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Un`emigrazione essenzialmente politica: i profughi ungheresi e
Anno scolastico 2003-2004
Classe 3C
Un’emigrazione
essenzialmente politica:
i profughi ungheresi e
cecoslovacchi
A cura di:
Buser Alan
Fieni Elena
Gouveia Katia
Oberholzer Nancy
Stefani Amedeo
Tutor
Gualtiero Rusca
Corso Interdisciplinare 2003/2004
Pagina 1 di 20
Indice
1) Introduzione
p.3
2) Obiettivi
p.3
3) I fatti storici relativi alla fuga degli Ungheresi e dei
Cecoslovacchi.
p.4
4) L’insurrezione ungherese di Budapest nel 1956.
p.8
5) L’invasione Sovietica della Cecoslovacchia
nel 1968.
p.9
6) Dati statistici relativi alla fuga dall’Ungheria e dalla
Cecoslovacchia.
p.11
a) Quanti sono fuggiti.
b) Quanti sono arrivati in Svizzera.
7) Come sono stati accolti i profughi in Svizzera.
p.13
a) Gli Ungheresi.
b) I Cecoslovacchi.
8) Intervista a un esule residente in Svizzera.
p.15
9) Considerazioni conclusive.
p.15
10) Bibliografia.
p.16
Corso Interdisciplinare 2003/2004
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1)Introduzione
Quest’anno il tema del corso interdisciplinare tratta l’emigrazione nel continente europeo. Il
nostro gruppo ha scelto l’emigrazione della popolazione ungherese (1956) e di quella
cecoslovacca (1968).
Con questo lavoro cercheremo di analizzare i principali motivi e l’entità di questi due flussi
migratori. Come mai ungheresi e cecoslovacchi hanno dovuto abbandonare i propri paesi?
Inoltre indagheremo anche sul loro arrivo e inserimento nel contesto sociale elvetico.
Come sono stati accolti dalla Svizzera? Quali difficoltà hanno incontrato?
Per capire questi fatti sarà necessario spiegare il quadro politico europeo e internazionale
di quel periodo, in particolare la divisione del mondo in due blocchi contrapposti.
2) Obiettivi
1)
Riuscire a lavorare in gruppo dividendosi il lavoro sfruttando le caratteristiche
individuali per ottenere da ogni elemento del gruppo il massimo.
2)
Trattare il problema dell’emigrazione, più in particolare di due paesi (Ungheria e
Cecoslovacchia) mettendo in risalto due realtà e culture di questo periodo.
3)
Trattare l’aspetto sociale e umano e i risvolti nelle famiglie, nell’economia e nella
politica passata.
4)
Cercheremo di contattare qualche esule che abita in Ticino qualcuno che ha vissuto
direttamente gli eventi.
5)
Alla fine del lavoro di ricerca cercheremo di dare un contributo personale
commentando quanto accaduto.
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3) I fatti storici relativi alla fuga degli Ungheresi e
dei Cecoslovacchi.
La Guerra Fredda
Il 1945 anno della fine della IIa guerra mondiale ha segnato l’inizio di un’epoca definita l’età
delle super potenze, dominata dalla presenza e dalla concorrenza di due grandi blocchi
politico-economico-militari entrambi in grado di distruggere l’avversario e con esso la vita
di tutto pianeta. Fortunatamente lo scontro politico ed ideologico non degenerò mai in un
conflitto militare aperto: per questo il dopo-guerra viene generalmente denominato come il
periodo della “guerra fredda”.
Gli anni della “guerra fredda” sono stati segnati da una tensione continua, da guerre locali
definite “ guerre per delega”, in quanto combattute dagli alleati degli USA e dell’URSS, e
della corsa agli armamenti.
L’inizio della guerra fredda viene fatto risalire alla conferenza di Yalta nel 1945, dove “ I tre
grandi” Churchill, Roosevelt e Stalin, decisero le sorti del mondo che usciva dalla guerra.
In termini brutali, ci fu una vera e propria spartizione del mondo tra USA e URSS.
I protagonisti della guerra fredda:
L’Unione Sovietica
L’URSS uscì dalla seconda guerra mondiale notevolmente provata: 18 milioni di morti,
molte città distrutte e tutte le regioni europee invase dalla Germania. Riuscì comunque ad
affermarsi a livello mondiale grazie alla forza del suo grande esercito (“l’Armata Rossa”),
grazie alla ferrea disciplina imposta da Stalin e grazie allo sfruttamento dei territori
occupati.
Il suo potere derivò inoltre dal grande appoggio di tutti partiti comunisti del mondo e dalle
speranze di indipendenza che essa alimentava in tutti i paesi ancora soggetti a regime
coloniale.
In Europa orientale, la massiccia presenza dell’Armata Rossa anche dopo la fine del
conflitto, determinò l’imposizione russa di governi comunisti filo-sovietici e,
l’allontanamento forzato dei dirigenti non comunisti) e la conseguente collettivizzazione
dell’economia.
Nel 1947 si insediarono governi filo-sovietici in Polonia, Bulgaria, Ungheria e Romania,
uniti tutti all’Unione Sovietica” mediante organizzazioni politiche, (COMINFORM),
economiche (COMECON) e militari (Patto di Varsavia).
Il COMINFORM era una sorta di riedizione della Terza Internazionale (che si era sciolta
nel ‘43 in omaggio all’alleanza antifascista), ed il suo scopo era quello di coordinare
l’azione di tutti i partiti comunisti europei. Fondato nel 1947 dai rappresentanti di partiti
comunisti dei paesi dell’Europa orientale, di Francia ed Italia, il COMINFORM divenne lo
strumento tipico della contrapposizione tra blocco comunista e blocco occidentale. Il
COMINFORM venne però sciolto nel 1956 con l’avvio della politica di coesistenza pacifica
avviata dal leader sovietico Kruscev.
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Grazie al COMECON invece, l’URSS si assicurò il controllo delle economie dei paesi da
lei occupati. Attraverso il “Consiglio di mutua assistenza economica” (COMECON) infatti,
l’URSS poté scegliere i processi di produzione dei paesi satelliti in modo tale che questi
risultassero complementari a quelli russi. I tassi di scambio all’interno dell’area del rublo,
nonché la quantità ed i prezzi dei beni scambiati furono quindi rigidamente controllati dal
potere sovietico.
La Russia così conobbe ben presto un rapido sviluppo: nei primi anni del dopoguerra, la
crescita produttiva sovietica fu notevole, con incrementi medi del 10% annuo.
Il Patto di Varsavia fu invece la risposta sovietica all’ingresso nella Nato della Germania
Federale.
Esso si configurò come organizzazione militare dei paesi comunisti dell’Europa orientale e
conferì alla Russia il comando di tutte le forze militare dei paesi contraenti il trattato.
Il patto di Varsavia si sciolse soltanto nel 1991 in seguito al crollo dei regimi comunisti
nell’Europa orientale.
Gli Stati Uniti
Gli USA uscirono dalla IIa guerra mondiale addirittura rafforzati; essi non avevano, infatti,
conosciuto né occupazione straniera né bombardamenti e la loro capacità produttiva era
notevolmente aumentata dato lo sforzo fatto per rifornire di armi e di ogni altra merce i
propri soldati in guerra.
Alla fine della guerra gli USA si ritrovarono con la più potente marina e aviazione militare
del mondo e la sua supremazia militare era garantita dal possesso della bomba atomica.
Anche nel campo economico la supremazia degli USA era indiscutibile. Con la conferenza
di Bretton Woods del 1944 infatti, poiché gli USA possedevano i due terzi delle riserve
aurifere mondiali ed era necessaria la ricostruzione di un sistema monetario internazionali
efficiente e stabile per la ripresa della crescita degli scambi internazionale, solo il dollaro
avrebbe mantenuto la convertibilità in oro diventando così la moneta chiave del sistema.
Gli scambi e i pagamenti internazionali sarebbero stati effettuati unicamente in dollari e la
valuta americana sarebbe divenuta moneta di riserva in sostituzione dell’oro.
La solidarietà politica tra USA ed Europa si riaffermò poi nel 1949 con l’alleanza politicomilitare del Patto Atlantico che ebbe il suo strumento bellico nella NATO (North Atlantic
Treaty Organization) cui aderirono 12 paesi.
La NATO era un’alleanza con dichiarato carattere difensivo, ma il suo sorgere confermò
comunque una netta divisione dell’Europa occidentale da quella orientale. Questa
divisione fu confermata nel 1955 quando i paesi del blocco comunista opposero alla Nato
una loro alleanza militare, il Patto di Varsavia, che conferiva a Mosca il comando supremo
delle forze armate di tutti i paesi a lei alleati. Era dunque calata quella “ cortina di ferro” di
cui Churchill aveva parlato già nel 1946.
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I “non allineati”
Non tutte le nazioni però avevano accettato di allinearsi con uno dei due blocchi e
avevano preferito restare neutrali e conservare i propri orientamenti tradizionali nella
politica estera e le proprie strutture e istituzioni di governo.
Tra i “non allineati” europei il più importante fu la Yugoslavia di Tito che nel 1948, vista la
scarsa presenza dell’Armata Rossa sul suo territorio, arrivò ad una rottura definitiva con
l’URSS per quanto riguardava le relazioni economiche e militari, aderendo invece al piano
Marshall e intensificando gli scambi con l’Occidente. Si proclamò quindi repubblica
federale e concesse ampie autonomie alle sue sei regioni. In questo modo dunque, la
Yugoslavia si pose come cuscinetto neutrale tra Est ed Ovest.
Nel 1955 inoltre, a Bandung (Indonesia), ci fu una conferenza tra i vari paesi afro-asiatici,
non allineati, i quali proclamarono la volontà di essere ormai soggetti attivi e non più
oggetti di azioni politiche e la possibilità di una pacifica convivenza tra sistemi politici e
sociali diversi.
I problemi interni al blocco comunista
Per quasi un decennio, si sgranò un’interminabile serie di processi contro oppositori interni
veri o presunti tali (in Ungheria), non di rado le confessioni estorte a vittime innocenti
furono funzionali alla lotta politica interna agli apparati politici comunisti.
Ogni tentativo di riforma fu duramente represso.
Fulgido esempio ne furono gli scontri avvenuti a Budapest nel 1956.
Le frange comuniste più democratiche, attraverso l’insurrezione popolare, riuscirono ad
imporre un nuovo governo guidato da Imre Nagy, il quale si staccò dal patto di Varsavia
proclamando la neutralità dell’Ungheria.
Le truppe sovietiche presenti sul territorio furono costrette ad uscire dai confini ungheresi.
Cogliendo il pretesto dell’incapacità del Governo Nagy di far fronte ai tentativi di
controrivoluzione in atto, Kadar, Segretario del Partito, egli pure antistalinista ed
inizialmente favorevole a Nagy, costituì un nuovo governo; una della prime misure fu la
richiesta di intervento delle truppe del Patto di Varsavia che soffocarono nella violenza il
tentativo di liberalizzazione del socialismo ungherese.
Nel 1968 inoltre ci fu la famosa “primavera di Praga”.
Fra la primavera e l’estate del ’68 il nuovo segretario del Partito comunista cecoslovacco,
Alexander Dubcek, introdusse nel sistema socialista elementi di pluralismo economico e
sopratutto politico (compresa la presenza di diversi partiti). Sembrò così concretizzarsi
l’ideale di un “socialismo dal volto umano”. Ma nell’agosto le truppe del patto di Varsavia
occuparono il paese, arrestarono Dubcek e incoraggiarono la formazione di un governo
filosovietico: finì così quella che fu chiamata la “primavera di Praga”
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Nikita Krusciov avvia la destalinizzazione
La denuncia dei crimini di Stalin, compiuta da Nikita Krusciov al XX Congresso del
Pcus, costringe l’intero mondo comunista a confrontarsi con una realtà che, fino a
quel momento, era stata sistematicamente negata.
Al termine dei normali lavori del XX Congresso del Partito comunista sovietico, svoltosi dal
14 al 25 febbraio del 1956, il segretario Nikita Krusciov convoca una seduta “riservata”,
nella quale rende nota la reale portata della linea di rinnovamento da lui annunciata
precedentemente.
Non vengono esposte nuove misure economiche o strategie politiche, ma, di fronte a una
platea del tutto impreparata, Krusciov si lancia in una vera e propria requisitoria contro
Stalin e il suo operato. Esordendo con il giudizio negativo sul futuro successore espresso
da Lenin nel suo “testamento”, il segretario del partito elenca in un rapporto segreto tutti i
crimini del predecessore. Nessuno, fino a quel momento, aveva osato giudicare l’operato
di Stalin, preferendo far ricadere la colpa degli eccessi del periodo delle “purghe” su
Lavrentij Pavlovic Berija, crudele dirigente della polizia politica (Ceka) e, al tempo stesso
comodo capro espiatorio, giustiziato nel 1953.
Gli attoniti delegati ascoltano un lungo elenco in cui sono enumerati arresti, processi e
deportazioni di massa. Si aggiungono inoltre le critiche feroci sulla violazione della “legalità
rivoluzionaria” e sull’eccessivo culto della persona del dittatore. Solo prendendo le
distanze da Stalin e dal suo “mito”, teorizza Krusciov, è possibile riconquistare il ‹‹contatto
con le masse››, che progressivamente hanno smesso di appoggiare quello che si è
rivelato uno spietato regime dittatoriale. Il discorso del segretario, presto trapelato
all’esterno nonostante sia stato pronunciato a porte chiuse, rappresenta il primo atto di
quel processo di destalinizzazione che fa da sfondo anche al rinnovamento della classe
dirigente sovietica.
Il tentativo di Krusciov incontra comunque fortissime resistenze e ha ripercussioni ancor
più destabilizzanti negli Stati satelliti dell’Unione Sovietica. In Italia, il discorso del leader
russo non ha immediata risonanza nel PCI anche perché, contrariamente a quanto ci si
potesse aspettare, Togliatti, inizialmente, non fa alcun accenno al rapporto segreto del
segretario sovietico.
La discussione nel partito diviene invece accesissima con l’ingresso, che si verificherà
soltanto pochi mesi più tardi, dei carri armati del Patto di Varsavia in Ungheria.
Allontanata dai centri di potere buona parte del vecchio gruppo dirigente, Krusciov, che nel
marzo del 1958 assume anche la carica di presidente nel Consiglio dei ministri, è
comunque costretto a constatare un graduale peggioramento della situazione economica
interna, che, unito all’altalenante andamento della politica estera di “distensione” e alla
crisi di Cuba, finisce per indebolire la sua posizione.
Il 15 ottobre del 1964, il segretario del PCUS viene bruscamente deposto da ogni incarico
dal Comitato centrale del suo stesso partito e costretto a un totale isolamento politico e
alla residenza forzata in una casa nella periferia orientale di Mosca, città nella quale
morirà sette anni più tardi.
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4) L’insurrezione ungherese di Budapest nel 1956.
L’URSS REPRIME NEL SANGUE LA RIVOLTA DI BUDAPEST
La destalinizzazione in URSS suscita, anche in Ungheria, la richiesta di un totale
rinnovamento: la sollevazione popolare, però, viene subito soffocata dall’intervento
sovietico.
Anticipando la svolta del XX Congresso del Pcus, già nel 1953 Imre Nagy, primo ministro
ungherese, cerca di attuare, sulla base della teoria delle “vie nazionali al comunismo”, una
serie di riforme politiche ed economiche volte a democratizzare l’ordinamento sociale del
suo Paese.
Il tentativo di promuovere una linea liberalizzatrice, malvista più dagli esponenti del blocco
comunista ungherese che dal Cremlino, vale a Nagy, nel novembre del 1955, l’espulsione
dal partito e la destituzione dalla carica, motivata dal segretario generale Mátyás Rákosi
con l’accusa di ‹‹trasgressione alla legge››. Tuttavia, con l’inizio del processo di
destalinizzazione, anche Rákosi, sostenitore dell’ortodossa linea staliniana, viene
costretto dalla stessa Unione Sovietica ad abbandonare la propria carica. La sua
sostituzione con l’altrettanto dogmatico stalinista Ernö Gerö non riesce comunque a
frenare, all’interno del partito stesso, quelle istanze liberalizzatici diffuse tra la popolazione
e sostenute con vigore anche dal circolo Petöfi, avanguardia di un nuovo corso politico
che ha adottato il nome del poeta Sandor Petöfi, protagonista della rivoluzione ungherese
del 1848.
Il 6 ottobre del 1956, la tardiva riabilitazione dell’ex ministro degli Esteri Lászlo Rajk,
giustiziato nel 1949, è la scintilla che fa esplodere una serie di dimostrazioni di massa,
volte alla destituzione di tutti gli stalinisti e culminate con la richiesta di libere elezioni e di
riforme economiche. L’insurrezione popolare, dal marcato carattere nazionalista e
antisovietico, riesce a riportare alla guida del governo Imre Nagy, che, come primo atto,
chiede il ripristino della democrazia. Kruscev inizia le consultazioni con gli altri leader
comunisti, ma, nello stesso tempo, invia i primi contingenti di truppe in Ungheria.
Il 29 ottobre, i soldati sovietici si ritirano, ma l’annuncio di Nagy dell’abbandono ungherese
del Patto di Varsavia provoca, il 1° novembre del 1956, un nuovo, più veemente, e
risolutivo, intervento armato sovietico. Il 4 novembre, i mezzi corazzati russi invadono
l’Ungheria, occupano la capitale Budapest e reprimono nel sangue la rivolta. Dopo
l’arresto di Nagy (che verrà giustiziato il 15 giugno del 1958), l’8 novembre viene insediato
un nuovo esecutivo con a capo János Kádár, molto più “ortodosso” del suo predecessore,
che avvia immediatamente il processo di normalizzazione. I tragici fatti ungheresi hanno
ripercussioni anche in Italia: L’Unità definisce la rivolta ‹‹un putsch controrivoluzionario›› e
sostiene l’intervento sovietico. Il 29 ottobre (prima della deposizione di Nagy, quindi),
centouno intellettuali comunisti rivolgono un appello al Comitato centrale del Pci, affinché
le istanze di rinnovamento dei movimenti popolari siano invece rispettate.
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5) L’invasione Sovietica della Cecoslovacchia nel
1968.
Agosto 1968
Manifestanti cecoslovacchi bloccano i carri armati sovietici a Praga, il primo giorno
dell’invasione delle truppe del patto di Varsavia. I dirigenti cechi rinunciarono
all’opposizione armata, ma promossero un’efficace resistenza passiva che isolò
politicamente e moralmente gli occupanti.
Dopo il colpo di Stato nel 1948, consumatosi con la morte di Masaryk e le rafforzate
dimissioni di Benes, la Cecoslovacchia, come gli altri paesi socialisti dell'Est, viveva
un'esperienza di soffocante autoritarismo. Il terremoto del rapporto Kruscev ebbe virtù di
ridestare le aspirazioni autonomisti dei Cechi. Nel '57 andò al potere uno stalinista
convinto Antonin Novotny. La politica di stile sovietico del presidente, accusata di aver
provocato crisi economiche e stagnazione, fu messa in discussione da intellettuali,
giornalisti e da alcuni esponenti dello stesso Partito Comunista. I contrasti tra conservatori
sovietici e i novatori guidati da Alexander Dubcek si fecero sempre più vivaci e si risolsero,
nel gennaio del 1968, a favore dei secondi che, di fatto, assunsero la guida del partito e
dello stato.
Novotny fu costretto a dare le dimissioni. Alexander Dubcek, tentò di riformare il sistema
con il decentramento dell'economia, la libertà di stampa e la ripresa di legami con
l'Occidente. Il dissenso cecoslovacco aveva alla base anche ragioni economiche: il tenore
di vita della popolazione si era notevolmente abbassato rispetto a prima del '48. Si voleva
rinnovare l'apparato produttivo industriale senza però abbandonare il socialismo; si voleva
piuttosto realizzare una nuova forma di socialismo: un socialismo "dal volto umano" che
suscitò speranze e consensi in tutto il mondo sovietizzato e presso i democratici
occidentali. Infatti, l'Unione Sovietica, sotto la guida di Leonid Breznev, (Kruscev era stato
estromesso nell'ottobre del '64 e gli era succeduta una direzione collegiale di cui faceva
parte Leonid Breznev anche segretario del PCUS) sostenne inizialmente l'ascesa al potere
di Dubcek ma nella primavera del 1968 avvertì la politica cecoslovacca come una
minaccia alla propria egemonia nell'Europa orientale e sentirono forte il pericolo del
contagio sui paesi satelliti.
Fallirono tutti i tentativi di far rientrare i compagni cechi nei binari della mentalità più
ortodossa e della stretta osservanza della leadership sovietica, nonostante le notevoli
pressioni che anche il Patto di Varsavia esercitava sui governanti di Praga. A questo punto
il Cremlino decide di lanciare l'invasione della Cecoslovacchia. Fra il 20 ed il 21 agosto
1968 i carri armati sovietici e d'altri paesi del Patto di Varsavia invasero il paese per
"ristabilire l'ordine". Dubcek per un po' fu mantenuto nominalmente a capo del Partito, poi
fu sostituito dal ligio Gustav Husák. I primi tempi dopo l'invasione furono un periodo di
"fibrillazione": tutti si sentivano in qualche modo coinvolti, dal podista Emil Zátopek che
faceva la staffetta per portare messaggi nella città invasa (i cui cittadini avevano rimosso
le targhe stradali in una notte per disorientare gli invasori), alle ragazze che esibivano
davanti ai carristi russi delle minigonne da capogiro, ai professionisti (medici, avvocati,
ingegneri) che, ridotti spesso a semplici impiegati (Dubcek stesso si adattò a fare il
giardiniere), venivano ancora clandestinamente consultati dai propri clienti. A tutto questo
seguirono il grigiore e la stagnazione d'ogni "normalizzazione".
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La sera del 16 gennaio 1969 un giovane studente praghese, Ján Pálach, si recò in Piazza
San Venceslao. Teneva nascosta nel cappotto una bottiglia piena di benzina. Proprio
all'inizio della gran piazza, davanti al Museo, con calma si tolse il cappotto, si versò
addosso la benzina e si diede fuoco, senza un grido. Quando gli chiesero chi gli avesse
fatto una cosa del genere, Ján rispose semplicemente: "Sono stato io". Non disse altro.
Accorsero immediatamente gli agenti della Bezpecnost' e il ragazzo fu trasportato in
ospedale, dove morì poco dopo. Il giorno dopo un trafiletto di poche righe avvertiva dell'
"insano gesto di uno squilibrato", ma fu subito a tutti chiaro quale significato avesse il
gesto disperato di Ján Pálach. I suoi funerali furono seguiti da migliaia di persone in
silenzio, proprio come si racconta nella canzone di Francesco Guccini. Malgrado le (ovvie)
strumentalizzazioni, il sacrificio di Ján Pálach fu e resta esclusivamente un gesto di libertà,
un grido contro tutte le tirannie, di qualsiasi colore esse siano. Il punto dove Ján Pálach si
diede fuoco è stato sempre coperto di fiori. Prima del 1989, delle "solerti" mani
provvedevano a rimuoverli ogni giorno; adesso vi sorge una piccola lapide con la foto del
ragazzo. Nessuno toglie più i fiori, ma ce ne sono molti meno di prima.
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6) Dati statistici relativi alla fuga dalla
Cecoslovacchia e dall’Ungheria.
¾ Quanti sono fuggiti.
¾ Quanti sono arrivati in Svizzera.
Rifugiati Ungheresi per cantone a fine agosto 1957
Cantone
Lavoratori
Disoccupati
Totale
Zurigo
Berna
Lucerna
Uri
Svitto
Obwaldo
Nidwaldo
Glarona
Zugo
Friborgo
Soletta
Basilea Città
Basilea Campagna
Sciaffusa
Appenzello Est.
Appenzello Int.
San Gallo
Grigioni
Argovia
Turgovia
Ticino
Vaud
Vallese
Neuchatel
Ginevra
1786
1019
370
12
70
12
17
59
98
84
356
431
302
120
111
447
109
462
194
58
383
132
148
330
1076
282
5
38
5
4
19
24
68
35
170
127
37
3
181
104
68
53
16
173
12
18
-
2862
1301
17
108
17
21
78
122
152
391
601
429
148
3
628
213
530
247
74
556
144
166
-
Svizzera
7110
2820
9930
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COMMENTO
Ungheria:
In totale sono arrivati in Svizzera circa 425'000 ungheresi.
Zurigo è stata la città che ha subito il maggior afflusso di immigrati ungheresi.
Essa è seguita da Berna, anch’essa con più 1000 impiegati.
Il nostro cantone ha accolto soltanto 74 immigrati.
I cantoni con nessuna cifra sono i paesi in cui il n° di immigrati non è conosciuto in modo
preciso poiché non si sa con esattezza quanti sono entrati e quanti sono usciti.
La Svizzera, essendo tra l’altro un paese neutro ha attirato l’attenzione di molti emigrati.
Infatti ha accolto all’incirca 9930 rifugiati. Ma la Svizzera ha aiutato anche molto l’Ungheria
durante la sua crisi. Facendo ciò si è creata un’immagine molto positiva agli occhi degli
ungheresi, i quali hanno deciso di recarsi qui.
Cecoslovacchia:
L’unico dato a nostra disposizione è quello relativo agli emigrati fuggiti che dovrebbero
essere circa 11'108. Perciò non siamo in grado di fare un commento come quello svolto
per l’Ungheria.
Ad ogni modo molte informazioni relative a difficoltà avute durante l’emigrazione e al
numero di fuggitivi saranno detti durante l’intervista.
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7) COME SONO STATI ACCOLTI I PROFUGHI IN
SVIZZERA.
A) Gli ungheresi
L’Ungheria è stata invasa, perché il suo territorio interessava alle mire strategiche e ai
disegni imperiali del Cremino.
Per sfuggire alla repressione sovietica, migliaia di ungheresi lasciano il paese passando
dall’Austria. Le autorità federali decidono di concedere l’asilo a un primo contingente di
400 profughi.
I primi rifugiati giungono a Kloten il 8 novembre 1956, trasportati gratuitamente su un volo
Swissair. I rifugiati ungheresi vengono accolti con commozione e simpatia, tanto dalla
popolazione che dalle autorità. Molti volontari si danno da fare per organizzare il loro
soggiorno in Svizzera.
A partire dal 9 novembre 1956, i profughi ungheresi provenienti dai campi di raccolta
austriaci arrivano a centinaia alla stazione ferroviaria di Buochs, alla frontiera sangallese. Il
diritto di soggiornare in Svizzera viene concesso senza restrizione a tutte le persone che
ne fanno richiesta. Ripartiti nelle varie regioni, i profughi sono presi in consegna dalla
Croce Rossa che li sistema in alberghi o nelle caserme.
Dopo qualche mese, la maggior parte di loro ha già lasciato i centri di accoglienza. La loro
integrazione rapida è facilitata dalla congiuntura economica. Si tratta di universitari e di
operai specializzati per i quali non mancano le occasioni di lavoro. Ma si manifesta anche
un’incredibile ondata di simpatia e di generosità, per cui le iniziative in favore dei rifugiati
ungheresi si moltiplicano un po’ ovunque.
A Montreux, una generosa e anonima donatrice si assume le spese del parto del primo
neonato ungherese venuto alla luce in Svizzera. In molte scuole si organizzano collette e
appelli alla popolazione per facilitare l’installazione di numerose famiglie ungheresi: ricerca
di appartamenti, offerta di mobilio, arredamenti e biancheria. Nei primi mesi del 1959, i
rifugiati ungheresi in Svizzera saranno oltre 13'000 (su un totale di circa 425'000); circa
7'000 si stabiliranno definitivamente nel nostro paese.
C’è molto solidarietà: l’iniziativa parte dagli studenti zurighesi che organizzano una
manifestazione di sostegno agli insorti che raduna 7'000 persone in piazza. C’é anche chi
si reca sul posto per distribuire i soccorsi e aiutare i patrioti a mettersi in salvo all’estero.
Sempre gli studenti, organizzano l’integrazione di 350 coetanei ungheresi nel mondo
universitario svizzero.
La popolazione svizzera dà prova di grande generosità: collette, concerti di beneficenza,
raccolte di indumenti e generi alimentari vengono organizzati con grande successo in tutto
il paese. Dalla Svizzera partono alla volta dell’Ungheria 6 vagoni carichi di tavolette di
cioccolato e 600’000 candeline riunite dagli scolari di tutta la Svizzera tedesca. Anche in
Ticino sfilano cortei di solidarietà e si raccolgono fondi, su iniziativa degli studenti delle
scuole superiori. Una manifestazione di protesta riunisce e Bellinzona 10'000 persone.
L’ondata di simpatia verso la popolazione ungherese rafforza i sentimenti anticomunisti già
ben radicati nel nostro paese. Alle manifestazioni di solidarietà verso l’Ungheria si
affiancano gesti di ostilità verso i militanti comunisti locali: a Basilea, Zurigo e Ginevra
manifestanti inferociti tentano di assaltare le sedi del Partito del Lavoro. Il Partito del
Lavoro ticinese deve sospendere per alcune settimane la pubblicazione del proprio
periodico.
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B) I cecoslovacchi
Il Consiglio federale dopo l’aggressione sovietica contro la Cecoslovacchia segue con
interesse lo sviluppo della situazione e afferma che il popolo svizzero è preoccupato per
quanto riguarda l’indipendenza dei piccoli paesi e il loro diritto all’esistenza.
Il consiglio nazionale esprime il 26 agosto la propria solidarietà con il popolo cecoslovacco
che lotta “per la difesa della sovranità nazionale e dei diritti umani fondamentali” e
condanna senza mezzi termini l’aggressione sovietica.
L’invasione della Cecoslovacchia suscita nel nostro paese un vasto movimento di
simpatia, vale a dire che gli svizzeri furono molto contenti di accogliere questa gente.
L’opinione pubblica svizzera si mostra molto accogliente verso i rifugiati e gli esuli politici:
si stanziano fondi e si mettono a disposizione alloggi.
Gli svizzeri rispondono numerosi e generosi agli appelli delle chiese e delle organizzazioni
umanitarie, offrendo denaro, vestiti, vettovaglie.
La Croce Rossa svizzera invia medicamenti e plasma sanguigno.
Manifestazioni di solidarietà con la Cecoslovacchia e di protesta contro l’aggressione
sovietica si svolgono in varie città della Svizzera.
Il 30 agosto 1968, il Consiglio federale sospende l’obbligo del visto per i rifugiati politici
cecoslovacchi.
Questi beneficiano di un’autorizzazione di soggiorno di tre mesi, che sarà in seguito
prolungata fino al 31 marzo 1969. Durante questo periodo, che permette loro di inoltrare
una richiesta di asilo in Svizzera, beneficiano già dei vantaggi riconosciuti in generale
soltanto ai rifugiati accettati: diritto alle prestazioni sociali e permesso di lavoro.
Le richieste d’asilo sono evase rapidamente dopo un’inchiesta sommaria. Tranne rare
eccezioni, tutti gli 11'108 richiedenti d’asilo entrati in Svizzera nel 1968 e 1969 ottengono
lo statuto di rifugiato politico. Il motivo principale dell’ esilio dei cecoslovacchi è stata la
prospettiva di stabilirsi in un paese libero e prospero.
Molti rifugiati dispongono sin dall’inizio di contatti nel nostro paese,il che facilita la loro
integrazione. Per altri invece è necessario predisporre una struttura di accoglienza: due
campi di raccolta vengono aperti a Buchs e a Sankt-Margrethen, nei pressi della frontiera
austriaca; i rifugiati sono in seguito smistati verso i comuni che si dichiarano disposti ad
accoglierli.
I nuovi arrivati costituiscono un utile apporto per un’economia elvetica in piena espansione
e alla ricerca di manodopera qualificata.
Circa la metà dei rifugiati provenienti dalla Cecoslovacchia ha una formazione superiore:
l’economia svizzera si arricchisce di un vero e proprio “capitale umano”. Cechi e slovacchi
godono di grande simpatia tra la popolazione che si identifica nella loro causa.
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8) Intervista a un esule ceco residente in Svizzera.
Nel mese di marzo abbiamo effettuato un’intervista al Signor Jiri Kren un esule dell’ex
Cecoslovacchia.
Siamo riusciti a raccogliere il materiale e a contattare l’intervistato tramite un articolo sul
Corriere del Ticino.
Grazie all’articolo siamo venuti in possesso del numero telefonico e abbiamo fissato un
appuntamento.
Ci siamo recati presso l’abitazione del Signor Kren con l’operatore e video della scuola
Gazzani.
Dall’intervista emerge la vera e propria esperienza di uno sportivo d’élite in una situazione
politica che nega la libertà ai propri cittadini.
Vogliamo ancora ringraziare per la disponibilità e la gentilezza il Signor Kren.
9) Considerazione conclusive.
Non è stato affatto facile per noi sviluppare questo tema, a causa delle scarse risorse a
nostra disposizione. Abbiamo cercato e ricercato in vari libri storici e navigato ore intere in
internet, ma con pochi risultati. Il materiale trovato era scarso e non dettagliato; soprattutto
i dati statistici riguardanti la fuga cecoslovacca e ungherese sembravano non esistere.
Dopo tanta fatica la nostra attenzione è stata attirata da un articolo di giornale che parlava
di Jiri Kren, ex-profugo cecoslovacco, emigrato dal suo paese. Non abbiamo esitato a
contattarlo.
Presto sorsero altri problemi: Jiri è un uomo molto impegnato e con poco tempo libero a
disposizione. Solo due mesi dopo la pubblicazione dell’ articolo, dopo molte insistenze, Jiri
ci ha invitati a realizzare l’intervista nella sua abitazione a Prato Leventina. Jiri ci ha
permesso, tramite la sua esperienza, di avvicinarci un po’ alla realtà di quegli anni molto
duri per la Cecoslovacchia.
Purtroppo non abbiamo avuto la fortuna di incontrare anche persone ungheresi, e ci siamo
dovuti limitare alle letture.
Nonostante le nostre fatiche, questo tema ha suscitato in noi interesse verso questi due
paesi: l’Ungheria e la Cecoslovacchia.
Il nostro gruppo è fortunato, visto che ci recheremo a Praga con la scuola per la nostra
gita scolastica di fine anno. Così riusciremo ad ambientare meglio le nostre idee e la
nostra immaginazione su come si è svolta tutta la rivolta in quel paese. Per adesso ci
dobbiamo limitare alle nostre conoscenze, senza sapere in quale ambiente si è verificato il
famoso conflitto della Primavera di Praga.
Un altro aspetto positivo è stato il lavoro in gruppo. Esso ci ha permesso di conoscerci
meglio e ci ha insegnato a lavorare in comune. Abbiamo riso e litigato ma soprattutto
abbiamo imparato a rispettare le opinioni altrui. Tutto sommato è stata un’esperienza
davvero positiva.
Proprio per le difficoltà incontrate nel ricercare documentazioni relative ai due paesi non ci
è stato possibile trattare alcuni punti elencati tra gli obbiettivi, in particolare quelli
riguardanti l’Ungheria.
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10) Bibliografia
Libri:
Anne-Françoise PRAZ, La luna in diretta e i giorni in rivolta, 1999, Volume 7, Eiselé.
Anne-Françoise PRAZ, I primi anni di prosperità, 1999, Volume 6, Eiselé.
Massimo L. SALVATORI, Storia dell’età contemporanea dalla restaurazione all’eurocomunismo, 1977, Volume 3, Loescher.
AUTORI VARI, XX Secolo dal 1900 al nuovo millennio, 1999, Volume 7, De Agostini
Internet:
http://www.google.it
http://www.google.it/search?q=primavera+di+praga&ie=UTF-8&oe=UTF-8&hl=it&lr=
http://www.google.it/search?hl=it&ie=UTF-8&oe=UTF-8&q=ungheria+1957&lr=
http://www.google.it/imghp?hl=it&tab=wi&ie=UTF-8&oe=UTF-8&q=
http://images.google.it/images?q=Primavera+di+Praga&ie=UTF-8&oe=UTF-8&hl=it
Abbiamo utilizzato google.it come motore di ricerca e grazie a questo sito abbiamo potuto
trovare molti sito dai quali abbiamo trovato molte le informazioni che ci servivano.
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Palach
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Kadar
Nagy
Kruscev
Dubcek
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