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0712 don Peppino Barbesta (3^p)

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0712 don Peppino Barbesta (3^p)
DON PEPPINO BARBESTA racconta ...
8 anni d’impegno in Palestina
Intervista del 19 settembre 2007 (3^ parte)
La 1^ e la 2^ parte sono pubblicate su Ultimi di ottobre e novembre 2007
(Vedi nell’archivio www.diocesi.lodi.it/ultimi )
“Vado a Jenin a celebrare la Pasqua”
Questo te lo voglio proprio raccontare. Un episodio.
Prima il check point, la frontiera, era rudimentale:
rudimentale nel senso che c’era una rete di ferro, c’era
un cancello, carri armati, mitra… dopo siccome hanno
capito, secondo loro, che quella frontiera lì doveva
rimanere eterna, l’hanno tutta meccanicizzata, fatta
secondo le regole della tecnica moderna. Ecco, quindi i
cancelli che vanno avanti e indietro, schiacciano un
bottone e si apre, ne schiacciano un altro, fotocellule, ...
tutte quelle robe lì. E naturalmente, specialmente i primi
momenti, anche quelli che mi accompagnavano non
potevano passare. “Don Peppino, non andare, stavolta
non andare. Noi possiamo accompagnarti fino a
duecento metri, dopo ti arrangi.” Ma sai cosa mi è
venuto in mente? Accompagnarmi loro non possono, io
non so una parola, né di Inglese, né di Arabo, né di
Ebraico. Cosa faccio? Eh, mi viene da ridere: ho preso
un cartello, “Sono un sacerdote italiano”. Siccome
eravamo alla settimana di Pasqua – la Pasqua degli
Ortodossi è otto giorni dopo la nostra – “vado a Jenin a
celebrare la Pasqua”.
E mi presento, o non mi presento
magari a nessuno, perché con tutto… la
cosa più brutta in tutte queste faccende
è che tu non incontri più delle persone
faccia a faccia. Ti aprono tutti da
lontano, dalla torretta, ti fotografano, ti
filmano… ma se io ti vedo di persona,
posso parlarti, posso spiegarmi, posso
cercare di convincerti, ma cosa
convinco, un occhio di bue? Terribile,
eh?
D: Il cartello era scritto in Italiano?
R: No. Era scritto in tre lingue: Inglese,
Ebraico e Arabo.
Mentre mi lasciavano giù mi han detto:
“Guarda che ieri il parroco di Jenin
l’han tenuto fermo sei ore, qui. Preparati a tutto.” Ci crederesti? Non ero lì neanche da cinque
minuti, sento ridere alle mie spalle, una bella risata femminile; erano due soldatesse israeliane con
tanto di mitra, che venivano verso di me. Io sono andato incontro a loro, col sorriso, avranno detto:
“Ques chi l’è un por malàn”. Si son messe a sorridere, mi han fatto cenno di seguirle. A farla breve,
dopo dieci minuti ero dall’altra parte.
Pensa. Sembrerebbero cose inventate, invece sono vere. (3 CONTINUA)
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