperti archeologici reali, molti provenienti dagli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Nasce l’8 gennaio 1836, nel villaggio di Dronrijp in Olanda, ma viene naturalizzato inglese nel 1873. Destinato ad una carriera giuridica, ottiene infine di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Anversa, in Belgio, dove si forma sotto l’influenza di Gustave Wappers, pittore di storia d’ispirazione romantica. Frequenta poi Louis de Taeye, con cui divide casa e studio tra il 1855 e il 1858, ed entra nello studio di Henri Leys, che conferma l’orientamento verso la pittura romantica di storia e di genere interpretata con fedeltà ai dettagli ambientali. In quest’epoca Alma-Tadema si appassiona alle vicende della dinastia Merovingia, che traduce in vari dipinti storici con cui attira le prime attenzioni di pubblico e critica. Si accosta anche ai soggetti tratti dal mondo egizio. → Nel 1861, lascia Anversa e si sposta in Germania, poi a Londra; nel 1863 ha luogo il matrimonio con la prima moglie Marie Pauline Gressin Dumoulin de Boisgirard. Il viaggio di nozze porta la coppia in Italia, dove visitano anche Roma, Napoli e soprattutto Pompei. L’Italia costituisce per l’artista, secondo i suoi stessi ricordi, un’autentica rivelazione, esercitando un’influenza fondamentale e duratura sulla sua carriera. L’anno seguente Alma-Tadema conosce il mercante belga Ernest Gambart, che diventerà il suo promotore e rappresentante commerciale. In quest’epoca l’artista inizia a produrre dipinti ispirati al mondo romano e alle ville pompeiane, genere coltivato con costanza durante il lungo soggiorno a Bruxelles, dove Alma-Tadema si trasferisce con la famiglia nel 1865. I dipinti neopompeiani contribuiscono al suo successo e alla sua fama, soprattutto in Gran Bretagna, dove questo tipo di soggetti è molto apprezzato e coltivato, sebbene con approccio diverso, da altri artisti come Edward Poynter. Morta la prima moglie nel 1869, dopo lo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870, si trasferisce a Londra, dove incontra la futura seconda moglie Laura Epps, anche lei pittrice, presentatagli dal pittore preraffaellita Ford Madox Brown. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO → Nel 1873 diviene cittadino britannico. Gli anni Settanta sono dominati da un grande successo commerciale e di pubblico; nel 1879 diviene membro della Royal Academy of Arts di Londra. Nel frattempo è stato ancora una volta in Italia (1875), visitando varie città tra cui Firenze e Roma, dove compra numerose foto di architetture e oggetti antichi. Nel 1878 è a Pompei, dove si intrattiene schizzando, disegnando, misurando e studiando le rovine. Tra il 1882 e il 1883 la Grosvenor Gallery di Londra, dedica ad AlmaTadema un’importante mostra personale. Nel 1883, quando alcune sue opere vengono esposte alla Mostra internazionale di Belle Arti di Roma, l’artista è di nuovo a Pompei, dove trascorre molto tempo. In quest’epoca i suoi dipinti diventano meno “enciclopedici” e colmi di oggetti preziosi e citazioni, puntando di più a cogliere la suggestione delle atmosfere. Nel 1884 compra a Londra la casa appartenuta all’amico James Tissot, ristrutturandola completamente in uno stile eclettico (mobili, decorazioni e oggetti in stili diversi) che riflette il suo gusto originale, la sua passione antiquaria e l’interesse per l’antichità in generale: alcuni mobili del suo studio sono ispirati a manufatti pompeiani. In questi anni Alma-Tadema mette insieme un’enorme biblioteca e uno straordinario archivio fotografico di tema per lo più archeologico, di cui si serve per le sue ricerche e i suoi quadri. Conduce un’intensa vita sociale ed è in generale benvoluto dalla comunità artistica londinese. A partire dagli anni Novanta si osserva un progressivo calo produttivo. I soggetti dei dipinti sono sempre più semplificati e privi di oggetti. Prevale su tutto la fascinazione per il cielo e il mare Mediterraneo, per scene di incontri e liaison sentimentali ambientate in bianche terrazze affacciate sul mare. Nel 1892 Alma-Tadema diventa membro della Japan Society di Londra e nel 1906 membro onorario del Royal Institute of British Architects, che lo invita a tenere una conferenza sull’architettura antica in virtù delle sue approfondite conoscenze in materia. Muore nel 1912 a Wiesbaden. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO percorso della mostra Introduzione Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico Per la prima volta in Italia, la mostra offre una panoramica dell’arte ‘neopompeiana’, che cioè si ispira, nella seconda metà dell’Ottocento, alla suggestione degli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e, più in generale, all’antichità e all’archeologia classiche. Dipinti e sculture di artisti italiani dialogano con le opere del pittore olandese, naturalizzato inglese, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). Perché Alma-Tadema Alma-Tadema è internazionalmente riconosciuto come il più coerente e raffinato cultore del genere neopompeiano: i suoi ‘quadri-museo’, carichi di oggetti, statue, suppellettili, evocano il sogno di un mondo antico nuovamente riportato in vita, di struggente bellezza e ricercata eleganza, vicino, nell’interpretazione data dall’artista, ai bisogni e ai desideri dell’uomo dell’Ottocento. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce molti dei reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti italiani e di Alma-Tadema. Una corposa selezione di questi oggetti provenienti dagli scavi vesuviani viene presentata in mostra. → Il percorso espositivo La mostra segue un percorso ideale che porta il visitatore dalla raffigurazione di paesaggi archeologici còlti dal vero, alla materiale rievocazione di quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai loro abitanti. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Gli scavi Il paesaggio archeologico Le opere, dedicate alla rappresentazione realistica o evocativa del paesaggio archeologico, sono disposte sui due lati di un asse centrale, che idealmente richiama il rettilineo di una strada pompeiana. Come in una passeggiata tra le rovine, i dipinti aprono scorci sul panorama degli scavi col Vesuvio sullo sfondo, ma anche sui cumuli di detriti, sui resti di botteghe, sui particolari di case e vedute d’interni, in quegli anni portati alla luce o sistematicamente studiati su vasta scala dall’archeologo Giuseppe Fiorelli, poi dal collaboratore Michele Ruggero. Tanti occhi, una sola Pompei Una Pompei vista con tanti occhi: quelli della popolana-scavatrice che si ferma a riflettere sull’antico; quelli della turista borghese che, persa nelle proprie riflessioni, si isola nell’ombra di un peristilio; quelli dei visitatori colti e curiosi, che disegnano e studiano i reperti; quelli degli aristocratici che delle suggestive rovine fanno lo scenario dei propri intrattenimenti. → Pittura dal vero Artisti diversi, tutti di area napoletana, dipingono dal vero sotto un sole brillante, ognuno adottando un punto d’osservazione diverso, talvolta aiutandosi con la fotografia, rendendo le rovine una materia palpitante e viva che tramanda l’immagine di una Pompei popolare, ma non ancora invasa dal turismo di massa. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Vita Quotidiana Immaginare il quotidiano Dalla contemplazione del paesaggio archeologico si passa alla sua ricostruzione. Nell’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana, costellata di reperti archeologici inerenti i dipinti, pittori ma anche scultori immaginano di ricostruire quelle rovine e far risorgere le antiche case e botteghe, ridando corpo a tutti gli aspetti della vita di ricchi e plebei: l’intimità domestica, gli ozi, le cerimonie pagane, gli intrattenimenti gladiatorii, il rito delle terme. La citazione dei reperti Con maggiore o minore fedeltà, gli artisti-archeologi citano o reinterpretano antichi reperti, oggetti semplici o lussuosi osservati nei musei più importanti o studiati su quei libri illustrati (con incisioni o litografie a colori) che nel corso dell’Ottocento rendono popolari soprattutto gli oggetti di provenienza vesuviana. Rispecchiarsi nell’antico L’immagine dell’antico che ne risulta, pur verosimile e credibile, reca in realtà le tracce del pensiero e della sensibilità ottocentesca che in quell’immagine tende a rispecchiarsi. Dalle donne che filano ai crapuloni gonfi di cibo e bevande, l’antico si presta tanto alla semplice celebrazione della pace domestica, tipica dell’agio borghese, quanto alla critica della decadenza dei costumi e del materialismo dell’Italia postunitaria. → La storia torna all’indice La storia come cronaca Una sezione speciale è dedicata alla rievocazione dell’antico non più popolato di personaggi anonimi, ma di personalità risonoscibili, le cui vicende sono tramandate dai grandi scrittori latini, come Svetonio e Tacito. Ma non si celebrano le gesta clamorose o le battaglie memorabili, soggetti tipici della pittura di storia neoclassica. Oggetto d’attenzione sono invece i delitti e i drammi interiori, gli svaghi e gli ozi campestri, che fanno somigliare la storia degli antichi alla cronaca dell’Ottocento. Da un lato, della storia ci viene mostrato l’aspetto più domestico e familiare, riconoscibile nelle semplici vicende biografiche del poeta Orazio o del commediografo Plauto. Dall’altro si narrano episodi più eclatanti della storia romana, prediligendo vicende fosche che illuminano la crudeltà e la miseria della natura umana, come nel caso del sanguinario imperatore Nerone. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Alma-Tadema Alma-Tadema, l’Italia, Pompei Alma-Tadema ha un rapporto strettissimo con l’Italia, che visita più volte nel corso della sua vita, intessendo rapporti d’amicizia con numerosi artisti, tra cui Domenico Morelli e Giovan Battista Amendola. Nel 1863 è per la prima volta a Roma, attratto dalla storia del tardo impero e del primo Medioevo, ma la successiva tappa a Pompei chiarisce definitivamente la sua passione per la storia romana, repubblicana ed imperiale, e per l’ambiente mediterraneo. Archeologo e artista A Pompei misura e disegna le rovine come un vero archeologo. Matura le sue conoscenze tramite lo studio sul campo e la lettura di libri di ogni tipo, dal romanzo storico, ai classici latini, ai manuali d’architettura e archeologia. Questa preparazione viene riversata nelle sue opere, che non si risolvono in erudite esposizioni di oggetti: i reperti sono manipolati con libertà, i soggetti attualizzati secondo il punto di vista di un uomo dell’Ottocento, la bellezza femminile e maschile è modellata su modelli anglosassoni e interpretata secondo un fine estetismo. → Le opere in mostra Vengono toccate le tappe fondamentali del percorso dell’artista, attraverso dipinti di ampio formato, usualmente concepiti su commissione di facoltosi clienti, ma anche di piccolo formato, prodotti per il mercato e destinati agli spazi misurati delle case borghesi. Accanto ai dipinti, viene presentata una ricca scelta di materiali archeologici che hanno stimolato l’immaginazione dell’artista, tutti conservati nel Museo Archeologico di Napoli. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Le arti applicate → Il gusto eclettico e lo stile neopompeiano Verso metà Ottocento si diffonde in Europa un eclettismo che porta alla rilettura di tutti gli stili storici, tra cui anche quello pompeiano. Si fa strada un gusto archeologizzante che nelle decorazioni predilige i violenti accostamenti cromatici dei riquadri rossi e neri delle pareti pompeiane. Un gusto adatto ad adornare le pareti degli edifici pubblici, come ministeri, teatri o musei, dove la borghesia umbertina ama ritrovarsi. Come la decorazione parietale, anche l’arredamento (mobili, oggetti) risente del gusto pompeiano, sebbene siano più rari gli esempi a noi noti. Tavoli intarsiati, porcellane dipinte, diffondono invenzioni originali ma anche rivisitazioni di soggetti tratti da dipinti italiani e stranieri, resi celebri dalle incisioni o dalle grandi esposizioni internazionali. Un interessante esempio dello stile decorativo pompeiano è quello legato al progetto (pareti e arredi) per le quattro “sale pompeiane” volute da Giuseppe Fiorelli nel Museo Archeologico di Napoli, destinate ad ospitare il riallestimento della prestigiosa collezione di statue in bronzo del museo. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO elenco delle opere Gli scavi Alessandro La Volpe Panorama di Pompei Napoli, Galleria “Vittoria Colonna” Una veduta degli scavi di Pompei col Vesuvio sullo sfondo, forse presa dai cumuli di terreno solitamente lasciati ai margini delle aree appena portate alla luce. Laezza Panorama di Pompei Napoli, Galleria “Vittoria Colonna” Tre contadini in costume, gli scavi di Pompei osservati in prossimità dell’imbocco di Via delle Scuole e in lontananza il Vesuvio fumante. Michele Cammarano Veduta degli scavi di Pompei collezione privata Dalla Torre di Mercurio, punto di vista utilizzato anche da fotografi dell’epoca, il dipinto abbraccia l’intero paesaggio archeologico con le colline vesuviane sullo sfondo. → Filippo Palizzi Gli scavi di Pompei 1865 collezione privata Palizzi si interessa agli scavi dopo una visita a Pompei e Pestum nel 1864. Qui immagina una popolana-scavatrice che depone la cesta per riflettere sull’affresco appena riemerso. torna all’indice Filippo Palizzi Studio di uno scavo (Pompei) 1864 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna I resti di un’architettura monumentale, frammenti di colonne e di trabeazioni, sono colti dal vero e in piena luce, esaltando il carattere di attualità di una realtà appena esumata. Enrico Gaeta L’arco trionfale del Foro di Pompei 1873 ca. Napoli, Museo di Capodimonte L’insolita inquadratura risulta presa dall’interno dell’arco onorario imperiale, sulla strada che fiancheggia il Tempio di Giove, a nord-est del Foro di Pompei. Teodoro Duclere Veduta del Foro dopo il 1860 Sorrento, Museo Correale Terranova Duclere si interessa a Pompei durante la sua collaborazione al progetto editoriale di Fausto e Felice Niccolini Le Case e i monumenti di Pompei, pubblicato a partire dal 1854. Teodoro Duclere Bottega dopo il 1860 Sorrento, Museo Correale Terranova Si tratta di una bottega di Pompei ampiamente descritta dall’archeologo Giuseppe Fiorelli, caratterizzata da un pilastro affrescato con Venere e Mercurio, oggi perduto. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Enrico Gaeta Veduta della casa così detta dell’Argenteria collezione privata È l’atrio secondario con colonne ioniche della Casa dell’Argenteria (scavata tra il 1829 e il 1835), così detta per il ricco complesso di vasellame d’argento che vi fu ritrovato. Marco de Gregorio Signora a Pompei-La casa dei capitelli colorati collezione privata Una turista a Pompei: dietro di lei il peristilio dalla Casa detta anche di Arianna, una delle più grandi e decorate di Pompei, assai danneggiata dai bombardamenti alleati del 1943. Giacinto Gigante Casa di Cornelio Rufo 1862 Sorrento, Museo Correale Terranova Giacinto Gigante Cena notturna nella casa di Sallustio 1859 Sorrento, Museo Correale Terranova Nelle rovine della casa di Sallustio a Pompei, un gruppo di aristocratici ha organizzato una cena al chiaro di luna; tre popolani improvvisano un intrattenimento per allietare gli ospiti. → Giacinto Gigante Casa di Cornelio Rufo 1861 Napoli, collezione privata L’ambientazione dei due dipinti è un luogo reale di Pompei, riconoscibile dai due sostegni con forme animali del cartibulum, tavolo usualmente posto nell’atrio delle case romane, e dall’ermaritratto di Cornelius Rufus sullo sfondo, conservata nell’Antiquarium di Pompei. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Vita quotidiana Enrico Salfi Venditore di anfore a Pompei 1883 ca. Milano, Galleria d’Arte Moderna Salfi è un appassionato studioso delle rovine vesuviane: una scena di semplice quotidianità è qui ambientata in una delle tante botteghe ancora oggi visibili a Pompei. Roberto Bompiani Salutatio matutina 1899 Milano, Galleria d’Arte Moderna Sono raffigurati i clientes, persone che in cambio di protezione o assistenza materiale, erano al servizio di notabili romani, omaggiandoli ogni mattina con il proprio saluto. → Gaetano d’Agostino I saltimbanchi a Pompei 1877 Comune di Capua Lo spunto è la commedia Hecyra di Terenzio di cui, sulla cornice, è riportato un verso del secondo prologo: in esso si rivela al pubblico che alla prima della rappresentazione era stato preferito uno spettacolo di funamboli. torna all’indice Luigi Bazzani Interno pompeiano 1882 New York, Dahesh Museum Bazzani si basa sulla diretta conoscenza dei materiali archeologici: il tavolo con i grifi alati al centro del dipinto è quello della Casa di Meleagro a Pompei. Cesare Mariani Gelosia Firenze, collezione privata L’attento studio archeologico si lega qui ad un’iconografia maliziosa che attribuisce agli antichi la sensibilità e la psicologia dell’uomo dell’Ottocento. Francesco Saverio Altamura Donna romana 1881 Foggia, Galleria Provinciale d’Arte Moderna e Contemporanea (proprietà San Paolo IMI - Banco di Napoli) A destra, su un tavolo marmoreo, poggia il famoso tripode bronzeo con satiri itifallici rinvenuto a Pompei nel 1755 e conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Federico Maldarelli La vestizione 1864 Roma, collezione privata Sebbene non illustri un episodio preciso, Maldarelli trae probabilmente ispirazione dal romanzo di Edward Bulwer-Lytton Gli ultimi giorni di Pompei (1834). ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Raffaello Sorbi Scena pompeiana 1879 collezione privata Due patrizie filano ed elargiscono cure materne in un peristilio: un’immagine sovrapponibile alle tante scene d’intimità domestica della pittura di secondo Ottocento. Francesco Sagliano L’ultimo giorno dei baccanali 1867 Napoli Amministrazione Provinciale. Due fanciulle rendono omaggio all’erma di Pan. Dal soffitto pende una lucerna trilicne in bronzo, un reperto del I secolo a.C. conservato al Museo Archeologico di Napoli. → Amos Cassioli L’offerta a Venere 1875-1885 ca. Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti Sulla parete affrescata di rosso a destra, il motivo ornamentale monocromo con menadi danzanti è tratto da studi su stoffa eseguiti dal pittore forse per decorare ventagli. torna all’indice Giuseppe Sciuti Il tempio di Venere 1876 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Tre fanciulle recano un omaggio floreale alla dea dell’Amore la cui statua, liberamente ispirata alla Venere Capitolina, è custodita da un vecchio sacerdote. Roberto Bompiani Sacerdotessa di Minerva 1875-1880 Roma collezione privata Sulla destra si intravede in controluce, sullo sfondo di un atrio con colonne, una statua di Minerva, riconoscibile dall’elmo e dallo scudo rotondo. Giovanni Muzzioli L’offerta nuziale 1884 ca. Trieste, Civico Museo Revoltella Il rito nuziale è studiato nei minimi dettagli, come il velo rosso della donna (flammeum). L’altare in marmo è basato su un esemplare romano conservato agli Uffizi di Firenze. Giovanni Muzzioli Al tempio di Bacco 1881 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna La scena bacchica è ambientata nella Roma imperiale del I secolo d.C., con la danzatrice Vistilia, la prostituta ricordata da Tacito negli Annali, coperta di una pelle maculata. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Ernesto Biondi Testa di donna patrizia (modello per i Saturnali) 1888-1899 ca., gesso Roma, collezione privata Modello di una delle figure de I Saturnali, monumento bronzeo della Galleria d’Arte Moderna di Roma, la testa mostra un’acconciatura ispirata a esemplari romani d’età flavia. Francesco Netti Lotta dei gladiatori durante una cena a Pompei 1880 ca. Napoli, Museo di Capodimonte Il gladiatore ucciso viene trascinato via mentre il vincitore, che indossa un elmo confrontabile con reperti da Pompei, viene esaltato dall’entusiasmo delle giovani donne. Achille D’Orsi I Parassiti 1877 gesso patinato color bronzo, Napoli, Museo di Capodimonte Due crapuloni, satolli di cibo e di vino, sono accasciati su un triclinio modellato su analoghi esemplari rinvenuti a PompeieErcolano. Jean-Léon Gérôme Reziario 1859 ca. bronzo Phoenix, Phoenix Art Museum → Domenico Morelli Il triclinio o Il triclinio dopo l’orgia 1860-1862 ca. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna In un triclinio all’aperto, struttura tipica nelle zone meridionali e frequente a Pompei, uno schiavo, al lavoro, getta un’occhiata sui corpi dei bacchettanti abbandonati nel sonno. torna all’indice Jean-Léon Gérôme Mirmillone 1859-1873 ca., bronzo, Phoenix, Phoenix Art Museum I due gladiatori sono ispirati a un bronzetto (II sec.) conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, ma anche a reperti del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Gaetano d’Agostino Bagno pompeiano (o La vita romana sotto Claudio) Roma, collezione privata - D. Morelli, Bagno pompeiano, 1861 (non in mostra ma in catalogo) Una donna, introdottasi nelle terme maschili, giace abbracciata al suo amante: la probabile fonte letteraria è la VI satira di Giovenale, contro le donne di costumi dissoluti. → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Attilio Simonetti Attrice pompeiana 1863-1864 Milano, Pinacoteca di Brera in deposito presso Civiche Raccolte d’Arte. Il giovane Simonetti si ‘esercita’ sul genere neopompeiano: al nudo sensuale accosta un un flautista di sapore arcadico seduto su un cartibulum, e maschere teatrali greche. Arcadio Mas Fondevila Fanciullo pompeiano 1879 Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya L’ambientazione rimanda a Pompei non con circostanziate citazioni archeologiche ma per via evocativa, attraverso l’acceso colore rosso ‘pompeiano’ delle colonne stuccate. Federico Maldarelli Pompeiana al bagno 1871 collezione privata L’ambientazione rimanda all’apodyterium (spogliatoio) femminile con pareti a nicchie delle Terme Stabiane di Pompei. La donna sosta sulla vasca per il bagno in acqua fredda. Erulo Eroli Suonatore di nacchere 1875 ca. Roma, collezione privata Su un pilastro è sistemata una statua di Venere accovacciata, disegnata su una delle tante copie romane dell’originale in bronzo attribuito allo scultore Doidalsas di Bitinia (III secolo a.C.). Mosè Bianchi Bagno pompeiano 1892 ca. collezione privata L’autore assembla motivi tardoantichi, elementi ercolanensi, ma anche egizi, come le due sculture leonine poste sul bordo del frigidarium (vasca per il bagno freddo). Giulio Bargellini Eterno Idioma 1899 ca. Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti Una scena romantica, in cui l’artista raffigura sè stesso: a destra trattiene la mano di una fanciulla, emblema della musa ispiratrice, a sinistra canta alcuni versi accompagnato dalle note di un organo. Alessandro Pigna Frigidarium 1882 Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea Sullo sfondo, un letto con protomi animali raffrontabile con quello funerario in bronzo proveniente da una tomba di Amiterno, nelle collezioni dei Musei Capitolini di Roma. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO La storia Aslan d’Abro Pagratide (Funus Indictivum) Funerale d’un console presso Miseno nell’epoca dell’impero Romano 1877 Napoli, Museo di San Martino (in sottoconsegna alla Prefettura di Napoli) Il funus indictivum, funerale pubblico di un console romano la cui descrizione è basata sulla Pragmateia di Polibio, si staglia su una veduta di Capo Miseno con Monte di Procida sul fondo. Cesare Maccari Quo usque tandem 1881-1887 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Studio preparatorio per l’affresco di palazzo Madama, a Roma, raffigurante Cicerone che pronuncia l’invettiva contro Catilina. “Quo usque tandem”è appunto l’inizio della prima Catilinaria. → Camillo Miola Il fatto di Virginia 1882 Napoli, Museo di Capodimonte A terra è Virginia, giovane plebea uccisa dal padre (nella folla con il pugnale in mano) per sottrarla alle bramosie non corrisposte del decemviro Appio Claudio. torna all’indice Giovanni Muzzioli I funerali di Britannico 1888 Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea Museo dell’Ottocento Nerone fa avvelenare Britannico, potenziale minaccia al trono imperiale. I sostegni del tavolo su cui è riversa la sorella di Britannico, Ottavia, sono ispirati a quelli della casa di Cornelio Rufo a Pompei. Giovanni Muzzioli La vendetta di Poppea 1876 Modena, Museo Civico d’Arte Medievale e Moderna Nerone e Poppea sono quasi nascosti dall’ombra del velabro sospeso: un servo porta la testa di Ottavia, prima moglie di Nerone, sacrificata per volere di Poppea che le subentra come imperatrice. Camillo Miola Orazio in villa 1877, Napoli Museo di Capodimonte Un momento di gioco e di festa, durante i Saturnali, nella villa Sabina che Orazio aveva ricevuto in dono da Mecenate. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Camillo Miola Plauto mugnaio 1864 Napoli, Museo Civico di Castelnuovo Un episodio della vita di Plauto: a seguito di un cattivo investimento, il commediografo Plauto si vide costretto a lavorare presso un mugnaio girando le macine. Giulio Bargellini Pigmalione 1896 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Si tratta della leggenda dello scultore di Cipro, Pigmalione, che si invaghisce della statua da lui modellata ottenendo, con la supplica e il sacrificio ad Afrodite, che essa si animi. Alma-Tadema Giovan Battista Amendola Ritratto di Laura Alma-Tadema bronzo collezione privata Amendola, amico e protetto di Alma-Tadema, conosciuto a Napoli, ne eseguì un ritratto in marmo, disperso, insieme ad una statuetta d’argento raffigurante la seconda moglie, qui replicata in bronzo. Giovan Battista Amendola Venere che avvolge la chioma 1886 bronzo collezione privata Amendola segue un’impostazione simile a quella del dipinto del maestro olandese Una modella dello scultore (1877). → Jean-Léon Gérôme Danzatrice con il cerchio 1891 bronzo dorato Bloominton, Indiana University Art Museum Gérôme inserisce questo soggetto in diversi dipinti, in un costante gioco di autocitazione. Lo stesso Alma-Tadema raffigura la statuina in Ore dorate (1908). torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO L. Alma-Tadema Autoritratto 1896 Firenze, Galleria degli Uffizi, Corridoio Vasariano L’autoritratto viene appositamente eseguito, su esplicita richiesta, per la Galleria degli Uffizi di Firenze, delle cui collezioni entra a far parte nel 1896. Riproduzione retroilluminata: L. Alma-Tadema Tibullo nella casa di Delia 1866 Boston, Museum of Fine Arts opera non in mostra Il poeta Tibullo declama un componimento all’amante Delia nella sua casa, un tipico ambiente pompeiano fitto di oggetti, come la stufa di bronzo rinvenuta in una villa vicino a Stabia. → L. Alma-Tadema Agrippina visita le ceneri di Germanico 1866 Città del Messico collezione Pérez Simon Modello di fedeltà muliebre, Agrippina contempla mestamente lo scrigno con le ceneri del marito Germanico all’interno di un cinerarium finemente ricostruito. torna all’indice L. Alma-Tadema La scala 1870 New York, Dahesh Museum La cornice, architettonicamente costruita, può essere considerata parte integrante dell’opera, poichè inquadra e allo stesso tempo amplia l’angusto spazio pittorico. L. Alma-Tadema Un altarino 1883 Cecil Higgins Art Dietro la ghirlanda tesa dalla donna, un’iscrizione latina presente a Pompei in Vico del Lupanare Otiosis locus hic non est. Discede Morator/ Non c’è posto per gli sfaccendati. Via di qua perditempo!, maliziosamente riferito al flautista. L. Alma-Tadema L’architetto del Colosseo 1875 Città del Messico collezione Pérez Simon Alma-Tadema, che possedeva approfondite conoscenze architettoniche, immagina l’artefice del Colosseo mentre medita sui complessi problemi costruttivi del monumento. L. Alma-Tadema Vino greco 1873 Città del Messico collezione Pérez Simon Il modello sono le tante scene di simposio che decorano vasi greci antichi, in cui spesso compare anche la suonatrice di aulos qui raffigurata di profilo. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO L. Alma-Tadema Un sacrificio a Bacco 1889 Amburgo, Hamburger Kunsthalle Un bambino è iniziato al culto di Bacco. Il Gruppo scultoreo con uomini che cuociono un cinghiale, a sinistra, è conservato presso il Museo Archeologico di Napoli. L. Alma-Tadema La galleria di statue 1874 Hanover, Dartmouth College, Hood Museum of Art Un mercante d’arte mostra ad un collezionista una vasca, copia dell’originale in marmo rosso scavato a Pompei. Il supporto, su cui è avvolto il mostro Scilla, è un’aggiunta successiva. → L. Alma-Tadema La processione verso il tempio 1882 Londra, Royal Academy of Arts Sullo sfondo di una processione, una donna vende statuette e oggetti votivi. Accanto a lei un vaso greco (hydria) a figure rosse, con Eracle e Leontè, ed un elegante tripode etrusco. torna all’indice L. Alma-Tadema Un vasaio anglo-romano 1884 Parigi, Musee d’ Orsay Il dipinto è una delle tre porzioni in cui Alma-Tadema divise l’opera originale, con l’imperatore Adriano in visita ad un’officina per la produzione ceramica nella Britannia romana. Riproduzione retroilluminata: L. Alma-Tadema La galleria di pittura 1874 Burnley, Towneley Hall Art Gallery and Museum Con ironia, Alma-Tadema ritrae al centro in piedi Ernest Gambart, mercante di opere d’arte e suo rappresentante europeo, circondato da membri della sua famiglia. L. Alma-Tadem Un’esedra 1871 Città del Messico collezione Pérez Simon L’ampia panca marmorea su cui riposano e da cui ammirano il paesaggio i viaggiatori, è la tomba di Mamia, ancora oggi visibile sulla Via dei Sepolcri, alla periferia di Pompei. L. Alma-Tadema Un passo di Omero 1885 Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, George W. Elkins Collection Il dipinto era appeso nella stanza da musica di una casa di New York, progettata da Alma-Tadema e decorata con mobili liberamente ispirati a modelli pompeiani. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO L. Alma-Tadema Missile d’amore 1909 Città del Messico collezione Pérez Simon Il “missile” è un mazzo di fiori lanciato sulla terrazza da un ammiratore segreto. Sullo sfondo la casa londinese di Alma-Tadema, in primo piano un lectus affine a quelli in stile pompeiano che decoravano lo studio dell’artista. L. Alma-Tadema Una domanda 1877 Città del Messico collezione Pérez Simon Il dipinto, una scena di corteggiamento, ispirò una novella dell’egittologo tedesco e romanziere storico Georg Ebers, amico di Alma-Tadema. → Oliver Rhys Sulla terrazza 1891 collezione privata Sulle orme di Alma-Tadema, Rhys si specializza nella raffigurazione di donne sognanti, abbandonate su bianche terrazze marmoree affacciate sul Mediterraneo. torna all’indice Le arti applicate Francesco Grandi Scuola d’Arte d’Intarsio di Sorrento, e Arturo Guidi Tavolo 1890 legno di mogano intagliato e intarsiato Sorrento, Museo della tarsia lignea. Al centro, una scena pompeiana e ai lati quattro vedute della penisola sorrentina tutte incorniciate da ornati all’antica in avorio. Almerico Gargiulo Interno di casa pompeiana 1895 legno impiallacciato, intarsiato e in parte dipinto Sorrento, Collezione privata La tarsia si ispira a dipinti coevi aventi come soggetto scene di genere ispirate alla vita quotidiana dell’antichità classica. Wagner (da Henryk Siemiradzki) Il vaso o la fanciulla? 1878 porcellana dipinta collezione privata Il soggetto di questa porcellana firmata Wagner è tratto dall’omonimo e analogo dipinto dell’artista polacco Henryk Siemiradzki, esposto a Parigi nel 1878. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Carlo Nogaro Progetto di decorazione in stile neopompeiano 1874-1878 acquerello e tempera su carta Asti, Museo Civico Il dipinto fa parte di una serie di cinque studi per decorazioni neopompeiane ideate dal pittore astigiano Carlo Nogaro dopo il suo trasferimento a Parigi nel 1868. Ulisse Ribustini Progetto di decorazione in stile neopompeiano 1872 tempera su carta Perugia, Accademia di Belle Arti Questo progetto decorativo segue un gusto diffuso dalla Maison pompèienne fatta costruire a Parigi dal principe Gerolamo Napoleone tra il 1856 e il 1860. Repertorio archeologico che ha ispirato i pittori neompompeiani: una selezione dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli Sileno portalampada da Ercolano bronzo MANN Il portalampada, che veniva utilizzato per il banchetto – e la scelta di un personaggio del mondo dionisiaco ne è la conferma – è puntualmente riprodotto in Vino greco di Alma-Tadema. Rython a forma di cervo Bronzo MANN Il corno, proveniente da Ercolano, era principalmente utilizzato nella sfera cultuale. L’oggetto ritorna in diverse varianti nelle opere di Alma-Tadema: in argento in Festa alla vendemmia e in oro in La processione verso il tempio. → Askos da Ercolano Bronzo MANN Molti recipienti di questo tipo, utilizzati per l’olio, si sono rinvenuti in area vesuviana. Il vaso è riprodotto in più opere di Alma-Tadema, tra le quali Festa alla vendemmia. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Patera con presa a testa di medusa, da Ercolano Bronzo MANN La patera con presa a testa di medusa, di uso termale, è raffigurata in Tibullo a casa di Delia di Alma-Tadema. Candelabro Bronzo MANN Il candelabro, a stelo scanalato su zampe ferine e capitello ionico con coronamento a sfinge, era molto noto nell’Ottocento. Viene riprodotto in Tibullo a casa di Delia di Alma-Tadema. Lucerna bilicne Bronzo MANN Una lucerna di questo tipo, sormontata da una larga foglia triangolare, viene riprodotta, su candelabro, in Tibullo a casa di Delia di Alma-Tadema. → Tavolo bronzo e marmo MANN Tavolo con gambe pieghevoli a zampa di leone, che terminano con un calice di foglie di acanto, da cui emerge un satirello che stringe al petto un leprotto. Il tavolo è riprodotto anche in Tibullo a casa di Delia di AlmaTadema torna all’indice Sgabello bronzo MANN Questa tipologia di sgabello era un arredo molto diffuso nelle abitazioni romane. L’esemplare, di dimensioni più grandi, viene riprodotto in Tibullo a casa di Delia di Alma-Tadema . Letto rimontato come sedile-bisellio bronzo e legno moderno; intarsi di argento e rame MANN Ricostruzione ottocentesca di elementi decorativi pertinenti a più letti di provenienza pompeiana, rimontati come sedile-bisellio su quattro piedi torniti. Sgabello tipo “sella curule” bronzo MANN Lo sgabello, di provenienza pompeiana, ha la tipica forma della sella curule, ovvero il sedile in origine di spettanza solo di alcuni alti magistrati e che poi si diffuse nell’ambito dell’arredo domestico di committenza elevata. Coronamenti di letto a forma di mulo bronzo MANN Le teste di mulo fungevano da coronamento del telaio (fulcrum) del letto tricliniare, di cui erano considerati gli spiriti tutelari. Riferimento puntuale a coronamenti di letto di questo tipo si ha in Le rose di Eliogabalo di AlmaTadema. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Labrum decorato con figura di Scilla avvinghiata al piede marmo rosso MANN Il bacino di fontana, dall’atrio di una casa pompeiana, venne portato nel 1812 nel Real Museo Borbonico, e posizionato su un sostegno moderno (il mostro marino Scilla). La riproduzione, in marmo nero, si ha in Galleria di sculture di Alma-Tadema. Cartibulum marmo bianco Soprintendenza archeologica di Pompei Coppia di sostegni di tavolo (trapezofori) decorati con grifi, dalla Casa di Cornelio Rufo a Pompei. Riiprodotto in Galleria di sculture di Alma Tadema.. → Statue di caprioli bronzo MANN Le statue, che appartenevano all’apparato decorativo della Villa dei Papiri di Ercolano, vengono riprodotte in versione miniaturistica su uno scaffale in alto in Galleria di sculture di AlmaTadema. torna all’indice Candelabro con bracci a volute per lucerne bronzo, agemine in argento MANN Il candelabro, proveniente dalla Casa di Pansa di Pompei, si compone di un pilastrino dal cui capitello partono quattro bracci a volute, da cui pendono quattro lucerne. La base ospita una statuetta di Dioniso su pantera con rhyton e un’arula. E’ raffigurato in diverse opere di Alma-Tadema, tra cui la Galleria di sculture. Lanterna bronzo MANN La lanterna, che era sospesa mediante anelli e catene si ritrova in Galleria di sculture di AlmaTadema. Lucerna trilicne bronzo MANN Lucerna a sospensione del I sec. a.C., con tre lunghi becchi e vasca decorata da maschere di schiavi musicisti addetti al banchetto. E’ riprodotta in Galleria di sculture di Alma-Tadema. Lucerna con catenella bronzo MANN Lucerna con catena di sospensione. Sul rostro è un piccolo topo accucciato. Si ritrova tra i numerosi esemplari raffigurati in Galleria di sculture di AlmaTadema. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Lucerna con tabula ansata bronzo MANN Lucerna a due becchi con catene di sospensione e una tabula ansata, priva di epigrafe. Si ritrova tra i numerosi esemplari raffigurati in Galleria di sculture di Alma-Tadema. Gruppo scultoreo con uomini che cuociono un cinghiale marmo MANN, Collezione Farnese Rielaborazione di età romana per decorazione di giardini e ville di originale alessandrino del II sec. a.C. Due satiri seminudi sono impegnati nella cottura di un cinghiale nel calderone. La scultura viene riprodotta, in parte, in Sacrificio a Bacco di AlmaTadema. → Rilievo con tiaso dionisiaco da Ercolano marmo MANN Il rilievo neoattico della prima età imperiale, da Ercolano, sembra ispirare la composizione del Sacrificio a Bacco di AlmaTadema: una menade con tamburello e due satiri, uno con pelle ferina e doppio flauto e l’altro che danza con il tirso. torna all’indice Candelabri quadrilicni bronzo MANN Candelabri scanalati da Pompei, con base a piedi ferini e coronamento a quattro bracci, per il sostegno di lucerne. Vengono riprodotti in Sacrificio a Bacco di Alma-Tadema, ma a sostegno di candele. Situla bronzo MANN La situla priva di manici è provvista un breve orlo piano, al di sotto del quale corre una decorazione. Maniglia bronzo MANN La maniglia, probabilmente appartenente a un braciere o un samovar di produzione campana del I secolo a.C., presenta gli attacchi a forma di mani aperte. Cembali bronzo MANN Strumento musicale tipico dei culti orientali e orgiastici, quali quelli di Iside, Dioniso e Cibele. I sonagli si battevano l’uno contro l’altro. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Statuetta di Afrodite bronzo MANN Copia di età romana di una celebre statua di Afrodite pudica, funzionale all’arredo di giardino. In versione minuta, come questa, ritorna in opere di Alma-Tadema, tra cui L’appassionato di arte romana. Statua di Eros con delfino marmo MANN, Collezione Farnese L’Eros che gioca con delfino è una scultura decorativa per fontana di età imperiale. La statua funge da ambientazione termale in Strigili e spugne di AlmaTadema. Meridiana da Pompei marmo, bronzo MANN Lo gnomone fuoriesce dal foro superiore. Linee orarie sono incise sul quadrante emisferico. → Tanagrina a capo coperto Terracotta MANN Statuetta femminile panneggiata a capo velato, tipica dell’età ellenistica e di ambito cultuale. Statuette di questo tipo sono riprodotte in opere di AlmaTadema, tra le quali per esempio L’appassionato di arte romana. torna all’indice Piatti da pesci a figure rosse ceramica MANN Pesci e seppia decorano i due piatti. Sono riprodotti, a mo’ di quadro, come decoro dello stipite del tempio nelle Donne di Anfissa di Alma-Tadema. Affresco con Medea, da Ercolano MANN L’affresco in IV stile, derivante da originale ellenistico, raffigura Medea che, pur se esitante, medita la tragica vendetta nei confronti del marito, che realizzerà con l’uccisione dei figli. E? riprodotto in Galleria di pitture di Alma-Tadema. Affresco con sacrificio di Ifigenia, da Pompei, Casa del Poeta Tragico MANN Raffigura un episodio della saga omerica, legato al sacrificio di Ifigenia. A sinistra Agamennone che accetta di dare in sacrificio la figlia ad Artemide; a destra Ulisse e Diomede conducono la giovinetta al sacrificio, contro il suo volere. In alto Artemide interviene e salva la giovane, sostituendola nel sacrificio con una cerva. L’affresco è riprodotto in Galleria di pitture di AlmaTadema. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Affresco con Eracle e Onfale MANN Eracle in abiti femminili stordito dal vino e dalla musica, ed Onfale con la leontè e la clava osserva i risultati della propria vittoria. L’affresco è riprodotto in Galleria di pitture di AlmaTadema. Affresco con coppia in volo MANN Il satiro e la menade con corona volano, recando nel manto frutti e fiori, simbolo di fertilità. E’ raffigurato su un’insegna portata da un partecipante al corteo bacchico di Primavera di AlmaTadema. Affresco con coppia in volo MANN Un satiro e una baccante si sollevano in volo. E’ raffigurato su un’insegna portata da un partecipante al corteo bacchico di Primavera di Alma-Tadema. → Braciere-tripode con satiri itifallici bronzo MANN Il tripode, che divenne molto noto nel Settecento, proviene dalla Casa di Giulia Felice di Pompei. Sorretto da tre piedi, configurati come giovani itifallici nell’atto, forse di danza, di tendere il braccio, è riprodotto nell’opera di Saverio Altamura Donna romana. torna all’indice Statua di Afrodite del tipo “pudica” da Ercolano marmo MANN La dea, raffigurata nel gesto pudico di coprirsi con il braccio destro ripiegato il seno e con quello sinistro il pube, è una copia di età romana del tipo Dresda-Capitolino. E’ riprodotta nell’opera di Giuseppe Sciuti Il tempio di Venere. Lastre dipinte con danzatrici da Ruvo MANN Lastre dipinte con danza di lamentatrici funebri a mani intrecciate, provenienti da una tomba a semicamera da Ruvo della seconda metà del IV secolo a.C. Sono riprodotte nell’opera di Giuseppe Sciuti Il tempio di Venere. Elmi e schinieri Bronzo MANN Armi gladiatorie da parata rinvenute nel quadriportico dei teatri di Pompei. Hanno ispirato la figura del gladiatore dell’opera di Francesco Netti Lotta dei gladiatori durante una cena a Pompei. ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Braciere bronzo MANN Braciere, proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei, con piedi a zampa di animale ed applique sui lati lunghis a testa leonina. E riprodotto in Gaetano d’Agostino, Bagno pompeiano o la vita romana sotto Claudio. → Afrodite accovacciata ed Eros marmo MANN, collezione Farnese Copia di età romana di originale reato dallo scultore bitinio Doidalsas alla metà del III secolo a.C. La scultura della dea nuda al bagno, priva di Eros, è riprodotta in Erulo Eroli, Suonatore di nacchere . torna all’indice Busto del cosiddetto “Thespis” da Ercolano, Villa dei Papiri bronzo, boccoli in rame MANN Copia romana di originale del tardo ellenismo, dalla Villa dei Papiri di Ercolano. L’acconciatura particolare, a parrucca, di Thespis -musicista alla corte di Tolomeo I di Egitto o uno degli ultimi sovrani del regno di Arabia?.- sembra ispirare una delle figure di Giulio Bargellini, Eterno idioma. scheda catalogo Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico Catalogo Formato Pagine Illustrazioni Prezzo in libreria Electa - www.electaweb.com 24x28 cm 312 250 euro 35 A cura di Eugenia Querci e Stefano De Caro → Sommario torna all’indice Pag. 19 Saggi Pag. 20 Nostalgia dell’antico. Alma-Tadema e l’arte neopompeiana in Italia. Eugenia Querci Pag. 40 Arte, archeologia e antichità: Alma-Tadema e Pompei Rosemary Barrow Pag. 54 I materiali archeologici nei quadri di Alma-Tadema: alcune considerazioni Nadia Murolo Pag. 70 Alma-Tadema e Napoli: incontri sui modelli dell’antico Luisa Martorelli Pag. 86 Artisti, opere e mercato fra Napoli e Londra: appunti su Alma-Tadema, Amendola e Morelli Alba Irollo Pag. 98 I “pittori archeologi” nella Roma postunitaria e il signor Goupil Gianluca Berardi → ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO torna all’indice Pag. 110 Dall’Olimpo al Vesuvio: pittori vittoriani a Pompei Giuseppe Pucci Pag. 122 Questa rovina viva: Pompei nella letteratura del secondo ottocento Eric M. Moormann Pag. 138 Fra Babilonia e Pompei. Teoria e immaginazione dell’antico Carlo Sisi Pag. 158 Il gusto neopompeiano nelle arti applicate Enrico Colle Pag. 168 Nostalgia dell’antico o nostalgia d’un contesto? Sale neopompeiane nel Museo Nazionale di Napoli tra 1864 e 1870 Andrea Milanese Pag. 181 Opere Pag. 295 Apparati Pag. 296 Bibliografia generale Pag. 311 Referenze fotografiche scheda San Paolo Compagnia di SanPaolo STANZIATO UN CONTRIBUTO DI 100 MILA EURO A FAVORE DELLA DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESSAGISTICI DELLA CAMPANIA A SOSTEGNO DELLA MOSTRA “ALMA TADEMA A POMPEI. LA NOSTALGIA DELL’ANTICO” → L’impegno per il 2007 nel settore arte Nel 2007 le azioni di restauro continuano ad assorbire un’ampia quota delle risorse che la Compagnia destina al patrimonio artistico. Tale scelta nasce dalla premessa che la riqualificazione dei monumenti e del paesaggio, applicata secondo logiche integrate, è in grado di generare valori aggiunti che consentono di migliorare la vita dei cittadini e sviluppare nuove opportunità. Accanto alle attività di restauro, un peso non secondario è riservato al tema della valorizzazione, declinato, da un lato, in termini di fruizione attraverso il sostegno alle Associazioni che si adoperano per le visite guidate ai monumenti - dall’altro, in termini di conoscenza e sensibilizzazione di nuovi pubblici attraverso eventi di grande spessore culturale. Aree geografiche di intervento sono Torino, Genova e, per il Mezzogiorno, l’area di Napoli. Ad esse si affianca un impegno a valenza più capillare in Piemonte e in Liguria, con azioni mirate a potenziare e a sviluppare distretti culturali su cui fondare un’economia del turismo significativa e rispettosa dei luoghi. Continua il sostegno accordato al Programma Musei al fine di generare ricadute positive sullo spazio urbano e sui sistemi di governance del sistema museale del centro storico di Torino. Il maggior uso dello strumento dei bandi, ben tre nell’anno, e la rinnovata adesione all’Accordo Quadro in materia di Beni Culturali, hanno consentito di limitare la logica del “pronto soccorso”a favore di un’attività tesa al corretto equilibrio tra il recupero di complessi monumentali di eccellenza e la salvaguardia di “beni artistici minori”. Il tratto comune dell’attività del settore Arte rimane comunque l’impegno per trasformare l’insieme dei beni culturali in un patrimonio “noto”, e in questa chiave vanno letti gli interventi a favore di campagne di catalogazione e di riordino di archivi d’arte, e per sensibilizzare gli studiosi e gli abitanti delle singole città a una progettualità volta al rispetto dei valori e della cultura del territorio. Nel 2006 le iniziative sostenute nel settore Arte sono state 162 per un ammontare di 27,5 milioni di euro. torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Una fondazione per lo sviluppo della società La Compagnia di San Paolo, fondata il 25 gennaio 1563 come confraternita a fini benefici, è oggi una fondazione di diritto privato, tra le maggiori in Europa, con un patrimonio superiore a 9 miliardi di euro. Persegue finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, allo scopo di favorire lo sviluppo civile, culturale ed economico delle comunità in cui opera ed è attiva nei settori della ricerca scientifica, economica e giuridica; dell’istruzione; dell’arte; della conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali; della sanità; dell’assistenza alle categorie sociali deboli. Nel corso del 2006 la Compagnia ha effettuato stanziamenti per 880 iniziative nei settori istituzionali di attività per complessivi 148,5 milioni di euro. Compagnia di San Paolo - www.compagnia.torino.it Corso Vittorio Emanuele II, 75 – 10128 Torino Tel. (+39) 011 5596911 – Fax (+39) 011 5596976 [email protected] Enti strumentali della compagnia di San Paolo Fondazione per l’arte La Fondazione per l’Arte interviene nel settore dei beni culturali con modalità prettamente operative, che integrano e completano il profilo prevalentemente grantmaking della Compagnia. Il suo ruolo si delinea sempre più quale quello di “incubatore” di enti volti a presidiare aspetti peculiari della valorizzazione dei beni e delle attività culturali, della formazione e della gestione museale. www.fondazionearte.it → Fondazione per la scuola La Fondazione per la Scuola è una struttura operativa che sviluppa progetti volti a promuovere una migliore qualità dell’istruzione, aiutare le scuole a valorizzare e gestire efficacemente le opportunità offerte dall’autonomia scolastica, facilitare la diffusione di buone esperienze, contribuire alla formazione degli insegnanti, sostenere il sistema educativo nel promuovere la crescita culturale, umana e sociale delle nuove generazioni. www.fondazionescuola.it torna all’indice ALMA TADEMA E LA NO STALGIA DELL’ ANTICO Ufficio Pio della compagnia di San Paolo - Onlus Fondato nel 1595, l’Ufficio Pio svolge una funzione di sostegno a favore delle fasce più deboli di cittadini, mediante interventi destinati a persone e nuclei familiari in difficoltà, nell’area metropolitana torinese. L’Ufficio Pio, grazie all’azione di circa 200 Delegati riuniti in Associazione, opera sia come “Pronto Soccorso Sociale”, attraverso due sportelli dedicati, sia realizzando attività progettuali e percorsi finalizzati all’integrazione sociale. www.ufficiopio.torino.it Istituto superiore Mario Boella sulle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni Fondato nel 2000 dalla Compagnia e dal Politecnico di Torino, l’ISMB ha poi accolto i soci industriali Motorola, SKF, STMicroelectronics e Telecom Italia. Oggi è un Centro di Ricerca Applicata Industriale nelle tecnologie wireless con circa 250 ricercatori nelle aree Antenne e Compatibilità Elettromagnetica, e-Security, Fotonica, Microsistemi, Navigazione Satellitare, Networking, Tecnologie Radiomobili per Multimedialità. www.ismb.it Collegio Carlo Alberto La Fondazione Collegio Carlo Alberto è stata costituita dalla Compagnia e dall’Università di Torino e oggi è al centro di un sistema articolato nella didattica avanzata e nella ricerca in campo economico e politico-istituzionale. La sua attività è fondata sull’utilizzo di research fellows, assistant professors selezionati sul job market internazionale. L’attività di ricerca si articola anche nell’azione di cinque Unità di ricerca. www.carloalberto.org → SiTI - Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione Associazione senza fini di lucro fondata nel 2002 dalla Compagnia e dal Politecnico di Torino. Produce ricerca e formazione superiore orientate alla crescita socio-economica. Il compito principale di SiTI, sin dall’inizio della sua attività, è quello di offrire un supporto allo sviluppo innovativo dei sistemi territoriali attraverso ricerche basate su un approccio multidisciplinare. www.siti.polito.it torna all’indice