• Chi non ricorda l`amore impiegato dai nostri genitori, dai nostri
by user
Comments
Transcript
• Chi non ricorda l`amore impiegato dai nostri genitori, dai nostri
LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 D A B E R N A R D I N O Il simbolo di una tradizione: il presepe di FRANCESCO BISESTI e IRINA POPOVICI • Chi non ricorda l’amore impiegato dai nostri genitori, dai nostri nonni, nel realizzare il presepe nell’attesa della “fantastica notte”. Un amore senza precedenti, fatto di cura, di meticolosa attenzione, di rispetto della tradizione e, quindi, di cultura. Un solo uomo, attore e scrittore di professione, riuscì a fondere sulla scena tutte queste immagini, questi sentimenti: Eduardo De Filippo. La commedia era, e chi potrà mai dimenticarla, “Natale in casa Cupiello”. Il termine presepe viene dal latino praesepe o praesepium che, letteralmente, vuol dire “mangiatoia”. La più antica rappresentazione della Natività è l’Oratorium praesepis di Arnolfo di Cambio, realizzata nel 1283 e conservata ancora oggi a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore, mentre il primo presepe allestito in piena natura, in un bosco nei pressi di Greccio nel Natale del 1223, lo si deve a San Francesco d‘Assisi. Nelle nostre zone è possibile ammirare ancora oggi una simile riedizione lungo il percorso del “tracciolino” sotto faggi e castagni in comune di Casalvieri. Questa composizione è visibile dalla strada e colpisce anche l’automobilista più distratto. La struttura del presepe classico presenta la grotta in primo piano affiancata dai pastori in adorazione e dagli Angeli, quindi il sacro monte con altri pastori accompagnati da greggi ed Angeli in volo che annunciano la buona novella e, in lontananza, il corteo dei Re Magi. Ma come mai a Napoli andò sviluppandosi l’arte presepiale fino ad elevare la città al rango di massimo centro di questa cultura? Beh forse per una ragione semplicissima: la grande povertà che attanagliava il paese dell’arte dell’arrangiarsi favorì l’inventiva di quanti avevano innata dimestichezza con la scultura Inizialmente convissero due tipi di pastori quelli in legno e quelli in terracotta, che andarono pian piano riducen- P U L C I N I Napoli, via San Gregorio Armeno. D A L 1 9 6 1 • P E R I O D I C O D E L L’ A S S O C I A Z I O N E C U L T U R A L E « L A L U C E R N A » F O N D A T O dosi nelle dimensioni rispetto a quelli quattrocenteschi. Il passaggio più importante avvenne nel Cinquecento quando, al fianco dei personaggi tradizionali, fecero la loro comparsa sulla scena del presepe gli animali: cani, pecore, capre, oltre l’asino e il bue da sempre presenti nella grotta. Per tutto il secolo, il presepe mantenne la stessa struttura: in basso la grotta con angeli e pastori, più su le montagne con le greggi, e lontano il corteo dei magi. In un documento notarile del 1532 vi è la descrizione di un presepe, con pastori in terracotta dipinta, realizzato per il nobile Matteo Mastrogiudice da Sorrento. Nella prima metà del ‘600 nasce la figura dell’artista che si dedica anche alla creazione di pastori. Michele Perrone fu uno di questi, noto per le sue sculture lignee. Egli si dedicò con successo a quest’attività e altrettanto bravi furono i suoi fratelli Aniello e Donato. Accanto al legno, nella seconda metà del secoco1inciarono a comparire i pastori in cartapesta, più piccoli rispetto ai precedenti, e (Segue a pag. 2) LALUCERNA Auguri a tutti NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Il simbolo... il presepe (Segue da pag. 1) poi ancora manichini di legno con arti snodabili e vestiti di stoffa. Furono proprio questi che segnarono la svolta verso il presepe del 700. Con queste nuove figure, i pastori divennero protagonisti attivi, potendo assumere diverse posizioni che arricchivano la scena. Sotto l’influsso del re, nobili e ricchi borghesi gareggiarono nell’allestire impianti scenografici giganteschi e spettacolari, in cui il gruppo della Sacra Famiglia finì sopraffatto da un tripudio di scene profane che riproducevano ambienti, situazioni e costumi della Napoli popolare dell’epoca. Si investivano spesso ingenti capitali per assicurarsi i pastori più belli con la collaborazione degli artisti più rinomati; il sacro evento divenne pretesto per far sfoggio di cultura, ricchezza e potenza. A realizzare le armi, gli strumenti musicali, i vasi preziosi e gli altri minuti ornamenti dei personaggi del corteo dei re magi vennero chiamati argentieri e gioiellieri famosi. Le frutta e le cibarie esposte nei banchetti o consumate nelle taverne erano realizzate in cera colorata. Le statuette arrivarono a costare delle vere fortune: si calcola addirittura l’equivalente di un mese di stipendio di un funzionario di corte. Famiglie nobili giunsero a rovinarsi pur di realizzare presepi che potessero competere in magnificenza con quello reale e meritare, nel periodo natalizio, la “visita” del sovrano. Paradossalmente, quando i creditori arrivavano al pignoramento dei beni di queste famiglie troppo prodighe nelle spese presepiali, proprio quei piccoli capolavori costituivano una delle principali voci nei verbali degli ufficiali giudiziari. Il presepe napoletano raggiunse in questo periodo il più alto splendore: in esso il sentimento religioso dell’evento finisce però in secondo piano lasciando spazio alla rappresentazione di spaccati di vita quotidiana che riflettono la cultura dell’epoca. Gli storpi e i diseredati rappresentati non senza sarcasmo, l’opulenza dei nobili orientali e delle loro corti a simboleggiare i privilegi dei nobili, l’osteria con l’avventore e l’oste a rappresentare la bonomia del popolo. Il tutto, però, alla fine del secolo incominciò a scemare, e le collezioni private iniziarono a smembrarsi. Con il declino degli ultimi presepari, discepoli dei grandi maestri, iniziò anche quello del presepe artistico napoletano che andò pian piano scomparendo per far posto a quelli più piccoli anche a dimostrazione del fatto che i pastori napoletani, per la loro pregiata fattura, potevano magnificamente esistere senza scene di grande sontuosità e alto costo. Nella nostra provincia la buona tradizione del presepe si è sviluppata a Serrone grazie all’impegno di artisti giunti a realizzarne uno a grandezza naturale. Inutile dire che l’amore è quello che determina, e ha sempre determinato, il risultato migliore, al di là di ogni prezzo. Oggi la via del presepe, quella dell’amore per la tradizione, è a Napoli: è la Via di San Gregorio Armeno. 2 • La crisi economica nazionale e la stasi amministrativa locale, non possono impedirci di lanciare a tutti i più calorosi auguri di Buon Natale e di un fantasmagorico 2009, scusandoci con tutti quelli che, pur non pensandola come noi, hanno letto ugualmente il nostro giornale dando così spazio alla critica e perché no anche alla riflessione. Grazie a tutti quelli che, pensandola come noi, hanno anche collaborato scrivendo e raccogliendo informazioni sul territorio, dandoci linfa vitale per mantenere accesa la nostra Lucerna e allontanare il buio. Grazie ai giovani, agli intellettuali, ai fotografi e ad uno in modo particolare, per la disponibilità sempre dimostrata nell'offrire alla nostra redazione il meglio di se stessi e della loro professione. Grazie a Massimo Turchetta che, oltre che tipografo, è il caporedattore ideale, capace di raccogliere e valutare le istanze della società civile coordinando le attività interne alla composizione della Lucerna a cui tiene come ad una creatura, quella che è di tutti noi che abbiamo imparato a curarla, grazie a qualcuno che oggi non c'è più. Auguri a Marcella Di Clemente, la donna che ha speso bene la sua vita al fianco del nostro Bernardino. Auguri al Sindaco e alla sua Giunta, sperando non ce ne vogliano per le critiche che talvolta muoviamo al loro operato nell'intento di fornire comunque spunti di riflessione come insegna ogni buona democrazia. Auguri ai docenti, insegnanti e dirigenti scolastici che, pur nelle difficoltà, svolgono con impegno e dedizione la loro alta funzione sociale. Auguri sinceri a tutti dalla Redazione de "La Lucerna". Pontecorvo, presepe in Piazza Annunziata. (Stefano Gerardi Reporter) LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Federico Grossi Un liberale in Terra di Lavoro di FERDINANDO CORRADINI • Federico (o Federigo) Grossi nacque il 12 novembre 1838 da Rocco e da Carolina Sorgente, in Napoli. In questa città trascorse l’infanzia e la giovinezza in quanto il padre, che era nato a Arce nel 1794, vi svolgeva le funzioni di medico e di “Primo Chirurgo di Casa Reale”. Qui, nel 1859, conseguì la laurea in giurisprudenza, contravvenendo alla tradizione familiare che voleva i Grossi medici o chirurghi: a tal proposito, abbiamo notizia, fra gli altri, di un Orazio, che fu maestro di quell’Antonio Cardarelli al quale è intitolato il più grande ospedale di Napoli e dell’intero Mezzogiorno. Caduto il regno delle Due Sicilie, il padre, rimasto disoccupato, tornò, con la famiglia, a Arce, dove morì nel 1867. In quello stesso anno Federico sposò, in Fontana Liri, Carolina Gigliozzi Fanelli, ricca ereditiera che gli portò in dote non soltanto il patrimonio della famiglia Gigliozzi, che con lei si estingueva, ma anche quello, ben più cospicuo, dei Fanelli di Casalvieri. Ad Arce il giovane Federico prese ad esercitare la professione di avvocato, difendendo anche alcuni “briganti” nei maxiprocessi che si tenevano in quel torno di tempo a Cassino. Ricoprì anche la carica di Vice-Pretore presso la Pretura di Arce. Ma non era il Foro il luogo in cui il Nostro era destinato a trascorrere il resto della sua vita. Divenne, infatti, uno dei maggiori esponenti della Sinistra liberale di Terra di Lavoro e uno dei più longevi uomini politici di tale provincia. Va anche detto che, nel periodo successivo all’unificazione, nella valle del Liri furono numerosi gli uomini politici che fecero parte di tale formazione politica, contrapposta alla Destra liberale, che aveva avuto in Cavour il suo leader. Ciò, con ogni probabilità, fu dovuto al fatto che i governi della Destra, nel periodo 1861-1876, operarono delle scelte di politica economica che penalizzarono non poco l’Italia meridionale in generale e la Valle del Liri in particolare. Basterà soltanto, a questo proposito, ricordare come in conseguenza di tale politica liberoscambista, nel giro di pochi anni chiusero, uno dopo l’altro, i lanifici di Arpino che, nel 1845, davano lavoro a ben settemila operai. Probabilmente non a caso, il maggior esponente della Sinistra liberale nella nostra valle fu l’arpinate Giuseppe Polsinelli, che era uno dei principali industriali lanieri. Nel 1862 il Nostro divenne consigliere comunale di Arce ricoprendo ininterrottamente questa carica fino al 1910, e poi dal 1920 fino alla morte. Fu più volte assessore e, dal 1879 al 1884, sindaco. Nel 1866 fu eletto consigliere provinciale di Caserta per il collegio di Arce, mantenendo tale incarico per ben quarantaquattro anni, fino al 1910. Durante tale periodo svolse più volte incarichi quale “Deputato provinciale”, come all’epoca venivano indicati gli assessori, e ricoprì anche la carica di presidente dell’amministrazione provinciale di Terra di Lavoro dal 16 dicembre 1902 al 13 agosto 1906. Nel gennaio 1867, come apprendiamo dal Nicosia, fu sciolto il consiglio comunale di Pontecorvo e il Nostro fu nominato “Regio Delegato straordinario” di questo Comune. Nel 1876 pose la propria candidatura per la Camera dei Deputati nel collegio elettora- le di Pontecorvo – di cui Arce faceva parte – in contrapposizione al Deputato uscente, appartenente anch’egli alla Sinistra liberale: Pasquale Pelagalli di Aquino. Fu eletto e venne confermato per altre otto legislature di seguito: dapprima nel collegio uninominale di Pontecorvo, quindi in quello plurinominale di Caserta III, che fu istituito nel 1882, fondendo i quattro precedenti collegi uninominali di Cassino, Sora, Pontecorvo e Gaeta. Alle elezioni del 1882, come ci riferisce Gaetano De Angelis Curtis, riportò un lusinghiero successo, risultando il candidato più votato del collegio, avendo raccolto più consensi di Angelo Incagnoli di Arpino e di Alfonso Visocchi di Atina. Successivamente, nel 1891, allorché si tornò ai collegi uninominali, pose la propria candidatura in quello di Cassino e, da ultimo, in quello di Sora. In occasione delle elezioni del 1904, rinunziò espressamente a ricandidarsi. Morì nella sua casa, posta sulla piazza Umberto I di Arce, l’11 dicembre 1922, quarantacinque giorni dopo la Marcia su Roma, che pose fine al periodo liberale, di cui il Nostro era stato uno dei protagonisti nella provincia di Terra di Lavoro. Fra i molteplici incarichi che ricoprì, ricordiamo quello di Ispettore onorario della Soprin-tendenza. E’ menzionato anche nel Corpus Inscriptionum Latinarum in quanto fornì al Mommsen il testo di un’epigrafe rinvenuta alla località Camponi, nell’odierno territorio del Comune di Colfelice. Ma, come è scritto nella lapide funeraria, “di sue civiche benemerenze resta monu- 3 mento perenne il polverificio sul Liri”. E’ stato lo stesso Grossi a fornirci ampie notizie su come gli riuscì di portare nella nostra valle questo importante stabilimento, dove si produce polvere da sparo, che, fino alla realizzazione della Fiat di Piedimonte San Germano, ha costituito una delle più cospicue fonti occupazionali della valle del Liri. Basti ricordare, a tal proposito, come durante la prima guerra mondiale vi trovavano lavoro circa 1.800 persone, molte delle quali di sesso femminile. Nella tarda età egli scrisse una “memoria”, che abbiamo rinvenuto e pubblicato: in essa il Grossi evidenzia come Fontana Liri fu preferita a Terni, perché in quest’ultima città, già da tempo industrializzata, vi era un consistente nucleo di socialisti. Non sarà fuor di luogo ricordare che eravamo nel 1889 e come, in quel periodo, i socialisti erano non solo pacifisti, ma anche antimilitaristi. Controverso, com’è naturale che sia, trattandosi di un politico, il giudizio sull’uomo. I suoi avversari, anche quelli che militavano nella sua stessa parte politica – anzi, soprattutto costoro – gli rinfacciavano a ogni piè sospinto di essere “cresciuto alla Corte borbonica”. Giova ricordare come, dopo l’unificazione italiana, numerosi elementi della borghesia meridionale si erano scoperti antiborbonici. In un opuscolo anonimo che circolava fra i pochi elettori del periodo (aveva diritto al voto soltanto il 2% circa della popolazione) nel collegio di Pontecorvo, in occasione di una campagna elettorale per le elezioni alla Camera dei Deputati, si arrivò addirittura a insinuare che egli fosse figlio naturale di Ferdinando II di Borbone!!! Questo fatto, se da un lato ci dà la misura di come la lotta politica possa degenerare quando è fatta di personalismi e non di confronto su idee e programmi, dall’altro ci induce a ritenere che i Borbone fossero ancora positivamente apprezzati dall’opinione pubblica: il Grossi, infatti, vinse le elezioni! Non sarà fuor di luogo ricordare come, nonostante i molteplici uffici ricoperti per lunghi anni, ad un certo punto della vita si trovò in tali difficoltà economiche da essere indotto a tentare il suicidio (anno 1887). Ma erano altri tempi! All’epoca le cariche pubbliche erano “onorifiche”, non davano, cioè, diritto alle cospicue “indennità” che oggi la Casta si è autoattribuite. In conseguenza di tale disastrosa situazione patrimoniale, egli avrebbe vista venduta all’asta finanche la sua casa di abitazione, se la nuora Ida Ricci, gentildonna toscana, nel 1901 non avesse portato in dote al figlio Gustavo l’iperbolica (per l’epoca) somma di centounomila lire. Di recente S. Bellucci ha dato alle stampe un saggio che lo riguarda. Nello stesso è evidenziato come il Nostro fu “uno strenuo difensore del territorio di estrazione, sempre pronto a cogliere le occasioni di sviluppo offerte dai provvedimenti politici dei governi nazionali e locali per stimolare la crescita sociale ed economica della popolazione di Terra di Lavoro”, in generale, e di quella della valle del Liri, in particolare. “Tali aspetti sono particolarmente evidenti nelle vicende che portarono alla realizzazione di due opere pubbliche, tenacemente perseguite da Federico Grossi, come la costruzione delle linea ferroviaria Roccasecca-Avezzano e l’insediamento del ‘Regio Polverificio’ di Fontana Liri”. Il Polverificio fu posizionato a Fontana, in prossimità di una comoda strada, e lontano, per motivi di sicurezza, dai centri abitati, ma, quel che più conta, in prossimità di un punto in cui il Liri forma una cascata, indispensabile per azionare le turbine che producevano l’energia elettrica necessaria al funzionamento dei macchinari. Ai suoi concittadini arcesi che lamentavano con lui il fatto che lo stabilimento non fosse stato posizionato ad Arce, il Nostro, però, era solito fornire una spiegazione molto più convincente. Parlando, come suo solito, in napoletano (a Napoli, come abbiamo visto, aveva trascorso i primi ventidue anni della sua vita), diceva sornione e rassicurante: “ ‘A sciabola porta i ccorne! ”. E, così dicendo, brandiva nell’aria un paio di corna, formate dalla sua mano. LALUCERNA Lettere per... Nicosia 4 NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 • Egregio Direttore, ho letto attentamente l’ultima edizione del Suo giornalino e con rammarico ho notato che nella pag.7 “I Diari della Colonia Montana di Monte Leuci” con molta facilità vengono criticati, in senso cattivo, due nostri illustri concittadini, mi riferisco all’Avv. Carlo Bergamaschi e al Dott. Manfredo Coccarelli. Non sono qui per fare polemica, me ne guarderei bene! Non sono scrittore e tantomeno storico, ma piuttosto per “dare a Cesare quel che è di Cesare”. Inoltre, da buon cristiano, credo che non possono essere criticati due nostri compaesani in quanto deceduti e impossibilitati a giustificare il loro operato bene o male che sia stato. A “Gnore Carluccio” si devono opere notevoli che ancora sopravvivono nella nostra città: l’Istituto Magistrale, la Casa della Madre e del Fanciullo, la Casa del Fascio (oggi sede dell’Istituto Tecnico), la Scuola di Avviamento Professionale ora Biblioteca Comunale, le Scuole Elementari di S. Oliva; Vetrine; Sant’Esdra; Traversa; Melfi; Tordoni, la ristrutturazione del Palazzo Baronale e della elementare Pastine, e poi le case popolari in Via Ospedale (ora Via Bergamaschi), la colonia alpina di Monte Leuci, quella fluviale costruita sul fiume Liri, il Palazzo Comunale, interamente rinnovato; il rifacimento del Viale XXIV Maggio; la sistemazione di tutte le strade interne del centro urbano e di quelle di campagna; la sostituzione del vecchio impianto di pubblica illuminazione nel centro urbano e la sistemazione del cimitero centrale. Premetto che “gnore Carluccio” ha abusato della sua carica per qualche scappatella extra coniugale, non resta a noi giudicarlo bensì a quel Dio, unico Giudice di tutte le nostre azioni. E poi “chi non ha peccati scagli la prima pietra”. Certamente mi sfugge qualche altra opera realizzata dal Bergamaschi, chiedo venia scusandomi con coloro che certamente più vecchi di me hanno vissuto quell’epoca. Passo al secondo accusato, il Dott. Manfredo Coccarelli. IL SINDACO GALANTUOMO. Ecco chi era Manfredo! Un GALANTUOMO. Egli è stato il Sindaco di tutti i pontecorvesi. Egli soleva ricevere i suoi compaesani trattandoli tutti allo stesso modo, buoni e cattivi, amici e nemici politici. Una persona molto caritatevole: ogni mattina il Palazzo Comunale era meta di tanta povera gente alla quale Manfredo elargiva del denaro. Ricordo l’amore caritatevole che aveva verso la povera Giuseppina, una vecchietta handicappata proveniente da un altro paese. Ebbene, un giorno Giuseppina si ammalò e lui, Manfredo, la fece subito ricoverare in ospedale per le cure dovute. Ma non finisce qui. Mi chiamò e mi pregò di andare a comprare a proprie spese degli indumenti per poterli portare a Giuseppina. Questa è carità cristiana. Come si può parlare male di una persona simile! Nel succitato giornalino si accusa che il Sindaco Coccarelli non ha fatto niente per Pontecorvo. Falso e ingiusto! Manfredo ha fatto molto a cominciare dalla costruzione del nuovo Ponte sul Liri; ristrutturazione completa dello stesso con costruzione di nuovi bagni interni, rifacimento impianto elettrico e creazione di nuovi uffici; il bocciodromo coperto; la piscina coperta e gli impianti sportivi; la ristrutturazione dell’Istituto Magistrale e di tutte le scuole elementari interne ed esterne; la in località Pastine – Piazzale Romita (ex Piazza S. Antonio completa di marciapiedi ed impianto della pubblica illuminazione); la ristrutturazione della Scuola Media Bernadotte e della San Tommaso; la Biblioteca Comunale e il Centro Caritas; la sostituzione dei vecchi impianti della pubblica illuminazione nel centro urbano ed il prolungamento nelle zone agricole; l’ampliamento della rete distributiva del metano portata fino alle zone agricole e nella frazione S. Oliva; il rifacimento della Villetta e di Porta Pia, così come dei marciapiedi in Via S. Maria di Porta, Via S. Rocco, Via Leuciana, Via La Libera, Via XXIV Maggio e la posa di alberi sul Lungo Liri; la costruzione del nuovo cimitero centrale e di nuovi loculi nella parte vecchia e nel cimitero di S. Oliva, ivi compreso il nuovo impianto di illuminazione e bagni; la realizzazione di due giardini pubblici in Via Salvo D’Acquisto e di uno nel Piazzale Giacinto Carbone; la ristrutturazione del Campo sportivo di Via XXIV Maggio con ampliamento dei servizi e del Campo Cappuccini; fino alla assunzione di 10 giovani vincitori di concorso regionale (assunti per 32 mesi e passati di ruolo con la legge 82). Sono certo che tutti coloro che hanno governato e che governano tuttora la nostra Città, lo hanno fatto e lo fanno nella consapevolezza di operare nel migliore dei modi per il bene e l’interesse di Pontecorvo. Ringrazio ed ossequio. Giacomo D’Aversa • Egregio Direttore, sfogliando l’ultimo numero de “La Lucerna”, ho avuto modo di leggere il pessimo articolo a firma di Angelo Nicosia: I diari della colonia montana di Monte Leuci . Dopo una breve introduzione sulla nascita della colonia montana “Clementina Bergamaschi” l’articolo, con una serie di nefandezze tutte da dimostrare, tende a denigrare la figura di Carlo Bergamaschi il quale, pur nella complessità di un “regime” che esaltava i simboli, le gesta e i personaggi stessi, ha realizzato opere importanti nella nostra città che ancora oggi sono efficienti e che lo stesso Nicosia ha frequentato sia da studente, immagino, che da insegnante. Ognuno di noi è in grado poi, di valutare il contesto storico e lo stesso fascismo secondo la propria ottica, ma questa è un’altra storia. Tornando all’articolo e all’approfondimento dello stesso, viene fuori tutta la faziosità e la superbia dell’intellighenzia comunista nella quale Angelo Nicosia affonda le sue radici politiche. Non voglio entrare nel merito di “particolari” notizie riportate nell’articolo riguardo Carlo Bergamaschi (se colpe ha avuto ne ha sicuramente risposto davanti a Dio), ma definire “boss” un personaggio di tale rilievo, dire che “il Bergamaschi era riuscito a edificare un tempio con sole 11.922 lire per la venerazione di sua madre” e non prendere in considerazione l’imponenza dell’opera e gli effetti positivi che una colonia elioterapica potesse avere sulla gioventù di quel tempo non certamente “prodotta” per la guerra, mi sembra superficiale e offensivo nei riguardi di tanti pontecorvesi che ancora oggi rispettano la figura di Carlo Bergamaschi. (Vorrei comunque vedere quale politico dei nostri tempi è disposto a spendere parte del proprio compenso per contribuire alla realizzazione di opere pubbliche). Angelo Nicosia offende altresì la memoria dei consiglieri comunali del MSI che negli anni ’80 si attivarono per l’intitolazione di una strada, seguendo la “logica delle cose”, vista la presenza in loco dell’edificio dell’Opera Nazionale Maternità Infanzia, a Carlo Bergamaschi. Non è concesso allo “storico fazioso” denigrare i consiglieri comunali del MSI di quegli anni, alcuni dei quali non più presenti fra noi e fra questi, egregio direttore, mi permetta di ricordare mio padre Celestino Marchetti e poi Sandro Abignente, Antonio Lallini e Giuseppe Paliotta. Consiglieri comunali che in tanti anni di militanza politica di opposizione all’interno del consiglio comunale di Pontecorvo hanno onorato il proprio mandato elettorale votando sempre secondo coerenza non “sostenendo” alcuna “situazione a rischio” altrui. Se qualche volta è capitato che gli stessi abbiano votato qualche provvedimento della maggioranza, e questo capita in tutte le democrazie del mondo e ad ogni livello, è stato fatto per il bene comune della collettività. Evidentemente gli amministratori di maggioranza di allora, nell’accogliere la proposta del MSI di intitolare una strada a Carlo Bergamaschi, hanno riconosciuto come tutti i pontecorvesi, Carlo Bergamaschi degno di un riconoscimento. Forse Angelo Nicosia avrebbe fatto bene a frequentare qualche consiglio comunale in più e a non parlare per slogan. Certo di una pubblicazione senza alcuna modifica di questa mia lettera e con l’auspicio che il prossimo articolo non sia intriso di faziosità e odio, la saluto cordialmente . Antonio Marchetti IL DIRETTORE RISPONDE I toni, nel discorso, pesano molto più delle parole. Questo insegnamento, ricordo, lo ricevevo quotidianamente dal mio professore di italiano quando ero appena un liceale: bei tempi! Rispondo così ad entrambe le lettere inviate alla nostra redazione da Antonio Marchetti e da Giacomo D’Aversa, ovviamente la premessa vale (Segue a pag. 5) solo per quest’ultimo. LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 (Segue da pag. 4) Ho letto e riletto l’articolo di Angelo Nicosia e credo che nulla offenda la memoria dei personaggi tanto strenuamente difesi, se non una evidente, marcata diversità della matrice politica di chi ha compiuto l’analisi: nel caso specifico l’autore appunto de “I diari della Colonia Montana di monte Leuci”. Al caro amico Marchetti, uomo che ho sempre stimato diversità a parte, dico che se qualche improperio è trapelato nell’articolo incriminato ne faccio pubblica ammenda dichiarandomi anche pronto a riscriverlo, con le dovute correzioni, semplicemente perché non posso non condividere con lui che i toni adoperati, anche in questo caso, valgon molto più delle parole scritte. Ma a Giacomo D’Aversa, che non me ne vorrà se abbiamo modificato per ragioni di spazio la sua missiva che conteneva elenchi interminabili di opere compiute dal Bergamaschi e da Coccarelli, mi sento di contestare due cose: la prima, il tono. Il termine “giornalino” forse si addice molto più a certa stampa che solitamente viene prodotta in ambiti molto limitati che non siano quelli di un intero paese e che non oltrepassino i suoi stessi confini. Il tono è dispregiativo in questo caso e non lo posso accettare se non giustificandolo con l’atteggiamento tipico di chi tende a sminuire il valore di ciò che si vorrebbe e purtroppo non gli appartiene. Non lo accetto, a maggior ragione, perché questo “giornalino” vive dal 1961 grazie alle virtù, e alla cultura, di un uomo che, purtroppo come tanti, non è più tra noi e sopravvive oggi per l’impegno da me assunto davanti a Dio di lasciarlo alla città di Pontecorvo tale quale Lui lo avrebbe voluto. E questo “giornalino”, con tanto di iscrizione al Tribunale e alla Federazione Nazionale della Stampa, ha vissuto, vive e sopravvive senza che mai il pubblico lo abbia minimamente sostenuto, intendendo per pubblico il Comune, la pro-loco o quant’altro, e anche di questo ogni concittadino dovrebbe andarne fiero. La seconda contestazione che muovo al Signor D’Aversa è di aver adoperato il modo sbagliato per contrapporsi all’analisi compiuta da Angelo Nicosia, pur meritevole di qualche critica. Nessuno nega, e nemmeno lo potrebbe di fronte all’evidenza, che tutte le opere pazientemente elencate nella lettera pervenuta in redazione siano state il frutto dell’attività amministrativa di Bergamaschi come del sindaco Manfredo Coccarelli, del quale ero tra l’altro amico oltre che vicino di casa. Ma, attenzione, l’averle compiute rientra, né più e né meno, in quelli che sono i doveri minimi, i più elementari e basilari di un amministratore, sono questi i suoi compiti, e nessuno ha da ringraziarli. L’unico ringraziamento dovuto in questi casi deve andare a se stessi qualora si reputi di aver votato e prescelto la persona giusta. Quindi il terreno qui diventa sdrucciolevole, perché un paese non vive solo di costruzioni e ristrutturazioni e poi rifacimenti, eccetera eccetera. La vita di un paese ha bisogno si di questo, ma soprattutto di altro. L’attenzione ai bisogni del commercio (e qui Antonio Marchetti saprebbe dirci qualcosa), l’apertura verso l’esterno per lo sviluppo economico e sociale, i punti di ritrovo, la cultura della conservazione (Porta Santo Stefano non ne è un buon esempio), di uno sviluppo urbanistico equilibrato e ordinato. E’ di questo che il paese e la gente hanno bisogno, a Pontecorvo come altrove. Quindi, elenchi a parte, chiedo venia anche a Giacomo D’Aversa se i toni adottati da Nicosia sono stati esagerati, ma vorrei sottolineare che essi sono l’effetto della sua passione politica che conosciamo tutti, così come conosciamo altrettanto il suo alto valore di studioso di archeologia e storiografia del territorio, il che non è poco. Con un mondo di Auguri. 5 La terra dei “campanili” di FERNANDO RICCARDI • La provincia di Frosinone, già dal punto di vista storico e geografico, racchiude in sé una palese contraddizione. Qualche legislatore poco attento o, forse, troppo preoccupato di far quadrare le cose dal suo particolare punto di vista, seppe riuscire nella non facile impresa di accorpare, in quattro e quattr’otto, due territori assolutamente disomogenei. E così, come in un anonimo puzzle, il comprensorio da sempre ‘papalino’ del frusinate venne unito a quello ‘regnicolo’ del cassinate, del sorano e dell’alta Terra di Lavoro. Questa artificiosa composizione continua, ancora oggi, ad essere fonte di contraddizioni inenarrabili. Avete mai comparato il dialetto che si parla nel capoluogo ciociaro con quello del cassinate e dintorni? Se non lo avete fatto, provateci. Sembrerà di essere proiettati, come per incanto, nelle popolose periferie di Roma e di Napoli, le metropoli alle quali quei territori fanno ancora riferimento. Una provincia spaccata in due, dunque. Qualcuno, in verità già da tempo, sta tentando di metterci una pezza ripristinando, di fatto, con la creazione di una nuova circoscrizione amministrativa nel sud della regione laziale, la situazione che vigeva prima del 1927. Ma davvero non esistono punti di contatto fra le due porzioni di territorio? A prima vista sembrerebbe di no. Poi, però, gratta gratta, qualcosa finisce per saltar fuori. E, di certo, non è un elemento di cui andar fieri. La Ciociaria propriamente detta e il comprensorio più meridionale della provincia, infatti, hanno un unico fattore in comune: la marginalità. Una marginalità che, si badi bene, non è soltanto economica, industriale, occupazionale, pur grave e preoccupante, ma anche culturale, di costume, sociale, politica e chi più ne ha più ne metta. Volete degli esempi? Ne volete proprio uno che ha fatto ridere a crepapelle? Da noi non si è in grado nemmeno di eleggere miss Ciociaria. Dopo ricorsi, controricorsi, interventi legali, querele, pagine e pagine di giornali, non si conosce ancora il nome della leggiadra signorina che, qualche tempo fa, avrebbe dovuto indossare l’ambita fascia. O, meglio, il nome si conosce ma è contestato da tutti o quasi. Esempio lampante di una disorganizzazione e di un pressappochismo che si nota in tanti altri, e ben più pregnanti, settori. Prendiamo la cultura che, pure, in loco, vanta personaggi non certo disprezzabili. Ebbene nessuno, neanche coloro che pure sarebbero preposti a farlo, si cura di tracciare un percorso comune facendo risaltare grandemente le peculiarità più rilevanti. Avete pensato a quanti premi letterari si organizzano in Provincia? Una miriade e anche di più. Ognuno di essi, però, è del tutto avulso dagli altri e, perciò, finisce per avere una cassa di risonanza, tutto sommato, modesta. Gli stessi enti preposti a gestire gli affari culturali niente fanno per sopperire a questa negatività. E così, in base ad una equa spartizione dei pani e dei pesci, si finisce per attribuire lo stesso, risibile contributo al convegno storicofilosofico su San Tommaso d’Aquino e alla sagra degli gnocchi di Acquafondata. Dove le due manifestazioni appena citate vogliono essere solo un canonico esempio e niente di più. La classica, stantia politica di accontentare tutti per scontentare tutti. E, proseguendo in questa direzione, gli esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito. Una terra antica, bella, bellissima, con inestimabili tesori storici, artistici, paesaggistici ma oppressa dai particolarismi, dagli egoismi o, come diceva qualcuno, dal ‘tripudio dei campanili’, dove ognuno si affatica per innalzare sempre di più la sua torre, magari a scapito di quella del vicino. Di questo passo non si andrà molto lontano. Neanche realizzando una nuova provincia. Si otterrebbe, infatti, il solo risultato di dar vita a due piccole, infinitesimali creature che avrebbero, sempre e comunque, grossi e spesso irrisolvibili problemi di crescita e di sviluppo. Marginalità e particolarismo, due elementi che pesano come macigni sulla nostra realtà mai così derelitta come in questo travagliato inizio di nuovo millennio. Esiste la ricetta per venirne fuori? Chissà… Il cammino è lungo, sinuoso, irto di ostacoli ma non impossibile da percorrere. E se iniziassimo, prima di ogni altra cosa, a mettere da parte l’egoismo? Potrebbe essere il primo passo verso la rinascita. LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Tentativo di traduzione di un antico ritornello pontecorvese di VINCENZO PIACENTE • Esiste nella tradizione popolare della nostra città una filastrocca o ritornello, o come altro voglia chiamarsi, che i ragazzi di non molte generazioni fa recitavano associandolo a un gioco delle mani, e che molti della mia età certo ricordano di averlo praticato nelle sere d’inverno, quando si stava raccolti intorno al focolare. Bernardino Pulcini in “PONTECORVESITÀ”, Formia 1999, pag. 327, lo ha raccontato in questo modo: “Ecco un’altra filastrocca – gioco invernale di cui nessuno ricorda il significato. I bambini poggiano sulle ginocchia dell’adulto o su un tavolo le mani a palme in giù a catena con pollici e mignoli che si toccano. Il capogioco comincia la filastrocca; quando finisce, il fortunato diminuisce di un dito. Chi esce fuori per primo comanda le penitenze che vanno eseguite senza discussione. Trinz Trinz Carica rinz Noc stoc ggesummì I ddgieci soc. (intraducibile)…” Una versione pressoché identica alla precedente, e che vi differisce solo nell’ultimo verso rendendola apparentemente meno ermetica e intraducibile, è ugualmente attestata dalla tradizione popolare, ed è la seguente: trins trins (o trinz trinz) carica rins (o rinz) noc stoc Iesu mi (o ggesummì) i Dei i son. Ricordo che il gioco poteva essere eseguito anche con questa variante: si disponevano una o più mani a dita divaricate su un tavolo o su una sedia e ciascun concorren- te, a turno, batteva gli spazi tra le dita così disposte con l’indice della propria mano, accompagnando quei rapidi gesti con la recita del ritornello. Perdeva il gioco chi, invece di colpire gli spazi tra le dita, colpisse una delle dita stesse. Tuttavia, in questa versione del gioco come nell’altra su citata, non diverso era il battere ritmico del dito del concorrente sulle dita o tra le dita delle mani disposte a palme in giù: nel primo caso per individuare di volta in volta il dito da diminuire, sul quale cadeva l’ultima parola del ritornello, e nel secondo caso per colpire con destrezza gli spazi tra un dito e l’altro. Trattandosi di un gioco da eseguirsi in forma meccanica e stereotipa, il ritornello che lo accompagna ha attraversato immutato i secoli e ci dà oggi una qualche testimonianza della lingua parlata dai nostri progenitori. Non occorre molto acume per comprendere che il ritornello contiene parole latine, alcune in forma classica e altre in forma corrotta e popolare. I singoli elementi linguistici di cui è costituito possono analizzarsi nel modo che segue, distinguendo quelli certi da quelli ipotetici: - trins, ripetuto due volte, si percepisce come una voce ritmica che scandisce il movimento del gioco. Ma potrebbe essere qualcosa di più di un suono ritmato, forse una voce da assimilarsi al motto dialettale “trince trince”, usato spesso per ammonire o redarguire qualcuno, in ispecie un bambino, col dirgli “te faccie trince trince”, e cioè: “ti batto a dovere, te le do di santa ragione, ti faccio a pezzetti” e simili. Se così è, trins o trince formerebbero una sola voce popolare dal Il Risorgimento dell’illusione di PIERA FILIPPI • Agostino è un operaio, modesto, con una famiglia affettuosa e uno stipendio inadeguato. Dopo lunga attesa riesce a prendere in affitto una casa, in un palazzone nella periferia romana dove si trasferisce con tutta la famiglia: moglie, due figli e il nonno. Una mattina escono tutti di casa, in occasione della prima comunione del bambino; al loro ritorno, la casa è occupata da altre persone. Si accampano sul pianerottolo. Agostino cerca una soluzione legale, presso i carabinieri: non ha un contratto, la casa non appartiene nemmeno a quell’uomo che lui credeva esserne il proprietario. Le poche certezze di Agostino vacillano in una società che non assicura né lavoro né casa ai cittadini. Agostino, a quarant’anni, vorrebbe aver realizzato una parte dei suoi progetti, seppure semplici, vorrebbe poter assicurare un futuro a sé, alla sua famiglia, non continuare a sentirsi precario e inadeguato. Agostino è il protagonista, amareggiato e disincantato ma, nello stesso tempo, ironico e capace di illudersi, di uno spettacolo già visto. Uno spettacolo che Pier Paolo Pasolini aveva già descritto e raccontato, quarant’anni fa come in una profezia, nel suo scritto “Porcile”, il signifi- cato e la morale paiono riferirsi esattamente ai nostri giorni, ai fatti che inquietano e scuotono la società attuale e la coscienza civile. Un “porcile” rappresenta la società organizzata, che tende fortemente a distruggere i propri figli ribelli o indifferenti che non vogliono accettare l’ordine costituito, che vogliono pensare e porsi domande. Julian, il protagonista, rampollo dell’alta società tedesca, rifiuta i suoi genitori, personificazione del potere economico, l’amore, la borghesia formale e festosa, reagisce all’abbraccio, o meglio al vincolo, alle catene di un impero economico asociale, rifugiandosi nelle stalle e lasciandosi dilaniare dai maiali in un gesto suicida e rituale, un gesto tragico e magico insieme. Il nichilismo che prepara il risorgimento, il “risorgimento dell’anima” che Leopardi tanto desiderava dopo l’esperienza di profonda indagine sull’uomo, sulla natura, sulla morte nelle “Operette Morali”. Ma in una società che non si ferma ad indagare, che è invasa dall’apparenza, dalla corruzione, che respinge i diversi e le diversità, che produce diseguaglianze, che non assicura diritti civili né istruzione né cultura, sarà mai possibile un risorgimento? 6 verbo tardo latino “trenco trencare”, che significa appunto “battere con le mani”, “fare a pezzi”, “colpire intensamente”, “trinciare”. È assai meno probabile, come pure si è suggerito, che trins possa collegarsi al verbo “transeo transire”, dal quale deriva invece il nostro “trase trasite”, con la caduta del fonema oro – nasale che è frequente nel passaggio dal latino al “sermo rusticus” alto medievale; carica rins fa corpo con l’espressione precedente, ma qui il verbo carica, che è voce significativa e non una semplice sonorità di ritmo, sembra suggerire un implicito invito a insistere, a proseguire speditamente e con risolutezza nell’azione intrapresa. Si può ora passare agli elementi certi: - NOC è la forma sincopata dal latino NON HOC e significa “non questo”. Ricordo in proposito il largo uso che le nascenti lingue romanze fanno del dimostrativo latino HOC, in particolare per affermare o negare. Nel provenzale antico o Lingua d’oc il sì affermativo è reso con HOC EST, questo è, abbreviato dai parlanti in OC; - STOC è il pronome dimostrativo latino neutro ISTOC, forma sincopata di iste hoc, e sta per “questo qua”, “codesto”, “quest’altro”; - IESU MI, o ggesummì, è un vocativo della seconda declinazione latina. Il “mi” vocativo è forma classica e ricorre nella nota espressione “fili mi”, figlio mio!; - i,i… è l’imperativo del verbo “eo ire” e significa va’, vai. È stato usato dai nostri contadini fino ad epoca recentissima negli ordini che impartivano al cavallo aggiogato al calesse; - Dei è il genitivo di Deus e son (o) è il dativo di sonus soni, sempre della seconda declinazione dei nomi. Provo ora a tradurre. Mentre il dito di una mano batte rapidamente sulle dita o tra le dita di altre mani, si pronunciano queste parole, che danno il senso presunto dei primi due versi e la traduzione dei restanti: “batti batti batti forte, non questo, quest’altro o Gesù mio!, vai vai al suono di Dio”. Il significato dei termini latini sopra elencati e il senso generale del gioco a cui si riferiscono inclinano a ritenere che il ritornello possa tradursi nel modo che si è detto. Resta inteso che sarà utile il contributo di chi avesse ulteriori elementi di conoscenza o nuove ipotesi da proporre. LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 I diari della Colonia Montana di Monte Leuci ...dal numero precedente di ANGELO NICOSIA • Per la migliore riuscita dell’impresa della Colonia di monte Leuci fu mobilitata tutta la struttura della federazione provinciale del partito, di cui il Bergamaschi era segretario, e le locali sezioni inviavano i bambini dai più svariati paesi della provincia, Paliano, Fiuggi, Alatri, Frosinone, Vallecorsa, Sora, Alvito, Cassino, Viticuso, ecc. Con una lettera circolare (a firma del “Fondatore”), inviata a tutte le sezioni, si specificava “che ogni bambino ammesso alla Colonia, dovrà essere fornito: a) di una borsa bianca, con il nome e cognome; b) uno spazzolino per denti; c) un paio di sandali; d) un pettine fitto (per i maschietti), oppure un pettine fitto ed uno largo (per le femmine)… i maschietti dovranno presentarsi con i capelli rasati e le femmine con i capelli corti”. Inoltre le disposizioni prevedevano che all’arrivo i bambini “dovranno essere lavati e vestiti e poi condotti a mezzo di una guardia in Colonia”. A tal fine la sarta I. Panaccione aveva “confezionato all’inizio della colonia, cento vestitini per i coloni”, oltre a 30 coperte e 16 grembiuli “per le assistenti e donne di fatica”. I bambini ammessi avevano un’età compresa tra 6 e 10 anni, e, come ricordava Bernardino Pulcini nel suo libro, “la colonia era preclusa a chi non fosse figlio di fascisti o di simpatizzanti fascisti”. La loro permanenza era strutturata in tre turni: I° turno 5 luglio/5 agosto, II° turno 5 agosto/5 settembre III° turno 5 settembre/5 ottobre; ma dopo il 1933 i turni cambiarono e si ridussero a 2. Al primo turno del 1932 i bambini furono 50; in seguito il numero di bambini per turno oscillò tra i 42 e i 70. A gennaio del 1933 furono completati anche gli ultimi lavori nell’annessa chiesa: quella data infatti si leggeva accanto al nome del pittore Raffaele Solmonte che aveva eseguito le pitture dell’abside (pitture purtroppo brutalmente eliminate nella recente ristrutturazione dell’edificio). Nel 1933 l’attività della colonia passò decisamente sotto il controllo monacale: direttrice era suor Elena Iannucci (delle Adoratrici del Preziosissimo Sangue) e le monache, ad esempio, si occupavano del pranzo per i bambini in partenza a fine turno. Il 5 agosto di quello stesso anno 30 bambini giunsero anche da Roma per il secondo turno. Ma dall’anno successivo l’attenzione e la presenza diretta del fondatore Bergamaschi subirono un rallentamento a causa dei suoi nuovi impegni a Roma. Nel 1936 i bambini della colonia raccolsero i loro “diari” su un quaderno. Si tratta ovviamente solo dei pochi bambini e bambine “più capaci” di scrivere. La violenza psicologica della retorica esercitata dal regime e dal fondatore della colonia si mescola alla tenerezza e alla ingenuità dei piccoli autori. Ne riporto di seguito solo alcuni, lasciando inalterata la grafia originale e senza commenti (solo che sarebbe auspicabile evitare, oggi, di denominare ancora gli edifici comunali di monte Leuci con quel nome “privato”: certa storia è bene conoscerla proprio per non ripeterla!). Giorni fa Mentre giocavamo la Direttrice ci ha chiamato e ha detto che la figlia di S.E. Benito Mussolini stava gravemente. Di corsa siamo andate tutti in chiesa e abbiamo pregato con devozione. Tutte le sere prima di metterci a letto inginocchiati sul lettino abbiamo pregato di cuore il buon Gesù, e dopo ci mettevamo a dormire pensando al Duce e alla sua bambina. Quando venne il sacerdote a dire la S. messa io mi sono fatto apposta la comunione per la salute di Anna Maria e ho pregato molto in quel momento e ho detto a Gesù: -Gesù fa guarire la figlia del Duce perchè il Duce salva tanti bambini quando li manda alle colonie. Gesù salvala proprio, il Duce non deve soffrire- Salvala Gesù buono! Gesù l’ha aiutata e ora Anna Maria sta bene. Signore Benedici il Duce e la sua famiglia. Ambrifi C. piccola Italiana di Mussolini Quest’anno sono ritornata in colonia, e ho trovato tante bellissime cose nuove che lo scorso anno non c’erano. Io in colonia mi ci trovo bene e tutto il giorno canto, rido, giuoco e mangio con appetito. Mangio quel pane fresco, fresco che odora come un biscotto ne mangio tanto e me ne danno quanto ne voglio. A me piace la vita della colonia; mi piace la ginnastica e specie gli esercizi respiratori mi piace di passeggiare per la montagna e di cogliere tanti fiori da portare in chiesa e da mettere vicino al monumento della Sig.ra Clementina. Io in chiesa prego tanto per il Duce Fondatore dell’Impero che pensa e provvede per i bambini poveri e prego per tutti i benefattori e dico Al Signore che dia loro una lunga e buona vita. Monte Leucio è una bellezza; ci sono le caprette, i conigli bianchi come la neve e se me ne regalassero uno lo porterei pure a letto con me. Quei conigli gli sto sempre a fissare e mi sembrano palle di neve. Ne vorrei proprio uno! vi sono gli asinelli i cavallucci e i bimbi si divertono. Un bambino si è messo a cavallo e ha detto: -Io sono il Negus che scappa!- E’ dovuto scappare davvero se no i compagni l’ammazzavano. Quassù la giornata scappa in un minuto e chi vuole la salute a monte Leucio deve salir. Ambrifi E. Il cappellano ci ha fatto vedere il cinematografo. C’era Charlot con certi piedi curiosi! 7 Faceva il cameriere e combinava tutte cose buffe. Le figure uscivano da una macchina e scappavano sul lenzuolo, ma io non le vedevo quando uscivano da quella macchina e non sapevo capire. Poi me l’ha spiegato la Signorina. Io vorrei vedere sempre il cinematografo e vorrei avere una macchina per farlo da me. Silvestri L. Balilla di Mussolini. Domenica 26 siamo scesi a Pontecorvo. da una settimana stavamo sognando questa passeggiata e la notte per la gioia non abbiamo neppure dormito. Di buon’ora ci siamo alzati e dopo aver ascoltata la messa e fatto colazione abbiamo cominciato a scendere la montagna. Era una giornata bellissima e tra canti e risate siamo giunti subito a valle dove ci aspettava un autobus che in pochi minuti ci ha portati in paese. Là in squadra, al rullo dei tamburri e al suono della tromba abbiamo cominciato a sfilare per recarci al monumento. I tamburrini e i moschettieri marciavano come soldati. Come erano belli! Tutti gli ammiravano e loro camminavano fieri e impettiti come militi. Per le vie cantavano e la gente si affacciava alle finestre per vederci. Arrivati alla lapide dei caduti con una bella cerimonia abbiamo deposto la corona e siamo andati sul municipio dove ci hanno dato i dolci che abbiamo mangiato con grande gioia. Dopo esserci fatta la fotografia ci siamo avviati verso il cimitero per rendere omaggio alla tomba della Sig. Clementina la buona mamma del Fondatore. Al cimitero abbiamo pregato tanto e qualcuno ha pure pianto. Abbiamo fatto l’appello: -Clementina Bergamaschi- e tutti i coloniali con voce alta abbiamo risposto: Presente- e poi siamo stati un momento in silenzio. Ed io pensavo a quella buona Signora e dicevo: Non la dimenticherò mai, sarà sempre ricordata nelle mie preghiere. Dopo siamo andati alla villa del Fondatore e ci hanno dati i biscotti ed io ho visto pure l’ultimo bimbo dell’Onorevole era un lupetto proprio bello. Siamo quindi andati alla colonia Fluviale per farci il bagno. Abbiamo attraversato il fiume sul barcone, come era bello! Io avevo un po’ di paura però mi piaceva. In quella colonia c’erano tanti bambini ma non erano svelti come noi. Ci siamo fatto il bagno e nell’acqua abbiamo sguazzato come pesci. Poi siamo andati dalle suore a S. Biagio a mangiare e a riposare. Verso le cinque sempre inquadrati abbiamo ripreso la via del ritorno. E’stata una giornata piena di divertimento ed io non la dimenticherò. W IL DUCE che fa divertire i bambini. Ceccarelli L. Piccola Italiana di B. Mussolini. Dopo cinque giorni dall’arrivo furono scelti sei moschettieri i più bravi fra i quali sono anche io. Sono fiero di essere capo squadra dei moschettieri. Prendere il moschetto, comandare non mi sembrava vero non vedevo l’ora. Vorrei proprio che mi vedessero i miei marciare così fiero testa alta, dritto, mi sembra di essere un vero soldatino, cintolone a tracollo, baionetta al fianco, moschetto alla spalla. Chissà quando sarò grande che sarò soldato di Mussolini la gioia di andare in guerra per difendere la Patria se essa mi chiama. Io gia so fare molte cose, innestare la baionetta fare il presenta armi e marciare, svelto e pronto, come il Duce vuole. DUCE A NOI! W IL RE IMPERATORE! W IL DUCE LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 8 Aquino All’insegna di San Tommaso I pacchi a scuola come ad Affari tuoi Tra borgo e castello • Tre regali sotto l’albero per gli studenti delle scuole medie. Il quarto è atteso per l’anno prossimo. Il primo, importante non solo per l’apparenza ma soprattutto per il decoro che l’istituzione scolastica rappresenta, è in consegna in questi giorni: aule tinteggiate come nuove. Di questi tempi, un vero presente natalizio. Il secondo, per gli studenti meritevoli e per coloro che i genitori hanno ritenuto opportuno, l’avvicinarsi sempre di più alla fatidica data, fissata per la fine di gennaio, per la settimana di sport e cultura sulla neve. Il terzo, di portata ancora maggiore, la conclusione di un progetto: “Taglia corto con la droga” che metterà, nella sua ultima fase, i ragazzi alle prese con la realizzazione di un cortometraggio da organizzare in orario aggiuntivo. Tre regali dal sapore diverso. Già dallo scorso anno gli enti preposti avevano dato avvio all’opera di ripulitura delle aule delle scuole, non completando tuttavia tutto il lavoro. Quest’anno dalla fine del mese di novembre è in corso la seconda tranche di appalto. Tra innovazioni riguardanti il settore istruzione, problemi di sicurezza nelle scuole, scioperi e dibattiti a tema, la pulizia dei muri, dei bagni e dei corridoi mette d’accordo proprio tutti: dagli studenti ai collaboratori, dai dirigenti ai professori, ai genitori. Ancora purtroppo c’è molto da fare per rendere più funzionali le sedi scolastiche, gli studenti delle medie San Tommaso lamentano la mancanza di una vera palestra, ad esempio. Ma qualcosa si muove. E non è poco. C’è poi il secondo regalo, quello più atteso, più desiderato. Chi, nella propria carriera scolastica, non ha desiderato di partecipare ad una gita sulla neve di più giorni, dove l’imperativo categorico fosse imparare a sciare e stare insieme con i compagni? Per cinque giorni lo studio viene affrontato in modo diverso. Ad essere al centro del processo educativo non è infatti l’apprendimento “vis a vis”, quello dal significato più tradizionale, ma il saper essere autonomo, lontano da casa; il saper rispettare gli orari, il saper ascoltare gli accompagnatori, il saper recepire e, magari con (legittime) difficoltà, il saper mettere in pratica le indicazioni del maestro di sci. Una settimana sulla neve per un ragazzo delle scuole medie rappresenta dunque una grande occasione, culturale e sociale. Rappresenta un’opportunità in più per crescere • Sabato 13 dicembre si è svolta la “Giornata per la valorizzazione del Borgo e del Castello di San Tommaso”. Una manifestazione organizzata dall’Amministrazione comunale in collaborazione con i giovani dell’Associazione COSMOS. Intorno alla grande Torre, tra la Piazzetta dei Conti di Aquino e la Via San Costanzo, tra i numerosi stand, gli aquinati e i numerosi ospiti dei paesi vicini hanno trascorso il pomeriggio e la serata, fortunosamente graziati dalla pioggia, girovagando nei vicoletti e nelle vecchie “cantine” aperte per l’occasione. Musica popolare, tradizioni, piatti tipici, mercatini di Natale, il Falò di San Tommaso, il momento culturale e le “Alici di San Tommaso” ne sono stati il corollario. Nell’affascinante salone del Palazzo dei Conti di Aquino-Casa di San Tommaso il “momento culturale” è stato contrassegnato dalla presentazione del bellissimo volume degli “Atti della Giornata di Studio ‘Spigolature Aquinati’”, che si era tenuta nello stesso luogo il 17 maggio 2007; a tutti i presenti è stata offerta una copia del libro. Aspettiamo, quindi, la manifestazione del prossimo anno, con nuove sorprese, per tenere sempre vivo il ricordo del “Borgo e del Castello” che nel secolo XIII veniva illuminato dalla presenza del “Dottore Angelico” San Tommaso d’Aquino. di STEFANIA TURCHETTA e, perché no, per contribuire a completare quell’album, fatto di immagini indelebili, che sono i ricordi che ciascuno, da studente, ha del proprio percorso scolastico. Un album le cui immagini, nel tempo, diventano bellissime epifanie di un’adolescenza che non tornerà più. Il terzo regalo è quello più lungimirante: la possibilità offerta ad ogni studente delle classi terze di conoscere un po’ meglio il problema della dipendenza dalle sostanze stupefacenti, così da poter dire un giorno “no, grazie”. E’ il progetto più ambizioso, perché purtroppo, tra tanti studenti eccellenti, fuoriclasse, outsider o anche mediocri c’è sempre una percentuale che non ce la fa. Che per un insieme articolato di motivazioni entra nel vortice senza uscita delle tossicodipendenze. Allora ben venga la possibilità offerta alla scuola di aprire una finestra su una delle più difficili problematiche dell’adolescenza, così da integrare le conoscenze scolastiche. A gennaio è prevista la fase conclusiva del progetto iniziato ad ottobre. L’anno prossimo, sotto l’albero però servirebbe un quarto regalo. Chi è preposto al ramo, nell’albero dei politici, può e, si potrebbe azzardare, deve impegnarsi per farlo: proporre un percorso per gli studenti in cui al centro venga posta la sicurezza sulla strada. A tredici anni gli adolescenti si trovano nell’anticamera della prima conquista: il motorino, lo scooter o le mini car. Perché allora non provare da subito a formare una nuova generazione in cui il valore più alto sia quello della vita, dell’amore per se stessi, e non quello della velocità? Sulla strada, tranne che in formula uno, il più bravo è quello che arriva a destinazione. La competizione, quella sana, è per ottenere un meritato 10, per conseguire la laurea con lode, per trovare un’occupazione. Si tratta di un progettino, niente più. Per i politici si contempla di una proposta e una delibera, che nessuno si guarderebbe dal criticare in sede di approvazione. Un progettino che ha una valenza enorme perché potrebbe contribuire a formare una nuova classe: quella dei prudenti. Dante, senza troppi indugi, li ha inseriti nel paradiso, al 13° canto. La prudenza non era quella in questione, ma quella nel parlare. Significa comunque che la prudenza viene considerata, da sempre, una virtù importante. Un valore da promuovere. Appuntamento dunque all’anno prossimo, con il quarto pacco. LALUCERNA 9 NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Crisi del commercio la ricetta per un rimedio • E’ appena nata l’ACAP, l’associazione dei commercianti e degli artigiani di Pontecorvo, e già comincia a far sentire la sua presenza nel tentativo di ottenere dall’unione coesa di tutti gli associati una auspicabile ripresa del settore nella nostra città. L’ACAP si è infatti costituita nel giugno di quest’anno e ha preso ad operare, di fatto, solo al termine delle vacanze estive e quindi tra settembre ed ottobre, ma conta già più 100 aderenti iscritti facendosi promotrice di una prima iniziativa battezzata ”Christmas shopping”. Nonostante la crisi, quest’ultima ha assunto tutte le caratteristiche di una vera e propria promozione, voluta e concordata da 93 esercizi commerciali del paese, e che si è svolta nella settimana dal 7 al 14 dicembre per incentivare le spese natalizie all’interno delle mura. L’iniziativa si sarebbe poi conclusa con una simpatica gior- “Satira e antisatira” Cafoneria e nobiltà ovvero cafoni nobili e nobili cafoni nata attraverso l’Arte i Sapori e la Tradizioni: una passeggiata tra banchetti dell’artigianato locale in abbinamento a degustazioni di prodotti tipici che, lungo il Viale di Porta Pia, avrebbe condotto fino al Belvedere invogliando così i visitatori a soffermarsi per portare a termine i loro acquisti. Non a caso abbiamo usato il condizionale perché, a causa delle avverse condizioni meteorologiche, quest’ultima iniziativa è stata invece sospesa per non rischiare di finire in un flop. “Non si poteva giocare al buio come in una partita di poker - commenta il presidente di ACAP Antonio Marchetti - era questa la prima occasione per portare alla luce la volontà della nostra Associazione di ottenere successo da ogni iniziativa e il rischio che avvenisse il contrario era troppo grosso viste le piogge torrenziali che si sono riversate sul nostro territorio in questi ultimi tempi. Ci siamo quindi riservati di riproporre questo incon- tro in data da stabilirsi fermo restando che è nostra intenzione fare in modo che esso diventi un appuntamento costante con la cittadinanza per invogliarla agli acquisti ed a preferire i nostri negozi piuttosto che quelli fuori porta”. Beh non è poco, diremmo noi, vista la mancanza di iniziative pubbliche almeno i privati e gli imprenditori cercano di organizzarsi dando non solo risposte ferme alla recessione in atto ma, addirittura, facendo promozione e rilanciando quindi i prodotti locali. Certo è pur vero che, prima di spendere inopinatamente una manciata di euro, ci sarà da fare i conti con i nostri stipendi, con le pensioni e poi con le tasse, i mutui e le bollette da pagare, ma la ricetta ci pare buona, se non altro perché propone di riqualificare e rilanciare l’ambito commerciale cittadino. Auguri all’ACAP e ai nostri commercianti. F.BIS. dai superstiti dell’antica e indomita Fregellae avvalora questa tesi. I primi abitanti del “pagus”, che pur dovevano sopravvivere, a cosa potevano dedicarsi se non a pescare nel Liri e a coltivare i terreni sul declivio del colle Civita? Beh, qualcuno potrebbe obiettare (mon Dieu!) che gli studiosi del passato locale avevano sottolineato, vuoi per rigoroso studio delle fonti, vuoi per giustificare la presenza di una classe di maggiorenti “ab immemorabile”, la presenza di “cives” e “rustici”. La cosa ci sta tutta e fino a quando è circoscritta per esaltare le glorie patrie la condividiamo, ma a patto che una vanità generale non diventi vanagloria “famigliare“! nella vita civile. I nobili erano l’esatto contrario. Tale precisazione è rivolta a taluni che, forti dell’assenza di documenti d’archivio, si attribuiscono origini fantastiche che sfiorano il ridicolo, patronati su cappelle, santi e madonne, e che hanno stemmi che sembrano croste di fine ottocento, dimenticando (in realtà non lo sanno) che più uno stemma è povero di simboli più antica è la Famiglia. Fottuti, quindi, dalla loro stessa becera arroganza, o ignoranza. Nobili in Pontecorvo per titolo affisso al cognome erano soltanto gli Aloisi Masella (conti) e i Lucernari (nobili e conti per possesso di feudi). Speriamo di aver contribuito, “ingenui lectores”, con queste nostre oziose divagazioni, alla crescita civile della nostra e di altre comunità simili, forti del motto “Rustica progenies sempre villana”. A buon inteditor…. di MASSIMILIANO MAGLIONE • Giorni fa ci è capitato di assistere involontariamente a una discussione tra amici… Nostro malgrado, abbiamo notato che ancora persistono forme e modi di dire che dovrebbero far parte di quella storia che magari non va dimenticata ma comunque superata. Ci riferiamo, per essere chiari, al termine “cafone”, utilizzato non per indicare un modo di porsi nei confronti del prossimo, uno stile di vita poco civile, ma uno status sociale. Cafone, dunque, è colui che si dedica e vive di agricoltura. La parola, infatti, nella sua etimologia (ca’ fune: ad indicare che con la fune si usava condurre il bestiame nelle fiere del cosiddetto campo boario) indica proprio quello, ma l’uso dispregiativo che ancora se ne fa, che è deplorevole. Chi ha studiato (nel senso che si sforza di capire con l’intenzione di progredire intellettualmente) sa bene che il ciociaro, e in particolare il pontecorvese, nasce “rusticus”. La leggenda, che consideriamo degna di rispetto, non foss’altro perché sono duemila anni che si racconta in città, che vuole Pontecorvo fondata Nella foto: “Il Contratto” di William Hogarth. Questo comunque non deve portarci lontano dalla sostanza che è sempre la stessa mentre quella che cambia è soltanto la forma. Le famiglie dei cosiddetti notabili in realtà altro non erano che subaffittuarie di altre famiglie potentissime (penso all’appalto del tabacco, punta di diamante della nostra economia). Perfino la famiglia Lucernari deve gli inizi delle proprie fortune ai subappalti! Abbiamo detto poc’anzi notabili e non nobili. Notabili erano coloro che, per censo, conducevano vita agiata, senza per questo aver avuto mai il riconoscimento della loro condizione da re o papi o grandi principi e, cosa più importante, senza aver condotto imprese o essersi distinti LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Charlot e l’Imperatore Ovvero: i poveri e l’ottimismo di IGOR PULCINI • Stanotte ho sognato Charlot, anzi ho sognato Charlie Chaplin che mi indicava Charlot dall’alto di un cumulo di macerie, ai bordi di una città fumosa e maleodorante. Charlot, di spalle, camminava mano nella mano col suo monello, immerso nella luce algida di una mattinata luminosa, la strada dritta come un giavellotto s’infiggeva nelle costole della montagna che contendeva all’orizzonte l’aura azzurrina della distanza. Molte montagne ancora da scavalcare per il povero Charlot, con la sua aria un po’ ingenua, ma solo un po’, ché i poveri per sopravvivere necessitano di una qualche attitudine all’astuzia. Bisogna saper improvvisare sul momento, essere rapidi nell’afferrare qualcosa da mangiare, procurarsi un letto al dormitorio, sfuggire al poliziotto di turno, perché i poveri hanno sempre qualcosa da temere dai poliziotti. Ma Charlot è Charlot, tutto questo lo fà con la grazia e l’innocenza di un bambino. E’ capace di sognare Charlot, e sogna quello che tutti i sognatori sognano, un mondo felice. E’ capace di innamorarsi Charlot e quando si innamora è amore vero, appassionato, definitivo come una condanna, ineluttabile come il destino. E’ bello Charlot, perfino elegante con il cravattino la bombetta e il bastone, con la sua andatura un po’ dandy un po’ strana e traballante, bisogna pur far ridere. E’ un povero perfetto Charlot, uno di quei poveri che fa piacere avere accoccolato sulla soglia del portone sotto casa, è un povero innocuo, non puzza, è educato e quando riesce a mangiare mastica sempre con la bocca chiusa. E’ un povero che piace sia ai ricchi, che si sentono rassicurati dalla loro ricchezza, che ai poveri, perché è fatto di celluloide per farci sognare, ridere, qualche volta piangere, fabbricato ad arte da quell’officina dei sogni che è il cinematografo. Questo mi indica Chaplin dall’alto delle macerie, sembra volermi dire che ha preso un uomo, gli ha tolto tutto tranne i sogni e lo ha messo lì sotto il sole e la macchina da presa a ricordarci chi siamo. Stanotte ho sognato un imperatore, uno di quei tristi figuri che ogni tanto la storia ci regala, basso di statura come Napoleone, la “crapa pelada” come Mussolini (canzoncina di Gorni Kramer - Crapa Pelada la fa i turtej no ghé dà minga ai soi fratej, i soi fratej fan la fritada no ghé dà minga a Crapa Pelada - la trovate qui: http://it.youtube.com/watch?v=2tUF5a1pD_) talmente pelato che si è fatto asfaltare la testa con i capelli di qualcun altro, chi sarà il donatore dei capelli dell’Imperatore? La questione è ancora aperta. L’imperatore è dotato di superpoteri, soprattutto è in grado di ipnotizzare moltitudini di sudditi semplicemente parlando del nulla, e i sudditi ricambiano con ovazioni e consensi e gli dicono “Bravo!” come nel Nerone di Ettore Petrolini (“Lo vedi? Quando il popolo s’abitua a ditte che sei bravo pure se nun fai gnente sei sempre bravo” - lo trovate qui: http://it. youtube.com/watch?v=oy7rgG-v_8E). Si circonda di nani e ballerine, la sua corte è costantemente in festa, lui e tutti i cortigiani hanno un sorriso di plastica sempre incollato sul volto, amano il denaro, unica vera ragione della loro esistenza, detestano i negri, gli zingari, gli omo- sessuali, i poveri e i diversi di qualsiasi specie. L’Imperatore è riuscito a mantenere in vita qualche oppositore, si sospetta l’accanimento terapeutico, fa shic avere un po’ di opposizione, e poi volete mettere il sottile piacere di seviziarla come i bambini fanno con le lucertole? Tuttavia si tratta di oppositori che riescono talmente bene a litigare fra loro che non costituiscono alcun reale pericolo per l’Imperatore, inoltre la loro unica segreta speranza sembra essere quella di diventare a loro volta Imperatori, e infatti adottano lo stesso linguaggio, il loro capo parla americano (america’ facce Tarzan! – lo trovate qui: http://it.youtube.com/watch?v=UWHV2tcdwQ) e si dice creda di aver vinto le elezioni americane, i suoi glielo lasciano credere lui è contento e loro possono continuare indisturbati a darsi le ditate negli occhi, unica ragione della loro esistenza. In questa situazione i sudditi si impoveriscono sempre di più, tra la Corte che gozzoviglia e si fa i fatti suoi e gli oppositori che si baloccano fra loro, nessuno sta lì a decidere qualcosa di una qualche utilità per il paese. Così l’Imperatore con un colpo di genio sfodera il più potente dei suoi superpoteri: la sparizione. Già si era allenato con alcuni cumuli di immondizie fatti mirabilmente sparire da un giorno all’altro con uno schiocco delle dita, ora doveva far sparire la povertà. 10 E dunque giù di ipnosi collettiva, di appelli all’ottimismo, di barzellette sceme sciorinate con disinvoltura ad ogni occasione, di scherzetti stupidi ai ministri di altri paesi. Stiamo allegri! Tutto va bene! Spendete! Comprate! Ma cos’è questa crisi! (canzoncina che Rodolfo de Angelis cantava nel 1933, in pieno fascismo! “ Ma cos’è questa crisi para para pappa rapappa ppa”, la trovate qui: http://it.youtube.com/watch?v= A6lbIIQjIsU). Gli scienziati, che per l’occasione ricevettero un finanziamento straordinario dato che gli erano stati tagliati tutti i fondi per la ricerca, misero a punto un sistema di teletrasporto del sorriso. Avvenne dunque il miracolo, tutti ma proprio tutti cominciarono a sorridere, dello stesso sorriso sintetico dell’Imperatore. Il regno era stato liberato dal pessimismo e dalla povertà, era stato decontaminato, sterilizzato, deodorato, evirato, inebetito per sempre. Stanotte ho sognato tre poveri. Due di loro in realtà lavorano, uno è insegnante e guadagna 1300 euro al mese, ha moglie e due figli a carico, paga 900 euro di mutuo per la casa, le banche gliel’hanno aumentato a tradimento, e con il resto riesce a stento a sopravvivere. L’altro è un giovane, ammesso che si possa ancora essere considerati giovani a 35 anni, lavora in un call center con un contratto a progetto, prende 450 euro al mese e non potrebbe sopravvivere se non alle spalle della vecchia madre pensionata, in una casa in affitto che prosciuga metà delle già scarse risorse familiari. Il terzo infine non ha niente, ha perso il lavoro, la casa, la moglie se n’è andata col figlio di un miliardario. Lui vive per strada, riesce ancora a mantenere un certo decoro con l’ultimo vestito logoro e sdrucito per le notti passate all’aperto sotto i cartoni. Mi guarda con un sorriso ironico e intelligente, canticchia una canzoncina: “…sempre allegri bisogna stare ché il nostro piangere fa male al Re, fa male al ricco e al Cardinale, diventan tristi se noi piangiam…” la trovate qui:http://it.youtube.com/ watch?v=J2MzOygu4ao. LALUCERNA Cuore stringe S NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 lo scaffale di ELISA CANETRI 11 Opera prima di Antonella Mollicone • Il 5 gennaio 2009 alle ore 17.00 presso il Salone di Rappresentanza dell’Ente Provincia di Frosinone (piazza Gramsci 13) sarà presentato il romanzo di Antonella Mollicone dal titolo Cuore Stringe, Edizioni Libreria Croce, Roma 2008 (prezzo di copertina € 15,00). La presentazione ha il patrocinio della Provincia di Frosinone, del Comune di Rocca D’Arce e del Comune di Arce. Elisa Canetri illustrerà la struttura del romanzo e introdurrà i vari interventi: della Dott.ssa Silvana Pedrini per le Edizioni Croce; della Prof.ssa Marcella Delle Donne (Ordinario di Sociologia delle Relazioni Etniche presso l’Università di Roma “La Sapienza” e tuttora impegnata nell’allestimento del Museo Demoetno-antropologico di Pontecorvo, in località Sant’Oliva, che sarà presto inaugurato), che fornirà la chiave di lettura per gli aspetti etnoantropologici della storia narrata e del suo multiforme ambiente (Roccadarce, Arce, ma anche en passant Aquino, Pontecorvo, etc.); del Prof. Luigi Gulia (Preside del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Sora), il quale tratterà gli aspetti della espressione linguistica, dai tratti originali e concreti. L’attore Daniele Valmaggi darà voce ad alcuni brani tratti dal romanzo. Sarà presente anche l’artista Claudia Chianucci, alla quale si deve la creazione dell’immagine di copertina, che esprime figurativamente l’essenza del romanzo: il lungo e tortuoso percorso della storia e la sua trasmissione da madre a figlio. L’autrice del romanzo, Antonella Mollicone, è nata a Sora, è cresciuta a Roccadarce e vive ad bastaaprire un libro Arce, tra le colline del Lazio Meridionale. Laureata in Lettere Classiche, si è specializzata in Archeologia Cristiana e si è impegnata in varie collaborazioni con Enti ed Istituti. Ha partecipato a scavi archeologici, anche nel Lazio Meridionale. È tuttora direttrice artistica del “Labirinto dei Musei” del Maestro, pittore e scultore, Vincenzo Bianchi. Tra le pubblicazioni di Antonella Mollicone: il volume Bibliografia del P. Antonio Ferrua S.I. (Edizione Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano, 2005); l’articolo Ricordando Angelo Silvagni a cinquant’anni dalla morte (in “Rivista di Archeologia Cristiana”, LXXXI, Edizione Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano, 2005, ma 2006) e Cronaca, Immagini, Pensieri (Artestampa, Roccasecca 2003). La letteratura è ora diventata l’attività principale di Antonella Mollicone: si occupa di servizi editoriali e sta per inaugurare una libreria-caffé a Sora, nella zona centrale della città (presso la chiesa di Santa Restituta, in via Lucio Gallo n. 13). Soprattutto, ha voluto affrontare l’esperienza della scrittura di un romanzo, che l’Editore Croce ha apprezzato per l’originalità della storia e per il linguaggio concreto e pungente, che trae linfa dalla tradizione e così ne riscopre e ne rinnova le radici. La narrazione si dipana tra le vissute e a tratti sofferte pagine di un diario in cui la madre in attesa racconta al figlio che sta per nascere la storia della sua famiglia almeno da tre generazioni con lo sfondo di fatti quotidiani e di eventi globali, il più delle volte drammatici e ineluttabili. Il romanzo narra la saga di due famiglie del Voglio guardare di FRANCESCO BISESTI • Qualcuno ricorderà come, alcuni mesi fa, sia comparso tra le nostre recensioni il nome di Diego De Silva. A questo autore napoletano avevamo associato il titolo del suo ultimo libro “Non avevo capito niente”, vincitore del Premio Napoli per la letteratura 2007. In quest’ultima giuria non c’ero, pur essendone stato un componente fin dagli albori della sua nascita nei lontani anni settanta, ma vi assicuro che oggi sarebbe stato molto meglio che ieri, se non altro per la miglior qualità delle opere in gara. Bene, ma tornando a De Silva, alcuni anni prima, e più precisamente nel 2002, era comparso il suo romanzo che, anche questa volta, abbiamo letto per voi “Voglio guardare”. Definirlo un giallo sminuirebbe in termini letterari la natura del libro che spinse Giuseppe Pontiggia a definire il suo autore “uno scrittore che, come i classici, ci restituisce la incomprensibilità delle cose”. Un legame improvviso, misterioso tra una sedicenne ragazzina ed un assassino scoppia, anche se preannunciato nella lettura stessa del testo, in un crescendo di tensione. Le loro due esistenze, ordinarie e malate, si rispecchiano così, pian piano, l’una nell’altra senza rumore. Celeste ha un suo segreto: ogni tanto, spinta non si sa da quale bisogno, scende sulla litoranea e aspetta: quando una macchina si ferma lei sale e poi…. Lazio Meridionale nel corso del ’900: da una parte i Mollicone che, dopo la loro evoluzione da contadini a commercianti infine a imprenditori, sono sopraffatti negli anni ’60 dal fallimento delle loro attività; dall’altra gli Antosi-Gesù che, dopo essere stati emigranti in Francia e aver sofferto la fame e la guerra in Italia, cercano il proprio riscatto in un discendente dei Mollicone, Diddino, primo laureato del paese e vicino alla socialdemocrazia. Negli anni ’70 Diddino viene forzatamente candidato a sindaco in opposizione a Ciccuccio, amico intimo di Andreotti: l’impegno politico e sociale non può però impedire né lenire lo scontro con la dura realtà della vita a causa di problemi giudiziari, oscure malattie dell’anima, un’aspra frattura generazionale. Si tratta di una ricostruzione storica accurata che, attraverso le alterne vicende della storia delle due famiglie e della storia d’Italia, permette all’autrice di offrire un affresco vivo e partecipato della condizione sociale del Lazio Meridionale durante tutto il ’900, tra le durezze dell’emigrazione, della fame, delle guerre, fino ai nostri giorni con la sua attualità e le sue fragilità. Il romanzo è dunque il ritratto corale di un sistema sociale reso con coerenza, con storie e personaggi che alludono ad un mondo in evoluzione, pur evocando atti, usi e linguaggi radicati con forza nella nostra terra. Davide Heller è un avvocato penalista, molto affermato, single dalla nascita e anche lui con un segreto: quello di aver ucciso una bambina proprio nel suo appartamento. Cosa spinge, alla fine, queste esistenze doppie ad instaurare un incomprensibile legame che le induce a cercarsi, aggredirsi e difendersi senza ragioni? Non vi raccontiamo nulla di più altrimenti non leggereste mai questo libro edito da Einaudi ed in vendita nelle migliori librerie al prezzo di 9,50 euro. Anche in questo vi siamo di grande aiuto, si può sempre leggere con poco senza strafare: il vino migliore sta sempre nelle botti piccole. LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Aquino e la Grande Guerra di COSTANTINO JADECOLA • Se il censimento del 1901 attribuiva ad Aquino 2.672 abitanti, quello di dieci anni dopo arrivava a contarne 2.813. Si trattava di numeri decisamente bassi che, però, per forza di cose, non potevano esimere Aquino dal dare anch’essa il proprio contributo in termini di esseri umani a quella tragica scommessa che fu la Prima guerra mondiale, una scommessa giocata sulla pelle di intendeva pubblicare l’elenco e le foto dei morti in guerra con le storie dei diversi paesi. Ma siccome alcuni di questi erano addirittura sprovvisti degli elenchi dei caduti e considerato che ogni sollecito risultò vano, alla fine mons. Bonanni rinunciò alle iniziative che aveva in mente limitandosi alla pubblicazione di Ricerche per la storia di Aquino e, per quanto riguarda i diversi diversi milioni di giovani tra cui, appunto, 410 aquinati, grosso modo il 15 per cento della popolazione del tempo.Al tirar delle somme, alla fine delle ostilità, 54 di essi, di cui 6 deceduti per cause dipendenti dalla guerra, cioè circa il 13 per cento della pattuglia, risultò uccisa in combattimento o dispersa. Tra gli altri, il tenente Felice Venditti (24 anni) ed il sottotenente Giovanni Vincenzo Pelagalli (22) che avevano entrambi frequentato il glorioso “Tulliano” di Arpino ed ai quali, secondo le scarne informazioni di cui si è in possesso, sarebbe stato fatale il 18 giugno 1916. Fu in questo giorno, infatti, quello in cui Venditti perì in valle Listaro, peraltro tenente di fresca nomina, e di Pelagalli si perse ogni traccia, al punto di essere considerato disperso, anche se è ritenuta certa la sua partecipazione ai combattimenti avvenuti sul monte Zovetto. Quanto agli altri aquinati, 33, circa l’8 per cento, furono gli invalidi e i mutilati, cioè coloro i quali si portarono dietro per il resto della vita i segni palpabili di quella vicenda, mentre in 36 patirono le conseguenze della prigionia, 32 in Austria e 4 in Germania. Se siamo a conoscenza di queste informazioni è grazie anche a mons. Rocco Bonanni (Aquino, 21 novembre 1860-11 novembre 1928) il quale, alla notizia “della morte dei primi nostri cari Soldati”, scrive nella prefazione a Ricerche per la storia di Aquino cominciò ad accarezzare “l’idea del dovere a guerra finita, onorare gli Eroi che si immolavano per la libertà e per la grandezza della Patria diletta!”, non solo di Aquino ma di tutti i comuni della sua diocesi (Arce, Castrocielo, Colle San Magno, Esperia, Pico, Piedimonte San Germano, Rocca d’Arce, Roccasecca, San Giovanni Incarico, Santopadre, Terelle e Villa Santa Lucia). Nell’immediato il sacerdote fu sommerso da “un cumulo di lettere ed un coro di lodi”. Al dunque, però, “solo due o tre Comuni” e “fra i più piccoli” riuscirono a soddisfare le sue attese (Monografie storiche). In buona sostanza mons. Bonanni comuni della diocesi, di Monografie storiche e concentrando quindi tutto il suo impegno per la realizzazione ad Aquino di un monumento ai caduti che, peraltro, aveva anche immaginato a grandi linee: “nel concetto di massima (e non di dettaglio) sarà formato nella parte integrale da lapidi con antiche iscrizioni, da pietre con ornato, da pietre nere (lapis niger), da colonne, sarcofaghi, da urne e vasi antichi, in modo da essere unico nel suo genere nella nostra Regione. Su di una colonna antica di granito vi sarà posto un gallo di bronzo in atto di cantare (come nella notte annunzia il giorno, così sulla morte degli Eroi canterà ed annunzierà la pace, il premio, la gloria e la vita di Essi in Cielo presso il Dio degli Eserciti) con una stella dietro la cresta (è lo stemma antico di Aquino). Una o due piccole piramidi verranno formate con pietre autentiche, venute dall’Albania, dalla Francia. dal Trentino e dalla Venezia Giulia; il cemento idraulico sarà impastato colla sabbia del Piave. I ritratti in smalto, di tutti i Caduti di Aquino, coi rispettivi nomi, cognomi e paternità orneranno il Monumento.” Per “l’attuazione dell’opera grandiosa” viene costituito un apposito comitato che poi è lo stesso che in tempo di guerra era il “Comitato per l’Assistenza dei militari combattenti” (“Mgr. Rocco Bonanni presidente, Mgr. Francesco Morelli vice presidente, R.mi Canonici Don Giuseppe Fortuna, Don Tommaso Di Marco, Don Tomaso Fortuna e Don Michele Venditti. Sigg. Quagliozzi Aurelio, (ora studente universitario in Napoli), Antonio Mazzaroppi (ora Brigadiere nei Reali Carabinieri), Guido Santopietro (morto in guerra combattendo), Giuseppe Santo, Alessandro Iadecola, Costanzo Iadecola (gemelli, ex tenenti di Fanteria), Giuseppe Manna (ex prigioniero), Pietro Manna (ex Caporal Magg.), Luigi Pelagalli (ex tenente Fanteria, ora studente universitario in Roma), Rocco Di Sotto (ex combattente, ora in America) e Claudio Pagliuca (ex combattente), Magnapera 12 Antonio (ex prigioniero) ora ad Albona presso Fiume”). Alla fine, però, l’ambizioso progetto resta tale ed il monumento ai caduti, beninteso del tutto diverso da quello che Bonanni aveva immaginato, avrebbe avuto concreta attuazione solo diversi anni più tardi. Piuttosto originale nella struttura, era, infatti, costituito da una lunga antenna metallica avvolta nella parte inferiore da un fascio littorio ed ancorata ad una base in muratura sopraelevata di circa un metro di altezza rispetto al piano circostante nel contesto di un’area delimitata da otto involucri di bomba collegati tra loro con grosse catene in ferro. Sorgeva in piazza Pasquale Pelagalli, come allora si chiamava l’attuale piazza San Tommaso, grosso modo dove oggi è situato il monumento a San Tommaso, ma a livello del sagrato, ed era stato inaugurato in occasione dell’anniversario della vittoria del 1930. Oltre al contributo di mons. Rocco Bonanni, che destinò all’iniziativa il ricavato dalle vendite di Ricerche per la storia di Aquino, non può, però, dimenticarsi quello, rilevante, di tutti gli aquinati ai quali, per ovvi motivi, la realizzazione del monumento stava molto a cuore e che contribuirono perciò concretamente alla sua costruzione anche con una lotteria finalizzata alla raccolta di fondi cui aderì lo stesso Mussolini che per la circostanza inviò un portasigarette di argento. Intanto, però, Aquino non si era dimenticata della guerra e dei suoi protagonisti ed aveva dedicato una delle strade più importanti al Soldato Ignoto in concomitanza con il trasferimento all’Altare della Patria della sua salma. “Gli (Segue a pag. 11) LALUCERNA Aquino e la Grande Guerra NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 13 (Segue da pag. 12) Aquinati”, come ancora si legge in una lapide posta sul vecchio torrino di riporto dell’acquedotto, “auspice il sottocomitato, glorificando il valore dell’esercito italiano che l’Italia nostra rese grande e temuta onorano il Soldato Ignoto questa via a lui dedicando”. Era il 4 novembre 1921. Oltre quelle cui si è fatto cenno, di quell’evento sconvolgente non è che restino molte altre testimonianze. Assume, perciò, una sua importanza la foto che il sig. Giuseppe Conte inviò al giornale La Voce di Aquino e che questo poi pubblicò (anno II, nn.7-8, febbraio-marzo 1970). Secondo informazioni fornite all’epoca dallo stesso Conte, doveva essere il 1917 quando la foto venne scattata, forse in occasione di un casuale incontro nella natia Aquino di un gruppo di “ragazzi del ’99” (o giù di li) che, profittando di una convalescenza o di un permesso, erano tornati momentaneamente a casa dal fronte. Quanto, invece, all’identità delle persone fotografate, anche se non è stato possibile individuarle singolarmente, si può tuttavia affermare che nel gruppo ci sarebbero Ettore Blasi, l’avv. Giovan Battista Bonanni, mons. Rocco Bonanni, Tommasino Bonanni, Antonio Caprio, Innocenzo Caprio, Giuseppe Conte, Innocenzo Cristi, Libero De Santis, Giovambattista Di Branco, mons. Giuseppe Fortuna, il dott. Francesco Fusco, Augusto Insardi, Guido Insardi, Antonio Magnapera, Peppino Marsella, Antonio Mazzaroppi, Loreto Pagliuca, Bernardo Pelagalli, l’ing. Francesco Pelagalli, Giuseppe Pelagalli, Pasquale Pelagalli, Ernesto Pellecchia, Raffaele Pellegrini, il dott. Celestino Quagliozzi, Antonio Raso e Vincenzo Secondini. Si è ben consapevoli del fatto che fra Aquino e la Grande guerra potrebbero esserci state ulteriori relazioni e, dunque, che le cose dette sono di sicuro non esaustive dell’argomento. C’era, però, necessità di dirle perché l’inesorabile fluire del tempo - sono ormai passati novant’anni - allontana sempre più dalla memoria certi ricordi, affievolendoli. Specie quelli riferiti proprio alla Prima guerra mondiale della quale si è soliti parlare sempre in termini generali, e spesso retorici, forse a causa dell’evidente difficoltà nel reperire informazioni particolari. Come quelle di cui si è appena detto. L’Associazione Culturale La Frontiera Lungo un antico confine di FERDINANDO CORRADINI • Già da qualche anno, a Pastena, si è costituita l’associazione culturale denominata La Frontiera, presieduta da Vincenzo Roma. Come si rileva anche dal nome, scopo principale dell’associazione è quello di promuovere manifestazioni e iniziative culturali su fatti, eventi e tradizioni sul confine che delimitava il Regno delle Due Sicilie, di cui Pastena faceva parte, dallo Stato pontificio. Tale confine, di cui lo storico inglese Georgina Masson ha scritto che “fino al momento dell’unificazione italiana era la più antica frontiera europea”, ha, infatti, profondamente inciso sulla realtà culturale dell’odierno Lazio meridionale. A tal fine, gioverà ricordare il pensiero dello scrittore di Pico, Tommaso Landolfi, che, nel rivendicare l’appartenenza del suo paese all’antica provincia di Terra di Lavoro e al Regno delle Due Sicilie, così ebbe ad esprimersi: “di qua Longobardi, Normanni, Angioini, di là papi e loro accoliti; di qua una lingua di tipo napoletano-abruzzese, di là una specie di romanesco suburbano; a non tener conto poi di tutto il resto…”. Come ha, peraltro, evidenziato lo storico cepranese Giovanni Colasanti tale linea di demarcazione ancora oggi delimita le più antiche istituzioni presenti sul territorio: le Diocesi. Anche le competenze territoriali dei Tribunali di Frosinone e di Cassino si conformano al confine quasi come se ancora esistesse, così come i rispettivi distretti telefonici, connotati il primo dal prefisso 0775 ed il secondo dallo 0776. Analogamente, in provincia di Latina, i Comuni ex regnicoli sono riconoscibili dal prefisso 0771 e quelli ex pontifici dallo 0773. Non sarà fuor di luogo, tuttavia, ricordare come Pontecorvo e Benevento costituivano delle enclave pontificie nel regno di Napoli. Fra le altre iniziative, ogni anno, l’associazione organizza due serate in prossimità della fontana posta alla località Cavatelle, proprio a ridosso della frontiera, lungo l’antico tratturo che ancora oggi collega la ex borbonica Pastena alla ex pontificia Castro dei Volsci. In tali occasioni si possono degustare piatti tipici dagli ineguagliabili sapori: zuppa di pane duro con verdure, salsicce, formaggio, olive, patate, frittate. Si è ricostruita quest’anno una piccola fattoria con mucche, capre, cavalli e maiali e avviata la produzione delle caratteristiche “marzelline”. Un tema di ricerca e di studio dell’intera area ha per oggetto il Brigantaggio, fenomeno particolarmente diffuso lungo la frontiera, infestata in quell‘epoca da temibili figuri. Molte escursioni vengono spesso organizzate sull’intero confine e, questa volta, si è provveduto a riposizionare la colonnetta n. 97 che da tempo giaceva al suolo. I cippi di confine, infatti, sono numerati progressivamente dal Tirreno verso l’Adriatico. Essi recano inciso verso Roma lo stemma pontificio, costituito dalle chiavi incrociate, e, verso Napoli, un giglio stilizzato, emblema dei Borbone. Gli stessi sono stati oggetto di un approfondito studio da parte di Antonio Farinelli e Argentino Tommaso D’Arpino, che hanno dato alle stampe nel 2000 un pregevole scritto dal titolo Testimoni di pietra. Storia del confine tra Regno delle Due Sicilie e Stato Pontificio, e hanno messo a disposizione dell’associazione le loro conoscenze sulla materia. Il tutto in una cornice che tende ad esaltare la cultura contadina, che, per secoli, ha dominato nella valle del Liri, e che, negli ultimi decenni, è stata accantonata in conseguenza dell’adozione di nuovi modelli economico-sociali e culturali. le invasioni barbariche LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Elogio della racchia di SANDRO ZONFRILLI • Cari amici lettori, se dovessimo quotarla in borsa, anche in questi tempi di profonda crisi, la racchia avrebbe i titoli sempre alle stelle. Sia con la nuova che con la vecchia economia. E’ di una utilità unica: confidente delle “belle”, ruffiana con gli uomini, è sempre disponibile; vi telefona spesso, chiede il vostro parere, fornisce suggerimenti ed elemosina uno sguardo libidinoso. Non lascia adido, nel vestire, alla minima pecca: in genere tailleur che slanciano e fanno tanto donna, ma anche jeans e maglione colorati, molto colorati. E’ troppo magra o troppo grassa, eccessivamente larga o con il vitino da vespa; in genere bassa, ma anche allampanata. Sicuramente brutta. Ed ora, immaginate dove vanno a chiudersi quelle gambe pelose che, quando è seduta, molto generosamente offre alla vostra vista; o il fucsia delle sue mutande che disturba non i vostri sensi, ma il vostro stomaco, che fino ad allora digeriva pure le pietre! Bene, a farne le spese è il gelato, che stavate gustando sino a quel preciso momento. Facciamoci i piatti nostri G LALUCERNA Ma la racchia è furba, vi impone la sua presenza perché, immancabilmente, si accompagna alla più bella, alla più “fica” del circondario. Fanno coppia fissa. Il suo motto è: più mi vedono, più i difetti spariscono. Ed ha ragione, perché l’occhio si abitua, la percezione si affievola, la coscienza dimentica e … “li mortacci” … alla fine qualcosa di buono lo trovate! E poi parla, parla sempre. Voi speravate di ricevere qualche parolina dolce dalla bocca di rosa di Angelica, che sono due mesi che corteggiate, e quella, la racchia, vi dà una zampata da sotto il tavolino per attirare la vostra attenzione … “Scusa tanto, Antonio..” … intanto rivolge uno sguardo di complicità all’amica, come a dire: “Guarda che imbambolato … sono così piacente che questo bel maschione ha la testa tra le nuvole”. E questo proprio mentre state pensando ad Ovidio, e vi state ponendo l’annoso dilemma: “Mi faccio prima la serva per passare poi alla padrona, o il contrario, come suggerisce il Maestro?” Ed allora, combinate veramente il guaio: la guardate! I capelli, cresposi nonostante le infinite stirature, che sino a quel momento vi sembravano tanti lombrichi, cangiano la forma e diventano una nuvola di angioletti che, con cadenza ritmata, vi invitano ad una danza amorosa. Il naso adunco e butterato improvvisamente si modella come plasmato da un demiurgo folle; Venere, dispettosa, vi invia un’ondata di feromoni che vi stordiscono; due grossi seni iniziano un ditirambo impressionante: dum, dum, dum … Incominciate a vacillare. Quindi vi si avvicina come per sussurrarvi qualcosa di importante e, invece della solita zaffata di diabolico zolfo … sentite profumi di ciclamini e viole! Angelica piano piano si affievola, diventa evanescente ed entra nel corpo della racchia come in una dissolvenza incrociata. Vedete quelle labbra così vicine, tumide, gonfie, vermiglie e … perdete la testa. Il sangue vi pulsa forte nelle tempie … iniziate a sfiorare con un bacio impercettibile la Gastronomia di PIETRO MIELE • Ecco arrivato l’inverno e, con esso, il Natale, e noi sempre qui a pensare ai migliori piatti che la cucina possa offrirci in ciascuna stagione dell’anno. Ma sbaglia chi oggi possa immaginare degli standard per ogni ricorrenza, l’arte culinaria è bella e piacevole proprio per gli spazi che POLPA DI CINGHIALE CON MELA RENETTA E PATATE GRATINATE • Ingredienti per 4 persone: noce moscata (per patate), polpa di cinghiale 600 gr., vino rosso 1/2 lt., odori misti, 3 mele renette, liquore alla mela, pomodori pelati 200 gr., olio di oliva 50 gr., patate 500 gr., latte ¼, parmigiano 50 gr., burro 50 gr. Realizzazione: mettere la polpa di cinghiale a marinare con vino rosso e gli odori per almeno 12 ore, sgocciolare la carne, asciugarla e rosolarla in un tegame con olio e odori, bagnare con liquore alla mela, lasciare evaporare 14 sua guancia. Poi la “vera”Angelica si alza per andare un attimo alla toilette, la racchia sposta la sedia, vi si avvicina, voi siete imbarazzato e pregate tutti insieme Apollo, Mercurio e Tony Tammaro. E in un lampo di improvvisa coscienza, vi alzate e scappate via. Così avete perso Angelica e … pure la racchia! Ma la racchia non demorde. Figuriamoci se per così poco si possa abbattere! Nella faretra ha ben altre temibili armi. Il fatto sostanziale è che questo personaggio è conscio della sua “grazia”, ed è altrettanto cosapevole della pochezza dei maschi. D’altronde, le “bellone” lavorano a suo favore. Queste narcise ante – litteram sono soprattutto delle infelici perché, affascinate dal loro stesso ruolo e sicure di avere la bellezza per sempre dalla loro parte, sfioriscono immediatamente in un mare di guai. Non sanno scegliere e sono sempre depresse. A lei, invece, basta un uomo qualsiasi, tanto “sono tutti uguali” (così dice la nonna) ed ha ragione! L’uomo, il maschio, va usato. E con questa “filosofia” è solo questione di tempo. Bisogna solo trovarsi il più possibile dove sono i maschi, essere presenti, carine e comprensive, specialmente con quelli che sono stati lasciati da un’altra “concorrente”. E mettere in gioco tutte le possibili strategie, di cui la racchia è maestra. Quali sono queste strategie? Ne parleremo in una prossima puntata … apre alla fantasia, alla libertà di inventiva, alla possibilità di travalicare ogni schema purché nel rispetto di una regola fondamentale che rimane quella di vedere soddisfatto il gusto. Noi, che siamo tra i primi fautori di questo basilare principio, ci sforziamo di non tradirlo mai, anche in tempo di Natale. Ogni stagione dell’anno può servire, attraverso la cucina, a riportarci indietro, o avanti, nel tempo e quindi nelle stagioni, per riavvicinarci ai sapori che queste ultime portano con loro. Come al solito, ci preoccupiamo di darvi qualche consiglio sull’argomento, aggiungendo al consueto “buon appetito“! i più calorosi auguri di Buon Natale! ed unire il vino della marinata, il pomodoro e lasciare cuocere a fuoco moderato. A cottura ultimata togliere la carne e passare al passatutto il resto regolando la salsa ottenuta con sale. Pelare le mele renette e tagliarle a spicchi rinvenendole al burro. Tagliare la carne a fette e servirla con la suddetta salsa con degli spicchi di mela e una spolverata di cannella. Le patate pulite e tagliate a fette vanno sbianchite e sistemate a scalare in una teglia imburrata. Bagnare con il latte, spolverare con il parmigiano, burro fuso e gratinate al forno a temperatura media. Servire a parte o guarnire il piatto della carne. LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Gli enigmi della Centrale a biomasse di FRANCESCO BISESTI • Ma è vero? - si sono chiesti in molti - a Pontecorvo verrà installata una Centrale a Biomasse legnose? Chissà perché di fronte ad un simile interrogativo si finisce sempre col pensare al trattamento dei rifiuti dando così spazio alle pur giuste polemiche. E queste non tardano, infatti, a venire all’indomani della notizia che l’amministrazione comunale cittadina avrebbe dichiarato la propria disponibilità all’insediamento di un simile impianto, sin dallo scorso mese di ottobre, con tanto di placet del sindaco Riccardo Roscia. Il progetto, i cui termini e le cui finalità nemmeno si conoscono, sarebbe quello presentato dalla Società Baltic Energy Group, a fronte del quale sembrerebbe pure già sottoscritto dalle parti un meticoloso, e alquanto articolato, protocollo di intesa. Intanto va chiarito un concetto, ossia quello che una Centrale a Biomasse nasce non tanto per distruggere rifiuti quanto piuttosto per ottenere energia dalla trasformazione di sostanze di natu- ra esclusivamente biologica, come del resto il prefisso “bio” espressamente chiarisce e, nel nostro caso - trattandosi di un impianto a biomasse legnose - va da sé che il materiale utilizzato sarebbe appunto il legno. E’ vero anche che la scarsa presenza di boschi nel nostro comune, come in quelli vicini, non spiegherebbe il motivo di una simile scelta anche in termini di sviluppo del business che, inevitabilmente, si annette ad imprese di questo genere. Tant’è che i maggiori impianti di questo tipo, in Italia, risiedono attualmente in Trentino Alto Adige, in Veneto come in altre regioni prossime alla fascia alpina con la quale dividono, appunto, la presenza di una fitta vegetazione boschiva. Dunque tornando alle polemiche, in quanto figlie di un errore, esse finiscono col fomentare, e con l’acuire, le preoccupazioni e dunque le reazioni, forse anche eccessive, dei comitati, delle associazioni degli ambientalisti, delle opposizioni in consiglio comunale e, per finire, dell’opinione pubblica. Certo che un altro interrogativo nasce, come Un hombre Jamas Cansado • Così ci è piaciuto, e ci piace, definirlo nella seconda lingua più parlata negli Stati Uniti d’America il neo eletto Presidente Barack Obama: un uomo mai stanco. Mai stanco di combattere per i suoi ideali, poderoso e forte quanto le sue radici keniote, deciso e determinato nel percorrere una carriera politica che lo ha portato a bruciare ogni tappa fino a quella ultima che, all’età di soli 47 anni, lo ha portato a ricoprire la carica più alta della più grande potenza mondiale: l’America. Un vento nuovo, un’aria nuova per il suo paese ma soprattutto per l’Europa, ancora così fortemente legata a quel mondo. Una speranza per la pace, dopo il periodo più buio della storia degli Stati Uniti trascorso nel rincorrere il sogno più antico e primordiale dell’uomo: la guerra, come soluzione non ultima di tutti i problemi economici e sociali di un paese allo stremo economico. Povere menti quelle che dai banchi del nostro governo nazionale hanno commentato: “con Obama alla Casa Bianca sarà più contenta Al Qaeda” alludendo con questo alla possibile, diversa posizione del nuovo governo democratico sui conflitti ancora in atto, e tuttora irrisolti, in Iraq e in Afghanistan. Ancora più povere, se nemmeno avevano intuito che qualunque passo, in quelle terre aspre ed ostili, non può che essere mosso con attenzione e con gradualità. E così, a riprova, Al Qaeda ha finito pure col minacciare Obama e l’America di nuovi possibili attacchi. Bel legame di vicinanza o connivenza(?) tra il neo presidente e il terrorismo islamico se questi sono i risultati! Bisognerà dir bene pure del capo del nostro governo, tanto amico dell’America, che, con il solito sorriso sulle labbra, ormai vero ed unico emblema del suo modo di apparire, ha commesso un’altra delle sue altrettanto solite gaffe alludendo alla “abbronzatura” di Obama. Che dire? Ce li siamo cercati e ce li teniamo! Voglia di cambiamento: zero. Pontecorvo come l’Italia intera: non si riesce mai a trovare il coraggio di cambiar strada! 15 dire, spontaneo: perché tutti i progetti della Baltic, società finanziaria di un gruppo estero operante nel settore delle energie alternative, si sono realizzati nel meridione d’Italia - come descrivono le pagine reperite su internet - tra la Sicilia, la Puglia, la Basilicata e la Campania e non invece in Trentino, Piemonte o Valle d’Aosta? Perché questi progetti sono stati portati a termine in ambiti afflitti più dai problemi dello smaltimento dei rifiuti che non dal potenziale utilizzo di fonti rinnovabili? Mancava il Lazio all’appello? o meglio il basso Lazio, dopo la recente adesione del più settentrionale dei comuni della nostra provincia, quello di Veroli in particolare, che ha dato la propria adesione ad analogo progetto manco a dirlo predisposto dalla stessa Baltic che di italiano ha ben poco viste le sue origini danesi? Segnaliamo che, tra le società leader in questo settore, ne esistono di altre in Italia, meglio identificate ed identificabili, conosciute e, per di più, soggette alla legislazione del nostro paese nel caso in cui insorgesse un eventuale contenzioso. Dunque, aldilà delle polemiche sterili e improduttive, dei dibattiti, delle assemblee e delle manifestazioni di protesta invitiamo tutti, amministratori compresi, all’uso della ragione, a riflettere, sforzandosi ad operare nel pubblico così come si farebbe in casa nostra, diffidando dei “gatti” e delle “volpi”, dei pacchi, doppi pacchi e contropaccotti di cui è ormai pieno il mondo e di cui abbiamo tutti una buona, anche se amara, esperienza! Conoscere i termini di un progetto è basilare per qualunque comunità e, un sindaco che la rappresenta ha un solo preciso compito: quello di tenerla informata sui vantaggi e sui benefici ottenibili, come soprattutto sui danni che, eventualmente, da esso ne potrebbero derivare se portato a termine in modo sconsiderato. Meditate Gente; meditate! LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Un anno pieno di righe 16 di IRINA POPOVICI • Dicembre! Eccoci arrivati all’ultimo numero del giornale di quest’anno. Ogni articolo ha portato una parte, un piccolo pezzo della visione del suo autore anche della realtà socio-economica e culturale pontecorvese. Noi, lettori costanti, abbiamo reagito positivamente o negativamente a ogni riga pubblicata, abbiamo accettato, respinto o criticato queste idee e, senza accorgercene, ci siamo fatti un’opinione sugli argomenti trattati. Ci sono stati i “momenti giornalistici di cronaca” dai quali abbiamo assunto nuovi dati o informazioni. Ma, senza voler sminuire l’importanza del giornalista, l’informazione non si sarebbe mai propagata se non ci fossero stati una tipografia e un tipografo nel trasformarla in scritto. La stampa, la riproduzione di un testo o di una figura, eseguita con mezzi meccanici in molti esemplari identici, si affermò in Europa verso la metà del XV sec. a Magonza per merito di Johannes Gensfleisch meglio conosciuto come Gutenberg, nome che ereditò dal suo paese ove nacque intorno al 1400 e dove mori il 3 febbraio del 1468. Anche se l’attribuzione delle sue opere è resa difficile dal fatto che egli non firmò mai i libri che uscivano dalla sua officina sembra che appartenessero ai primi anni della sua attività alcuni fra i più antichi documenti (un frammento di poemetto tedesco sul Giudizio Universale databile 1445-46, un calendario astronomico del 1448, varie edizioni della Grammatica Latina di Donato). Ma il suo più grande capolavoro, senza considerare i problemi economici che dovette superare per realizzarla, rimane la Bibbia realizzata nel 1455. Essa è anche detta “delle 42 linee” perché ogni pagina era formata da due colonne di 42 righe in 741 pagine, con circa 2.500.000 di segni contenuti in ben 2 volumi. Il segreto di cui Gutenberg cercò di circondare la sua invenzione non durò a lungo, perché soci e apprendisti portarono fuori della città di origine la nuova arte. Secondo la tradizione, intorno al 1464 il cardinale spagnolo Torquemada (o forse il cardinale tedesco Niccolò di Cusa), avrebbe invitato nel monastero benedettino di Subiaco, vicino Roma, Conrad Schweinheim e Arnoldo Pannartz, due stampatori tedeschi ai quali si dovrebbe dunque l’introduzione della stampa in Italia. È loro infatti la prima opera tipografica italiana che riporti la data, 29 ottobre 1465: il “De divinis institutionibus adversus gentes” di Lattanzio. Numerose officine aprirono in questo periodo in diverse città italiane, in particolare a Venezia, dove la stampa fu introdotta dal tedesco Giovanni da Spira nel 1469. Venezia annoverava alla fine del XV secolo circa 200 stamperie, detenendo il primato tra le città d’Europa, grazie alla posizione geografica favorevole e alla legislazione della Repubblica che incoraggiava il diffondersi di tali imprese. A Venezia operarono alcuni tra i più grandi tipografi editori del tempo, tra i quali il celebre Aldo Manuzio, nativo di Sermoneta o Bassiano, oggi provincia di Latina, che si dedicò alla pubblicazione di splendide edizioni avvalendosi della collaborazione dei più famosi umanisti del tempo. Nel 1502 uscì la Divina Commedia con l’emblema dell’ “ancora col delfino”, marca tipografica destinata a divenire simbolo di perfezione formale. Questa edizione, che sarebbe diventata la base di tutte le ristampe per i successivi tre secoli, fu realizzata in corsivo senza note di commento che fino ad allora avevano seppellito il testo di Dante. Nel XVI secolo il libro a stampa si perfeziona sempre più avvicinandosi nell’aspetto al libro moderno. I libri, in quel tempo, venivano acquistati non più soltanto dalle élites di intellettuali: si stampavano e vendevano le opere in volgare, gli “avvisi” (gli antenati del giornale) e i resoconti di viaggi nelle terre da poco scoperte, i libri di devozione, etc. Venezia continua a mantenere, almeno in Italia, il primato della qualità e della quantità grazie anche alle famiglie di tipografi che si tramandano l’arte da una generazione all’altra. Il Seicento è l’epoca dei grandi contrasti anche nell’arte della stampa e l’editoria europea subisce un regresso. La ripresa, con l’evoluzione tecnica e ideologica, esplode nel ’700. Sorgono nuove stamperie, la più celebre delle quali fu quella aperta da Giovanni Battista Bodoni a Parma sotto la protezione dei Borboni. Bodoni si occupò soprattutto dell’aspetto tecnico ed estetico del libro, raggiungendo nell’impaginazione e nella forma dei tipi un equilibrio fino ad allora ineguagliato. Disegnò inoltre nuovi caratteri che da lui presero il nome di caratteri bodoniani. Nel corso del XVIII secolo la figura dell’editore si differenziò da quella dello stampatore che viene ad assumere un ruolo essenzialmente tecnico. Venne riconosciuto, inoltre, il diritto di proprietà dell’opera da parte dell’autore o dell’editore (il copyright) dando spazio così alle prime leggi sulla proprietà letteraria. Con la rivoluzione industriale la tipografia subì una profonda trasformazione grazie ai nuovi procedimenti di fabbricazione della carta che permisero di ottenerne una quantità maggiore a costi minori, attraverso l’uso della pasta di legno, al posto della pasta di stracci, e della macchina continua. Nacquero allora le prime grandi case editrici: Giuseppe Pomba, primo presidente dell’Associazione librai italiani (la futura A.I.E., Associazione italiana editori), fonda quella che diverrà l’U.T.E.T; iniziano la loro attività Le Monnier, Vallardi, Sonzogno e Zanichelli. Oggi, la ormai generalizzata alfabetizzazione ha determinato una diffusione capillare del libro in tutti gli strati della società. Ricordiamo che a Pontecorvo la tipografia di Massimo Turchetta, che prese le sue mosse fin dal 1955 costituisce dal 1961 il “ponte” tra i pensieri e le idee di quanti scrivono su “La Lucerna” ed i suoi più affezionati lettori. E’ passato anche da qui quest’ultimo anno “pieno di righe“. LALUCERNA 17 Paola Sarro NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Un Premio al volontariato VII Edizione di ANTONIO PAPA • Spinta dal suo impegno civile e dalla passione per i bambini Paola Sarro cercava esperienze umanitarie a cui dedicare le sue conoscenze. È così che entrò in contatto con l’Associazione “Terre des hommes” (associazione internazionale non governativa che in circa 40 paesi e con migliaia di volontari fornisce aiuto diretto all’infanzia in difficoltà) aderendo all’allora progetto che affrontava soprattutto il problema dei traumi post-bellici nei bambini. Il campo d’azione era soprattutto il Kosovo stremato dagli orrori della guerra ove l’associazione si proponeva di dare sostegno alla clinica pediatrica della Casa della Salute di Pristina. Purtroppo il 12 novembre 1999 morì proprio durante la sua missione umanitaria in un tragico incidente aereo sulle cime del Monte Piceli a 1380 metri. Assieme a lei perirono altre 24 persone di varia nazionalità tutte in missione umanitaria. Oggi a Pristina esiste un “centro di salute mentale per bambini ed adolescenti” intitolato proprio a lei. Paola dunque finì lì la sua opera, lasciandoci un insegnamento che l’Associazione di Protezione Civile Nazionale Gruppo “La Torre” di Pontecorvo ha fatto suo. Esso nasce dalla volontà di continuare a divulgare quell’amore nel ricordo della stupenda Paola, l’idea di questo riconoscimento Nazionale per chi opera nel sociale, spesso nel buio e a volte nelle condizioni più disagiate. Un Premio giunto alla sua settima edizione e di spessore nazionale, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica Italiana. Giorgio Napolitano non ha mai mancato di presenziare alla consegna della medaglia speciale a chi si è contraddistinto per il suo impegno nel sociale. Dalla prima edizione qualcosa è cambiato mentre l’ultima è stata un grande successo e davvero commovente! C’erano tanti ospiti: il Prefetto di Frosinone Piero Cesari; il Colonnello dei Carabinieri nostro concittadino Luigi Sparagna; il capitano della Guardia di Finanza; il nostro Sindaco Riccardo Roscia. La grande emozione ha colto tutti con la telefonata in diretta dell’agente della PS Paolo Molinari che aveva accolto la madre di Paola in Kosovo dopo la tragedia. Poi è stata la volta degli interventi sul ruolo del volontariato da parte di Stefano Fumelli. Per il livello nazionale è stata insignita del premio l’Associazione “30 Ore per la vita” e a Lorella Cuccarini è andato il riconoscimento nazionale con la medaglia del Presidente della Repubblica. Felice del premio ma dispiaciuta per non essere potuta intervenire per impegni professionali Lorella ci ha ricevuto qualche giorno fa presso la sede dell’associazione da lei creata e ci ha lasciato con una promessa: verrà a trovarci prossimamente, probabilmente nella edizione del prossimo anno, quando ricorreranno i dieci anni della scomparsa di Paola. LA LUCERNA DAL 1961 PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE «LA LUCERNA» FONDATO DA BERNARDINO PULCINI DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO BISESTI ORGANIZZAZIONE EDITORIALE MASSIMO TURCHETTA REDAZIONE ANGELO NICOSIA, MARIO CANCIANI, IGOR PULCINI, GIOVANNI DRAGONE, TOMMASO CERRO, PIERA FILIPPI, MAURO VALLONE HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO COSTANTINO JADECOLA, G.B. VINCENZO CARAMADRE, FERDINANDO CORRADINI, ELISA CANETRI, VINCENZO PIACENTE, STEFANIA TURCHETTA, FERNANDO RICCARDI, SANDRO ZONFRILLI, MASSIMILIANO MAGLIONE, PIETRO MIELE, IRINA POPOVICI, ANTONIO PAPA, STEFANO GERARDI. [email protected] - [email protected] STAMPA TIPOGRAFIA TURCHETTA PONTECORVO - VIA BUONARROTI, 3 - TEL.0776.760498 AUT. TRIBUNALE DI GRAFICA GABRIELE PESCOSOLIDO TEL.0776.830150 CASSINO N.2/61 DEL 05.05.1961 • LA DIFFUSIONE GRATUITA TIRATURA È STATA DI 2.000 COPIE A livello regionale invece è stata la volta di Francesco Totti, ambasciatore Unicef che destina parte dei suoi introiti ad opere di beneficenza. Ultimi (si fa per dire) a livello locale: Fernando Ruscito Presidente del Centro Umanistico di Ciampino per S.L.A. (Sclerosi Laterale Amitrofica) e Carmelina Pirolli per la sua opera nella città e nell’associazione a cui ha dedicato parte della sua vita: l’U.N.I.T.A.L.S.I. L’augurio che ci facciamo è che tutto ciò possa non solo spronare il ruolo del volontariato oggi, ma che faccia in modo che nessuno mai dimentichi una figura preziosa e dolce come quella di Paola. Desidero concludere con una dedica: voglio “donare” tutto il mio impegno alla mamma di Paola, Grazia Marina Giona, non solo per la sua dolcezza ma anche per ciò che lei rappresenta, simbolo di tutti quei genitori che prematuramente hanno perso i propri figli. LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Un cuore per amico • Un amico non si dimentica mai. Con questo titolo si è aperta il 5 dicembre presso la biblioteca comunale, per concludersi il 5 gennaio, una mostra di disegni dei bambini di tutte le scuole per l’infanzia e del primo biennio delle elementari di Pontecorvo sul tema dell’amicizia. La manifestazione prende spunto dalla improvvisa scomparsa di un alunno del plesso di Via San Rocco colpito lo scorso anno, quando ne aveva compiuti appena cinque, da uno choc anafilattico che lo uccise inesorabilmente per celebrare, nel suo ricordo, uno dei sentimenti più tipici e più forti dell’infanzia: l’amicizia. Un tema duro e difficile da sviluppare in un semplice disegno, per i piccolissimi concorrenti, il merito è delle loro insegnanti aver ottenuto il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti. Un tunnel di immagini fantasiose e fantastiche percorso scolastico attraverso gli occhi ed il cuore dei bambini che ci conduce ai più alti principi della solidarietà, dell’amore e dell’amicizia. Il concorso, nei primi giorni del 2009, vedrà premiato il disegno più bello e significativo da una giuria composta da insegnanti e psicologi, mentre le premiazioni avverranno a maggio del prossimo anno preannunciando la fine dell’anno scolastico. Un complimento della redazione va al 1° Circolo Didattico della nostra Città, al dirigente scolastico, al personale docente e non docente che, prendendovi parte, ha promosso e portato avanti questa bella iniziativa. Il 28 dicembre I CAPRILANTI RECITANO NELLA SCUOLA MEDIA BERNADOTTE La Compagnia teatrale “I Caprilanti” nasce spontaneamente il 21 gennaio 2004 per iniziativa di d. Fabrizio Tricone e con la collaborazione di Mario e Carmela Di Rollo, finalizzando il progetto al coinvolgimento dei giovani del nostro territorio. L’iniziativa si sviluppa nell’ambito della parrocchia di S. Maria delle Grazie a Caprile di Roccasecca. Nel 2004 la Compagnia recita, ed esattamente il 13 novembre a Pontecorvo, “Quaranta ma non li dimostra” e nel 2006 “Non ti pago”, ambedue le commedie sono di Eduardo De Filippo, nel 2007 “Un ragazzo di campagna” di Armando Curcio e nel 2008 “Non è vero ma ci credo” di Peppino De Filippo. Per il 2009 la Compagnia sta preparando “L’ospite gradito” di Peppino De Filippo. Ci dice d. Fabrizio Tricone: “Attualmente siamo 11 attori e 4/5 che lavorano dietro le quinte. Siamo autodidatti e ci divertiamo tanto stando assieme. Lo scopo della Compagnia, appunto, è proprio questo: dare un messaggio cristiano, quello della gioia. Il 28 dicembre presso la Scuola Media Bernadotte, la Pro Loco Pontecorvese in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, ci ha invitato per la terza volta a recitare a Pontecorvo. Ciò è per noi motivo di vanto. Rappresenteremo un classico della Commedia di Peppino De Filippo: “Non è vero ma ci credo”, che ha come “sfondo” la superstizione. Vi invito tutti a passare un pomeriggio diverso e divertente con noi. Vi assicuro che ne vale la pena. Vi aspettiamo numerosi”. 18 LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 19 Ricordando Davide Delle Cese di G.B. VINCENZO CARAMADRE • Nei tre giorni dedicati a Davide Delle Cese in ricordo dei 70 anni dalla sua scomparsa, il più gran numero di presenze si è registrato al concerto bandistico. La magia della musica. Già, la musica penetra nell’anima, producendo suggestioni soavi forse perché la mamma, prima di insegnarci a parlare, ci cullava al canto di ninne nanne. Forse perché al nostro orecchio giungeva il cinguettio dei passerotti, che abitavano sotto il tetto. O la voce del vento, che zufolava attraverso le fessure dei vetri incrinati. Sensazioni registrate dal subconscio e poi trasformate in melodia da cui sbocciava la poesia, nasceva la danza. Stati d’animo che facevano brillare i colori sulle tele, uscire i volti dalla pietra. Sensazioni, emozioni diverse che provano i geni e che a suo modo prova ognuno di noi. Il genio poi ha il talento di trasformarle in opere d’arte: da Omero a Dante, da Fidia a Michelangelo, da Giotto a Leonardo, da Palestrina a Bach a Ciaikovskij. È l’estasi dell’arte nelle sue varie espressioni e sfaccettature, Orfeo incantava col suono della cetra, Nerone verseggiava mentre Roma bruciava, il menestrello deliziava madonne e cavalieri alle corti medievali. E, prendendo il filone musicale, a seguire con le serenate, il coro delle villanelle ed “il perpetuo canto” di Silvia che “risuonava nelle quiete stanze e nelle vie dintorno.” Fino a circa un secolo fa. Arrivammo noi e da protagonisti diventammo, siamo diventati passivi ascoltatori. Adesso facciamo cantare e suonare la radio la televisione lo stereo e i telefonini... anche durante la messa. Da ragazzi udivamo il suono classico del pianoforte strimpellato in qualche casa patrizia o le note popolari dell’organino, che passava per le strade. Ma generalmente la musica la sentivamo da una fisarmonica da una chitarra dalle zampogne dall’armonium o dall’organo della chiesa e dalla banda musicale. A parte la musica sacra, due erano i filoni di approccio alla cultura musicale: le arie e i motivi popolari e i pezzi classici per banda. La musica popolare si sentiva nelle calde serate d’estate nelle trattorie nelle feste di nozze e nelle aie di campagna spesso accompagnate da canti e da balli. Mentre le marce e i brani di musica classica venivano eseguiti nelle processioni, nelle feste paesane e nei concerti. Il piccolo Davide Delle Cese crebbe proprio in questo ambiente, nel quale suoni e canti s’intrecciavano con le voci della natura. Il padre Francesco Antonio e la madre Giacinta Bernardini, gli scelsero come padrino Antonio Geminiani, direttore della Banda armonica di Pontecorvo (1856-1871) presaghi di ciò che il piccolo Davide sarebbe diventato da grande. Infatti che cosa poteva trasmettere un padrino, maestro di musica, ad un figlioccio se non la passione per la musica? A 19 anni (1875) debuttò al Politeama di Napoli con la sua prima composizione “Le Educande emancipate” riscuotendo un notevole successo. Seguirono altre 54 composizioni tra cui 12 pezzi per canto e pianoforte. Ricordiamo a proposito uno stornello dedicato alla contessa Elisabetta Lucernari, nata Sipari e cugina di Benedetto Croce. Un atto di omaggio alla nobildonna, di cui probabilmente subì il fascino. Particolare rilievo riveste la Fantasia “La Breccia di Porta Pia” che, dalla descrizione di un cronista del tempo, più che a rombi di cannone e scontri all’arma bianca, farebbe pensare piuttosto ai Pini alle Fontane e alle Feste Romane di Respighi. Altro pezzo forte delle composizioni dellecesiane, noto anche oltre i confini dell’Italia, è l’”Inglesina”, che molte bande eseguono al termine di ogni concerto. Come avviene a Vienna con la Marcia di Radetzkij al concerto di Capodanno. Da non dimenticare l’incarico prestigioso che il nostro ebbe dall’allora ministro della guerra, di strumentare per banda gli inni nazionali di ogni nazione. In seguito alla morte del re Umberto I, assassinato a Monza nel 1900, la regina gli commissionò una composizione nota come la preghiera per la morte del re. Dopo dieci anni di direzione della banda pontecorvese la sua carriera di maestro e compositore si svolse tra San Leo (Marche) dal 1886, dove conobbe la moglie Giuseppina Perazzoni, e Bitonto dal 1891 fino all’età della pensione. I titoli del curriculum del nostro maestro sono 37. Si tratta di attestati diplomi lettere della regina e del re onorificenze e medaglie d’argento e d’oro. Conobbe personaggi di spicco della politica e della musica, dal re Umberto I alla regina Margherita, da Crispi a Ma scagni. Fu di idee liberali e un fan di Garibaldi. Fu un massone? Molti anni fa un giovinotto di mia conoscenza affermava spudoratamente che persino il papa lo era. Figuriamoci Delle Cese! Ancora più complicato è dire se fu o non anticlericale. Da quel che si legge nel libretto di Lancia sembrerebbe di no. Qualche motivo di riflessione lo offre “La gran marcia trionfale” scritta per l’inaugurazione del monumento a Giordano Bruno a Campo de’ Fiori (9-6-1889). A tale proposito è bene continuare a scavare nella vita di questo signore “rispettoso serio austero di poche parole”, che affidava i suoi silenzi alle note musicali. E con quale talento! Per concludere fa piacere scoprire personaggi di un certo spessore nati nella nostra città. Personalmente tanto tempo fa ironizzavo sullo scarso numero di uomini illustri pontecorvesi. Errori di gioventù e anche di scarsa conoscenza della storia pontecorvese. Arpino poteva vantare nomi come Caio Mario e Cicerone, Sora Baronio e Vittorio De Sica, Isola Liri Marcello Mastroianni. Pico Tommaso Landolfi, Roccasecca Severino Gazzelloni, Aquino San Tommaso, Cassino l’Abbazia. E Pontecorvo? Pontecorvo, senza mancamence, non è da meno dei paesi menzionati. Il cardinale Benedetto Aloisi Masella fu ad un passo dal papato. Poi ci sono i numerosi beati e San Grimoaldo, il quale non sarà come San Tommaso d’Aquino ma, in quanto a santità, è pur sempre un suo collega. Anche se un buontempone con fine ironia la diatriba sul luogo di nascita del santo, tra Aquinoe Roccasecca, l’ha risolta dicendo che in una giornata indimenticabile il papà e la mamma del Doctor Angelicus vennero a Pontecorvo, si fecero un giretto nel borgo e a Santo Stefano, davanti a un panorama incomparabile, “nell’ora che volge il desio” concepirono il piccolo Thomas. Ovviamente non sotto un manto di stelle. come eravamo LALUCERNA NUMERO 9 • QUARTA SERIE • DICEMBRE 2008 Pontecorvo, Edificio dell’Istituto Magistrale anno 1948: una storica immagine della Palestra all’aperto annessa alla scuola. Quando lo sport si praticava veramente anche a scuola: gli studenti impegnati nell’ora di Educazione Fisica. Il Gospel a Pontecorvo • Grande evento in città è fissato per il prossimo 30 dicembre quando, alle 19 e 30 nella Cattedrale di San Bartolomeo, il Gospel si esibirà in concerto nell’ambito della sesta edizione del Progetto “I Linguaggi della Musica”. Diretto da Michael G. Marshall “Gospel Choir from Dartmouth”, complesso formato da 35 elementi, può contare su membri che provengono da ogni parte degli Stati Uniti. I loro splendidi arrangiamenti sono un meltin’pot di toni musicali ed interpretazioni nuove e particolari che riescono sempre a creare un’atmosfera calda e coinvolgente, senza pari nel panorama internazionale. Il coro ha incontrato nei suoi tours le più disparate comunità, riuscendo ogni volta a stabilire con il suo pubblico un fortissimo legame che solo il linguaggio universale della musica è capace di creare e di stringere. Sarà un momento di incontro notevole, di riflessione e, perché no, anche di piacere e di godimento per le orecchie musicali più nobili della nostra cittadina. L’iniziativa è promossa dalla Regione Lazio, dall’assessorato provinciale alle Pari Opportunità e dal Comune di Pontecorvo con ingresso libero per tutti coloro che vorranno prendervi parte. Su RAI DUE in prima serata, il 24 dicembre, concerto dal Teatro Filarmonico di Verona del Gospel Choir from Dartmouth 20 Immagine tratta dall’archivio fotografico di Mario Canciani. EPITAFFIO nista Partito Comu Fui il Grande a vista ti sorvegliato Da tutti quan tico o poi Democra ico Mi chiamaron at cr a un po’ aristo Di sinistra, m o n n Democristia Ora di fatto so ia m mano o è incline la Ché già al furt deale gni, è morto l’I Son morti i so o il fango Affondati sott tione Morale” Di una “Ques Gregor Samsa