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• Chi non ricorda l`amore impiegato dai nostri genitori, dai nostri

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• Chi non ricorda l`amore impiegato dai nostri genitori, dai nostri
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
D A
B E R N A R D I N O
Il simbolo di una
tradizione: il presepe
di FRANCESCO BISESTI e IRINA POPOVICI
• Chi non ricorda l’amore impiegato dai nostri
genitori, dai nostri nonni, nel realizzare il presepe nell’attesa della “fantastica notte”.
Un amore senza precedenti, fatto di cura, di
meticolosa attenzione, di rispetto della tradizione e, quindi, di cultura. Un solo uomo, attore e
scrittore di professione, riuscì a fondere sulla
scena tutte queste immagini, questi sentimenti:
Eduardo De Filippo. La commedia era, e chi
potrà mai dimenticarla, “Natale in casa
Cupiello”.
Il termine presepe viene dal latino praesepe o
praesepium che, letteralmente, vuol dire “mangiatoia”.
La più antica rappresentazione della Natività è
l’Oratorium praesepis di Arnolfo di Cambio, realizzata nel 1283 e conservata ancora oggi a Roma
nella basilica di Santa Maria Maggiore, mentre il
primo presepe allestito in piena natura, in un
bosco nei pressi di Greccio nel Natale del 1223,
lo si deve a San Francesco d‘Assisi. Nelle nostre
zone è possibile ammirare ancora oggi una simile riedizione lungo il percorso del “tracciolino”
sotto faggi e castagni in comune di Casalvieri.
Questa composizione è visibile dalla strada e colpisce anche l’automobilista più distratto.
La struttura del presepe classico presenta la
grotta in primo piano affiancata dai pastori in
adorazione e dagli Angeli, quindi il sacro monte
con altri pastori accompagnati da greggi ed
Angeli in volo che annunciano la buona novella
e, in lontananza, il corteo dei Re Magi.
Ma come mai a Napoli andò sviluppandosi l’arte
presepiale fino ad elevare la città al rango di
massimo centro di questa cultura? Beh forse per
una ragione semplicissima: la grande povertà
che attanagliava il paese dell’arte dell’arrangiarsi favorì l’inventiva di quanti avevano innata
dimestichezza con la scultura Inizialmente convissero due tipi di pastori quelli in legno e quelli
in terracotta, che andarono pian piano riducen-
P U L C I N I
Napoli, via San Gregorio Armeno.
D A L 1 9 6 1 • P E R I O D I C O D E L L’ A S S O C I A Z I O N E C U L T U R A L E « L A L U C E R N A » F O N D A T O
dosi nelle dimensioni rispetto a quelli quattrocenteschi.
Il passaggio più importante avvenne nel
Cinquecento quando, al fianco dei personaggi
tradizionali, fecero la loro comparsa sulla scena
del presepe gli animali: cani, pecore, capre, oltre
l’asino e il bue da sempre presenti nella grotta.
Per tutto il secolo, il presepe mantenne la stessa
struttura: in basso la grotta con angeli e pastori,
più su le montagne con le greggi, e lontano il corteo dei magi. In un documento notarile del 1532
vi è la descrizione di un presepe, con pastori in
terracotta dipinta, realizzato per il nobile Matteo
Mastrogiudice da Sorrento.
Nella prima metà del ‘600 nasce la figura dell’artista che si dedica anche alla creazione di pastori.
Michele Perrone fu uno di questi, noto per le sue
sculture lignee. Egli si dedicò con successo a quest’attività e altrettanto bravi furono i suoi fratelli
Aniello e Donato. Accanto al legno, nella seconda
metà del secoco1inciarono a comparire i pastori
in cartapesta, più piccoli rispetto ai precedenti, e
(Segue a pag. 2)
LALUCERNA
Auguri a tutti
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Il simbolo... il presepe
(Segue da pag. 1)
poi ancora manichini di legno con arti snodabili
e vestiti di stoffa. Furono proprio questi che
segnarono la svolta verso il presepe del 700. Con
queste nuove figure, i pastori divennero protagonisti attivi, potendo assumere diverse posizioni
che arricchivano la scena. Sotto l’influsso del re,
nobili e ricchi borghesi gareggiarono nell’allestire impianti scenografici giganteschi e spettacolari, in cui il gruppo della Sacra Famiglia finì
sopraffatto da un tripudio di scene profane che
riproducevano ambienti, situazioni e costumi
della Napoli popolare dell’epoca. Si investivano
spesso ingenti capitali per assicurarsi i pastori
più belli con la collaborazione degli artisti più
rinomati; il sacro evento divenne pretesto per far
sfoggio di cultura, ricchezza e potenza.
A realizzare le armi, gli strumenti musicali, i vasi
preziosi e gli altri minuti ornamenti dei personaggi del corteo dei re magi vennero chiamati
argentieri e gioiellieri famosi.
Le frutta e le cibarie esposte nei banchetti o consumate nelle taverne erano realizzate in cera
colorata. Le statuette arrivarono a costare delle
vere fortune: si calcola addirittura l’equivalente
di un mese di stipendio di un funzionario di
corte. Famiglie nobili giunsero a rovinarsi pur di
realizzare presepi che potessero competere in
magnificenza con quello reale e meritare, nel
periodo natalizio, la “visita” del sovrano.
Paradossalmente, quando i creditori arrivavano
al pignoramento dei beni di queste famiglie troppo prodighe nelle spese presepiali, proprio quei
piccoli capolavori costituivano una delle principali voci nei verbali degli ufficiali giudiziari.
Il presepe napoletano raggiunse in questo periodo il più alto splendore: in esso il sentimento
religioso dell’evento finisce però in secondo
piano lasciando spazio alla rappresentazione di
spaccati di vita quotidiana che riflettono la cultura dell’epoca. Gli storpi e i diseredati rappresentati non senza sarcasmo, l’opulenza dei nobili
orientali e delle loro corti a simboleggiare i privilegi dei nobili, l’osteria con l’avventore e l’oste a
rappresentare la bonomia del popolo.
Il tutto, però, alla fine del secolo incominciò a
scemare, e le collezioni private iniziarono a
smembrarsi. Con il declino degli ultimi presepari, discepoli dei grandi maestri, iniziò anche
quello del presepe artistico napoletano che andò
pian piano scomparendo per far posto a quelli
più piccoli anche a dimostrazione del fatto che i
pastori napoletani, per la loro pregiata fattura,
potevano magnificamente esistere senza scene di
grande sontuosità e alto costo. Nella nostra provincia la buona tradizione del presepe si è sviluppata a Serrone grazie all’impegno di artisti giunti a realizzarne uno a grandezza naturale.
Inutile dire che l’amore è quello che determina, e
ha sempre determinato, il risultato migliore, al
di là di ogni prezzo. Oggi la via del presepe, quella dell’amore per la tradizione, è a Napoli: è la
Via di San Gregorio Armeno.
2
• La crisi economica nazionale e la stasi amministrativa locale, non possono impedirci di lanciare a
tutti i più calorosi auguri di Buon Natale e di un fantasmagorico 2009, scusandoci con tutti quelli che,
pur non pensandola come noi, hanno letto ugualmente il nostro giornale dando così spazio alla critica e perché no anche alla riflessione. Grazie a tutti quelli che, pensandola come noi, hanno anche collaborato scrivendo e raccogliendo informazioni sul territorio, dandoci linfa vitale per mantenere
accesa la nostra Lucerna e allontanare il buio.
Grazie ai giovani, agli intellettuali, ai fotografi e ad uno in modo particolare, per la disponibilità sempre dimostrata nell'offrire alla nostra redazione il meglio di se stessi e della loro professione. Grazie a
Massimo Turchetta che, oltre che tipografo, è il caporedattore ideale, capace di raccogliere e valutare
le istanze della società civile coordinando le attività interne alla composizione della Lucerna a cui
tiene come ad una creatura, quella che è di tutti noi che abbiamo imparato a curarla, grazie a qualcuno che oggi non c'è più. Auguri a Marcella Di Clemente, la donna che ha speso bene la sua vita al fianco del nostro Bernardino. Auguri al Sindaco e alla sua Giunta, sperando non ce ne vogliano per le critiche che talvolta muoviamo al loro operato nell'intento di fornire comunque spunti di riflessione
come insegna ogni buona democrazia. Auguri ai docenti, insegnanti e dirigenti scolastici che, pur
nelle difficoltà, svolgono con impegno e dedizione la loro alta funzione sociale.
Auguri sinceri a tutti dalla Redazione de "La Lucerna".
Pontecorvo, presepe in Piazza Annunziata. (Stefano Gerardi Reporter)
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Federico Grossi
Un liberale in Terra di Lavoro
di FERDINANDO CORRADINI
• Federico (o Federigo) Grossi nacque il 12
novembre 1838 da Rocco e da Carolina Sorgente,
in Napoli. In questa città trascorse l’infanzia e la
giovinezza in quanto il padre, che era nato a Arce
nel 1794, vi svolgeva le funzioni di medico e di
“Primo Chirurgo di Casa Reale”. Qui, nel 1859,
conseguì la laurea in giurisprudenza, contravvenendo alla tradizione familiare che voleva i
Grossi medici o chirurghi: a tal proposito, abbiamo notizia, fra gli altri, di un Orazio, che fu maestro di quell’Antonio Cardarelli al quale è intitolato il più grande ospedale di Napoli e dell’intero
Mezzogiorno.
Caduto il regno delle Due Sicilie, il padre, rimasto disoccupato, tornò, con la famiglia, a Arce,
dove morì nel 1867. In quello stesso anno
Federico sposò, in Fontana Liri, Carolina
Gigliozzi Fanelli, ricca ereditiera che gli portò in
dote non soltanto il patrimonio della famiglia
Gigliozzi, che con lei si estingueva, ma anche
quello, ben più cospicuo, dei Fanelli di
Casalvieri. Ad Arce il giovane Federico prese ad
esercitare la professione di avvocato, difendendo
anche alcuni “briganti” nei maxiprocessi che si
tenevano in quel torno di tempo a Cassino.
Ricoprì anche la carica di Vice-Pretore presso la
Pretura di Arce. Ma non era il Foro il luogo in cui
il Nostro era destinato a trascorrere il resto della
sua vita. Divenne, infatti, uno dei maggiori esponenti della Sinistra liberale di Terra di Lavoro e
uno dei più longevi uomini politici di tale provincia. Va anche detto che, nel periodo successivo
all’unificazione, nella valle del Liri furono numerosi gli uomini politici che fecero parte di tale
formazione politica, contrapposta alla Destra
liberale, che aveva avuto in Cavour il suo leader.
Ciò, con ogni probabilità, fu dovuto al fatto che i
governi della Destra, nel periodo 1861-1876, operarono delle scelte di politica economica che
penalizzarono non poco l’Italia meridionale in
generale e la Valle del Liri in particolare. Basterà
soltanto, a questo proposito, ricordare come in
conseguenza di tale politica liberoscambista, nel
giro di pochi anni chiusero, uno dopo l’altro, i
lanifici di Arpino che, nel 1845, davano lavoro a
ben settemila operai. Probabilmente non a caso,
il maggior esponente della Sinistra liberale nella
nostra valle fu l’arpinate Giuseppe Polsinelli, che
era uno dei principali industriali lanieri.
Nel 1862 il Nostro divenne consigliere comunale
di Arce ricoprendo ininterrottamente questa
carica fino al 1910, e poi dal 1920 fino alla morte.
Fu più volte assessore e, dal 1879 al 1884, sindaco. Nel 1866 fu eletto consigliere provinciale di
Caserta per il collegio di Arce, mantenendo tale
incarico per ben quarantaquattro anni, fino al
1910. Durante tale periodo svolse più volte incarichi quale “Deputato provinciale”, come all’epoca venivano indicati gli assessori, e ricoprì anche
la carica di presidente dell’amministrazione provinciale di Terra di Lavoro dal 16 dicembre 1902
al 13 agosto 1906. Nel gennaio 1867, come
apprendiamo dal Nicosia, fu sciolto il consiglio
comunale di Pontecorvo e il Nostro fu nominato
“Regio Delegato straordinario” di questo
Comune. Nel 1876 pose la propria candidatura
per la Camera dei Deputati nel collegio elettora-
le di Pontecorvo – di cui Arce faceva parte – in
contrapposizione al Deputato uscente, appartenente anch’egli alla Sinistra liberale: Pasquale
Pelagalli di Aquino. Fu eletto e venne confermato per altre otto legislature di seguito: dapprima
nel collegio uninominale di Pontecorvo, quindi
in quello plurinominale di Caserta III, che fu istituito nel 1882, fondendo i quattro precedenti
collegi uninominali di Cassino, Sora, Pontecorvo
e Gaeta. Alle elezioni del 1882, come ci riferisce
Gaetano De Angelis Curtis, riportò un lusinghiero successo, risultando il candidato più votato
del collegio, avendo raccolto più consensi di
Angelo Incagnoli di Arpino e di Alfonso Visocchi
di Atina. Successivamente, nel 1891, allorché si
tornò ai collegi uninominali, pose la propria candidatura in quello di Cassino e, da ultimo, in
quello di Sora. In occasione delle elezioni del
1904, rinunziò espressamente a ricandidarsi.
Morì nella sua casa, posta sulla piazza Umberto I
di Arce, l’11 dicembre 1922, quarantacinque giorni dopo la Marcia su Roma, che pose fine al
periodo liberale, di cui il Nostro era stato uno dei
protagonisti nella provincia di Terra di Lavoro.
Fra i molteplici incarichi che ricoprì, ricordiamo
quello di Ispettore onorario della Soprin-tendenza. E’ menzionato anche nel Corpus Inscriptionum Latinarum in quanto fornì al Mommsen il
testo di un’epigrafe rinvenuta alla località
Camponi, nell’odierno territorio del Comune di
Colfelice. Ma, come è scritto nella lapide funeraria, “di sue civiche benemerenze resta monu-
3
mento perenne il polverificio sul Liri”. E’ stato lo
stesso Grossi a fornirci ampie notizie su come gli
riuscì di portare nella nostra valle questo importante stabilimento, dove si produce polvere da
sparo, che, fino alla realizzazione della Fiat di
Piedimonte San Germano, ha costituito una
delle più cospicue fonti occupazionali della valle
del Liri. Basti ricordare, a tal proposito, come
durante la prima guerra mondiale vi trovavano
lavoro circa 1.800 persone, molte delle quali di
sesso femminile. Nella tarda età egli scrisse una
“memoria”, che abbiamo rinvenuto e pubblicato:
in essa il Grossi evidenzia come Fontana Liri fu
preferita a Terni, perché in quest’ultima città, già
da tempo industrializzata, vi era un consistente
nucleo di socialisti. Non sarà fuor di luogo ricordare che eravamo nel 1889 e come, in quel periodo, i socialisti erano non solo pacifisti, ma anche
antimilitaristi.
Controverso, com’è naturale che sia, trattandosi
di un politico, il giudizio sull’uomo. I suoi avversari, anche quelli che militavano nella sua stessa
parte politica – anzi, soprattutto costoro – gli
rinfacciavano a ogni piè sospinto di essere “cresciuto alla Corte borbonica”. Giova ricordare
come, dopo l’unificazione italiana, numerosi elementi della borghesia meridionale si erano scoperti antiborbonici. In un opuscolo anonimo che
circolava fra i pochi elettori del periodo (aveva
diritto al voto soltanto il 2% circa della popolazione) nel collegio di Pontecorvo, in occasione di
una campagna elettorale per le elezioni alla
Camera dei Deputati, si arrivò addirittura a insinuare che egli fosse
figlio naturale di
Ferdinando II di Borbone!!! Questo fatto, se da
un lato ci dà la misura di come la lotta politica
possa degenerare quando è fatta di personalismi
e non di confronto su idee e programmi, dall’altro ci induce a ritenere che i Borbone fossero
ancora positivamente apprezzati dall’opinione
pubblica: il Grossi, infatti, vinse le elezioni!
Non sarà fuor di luogo ricordare come, nonostante i molteplici uffici ricoperti per lunghi
anni, ad un certo punto della vita si trovò in tali
difficoltà economiche da essere indotto a tentare
il suicidio (anno 1887). Ma erano altri tempi!
All’epoca le cariche pubbliche erano “onorifiche”, non davano, cioè, diritto alle cospicue
“indennità” che oggi la Casta si è autoattribuite.
In conseguenza di tale disastrosa situazione
patrimoniale, egli avrebbe vista venduta all’asta
finanche la sua casa di abitazione, se la nuora Ida
Ricci, gentildonna toscana, nel 1901 non avesse
portato in dote al figlio Gustavo l’iperbolica (per
l’epoca) somma di centounomila lire.
Di recente S. Bellucci ha dato alle stampe un saggio che lo riguarda. Nello stesso è evidenziato
come il Nostro fu “uno strenuo difensore del territorio di estrazione, sempre pronto a cogliere le
occasioni di sviluppo offerte dai provvedimenti
politici dei governi nazionali e locali per stimolare la crescita sociale ed economica della popolazione di Terra di Lavoro”, in generale, e di quella della valle del Liri, in particolare. “Tali aspetti
sono particolarmente evidenti nelle vicende che
portarono alla realizzazione di due opere pubbliche, tenacemente perseguite da Federico Grossi,
come la costruzione delle linea ferroviaria
Roccasecca-Avezzano e l’insediamento del
‘Regio Polverificio’ di Fontana Liri”. Il Polverificio fu posizionato a Fontana, in prossimità di
una comoda strada, e lontano, per motivi di sicurezza, dai centri abitati, ma, quel che più conta,
in prossimità di un punto in cui il Liri forma una
cascata, indispensabile per azionare le turbine
che producevano l’energia elettrica necessaria al
funzionamento dei macchinari. Ai suoi concittadini arcesi che lamentavano con lui il fatto che lo
stabilimento non fosse stato posizionato ad Arce,
il Nostro, però, era solito fornire una spiegazione
molto più convincente. Parlando, come suo solito, in napoletano (a Napoli, come abbiamo visto,
aveva trascorso i primi ventidue anni della sua
vita), diceva sornione e rassicurante: “ ‘A sciabola porta i ccorne! ”. E, così dicendo, brandiva nell’aria un paio di corna, formate dalla sua mano.
LALUCERNA
Lettere per...
Nicosia
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NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
• Egregio Direttore,
ho letto attentamente l’ultima edizione del Suo
giornalino e con rammarico ho notato che nella
pag.7 “I Diari della Colonia Montana di Monte
Leuci” con molta facilità vengono criticati, in
senso cattivo, due nostri illustri concittadini, mi
riferisco all’Avv. Carlo Bergamaschi e al Dott.
Manfredo Coccarelli.
Non sono qui per fare polemica, me ne guarderei
bene! Non sono scrittore e tantomeno storico,
ma piuttosto per “dare a Cesare quel che è di
Cesare”. Inoltre, da buon cristiano, credo che
non possono essere criticati due nostri compaesani in quanto deceduti e impossibilitati a giustificare il loro operato bene o male che sia stato.
A “Gnore Carluccio” si devono opere notevoli che
ancora sopravvivono nella nostra città: l’Istituto
Magistrale, la Casa della Madre e del Fanciullo,
la Casa del Fascio (oggi sede dell’Istituto
Tecnico), la Scuola di Avviamento Professionale
ora Biblioteca Comunale, le Scuole Elementari di
S. Oliva; Vetrine; Sant’Esdra; Traversa; Melfi;
Tordoni, la ristrutturazione del Palazzo Baronale
e della elementare Pastine, e poi le case popolari
in Via Ospedale (ora Via Bergamaschi), la colonia alpina di Monte Leuci, quella fluviale costruita sul fiume Liri, il Palazzo Comunale, interamente rinnovato; il rifacimento del Viale XXIV
Maggio; la sistemazione di tutte le strade interne
del centro urbano e di quelle di campagna; la
sostituzione del vecchio impianto di pubblica
illuminazione nel centro urbano e la sistemazione del cimitero centrale.
Premetto che “gnore Carluccio” ha abusato della
sua carica per qualche scappatella extra coniugale, non resta a noi giudicarlo bensì a quel Dio,
unico Giudice di tutte le nostre azioni. E poi “chi
non ha peccati scagli la prima pietra”.
Certamente mi sfugge qualche altra opera realizzata dal Bergamaschi, chiedo venia scusandomi
con coloro che certamente più vecchi di me
hanno vissuto quell’epoca.
Passo al secondo accusato, il Dott. Manfredo
Coccarelli. IL SINDACO GALANTUOMO. Ecco
chi era Manfredo! Un GALANTUOMO. Egli è
stato il Sindaco di tutti i pontecorvesi. Egli soleva ricevere i suoi compaesani trattandoli tutti
allo stesso modo, buoni e cattivi, amici e nemici
politici. Una persona molto caritatevole: ogni
mattina il Palazzo Comunale era meta di tanta
povera gente alla quale Manfredo elargiva del
denaro. Ricordo l’amore caritatevole che aveva
verso la povera Giuseppina, una vecchietta handicappata proveniente da un altro paese.
Ebbene, un giorno Giuseppina si ammalò e lui,
Manfredo, la fece subito ricoverare in ospedale
per le cure dovute. Ma non finisce qui. Mi
chiamò e mi pregò di andare a comprare a proprie spese degli indumenti per poterli portare a
Giuseppina. Questa è carità cristiana.
Come si può parlare male di una persona simile!
Nel succitato giornalino si accusa che il Sindaco
Coccarelli non ha fatto niente per Pontecorvo.
Falso e ingiusto! Manfredo ha fatto molto a
cominciare dalla costruzione del nuovo Ponte sul
Liri; ristrutturazione completa dello stesso con
costruzione di nuovi bagni interni, rifacimento
impianto elettrico e creazione di nuovi uffici; il
bocciodromo coperto; la piscina coperta e gli
impianti sportivi; la ristrutturazione dell’Istituto
Magistrale e di tutte le scuole elementari interne
ed esterne; la in località Pastine – Piazzale
Romita (ex Piazza S. Antonio completa di marciapiedi ed impianto della pubblica illuminazione); la ristrutturazione della Scuola Media
Bernadotte e della San Tommaso; la Biblioteca
Comunale e il Centro Caritas; la sostituzione dei
vecchi impianti della pubblica illuminazione nel
centro urbano ed il prolungamento nelle zone
agricole; l’ampliamento della rete distributiva
del metano portata fino alle zone agricole e nella
frazione S. Oliva; il rifacimento della Villetta e di
Porta Pia, così come dei marciapiedi in Via S.
Maria di Porta, Via S. Rocco, Via Leuciana, Via
La Libera, Via XXIV Maggio e la posa di alberi
sul Lungo Liri; la costruzione del nuovo cimitero
centrale e di nuovi loculi nella parte vecchia e nel
cimitero di S. Oliva, ivi compreso il nuovo
impianto di illuminazione e bagni; la realizzazione di due giardini pubblici in Via Salvo
D’Acquisto e di uno nel Piazzale Giacinto
Carbone; la ristrutturazione del Campo sportivo
di Via XXIV Maggio con ampliamento dei servizi e del Campo Cappuccini; fino alla assunzione
di 10 giovani vincitori di concorso regionale
(assunti per 32 mesi e passati di ruolo con la
legge 82). Sono certo che tutti coloro che hanno
governato e che governano tuttora la nostra
Città, lo hanno fatto e lo fanno nella consapevolezza di operare nel migliore dei modi per il bene
e l’interesse di Pontecorvo.
Ringrazio ed ossequio.
Giacomo D’Aversa
• Egregio Direttore,
sfogliando l’ultimo numero de “La Lucerna”, ho
avuto modo di leggere il pessimo articolo a firma
di Angelo Nicosia: I diari della colonia montana di Monte Leuci .
Dopo una breve introduzione sulla nascita della
colonia montana “Clementina Bergamaschi”
l’articolo, con una serie di nefandezze tutte da
dimostrare, tende a denigrare la figura di Carlo
Bergamaschi il quale, pur nella complessità di un
“regime” che esaltava i simboli, le gesta e i personaggi stessi, ha realizzato opere importanti nella
nostra città che ancora oggi sono efficienti e che
lo stesso Nicosia ha frequentato sia da studente,
immagino, che da insegnante. Ognuno di noi è in
grado poi, di valutare il contesto storico e lo stesso fascismo secondo la propria ottica, ma questa
è un’altra storia.
Tornando all’articolo e all’approfondimento
dello stesso, viene fuori tutta la faziosità e la
superbia dell’intellighenzia comunista nella
quale Angelo Nicosia affonda le sue radici politiche. Non voglio entrare nel merito di “particolari” notizie riportate nell’articolo riguardo Carlo
Bergamaschi (se colpe ha avuto ne ha sicuramente risposto davanti a Dio), ma definire
“boss” un personaggio di tale rilievo, dire che “il
Bergamaschi era riuscito a edificare un tempio
con sole 11.922 lire per la venerazione di sua
madre” e non prendere in considerazione
l’imponenza dell’opera e gli effetti positivi che
una colonia elioterapica potesse avere sulla gioventù di quel tempo non certamente “prodotta”
per la guerra, mi sembra superficiale e offensivo
nei riguardi di tanti pontecorvesi che ancora oggi
rispettano la figura di Carlo Bergamaschi.
(Vorrei comunque vedere quale politico dei
nostri tempi è disposto a spendere parte del proprio compenso per contribuire alla realizzazione
di opere pubbliche).
Angelo Nicosia offende altresì la memoria dei
consiglieri comunali del MSI che negli anni ’80 si
attivarono per l’intitolazione di una strada,
seguendo la “logica delle cose”, vista la presenza
in loco dell’edificio dell’Opera Nazionale
Maternità Infanzia, a Carlo Bergamaschi.
Non è concesso allo “storico fazioso” denigrare i
consiglieri comunali del MSI di quegli anni, alcuni dei quali non più presenti fra noi e fra questi,
egregio direttore, mi permetta di ricordare mio
padre Celestino Marchetti e poi Sandro
Abignente, Antonio Lallini e Giuseppe Paliotta.
Consiglieri comunali che in tanti anni di militanza politica di opposizione all’interno del consiglio comunale di Pontecorvo hanno onorato il
proprio mandato elettorale votando sempre
secondo coerenza non “sostenendo” alcuna
“situazione a rischio” altrui.
Se qualche volta è capitato che gli stessi abbiano
votato qualche provvedimento della maggioranza, e questo capita in tutte le democrazie del
mondo e ad ogni livello, è stato fatto per il bene
comune della collettività. Evidentemente gli
amministratori di maggioranza di allora, nell’accogliere la proposta del MSI di intitolare una
strada a Carlo Bergamaschi, hanno riconosciuto
come tutti i pontecorvesi, Carlo Bergamaschi
degno di un riconoscimento.
Forse Angelo Nicosia avrebbe fatto bene a frequentare qualche consiglio comunale in più e a
non parlare per slogan.
Certo di una pubblicazione senza alcuna modifica di questa mia lettera e con l’auspicio che il
prossimo articolo non sia intriso di faziosità e
odio, la saluto cordialmente .
Antonio Marchetti
IL DIRETTORE RISPONDE
I toni, nel discorso, pesano molto più delle
parole. Questo insegnamento, ricordo, lo ricevevo quotidianamente dal mio professore di italiano quando ero appena un liceale: bei tempi!
Rispondo così ad entrambe le lettere inviate alla
nostra redazione da Antonio Marchetti e da
Giacomo D’Aversa, ovviamente la premessa vale
(Segue a pag. 5)
solo per quest’ultimo.
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
(Segue da pag. 4)
Ho letto e riletto l’articolo di Angelo Nicosia e
credo che nulla offenda la memoria dei personaggi tanto strenuamente difesi, se non una
evidente, marcata diversità della matrice
politica di chi ha compiuto l’analisi: nel caso
specifico l’autore appunto de “I diari della
Colonia Montana di monte Leuci”.
Al caro amico Marchetti, uomo che ho sempre
stimato diversità a parte, dico che se qualche
improperio è trapelato nell’articolo incriminato ne faccio pubblica ammenda dichiarandomi
anche pronto a riscriverlo, con le dovute correzioni, semplicemente perché non posso non
condividere con lui che i toni adoperati, anche
in questo caso, valgon molto più delle parole
scritte.
Ma a Giacomo D’Aversa, che non me ne vorrà
se abbiamo modificato per ragioni di spazio la
sua missiva che conteneva elenchi interminabili di opere compiute dal Bergamaschi e
da Coccarelli, mi sento di contestare due cose:
la prima, il tono. Il termine “giornalino” forse
si addice molto più a certa stampa che solitamente viene prodotta in ambiti molto limitati
che non siano quelli di un intero paese e che
non oltrepassino i suoi stessi confini. Il tono è
dispregiativo in questo caso e non lo posso
accettare se non giustificandolo con
l’atteggiamento tipico di chi tende a sminuire
il valore di ciò che si vorrebbe e purtroppo non
gli appartiene. Non lo accetto, a maggior
ragione, perché questo “giornalino” vive dal
1961 grazie alle virtù, e alla cultura, di un
uomo che, purtroppo come tanti, non è più tra
noi e sopravvive oggi per l’impegno da me
assunto davanti a Dio di lasciarlo alla città di
Pontecorvo tale quale Lui lo avrebbe voluto. E
questo “giornalino”, con tanto di iscrizione al
Tribunale e alla Federazione Nazionale della
Stampa, ha vissuto, vive e sopravvive senza
che mai il pubblico lo abbia minimamente
sostenuto, intendendo per pubblico il
Comune, la pro-loco o quant’altro, e anche di
questo ogni concittadino dovrebbe andarne
fiero.
La seconda contestazione che muovo al Signor
D’Aversa è di aver adoperato il modo sbagliato per contrapporsi all’analisi compiuta da
Angelo Nicosia, pur meritevole di qualche
critica. Nessuno nega, e nemmeno lo potrebbe
di fronte all’evidenza, che tutte le opere
pazientemente elencate nella lettera pervenuta in redazione siano state il frutto dell’attività
amministrativa di Bergamaschi come del sindaco Manfredo Coccarelli, del quale ero tra
l’altro amico oltre che vicino di casa. Ma,
attenzione, l’averle compiute rientra, né più e
né meno, in quelli che sono i doveri minimi, i
più elementari e basilari di un amministratore, sono questi i suoi compiti, e nessuno ha
da ringraziarli. L’unico ringraziamento dovuto
in questi casi deve andare a se stessi qualora si
reputi di aver votato e prescelto la persona
giusta. Quindi il terreno qui diventa sdrucciolevole, perché un paese non vive solo di
costruzioni e ristrutturazioni e poi rifacimenti, eccetera eccetera. La vita di un paese ha
bisogno si di questo, ma soprattutto di altro.
L’attenzione ai bisogni del commercio (e qui
Antonio Marchetti saprebbe dirci qualcosa),
l’apertura verso l’esterno per lo sviluppo economico e sociale, i punti di ritrovo, la cultura
della conservazione (Porta Santo Stefano non
ne è un buon esempio), di uno sviluppo
urbanistico equilibrato e ordinato. E’ di
questo che il paese e la gente hanno bisogno, a
Pontecorvo come altrove. Quindi, elenchi a
parte, chiedo venia anche a Giacomo D’Aversa
se i toni adottati da Nicosia sono stati
esagerati, ma vorrei sottolineare che essi sono
l’effetto della sua passione politica che conosciamo tutti, così come conosciamo altrettanto il suo alto valore di studioso di archeologia
e storiografia del territorio, il che non è poco.
Con un mondo di Auguri.
5
La terra dei
“campanili”
di FERNANDO RICCARDI
• La provincia di Frosinone, già dal punto di vista
storico e geografico, racchiude in sé una palese
contraddizione. Qualche legislatore poco attento
o, forse, troppo preoccupato di far quadrare le
cose dal suo particolare punto di vista, seppe riuscire nella non facile impresa di accorpare, in
quattro e quattr’otto, due territori assolutamente disomogenei. E così, come in un anonimo
puzzle, il comprensorio da sempre ‘papalino’ del
frusinate venne unito a quello ‘regnicolo’ del cassinate, del sorano e dell’alta Terra di Lavoro.
Questa artificiosa composizione continua,
ancora oggi, ad essere fonte di contraddizioni
inenarrabili. Avete mai comparato il dialetto che
si parla nel capoluogo ciociaro con quello del
cassinate e dintorni? Se non lo avete fatto, provateci. Sembrerà di essere proiettati, come per
incanto, nelle popolose periferie di Roma e di
Napoli, le metropoli alle quali quei territori
fanno ancora riferimento. Una provincia spaccata in due, dunque. Qualcuno, in verità già da
tempo, sta tentando di metterci una pezza ripristinando, di fatto, con la creazione di una
nuova circoscrizione amministrativa nel sud
della regione laziale, la situazione che vigeva
prima del 1927. Ma davvero non esistono punti
di contatto fra le due porzioni di territorio? A
prima vista sembrerebbe di no. Poi, però, gratta
gratta, qualcosa finisce per saltar fuori. E, di
certo, non è un elemento di cui andar fieri. La
Ciociaria propriamente detta e il comprensorio
più meridionale della provincia, infatti, hanno
un unico fattore in comune: la marginalità. Una
marginalità che, si badi bene, non è soltanto
economica, industriale, occupazionale, pur grave
e preoccupante, ma anche culturale, di costume,
sociale, politica e chi più ne ha più ne metta.
Volete degli esempi? Ne volete proprio uno che
ha fatto ridere a crepapelle? Da noi non si è in
grado nemmeno di eleggere miss Ciociaria. Dopo
ricorsi, controricorsi, interventi legali, querele,
pagine e pagine di giornali, non si conosce ancora il nome della leggiadra signorina che, qualche
tempo fa, avrebbe dovuto indossare l’ambita
fascia. O, meglio, il nome si conosce ma è contestato da tutti o quasi. Esempio lampante di una
disorganizzazione e di un pressappochismo che
si nota in tanti altri, e ben più pregnanti, settori.
Prendiamo la cultura che, pure, in loco, vanta
personaggi non certo disprezzabili. Ebbene nessuno, neanche coloro che pure sarebbero
preposti a farlo, si cura di tracciare un percorso
comune facendo risaltare grandemente le peculiarità più rilevanti. Avete pensato a quanti
premi letterari si organizzano in Provincia? Una
miriade e anche di più. Ognuno di essi, però, è
del tutto avulso dagli altri e, perciò, finisce per
avere una cassa di risonanza, tutto sommato,
modesta. Gli stessi enti preposti a gestire gli
affari culturali niente fanno per sopperire a questa negatività. E così, in base ad una equa spartizione dei pani e dei pesci, si finisce per attribuire
lo stesso, risibile contributo al convegno storicofilosofico su San Tommaso d’Aquino e alla sagra
degli gnocchi di Acquafondata. Dove le due
manifestazioni appena citate vogliono essere
solo un canonico esempio e niente di più. La
classica, stantia politica di accontentare tutti per
scontentare tutti. E, proseguendo in questa direzione, gli esempi si potrebbero moltiplicare
all’infinito. Una terra antica, bella, bellissima,
con inestimabili tesori storici, artistici, paesaggistici ma oppressa dai particolarismi, dagli egoismi o, come diceva qualcuno, dal ‘tripudio dei
campanili’, dove ognuno si affatica per innalzare
sempre di più la sua torre, magari a scapito di
quella del vicino. Di questo passo non si andrà
molto lontano. Neanche realizzando una nuova
provincia. Si otterrebbe, infatti, il solo risultato
di dar vita a due piccole, infinitesimali creature
che avrebbero, sempre e comunque, grossi e
spesso irrisolvibili problemi di crescita e di
sviluppo. Marginalità e particolarismo, due elementi che pesano come macigni sulla nostra
realtà mai così derelitta come in questo travagliato inizio di nuovo millennio. Esiste la ricetta
per venirne fuori? Chissà… Il cammino è lungo,
sinuoso, irto di ostacoli ma non impossibile da
percorrere. E se iniziassimo, prima di ogni altra
cosa, a mettere da parte l’egoismo? Potrebbe
essere il primo passo verso la rinascita.
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Tentativo di traduzione
di un antico ritornello
pontecorvese
di VINCENZO PIACENTE
• Esiste nella tradizione popolare della nostra
città una filastrocca o ritornello, o come altro
voglia chiamarsi, che i ragazzi di non molte generazioni fa recitavano associandolo a un gioco
delle mani, e che molti della mia età certo ricordano di averlo praticato nelle sere d’inverno,
quando si stava raccolti intorno al focolare.
Bernardino Pulcini in “PONTECORVESITÀ”,
Formia 1999, pag. 327, lo ha raccontato in questo modo:
“Ecco un’altra filastrocca – gioco invernale di cui
nessuno ricorda il significato. I bambini poggiano sulle ginocchia dell’adulto o su un tavolo le
mani a palme in giù a catena con pollici e mignoli che si toccano. Il capogioco comincia la filastrocca; quando finisce, il fortunato diminuisce
di un dito. Chi esce fuori per primo comanda le
penitenze che vanno eseguite senza discussione.
Trinz Trinz Carica rinz Noc stoc ggesummì
I ddgieci soc. (intraducibile)…”
Una versione pressoché identica alla precedente,
e che vi differisce solo nell’ultimo verso rendendola apparentemente meno ermetica e intraducibile, è ugualmente attestata dalla tradizione
popolare, ed è la seguente:
trins trins (o trinz trinz) carica rins (o rinz)
noc stoc Iesu mi (o ggesummì) i Dei i son.
Ricordo che il gioco poteva essere eseguito anche
con questa variante:
si disponevano una o più mani a dita divaricate
su un tavolo o su una sedia e ciascun concorren-
te, a turno, batteva gli spazi tra le dita così disposte con l’indice della propria mano, accompagnando quei rapidi gesti con la recita del ritornello. Perdeva il gioco chi, invece di colpire gli
spazi tra le dita, colpisse una delle dita stesse.
Tuttavia, in questa versione del gioco come nell’altra su citata, non diverso era il battere ritmico
del dito del concorrente sulle dita o tra le dita
delle mani disposte a palme in giù: nel primo
caso per individuare di volta in volta il dito da
diminuire, sul quale cadeva l’ultima parola del
ritornello, e nel secondo caso per colpire con
destrezza gli spazi tra un dito e l’altro.
Trattandosi di un gioco da eseguirsi in forma
meccanica e stereotipa, il ritornello che lo
accompagna ha attraversato immutato i secoli e
ci dà oggi una qualche testimonianza della lingua
parlata dai nostri progenitori.
Non occorre molto acume per comprendere che
il ritornello contiene parole latine, alcune in
forma classica e altre in forma corrotta e popolare. I singoli elementi linguistici di cui è costituito
possono analizzarsi nel modo che segue, distinguendo quelli certi da quelli ipotetici:
- trins, ripetuto due volte, si percepisce come
una voce ritmica che scandisce il movimento del
gioco. Ma potrebbe essere qualcosa di più di un
suono ritmato, forse una voce da assimilarsi al
motto dialettale “trince trince”, usato spesso per
ammonire o redarguire qualcuno, in ispecie un
bambino, col dirgli “te faccie trince trince”, e
cioè: “ti batto a dovere, te le do di santa ragione,
ti faccio a pezzetti” e simili. Se così è, trins o
trince formerebbero una sola voce popolare dal
Il Risorgimento dell’illusione
di PIERA FILIPPI
• Agostino è un operaio, modesto, con una famiglia affettuosa e uno stipendio inadeguato. Dopo
lunga attesa riesce a prendere in affitto una casa,
in un palazzone nella periferia romana dove si
trasferisce con tutta la famiglia: moglie, due figli
e il nonno. Una mattina escono tutti di casa, in
occasione della prima comunione del bambino;
al loro ritorno, la casa è occupata da altre persone. Si accampano sul pianerottolo. Agostino
cerca una soluzione legale, presso i carabinieri:
non ha un contratto, la casa non appartiene
nemmeno a quell’uomo che lui credeva esserne il
proprietario. Le poche certezze di Agostino
vacillano in una società che non assicura né lavoro né casa ai cittadini. Agostino, a quarant’anni,
vorrebbe aver realizzato una parte dei suoi progetti, seppure semplici, vorrebbe poter assicurare un futuro a sé, alla sua famiglia, non continuare a sentirsi precario e inadeguato. Agostino
è il protagonista, amareggiato e disincantato ma,
nello stesso tempo, ironico e capace di illudersi,
di uno spettacolo già visto.
Uno spettacolo che Pier Paolo Pasolini aveva già
descritto e raccontato, quarant’anni fa come in
una profezia, nel suo scritto “Porcile”, il signifi-
cato e la morale paiono riferirsi esattamente ai
nostri giorni, ai fatti che inquietano e scuotono la
società attuale e la coscienza civile. Un “porcile”
rappresenta la società organizzata, che tende fortemente a distruggere i propri figli ribelli o indifferenti che non vogliono accettare l’ordine costituito, che vogliono pensare e porsi domande.
Julian, il protagonista, rampollo dell’alta società
tedesca, rifiuta i suoi genitori, personificazione
del potere economico, l’amore, la borghesia formale e festosa, reagisce all’abbraccio, o meglio al
vincolo, alle catene di un impero economico asociale, rifugiandosi nelle stalle e lasciandosi dilaniare dai maiali in un gesto suicida e rituale, un
gesto tragico e magico insieme. Il nichilismo che
prepara il risorgimento, il “risorgimento dell’anima” che Leopardi tanto desiderava dopo
l’esperienza di profonda indagine sull’uomo,
sulla natura, sulla morte nelle “Operette Morali”.
Ma in una società che non si ferma ad indagare,
che è invasa dall’apparenza, dalla corruzione,
che respinge i diversi e le diversità, che produce
diseguaglianze, che non assicura diritti civili né
istruzione né cultura, sarà mai possibile un risorgimento?
6
verbo tardo latino “trenco trencare”, che significa appunto “battere con le mani”, “fare a pezzi”,
“colpire intensamente”, “trinciare”. È assai meno
probabile, come pure si è suggerito, che trins
possa collegarsi al verbo “transeo transire”, dal
quale deriva invece il nostro “trase trasite”, con
la caduta del fonema oro – nasale che è frequente nel passaggio dal latino al “sermo rusticus”
alto medievale;
carica rins fa corpo con l’espressione precedente, ma qui il verbo carica, che è voce significativa e non una semplice sonorità di ritmo,
sembra suggerire un implicito invito a insistere,
a proseguire speditamente e con risolutezza nell’azione intrapresa.
Si può ora passare agli elementi certi:
- NOC è la forma sincopata dal latino NON
HOC e significa “non questo”.
Ricordo in proposito il largo uso che le nascenti
lingue romanze fanno del dimostrativo latino
HOC, in particolare per affermare o negare. Nel
provenzale antico o Lingua d’oc il sì affermativo
è reso con HOC EST, questo è, abbreviato dai
parlanti in OC;
- STOC è il pronome dimostrativo latino neutro
ISTOC, forma sincopata di iste hoc, e sta per
“questo qua”, “codesto”, “quest’altro”;
- IESU MI, o ggesummì, è un vocativo della
seconda declinazione latina. Il “mi” vocativo è
forma classica e ricorre nella nota espressione
“fili mi”, figlio mio!;
- i,i… è l’imperativo del verbo “eo ire” e significa
va’, vai. È stato usato dai nostri contadini fino ad
epoca recentissima negli ordini che impartivano
al cavallo aggiogato al calesse;
- Dei è il genitivo di Deus e son (o) è il dativo di
sonus soni, sempre della seconda declinazione
dei nomi. Provo ora a tradurre.
Mentre il dito di una mano batte rapidamente
sulle dita o tra le dita di altre mani, si pronunciano queste parole, che danno il senso presunto dei
primi due versi e la traduzione dei restanti:
“batti batti batti forte, non questo, quest’altro o Gesù mio!, vai vai al suono di Dio”.
Il significato dei termini latini sopra elencati e il
senso generale del gioco a cui si riferiscono inclinano a ritenere che il ritornello possa tradursi nel
modo che si è detto. Resta inteso che
sarà utile il contributo di chi avesse ulteriori elementi di conoscenza o nuove ipotesi da proporre.
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
I diari della Colonia Montana
di Monte Leuci
...dal numero precedente
di ANGELO NICOSIA
• Per la migliore riuscita dell’impresa della
Colonia di monte Leuci fu mobilitata tutta la
struttura della federazione provinciale del partito, di cui il Bergamaschi era segretario, e le locali sezioni inviavano i bambini dai più svariati
paesi della provincia, Paliano, Fiuggi, Alatri,
Frosinone, Vallecorsa, Sora, Alvito, Cassino,
Viticuso, ecc. Con una lettera circolare (a firma
del “Fondatore”), inviata a tutte le sezioni, si specificava “che ogni bambino ammesso alla
Colonia, dovrà essere fornito: a) di una borsa
bianca, con il nome e cognome; b) uno spazzolino per denti; c) un paio di sandali; d) un pettine
fitto (per i maschietti), oppure un pettine fitto ed
uno largo (per le femmine)… i maschietti
dovranno presentarsi con i capelli rasati e le femmine con i capelli corti”. Inoltre le disposizioni
prevedevano che all’arrivo i bambini “dovranno
essere lavati e vestiti e poi condotti a mezzo di
una guardia in Colonia”. A tal fine la sarta I.
Panaccione aveva “confezionato all’inizio della
colonia, cento vestitini per i coloni”, oltre a 30
coperte e 16 grembiuli “per le assistenti e donne
di fatica”.
I bambini ammessi avevano un’età compresa tra
6 e 10 anni, e, come ricordava Bernardino
Pulcini nel suo libro, “la colonia era preclusa a
chi non fosse figlio di fascisti o di simpatizzanti
fascisti”. La loro permanenza era strutturata in
tre turni: I° turno 5 luglio/5 agosto, II° turno 5
agosto/5 settembre III° turno 5 settembre/5
ottobre; ma dopo il 1933 i turni cambiarono e si
ridussero a 2. Al primo turno del 1932 i bambini
furono 50; in seguito il numero di bambini per
turno oscillò tra i 42 e i 70.
A gennaio del 1933 furono completati anche gli
ultimi lavori nell’annessa chiesa: quella data
infatti si leggeva accanto al nome del pittore
Raffaele Solmonte che aveva eseguito le pitture
dell’abside (pitture purtroppo brutalmente eliminate nella recente ristrutturazione dell’edificio). Nel 1933 l’attività della colonia passò decisamente sotto il controllo monacale: direttrice
era suor Elena Iannucci (delle Adoratrici del
Preziosissimo Sangue) e le monache, ad esempio, si occupavano del pranzo per i bambini in
partenza a fine turno. Il 5 agosto di quello stesso
anno 30 bambini giunsero anche da Roma per il
secondo turno. Ma dall’anno successivo
l’attenzione e la presenza diretta del fondatore
Bergamaschi subirono un rallentamento a causa
dei suoi nuovi impegni a Roma.
Nel 1936 i bambini della colonia raccolsero i loro
“diari” su un quaderno. Si tratta ovviamente solo
dei pochi bambini e bambine “più capaci” di scrivere. La violenza psicologica della retorica esercitata dal regime e dal fondatore della colonia si
mescola alla tenerezza e alla ingenuità dei piccoli
autori. Ne riporto di seguito solo alcuni, lasciando inalterata la grafia originale e senza commenti (solo che sarebbe auspicabile evitare, oggi, di
denominare ancora gli edifici comunali di monte
Leuci con quel nome “privato”: certa storia è bene
conoscerla proprio per non ripeterla!).
Giorni fa Mentre giocavamo la Direttrice ci ha
chiamato e ha detto che la figlia di S.E. Benito
Mussolini stava gravemente. Di corsa siamo
andate tutti in chiesa e abbiamo pregato con
devozione. Tutte le sere prima di metterci a letto
inginocchiati sul lettino abbiamo pregato di
cuore il buon Gesù, e dopo ci mettevamo a dormire pensando al Duce e alla sua bambina.
Quando venne il sacerdote a dire la S. messa io
mi sono fatto apposta la comunione per la salute di Anna Maria e ho pregato molto in quel
momento e ho detto a Gesù: -Gesù fa guarire la
figlia del Duce perchè il Duce salva tanti bambini quando li manda alle colonie. Gesù salvala
proprio, il Duce non deve soffrire- Salvala Gesù
buono! Gesù l’ha aiutata e ora Anna Maria sta
bene. Signore Benedici il Duce e la sua famiglia.
Ambrifi C. piccola Italiana di Mussolini
Quest’anno sono ritornata in colonia, e ho trovato tante bellissime cose nuove che lo scorso
anno non c’erano. Io in colonia mi ci trovo bene
e tutto il giorno canto, rido, giuoco e mangio
con appetito. Mangio quel pane fresco, fresco
che odora come un biscotto ne mangio tanto e
me ne danno quanto ne voglio. A me piace la
vita della colonia; mi piace la ginnastica e specie gli esercizi respiratori mi piace di passeggiare per la montagna e di cogliere tanti fiori da
portare in chiesa e da mettere vicino al monumento della Sig.ra Clementina. Io in chiesa
prego tanto per il Duce Fondatore dell’Impero
che pensa e provvede per i bambini poveri e
prego per tutti i benefattori e dico Al Signore
che dia loro una lunga e buona vita. Monte
Leucio è una bellezza; ci sono le caprette, i conigli bianchi come la neve e se me ne regalassero
uno lo porterei pure a letto con me. Quei conigli
gli sto sempre a fissare e mi sembrano palle di
neve. Ne vorrei proprio uno! vi sono gli asinelli
i cavallucci e i bimbi si divertono. Un bambino
si è messo a cavallo e ha detto: -Io sono il Negus
che scappa!- E’ dovuto scappare davvero se no i
compagni l’ammazzavano. Quassù la giornata
scappa in un minuto e chi vuole la salute a
monte Leucio deve salir. Ambrifi E.
Il cappellano ci ha fatto vedere il cinematografo. C’era Charlot con certi piedi curiosi!
7
Faceva il cameriere e combinava tutte cose
buffe. Le figure uscivano da una macchina e
scappavano sul lenzuolo, ma io non le vedevo
quando uscivano da quella macchina e non
sapevo capire. Poi me l’ha spiegato la
Signorina. Io vorrei vedere sempre il cinematografo e vorrei avere una macchina per farlo da
me. Silvestri L. Balilla di Mussolini.
Domenica 26 siamo scesi a Pontecorvo. da una
settimana stavamo sognando questa passeggiata e la notte per la gioia non abbiamo neppure dormito. Di buon’ora ci siamo alzati e dopo
aver ascoltata la messa e fatto colazione abbiamo cominciato a scendere la montagna. Era
una giornata bellissima e tra canti e risate
siamo giunti subito a valle dove ci aspettava un
autobus che in pochi minuti ci ha portati in
paese. Là in squadra, al rullo dei tamburri e al
suono della tromba abbiamo cominciato a sfilare per recarci al monumento. I tamburrini e i
moschettieri marciavano come soldati. Come
erano belli! Tutti gli ammiravano e loro camminavano fieri e impettiti come militi. Per le vie
cantavano e la gente si affacciava alle finestre
per vederci. Arrivati alla lapide dei caduti con
una bella cerimonia abbiamo deposto la corona
e siamo andati sul municipio dove ci hanno dato
i dolci che abbiamo mangiato con grande gioia.
Dopo esserci fatta la fotografia ci siamo avviati
verso il cimitero per rendere omaggio alla
tomba della Sig. Clementina la buona mamma
del Fondatore. Al cimitero abbiamo pregato
tanto e qualcuno ha pure pianto. Abbiamo fatto
l’appello: -Clementina Bergamaschi- e tutti i
coloniali con voce alta abbiamo risposto: Presente- e poi siamo stati un momento in silenzio. Ed io pensavo a quella buona Signora e
dicevo: Non la dimenticherò mai, sarà sempre
ricordata nelle mie preghiere. Dopo siamo andati
alla villa del Fondatore e ci hanno dati i biscotti ed
io ho visto pure l’ultimo bimbo dell’Onorevole era un
lupetto proprio bello. Siamo quindi andati alla colonia Fluviale per farci il bagno. Abbiamo attraversato
il fiume sul barcone, come era bello! Io avevo un po’
di paura però mi piaceva.
In quella colonia c’erano tanti bambini ma non erano
svelti come noi. Ci siamo fatto il bagno e nell’acqua
abbiamo sguazzato come pesci. Poi siamo andati
dalle suore a S. Biagio a mangiare e a riposare. Verso
le cinque sempre inquadrati abbiamo ripreso la via
del ritorno. E’stata una giornata piena di divertimento ed io non la dimenticherò. W IL DUCE che fa
divertire i bambini. Ceccarelli L. Piccola Italiana di
B. Mussolini.
Dopo cinque giorni dall’arrivo furono scelti sei
moschettieri i più bravi fra i quali sono anche io.
Sono fiero di essere capo squadra dei moschettieri.
Prendere il moschetto, comandare non mi sembrava
vero non vedevo l’ora. Vorrei proprio che mi vedessero i miei marciare così fiero testa alta, dritto, mi sembra di essere un vero soldatino, cintolone a tracollo,
baionetta al fianco, moschetto alla spalla. Chissà
quando sarò grande che sarò soldato di Mussolini la
gioia di andare in guerra per difendere la Patria se
essa mi chiama. Io gia so fare molte cose, innestare
la baionetta fare il presenta armi e marciare, svelto e
pronto, come il Duce vuole. DUCE A NOI! W IL RE
IMPERATORE! W IL DUCE
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
8
Aquino
All’insegna di San Tommaso
I pacchi a scuola
come ad Affari tuoi
Tra borgo e
castello
• Tre regali sotto l’albero per gli studenti delle scuole medie. Il quarto è atteso per l’anno prossimo.
Il primo, importante non solo per l’apparenza
ma soprattutto per il decoro che l’istituzione scolastica rappresenta, è in consegna in questi giorni: aule tinteggiate come nuove. Di questi tempi,
un vero presente natalizio.
Il secondo, per gli studenti meritevoli e per coloro che i genitori hanno ritenuto opportuno,
l’avvicinarsi sempre di più alla fatidica data, fissata per la fine di gennaio, per la settimana di
sport e cultura sulla neve.
Il terzo, di portata ancora maggiore, la conclusione di un progetto: “Taglia corto con la droga”
che metterà, nella sua ultima fase, i ragazzi alle
prese con la realizzazione di un cortometraggio
da organizzare in orario aggiuntivo.
Tre regali dal sapore diverso.
Già dallo scorso anno gli enti preposti avevano
dato avvio all’opera di ripulitura delle aule delle
scuole, non completando tuttavia tutto il lavoro.
Quest’anno dalla fine del mese di novembre è in
corso la seconda tranche di appalto. Tra innovazioni riguardanti il settore istruzione, problemi
di sicurezza nelle scuole, scioperi e dibattiti a
tema, la pulizia dei muri, dei bagni e dei corridoi
mette d’accordo proprio tutti: dagli studenti ai
collaboratori, dai dirigenti ai professori, ai genitori. Ancora purtroppo c’è molto da fare per rendere più funzionali le sedi scolastiche, gli studenti delle medie San Tommaso lamentano la mancanza di una vera palestra, ad esempio. Ma qualcosa si muove. E non è poco.
C’è poi il secondo regalo, quello più atteso, più
desiderato. Chi, nella propria carriera scolastica,
non ha desiderato di partecipare ad una gita
sulla neve di più giorni, dove l’imperativo categorico fosse imparare a sciare e stare insieme
con i compagni? Per cinque giorni lo studio viene
affrontato in modo diverso. Ad essere al centro
del processo educativo non è infatti
l’apprendimento “vis a vis”, quello dal significato
più tradizionale, ma il saper essere autonomo,
lontano da casa; il saper rispettare gli orari, il
saper ascoltare gli accompagnatori, il saper recepire e, magari con (legittime) difficoltà, il saper
mettere in pratica le indicazioni del maestro di
sci. Una settimana sulla neve per un ragazzo
delle scuole medie rappresenta dunque una
grande occasione, culturale e sociale.
Rappresenta un’opportunità in più per crescere
• Sabato 13 dicembre si è svolta la “Giornata per
la valorizzazione del Borgo e del Castello di San
Tommaso”. Una manifestazione organizzata
dall’Amministrazione comunale in collaborazione con i giovani dell’Associazione COSMOS.
Intorno alla grande Torre, tra la Piazzetta dei
Conti di Aquino e la Via San Costanzo, tra i
numerosi stand, gli aquinati e i numerosi ospiti
dei paesi vicini hanno trascorso il pomeriggio e
la serata, fortunosamente graziati dalla pioggia,
girovagando nei vicoletti e nelle vecchie “cantine” aperte per l’occasione. Musica popolare, tradizioni, piatti tipici, mercatini di Natale, il Falò
di San Tommaso, il momento culturale e le “Alici
di San Tommaso” ne sono stati il corollario.
Nell’affascinante salone del Palazzo dei Conti di
Aquino-Casa di San Tommaso il “momento culturale” è stato contrassegnato dalla presentazione del bellissimo volume degli “Atti della
Giornata di Studio ‘Spigolature Aquinati’”, che si
era tenuta nello stesso luogo il 17 maggio 2007; a
tutti i presenti è stata offerta una copia del libro.
Aspettiamo, quindi, la manifestazione del prossimo anno, con nuove sorprese, per tenere sempre vivo il ricordo del “Borgo e del Castello” che
nel secolo XIII veniva illuminato dalla presenza
del “Dottore Angelico” San Tommaso d’Aquino.
di STEFANIA TURCHETTA
e, perché no, per contribuire a completare quell’album, fatto di immagini indelebili, che sono i
ricordi che ciascuno, da studente, ha del proprio
percorso scolastico. Un album le cui immagini,
nel tempo, diventano bellissime epifanie di
un’adolescenza che non tornerà più.
Il terzo regalo è quello più lungimirante: la possibilità offerta ad ogni studente delle classi terze
di conoscere un po’ meglio il problema della
dipendenza dalle sostanze stupefacenti, così da
poter dire un giorno “no, grazie”. E’ il progetto
più ambizioso, perché purtroppo, tra tanti studenti eccellenti, fuoriclasse, outsider o anche
mediocri c’è sempre una percentuale che non ce
la fa. Che per un insieme articolato di motivazioni entra nel vortice senza uscita delle tossicodipendenze. Allora ben venga la possibilità offerta
alla scuola di aprire una finestra su una delle più
difficili problematiche dell’adolescenza, così da
integrare le conoscenze scolastiche. A gennaio è
prevista la fase conclusiva del progetto iniziato
ad ottobre.
L’anno prossimo, sotto l’albero però servirebbe
un quarto regalo. Chi è preposto al ramo, nell’albero dei politici, può e, si potrebbe azzardare,
deve impegnarsi per farlo: proporre un percorso
per gli studenti in cui al centro venga posta la
sicurezza sulla strada. A tredici anni gli adolescenti si trovano nell’anticamera della prima
conquista: il motorino, lo scooter o le mini car.
Perché allora non provare da subito a formare
una nuova generazione in cui il valore più alto sia
quello della vita, dell’amore per se stessi, e non
quello della velocità? Sulla strada, tranne che in
formula uno, il più bravo è quello che arriva a
destinazione. La competizione, quella sana, è per
ottenere un meritato 10, per conseguire la laurea
con lode, per trovare un’occupazione. Si tratta di
un progettino, niente più. Per i politici si contempla di una proposta e una delibera, che nessuno si guarderebbe dal criticare in sede di
approvazione. Un progettino che ha una valenza
enorme perché potrebbe contribuire a formare
una nuova classe: quella dei prudenti. Dante,
senza troppi indugi, li ha inseriti nel paradiso, al
13° canto. La prudenza non era quella in questione, ma quella nel parlare. Significa comunque
che la prudenza viene considerata, da sempre,
una virtù importante. Un valore da promuovere.
Appuntamento dunque all’anno prossimo, con il
quarto pacco.
LALUCERNA
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NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Crisi del commercio
la ricetta per un rimedio
• E’ appena nata l’ACAP, l’associazione dei commercianti e degli artigiani di Pontecorvo, e già
comincia a far sentire la sua presenza nel tentativo di ottenere dall’unione coesa di tutti gli associati una auspicabile ripresa del settore nella
nostra città.
L’ACAP si è infatti costituita nel giugno di
quest’anno e ha preso ad operare, di fatto, solo al
termine delle vacanze estive e quindi tra settembre ed ottobre, ma conta già più 100 aderenti
iscritti facendosi promotrice di una prima iniziativa battezzata ”Christmas shopping”.
Nonostante la crisi, quest’ultima ha assunto tutte
le caratteristiche di una vera e propria promozione, voluta e concordata da 93 esercizi commerciali del paese, e che si è svolta nella settimana dal 7 al 14 dicembre per incentivare le
spese natalizie all’interno delle mura. L’iniziativa
si sarebbe poi conclusa con una simpatica gior-
“Satira e antisatira”
Cafoneria
e nobiltà
ovvero cafoni nobili
e nobili cafoni
nata attraverso l’Arte i Sapori e la Tradizioni: una
passeggiata tra banchetti dell’artigianato locale
in abbinamento a degustazioni di prodotti tipici
che, lungo il Viale di Porta Pia, avrebbe condotto
fino al Belvedere invogliando così i visitatori a
soffermarsi per portare a termine i loro acquisti.
Non a caso abbiamo usato il condizionale perché, a causa delle avverse condizioni meteorologiche, quest’ultima iniziativa è stata invece
sospesa per non rischiare di finire in un flop.
“Non si poteva giocare al buio come in una partita di poker - commenta il presidente di ACAP
Antonio Marchetti - era questa la prima occasione
per portare alla luce la volontà della nostra
Associazione di ottenere successo da ogni iniziativa e il rischio che avvenisse il contrario era troppo
grosso viste le piogge torrenziali che si sono riversate sul nostro territorio in questi ultimi tempi. Ci
siamo quindi riservati di riproporre questo incon-
tro in data da stabilirsi fermo restando che è nostra intenzione fare in modo che esso diventi un
appuntamento costante con la cittadinanza per
invogliarla agli acquisti ed a preferire i nostri
negozi piuttosto che quelli fuori porta”.
Beh non è poco, diremmo noi, vista la mancanza
di iniziative pubbliche almeno i privati e gli
imprenditori cercano di organizzarsi dando non
solo risposte ferme alla recessione in atto ma,
addirittura, facendo promozione e rilanciando
quindi i prodotti locali. Certo è pur vero che,
prima di spendere inopinatamente una manciata di euro, ci sarà da fare i conti con i nostri
stipendi, con le pensioni e poi con le tasse, i
mutui e le bollette da pagare, ma la ricetta ci pare
buona, se non altro perché propone di riqualificare e rilanciare l’ambito commerciale cittadino.
Auguri all’ACAP e ai nostri commercianti.
F.BIS.
dai superstiti dell’antica e indomita Fregellae
avvalora questa tesi. I primi abitanti del “pagus”,
che pur dovevano sopravvivere, a cosa potevano
dedicarsi se non a pescare nel Liri e a coltivare i
terreni sul declivio del colle Civita?
Beh, qualcuno potrebbe obiettare (mon Dieu!)
che gli studiosi del passato locale avevano sottolineato, vuoi per rigoroso studio delle fonti, vuoi
per giustificare la presenza di una classe di maggiorenti “ab immemorabile”, la presenza di
“cives” e “rustici”.
La cosa ci sta tutta e fino a quando è circoscritta
per esaltare le glorie patrie la condividiamo, ma
a patto che una vanità generale non diventi vanagloria “famigliare“!
nella vita civile. I nobili erano l’esatto contrario.
Tale precisazione è rivolta a taluni che, forti dell’assenza di documenti d’archivio, si attribuiscono origini fantastiche che sfiorano il ridicolo,
patronati su cappelle, santi e madonne, e che
hanno stemmi che sembrano croste di fine ottocento, dimenticando (in realtà non lo sanno) che
più uno stemma è povero di simboli più antica è
la Famiglia. Fottuti, quindi, dalla loro stessa
becera arroganza, o ignoranza. Nobili in
Pontecorvo per titolo affisso al cognome erano
soltanto gli Aloisi Masella (conti) e i Lucernari
(nobili e conti per possesso di feudi).
Speriamo di aver contribuito, “ingenui lectores”,
con queste nostre oziose divagazioni, alla crescita civile della nostra e di altre comunità simili,
forti del motto “Rustica progenies sempre villana”. A buon inteditor….
di MASSIMILIANO MAGLIONE
• Giorni fa ci è capitato di assistere involontariamente a una discussione tra amici… Nostro malgrado, abbiamo notato che ancora persistono
forme e modi di dire che dovrebbero far parte di
quella storia che magari non va dimenticata ma
comunque superata. Ci riferiamo, per essere
chiari, al termine “cafone”, utilizzato non per
indicare un modo di porsi nei confronti del prossimo, uno stile di vita poco civile, ma uno status
sociale. Cafone, dunque, è colui che si dedica e
vive di agricoltura. La parola, infatti, nella sua
etimologia (ca’ fune: ad indicare che con la fune
si usava condurre il bestiame nelle fiere del
cosiddetto campo boario) indica proprio quello,
ma l’uso dispregiativo che ancora se ne fa, che è
deplorevole.
Chi ha studiato (nel senso che si sforza di capire
con l’intenzione di progredire intellettualmente)
sa bene che il ciociaro, e in particolare il pontecorvese, nasce “rusticus”.
La leggenda, che consideriamo degna di rispetto,
non foss’altro perché sono duemila anni che si
racconta in città, che vuole Pontecorvo fondata
Nella foto: “Il Contratto” di William Hogarth.
Questo comunque non deve portarci lontano
dalla sostanza che è sempre la stessa mentre
quella che cambia è soltanto la forma.
Le famiglie dei cosiddetti notabili in realtà altro
non erano che subaffittuarie di altre famiglie
potentissime (penso all’appalto del tabacco,
punta di diamante della nostra economia).
Perfino la famiglia Lucernari deve gli inizi delle
proprie fortune ai subappalti!
Abbiamo detto poc’anzi notabili e non nobili.
Notabili erano coloro che, per censo, conducevano vita agiata, senza per questo aver avuto mai il
riconoscimento della loro condizione da re o
papi o grandi principi e, cosa più importante,
senza aver condotto imprese o essersi distinti
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Charlot e l’Imperatore
Ovvero: i poveri e l’ottimismo
di IGOR PULCINI
• Stanotte ho sognato Charlot, anzi ho sognato
Charlie Chaplin che mi indicava Charlot dall’alto
di un cumulo di macerie, ai bordi di una città
fumosa e maleodorante. Charlot, di spalle, camminava mano nella mano col suo monello,
immerso nella luce algida di una mattinata luminosa, la strada dritta come un giavellotto
s’infiggeva nelle costole della montagna che contendeva all’orizzonte l’aura azzurrina della
distanza. Molte montagne ancora da scavalcare
per il povero Charlot, con la sua aria un po’ ingenua, ma solo un po’, ché i poveri per sopravvivere necessitano di una qualche attitudine all’astuzia. Bisogna saper improvvisare sul momento,
essere rapidi nell’afferrare qualcosa da mangiare, procurarsi un letto al dormitorio, sfuggire al
poliziotto di turno, perché i poveri hanno sempre
qualcosa da temere dai poliziotti. Ma Charlot è
Charlot, tutto questo lo fà con la grazia e
l’innocenza di un bambino. E’ capace di sognare
Charlot, e sogna quello che tutti i sognatori
sognano, un mondo felice. E’ capace di innamorarsi Charlot e quando si innamora è amore vero,
appassionato, definitivo come una condanna,
ineluttabile come il destino. E’ bello Charlot, perfino elegante con il cravattino la bombetta e il
bastone, con la sua andatura un po’ dandy un po’
strana e traballante, bisogna pur far ridere. E’ un
povero perfetto Charlot, uno di quei poveri che fa
piacere avere accoccolato sulla soglia del portone
sotto casa, è un povero innocuo, non puzza, è
educato e quando riesce a mangiare mastica
sempre con la bocca chiusa. E’ un povero che
piace sia ai ricchi, che si sentono rassicurati dalla
loro ricchezza, che ai poveri, perché è fatto di
celluloide per farci sognare, ridere, qualche volta
piangere, fabbricato ad arte da quell’officina dei
sogni che è il cinematografo. Questo mi indica
Chaplin dall’alto delle macerie, sembra volermi
dire che ha preso un uomo, gli ha tolto tutto
tranne i sogni e lo ha messo lì sotto il sole e la
macchina da presa a ricordarci chi siamo.
Stanotte ho sognato un imperatore, uno di quei
tristi figuri che ogni tanto la storia ci regala,
basso di statura come Napoleone, la “crapa pelada” come Mussolini (canzoncina di Gorni Kramer - Crapa Pelada la fa i turtej no ghé dà minga
ai soi fratej, i soi fratej fan la fritada no ghé dà
minga a Crapa Pelada - la trovate qui:
http://it.youtube.com/watch?v=2tUF5a1pD_)
talmente pelato che si è fatto asfaltare la testa
con i capelli di qualcun altro, chi sarà il donatore
dei capelli dell’Imperatore? La questione è ancora aperta. L’imperatore è dotato di superpoteri,
soprattutto è in grado di ipnotizzare moltitudini
di sudditi semplicemente parlando del nulla, e i
sudditi ricambiano con ovazioni e consensi e gli
dicono “Bravo!” come nel Nerone di Ettore
Petrolini (“Lo vedi? Quando il popolo s’abitua a
ditte che sei bravo pure se nun fai gnente sei
sempre bravo” - lo trovate qui: http://it.
youtube.com/watch?v=oy7rgG-v_8E). Si circonda di nani e ballerine, la sua corte è costantemente in festa, lui e tutti i cortigiani hanno un
sorriso di plastica sempre incollato sul volto,
amano il denaro, unica vera ragione della loro
esistenza, detestano i negri, gli zingari, gli omo-
sessuali, i poveri e i diversi di qualsiasi specie.
L’Imperatore è riuscito a mantenere in vita qualche oppositore, si sospetta l’accanimento terapeutico, fa shic avere un po’ di opposizione, e poi
volete mettere il sottile piacere di seviziarla come
i bambini fanno con le lucertole? Tuttavia si tratta di oppositori che riescono talmente bene a litigare fra loro che non costituiscono alcun reale
pericolo per l’Imperatore, inoltre la loro unica
segreta speranza sembra essere quella di diventare a loro volta Imperatori, e infatti adottano lo
stesso linguaggio, il loro capo parla americano
(america’ facce Tarzan! – lo trovate qui:
http://it.youtube.com/watch?v=UWHV2tcdwQ) e si dice creda di aver vinto le elezioni americane, i suoi glielo lasciano credere lui è contento e loro possono continuare indisturbati a darsi
le ditate negli occhi, unica ragione della loro esistenza. In questa situazione i sudditi si impoveriscono sempre di più, tra la Corte che gozzoviglia
e si fa i fatti suoi e gli oppositori che si baloccano
fra loro, nessuno sta lì a decidere qualcosa di una
qualche utilità per il paese. Così l’Imperatore con
un colpo di genio sfodera il più potente dei suoi
superpoteri: la sparizione. Già si era allenato con
alcuni cumuli di immondizie fatti mirabilmente
sparire da un giorno all’altro con uno schiocco
delle dita, ora doveva far sparire la povertà.
10
E dunque giù di ipnosi collettiva, di appelli all’ottimismo, di barzellette sceme sciorinate con
disinvoltura ad ogni occasione, di scherzetti stupidi ai ministri di altri paesi. Stiamo allegri!
Tutto va bene! Spendete! Comprate! Ma cos’è
questa crisi! (canzoncina che Rodolfo de Angelis
cantava nel 1933, in pieno fascismo! “ Ma cos’è
questa crisi para para pappa rapappa ppa”, la
trovate qui: http://it.youtube.com/watch?v=
A6lbIIQjIsU). Gli scienziati, che per l’occasione
ricevettero un finanziamento straordinario dato
che gli erano stati tagliati tutti i fondi per la ricerca, misero a punto un sistema di teletrasporto
del sorriso. Avvenne dunque il miracolo, tutti ma
proprio tutti cominciarono a sorridere, dello
stesso sorriso sintetico dell’Imperatore. Il regno
era stato liberato dal pessimismo e dalla povertà,
era stato decontaminato, sterilizzato, deodorato,
evirato, inebetito per sempre.
Stanotte ho sognato tre poveri. Due di loro in
realtà lavorano, uno è insegnante e guadagna
1300 euro al mese, ha moglie e due figli a carico,
paga 900 euro di mutuo per la casa, le banche
gliel’hanno aumentato a tradimento, e con il
resto riesce a stento a sopravvivere. L’altro è un
giovane, ammesso che si possa ancora essere
considerati giovani a 35 anni, lavora in un call
center con un contratto a progetto, prende 450
euro al mese e non potrebbe sopravvivere se non
alle spalle della vecchia madre pensionata, in
una casa in affitto che prosciuga metà delle già
scarse risorse familiari. Il terzo infine non ha
niente, ha perso il lavoro, la casa, la moglie se n’è
andata col figlio di un miliardario. Lui vive per
strada, riesce ancora a mantenere un certo decoro con l’ultimo vestito logoro e sdrucito per le
notti passate all’aperto sotto i cartoni. Mi guarda
con un sorriso ironico e intelligente, canticchia
una canzoncina: “…sempre allegri bisogna stare
ché il nostro piangere fa male al Re, fa male al
ricco e al Cardinale, diventan tristi se noi piangiam…” la trovate qui:http://it.youtube.com/
watch?v=J2MzOygu4ao.
LALUCERNA
Cuore
stringe
S
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
lo scaffale
di ELISA CANETRI
11
Opera prima di Antonella Mollicone
• Il 5 gennaio 2009 alle ore 17.00 presso il Salone
di Rappresentanza dell’Ente Provincia di
Frosinone (piazza Gramsci 13) sarà presentato il
romanzo di Antonella Mollicone dal titolo Cuore
Stringe, Edizioni Libreria Croce, Roma 2008
(prezzo di copertina € 15,00).
La presentazione ha il patrocinio della Provincia
di Frosinone, del Comune di Rocca D’Arce e del
Comune di Arce.
Elisa Canetri illustrerà la struttura del romanzo e
introdurrà i vari interventi: della Dott.ssa
Silvana Pedrini per le Edizioni Croce; della
Prof.ssa Marcella Delle Donne (Ordinario di
Sociologia delle Relazioni Etniche presso
l’Università di Roma “La Sapienza” e tuttora
impegnata nell’allestimento del Museo Demoetno-antropologico di Pontecorvo, in località
Sant’Oliva, che sarà presto inaugurato), che fornirà la chiave di lettura per gli aspetti etnoantropologici della storia narrata e del suo multiforme ambiente (Roccadarce, Arce, ma anche
en passant Aquino, Pontecorvo, etc.); del Prof.
Luigi Gulia (Preside del Liceo Scientifico
“Leonardo da Vinci” di Sora), il quale tratterà gli
aspetti della espressione linguistica, dai tratti
originali e concreti. L’attore Daniele Valmaggi
darà voce ad alcuni brani tratti dal romanzo.
Sarà presente anche l’artista Claudia Chianucci,
alla quale si deve la creazione dell’immagine di
copertina, che esprime figurativamente l’essenza
del romanzo: il lungo e tortuoso percorso della
storia e la sua trasmissione da madre a figlio.
L’autrice del romanzo, Antonella Mollicone, è
nata a Sora, è cresciuta a Roccadarce e vive ad
bastaaprire
un libro
Arce, tra le colline del Lazio Meridionale.
Laureata in Lettere Classiche, si è specializzata
in Archeologia Cristiana e si è impegnata in varie
collaborazioni con Enti ed Istituti. Ha partecipato a scavi archeologici, anche nel Lazio
Meridionale. È tuttora direttrice artistica del
“Labirinto dei Musei” del Maestro, pittore e scultore, Vincenzo Bianchi.
Tra le pubblicazioni di Antonella Mollicone: il
volume Bibliografia del P. Antonio Ferrua S.I.
(Edizione Pontificio Istituto di Archeologia
Cristiana, Città del Vaticano, 2005); l’articolo
Ricordando Angelo Silvagni a cinquant’anni
dalla morte (in “Rivista di Archeologia
Cristiana”, LXXXI, Edizione Pontificio Istituto di
Archeologia Cristiana, Città del Vaticano, 2005,
ma 2006) e Cronaca, Immagini, Pensieri
(Artestampa, Roccasecca 2003).
La letteratura è ora diventata l’attività principale
di Antonella Mollicone: si occupa di servizi editoriali e sta per inaugurare una libreria-caffé a
Sora, nella zona centrale della città (presso la
chiesa di Santa Restituta, in via Lucio Gallo n.
13). Soprattutto, ha voluto affrontare
l’esperienza della scrittura di un romanzo, che
l’Editore Croce ha apprezzato per l’originalità
della storia e per il linguaggio concreto e pungente, che trae linfa dalla tradizione e così ne
riscopre e ne rinnova le radici.
La narrazione si dipana tra le vissute e a tratti
sofferte pagine di un diario in cui la madre in
attesa racconta al figlio che sta per nascere la storia della sua famiglia almeno da tre generazioni
con lo sfondo di fatti quotidiani e di eventi globali, il più delle volte drammatici e ineluttabili.
Il romanzo narra la saga di due famiglie del
Voglio guardare
di FRANCESCO BISESTI
• Qualcuno ricorderà come, alcuni mesi fa, sia
comparso tra le nostre recensioni il nome di Diego
De Silva.
A questo autore napoletano avevamo associato il
titolo del suo ultimo libro “Non avevo capito niente”, vincitore del Premio Napoli per la letteratura
2007.
In quest’ultima giuria non c’ero, pur essendone
stato un componente fin dagli albori della sua
nascita nei lontani anni settanta, ma vi assicuro
che oggi sarebbe stato molto meglio che ieri, se
non altro per la miglior qualità delle opere in gara.
Bene, ma tornando a De Silva, alcuni anni prima,
e più precisamente nel 2002, era comparso il suo
romanzo che, anche questa volta, abbiamo letto
per voi “Voglio guardare”.
Definirlo un giallo sminuirebbe in termini letterari la natura del libro che spinse Giuseppe
Pontiggia a definire il suo autore “uno scrittore
che, come i classici, ci restituisce la incomprensibilità delle cose”.
Un legame improvviso, misterioso tra una sedicenne ragazzina ed un assassino scoppia, anche se
preannunciato nella lettura stessa del testo, in un
crescendo di tensione.
Le loro due esistenze, ordinarie e malate, si rispecchiano così, pian piano, l’una nell’altra senza
rumore.
Celeste ha un suo segreto: ogni tanto, spinta non
si sa da quale bisogno, scende sulla litoranea e
aspetta: quando una macchina si ferma lei sale e
poi….
Lazio Meridionale nel corso del ’900: da una
parte i Mollicone che, dopo la loro evoluzione da
contadini a commercianti infine a imprenditori,
sono sopraffatti negli anni ’60 dal fallimento
delle loro attività; dall’altra gli Antosi-Gesù che,
dopo essere stati emigranti in Francia e aver sofferto la fame e la guerra in Italia, cercano il proprio riscatto in un discendente dei Mollicone,
Diddino, primo laureato del paese e vicino alla
socialdemocrazia. Negli anni ’70 Diddino viene
forzatamente candidato a sindaco in opposizione
a Ciccuccio, amico intimo di Andreotti:
l’impegno politico e sociale non può però impedire né lenire lo scontro con la dura realtà della
vita a causa di problemi giudiziari, oscure malattie dell’anima, un’aspra frattura generazionale.
Si tratta di una ricostruzione storica accurata
che, attraverso le alterne vicende della storia
delle due famiglie e della storia d’Italia, permette all’autrice di offrire un affresco vivo e partecipato della condizione sociale del Lazio
Meridionale durante tutto il ’900, tra le durezze
dell’emigrazione, della fame, delle guerre, fino ai
nostri giorni con la sua attualità e le sue fragilità.
Il romanzo è dunque il ritratto corale di un sistema sociale reso con coerenza, con storie e personaggi che alludono ad un mondo in evoluzione,
pur evocando atti, usi e linguaggi radicati con
forza nella nostra terra.
Davide Heller è un avvocato penalista, molto
affermato, single dalla nascita e anche lui con un
segreto: quello di aver ucciso una bambina proprio nel suo appartamento.
Cosa spinge, alla fine, queste esistenze doppie ad
instaurare un incomprensibile legame che le induce a cercarsi, aggredirsi e difendersi senza ragioni?
Non vi raccontiamo nulla di più altrimenti non
leggereste mai questo libro edito da Einaudi ed in
vendita nelle migliori librerie al prezzo di 9,50
euro.
Anche in questo vi siamo di grande aiuto, si può
sempre leggere con poco senza strafare: il vino
migliore sta sempre nelle botti piccole.
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Aquino
e la Grande Guerra
di COSTANTINO JADECOLA
• Se il censimento del 1901 attribuiva ad Aquino
2.672 abitanti, quello di dieci anni dopo arrivava
a contarne 2.813. Si trattava di numeri decisamente bassi che, però, per forza di cose, non
potevano esimere Aquino dal dare anch’essa il
proprio contributo in termini di esseri umani a
quella tragica scommessa che fu la Prima guerra
mondiale, una scommessa giocata sulla pelle di
intendeva pubblicare l’elenco e le foto dei morti
in guerra con le storie dei diversi paesi. Ma siccome alcuni di questi erano addirittura sprovvisti
degli elenchi dei caduti e considerato che ogni
sollecito risultò vano, alla fine mons. Bonanni
rinunciò alle iniziative che aveva in mente limitandosi alla pubblicazione di Ricerche per la storia di Aquino e, per quanto riguarda i diversi
diversi milioni di giovani tra cui, appunto, 410
aquinati, grosso modo il 15 per cento della popolazione del tempo.Al tirar delle somme, alla fine
delle ostilità, 54 di essi, di cui 6 deceduti per
cause dipendenti dalla guerra, cioè circa il 13 per
cento della pattuglia, risultò uccisa in combattimento o dispersa. Tra gli altri, il tenente Felice
Venditti (24 anni) ed il sottotenente Giovanni
Vincenzo Pelagalli (22) che avevano entrambi
frequentato il glorioso “Tulliano” di Arpino ed ai
quali, secondo le scarne informazioni di cui si è
in possesso, sarebbe stato fatale il 18 giugno
1916. Fu in questo giorno, infatti, quello in cui
Venditti perì in valle Listaro, peraltro tenente di
fresca nomina, e di Pelagalli si perse ogni traccia,
al punto di essere considerato disperso, anche se
è ritenuta certa la sua partecipazione ai combattimenti avvenuti sul monte Zovetto. Quanto agli
altri aquinati, 33, circa l’8 per cento, furono gli
invalidi e i mutilati, cioè coloro i quali si portarono dietro per il resto della vita i segni palpabili di
quella vicenda, mentre in 36 patirono le conseguenze della prigionia, 32 in Austria e 4 in
Germania.
Se siamo a conoscenza di queste informazioni è
grazie anche a mons. Rocco Bonanni (Aquino, 21
novembre 1860-11 novembre 1928) il quale, alla
notizia “della morte dei primi nostri cari
Soldati”, scrive nella prefazione a Ricerche per la
storia di Aquino cominciò ad accarezzare “l’idea
del dovere a guerra finita, onorare gli Eroi che si
immolavano per la libertà e per la grandezza
della Patria diletta!”, non solo di Aquino ma di
tutti i comuni della sua diocesi (Arce,
Castrocielo, Colle San Magno, Esperia, Pico,
Piedimonte San Germano, Rocca d’Arce,
Roccasecca, San Giovanni Incarico, Santopadre,
Terelle e Villa Santa Lucia).
Nell’immediato il sacerdote fu sommerso da “un
cumulo di lettere ed un coro di lodi”. Al dunque,
però, “solo due o tre Comuni” e “fra i più piccoli”
riuscirono a soddisfare le sue attese (Monografie
storiche). In buona sostanza mons. Bonanni
comuni della diocesi, di Monografie storiche e
concentrando quindi tutto il suo impegno per la
realizzazione ad Aquino di un monumento ai
caduti che, peraltro, aveva anche immaginato a
grandi linee: “nel concetto di massima (e non di
dettaglio) sarà formato nella parte integrale da
lapidi con antiche iscrizioni, da pietre con ornato, da pietre nere (lapis niger), da colonne, sarcofaghi, da urne e vasi antichi, in modo da essere unico nel suo genere nella nostra Regione. Su
di una colonna antica di granito vi sarà posto un
gallo di bronzo in atto di cantare (come nella
notte annunzia il giorno, così sulla morte degli
Eroi canterà ed annunzierà la pace, il premio, la
gloria e la vita di Essi in Cielo presso il Dio degli
Eserciti) con una stella dietro la cresta (è lo
stemma antico di Aquino). Una o due piccole
piramidi verranno formate con pietre autentiche, venute dall’Albania, dalla Francia. dal
Trentino e dalla Venezia Giulia; il cemento
idraulico sarà impastato colla sabbia del Piave. I
ritratti in smalto, di tutti i Caduti di Aquino, coi
rispettivi nomi, cognomi e paternità orneranno il
Monumento.”
Per “l’attuazione dell’opera grandiosa” viene
costituito un apposito comitato che poi è lo stesso che in tempo di guerra era il “Comitato per
l’Assistenza dei militari combattenti” (“Mgr.
Rocco Bonanni presidente, Mgr. Francesco
Morelli vice presidente, R.mi Canonici Don
Giuseppe Fortuna, Don Tommaso Di Marco,
Don Tomaso Fortuna e Don Michele Venditti.
Sigg. Quagliozzi Aurelio, (ora studente universitario in Napoli), Antonio Mazzaroppi (ora
Brigadiere nei Reali Carabinieri), Guido
Santopietro (morto in guerra combattendo),
Giuseppe Santo, Alessandro Iadecola, Costanzo
Iadecola (gemelli, ex tenenti di Fanteria),
Giuseppe Manna (ex prigioniero), Pietro Manna
(ex Caporal Magg.), Luigi Pelagalli (ex tenente
Fanteria, ora studente universitario in Roma),
Rocco Di Sotto (ex combattente, ora in America)
e Claudio Pagliuca (ex combattente), Magnapera
12
Antonio (ex prigioniero) ora ad Albona presso
Fiume”).
Alla fine, però, l’ambizioso progetto resta tale ed
il monumento ai caduti, beninteso del tutto
diverso da quello che Bonanni aveva immaginato, avrebbe avuto concreta attuazione solo diversi anni più tardi. Piuttosto originale nella struttura, era, infatti, costituito da una lunga antenna
metallica avvolta nella parte inferiore da un
fascio littorio ed ancorata ad una base in muratura sopraelevata di circa un metro di altezza
rispetto al piano circostante nel contesto di
un’area delimitata da otto involucri di bomba
collegati tra loro con grosse catene in ferro.
Sorgeva in piazza Pasquale Pelagalli, come allora
si chiamava l’attuale piazza San Tommaso, grosso modo dove oggi è situato il monumento a San
Tommaso, ma a livello del sagrato, ed era stato
inaugurato in occasione dell’anniversario della
vittoria del 1930. Oltre al contributo di mons.
Rocco Bonanni, che destinò all’iniziativa il ricavato dalle vendite di Ricerche per la storia di
Aquino, non può, però, dimenticarsi quello, rilevante, di tutti gli aquinati ai quali, per ovvi motivi, la realizzazione del monumento stava molto a
cuore e che contribuirono perciò concretamente
alla sua costruzione anche con una lotteria finalizzata alla raccolta di fondi cui aderì lo stesso
Mussolini che per la circostanza inviò un portasigarette di argento.
Intanto, però, Aquino non si era dimenticata
della guerra e dei suoi protagonisti ed aveva
dedicato una delle strade più importanti al
Soldato Ignoto in concomitanza con il trasferimento all’Altare della Patria della sua salma. “Gli
(Segue a pag. 11)
LALUCERNA
Aquino e la Grande Guerra
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
13
(Segue da pag. 12)
Aquinati”, come ancora si legge in una lapide
posta sul vecchio torrino di riporto dell’acquedotto, “auspice il sottocomitato, glorificando il
valore dell’esercito italiano che l’Italia nostra
rese grande e temuta onorano il Soldato Ignoto
questa via a lui dedicando”. Era il 4 novembre
1921.
Oltre quelle cui si è fatto cenno, di quell’evento
sconvolgente non è che restino molte altre testimonianze. Assume, perciò, una sua importanza
la foto che il sig. Giuseppe Conte inviò al giornale La Voce di Aquino e che questo poi pubblicò
(anno II, nn.7-8, febbraio-marzo 1970). Secondo
informazioni fornite all’epoca dallo stesso Conte,
doveva essere il 1917 quando la foto venne scattata, forse in occasione di un casuale incontro
nella natia Aquino di un gruppo di “ragazzi del
’99” (o giù di li) che, profittando di una convalescenza o di un permesso, erano tornati momentaneamente a casa dal fronte. Quanto, invece,
all’identità delle persone fotografate, anche se
non è stato possibile individuarle singolarmente,
si può tuttavia affermare che nel gruppo ci sarebbero Ettore Blasi, l’avv. Giovan Battista Bonanni,
mons. Rocco Bonanni, Tommasino Bonanni,
Antonio Caprio, Innocenzo Caprio, Giuseppe
Conte, Innocenzo Cristi, Libero De Santis,
Giovambattista Di Branco, mons. Giuseppe
Fortuna, il dott. Francesco Fusco, Augusto
Insardi, Guido Insardi, Antonio Magnapera,
Peppino Marsella, Antonio Mazzaroppi, Loreto
Pagliuca, Bernardo Pelagalli, l’ing. Francesco
Pelagalli, Giuseppe Pelagalli, Pasquale Pelagalli,
Ernesto Pellecchia, Raffaele Pellegrini, il dott.
Celestino Quagliozzi, Antonio Raso e Vincenzo
Secondini.
Si è ben consapevoli del fatto che fra Aquino e la
Grande guerra potrebbero esserci state ulteriori
relazioni e, dunque, che le cose dette sono di
sicuro non esaustive dell’argomento. C’era, però,
necessità di dirle perché l’inesorabile fluire del
tempo - sono ormai passati novant’anni - allontana sempre più dalla memoria certi ricordi,
affievolendoli. Specie quelli riferiti proprio alla
Prima guerra mondiale della quale si è soliti parlare sempre in termini generali, e spesso retorici,
forse a causa dell’evidente difficoltà nel reperire
informazioni particolari. Come quelle di cui si è
appena detto.
L’Associazione Culturale La Frontiera
Lungo un
antico confine
di FERDINANDO CORRADINI
• Già da qualche anno, a Pastena, si è costituita
l’associazione culturale denominata La Frontiera, presieduta da Vincenzo Roma. Come si
rileva anche dal nome, scopo principale dell’associazione è quello di promuovere manifestazioni e iniziative culturali su fatti, eventi e tradizioni sul confine che delimitava il Regno delle Due
Sicilie, di cui Pastena faceva parte, dallo Stato
pontificio. Tale confine, di cui lo storico inglese
Georgina Masson ha scritto che “fino al momento dell’unificazione italiana era la più antica
frontiera europea”, ha, infatti, profondamente
inciso sulla realtà culturale dell’odierno Lazio
meridionale.
A tal fine, gioverà ricordare il pensiero dello
scrittore di Pico, Tommaso Landolfi, che, nel
rivendicare l’appartenenza del suo paese all’antica provincia di Terra di Lavoro e al Regno delle
Due Sicilie, così ebbe ad esprimersi: “di qua
Longobardi, Normanni, Angioini, di là papi e
loro accoliti; di qua una lingua di tipo napoletano-abruzzese, di là una specie di romanesco
suburbano; a non tener conto poi di tutto il
resto…”. Come ha, peraltro, evidenziato lo storico cepranese Giovanni Colasanti tale linea di
demarcazione ancora oggi delimita le più antiche
istituzioni presenti sul territorio: le Diocesi.
Anche le competenze territoriali dei Tribunali di
Frosinone e di Cassino si conformano al confine
quasi come se ancora esistesse, così come i
rispettivi distretti telefonici, connotati il primo
dal prefisso 0775 ed il secondo dallo 0776.
Analogamente, in provincia di Latina, i Comuni
ex regnicoli sono riconoscibili dal prefisso 0771 e
quelli ex pontifici dallo 0773. Non sarà fuor di
luogo, tuttavia, ricordare come Pontecorvo e
Benevento costituivano delle enclave pontificie
nel regno di Napoli.
Fra le altre iniziative, ogni anno, l’associazione
organizza due serate in prossimità della fontana
posta alla località Cavatelle, proprio a ridosso
della frontiera, lungo l’antico tratturo che ancora
oggi collega la ex borbonica Pastena alla ex pontificia Castro dei Volsci. In tali occasioni si possono degustare piatti tipici dagli ineguagliabili
sapori: zuppa di pane duro con verdure, salsicce,
formaggio, olive, patate, frittate. Si è ricostruita
quest’anno una piccola fattoria con mucche,
capre, cavalli e maiali e avviata la produzione
delle caratteristiche “marzelline”.
Un tema di ricerca e di studio dell’intera area ha
per oggetto il Brigantaggio, fenomeno particolarmente diffuso lungo la frontiera, infestata in
quell‘epoca da temibili figuri. Molte escursioni
vengono spesso organizzate sull’intero confine e,
questa volta, si è provveduto a riposizionare la
colonnetta n. 97 che da tempo giaceva al suolo. I
cippi di confine, infatti, sono numerati progressivamente dal Tirreno verso l’Adriatico. Essi
recano inciso verso Roma lo stemma pontificio,
costituito dalle chiavi incrociate, e, verso Napoli,
un giglio stilizzato, emblema dei Borbone. Gli
stessi sono stati oggetto di un approfondito studio da parte di Antonio Farinelli e Argentino
Tommaso D’Arpino, che hanno dato alle stampe
nel 2000 un pregevole scritto dal titolo
Testimoni di pietra. Storia del confine tra
Regno delle Due Sicilie e Stato Pontificio, e
hanno messo a disposizione dell’associazione le
loro conoscenze sulla materia. Il tutto in una cornice che tende ad esaltare la cultura contadina,
che, per secoli, ha dominato nella valle del Liri, e
che, negli ultimi decenni, è stata accantonata in
conseguenza dell’adozione di nuovi modelli economico-sociali e culturali.
le invasioni
barbariche
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Elogio
della racchia
di SANDRO ZONFRILLI
• Cari amici lettori, se dovessimo quotarla in
borsa, anche in questi tempi di profonda crisi, la
racchia avrebbe i titoli sempre alle stelle. Sia con
la nuova che con la vecchia economia. E’ di una
utilità unica: confidente delle “belle”, ruffiana
con gli uomini, è sempre disponibile; vi telefona
spesso, chiede il vostro parere, fornisce suggerimenti ed elemosina uno sguardo libidinoso.
Non lascia adido, nel vestire, alla minima pecca:
in genere tailleur che slanciano e fanno tanto
donna, ma anche jeans e maglione colorati,
molto colorati. E’ troppo magra o troppo grassa,
eccessivamente larga o con il vitino da vespa; in
genere bassa, ma anche allampanata.
Sicuramente brutta.
Ed ora, immaginate dove vanno a chiudersi quelle gambe pelose che, quando è seduta, molto
generosamente offre alla vostra vista; o il fucsia
delle sue mutande che disturba non i vostri
sensi, ma il vostro stomaco, che fino ad allora
digeriva pure le pietre! Bene, a farne le spese è il
gelato, che stavate gustando sino a quel preciso
momento.
Facciamoci
i piatti nostri
G
LALUCERNA
Ma la racchia è furba, vi impone la sua presenza
perché, immancabilmente, si accompagna alla
più bella, alla più “fica” del circondario. Fanno
coppia fissa. Il suo motto è: più mi vedono, più i
difetti spariscono. Ed ha ragione, perché l’occhio
si abitua, la percezione si affievola, la coscienza
dimentica e … “li mortacci” … alla fine qualcosa
di buono lo trovate!
E poi parla, parla sempre. Voi speravate di ricevere qualche parolina dolce dalla bocca di rosa di
Angelica, che sono due mesi che corteggiate, e
quella, la racchia, vi dà una zampata da sotto il
tavolino per attirare la vostra attenzione …
“Scusa tanto, Antonio..” … intanto rivolge uno
sguardo di complicità all’amica, come a dire:
“Guarda che imbambolato … sono così piacente
che questo bel maschione ha la testa tra le nuvole”. E questo proprio mentre state pensando ad
Ovidio, e vi state ponendo l’annoso dilemma:
“Mi faccio prima la serva per passare poi alla
padrona, o il contrario, come suggerisce il
Maestro?”
Ed allora, combinate veramente il guaio: la guardate! I capelli, cresposi nonostante le infinite stirature, che sino a quel momento vi sembravano
tanti lombrichi, cangiano la forma e diventano
una nuvola di angioletti che, con cadenza ritmata, vi invitano ad una danza amorosa. Il naso
adunco e butterato improvvisamente si modella
come plasmato da un demiurgo folle; Venere,
dispettosa, vi invia un’ondata di feromoni che vi
stordiscono; due grossi seni iniziano un ditirambo impressionante: dum, dum, dum …
Incominciate a vacillare. Quindi vi si avvicina
come per sussurrarvi qualcosa di importante e,
invece della solita zaffata di diabolico zolfo …
sentite profumi di ciclamini e viole!
Angelica piano piano si affievola, diventa evanescente ed entra nel corpo della racchia come in
una dissolvenza incrociata. Vedete quelle labbra
così vicine, tumide, gonfie, vermiglie e … perdete la testa. Il sangue vi pulsa forte nelle tempie …
iniziate a sfiorare con un bacio impercettibile la
Gastronomia
di PIETRO MIELE
• Ecco arrivato l’inverno e, con esso, il Natale, e
noi sempre qui a pensare ai migliori piatti che la
cucina possa offrirci in ciascuna stagione dell’anno. Ma sbaglia chi oggi possa immaginare
degli standard per ogni ricorrenza, l’arte culinaria è bella e piacevole proprio per gli spazi che
POLPA DI CINGHIALE CON MELA RENETTA
E PATATE GRATINATE
• Ingredienti per 4 persone: noce moscata (per patate), polpa di cinghiale
600 gr., vino rosso 1/2 lt., odori misti, 3 mele renette, liquore alla mela,
pomodori pelati 200 gr., olio di oliva 50 gr., patate 500 gr., latte ¼, parmigiano 50 gr., burro 50 gr.
Realizzazione: mettere la polpa di cinghiale a marinare con vino rosso e gli
odori per almeno 12 ore, sgocciolare la carne, asciugarla e rosolarla in un
tegame con olio e odori, bagnare con liquore alla mela, lasciare evaporare
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sua guancia. Poi la “vera”Angelica si alza per
andare un attimo alla toilette, la racchia sposta la
sedia, vi si avvicina, voi siete imbarazzato e pregate tutti insieme Apollo, Mercurio e Tony
Tammaro.
E in un lampo di improvvisa coscienza, vi alzate
e scappate via.
Così avete perso Angelica e … pure la racchia!
Ma la racchia non demorde. Figuriamoci se per
così poco si possa abbattere! Nella faretra ha ben
altre temibili armi. Il fatto sostanziale è che questo personaggio è conscio della sua “grazia”, ed è
altrettanto cosapevole della pochezza dei
maschi. D’altronde, le “bellone” lavorano a suo
favore. Queste narcise ante – litteram sono
soprattutto delle infelici perché, affascinate dal
loro stesso ruolo e sicure di avere la bellezza per
sempre dalla loro parte, sfioriscono immediatamente in un mare di guai. Non sanno scegliere e
sono sempre depresse.
A lei, invece, basta un uomo qualsiasi, tanto
“sono tutti uguali” (così dice la nonna) ed ha
ragione! L’uomo, il maschio, va usato. E con questa “filosofia” è solo questione di tempo. Bisogna
solo trovarsi il più possibile dove sono i maschi,
essere presenti, carine e comprensive, specialmente con quelli che sono stati lasciati da
un’altra “concorrente”. E mettere in gioco tutte
le possibili strategie, di cui la racchia è maestra.
Quali sono queste strategie? Ne parleremo in
una prossima puntata …
apre alla fantasia, alla libertà di inventiva, alla
possibilità di travalicare ogni schema purché nel
rispetto di una regola fondamentale che rimane
quella di vedere soddisfatto il gusto.
Noi, che siamo tra i primi fautori di questo basilare principio, ci sforziamo di non tradirlo mai,
anche in tempo di Natale.
Ogni stagione dell’anno può servire, attraverso
la cucina, a riportarci indietro, o avanti, nel
tempo e quindi nelle stagioni, per riavvicinarci
ai sapori che queste ultime portano con loro.
Come al solito, ci preoccupiamo di darvi qualche
consiglio sull’argomento, aggiungendo al consueto “buon appetito“! i più calorosi auguri di
Buon Natale!
ed unire il vino della marinata, il pomodoro e lasciare cuocere a fuoco
moderato. A cottura ultimata togliere la carne e passare al passatutto il
resto regolando la salsa ottenuta con sale. Pelare le mele renette e tagliarle a spicchi rinvenendole al burro. Tagliare la carne a fette e servirla con la
suddetta salsa con degli spicchi di mela e una spolverata di cannella. Le
patate pulite e tagliate a fette vanno sbianchite e sistemate a scalare in una
teglia imburrata. Bagnare con il latte, spolverare con il parmigiano, burro
fuso e gratinate al forno a temperatura media. Servire a parte o guarnire il
piatto della carne.
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Gli enigmi della
Centrale a biomasse
di FRANCESCO BISESTI
• Ma è vero? - si sono chiesti in molti - a
Pontecorvo verrà installata una Centrale a
Biomasse legnose?
Chissà perché di fronte ad un simile interrogativo si finisce sempre col pensare al trattamento
dei rifiuti dando così spazio alle pur giuste polemiche.
E queste non tardano, infatti, a venire all’indomani della notizia che l’amministrazione comunale cittadina avrebbe dichiarato la propria
disponibilità all’insediamento di un simile
impianto, sin dallo scorso mese di ottobre, con
tanto di placet del sindaco Riccardo Roscia.
Il progetto, i cui termini e le cui finalità nemmeno si conoscono, sarebbe quello presentato dalla
Società Baltic Energy Group, a fronte del quale
sembrerebbe pure già sottoscritto dalle parti un
meticoloso, e alquanto articolato, protocollo di
intesa.
Intanto va chiarito un concetto, ossia quello che
una Centrale a Biomasse nasce non tanto per
distruggere rifiuti quanto piuttosto per ottenere
energia dalla trasformazione di sostanze di natu-
ra esclusivamente biologica, come del resto il
prefisso “bio” espressamente chiarisce e, nel
nostro caso - trattandosi di un impianto a biomasse legnose - va da sé che il materiale utilizzato sarebbe appunto il legno.
E’ vero anche che la scarsa presenza di boschi nel
nostro comune, come in quelli vicini, non spiegherebbe il motivo di una simile scelta anche in
termini di sviluppo del business che, inevitabilmente, si annette ad imprese di questo genere.
Tant’è che i maggiori impianti di questo tipo, in
Italia, risiedono attualmente in Trentino Alto
Adige, in Veneto come in altre regioni prossime
alla fascia alpina con la quale dividono, appunto,
la presenza di una fitta vegetazione boschiva.
Dunque tornando alle polemiche, in quanto
figlie di un errore, esse finiscono col fomentare,
e con l’acuire, le preoccupazioni e dunque le reazioni, forse anche eccessive, dei comitati, delle
associazioni degli ambientalisti, delle opposizioni in consiglio comunale e, per finire, dell’opinione pubblica.
Certo che un altro interrogativo nasce, come
Un hombre
Jamas Cansado
• Così ci è piaciuto, e ci piace, definirlo nella
seconda lingua più parlata negli Stati Uniti
d’America il neo eletto Presidente Barack
Obama: un uomo mai stanco.
Mai stanco di combattere per i suoi ideali, poderoso e forte quanto le sue radici keniote, deciso e
determinato nel percorrere una carriera politica
che lo ha portato a bruciare ogni tappa fino a
quella ultima che, all’età di soli 47 anni, lo ha
portato a ricoprire la carica più alta della più
grande potenza mondiale: l’America.
Un vento nuovo, un’aria nuova per il suo paese
ma soprattutto per l’Europa, ancora così fortemente legata a quel mondo. Una speranza per la
pace, dopo il periodo più buio della storia degli
Stati Uniti trascorso nel rincorrere il sogno più
antico e primordiale dell’uomo: la guerra, come
soluzione non ultima di tutti i problemi economici e sociali di un paese allo stremo economico.
Povere menti quelle che dai banchi del nostro
governo nazionale hanno commentato: “con
Obama alla Casa Bianca sarà più contenta Al
Qaeda” alludendo con questo alla possibile,
diversa posizione del nuovo governo democratico sui conflitti ancora in atto, e tuttora irrisolti,
in Iraq e in Afghanistan. Ancora più povere, se
nemmeno avevano intuito che qualunque passo,
in quelle terre aspre ed ostili, non può che essere
mosso con attenzione e con gradualità.
E così, a riprova, Al Qaeda ha finito pure col
minacciare Obama e l’America di nuovi possibili
attacchi. Bel legame di vicinanza o connivenza(?)
tra il neo presidente e il terrorismo islamico se
questi sono i risultati!
Bisognerà dir bene pure del capo del nostro
governo, tanto amico dell’America, che, con il
solito sorriso sulle labbra, ormai vero ed unico
emblema del suo modo di apparire, ha commesso un’altra delle sue altrettanto solite gaffe alludendo alla “abbronzatura” di Obama.
Che dire? Ce li siamo cercati e ce li teniamo!
Voglia di cambiamento: zero. Pontecorvo come
l’Italia intera: non si riesce mai a trovare il coraggio di cambiar strada!
15
dire, spontaneo: perché tutti i progetti della
Baltic, società finanziaria di un gruppo estero
operante nel settore delle energie alternative, si
sono realizzati nel meridione d’Italia - come
descrivono le pagine reperite su internet - tra la
Sicilia, la Puglia, la Basilicata e la Campania e
non invece in Trentino, Piemonte o Valle
d’Aosta? Perché questi progetti sono stati portati a termine in ambiti afflitti più dai problemi
dello smaltimento dei rifiuti che non dal potenziale utilizzo di fonti rinnovabili?
Mancava il Lazio all’appello? o meglio il basso
Lazio, dopo la recente adesione del più settentrionale dei comuni della nostra provincia, quello di Veroli in particolare, che ha dato la propria
adesione ad analogo progetto manco a dirlo predisposto dalla stessa Baltic che di italiano ha ben
poco viste le sue origini danesi?
Segnaliamo che, tra le società leader in questo
settore, ne esistono di altre in Italia, meglio identificate ed identificabili, conosciute e, per di più,
soggette alla legislazione del nostro paese nel
caso in cui insorgesse un eventuale contenzioso.
Dunque, aldilà delle polemiche sterili e improduttive, dei dibattiti, delle assemblee e delle
manifestazioni di protesta invitiamo tutti, amministratori compresi, all’uso della ragione, a riflettere, sforzandosi ad operare nel pubblico così
come si farebbe in casa nostra, diffidando dei
“gatti” e delle “volpi”, dei pacchi, doppi pacchi e
contropaccotti di cui è ormai pieno il mondo e di
cui abbiamo tutti una buona, anche se amara,
esperienza!
Conoscere i termini di un progetto è basilare per
qualunque comunità e, un sindaco che la rappresenta ha un solo preciso compito: quello di
tenerla informata sui vantaggi e sui benefici ottenibili, come soprattutto sui danni che, eventualmente, da esso ne potrebbero derivare se portato a termine in modo sconsiderato.
Meditate Gente; meditate!
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Un anno
pieno di righe
16
di IRINA POPOVICI
• Dicembre! Eccoci arrivati all’ultimo numero
del giornale di quest’anno. Ogni articolo ha portato una parte, un piccolo pezzo della visione del
suo autore anche della realtà socio-economica e
culturale pontecorvese. Noi, lettori costanti,
abbiamo reagito positivamente o negativamente
a ogni riga pubblicata, abbiamo accettato,
respinto o criticato queste idee e, senza accorgercene, ci siamo fatti un’opinione sugli argomenti
trattati.
Ci sono stati i “momenti giornalistici di cronaca”
dai quali abbiamo assunto nuovi dati o informazioni. Ma, senza voler sminuire l’importanza del
giornalista, l’informazione non si sarebbe mai
propagata se non ci fossero stati una tipografia e
un tipografo nel trasformarla in scritto.
La stampa, la riproduzione di un testo o di una
figura, eseguita con mezzi meccanici in molti
esemplari identici, si affermò in Europa verso la
metà del XV sec. a Magonza per merito di
Johannes Gensfleisch meglio conosciuto come
Gutenberg, nome che ereditò dal suo paese ove
nacque intorno al 1400 e dove mori il 3 febbraio
del 1468. Anche se l’attribuzione delle sue opere
è resa difficile dal fatto che egli non firmò mai i
libri che uscivano dalla sua officina sembra che
appartenessero ai primi anni della sua attività
alcuni fra i più antichi documenti (un frammento di poemetto tedesco sul Giudizio Universale
databile 1445-46, un calendario astronomico del
1448, varie edizioni della Grammatica Latina di
Donato).
Ma il suo più grande capolavoro, senza considerare i problemi economici che dovette superare
per realizzarla, rimane la Bibbia realizzata nel
1455. Essa è anche detta “delle 42 linee” perché
ogni pagina era formata da due colonne di 42
righe in 741 pagine, con circa 2.500.000 di segni
contenuti in ben 2 volumi.
Il segreto di cui Gutenberg cercò di circondare la
sua invenzione non durò a lungo, perché soci e
apprendisti portarono fuori della città di origine
la nuova arte.
Secondo la tradizione, intorno al 1464 il cardinale spagnolo Torquemada (o forse il cardinale
tedesco Niccolò di Cusa), avrebbe invitato nel
monastero benedettino di Subiaco, vicino Roma,
Conrad Schweinheim e Arnoldo Pannartz, due
stampatori tedeschi ai quali si dovrebbe dunque
l’introduzione della stampa in Italia. È loro infatti la prima opera tipografica italiana che riporti
la data, 29 ottobre 1465: il “De divinis institutionibus adversus gentes” di Lattanzio.
Numerose officine aprirono in questo periodo in
diverse città italiane, in particolare a Venezia,
dove la stampa fu introdotta dal tedesco
Giovanni da Spira nel 1469. Venezia annoverava
alla fine del XV secolo circa 200 stamperie, detenendo il primato tra le città d’Europa, grazie alla
posizione geografica favorevole e alla legislazione della Repubblica che incoraggiava il diffondersi di tali imprese. A Venezia operarono alcuni
tra i più grandi tipografi editori del tempo, tra i
quali il celebre Aldo Manuzio, nativo di
Sermoneta o Bassiano, oggi provincia di Latina,
che si dedicò alla pubblicazione di splendide edizioni avvalendosi della collaborazione dei più
famosi umanisti del tempo. Nel 1502 uscì la
Divina Commedia con l’emblema dell’ “ancora
col delfino”, marca tipografica destinata a divenire simbolo di perfezione formale. Questa edizione, che sarebbe diventata la base di tutte le
ristampe per i successivi tre secoli, fu realizzata
in corsivo senza note di commento che fino ad
allora avevano seppellito il testo di Dante.
Nel XVI secolo il libro a stampa si perfeziona
sempre più avvicinandosi nell’aspetto al libro
moderno. I libri, in quel tempo, venivano acquistati non più soltanto dalle élites di intellettuali:
si stampavano e vendevano le opere in volgare, gli
“avvisi” (gli antenati del giornale) e i resoconti di
viaggi nelle terre da poco scoperte, i libri di devozione, etc. Venezia continua a mantenere, almeno
in Italia, il primato della qualità e della quantità
grazie anche alle famiglie di tipografi che si tramandano l’arte da una generazione all’altra.
Il Seicento è l’epoca dei grandi contrasti anche
nell’arte della stampa e l’editoria europea subisce un regresso.
La ripresa, con l’evoluzione tecnica e ideologica,
esplode nel ’700. Sorgono nuove stamperie, la
più celebre delle quali fu quella aperta da
Giovanni Battista Bodoni a Parma sotto la protezione dei Borboni. Bodoni si occupò soprattutto
dell’aspetto tecnico ed estetico del libro, raggiungendo nell’impaginazione e nella forma dei tipi
un equilibrio fino ad allora ineguagliato. Disegnò
inoltre nuovi caratteri che da lui presero il nome
di caratteri bodoniani.
Nel corso del XVIII secolo la figura dell’editore si
differenziò da quella dello stampatore che viene
ad assumere un ruolo essenzialmente tecnico.
Venne riconosciuto, inoltre, il diritto di proprietà
dell’opera da parte dell’autore o dell’editore (il
copyright) dando spazio così alle prime leggi
sulla proprietà letteraria.
Con la rivoluzione industriale la tipografia subì
una profonda trasformazione grazie ai nuovi
procedimenti di fabbricazione della carta che
permisero di ottenerne una quantità maggiore a
costi minori, attraverso l’uso della pasta di legno,
al posto della pasta di stracci, e della macchina
continua. Nacquero allora le prime grandi case
editrici: Giuseppe Pomba, primo presidente
dell’Associazione librai italiani (la futura A.I.E.,
Associazione italiana editori), fonda quella che
diverrà l’U.T.E.T; iniziano la loro attività Le
Monnier, Vallardi, Sonzogno e Zanichelli.
Oggi, la ormai generalizzata alfabetizzazione ha
determinato una diffusione capillare del libro in
tutti gli strati della società.
Ricordiamo che a Pontecorvo la tipografia di
Massimo Turchetta, che prese le sue mosse fin
dal 1955 costituisce dal 1961 il “ponte” tra i pensieri e le idee di quanti scrivono su “La Lucerna”
ed i suoi più affezionati lettori. E’ passato anche
da qui quest’ultimo anno “pieno di righe“.
LALUCERNA
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Paola Sarro
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Un Premio
al volontariato
VII Edizione
di ANTONIO PAPA
• Spinta dal suo impegno civile e dalla passione
per i bambini Paola Sarro cercava esperienze
umanitarie a cui dedicare le sue conoscenze. È
così che entrò in contatto con l’Associazione
“Terre des hommes” (associazione internazionale non governativa che in circa 40 paesi e con
migliaia di volontari fornisce aiuto diretto
all’infanzia in difficoltà) aderendo all’allora
progetto che affrontava soprattutto il problema
dei traumi post-bellici nei bambini. Il campo
d’azione era soprattutto il Kosovo stremato
dagli orrori della guerra ove l’associazione si
proponeva di dare sostegno alla clinica pediatrica della Casa della Salute di Pristina.
Purtroppo il 12 novembre 1999 morì proprio
durante la sua missione umanitaria in un tragico incidente aereo sulle cime del Monte Piceli a
1380 metri. Assieme a lei perirono altre 24 persone di varia nazionalità tutte in missione umanitaria. Oggi a Pristina esiste un “centro di salute mentale per bambini ed adolescenti” intitolato proprio a lei.
Paola dunque finì lì la sua opera, lasciandoci un
insegnamento che l’Associazione di Protezione
Civile Nazionale Gruppo “La Torre” di
Pontecorvo ha fatto suo. Esso nasce dalla
volontà di continuare a divulgare quell’amore
nel ricordo della stupenda Paola, l’idea di questo riconoscimento Nazionale per chi opera nel
sociale, spesso nel buio e a volte nelle condizioni più disagiate. Un Premio giunto alla sua settima edizione e di spessore nazionale, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica Italiana.
Giorgio Napolitano non ha mai mancato di presenziare alla consegna della medaglia speciale a
chi si è contraddistinto per il suo impegno nel
sociale. Dalla prima edizione qualcosa è cambiato mentre l’ultima è stata un grande successo e davvero commovente!
C’erano tanti ospiti: il Prefetto di Frosinone
Piero Cesari; il Colonnello dei Carabinieri
nostro concittadino Luigi Sparagna; il capitano
della Guardia di Finanza; il nostro Sindaco
Riccardo Roscia. La grande emozione ha colto
tutti con la telefonata in diretta dell’agente
della PS Paolo Molinari che aveva accolto la
madre di Paola in Kosovo dopo la tragedia. Poi
è stata la volta degli interventi sul ruolo del
volontariato da parte di Stefano Fumelli.
Per il livello nazionale è stata insignita del premio l’Associazione “30 Ore per la vita” e a
Lorella Cuccarini è andato il riconoscimento
nazionale con la medaglia del Presidente della
Repubblica. Felice del premio ma dispiaciuta
per non essere potuta intervenire per impegni
professionali Lorella ci ha ricevuto qualche
giorno fa presso la sede dell’associazione da lei
creata e ci ha lasciato con una promessa: verrà
a trovarci prossimamente, probabilmente nella
edizione del prossimo anno, quando ricorreranno i dieci anni della scomparsa di Paola.
LA LUCERNA
DAL 1961
PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE «LA LUCERNA»
FONDATO DA BERNARDINO PULCINI
DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO BISESTI
ORGANIZZAZIONE EDITORIALE MASSIMO TURCHETTA
REDAZIONE ANGELO NICOSIA, MARIO CANCIANI, IGOR PULCINI, GIOVANNI DRAGONE,
TOMMASO CERRO, PIERA FILIPPI, MAURO VALLONE
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
COSTANTINO JADECOLA, G.B. VINCENZO CARAMADRE, FERDINANDO CORRADINI, ELISA CANETRI, VINCENZO PIACENTE, STEFANIA TURCHETTA,
FERNANDO RICCARDI, SANDRO ZONFRILLI, MASSIMILIANO MAGLIONE, PIETRO MIELE, IRINA POPOVICI, ANTONIO PAPA, STEFANO GERARDI.
[email protected] - [email protected]
STAMPA TIPOGRAFIA TURCHETTA PONTECORVO - VIA BUONARROTI, 3 - TEL.0776.760498
AUT. TRIBUNALE
DI
GRAFICA GABRIELE PESCOSOLIDO TEL.0776.830150
CASSINO N.2/61
DEL
05.05.1961 • LA
DIFFUSIONE GRATUITA
TIRATURA È STATA DI
2.000
COPIE
A livello regionale invece è stata la volta di
Francesco Totti, ambasciatore Unicef che destina parte dei suoi introiti ad opere di beneficenza. Ultimi (si fa per dire) a livello locale:
Fernando Ruscito Presidente del Centro
Umanistico di Ciampino per S.L.A. (Sclerosi
Laterale Amitrofica) e Carmelina Pirolli per la
sua opera nella città e nell’associazione a cui ha
dedicato parte della sua vita: l’U.N.I.T.A.L.S.I.
L’augurio che ci facciamo è che tutto ciò possa
non solo spronare il ruolo del volontariato oggi,
ma che faccia in modo che nessuno mai dimentichi una figura preziosa e dolce come quella di
Paola.
Desidero concludere con una dedica: voglio
“donare” tutto il mio impegno alla mamma di
Paola, Grazia Marina Giona, non solo per la sua
dolcezza ma anche per ciò che lei rappresenta,
simbolo di tutti quei genitori che prematuramente hanno perso i propri figli.
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Un cuore
per amico
• Un amico non si dimentica mai. Con questo
titolo si è aperta il 5 dicembre presso la biblioteca comunale, per concludersi il 5 gennaio, una
mostra di disegni dei bambini di tutte le scuole
per l’infanzia e del primo biennio delle elementari di Pontecorvo sul tema dell’amicizia.
La manifestazione prende spunto dalla
improvvisa scomparsa di un alunno del plesso di
Via San Rocco colpito lo scorso anno, quando ne
aveva compiuti appena cinque, da uno choc
anafilattico che lo uccise inesorabilmente per
celebrare, nel suo ricordo, uno dei sentimenti
più tipici e più forti dell’infanzia: l’amicizia.
Un tema duro e difficile da sviluppare in un semplice disegno, per i piccolissimi concorrenti, il
merito è delle loro insegnanti aver ottenuto il
risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti.
Un tunnel di immagini fantasiose e fantastiche
percorso scolastico attraverso gli occhi ed il
cuore dei bambini che ci conduce ai più alti principi della solidarietà, dell’amore e dell’amicizia.
Il concorso, nei primi giorni del 2009, vedrà premiato il disegno più bello e significativo da una
giuria composta da insegnanti e psicologi, mentre le premiazioni avverranno a maggio del
prossimo anno preannunciando la fine dell’anno
scolastico.
Un complimento della redazione va al 1° Circolo
Didattico della nostra Città, al dirigente scolastico, al personale docente e non docente che, prendendovi parte, ha promosso e portato avanti
questa bella iniziativa.
Il 28 dicembre
I CAPRILANTI RECITANO
NELLA SCUOLA MEDIA
BERNADOTTE
La Compagnia teatrale “I Caprilanti” nasce
spontaneamente il 21 gennaio 2004 per iniziativa di d. Fabrizio Tricone e con la collaborazione
di Mario e Carmela Di Rollo, finalizzando il progetto al coinvolgimento dei giovani del nostro
territorio. L’iniziativa si sviluppa nell’ambito
della parrocchia di S. Maria delle Grazie a
Caprile di Roccasecca. Nel 2004 la Compagnia
recita, ed esattamente il 13 novembre a
Pontecorvo, “Quaranta ma non li dimostra” e
nel 2006 “Non ti pago”, ambedue le commedie
sono di Eduardo De Filippo, nel 2007 “Un
ragazzo di campagna” di Armando Curcio e nel
2008 “Non è vero ma ci credo” di Peppino De
Filippo. Per il 2009 la Compagnia sta preparando “L’ospite gradito” di Peppino De Filippo.
Ci dice d. Fabrizio Tricone: “Attualmente siamo
11 attori e 4/5 che lavorano dietro le quinte.
Siamo autodidatti e ci divertiamo tanto stando
assieme. Lo scopo della Compagnia, appunto, è
proprio questo: dare un messaggio cristiano,
quello della gioia. Il 28 dicembre presso la
Scuola Media Bernadotte, la Pro Loco
Pontecorvese in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, ci ha invitato per la terza
volta a recitare a Pontecorvo. Ciò è per noi motivo di vanto. Rappresenteremo un classico della
Commedia di Peppino De Filippo: “Non è vero
ma ci credo”, che ha come “sfondo” la superstizione. Vi invito tutti a passare un pomeriggio
diverso e divertente con noi. Vi assicuro che ne
vale la pena. Vi aspettiamo numerosi”.
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LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
19
Ricordando
Davide Delle Cese
di G.B. VINCENZO CARAMADRE
• Nei tre giorni dedicati a Davide Delle Cese in
ricordo dei 70 anni dalla sua scomparsa, il più
gran numero di presenze si è registrato al concerto bandistico.
La magia della musica. Già, la musica penetra
nell’anima, producendo suggestioni soavi forse
perché la mamma, prima di insegnarci a parlare,
ci cullava al canto di ninne nanne.
Forse perché al nostro orecchio giungeva il cinguettio dei passerotti, che abitavano sotto il
tetto. O la voce del vento, che zufolava attraverso
le fessure dei vetri incrinati.
Sensazioni registrate dal subconscio e poi trasformate in melodia da cui sbocciava la poesia,
nasceva la danza. Stati d’animo che facevano brillare i colori sulle tele, uscire i volti dalla pietra.
Sensazioni, emozioni diverse che provano i geni
e che a suo modo prova ognuno di noi.
Il genio poi ha il talento di trasformarle in opere
d’arte: da Omero a Dante, da Fidia a
Michelangelo, da Giotto a Leonardo, da Palestrina a Bach a Ciaikovskij.
È l’estasi dell’arte nelle sue varie espressioni e
sfaccettature, Orfeo incantava col suono della
cetra, Nerone verseggiava mentre Roma bruciava, il menestrello deliziava madonne e cavalieri
alle corti medievali. E, prendendo il filone musicale, a seguire con le serenate, il coro delle villanelle ed “il perpetuo canto” di Silvia che “risuonava nelle quiete stanze e nelle vie dintorno.”
Fino a circa un secolo fa. Arrivammo noi e da
protagonisti diventammo, siamo diventati passivi ascoltatori. Adesso facciamo cantare e suonare la radio la televisione lo stereo e i telefonini...
anche durante la messa.
Da ragazzi udivamo il suono classico del pianoforte strimpellato in qualche casa patrizia o le
note popolari dell’organino, che passava per le
strade.
Ma generalmente la musica la sentivamo da una
fisarmonica da una chitarra dalle zampogne dall’armonium o dall’organo della chiesa e dalla
banda musicale.
A parte la musica sacra, due erano i filoni di
approccio alla cultura musicale: le arie e i motivi
popolari e i pezzi classici per banda. La musica
popolare si sentiva nelle calde serate d’estate nelle
trattorie nelle feste di nozze e nelle aie di campagna spesso accompagnate da canti e da balli.
Mentre le marce e i brani di musica classica venivano eseguiti nelle processioni, nelle feste paesane e nei concerti. Il piccolo Davide Delle Cese
crebbe proprio in questo ambiente, nel quale
suoni e canti s’intrecciavano con le voci della
natura. Il padre Francesco Antonio e la madre
Giacinta Bernardini, gli scelsero come padrino
Antonio Geminiani, direttore della Banda armonica di Pontecorvo (1856-1871) presaghi di ciò
che il piccolo Davide sarebbe diventato da grande. Infatti che cosa poteva trasmettere un padrino, maestro di musica, ad un figlioccio se non la
passione per la musica? A 19 anni (1875) debuttò
al Politeama di Napoli con la sua prima composizione “Le Educande emancipate” riscuotendo
un notevole successo. Seguirono altre 54 composizioni tra cui 12 pezzi per canto e pianoforte.
Ricordiamo a proposito uno stornello dedicato
alla contessa Elisabetta Lucernari, nata Sipari e
cugina di Benedetto Croce. Un atto di omaggio
alla nobildonna, di cui probabilmente subì il
fascino. Particolare rilievo riveste la Fantasia “La
Breccia di Porta Pia” che, dalla descrizione di un
cronista del tempo, più che a rombi di cannone e
scontri all’arma bianca, farebbe pensare piuttosto ai Pini alle Fontane e alle Feste Romane di
Respighi. Altro pezzo forte delle composizioni
dellecesiane, noto anche oltre i confini dell’Italia,
è l’”Inglesina”, che molte bande eseguono al termine di ogni concerto. Come avviene a Vienna
con la Marcia di Radetzkij al concerto di
Capodanno. Da non dimenticare l’incarico prestigioso che il nostro ebbe dall’allora ministro
della guerra, di strumentare per banda gli inni
nazionali di ogni nazione. In seguito alla morte
del re Umberto I, assassinato a Monza nel 1900,
la regina gli commissionò una composizione
nota come la preghiera per la morte del re.
Dopo dieci anni di direzione della banda pontecorvese la sua carriera di maestro e compositore
si svolse tra San Leo (Marche) dal 1886, dove
conobbe la moglie Giuseppina Perazzoni, e
Bitonto dal 1891 fino all’età della pensione.
I titoli del curriculum del nostro maestro sono
37. Si tratta di attestati diplomi lettere della regina e del re onorificenze e medaglie d’argento e
d’oro. Conobbe personaggi di spicco della politica e della musica, dal re Umberto I alla regina
Margherita, da Crispi a Ma scagni. Fu di idee
liberali e un fan di Garibaldi. Fu un massone?
Molti anni fa un giovinotto di mia conoscenza
affermava spudoratamente che persino il papa lo
era. Figuriamoci Delle Cese! Ancora più complicato è dire se fu o non anticlericale. Da quel che
si legge nel libretto di Lancia sembrerebbe di no.
Qualche motivo di riflessione lo offre “La gran
marcia trionfale” scritta per l’inaugurazione del
monumento a Giordano Bruno a Campo de’
Fiori (9-6-1889). A tale proposito è bene continuare a scavare nella vita di questo signore
“rispettoso serio austero di poche parole”, che
affidava i suoi silenzi alle note musicali. E con
quale talento!
Per concludere fa piacere scoprire personaggi di
un certo spessore nati nella nostra città.
Personalmente tanto tempo fa ironizzavo sullo
scarso numero di uomini illustri pontecorvesi.
Errori di gioventù e anche di scarsa conoscenza
della storia pontecorvese. Arpino poteva vantare
nomi come Caio Mario e Cicerone, Sora Baronio
e Vittorio De Sica, Isola Liri Marcello
Mastroianni.
Pico
Tommaso
Landolfi,
Roccasecca Severino Gazzelloni, Aquino San
Tommaso, Cassino l’Abbazia. E Pontecorvo?
Pontecorvo, senza mancamence, non è da meno
dei paesi menzionati. Il cardinale Benedetto
Aloisi Masella fu ad un passo dal papato. Poi ci
sono i numerosi beati e San Grimoaldo, il quale
non sarà come San Tommaso d’Aquino ma, in
quanto a santità, è pur sempre un suo collega.
Anche se un buontempone con fine ironia la diatriba sul luogo di nascita del santo, tra Aquinoe
Roccasecca, l’ha risolta dicendo che in una giornata indimenticabile il papà e la mamma del
Doctor Angelicus vennero a Pontecorvo, si fecero un giretto nel borgo e a Santo Stefano, davanti a un panorama incomparabile, “nell’ora che
volge il desio” concepirono il piccolo Thomas.
Ovviamente non sotto un manto di stelle.
come eravamo
LALUCERNA
NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008
Pontecorvo, Edificio dell’Istituto Magistrale anno 1948: una
storica immagine della Palestra all’aperto annessa alla
scuola. Quando lo sport si praticava veramente anche a
scuola: gli studenti impegnati nell’ora di Educazione Fisica.
Il Gospel a Pontecorvo
• Grande evento in città è fissato per il prossimo 30
dicembre quando, alle 19 e 30 nella Cattedrale di San
Bartolomeo, il Gospel si esibirà in concerto nell’ambito della sesta edizione del Progetto “I Linguaggi
della Musica”. Diretto da Michael G. Marshall
“Gospel Choir from Dartmouth”, complesso formato
da 35 elementi, può contare su membri che provengono da ogni parte degli Stati Uniti. I loro splendidi
arrangiamenti sono un meltin’pot di toni musicali ed
interpretazioni nuove e particolari che riescono sempre a creare un’atmosfera calda e coinvolgente,
senza pari nel panorama internazionale. Il coro ha
incontrato nei suoi tours le più disparate comunità,
riuscendo ogni volta a stabilire con il suo pubblico
un fortissimo legame che solo il linguaggio universale della musica è capace di creare e di stringere. Sarà
un momento di incontro notevole, di riflessione e,
perché no, anche di piacere e di godimento per le
orecchie musicali più nobili della nostra cittadina.
L’iniziativa è promossa dalla Regione Lazio, dall’assessorato provinciale alle Pari Opportunità e dal
Comune di Pontecorvo con ingresso libero per tutti
coloro che vorranno prendervi parte.
Su RAI DUE in prima serata,
il 24 dicembre,
concerto dal Teatro Filarmonico di Verona
del Gospel Choir from Dartmouth
20
Immagine tratta dall’archivio fotografico di
Mario Canciani.
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