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Definizioni di Natura, Ambiente e Paesaggio
Definizioni di Natura, Ambiente e Paesaggio Testo a cura di Anna Re Dottoranda in Letterature comparate: le letterature, le culture e l’Europa: storia, scrittura e traduzione. Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM Natura Si definisce natura il complesso degli esseri viventi, delle forze, dei fenomeni che hanno in sé un principio costitutivo che ne stabilisce l’ordine e le regole. Inoltre natura indica anche un ambiente fisico poco condizionato o modificato dall’intervento dell’uomo. Nella storia del pensiero il termine ha avuto diverse interpretazioni filosofiche. La natura è stata vista come principio generativo, seguendo il significato etimologico della parola (dal latino nascor, ‘sono generato’). La natura è anche percepita come l’ordine necessario che presiede al divenire delle cose, e in altre occasioni è la sostanza o l’essenza. Inoltre, la natura è stata definita attraverso una serie di opposizioni ed esclusioni, ad esempio rispetto all’arte, ovvero all’ambito di ciò che è artificiale, oppure rispetto alla società umana e alla storia, ossia rispetto allo spirito. Negli scritti dei filosofi greci, Talete, Anassimandro e Anassimene non erano ancora presenti queste distinzioni, ma la natura designava la realtà tutta, considerata nel suo divenire e in relazione a un principio (arché) da cui tutte le cose derivano: per Talete quel principio era l’acqua, per Anassimandro un principio materiale infinito e illimitato, l’ápeiron, per Anassimene l’aria. Con la sofistica si cominciò a considerare la questione del rapporto tra natura (physis) e convenzione (nómos), fra la vita secondo natura e secondo le leggi e i costumi proposti dalla civiltà, e gradualmente la definizione di natura si chiarì opponendosi a quella dell’attività culturale umana. Aristotele definì “natura” ciò che aveva in sé il principio del proprio movimento: le cose inanimate, le piante e gli animali, tutti gli esseri che mutano, si muovono e si riproducono senza l’intervento dell’uomo. Aristotele distinse la realtà naturale da quella artificiale: la prima coincideva con tutto ciò che non dipendeva dall’uomo e dalla sua “arte” o “tecnica” (techné), ossia la natura “fisica” (che includeva anche l’uomo considerato un animale), la seconda comprendeva tutto ciò che era opera della produzione umana. La natura, che Aristotele indagò per primo da un punto di vista scientifico, non era un insieme inerte di cose, ma una totalità di processi finalizzati alla riproduzione di un certo ordine interno alle cose e agli esseri viventi: si trattava dell’ordine per cui i corpi inanimati tendevano verso i loro “luoghi naturali” e gli esseri viventi crescevano e si riproducono, tramandando le diverse 1 specie. In questo continuo divenire emerse il finalismo intrinseco ai fenomeni naturali e infatti la scienza aristotelica della natura è caratterizzata dal principio della teleologia. I filosofi stoici avanzarono la tesi che identificava la natura con l’ordine universale necessario grazie al quale tutte le cose accadevano e che corrispondeva al logos divino. A questa concezione si collegava quella di una legge di natura che regolava il comportamento degli individui al di là delle leggi stabilite dagli uomini, perché quella trovava fondamento nell’ordine razionale della natura. Il concetto di legge di natura sarà ancora oggetto della filosofia, tanto nella scolastica medievale quanto nel giusnaturalismo moderno Nell’età moderna, con la crescita delle conoscenze scientifiche e delle nuove arti meccaniche, la natura sembrò poter essere dominata in senso pratico-tecnico. Francesco Bacone scrisse infatti: “Si può dominare la natura solo obbedendole”. In alternativa al finalismo della concezione della natura prevalsa fino al XVI secolo, la scienza moderna – da Galileo a Isaac Newton – vedeva la natura come un ordine meccanicistico, cioè come un sistema di corpi (scomponibili in particelle elementari o atomi) in movimento, diretto da leggi determinabili con precisione matematica. Galileo parlò del ‘grandissimo libro della natura, che “è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola”. Nel Rinascimento l’universo era concepito come un grande organismo vivente, in cui tutte le parti erano fra loro solidali, con il 1600 l’ immagine del mondo diventò simile a quella di una grande macchina: grazie a Galilei, Cartesio e Thomas Hobbes, la natura è svuotata da ogni componente di finalismo e di antropocentrismo ed è assimilata a un meccanismo complesso regolato da leggi geometrico-meccaniche. Si interpretava anche il nesso meccanicistico delle cause e degli effetti nella prospettiva deterministica, come nel caso di Baruch Spinoza. Nel tentativo poi di offrire un fondamento filosofico al meccanicismo newtoniano, Immanuel Kant, alla fine del XVIII secolo, definì la natura come una connessione dei fenomeni secondo leggi causali necessarie, leggi che non dipendono dalle cose in quanto tali, ma dalle categorie dell’intelletto. In reazione al meccanicismo della scienza moderna nacquero nella filosofia altre concezioni che rilanciarono un modello vitalistico o organicistico, per esempio le filosofie romantiche della natura, in particolare quella di Friedrich Schelling. Nel corso dell’Ottocento si impose anche una prospettiva che opponeva la natura (e la scienza naturale, concepita sul modello della scienza fisico-matematica) alla storia, intesa come oggetto delle scienze dello spirito o scienze della cultura. Ciò si verificò nello storicismo e nella riflessione di pensatori come Wilhelm Dilthey o i neokantiani Wilhelm Windelband e Heinrich Rickert. Secondo Dilthey, la 2 natura va riportata a leggi uniformi, un fenomeno storico invece va capito rivivendolo dall’interno. L’uomo è parte integrante di ciò che costituisce l’oggetto di studio delle scienze dello spirito, che devono riferirsi alla stessa esperienza interna che l’uomo ha di sé. In questa prospettiva la natura veniva concepita come l’insieme dei fenomeni che sono esterni all’uomo. I pensatori storicisti si sono soprattutto riferiti a un’immagine della scienza della natura che era ancora precedente alle trasformazioni subite dalla fisica contemporanea. La crisi del modello meccanicistico alla fine dell’Ottocento, l’affermazione nel Novecento della teoria della relatività di Einstein e della meccanica quantistica, alla quale si legava il principio di indeterminazione di Heisenberg e, in corrispondenza di queste trasformazioni teoriche, la crisi dei concetti tradizionali di spazio, tempo e causalità finirono per travolgere la possibilità di stabilire un modello univoco nel quale pensare la natura fisica. I problemi legati allo sviluppo tecnologico, con i rischi di una distruzione dell’ambiente naturale e di una manipolazione genetica del vivente, impongono alla filosofia il compito di ripensare il rapporto fra uomo e natura in relazione anche ai temi del diritto e dell’etica. Ambiente In ecologia si definisce ambiente l’insieme dei fattori esterni a un organismo che ne influenzano la vita. Il termine viene anche inteso, in senso più ampio, come il complesso degli elementi naturali (la flora, la fauna, il paesaggio) e delle risorse che circondano un determinato organismo e, in particolare, gli esseri umani. Una specifica accezione è quella di ambiente interno, che si riferisce all’insieme delle caratteristiche interne a un organismo, soprattutto di natura chimica (le concentrazioni delle sostanze dei fluidi corporei). Il termine italiano “ambiente” deriva dal latino ambiens, -entis, participio presente del verbo ambire, che significa “andare intorno, circondare”. Il prefisso amb-, simile al greco amphi, indica un percorso circolare: “tutt’intorno, in tondo, da ambo i lati”. Anche in altre lingue europee, la parola “ambiente” richiama l’idea di circolarità: ciò vale per il termine francese envìronnement, per l’inglese environment, per il tedesco Umwelt (dove il prefisso um-, anteposto al sostantivo Welt, “mondo”, indica un moto circolare). In questi casi, la parola esprime, come già il latino, l’atto del circondare. Ciò aggiunge al termine una connotazione dinamica, nonostante la lingua abbia perso nell’uso questa sfumatura originaria. “Ambiente” si configura come un complesso attivo di elementi che si muovono in un contesto comune, che si influenzano reciprocamente. Non è solo un insieme di fatti (gli elementi che lo compongono), ma anche luogo di atti (le dinamiche che tra 3 questi stessi elementi intercorrono). Analizzando la definizione del Oxford English Dictionary (ambiente come “ciò che contorna; gli oggetti o regione che circondano ogni cosa”), David Mazel afferma: “dobbiamo smettere di chiederci che cosa l’ambiente sia, smettere di cercare di enumerare gli elementi che lo definiscono, e chiederci invece: com’è che tali elementi sono giunti a circondare noi?”. L’ambiente è più un luogo di modificazioni e di processi storici, che non una questione di essenze e di concetti in cui vivono l’una accanto all’altra natura e cultura. Nel Vocabolario della Lingua Italiana dell’Enciclopedia Treccani (1986), ambiente è definito “la natura, come luogo più o meno circoscritto in cui si svolge la vita dell’uomo, degli animali, delle piante, con i suoi aspetti di paesaggio, le sue risorse, i suoi equilibri, considerata sia in sé stessa sia nelle trasformazioni operate dall’uomo e nei nuovi equilibri che ne sono risultati, e come patrimonio da conservare proteggendolo dalla distruzione, dalla degradazione, dall’inquinamento”. La parola “ambiente” rimanda nello stesso tempo a “ciò che circonda” e a “ciò che è circondato”: la biosfera e i suoi equilibri, il paesaggio, le piante, gli animali, gli esseri umani. Per questo, il termine è così vicino al classico “natura”, tanto più illustre e ricorrente nella storia della filosofia. Infatti, non solo nel linguaggio dei filosofi ambientali “ambiente” e “natura” possono essere considerati sinonimi, ma alcuni pensatori (prevalentemente europei) hanno concepito la filosofia dell’ambiente proprio come un’evoluzione della filosofia della natura SetteOttocentesca. Ma “natura” ha, nel lessico filosofico generale, un significato più ampio: è l’insieme di ciò che esiste, il processo di nascita e di trasformazione delle cose, la loro essenza e legge, o anche, per la tradizione idealistica, l’opposto della mente razionale; “ambiente” possiede un senso meno metafisico, più concreto e vicino all’esperienza. Non a caso, pur tra differenti sfumature, gli interpreti sono comunque concordi nell’evidenziare che, quando i filosofi ambientali parlano di “natura”, intendono entità fisiche, individui organici o totalità superorganiche -- le specie, gli eco-sistemi, la biosfera come un tutto -- governati da leggi di funzionamento analizzabili con procedure empirico-sperimentali. Del resto, è proprio riferendosi a un contesto naturale concretamente concepito che la filosofia dell’ambiente, prima ancora che si cominciasse a parlare di crisi ecologica, si presenta sulla scena intellettuale: la land ethic di Aldo Leopold è, infatti, non solo un’etica della terra, ma addirittura un’etica del territorio. Ciò giustifica chi, in luogo di filosofie dell’ambiente, ha preferito parlare di filosofie della terra. Il termine “ambiente” presenta il vantaggio di una minore definitezza, che ci dà modo di indicare non solo la terra e i suoi equilibri, le diverse specie animali e vegetali, ma anche le formazioni culturali che derivano dal rapporto dell’umanità con la natura 4 circostante, il paesaggio naturale e storico, ecc. I fenomeni e le dinamiche che la parola “ambiente” ci permette di osservare sono numerosi e vari, rispetto a quelli indicati dalla parola “terra”, e allo stesso tempo più concreti e circoscritti rispetto a quelli indicati dalla parola “natura”. Paesaggio In geografia il termine indica l’insieme delle manifestazioni sensibili di un paese o di un territorio, analogamente alle voci paysage in francese, landscape in inglese, Landschaft in tedesco; quest’ultimo termine si identifica spesso con quello di “regione”. La nozione di paesaggio sottesa a queste espressioni è quella di una percezione che unisce le forme naturali, che costituiscono i territori di vita dell’uomo, a tutti gli elementi o segni che nel corso del tempo, secondo le finalità più diverse che l’uomo ha inserito nell’ordine naturale. Per il suo diretto riferirsi alla riflessione storico-filosofica, il concetto di paesaggio è tra i luoghi teorici fondamentali di una possibile unione dei campi delle scienze umane e naturali auspicata dal pensiero ecologico, esso però al tempo stesso è uno degli esiti più tipici della frattura tra natura e cultura portata a compimento dalla modernità. L’idea di paesaggio è estranea sia alla cultura antica pagana, sia alla cultura cristiana medievale e comincia a delinearsi solo nel Rinascimento. Friedrich Schiller, nelle sue riflessioni sulla poesia e la pittura di argomento paesaggistico, osservava che l’interesse artistico per il paesaggio nasce da un più generale interesse sentimentale per la natura, conseguenza del progressivo distanziarsi dell’uomo moderno da essa e di una nostalgia per la sua perdita che non poteva appartenere all’uomo greco, ancora integrato al mondo naturale. Pochi anni dopo Jacob Burckhardt nel saggio del 1860 intitolato “La civiltà del Rinascimento in Italia”, fisserà anche una simbolica data di nascita per la scoperta del paesaggio. Si riferiva alle riflessioni ispirate in Petrarca, da lui considerato “uno dei primi uomini perfettamente moderni”, da un’escursione in compagnia del fratello sul Mont Ventoux, vicino ad Avignone, durante la quale, contemplando la bellezza dei panorami, gli si rivelò l’inadeguatezza della concezione cristiana della natura. Simbolicamente, Burckhardt attribuì l’illuminazione di Petrarca alla lettura, una volta giunto sulla sommità del Mont Ventoux, del passo del Libro x delle Confessioni di Sant’Agostino in cui è scritto che il sentimento di ammirazione che si prova per gli spettacoli della natura rende “immemori di se medesimi”. Da Burckhardt fino a filosofi del Novecento come Ritter e Assunto, il concetto di paesaggio si è affermato nella cultura storico-filosofica moderna quale terreno fondamentale di elaborazione teorica e culturale sull’ambiente naturale visto non dal punto di vista delle scienze fisiche e biologiche, o di quelle economiche, ma per 5 l’influenza che esso determina sull’animo umano in termini di bellezza, sentimento, gusto. Per questo la storia dell’idea di paesaggio, soprattutto a partire dal romanticismo, si è collegata alla riflessione sul bello e alla storia dell’estetica, tanto più dopo che quest’ultima ha cominciato ad estendere il proprio sguardo oltre la tradizione della filosofia dell’arte; e proprio nella sua accezione più squisitamente estetica, l’amore per il paesaggio è stato un valore fondante dello stesso pensiero ecologico, e in particolare delle correnti preservazioniste del movimento conservazionista e dei suoi pionieri neoromantici a cominciare da Henry David Thoreau. Tra i primi a parlare di paesaggio ricordiamo anche, agli inizi del XIX secolo, Alexander von Humboldt, che nella sua aspirazione a descrivere il mondo e le sue innumerevoli diversità si sforzò di trovare le ragioni di tali diversità, utilizzando le conoscenze naturalistiche con le quali poteva spiegare i complessi meccanismi che legano tra loro, secondo influssi reciproci, fenomeni attinenti alla geosfera, all’atmosfera e alla biosfera. La sua visione naturalistica, di base scientifica, è stata rivista da diversi geografi. Alcuni, di scuola deterministica, ritenevano che l’uomo fosse condizionato dalla natura nel suo agire; altri, come i rappresentanti della scuola francese di geografia, capeggiata da Vidal de la Blache, assegnavano all’uomo una libertà di scelta nel suo operare, sia pure in un campo di possibilità più o meno ampie offerte dalla natura. La nozione di paesaggio è ancor oggi divisa da questi due orientamenti che riguardano il ruolo assunto dall’uomo nel costruire il paesaggio. Il primo si inserisce nella visione ecologista, che studia e si interroga sulla capacità dell’uomo di modificare e turbare gli equilibri naturali. L’altro orientamento, che mette al centro del paesaggio l’uomo (attore e percettore), dà molta importanza alla percezione, tramite sensoriale attraverso il quale l’uomo si rapporta alla natura. A ciò si connette il tema delle forme, per il quale il paesaggio è da intendere come visione estetica del mondo in cui viviamo. Questo è il paesaggio dei pittori, degli artisti, che ha una lunga e affascinante storia. Iniziò con gli uomini preistorici che, nelle loro rappresentazioni rupestri, non ritraevano il paesaggio ma vi alludevano tramite i movimenti, le posizioni degli uomini e animali identificati come progenitori mitici, iniziatori di una cultura. Nella pittura occidentale il paesaggio, in un primo momento venne posto sullo sfondo di dipinti di soggetto religioso, con i santi o il Cristo in primo piano, in seguito diventò oggetto di rappresentazione con l’arte fiamminga e poi con gli stessi artisti italiani (ricordiamo il Giorgione). Il paesaggio viene rappresentato anche nell’arte cinese, dove però il segno umano non è mai così forte e in primo piano come nella pittura occidentale. Le diverse 6 rappresentazioni mostrano che il paesaggio è proiezione dei modi dell’uomo di vedere e rappresentare il mondo, in base alle questioni che si pone (sentimentali, estetiche, pratiche, produttive, ludiche). Il paesaggio ha assunto oggi un ruolo culturale centrale di fronte al dilagare degli interventi modificatori dell’uomo connessi all’industrializzazione e al liberismo economico che ha assegnato valore al suolo, vi è così il rischio che il paesaggio venga derubato della sua naturale connotazione, che ne si cancelli la memoria, la quale è componete essenziale della sua identità. Al tempo stesso il paesaggio è diventato una preoccupazione degli urbanisti, degli amministratori e di chi presiede al governo dei territori. In proposito si fa spesso distinzione tra paesaggio agrario e paesaggio urbanizzato (per non parlare di paesaggio naturale). Ma la vita urbana è ormai penetrata nelle campagne e questa distinzione, nei paesi più avanzati, non ha quasi più senso, anche se è tuttora importante nella ricerca storica, che si interessa alle epoche in cui città e campagna davano vita a paesaggi globalmente intesi come manifestazione dei modi di organizzazione del territorio, con tutta la connessa complessità propria del mondo moderno, che ha fatto scomparire quelle visioni del paesaggio di ieri, quadro piacevole, gradito, confortante del vivere. L’eccesso produttivo e l’urbanizzazione sempre più spinta produrranno paesaggi sempre più lontani da quelle aspirazioni proprie dell’uomo secondo le quali si cerca nel paesaggio il riflesso migliore del proprio agire nella natura. 7