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In Viaggio con Leo

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In Viaggio con Leo
In Viaggio con Leo
Tutti gli incontri Europei di Leonard Bundu
visti da Massimo Capitani
“Scrivere di pugilato significa scrivere di se stessi”
Joyce Carol Oates
Supplemento di www.nove.firenze.it
Associazione Comunicazione Democratica
www.nove.firenze.it/leonardbundu
In Viaggio con Leonard
Racconti di Massimo Capitani
Edito da Comunicazione Democratica, associazione di promozione sociale.
Supplemento dell'11 dicembre 2014 a Nove da Firenze, giornale locale on
line, testata giornalistica registrata al Tribunale di Firenze con il numero 4.877
il 31/3/1999.
Direttore responsabile Nicola Novelli.
Referenze fotografiche:
L'immagine di copertina è stata realizzata da Monica Caleffi come le foto
9,10,12,16,17,20,24
le foto 1, 7,8,11,18,21,22,23 sono state scatatte da Corrado Sacchi
le foto 2,3,6,13,14,15 sono state scattate da Michela Comisso
i disegni dei Capitoli Londra e Wolverhampton sono di Luca Andreozzi
www.nove.firenze.it/leonardbundu
A Renato Recinos
Anche se sono passati 26 anni, se chiudo gli occhi sento ancora il gancio sinistro di
Renato che si abbatte sulla mia mascella, quella volta - il giorno prima non avevo fatto
l’atleta - ma Renato metteva, eccome se metteva.
Quando il Maestro Boncinelli - il Bonci - mi presenta come giornalista aggiunge:
- è stato un mio allievo, ha fatto i guanti con I’ Recinos.
La Boxe è davvero strana, un gancio sinistro ti può mettere a nanna, oppure ti può far
ricordare un vecchio amico. Purtroppo di alcune persone ci rimane solo il ricordo.
A chi ha creduto in me quando neanche io ci credevo.
www.nove.firenze.it/leonardbundu
Presentazione
di Nicola Novelli
Direttore Responsabile di Nove da Firenze
Il Pugile delle Terme di Diocleziano è un bronzo ellenistico, attribuito alla scuola scultorea
di Lisippo, conservato al Museo Nazionale di Roma. Dal 1885 quando la statua fu
riscoperta durante scavi stradali, il Pugile emoziona generazioni di visitatori con il realismo
della sua smorfia atletica, i dettagli tecnici e le ferite al volto al termine di un incontro
violento. La grandezza di un artista del IV secolo avanti Cristo ha reso immortale un ignoto
boxeur di duemila anni fa.
In ogni epoca, la storia di un grande atleta è stata sempre legata al suo narratore, colui
che con l'arte, o il racconto, ha saputo spiegare al pubblico la particolarità delle sue doti, la
maestria dei suo colpi, ha saputo diffondere la fama delle sue imprese e farlo amare ai
tifosi, qualche volta rendendolo immortale. Ricordate la favola del campione dei pesi
massimi James J. Braddock? Durante la Grande depressione, Braddock si riduce a
svolgere lavori di fatica, ma per un caso fortuito torna sul ring e grazie al soprannome
Cinderella Man, che gli attribuisce il giornalista Damon Runyon nelle sue cronache
sportive, finisce per rappresentare le speranze e le aspirazioni del pubblico americano alle
prese con la crisi economica. "Il Cenerentolo" è delle più grandi sorprese della storia del
pugilato, ma il suo mito è anche frutto dell'intuizione narrativa di un reporter.
E' con questo atteggiamento che ho sostenuto con entusiasmo sin dall'inizio il progetto
editoriale dedicato a Leonard Bundu da Massimo Capitani, redattore sportivo di Nove da
Firenze, e dai fotografi Corrado Sacchi, Monica Caeffi, Michela Comisso. Il racconto
dell'ascesa del campione fiorentino al titolo europeo dei Pesi Welter si intreccia nelle
pagine di Capitani con aneddoti personali, dettagli dietro le quinte e tante spiegazioni
tecniche sul mondo del pugilato. Ho sempre letto gli articoli di Capitani con il piacere di
scoprire il pugilato di Bundu, le sue doti innate, il ritmo e i colpi irripetibili, la repentina
inversione della guardia. Proprio quello che ogni narratore deve fare per divulgare e far
amare un campione sportivo al grande pubblico.
Se “In viaggio con Leonard”, pubblicato on line su www.nove.firenze.it, sia il migliore libro
sul pugile fiorentino lo decida il pubblico. Di due cose sono certo: che ce n'era bisogno e
che Bundu se lo merita. Con quel sorriso che conquista, simbolo di una nuova Italia,
multietnica, tollerante, impegnata socialmente. Leonard è un paladino dello sport pulito, la
metafora di un'Italia sana e sincera, che stringe i denti e si difende dai colpi della crisi
economica. E' il simbolo di una nazione ringiovanita che vuole farsi strada e guardare
lontano. In questi anni difficili, in cui il nostro paese è sinonimo di sfiducia, in Europa pochi
concittadini possono camminare a testa alta. Uno che gode del rispetto unanime è
Leonard Bundu, con la sua corona sulla cintura, sorta di Mario Draghi della Boxe
nazionale, sul ring senza paura, pronto per le sfide più ambiziose.
www.nove.firenze.it/leonardbundu
Introduzione
Un minuto con Leonard Bundu
In tanti mi chiedono com’è Leonard Bundu dal vero e così, se hanno un po’ di tempo,
racconto loro della mia prima intervista.
Era la vigilia del primo match con Petrucci e Leo non era ancora Campione europeo. Quel
pomeriggio ero andato - ma sarebbe meglio dire tornato - all’Accademia Pugilistica
Fiorentina per intervistare il Maestro Boncinelli. Da bravo giornalista principiante, volevo
iniziare da chi conoscevo bene: il mio vecchio Maestro. Oltrepassai la porta rossa che
conduce alla palestra, indugiai sulle foto appese sulla destra, scesi la prima rampa e mi
andai a sistemare sulla balaustra che precede la seconda rampa, quella che porta
direttamente alla palestra. Da quella postazione franca notai da basso le telecamere della
stampa istituzionale, che stava intervistando Leonard. Rimasi lì in piedi ad aspettare
continuando ad arrotolarmi i pantaloni a pinocchietto, come faccio sempre quando sono
teso, così che alla fine ero quasi in mutande.
Quando fu il mio turno scesi la rampa. Il Maestro vedendomi mi salutò e disse, indicando
Leonard:
- Con lui, o con me?
- Con te, con te - risposi io.
Il Maestro - che io ho il privilegio, come tutti i suoi ragazzi ed ex ragazzi, di chiamare
Bonci - aggiunse:
- Puoi aspettare un minuto?
- Certo.
E visto che Leonard aveva smesso per un minuto di fare gli esercizi sul ring, mi presentò
a lui:
- Questo è un giornalista, è stato un mio allievo.
Quel minuto fu lungo: con Leonard parlammo di quanto era strano che un evento come il
Campionato europeo dei pesi welter fra due pugili italiani non fosse stato abbastanza
pubblicizzato, mentre il beach volley, sempre al Foro Italico, aveva uno spot che
paragonava i giocatori di pallavolo ai gladiatori!
Leonard mi chiese di quando avevo frequentato l’Accademia, ed io - che ormai ero partito
- gli raccontai di quegli anni, delle persone che frequentavano la palestra a quei tempi,
qualche anno prima di lui, del fatto che non avevo potuto combattere. Così che ad un
certo punto ho detto:
- E che cavolo! Sono io che sto raccontando la mia “carriera” a Leonard Bundu.
Lui sorrise e dopo poco quel minuto terminò.
Ora, se avete un po’ di tempo, vi racconto cosa è successo prima e dopo quel minuto. Il
racconto di un uomo che si è battuto sul ring per diventare Campione e di uomo che si è
battuto sulla tastiera per raccontarvi questa storia.
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In Viaggio con Leonard
Si parte
Ci sono persone che ci costringono a fare con l’immaginazione cose inimmaginabili.
E' così che ci si può trovare a suonare la chitarra immaginaria di Jimi Hendrix,
provare la punizione alla Diego Armando, o il cambio guardia di Leonard Bundu.
Per iniziare questa Storia, non c'è giorno migliore di oggi, 11 Agosto 2012. Ho appena
bevuto una birra media in un Pub fiorentino, mangiato una decina di olive, un numero
imprecisato di noccioline e letto di Valentino Rossi che torna in Yamaha per provare a
vincere ancora. Per i ragazzi di 20 anni fa tutto era una “Storia”: le Storie con le ragazze,
poche; altre Storie, e se qualcuno proponeva il programma di una bella serata arrivava il
coro: “Bella Storia!”.
Questa è la Storia di alcuni ragazzi che sono passati dall’Accademia Pugilistica
Fiorentina, ma soprattutto la Storia di Leo Bundu - il miglior pugile italiano professionista e del suo incredibile talento. Il talento è una cosa innata, per il quale non vale la pena
perdere tempo a cercare un altro aggettivo. È come un ingrediente che viene aggiunto,
chissà da chi e chissà perché, in una ricetta che dovrebbe essere uguale per tutti.
Ciascuno di noi ha un po’ di talento, fatte le dovute proporzioni; eppure alcuni preferiscono
non accorgersene, perché quando hai talento la gente si aspetta qualcosa da te, e tu mica
hai voglia di sbatterti per qualcosa che non sai neanche da dove venga.
“Va bene, Leo, muovi il tronco per benino; la ferita va bene, non ti preoccupare, va bene
Leino.” Le parole sono del nostro Maestro Boncinelli, all’angolo di Leonard.
Chiunque sia stato all’Accademia, sentendo “muovi il tronco per benino” s’immagina la
figura del Bonci che oscilla, ma c’è solo un ragazzo che sa imitare alla perfezione questo
gesto, Giuseppe Sette, e chi lo conosce non può che concordare con me.
Nel resto del virgolettato c’è tutto l’amore del Maestro per il pugilato e per il suo ragazzo,
un Maestro che alla mia domanda: “Quanto dell’uomo Boncinelli va sul quadrato insieme
a Leonard?” rispose: “Tutto me stesso.”
Sulle note di Azzurro, canto: “Cerco un pisano tutto l’anno e all’improvviso eccolo qua, e
mi ricordo da bambino con le spranghe a guerreggiar, ma ora sono grande con la pistola
vado a sparar, pisano… E allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te, il
treno degli ultras viola…”
Non ce l’ho con i pisani, non ce l’ho con nessuno a prescindere; ma se eri nato dalle mie
parti queste erano le canzoni che sentivi e che volevi mettere in pratica prima possibile.
Questa insomma era la mia idea di trasferta e i pisani, che la mamma continuava a
definire “persone come noi”, non c’entravano niente. Certo è che, ora come allora, la
trasferta ha tutto un altro fascino: la preparazione, il viaggio di andata con le chiacchiere
speranzose e nervose, il viaggio di ritorno con la stanchezza che ti affetta e lo spirito
diverso a seconda della situazione e l’idea che comunque il giorno dopo, o quello dopo
ancora, sarà un giorno di lavoro.
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Quando eravamo Ultras, anche le partite in casa le vivevamo come se fossero trasferte.
Una volta alzati dal letto non c’era molto altro da fare che raccogliere i vestiti sparsi per la
camera, le idee e la bottiglia d’acqua che ci aveva ristorato tutta notte, e andare nei pressi
dello stadio a vedere che aria tirava.
Partenza Falsa
Questa Storia inizia, come molte mie Storie, con un nulla di fatto.
Infatti a Firenze già da un po’ di tempo campeggiano le gigantografie di Leonard Bundu
per il titolo del Mediterraneo, ma io faccio finta di nulla: il pugilato è roba del passato, i
miei ricordi sul ring, o giù dal ring, sono lontani come il grande pugilato degli anni ’80 che
vedevo in salotto con il babbo.
Ho visto Leonard dal Bonci una delle rare volte che in questi 25 anni sono tornato con
Alessio, i’ Foffy, all’Accademia. Sarà stato il 1995 e non so se era più difficile che Leo
divenisse campione europeo a 37 anni, o che io iniziassi a scrivere. Poi l’ho visto alle
Olimpiadi, e l’ho difeso quando è andato fuori al secondo turno litigando con un tizio che
mi rinfacciava: “Meno male che avevi detto che era da medaglia”.
Ma alla fine non sono andato all’incontro e tutto questo discorso - come anche altri che
non riesco a esprimere - si sintetizza in questo breve colloquio col Foffy:
- Ha combattuto Bundu al Mandela...
- Lo so - rispondo io.
- Ha vinto.
- Lo so.
- Certo che si poteva anche andare, siamo proprio i peggio...
- Lo so.
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Leonard Bundu vs Carlos “El Malevo” Adan Jerez (Argentina)
Titolo Intercontinentale WBA vacante
19 Marzo 2010, Nelson Mandela Forum, Firenze
Questa volta ci siamo: Ivan, un amico deI Foffy, ha trovato i biglietti.
Arriviamo poco prima del combattimento che precede quello di Leonard, ovvero il
Campionato italiano dei pesi gallo fra Rodrigo Bracco e Antonio Pio Nettuno. Mi capita di
vedere il match accanto a un ragazzo mai visto e conosciuto: la sua ragazza mi ha ceduto
il posto accanto a lui, perché nella poltroncina davanti a lei c’è un tipo con una testa a 62
pollici.
Non è che del match io ne capisca molto: ho perso l’abitudine di seguire gli incontri e non
assomigliano per nulla al calcio. Ma non posso non notare che il ragazzo che ho vicino
continua a muoversi: chi è stato sul quadrato, quando si ritrova spettatore difficilmente
rinuncia a muovere il tronco, a provare qualche colpo e a parlare a proposito.
Rodrigo vincerà alla decima per getto della spugna. E io sono tornato come d’incanto a
masticare pugilato.
L’incontro successivo è quello di Leonard.
Gli spogliatoi, quelli ancora della vecchia palestra, sono sulla nostra destra. Leonard
appare salendo da quegli stessi scalini che centinaia di ragazzi hanno percorso, ma che
solo lui ha saputo salire per arrivare così in alto. La presentazione dei pugili è qualcosa di
grandioso, non c’è paragone con gli “olè” del calcio. Qui non si tratta solo di perdere o di
vincere, qui non si gioca a calcio, né ad altro. Qui si combatte, si prendono e si danno.
Punto e basta.
Leonard arriva sulle note di una musica rap. Per lui il coro da brivido dalle tribune è
“Bundu Bomaye” (Bundu uccidilo), che mi riporta alla mente le pagine di Il più grande,
ovvero la Storia di Mohamed Ali.
Il match ha inizio e Alessio mi dice, riferendosi a Leonard:
- È tirato.
- A balestra - rispondo io.
Leo è veloce, cambia guardia come il panorama visto da un treno in corsa, e poi colpi in
serie alla costante ricerca del bersaglio. L’argentino “El Malevo” (il malvagio) è il tipico
Indio: lo sapete, gli argentini o sono carini e biondini, alla Caniggia, o alla Batistuta, o
sono incazzati e scuri, alla Monzon, o alla Passerella. Insomma, un brutto cliente: braccia
lunghe, colpi dritti e un destro largo da tenere a distanza, “la cianfata”, come dice il Bonci
all’angolo.
Dalle tribune, ma più precisamente nei pressi del ring, continua il “Bundu Bomaye” e poi
una voce solista a me familiare intona Don't cry for me Argentina imitando Evita Peron, tra
le risate generali. Cerco con lo sguardo l’autore ma il mio vicino mi precede:
- Bada chi l’è, è Beppe I' Sette.
Che, scatenato, ripete l’adagio.
Il match si conclude alla 5° ripresa per la ferita dell’argentino: una gomitata involontaria di
Leonard ha colpito Jerez al sopracciglio destro.
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(Foto 1 Corrado Sacchi)
Io proprio non so come ci si comporti per giudicare un match che si conclude per ferita. Il
mio vicino di sedia, anche se siamo in piedi, mi soccorre e mi spiega che in caso di ferita
accidentale, se lo stop viene imposto prima della 4° ripresa, il match viene giudicato come
“pari tecnico”; dalla 5° in poi si leggono i cartellini dei tre giudici, che al termine di ogni
singola ripresa hanno il compito di stilare per determinare, alla fine, il risultato.
In definitiva so solo che Leonard ha vinto: lui ora è con le braccia al cielo a ringraziare tutti
e quando lo fa, per ultimo, con il Bonci, il Maestro mima un “e che cazzo, era l’ora che ti
ricordassi di me!”. Leonard si scusa anche con il pubblico per come è andata, per il
mancato spettacolo di tutte le riprese, o di una soluzione prima del limite. Sembra
sinceramente dispiaciuto. Ora che lo conosco, sono convinto che lo fosse davvero.
Beh, non resta che tornare a casa. Ma, prima di farlo, nei pressi del ring noto un ragazzo
che conosco, o meglio che ho visto una volta quando sono andato per lavoro nel suo
ufficio; solo che stasera non batte meccanicamente su una tastiera, ma imbraccia una
macchina fotografica e con tanto di pass fotografa l’evento. Non so quanto tempo mi ci
vorrà per decidermi a chiedergli cosa ci facesse lì sotto il ring a scattare foto, e per
scoprire che Corrado faceva il fotografo per il giornale on line “Nove da Firenze”.
Ci vorrà ancora un po’ di tempo perché, complice la frequentazione della palestra di
pugilato Centro Sport Da Combattimento, io assista, sempre al PalaMandela, al terzo
titolo di Marceddu e mi decida di scrivere della serata e a inviare il pezzo all’indirizzo di
posta elettronica di “Nove da Firenze”.
Bene: proprio quel pezzo viene messo on line da uno dei redattori, Fabio Bernardini, e dà
inizio alla mia carriera di cronista sportivo.
www.nove.firenze.it/leonardbundu
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Partenza col botto
Mancano ventiquattr'ore alla prima sfida europea Bundu vs Petrucci, ed è anche il 24 di
Giugno 2011, a Firenze il tradizionale giorno dei “Fochi di San Giovanni”.
È un pezzo che non vedo i Fochi e li ricordo in momenti belli e in momenti brutti, “good
times, bad times”, come direbbero i Led Zeppelin. Comunque, ricordo che il meglio veniva
alla fine, quando sparavano i tre colpi di cannone.
E, a proposito, oggi sono a cena dal direttore di “Nove da Firenze”. È la prima volta che lo
vedo di persona, Nicola, dopo averlo conosciuto via mail. Lui sta al Poggio Imperiale, fra
Porta Romana e il Piazzale Michelangelo, e se siete un po’ pratici di Firenze lo sapete da
soli che è un gran bel posto. Alla sua tavola c’è roba da mangiare e da bere, ma la
differenza, come da qualsiasi altra parte, più che la roba liquida e solida che entra nelle
bocche, la fa quello che esce sotto forma di parole.
Ricordo di aver preso le misure a tutti e a tutto con un paio di prosecchi niente male. E
poi, appena il discorso è caduto sulla Boxe, ricordo di aver detto la mia. Il “la” lo aveva
dato Alessandro Lazzeri, che per “Nove” scrive di Cultura: raccontò di aver tirato di Boxe
ai suoi tempi e di come la Noble Art lo avesse tirato fuori al meglio, da una situazione con
soggetti che nulla avevano di nobile, in una nottata parigina di molti anni prima. Fu allora
che mi feci avanti, ricordando una di quelle volte nelle quali essere un pugile aveva fatto
comunque la differenza.
- Sapete, io una volta ho discusso con J.J. Anderson...
- Ma chi, il giocatore di Basket della Liberty Firenze?
- Proprio lui!
- Piccino te lo sei scelto: due metri e passa di atleta...
- Ma, insomma, com’è andata?
- Avevo all’incirca 18 anni, lo ricordo perché avevo la macchina ed ero tornato in palestra
perché c’erano alcune cose che non mi tornavano nell’abbandono del 1987. Fatto sta che
avevo parcheggiato nelle stradina dietro Viale Malta, quella che porta all’entrata
secondaria e oggi è delimitata da una sbarra. Dopo l’allenamento, vado per riprendere la
macchina e vedo che davanti c’è parcheggiato un macchinone con tre persone che
chiacchierano appena fuori dall’abitacolo. Passo davanti a loro mostrando le chiavi
dell’auto, loro ricambiano lo sguardo e io monto in macchina e metto in moto. Ma,
contrariamente a quanto mi sarei aspettato, nessuno di loro fa altrettanto e nessuna delle
macchine si muove. Esco dalla macchina piuttosto innervosito: era talmente evidente
quello che si doveva fare che mi dava fastidio doverci tornare sopra. Ne viene fuori una
piccola discussione, dove nessuno capisce nessuno. Per fortuna in quel momento passa
il Bonci con un altro ragazzo della palestra, che aveva qualche anno più di me e
conosceva il Bonci da diverso tempo, così che alla fine si riesce a capire qualcosa e
qualcuno si decide a spostare quella macchina. E io finalmente posso andare a casa o
dove mi pare e piace.
La storia ha pure un seguito. Quello era il primo periodo in cui l’Accademia - l’Accademia
Pugilistica Fiorentina - si era stabilita al Palazzetto. Il Bonci era un giovane Maestro,
mentre il basket andava alla grande a Firenze. In quegli anni, come ricorderete, molti tifosi
- me compreso - uscivano dallo stadio ed andavano al Palazzetto. Insomma, c’era una
certa sudditanza verso di loro. Ricordo che una volta avevamo l’allenamento in
concomitanza con una loro partita e per uscire dal Palazzetto dopo la sessione ci toccò
esibire la tessera dell’Accademia a tutti e, per quelli che se l’erano scordata a casa, al
Bonci toccò dire: “lui è con me”.
Quando tornai in palestra il giorno seguente alla discussione sulla macchina da spostare,
ancora teneva banco l’accaduto e venne fuori che il Bonci era andato a scusarsi, visto che
loro sostenevano che io li avessi aggrediti a parole. Rispiegai la mia versione dei fatti e il
Bonci dopo un poco lasciò l’allenamento. Il giovane Maestro, come mi riferì lui dopo, era
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andato a riferire la mia versione a quelli del basket, aggiungendo che non gli era
convenuto andare oltre le parole con me.
Nicola, come ebbe a dirmi qualche tempo dopo quella serata, pensò:
- Che acquisto che abbiamo fatto.
Io mica lo so a quel punto che ore erano, ma mi piace pensare che proprio in quel
momento esplodessero i colpi di cannone dei Fochi di San Giovanni.
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Leonard Bundu vs Daniele Petrucci
Campionato Europeo vacante pesi welter
25 Giugno 2011, Foro Italico, Roma
Se c’è una cosa che mi piace dei bambini è che loro giocano e si agitano anche con 40
gradi; mentre a noi grandi fa fatica anche solo pensare: “Ma come fanno a muoversi con
questo caldo?”.
L’appuntamento è a casa di Corrado - il fotografo - nel primo pomeriggio. Corrado sta
preparando la sua attrezzatura, cercando di non sudare troppo e di non inciampare
nell’elastico che sua figlia Giulia ha fissato alle due sedie nel corridoio, per giocare
all’antico gioco dell’elastico. Giulia salta come un grillo ripetendo le sequenze che ha in
mente, io la seguo a fatica sperando che non dica: “Dai, prova anche te.”
Corrado se la prende comoda, Giulia pronuncia quella frase, e io entro nel gioco
nonostante la stagione e i mali di stagione che ormai coprono l’intero anno. La posta si
alza così come l’elastico e io salto più o meno come un ippopotamo in calore. Non me la
cavo male, tranne che per l’uscita alla fine della sessione. Giulia mi spiega e ripete il
gesto mentre io mi passo il dorso della mano sulla fronte e riprendo fiato. Riparto.
Si tratta, con le gambe all’esterno dell’elastico, di stringere quest’ultimo fra le ginocchia,
ruotare di 360° - rimanendo così costretti dall’elastico - e poi saltare librando le gambe
fuori dall’elastico, che nel frattempo si è teso nuovamente. Giulia quest’ultimo passo lo
chiama “lo chambé” o qualcosa di simile. Prova e riprova, riesco a saltare nella maniera
giusta, evitando per un pelo lo spigolo della libreria che metterebbe K.O. anche un toro.
Sono alla frutta, quando Corrado dice a Silvia, sua moglie:
- Noi andiamo.
Silvia sulla porta dice sorridendo:
- Ma Massimo lo conosce il tuo amico?
Sorrido senza sapere il perché. Un bacio del babbo alla figlia, un ultimo mio sguardo
all’elastico. Partiamo.
L’appuntamento con il fantomatico amico di Corrado è ai Bottai, da lì ci aspettano
l’autostrada e il Foro Italico.
L’amico di Corrado arriva con un’Audi nera, lo so perché Corrado dice:
- Eccolo.
La macchina fa manovra e io, riconoscendo il conducente, dico:
- Azz che amici che hai.
Stiamo andando a Roma a vedere Leonard Bundu con, e sulla macchina di, Piero Pelù.
Piero frequentava un bar a Bellariva nell’estate di non so quale anno. Il bar era ricavato in
un autobus in disuso, ma io non sono mai riuscito a trovarlo, Piero intendo, l’autobus era
parcheggiato. Quando frequentavo un paio di locali in Borgo Albizi, lui passando di là
lasciò un autografo a un tipo di soprannome Otto, scrivendo: “Otto per Otto, Piero Pelù".
Ho visto i Litfiba, anche se ero andato per i CCCP, in Piazza Santissima Annunziata nel
1989. Era il concerto dopo e per Tienanmen. Ricordo che ad un certo punto arrivò un tipo
che ripeteva “Tieni a mente Tienanmen, Tieni a mente Tienanmen, Tieni a mente
Tienanmen”. Che dopo un po’ aveva rotto, e così si beccò insulti e monetine. Anche i miei,
ed è una cosa di cui, dopo, mi sono sempre vergognato. Spero che basti.
In macchina, però, non è il caso di parlare di questo o di altro che riguardi me e Piero
Pelù, e la discussione va sul pugilato, una materia nella quale inizio a essere ferrato. Così
parliamo delle vittorie di Leo in trasferta - quella di Berlino è la più gettonata -, della sua
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tendenza a ferirsi e del futuro mondiale. Così io sparo un po’ di nomi di mostri nella
categoria di Leo: Mayweather, Cotto, Pacquiao.
- Ma chi, il filippino? - dice Piero.
- Sì.
- Ha vinto una cifra di mondiali...
- Otto.
- Se fa con quello, andiamo tutti a Manila.
Si parla anche di altro, di film soprattutto, finché arriva il momento di fermarsi all’autogrill.
È qui che inizia la menata per lui, perché la gente lo vede e dice:
- È Piero Pelù!
E poi fa le foto, fa domande; alcuni, i più titubanti, ripetono a noi la frase con alla fine un
punto interrogativo, altri ancora si fanno gli affari propri. Ci sbrighiamo e saltiamo in
macchina di nuovo.
Appena siamo a Roma, troviamo subito il Foro giusto, il Foro Italico. Il mio amico Foffy mi
aveva detto:
- Gran bell’impianto, ci ho visto gli internazionali di tennis.
Il tipo della sicurezza appena riconosce il conducente apre la transenna e ci fa passare.
Parcheggiamo vicino all’uscita, con il cofano della macchina puntato in direzione nord.
Quello della sicurezza si avvicina a Piero e gli attacca una gran pippa, credo che gli abbia
dato anche il numero di telefono. Noi ce ne andiamo a ritirare gli accrediti. Sbagliamo
subito sportello e così, dopo un paio di minuti di smarrimento, della serie “abbiamo
sbagliato tutto”, la ragazza tira fuori tre buste intestate ai Dott. Nicola Novelli, direttore di
“Nove da Firenze” che non è venuto, ed ai Dott. Corrado Sacchi e Massimo Capitani.
Raggiungiamo Piero, che si è appena liberato dalla morsa del tipo, e puntiamo decisi
all’ingresso. In più di uno salutano il cantante e uno di questi aggiunge:
- Grande Piero, ma oggi vinciamo noi.
- Vediamo - risponde lui in tono diplomatico.
Già, perché qui sono tutti convinti che Petrucci vincerà, di sicuro perché hanno fiducia nel
loro pugile, ma anche un po’ perché combattono in casa. Anche io sono stato convinto, e
lo sono tuttora, che Leonard abbia fatto il passo decisivo per il titolo europeo proprio qui a
Roma.
Dopo l’intervista con il Bonci e Paolo che aveva preceduto il match romano, ero rimasto lì
a raccogliere i miei appunti e a respirare un po’ di tensione. Leonard era sceso a salutare:
il giorno dopo doveva essere a Roma per la conferenza stampa. Il Bonci, visto che
Leonard passava da casa, gli aveva raccomandato, accompagnando le parole con il
gesto inequivocabile della mano, di “non trombare”. Leo aveva risposto ridendo e dicendo:
- È più di un mese.
Così si era fatta l’ora di andare via. Salutai con un orgoglioso:
- Ci vediamo a Roma.
I Maestri salutarono a loro volta ed io dissi ancora:
- In bocca a lupo.
Fu il Bonci a rispondere:
- Se n’ha bisogno.
Sono sicuro che il Bonci aveva più di un dubbio sul fatto che a Roma il verdetto potesse
essere condizionato in qualche modo dal fattore casalingo: chi ha visto qualche match sa
che questa tendenza nella Boxe esiste a tutti i livelli, dai titoli più importanti, mondiali ed
Olimpiadi, alle riunioni ordinarie dei dilettanti.
Il Foro Italico, anche se non era strapieno come annunciato, per Petrucci vs Bundu
presentava ottomila spettatori, ma i fiorentini erano davvero pochi: nonostante si fosse
parlato di pullman, gruppi e comitive, solo qualche macchina aveva raggiunto l’impianto
capitolino. Insomma, il tifo era tutto per Petrucci, e poi Leo aveva combattuto dalla
seconda ripresa con un ematoma sulla fronte grosso come una pallina da tennis, che per
sua stessa testimonianza gli procurava un dolore mai provato prima - e chi ha fatto 141
www.nove.firenze.it/leonardbundu
match da dilettante e 29 da professionista, se ne intende di dolore - “il solo poggiare il
guanto a protezione della parte acuiva la sofferenza”.
Quando l’ho intervistato, gli ho chiesto se con quel dolore non aveva pensato, solo
pensato - e che cavolo, si pensano così tante cose, e poi solo in un attimo - a smettere.
Lui aveva risposto di no.
È vero che i pugili non sono persone comuni e che Leo è un Campione, ma insomma è
stato con il pareggio di Roma, in quel clima e con quel bozzo dolorosissimo, che Leonard
Bundu ha ricevuto le stigmate del Campione. Anche Petrucci, passata la tensione del
match, onorerà la ferita di guerra, e come nel match di Firenze riconoscerà la vittoria di
Leonard.
(Foto 2-3 Michela Comisso)
Ma ora riprendo da dov’ero rimasto, all’ingresso del Foro Italico.
All’ingresso del Foro Italico troviamo Antonella, agitata e scocciata perché hanno fatto un
po’ di casino con i posti, motivo per cui Piero ha sul polso destro il pass di Nicola.
È presto. Io e Corrado facciamo un giro intorno all’impianto, poi entriamo. La tribuna
stampa è spostata rispetto al ring: siamo in una specie di curvino, non c’è alcuna
delimitazione e ci possiamo sedere dove vogliamo, cosi ha detto lo steward.
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Ci spostiamo fin dove possiamo e ora siamo a ridosso della balaustra. Sbracciandoci
attiriamo l’attenzione del Bonci e del Vignoli che sono nei pressi del ring e indossano pass
di diverso colore dei nostri. Non c’è verso di oltrepassare la balaustra, neanche se
montiamo in collo a loro. “A bordo ring, solo stampa autorizzata”, come ci dirà lo steward
addetto a quel settore. Torniamo dunque nel curvino, preoccupati per le foto e per il pezzo
che dovremmo fare a distanza.
Accanto a noi si siedono dei signori con i biglietti, niente vieta ad altri di avere il biglietto
dei nostri posti, e visto che è annunciato il tutto esaurito siamo nei guai. Io e Corrado ci
sediamo lungo la fila che è destinata al flusso degli spettatori; poi un momento dopo io mi
alzo e vado a parlare con lo steward di vigilanza all’ingresso del settore da cui siamo
entrati. Non mi dice molto di più di quello che già sapevamo e aggiunge che “siamo tutti
nella stessa barca”.
Torno da Corrado. Lui ha appena inviato un sms al direttore, che dopo aver appreso la
nostra situazione ci ha riposto “eroici”: un incoraggiamento che, unito a quelli della mia
compagna e del mio amico Bernardo, mi tirano un po’ su.
La verità è che io scrivo da poco di pugilato e fino a venti giorni fa ambivo a essere al
Foro Italico come spettatore, mentre ora devo scrivere un pezzo sul campionato europeo.
Ho fifa, ma ormai sono qui e mica mi posso nascondere sotto il ring.
Il sottoclou inizia con l’esordio di Mirko Ricci. Il medio massimo romano chiude subito
infliggendo in rapida serie tre conteggi all’avversario; il datato portoghese Fernando
Fernades è, come spesso succede, un comodo cliente per l’esordio da professionista di
un promettente pugile. Vedrò Ricci combattere spesso durante la sua carriera
professionistica. Contro di lui farà un gran bel match il fiorentino, ex Accademia Pugilistica
Fiorentina, David Rettori: andatevi a rivedere il suo match. Di lui, all’Accademia, nei
discorsi che si fanno a fine allenamento, dicono: “il Rettori da peso medio me lo gioco con
tutti”. Di Ricci mi sono perso invece la sfida, persa, per il campionato italiano con Barletta.
Chi se ne intende mi ha detto, anzi ripetuto, che deve imparare a tenere su le mani.
Nel sottoclou ci sono anche Domenico Salvemini, che sconfigge Adrian Gabriec, e
Massimiliano Bucchieri, che ha la meglio su Daniele Moruzzi, anche se io non sono molto
d’accordo, visto che preferisco sempre la Boxe in linea a quella scomposta nonostante
quest’ultima sia supportata dall’intraprendenza.
Nel sottoclou ci sono anche due ragazze che si esibiscono, ma non si confrontano fra
loro, ma con un palo che abbracciano e stringono forte, insomma c’è uno spettacolo di lap
dance che per una riunione di pugilato è, tutto considerato, fuori contesto. Leonard, a cui
chiederò cosa ne pensa della lap dance prima del suo match, definirà il tutto “esagerato”,
come per par condicio definirò esagerate le ballerine del sexy disco Excelsior impiegate
come ring girl nel mondiale di Kick Boxing di Marceddu al PalaMandela.
Si va avanti con il ring announcer che elenca i personaggi illustri che partecipano alle
serata, aggiungendo un: “mi dicono che ci sia anche Piero Pelù”, mentre non si scorda
mai di dare spazio al fantomatico sosia di Sylvester Stallone, che noi, anche sporgendosi
in quella, che dovrebbe essere la sua postazione, proprio non riusciamo a vedere.
Quando è il momento di Manuel Ernesti opposto a Sebastian Skrzypczynski, me ne vado
a comprare qualcosa da mangiare. L’incontro durerà meno del tempo che ci vuole a
memorizzare il nome del pugile polacco. Esco dal mio settore mentre un collega della
stampa vi entra e dice allo steward:
- La tribuna stampa?
- Sì.
- Che ormai è diventata una tribuna famiglia.
- Avercela, una famiglia - risponde lo steward.
Credo che qui ci siano tutta la spontaneità e la naturalezza del romano che, messo in
difficoltà, in una situazione di cui per altro non è responsabile, ne esce con una
disinvoltura tutta romana. Prima del match avevo scritto un pezzo per “Nove Da Firenze” “Conto alla rovescia per il match Bundu vs Petrucci” - nel quale parlavo della rivalità fra
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Firenze e Roma. E credo ancora che Firenze e Roma non si amino, e di sicuro in ambienti
come stadio e bar vari il “non si amino” diventa un eufemismo; questo non mi impedisce di
vedere e apprezzare il romano che se la cava con un: “avercela, una famiglia”.
Quando torno, non manca molto al campionato europeo dei pesi welter. Corrado ha
lasciato il posto sulle scalette di deflusso e si è preso due posti buoni. Il Foro Italico si va
riempiendo, anche se per nostra fortuna non del tutto. Corrado poi abbandona il posto per
guadagnare una postazione più favorevole per i suoi scatti, mentre io rimango lì, in attesa.
Ci siamo quasi: ora sul ring ci sono i pugili che non devono combattere, Paulie Malignaggi
e le vecchie glorie a riposo, mattatore della scena è Piero Del Papa, il dieci volte
campione europeo che ci prende gusto ad essere applaudito e non vuol scendere più dal
ring.
Ora sul quadrato c’è solo il ring annoucer che, come suo solito, recita la frase “inizia la
legge del ring”. Quando vedo sbucare fuori dagli spogliatoi Leo, non mi sembra neanche
di essere lì, lì in quel momento, proprio come mi succede quando sono troppo
emozionato.
Recupero penna, blocco e me stesso, e inizio a concentrarmi prima che il match abbia
inizio.
Match finito - faccio un salto temporale, tanto lo sapete tutti com’è andata - mi aggrappo a
Corrado per sapere qual è il sopracciglio tagliato di Leo, perché dalla nostra postazione
non avevamo visto l’enorme ematoma sulla fronte del fiorentino. Le fotografie dell’amico
mi chiariscono le idee.
Il cellulare di Corrado squilla: è Piero che ci dà appuntamento al negozio della Leone
appena sotto la nostra postazione. Raggiungiamo il posto, ma Piero non c’è. Corrado
prova sul telefono ed è proprio in quel momento che io realizzo che il pur positivo pari mi
mette nei casini fino al collo. Infatti, l’accordo con il direttore era di scrivere il pezzo e di
mandarlo via, insieme alle foto, il prima possibile. Per l’evenienza e su consiglio di Nicola
avevo preparato due pezzi: uno per la vittoria di Leo, uno per la sconfitta. Il pareggio non
l’avevo proprio calcolato.
Raggiungiamo Piero direttamente alla macchina. Al negozio della Leone lo avevano
assalito. Così ci mettiamo in viaggio ed io tiro fuori il computer.
Se c’è una cosa di cui soffro è il mal d'auto: se non volete che vomiti, non mi fate stare sul
dietro di una macchina impegnata in una strada tutta curve. La “Volterrana” percorsa da
bambino evoca ancora rigurgiti gassosi mai del tutto elaborati. Ed è consigliabile anche
non farmi leggere le indicazioni su una mappa, qualsiasi posizione occupi io in macchina.
Volendo, posso sempre guidare.
Il primo sbuffo mi prende dopo cento metri, mentre siamo appena entrati nella coda della
macchine che tentano di allontanarsi dal Foro Italico.
Ricordo che il titolo mi venne fuori subito, come un coniglio dal cilindro, e non ridete
perché è lo stesso titolo che userà Alfredo Bruno, direttore di Boxe Ring, per il suo pezzo:
“Bundu vs Petrucci, tutto da rifare”, appunto. La descrizione del match al suo inizio è
meno azzeccata, visto che preso dal panico decido di esordire con un' idea già preparata,
sbagliando anche a battere sulla tastiera, finendo per scrivere: “Nessuno dei due disposto
a snaturare il proprio pugilato, fatto di ritmo ed aggressivitŕ”, e invece Leo inizierà più
aggressivo, mentre Petrucci cercherà di boxare di rimessa.
Io continuo a battere sulla tastiera, cercando i concetti più semplici possibili, mentre là
davanti i miei compagni, eccitati dall’evento, non la smettono di parlare. Tiene banco
soprattutto la maniera strana in cui è stato comunicato il verdetto, visto che è stata
decretata la parità senza dare la lettura dei cartellini.
Corrado controlla cosa dice il web e trova una notizia che riporta che un giudice aveva la
vittoria di Leo, o forse di Petrucci, ancora non si capisce bene. Io ancora non ci penso a
queste cose e dico a Corrado di controllarmi sul web come si scrive Malignaggi. A conti
fatti, sono diverse le persone che pensano che Leonard fosse in vantaggio di uno o due
punti, anche se non mancano i pareri opposti.
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La macchina si ferma. Miracolo. Siamo all’autogrill e Corrado e Piero, totalmente ignari
del dramma che si sta consumando nelle mie viscere, mi invitano a bere o mangiare
qualcosa. Rispondo:
- Andate, andate pure.
Ho pochi minuti per concludere il pezzo, vedere che non ci siano orrori ortografici e capire
se il discorso fila almeno un po’.
Quando Corrado e Piero tornano, sono pronto per leggere il mio pezzo, che anche se non
sarà il migliore che ho scritto è comunque il meglio che potevo fare nella peggior
situazione.
Letto il pezzo, passo la chiavetta con il file a Corrado e respiro, finalmente. Corrado ha il
compito di scegliere le foto e di mandare il tutto al direttore, che lo pubblicherà sul
giornale. La mail notturna di Corrado è però malauguratamente finita negli spam della
posta del direttore, e quindi il nostro pezzo sarà in rete solo intorno alle 14 del giorno dopo
l’incontro, vanificando lo sforzo notturno. Ma non importa, perché alla fine ci siamo battuti
come leoni senza star troppo a vedere, a ponderare, ed il tutto, compreso la foto di
Corrado, in grande e sola evidenza, sarà riportato su boxe ring web sotto il titolo: “I post di
Bundu vs Petrucci sulla stampa italiana”.
Il parcheggio dei Bottai ci accoglie a braccia aperte e la macchina di Corrado è pronta per
portarci a casa. Chiedo all’amico di sentire Piero per benzina e autostrada. Alla domanda,
il cantante dei Litfiba sorride e dice:
- Buonanotte.
Sono a casa nel mio letto, è tardissimo, ormai è mattina presto. Talvolta la Boxe ti fa
andare a letto tardi, a volte ti fa alzare molto presto, come la Scrittura che ti tiene sveglio e
non ti fa dormire fin tanto che dal letto non ti alzi e la fissi su un pezzo di carta, anche se
sarebbe più conveniente rimanere al caldo, al riparo delle coperte.
Se c’è una cosa che mi piace sono i grandi che come i bambini, giocano e si agitano con
le proprie passioni anche se sono stanchi, anche se converrebbe, a volte, non farne di
nulla.
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Leonard Bundu vs Daniele Petrucci
Campionato d’Europa vacante pesi welter
4 Novembre 2011 PalaMandela Firenze
Il giorno prima
Il 3 Novembre 2012, il giorno della cerimonia del peso, per me era anche il primo giorno di
un mal di denti fortissimo. Era da tempo che una vecchia otturazione perdeva pezzi e che
mi davo da fare, con risultati sorprendenti, con il filo interdentale, ma dolore non ne avevo
sentito mai.
Quel giorno tornai a casa dal lavoro con una certa uggiolina. Presi un antidolorifico e mi
stesi per una mezz’oretta. Al risveglio il dente sembrava cresciuto di una spanna e il
dolore era arrivato. Credevo si trattasse di una pulpite o comunque qualcosa di serio;
insomma, era chiaro che dovevo andare dal dentista.
Il dentista mi diede un’occhiata e mi disse: “È un granuloma e bello grosso”.
Armeggiò con quel coso di metallo e disse ancora:
- Te lo devo aprire.
- Quanto ci metti?
- Una mezz’oretta.
- Ok, allora faccio una telefonata.
Avvertii il babbo. Con lui avevo fissato per andare a vedere la cerimonia del peso: lui si
ricordava del 1967 e dell’europeo di Atzori, ultimo titolo continentale disputato a Firenze, e
volevo che a distanza di 44 anni lui vedesse il più possibile dell’europeo di Bundu.
Il dentista continuò ancora a maneggiare il mio dente, e poi disse:
- Ma non senti dolore?
- Non tanto.
- Dovevi fare il pugile.
Sorrisi per le sofferenze dei pugili e risposi:
- Ci ho provato.
Il dente aperto non faceva più male, davvero; il dentista ci mise una medicazione per
cercare di salvarlo, dicendomi che con quella il dolore avrebbe ripreso a farsi sentire. Io
volevo solo andare a vedere la cerimonia del peso.
Il babbo era appostato nei pressi delle transenne che il giorno dopo avrebbero ospitato
l’europeo. Lo salutai e gli indicai il posto che presumibilmente gli sarebbe toccato il giorno
dopo: gli avevo preso un biglietto per la fila immediatamente dopo il bordo ring.
Il giorno successivo al primo Bundu vs Petrucci il babbo, che aveva visto il match in
televisione, mi aveva chiamato per dirmi quanto gli fosse piaciuto Leonard.
Le sue parole furono: “Bellino da morire, e poi il cambio guardia fulmineo, i colpi in serie,
che Campione”.
Dopo la prima intervista a Leonard, prima del match di Firenze, avevo riportato i
complimenti del babbo a Leonard e lui aveva sorriso e molto apprezzato. In quel momento
Leonard stava parlando con qualcuno, appena finito si voltò verso di noi e riconoscendomi
scansò la transenna e ci venne incontro.
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“l’incontro” fra Leonard e il babbo.
(foto 4 Massimo Capitani)
Il pugno che il babbo mostra a Leo non è per lui, infatti Leo sorride alla sua maniera, quel
pugno ricorda la potenza dei colpi di Guido Mazzinghi, fratello di Sandro, che si
abbatterono sulla sua povera mascella dopo una sessione di guanti fra i due.
Poche file dietro di noi vedo Marceddu che spippola con il suo cellullare. Anche lui è un
Campione umile, tre volte campione del mondo di kick boxing. E anche lui come Leonard
non è qui a godersi lo spettacolo, infatti domani combatterà contro il campione italiano dei
pesi gallo Rodrigo Bracco. Marceddu vs Bracco sarà l’indomani un grande match, degno
sottoclou dell’europeo pesi welter. Colgo l’occasione per fargli un saluto e per presentargli
il babbo che ormai è a suo agio come a un tavolo di briscola e ventuno.
È il momento di pesarsi.
I pugili salgono sulla bilancia uno a uno, prima quelli impegnati nel sottoclou, poi gli
sfidanti al titolo. Maggi, il Maestro di Petrucci, controlla la bilancia e il peso di Leonard
Bundu, mentre il Maestro Boncinelli, a qualche passo di distanza, assume una delle sue
solite pose: chi non lo conosce pensa che sia assente, chi lo conosce sa che non è così.
Al termine di una serata di pugilato di qualche tempo fa, con cibo e un paio di spritz ad
oliare i neuroni, il vice del Bonci, Paolo Vignoli, mi disse: "I Maestri come il Bonci hanno
due giri di vite in più, quando gli altri si fermano loro continuano a fare i loro giri". In quei
momenti di apparente assenza, il cacciavite del Bonci compie quei due giri in più, ed è
proprio durante quel tempo che, andando più a fondo nel problema, lui trova le
combinazioni giuste, le tattiche, i punti deboli. In quelle serate di pugilato e di dopopugilato mi sono stati raccontati mille aneddoti, alcuni raccontabili ed altri no.
Quella sera, nei pressi della bilancia, il Bonci ne stava studiando una delle sue. Un
pensiero che il Maestro aveva immaginato da quando si era innamorato di quello sport,
cioè dal primo momento, e del suo allievo più talentuoso che nel corso della sua
controversa carriera gli aveva fatto girare non solo viti, ma che aveva sempre aspettato,
come si aspetta il sogno di una vita: far indossare, dopo 44 anni, la cintura di campione
europeo - Atzori nel 1967 - ad un pugile dell’Accademia Pugilistica Fiorentina.
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Finita la cerimonia, mi ritrovo ad aiutare il Bonci e il Vignoli a mettere a posto la bilancia. È
la stessa sulla quale mi sono pesato io e centinaia di altri ragazzi, trattenendo il fiato in
attesa della sentenza mentre il Bonci seduto spostava il cursore sul braccio della stadera.
Quella sera al PalaMandela
Quella sera avevo trasgredito alle regole del corso di scrittura e avevo lasciato il cellulare
acceso durante la lezione. L’sms del fotografo arriva intorno alle 19.00:
“Io e il direttore arriviamo verso le 21, tienici il posto.”
La risposta è pronta:
“È la notte di Leonard e voi ve ne state tranquillamente con le gambe sotto la tavola,
vergognatevi!”
Corrado, che è un tipo sveglio, prontamente risponde:
“Mica è nostra la notte, è di Leonard.”
Io controbatto:
“Ok, ti lascio il posto all’angolo di Leo, girato verso il pubblico quando combatte, girato
verso di lui quando sputa l’acqua.”
“Sei un tesoro” chiosa Corrado.
Il corso di scrittura non va per niente bene, così come il mio dente che mi ha costretto a
prendere il secondo antidolorifico di giornata, e per di più mi ritrovo a leggere a voce alta il
mio racconto, male come al solito. I miei colleghi di corso, ma soprattutto il prof - lo
scrittore Marco Vichi - non sono impressionati favorevolmente da quanto ha scritto
l’allievo. La seduta si chiude con tanti consigli, fra cui quello del prof di riscriverlo in terza
persona, dando maggior ampiezza ai concetti e alla descrizione dei personaggi, insomma
di scrivere come non faccio mai. Farò il compito, ma non ne ricaverò nulla, e poi so già
che a me riesce meglio scrivere in 1° persona ed amo leggere scrittori che si esprimono in
1° persona, come Bukowski, Fante, Bunker, Ames.
La telefonata del babbo arriva alle 19.25:
- Massimo, c’è già gente. Quando arrivi?
- Fra 10 minuti sono lì.
Sono davanti al PalaMandela, faccio la fila per il pass e poi appendo quel cartoncino al
collo come fosse una medaglia. Il babbo ha il posto assegnato nelle vicinanze del bordo
ring, io sulla sopraelevata. Dobbiamo dividerci e lo facciamo con un abbraccio.
Salgo la rampa con alcuni tifosi di Petrucci che sulle note di Fra Martino campanaro fanno
andare una canzone che fa più o meno così: “Dai Bucetto dai Buce, buttalo per terra,
buttalo per terra”. Bucetto è il soprannome di Petrucci per via di una sua vincita al gioco.
La stampa che conta è giù: hanno postazioni con wireless, prese elettriche e portatili
accesi. Io tiro fuori il blocco per gli appunti e mi preparo, anche se mancano ancora due
ore al match di Leonard.
Al Mandela non si può fumare ed è un vero peccato, perché durante gli incontri fumo
come un dannato. Raggiungo l’uscita di servizio e vado a fumare. Al ritorno faccio un giro
e appena vedo un cartello con scritto “buffet sala stampa” mi fiondo sull’obbiettivo, ma
vengo respinto da un respingente umano: il mio pass non vale. Forse hanno paura che mi
sbronzi e poi faccia casino, ma nessun pericolo, non bevo mai prima dei match.
Torno al mio posto, guardo il telefono e rispondo velocemente ai messaggi del Foffy e di
Andrea, il Galletto, che sono dalla parte opposta della mia postazione. Non ci sono altri
scambi di messaggi o telefonate, loro sanno che sono teso. Ci sentiremo meglio e con
più calma il giorno dopo.
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Il direttore e il fotografo arrivano con aria compassata, si sistemano e si guardano in giro.
Non manca molto al match. Io sono intento a scrivere qualcosa sugli altri match che
precedono quello di Leonard. Dopo un po’ loro se ne vanno giù, il servizio di sicurezza è
un po’ morbido e volendo si arriva nei pressi del bordo ring che ora è pieno. Mi chiamano
al telefono invitandomi a raggiungerli, ma non riesco a passare, sembra che non mi riesca
nulla in questa serata, ma sono solo teso, teso come una corda del ring. Decido di
restarmene in sopraelevata, anche se so che i match si vedono bene a bordo ring: dal
basso si notano meglio i pugni che incontrano l’avversario, dall’alto un po’ meno;
comunque vedo bene e poi c’è lo schermo che mi può aiutare con i replay e anche il mio
vicino di sedia non mi sembra male. Scrivere di pugilato con i pugni che saettano a serie è
cosa ben difficile.
Di solito prendo appunti così: mi segno le iniziali dei pugili e scrivo le abbreviazioni dei
colpi più significativi, i conteggi, i richiami, e poi alla fine del round esprimo il giudizio.
Cercando di stare con gli occhi sul foglio il meno possibile. Altrimenti, come faccio a
vedere il match?
È il momento che gli appassionati aspettano da 44 anni: i pugili fanno il loro ingresso sul
ring, sbucando dagli spogliatoi, adiacenti alla nuova palestra, che sono sotto al Mandela.
La vecchia palestra era dall’altro lato. Quando sono andato ad intervistare Leonard ho
guardato il tappeto del vecchio ring coperto di macchie rosse e scure, il sangue dei pugili
che per 25 anni si sono allenati all’Accademia Pugilistica Fiorentina; lì in mezzo, da
qualche parte, ci sono anche le mie.
All’inizio del match scoppia la rissa nel settore dei tifosi di Petrucci. Io sono dall’altro lato e
assisto alla scena incazzato nero. Il match viene interrotto. Ci manca solo che assistiamo
all’invasione del ring e poi tutti i peggiori cliché calcistici sono eguagliati. Non mi va di
spendere tante parole sull’argomento, visto che andando su youtube e digitando "Bundu",
appare subito “Bundu Petrucci rissa”.
Si riprende. Ora il bordo ring è pieno zeppo di persone che hanno approfittato della rissa
per guadagnare i posti migliori. È un incontro troppo nervoso per essere bello, la posta in
palio è altissima e i due pugili, che già si conoscevano bene prima del match romano, ora
si conoscono a menadito.
(Foto 5 Corrado Sacchi)
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Leo si avvantaggia nelle riprese iniziali e centrali,
(Foto 6 Michela Comisso)
(Foto 7 Corrado Sacchi)
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Petrucci viene sospinto con brutte parole dal Maestro Maggi: “Ma che cazzo stai a fa'”
(tutto è lecito fra Maestro e allievo) e cerca di invertire l’inerzia del match; ma Leo è troppo
determinato, troppo preparato e affamato per mollare la cintura che ormai è vicinissima.
Nel minuto di pausa che precede l’ultima ripresa, il Bonci soffia forte nelle orecchie del
suo pupillo: "Non voglio sorprese, Leo, vanno convinti”. Ovvio che quelli da convincere
sono i giudici che alla fine daranno la meritata vittoria a Leonard Bundu.
Quando viene pronunciato il verdetto, grido come un pazzo per più di un minuto, mi
riprendo solo perché ho un calo di pressione e inizio a vedere brillare tutto intorno. Dopo
un paio di minuti sono a bordo ring. C’è una gran ressa ed è impossibile raggiungere il
Campione, così mi metto fermo poco fuori dalla mischia. Arriva il babbo, che pronuncia le
parole: “Leonard Campione senza discussione”. È il suo modo per tagliar corto,
sgombrare il campo e per ricordare un altro titolo d’Europa sotto il cielo di Firenze.
Leo cerca di raggiungere gli spogliatoi, mentre la fiumana lo segue; c’è pure Matteo Renzi
che lo abbraccia. Ancora non è il momento, deve solo guardarmi, solo un attimo. Eccolo.
Gli sguardi s’incrociano e subito dopo arriva l’abbraccio.
La redazione di "Nove da Firenze" presente al Mandela è schierata appena fuori
dall’impianto. Fumiamo una cicca e poi stabiliamo l’ora per mandare il pezzo e le foto on
line. L'una e mezza.
Rispetto l’orario e mando via il pezzo alle 1.27. il pezzo è on line poco dopo. Scrivo sulla
bacheca di facebook di Leo: “Vola come un farfalla, pungi come un’ape”.
Do un occhio ai pezzi più letti sul web, ci sono i più importanti già ben indicizzati. Leggo e
commento, ma solo con il pensiero. Non ho sonno per nulla, vado a spasso ancora per il
web, la bacheca di Leo si sta riempiendo di messaggi.
È tardissimo, ma non so bene per cosa; non ho ancora sonno, ma una gran fame. Torno
in zona PalaMandela. Appena dietro, rivedo il manifesto di 6 x 3 di Leo che pubblicizza
l’evento e penso a una mattina di un mesetto prima, quando andando a lavoro avevo fatto
il giro largo proprio per dare una sbirciatina alla foto di Leo prima di un’altra solita giornata
di lavoro. Il forno che vende paste dolci per appetiti chimici e inguaribili nottambuli è a due
passi da lì. Mi prendo un paio di brioche, così almeno una la mangio mentre torno a casa
e un’altra prima di andare a letto.
Sono le 5 passate. Sento l’adrenalina che cala e il sonno che arriva. Percorro lo stesso
tratto di strada che mi riporta a casa dal PalaMandela. E ripenso a quando ho salutato
Corrado e Nicola e sono andato a casa: ci sono arrivato a 10 minuti alle 1, ho acceso il
computer e sono andato in camera, dove ho baciato Mari, la mia compagna, che dormiva,
dicendole:
- Leonard è campione d’Europa.
Sono tornato in postazione, ho tirato fuori dalla sacca il blocco con gli appunti e ho
iniziato. Avevo riempito tre pagine di roba, ma ora non ci capisco nulla: ho scritto in una
specie di trance e l’unica cosa che riesco a leggere chiaramente è “vince ai punti ed è il
nuovo campione europeo dei pesi welter Leonard Bundu”. Il pezzo inizia così.
(Foto 8 Corrado Sacchi)
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Leonard Bundu vs Antonio Moscatiello
1° difesa del titolo d’Europa pesi welter
23 Marzo 2012 Palasport EIB Fiera Brescia
Inizio
La trasferta di Brescia inizia sull’autostrada per Torino. Infatti, insieme al mio amico
Cristiano, vado nel capoluogo piemontese per una gara di arrampicata: io a vedere, lui a
scalare, entrambi per incontrare il nostro amico Luchino, talento dell’arrampicata
nazionale.
Con me ho il numero di telefono dell’addetto stampa della Boxe Loreni, tale Anna Sgarbi.
La prima telefonata va a vuoto, Anna non risponde; nel frattempo ci fermiamo all’autogrill.
Il telefono squilla nella sacca a tracolla mentre sto addentando un camogli. Delicatamente
stringo il panino fra i denti e prendo il cellulare. Sul display appare: Boxe Loreni. Estraggo
il camogli e parlo con Anna, ringraziandola per aver richiamato un numero sconosciuto. La
telefonata si chiude con un “mandami una mail per formalizzare” da parte di Anna.
Segue un fitto scambio di mail: io ed Anna condividiamo la passione per il pugilato e per le
cavolate. Lei, alle mie pressanti richieste su Hatton - il probabile sfidante europeo, che
non incontrerà mai Bundu - mi risponde:
- Questo lo devi chiedere ai boxingnerds che viaggiano in rete.
Lo scambio di mail si conclude con:
- Ci vediamo sabato.
- Facciamo venerdì - visto che quello è il giorno dell’incontro.
- Eh sì, facciamo che sì.
Compagni di viaggio
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I miei compagni di viaggio sono Corrado il fotografo e Rico, dentista esperto di pugilato
che in un recente passato ha scritto di Bundu su "Nove da Firenze" e che a Brescia ha
fissato con Franco Ligas, suo vecchio amico.
L’appuntamento è a casa di Rico, che sta più vicino all’imbocco dell’autostrada a nord;
Corrado passa a prendermi vicino casa mia. A forza di mediare, lo anticipo di una buona
mezz’ora. Ansia da Bundu.
Ho dormito un’oretta e ho preparato la sacca con l’occorrente. Il computer lo lascio a
casa: il direttore ha detto che il pezzo lo vuole in mattinata con calma, così posso evitare
gli urti di vomito di Roma. Devo solo comprare le sigarette e ricaricare il cellulare, occorre
essere previdenti quando si va in trasferta.
Prima di chiudere la porta di casa, mando una mail al direttore di "Boxe Ring", rivista con
cui ora collaboro, per chiedergli cosa ne pensa del nuovo avversario di Leo. Gianluca
Branco ha dato forfait per il riacutizzarsi di un vecchio infortunio, lasciando spazio a
Moscatiello, che avrebbe dovuto combattere per il titolo italiano la settimana prima.
Franco Cherchi, manager di tutti e due, ha deciso che Moscatiello era così pronto per il
titolo nazionale che poteva competere per quello continentale.
Ho visto il record di Moscatiello: 12 vittorie, 9 prima del limite, è l’esatta fotocopia di tanti
pugili promettenti, che a inizio carriera combattono con collaudatori, pugili che servono
per fare esperienza, ma che molto difficilmente ti mettono in difficoltà.
In palestra ho chiesto al Bonci, che senza sottovalutare nessun avversario mi ha detto:
- Certo con Branco sarebbe stata più dura.
Anche Alfredo, il direttore di "Boxe Ring", del quale avrei letto la risposta il giorno dopo,
era sulla stessa lunghezza d’onda. Di sicuro tutti sappiamo che un avversario come Leo
non lo ha mai incontrato.
Aspetto Corrado davanti a un negozio di fotografia. Ce l’ho un po’ con i fotografi: vengono
lì a bordo ring con le loro macchine da migliaia di euro, fanno 500 scatti - e qualcuno verrà
pure bene - li scelgono e hanno finito il lavoro. Io ho una penna, un blocco, divento
strabico a prendere gli appunti guardando il match e poi devo tradurre il tutto in un
articolo.
In realtà so che anche per loro - i fotografi - non è facile.
Lotta senza esclusione di colpi per accaparrarsi le migliori postazioni sotto al ring, flash in
pieno viso per disorientare l’avversario, obbiettivo nelle gengive e borsata in faccia. Una
volta conquistata la postazione, spiegamento di mezzi e apparati vari sul bordo ring, gara
a chi ha l’obbiettivo più lungo, facce truci e compiaciute per almeno due ore di attesa. Nel
momento di maggior ressa vale tutto, anche il treppiedi scagliato sulla nuca del rivale.
Il clacson di Corrado mi sveglia prima che io sogni di fare il fotografo. Meglio, perché il
lato economico me lo sconsiglia di brutto.
Il viaggio
A casa di Rico facciamo con calma. In pratica ci mangiamo la mezz’ora guadagnata con
la mediazione e addentiamo un altro quarto d’ora. Rico si dimostra un chiacchierone da
competizione, il pugilato lo conosce dai tempi del marchese Queensberry. La passione
per la Noble Art l’ha presa dal babbo, proprio come me e anche come Corrado: di padre in
figlio.
Il discorso va sul match di Leonard, oggetto dell’articolo di Rico. Leonard incontrava Zoran
Cvek, ma subito la nostra concentrazione devia su Vigan Mustafa che in quella riunione
subì un terribile K.O. Rico ricorda quella serata da incubo che lo portò in ansia
all’ospedale, per sincerarsi della salute del ragazzo fiorentino, ragazzo che da
quell’incontro non ha più combattuto. Corrado è l’unico ad avere le foto in sequenza del
tremendo K.O. scattate in piedi impugnando la macchina con la mano destra lungo il
fianco - tecnica anni trenta. Dopo l’incontro è stato contattato via mail da Sofiane Sebihi, il
pugile che aveva inflitto il K.O. a Vigan, che si lamentava del fatto che nessuno dopo quel
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match voleva organizzargli un incontro. Consultando poi il sito Boxe rec ho appreso che Il
pugile svizzero ha ricombattuto, a distanza di 14 mesi.
Andiamo spediti e Brescia si avvicina. Bisogna imbroccare l’uscita giusta. È il momento di
chiamare Anna.
Anche Anna è in macchina, la comunicazione viene e va; non ho capito se bisogna uscire
a est o ovest. Chiedo un po’ di silenzio ai compagni ciarlieri, ma è un invito a nozze a fare
un chiasso pauroso. I punti cardinali si alternano: est, ovest, nord e sud. Chiedo scusa ad
Anna e lei mi risponde:
- Un po’ di contegno, ricordati del tuo ruolo.
Usciamo all’uscita giusta e in breve siamo nel punto giusto, l’entrata di un mercato
polivalente, ma non lo riconosciamo e così ci facciamo un giro intorno. Chiediamo e
torniamo al punto di prima. Chiedo alla guardia giurata alla porta, conferma e la sbarra si
alza.
Il Palazzetto di Brescia
Nel parcheggio facciamo le rituali telefonate del "tutto bene" a mogli, figli e compagne.
Poco più in là è parcheggiato il pullman dei sostenitori di Moscatiello. Ho un piccolo moto
da ultras e vorrei gridare un "Bundu Bomaye", ma non lo faccio, forse perché mi ricordo
del ruolo.
Siamo nei pressi dell’entrata del Palazzetto, o almeno così dovrebbe essere. Vediamo
Ligas che aspetta qualcuno e gli chiediamo se ha visto Rico, lui risponde che Rico è
dentro e che sta cercando Piccirillo.
Incasso i pass e siamo dentro. Delusione: la sede del match è una specie di capannone,
niente tribune, manco un accenno. Il ring è al centro, tutto intorno una distesa di sedie di
plastica. Sembra di stare alla festa dell’Unità in un spazio dedicato all’intervento del
politico di turno.
Mi riprendo incontrando Anna Sgarbi, non la conosco ma non può essere che lei che
manda giù un birra con Paolo. Facciamo due chiacchiere e poi Anna mi fa fare un giro,
chiedendo a Loreni dove ci possiamo mettere con i nostri pass. Tutto fatto.
Accompagno Corrado a bordo ring, lui si piazza a un angolo neutro e mi dice:
- Io mi fermo qui.
- Hai fame?
- Sì, ma…
- Ho capito, te lo porto io.
Non trovo Anna, la ritroverò a Udine.
Al Bar vedo Pino, una vecchia conoscenza, che sta facendo la fila alla cassa mentre io
sono in coda per essere servito. Riemergo con le mani occupate da panini e bibite, e
anche gli occhi e i piedi sono impegnati a non far cadere nulla. Vedrò Pino dopo, penso.
Consegno la cena a Corrado e cerco Rico. Lo vedo e mi siedo accanto a lui.
La serata sta per cominciare. Rico tira fuori un’agendina e una penna. Gli piace prendere
appunti. Io quando combatte Leo ho occhi solo per lui, ho fatto un’eccezione per
Marceddu e Bracco. La verità è che seguire un’intera sessione di pugilato e scriverci su è
una vera fatica, a volte mi faccio 8, 9, anche 10 e più incontri di dilettanti in una serata con
il mio blocco poggiato sulle ginocchia. Oggi mi va di lusso: posso seguire Leo e posso
anche condividere quello che vedo con il mio vicino di sedia.
Il sottoclou
Del sottoclou non ricordo molto, anche se era di ottimo livello: un pugile soprannominato
“il principe del deserto”, un bel derby fra italiani - Pasqua e Lazzeri - finito in parità e il
match di Fiordigiglio con Cattin. Li seguo con interesse, ma senza l’assillo della cronaca a
tutti i costi, anzi ogni tanto mi alzo per farmi un giro.
Quando salgono sul ring i supermassimi Matteo Modugno e Adnan Buharalija, mi alzo
dalla sedia per farci ritorno a cose fatte. Ho la sensazione che il ring possa sprofondare
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sotto il peso dei due, portandosi dietro il capannone e mezza autostrada. La gente guarda
i pesi massimi soprattutto per le altissime percentuali da K.O. che la categoria offre e per
vedere muscoli da superuomini. Per me il pugilato, anche quello dei pesi massimi, è
un’altra cosa.
Leo è in programma dopo questo incontro.
Nel mio girovagare becco il Bonci e anche a lui dico il mio pensiero sul match in
svolgimento. Lui sorride, ma non capisco se la pensa come me o no. Piuttosto mi dice:
- Hai visto il match fra Lazzeri e Pasqua?
- Non tutto, ma mi pareva che avesse vinto Pasqua, almeno per me.
- Pasqua è stato avversario di Francesco.
Francesco Brasca, ottimo 1° serie dell’Accademia, nonché figlio del presidente della
federazione italiana pugilato, Alberto Brasca. Il Bonci ricorda tutti i pugili, anche quelli più
piccoli.
I massimi vanno a fare la doccia, ci siamo.
Il Leone ferito
Per l’incontro di Leo ho in serbo una sorpresa, infatti per la prima volta in vita mia ho
portato fuori casa la Montblanc. È stata la stessa persona che mi ha spinto a scrivere e
che poi mi ha regalato la penna, a dirmi:
- Portatela dietro, facci solo attenzione.
Lo sfidante è già sul ring. Nel suo clan hanno tutti la fascetta in testa con scritto “Big”, un
po' alla Chavez Junior, il soprannome del pugile. Nel suo angolo c’è anche Fragomeni,
che è suo zio. L’indomani mattina, controllando in rete l’indicizzazione del mio articolo,
troverò un pezzo che recita più o meno così: "Moscatiello per ora si deve accontentare di
essere famoso grazie alla sua parentela con lo zio". Io non lo avrei scritto.
Quando Leo arriva di corsa dagli spogliatoi, mi alzo come una molla, vado a vedere il suo
passaggio e gli grido:
- GRANDE LEO!
Lui agita il pugno e continua la sua corsa, sempre guardando davanti a sé.
Anche sul ring sarà inarrestabile, si capisce fin dalle prime riprese, non concedendo mai
la misura per mettere i colpi a Moscatiello, che senza quella diventa un pugile poco
pericoloso e che deve badare più che altro a difendersi dal ritmo del Campione. La
preoccupazione all’angolo del Bonci è “non te lo far venir vicino con la testa”.
Nella 3° ripresa arriva per Leo la temuta ferita che rimescola un po’ le carte. Lascio il
blocco e raggiungo l’angolo del Campione praticamente insieme a lui, con la Montblanc
stretta nel pugno; mi accoccolo vicino ad un traliccio della struttura delle luci e osservo.
(Foto 9 ©MONICACALEFFI)
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La ferita è alla fronte: meglio che al sopracciglio, molto meglio che alla palpebra. Ma è
sempre una ferita alla 3° ripresa, e con i trascorsi di Leo…
Il match finisce alla 5°, Leo colpisce forte il fegato di Moscatiello,
(Foto 10 ©MONICACALEFFI)
che ormai bada a coprirsi la faccia, e lo piega in due.
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(Foto 11 Corrado Sacchi)
Quell’azione, più volte chiamata dall’angolo fin dalle prime riprese, visto che l’avversario
lasciava scoperta quella zona, l’ho vista provare in palestra e così commentata dal Bonci:
- Bene così, lì c’è il fegato.
Il montante al corpo è un colpo del repertorio del Campione, infatti - come mi raccontò
nell’ultima intervista - Leo sa di essere non troppo preciso al volto, mentre sotto, la sua
azione è migliore e migliorata grazie al lavoro di forza ed esplosività a cui si sottopone
nella prima fase di preparazione atletica, giù a Cisterna, con il Maestro Giuseppe Ardagna
della Body Evolution.
È il momento del verdetto e dell’omaggio che Leo viene a riscuotere dal gruppo di
fiorentini, all’ennesimo "Bundu Bomaye". Vedo Pino e ci stringiamo in un abbraccio che sa
di vittoria, di vecchi e nuovi tempi.
(Foto 12 ©MONICACALEFFI)
Il cercatore dell’ovvio
Il capannone si sta svuotando, mentre io sono alla ricerca di spunti e conferme, o di
qualsiasi cosa mi serva per battere il pezzo.
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Sbatto contro Corrado che come un corazziere è rimasto fedele al suo angolo neutro. Mi
invita a vedere i suoi scatti, che mostrano, secondo lui, che Moscatiello non si è voluto
rialzare, come fosse ormai consapevole che prima o poi la sconfitta sarebbe arrivata.
Spiego a Corrado quanto faccia male un cazzotto al fegato e il suo effetto ritardato
sull’atterramento del pugile. Ma non lo convinco, e mentre lui ripone l’attrezzatura cerco
qualcuno per fare due chiacchiere.
C’è Ligas che a microfono spento sta chiacchierando amabilmente con chi ne ha voglia e
torna sulle parole di Salvatore Cherchi, il manager di Moscatiello, che all’angolo alla 4°
ripresa diceva: “Lui inizia a calare, sta calando”.
Passa di lì Fiordigiglio e dice qualcosa come: "Mi hanno detto che ha parlato bene di me."
Ligas risponde, precisando: “Dico quello che vedo”. Fiordigiglio se ne va.
Ligas, che secondo me ha solo voluto prendere le giuste distanze fra pugile e giornalista,
continua con noi su Fiordigiglio:
- Un bel pugile. Oggi, dopo aver messo al tappeto l’avversario, si è irrigidito troppo, voleva
finire subito.
Mi sposto ancora, non ho pace. C’è il Bonci che sta chiacchierando a pochi metri da me e
appena lo vedo libero mi avvicino, ho una domanda in testa: ma Moscatiello era
all’altezza di questo titolo continentale?
La pongo al Bonci sotto un’altra forma e lui, dando sfogo a qualcosa che aveva dentro,
risponde:
- Insomma, Leo è di un’altra categoria.
Incasso il diretto del Maestro e non cerco più nulla.
Salvatore Cherchi è lì, sullo sfondo, con la sua parlata e la sua sigaretta.
Moscatiello dopo il match con Leo, farà il suo rientro sul ring contro il lettone Sakara,
risultando un pugile svuotato, con poco ritmo e poca aggressività. In seguito il pugile
lombardo combatterà per il titolo nazionale finendo per perdere anche questa sfida.
A conti fatti, che senso ha dare una chance europea a un pugile che in quel momento è di
livello nazionale?
Che si fa?
Recupero Rico che è ancora a sedere al suo posto, che compagni tradizionalisti;
becchiamo Corrado e ci avviamo alla macchina.
"Che si fa?" è la domanda. Mangiamo qualcosa o andiamo ad accompagnare Rico
all’albergo - ha deciso di dormire a Brescia - e poi io e Corrado proseguiamo per Firenze?
Mangiamo, mangiamo.
Troviamo il primo locale aperto e fermiamo la macchina, poi ci aggiriamo 30 secondi a
piedi nei dintorni per vedere se è proprio aperto aperto.
Entriamo. Il pizzaiolo ci guarda malissimo, ma una signora del sud impiantata nel
profondo nord ci sorride uscendo dalla cucina. Possiamo scegliere fra mangiare una pizza
o un primo. Indovinate.
Pasta fatta in casa, perché fa prima a cuocere, condita con frutti di mare. C’è anche posto
per un po’ di vino bianco. Rico non si fa mancare nulla, anche perché non serve il tasso
alcolico legale per dormire in albergo, ma di sicuro ti chiedono i documenti.
È il momento di pagare e, se ci fosse i’ Foffy, direbbe:
- Hai fatto la sceriffata, è in arrivo la siringata.
Il conto arriva ed è più che accettabile, mi pare un ventino a testa, che al netto dell’ora,
del lavoro e di quello che abbiamo mangiato va benissimo.
Rico vuole fumare una sigaretta buona, io ho solo roba light, ma mi sa che vuole una bella
lucky strike senza light e io quelle non le ho. Corrado si fa i cicchini con il tabacco. Così
che non mi rimane che offrirgli un camel blu e accompagnarlo a nanna.
Lo lasciamo in hotel e via verso casa. Siamo riusciti a far tardi anche stavolta, ed è
sempre bello rubare ore alle giornate. Viene meglio scrivere nelle ore rubate. Curioso
come poi la gente legga per addormentarsi.
Mi squilla il cellulare, e chi cavolo è a quest’ora della notte?
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È il direttore Nicola Novelli che vuole sapere della serata.
Gli racconto un po’ di tutto e anche del capannone, ecco perché la parola è citata nel mio
articolo.
Imbocchiamo l’autostrada, ma sarebbe meglio dire che l’autostrada imbocca noi.
Corrado mette la musica per non addormentarsi, mi guarda mentre sbadiglio e gli
rispondo:
- Tranquillo, se mi dà noia ti chiedo di spengerla. Tranquillo, anche se non guido reggo
bene, nel caso prima di ronfare ti avverto.
Ci fermiamo a un autogrill in località sconosciuta, ma non si capisce un tubo da dove
bisogna passare e ci ritroviamo a vedere delle vetrine alle due di notte. Svoltiamo per una
rampa e giriamo per un tornello, fino a che non vediamo un tizio con un cappello rosso
che per prendere due caffè ci chiede se vogliamo aggiungerci una spremuta o almeno un
biglietto della lotteria. Beviamo i caffè e resistiamo a tentare la fortuna.
C’è ancora un po’ di strada da fare e per star svegli parliamo di donne; cavolo, con quelle
sì che resti sveglio. A parlarne, a pensarle, a ricordare di averle amate.
Insomma, siamo svegli come grilli quando siamo davanti a casa mia e ci fumiamo l’ultima
sigaretta.
Saluto e mi avvio a scrivere qualcosa, se non scrivo non dormo, poi per addormentarmi
magari leggo.
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Leonard Bundu vs Stefano Castellucci
2° difesa del titolo d’Europa pesi welter
14 Luglio 2012 PalaCarnera Udine
Sono nei guai, guai seri.
Non solo ho a tutti che sarei andato a Udine, l’ho anche scritto.
L’articolo su "Nove da Firenze" parla chiaro: “Noi che andiamo a Udine”.
Eppure, con Corrado in vacanza, Rico alle prese con un infortunio domestico della
suocera, Monica impegnata al lavoro, non mi restava che cercare affannosamente un
treno su trenitalia.it o riscrivere un pezzo dal titolo “Io che rimango a casa”.
Le frecce di Trenitalia sono sia rosse sia d’argento, ma costano lo stesso oro; posso
tagliare il pernottamento a Udine e tornare con il treno delle 4 di notte. L’idea di
vagabondare per Udine a quell’ora non mi dispiace affatto, l’ora degli sbirri e dei ladri,
detta alla Bunker; ma anche l’ora di chi aveva visto il 4° match europeo di Leonard.
È una soluzione. Com’è una soluzione telefonare alla sorella di Leonard, Antonella.
L’avevo vista a Roma per Petrucci - Bundu e c’eravamo scambiati qualche sms per
concretizzare l’intervista con il fratello; lei aveva più volte gradito i miei articoli. L’avevo
incrociata anche su Facebook.
E dai, Massimo, che aspetti, telefona.
La telefonata parte dal Galluzzo durante una serata di pugilato. Antonella mi risponde che
avrebbe avvertito il suo compagno di viaggio, ma che secondo lei non c’erano problemi;
comunque mi avrebbe fatto sapere.
L’appuntamento è a Porta Romana, alla gelateria. Sono in scooter, mi lascio la gelateria
sulla destra e sul marciapiede vedo Pino. Rallento, lui mi guarda e accenna un “vieni con
noi”. Il mio casco va su e giù, in segno di un meraviglioso Sì.
In macchina, sul sedile posteriore accanto a me c’è Michele, il figlio di Pino; Antonella
davanti, lato passeggero; Pino pilota. Sul vano del cambio due libri sul Buddismo. Ho una
voglia matta di chiedere a Pino: “Sono tuoi i libri?”, ma ancora non lo faccio.
La prima cosa che faccio è avvertire l’amico Foffy con sms che sono in macchina con
Pino. La risposta è pronta: “Grande Pino, macchina di cattivi e recidivi”.
La domanda sul Buddismo arriva un po’ dopo. Pino risponde di sì: da diversi anni pratica
la religione orientale.
Conosco Pino da una vita, alle medie andavamo a scuola insieme, anche se non nella
stessa sezione.
Pino a quei tempi era Pinuccio.
Lui ha sempre avuto uno di quegli sguardi che ti bucano da parte a parte, roba da far
tremare i polsi e qualcos’altro. A scuola era vietato guardarlo; se lo facevi, correvi il rischio
che lui ti dicesse la frase che andava di moda in quegli anni: “Che cazzo guardi?”, e allora
erano fatti tuoi.
Una mattina, durante la ricreazione, credo durante la coda per il panino, un mio
compagno di classe, ignaro di avere Pino alle spalle, sentendosi toccare disse secco: “La
maiala di to’ ma’”.
La campanella e l’arrivo del preside salvarono il mio compagno, per il momento,
condannandolo però a tre ore di agonia, quelle che lo separavano dall’uscita di scuola e
dalla resa dei conti.
Paolone, così si chiamava l’amico, non era mai stato un fulmine di guerra nella corsa, ma
al suono della campanella quel giorno corse come dai blocchi delle Olimpiadi, facendo i
400 metri rincorsi più veloci della storia, quelli cioè che lo condussero sano e salvo, per il
momento, al negozio di alimentari posto a metà strada da casa sua. Pinuccio giunse poco
dopo, deciso ad aspettarlo fuori, e anche noi eravamo lì, decisi a non perderci la scena.
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Paolone si trovava in una prigione dorata e si stava ingozzando con pane e salame,
quando Pinuccio si stufò di aspettare e andò dentro. Il destro di Pinuccio lo centrò in piena
faccia, mandando lui e il panino al salame distesi sul pavimento.
L'estate del 2012 è la più calda da cent'anni a questa parte e la Multipla di Pino, con l’aria
condizionata al massimo, annaspa sul tratto Appenninico, mentre Antonella non fa che
ricordarglielo.
Il viaggio è ancora lungo, si prova con un po’ di musica.
La radio è sintonizzata su frequenza 105. Michele si agita sentendo la trasmissione, io
faccio una smorfia memore di un altro viaggio passato in compagnia dello zoo di 105,
trasmissione dell’omonima radio che faceva impazzire gli altri occupanti della macchina,
mentre a me faceva schifo.
Finalmente si cambia musica. Nel porta cd Antonella pesca i Doors e la voce di Jim
Morrison riempie la macchina.
Dopo un po’ che la musica suona, dico:
- Che band i Doors, io non avevo mai sentito niente del genere, la prima volta è stata
come quando ho assaggiato i funghi fritti, ma questa che roba è? Non farò mai più a
meno di questo nella vita. Ricordo il lato due della musicassetta di “Strange days”,
attaccava con People are strange e My eyes have seen you, la fine del primo pezzo e
l’inizio del secondo erano una sintesi che mi metteva i brividi. Il nastro TDK era bianco in
quel punto.
Pino risponde:
- Io ci sono cresciuto con questa musica.
Mi faccio passare la custodia del cd vuota, scorro la lista delle canzoni, guardo nel vuoto
per un attimo, poi prendo il telefono e scatto una foto alla copertina.
Il tratto appenninico è finito, abbiamo davanti strada sgombra e in pianura.
Michele cerca di far funzionare il satellitare, ma il tom tom si ostina a riportare la solita
frase: “Proseguire per Udine”. D’altronde non fa una piega. A turno ci scambiamo il
prezioso aggeggio, ma non ne caviamo niente di buono. È sicuramente rotto, altrimenti in
quattro non potemmo non farlo funzionare.
Antonella si affida all’Iphone e dirige la macchina ad Udine, mentre Jim Morrison canta
ancora.
Le istruzioni della proprietaria del Bed & Breakfast sono precise e perentorie:
- Telecomando cancello, chiave portone, la luce si accende automaticamente, chiavi delle
camere.
Prendiamo in consegna le rispettive chiavi, mentre lei continua:
- La colazione è pronta dalle 7.30 alle 9.00, lasciate un biglietto sopra la credenza con
l’ora in cui intendete fare colazione.
Facciamo di sì con la testa, io pregusto il momento in cui Pino le rifarà il verso. Appena il
tempo di salire in macchina.
Siamo nel parcheggio del PalaCarnera, sede dell’incontro. A giudicare dal numero delle
macchine siamo i primi. A pochi passi da noi c’è il superwelter Orlando Fiordigiglio, che
sarà impegnato nel sottoclou.
Inizia a far freddo. Io indosso i pantaloni di jeans a pinocchietto, gli stessi che indossavo a
Roma, e una t-shirt.
Antonella chiama Leonard sul cellulare, io vado a prendere gli accrediti stampa, ancora
non ci sono abituato. Mi riunisco alla comitiva con il cartellino press che mi spunta dal
petto.
Dopo qualche minuto il campione europeo dei pesi welter appare nel parcheggio
accompagnato dalla moglie Giuliana e dai figli, Andrè e Frida. Leonard tiene sulle spalle la
solita borsa di quando fa il pezzetto di strada che dal Viale Malta porta al PalaMandela,
sede dell’Accademia Pugilistica Fiorentina.
Leonard, soprattutto dopo l’allenamento, ha il passo strascicato. La prima volta che l’ho
intervistato l’ho notato quando siamo andati a prendere l’acqua e ho pensato: se non
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l’avessi visto poco prima fare 6 riprese di guanti con Fiordigiglio, non avrei mai sospettato
che quest’uomo fosse capace di certe cose.
All’ingresso del PalaCarnera, il Campione dice, con il sorriso sulle labbra:
- Fatemi entrare, altrimenti non si comincia. Questo - indicando noi - è il mio staff.
Facciamo le scalette tutti insieme, incontriamo la statua di Primo Carnera e poi vediamo il
ring.
Io osservo Leonard per vedere se a poche ore dal match dalla sua faccia traspare la
tensione. Non ne vedo alcuna, Leonard non accusa la pressione del match, rimane
tranquillo fino a quando non è il momento di concentrarsi. Come dice il Bonci, è una della
qualità del Campione che non s'insegna e che gli permette di combattere, dovunque sia,
nelle condizioni migliori.
La famiglia scende gli scalini e si dirige negli spogliatoi. E, se i bimbi avessero in mano un
gelato e Leo non tenesse la borsa, sembrerebbe che fossero tutti lì per assistere al
match. Poi vanno nello spogliatoio fino al momento dei baci.
(foto 13 Michela Comisso)
Noi prendiamo posto, ce n’è tanto, e incontriamo altri fiorentini: i' Giano, che alla
presentazione di Leo tiene le insegne del Campione - la cintura di campione europeo -; i’
Cece, che anche lui accompagna Leo sul ring; Luca, il promettente Junior dell’Accademia,
e altri fiorentini.
Aspettando Leonard Bundu
Difficile dire chi abbia deluso di più, fra gli spettatori presenti - alcune centinaia - e gli
incontri di sottoclou. Fatto sta che il tempo passa, fra una bibita, niente birra per me (il
pugilato è già difficile da inquadrare da sobri), un panino e una battuta.
L’eroe del sottoclou per i fiorentini è Sandor Balogh, che a dispetto dei suoi 20 - 25 chili di
sovrappeso si fa rispettare dal fisicato con l’acconciatura alla moda - cresta rossa - Fabio
Tuiach, al rientro sul ring.
Balogh è uno di quei collaudatori esperti cui non piace rubare la borsa, a casa gli basta
riportare la pancia, già gonfia, e non la faccia. Balogh si copre bene, discreto movimento
di cintura, incassa poco, insomma fa il suo match e lo fa fare al suo avversario e ogni
tanto gli ricorda con qualche colpo più forte: “Fai pure il tuo match, uomo, ma ci sono
anch’io”. Per questo i fiorentini gridano: GRANDE SANDOR, GRANDE CICCIO
PASTICCIO, METTICELO GIÙ.
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Io che sono della stampa non partecipo alla Sandormania e vedo l'incontro accanto ad
Aldo Sassoli, il mentore di Fiordigiglio. Quello successivo è il match del suo pupillo. Così
che posso riportarvi il suo pensiero sull’incontro del mitico Sandor: "Questi sono i match
utili al rientro, rifai il colpo d’occhio, l’abitudine al match, perdi un po’ di peso”.
Alla fine del match, Tuiach non farà misteri sulla sua fede in Dio e sul fatto che gli abbia
ridato la speranza per combattere ancora, per crederci insomma. Fin qui, non fa una
piega; ma quando dice: “Penso che Dio vuole che picchi ancora tanta gente” a mio parere
scade e di parecchio, e Sandor, anche per me, diventa sempre più grande.
Devo dire che le parole di Tuiach mi sono state riportate con dovizia di particolari dagli
altri; io, per scriverle in maniera fedele oggi, mi sono rivisto le immagini e l’audio su
youtube. Infatti nel frattempo ero andato fuori a fumare una sigaretta e a telefonare al
babbo, per sincerarmi che si fosse sintonizzato correttamente su sportitalia, canale che
trasmetteva il match.
Bundu vs Castellucci
Al rientro, Bundu è alle porte e io mi siedo al mio posto. Davanti a me c’è Giuliana, la
moglie di Leonard, che inizia a dondolare sulla sedia nervosamente; anche i bimbi sono
irrequieti e lei li riprende con accento campano: “State calmi, la mamma sta nervosa”.
Io scatto dalla sedia, Castellucci è già sul ring, vado nello spogliatoio di Leonard, vedo gli
ultimi colpi di riscaldamento del Campione,
(foto 14 Michela Comisso)
imbraccio la macchina fotografica e scatto, fino a che Leonard non è sul quadrato.
Bundu bomaye
Riprendo il mio posto. Giuliana inizia a gridare, accanto a me Pino ed i fiorentini sono in
piedi e intonano BUNDU BOMAYE.
Il match ha inizio, non ho mai visto Leonard così deciso ad essere Bundu bomaye.
Il Bonci alla fine del match mi ha detto: “Lo voleva mettere via subito”. E infatti Leonard
inizia a braccare Castellucci, che inizia a pedalare all’indietro.
Già nel primo round Leo pizzica con il montante l’avversario al corpo, che non gradisce e
mette il gomitino a protezione del fegato. All’angolo del campione, il Bonci e Paolo gli
raccomandano di non saltare per avvicinarsi all’avversario e di accorciare a piccoli passi.
Leo riparte alla carica e nel secondo round, dopo una combinazione fulminea, di quelle
come se ne vedono poche, montante sotto gancio sopra, piega le ginocchia all’avversario.
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L'arbitro conta Castellucci, mentre i fiorentini impazziscono e gridano ancora BUNDU
BOMAYE.
Castellucci si rimette in piedi, ma la sua azione è scomposta e spesso abbassa la testa,
così che Giuliana grida: “Sta testa Castellu”, Pino esordisce: “Vaìa, co' sta testa mi
sembra una coppa Uefa”. E ancora: “Co' sta testa del cazzo”, fino a che non finisce per
prendersi con il Maestro di Castellucci.
I round sono tutti uguali: Leo domina, Castellucci fa quello che può.
Alla 5°, il match finisce; due testate, giudicate involontarie, aprono la fronte e la palpebra
di Leonard, l’incontro è sospeso dal medico, si va al conteggio dei cartellini.
Castellucci si sporge dalle corde e grida a Giuliana, allargando le braccia: “Signo’, mi
dispiace, non l'ho fatto apposta”.
Io sono sotto al ring, vedo la scena e in quel momento sono un tifoso di Castellucci, un
ragazzo che, come dice il Maestro Vignoli, fa il muratore fino alle 5 del pomeriggio e poi
va in palestra. Un pugile che ha lottato con coraggio e per quanto poteva con un
Campione come Leo, e che, a detta di quest’ultimo, nelle poche volte che è stato colpito,
faceva male.
Leo alza le braccia, la sua vittoria è pura matematica, i giudici gli hanno assegnato tutte le
riprese con un punto di vantaggio, tranne la seconda - quella del conteggio - in cui i punti
sono due. Ora siamo tutti sotto al ring, io sono dalla parte opposta delle telecamere, Dario
Torromeo sta intervistando Leonard. Gli addetti al ring mi spingono perché non si vede la
pubblicità che ho dietro le spalle; guadagno un punto più tranquillo, ma la pubblicità e le
spinte mi seguono.
La verità è che, nell’immediato dopo match di Leonard, non so quello che faccio. La
tensione è stata tanta, così come lo sforzo di essere concentrato, che poi mi ritrovo
svuotato, ma ancora eccitato. Prima del match lo stavo spiegando a Paolo; lì vicino c’era
anche Lauri, che mi ha detto:
- Neanche fossi te a dover combattere.
Gli ho risposto con un sorriso.
Dopo match
Leo è negli spogliatoi, io sono a fumare con Anna; quando abbiamo finito, le luci nel
palazzetto sono accese a giorno ed è come voltare una pagina e passare a un altro
racconto.
Gli addetti iniziano a smontare. Sono lieto che oggi non tocchi a me, gli amici del Centro
Sport da Combattimento di Firenze possono capire.
Torniamo negli spogliatoi. Leo è sotto la doccia, la cintura di campione europeo dei pesi
welter è sul lettino insieme ad alcune lattine di birra, le ha portate un tipo che non
conosco. Presto la cintura sarà preda di Antonella e di tutti noi per le foto.
Nella stanza ci sono anche Pino, Michele e il tipo che distribuisce birra.
Arriva un uomo che cerca Leo, poi si guarda in giro e dice:
- Non potete stare tutti qui.
Pino gli risponde:
- Ma te chi tu sei? E che cazzo vuoi?
- Sono il medico dell’antidoping.
- Uhm, Leo è sotto la doccia, vuoi una birra?
- Volentieri.
Leo ora si sta cambiando. Anche Frida vuol sapere chi era quell’uomo, l’uomo
dell’antidoping. Leo mentre si allaccia la scarpa spiega alla sua bambina che quel signore
vuol sapere se il babbo ha preso la medicina di superman, ma il babbo non l’ha presa ed
è tutto a posto.
Anche Leo beve la sua lattina di birra: dopo il match il campione si disidrata quasi
completamente, la birra gli fa fare pipì, ormai è un rito. Al Foro Italico anche Petrucci ha
voluto la sua birra, a Paolo il compito di accontentare i due pugili.
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Il palazzetto ormai è vuoto, vuoto del tutto. Siamo a sedere accanto al busto di Primo
Carnera, aspettando che i due pugili facciano la pipì, mentre Pino si chiarisce con il
Maestro di Castellucci, spiegando che non c’era cattiveria nelle sue parole, solo
sentimento.
Nel Viaggio di ritorno, Pino ben giustificherà quel sentimento esagerato ad Antonella:
- Una ferita può compromettere il match, e a questo punto della carriera tuo fratello non
può permettersi di compromettere nulla.
I due pugili non riescono proprio a riempire le provette.
È tardi, ma non so esattamente bene che ora sia. Decidiamo di andare a mangiare un
boccone e di sentirci dopo. Probabilmente Leo dovrà andare a ricucirsi, ma nessun
problema. Per Giuliana e i bimbi non è la prima volta che vanno all’ospedale dopo un
match, a Roma con quel bozzo ci fecero mattina. Il fatto strano è che nessuno
dell’organizzazione si curò di accompagnarli per controllare che il bozzo fosse comunque
sotto controllo.
Prendiamo la macchina e andiamo al ristorante. Perdiamo Anna e acquistiamo Michela,
appena la vedo iniziamo a prenderla in giro, io in maniera particolare. Ci sediamo dietro.
Ormai siamo in mano alle donne che ci guideranno letteralmente, prendendo ordini
dall’Iphone di Antonella, per tutta la serata. A noi sta bene la situazione ci sentiamo come
ragazzini
Fuori dal ristorante ci sono i' Bonci e i' Vignoli che chiacchierano in piedi; poco lontano da
loro un tipo rivolge la mitica domanda al Bonci:
- Ce la fa Leonard a fare il mondiale?
Il Bonci increspa le labbra e dice:
- Mah.
- Come mai rispondete tutti mah?
- Il fatto è che in America non interessa un uomo di 38 anni.
Mi ci è voluto un po’ di tempo per riportare quella frase in un articolo, non ne avevo voglia.
L’occasione me l’ha data la rinuncia di Zaveck a sfidare Leonard. L’articolo è “La rinuncia
di Zaveck allontana il sogno mondiale di Bundu”, su "Nove da Firenze".
Mentre noi continuiamo a chiacchierare, le donne efficientissime sono all’interno del
ristorante per procacciarci una cena fuori orario; dentro ci sono anche il promoter di Leo,
Loreni, i membri del suo staff e l’arbitro dell’incontro, Massimo Barrovecchio.
Barrovecchio è un grande arbitro, spesso si vede negli incontri dei Klitschko e nei
mondiali WBC in genere; l’ho visto nel pubblico ad Arezzo per Nicchi vs Salvemini. Avrei
voluto stringergli la mano, cosa che non mi verrebbe in mente di fare a Collina.
Questa è una delle differenze fra Boxe e calcio.
Cena
Mi squilla il cellulare: è Antonella che ci avverte che la cena è pronta. La cameriera ci
fulmina con gli occhi tutte le volte che si avvicina al tavolo. Ha ragione: è tardissimo.
Mangiamo un primo condito con del sugo verde, probabilmente rucola, affettati e
formaggi, gli altri bevono acqua e vino, io prendo una birra.
Dopo cena
Siamo di nuovo fuori a intrattenerci con il Bonci e il Vignoli; con noi c’è anche il tipo della
birra e un altro che non conosco. Il Bonci racconta di Pino, di quando andarono a tirare,
non mi ricordo dove, e prima di salire sul ring Pino disse:
- Un mi capiterà mica un mancino.
- Ma va', sarebbe un caso.
Allora i pugili combattevano tutti nella loro guardia e i mancini puri erano rari come ora.
Successe il caso, e il Bonci recuperò la situazione ordinando:
- Gira all’incontrario - ovvero dalla parte opposta del mancino dell’avversario - e tira tutti i
destri.
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Pino parla ancora di un suo incontro. Stava vincendo alla grande, quando prende un
destro alla tempia, e va giù. Si rialza dopo il conteggio dell’arbitro e dice:
- Sto bene, sto bene.
- Anch’io, out - aggiunge l’arbitro.
Pino racconta ancora, alzandosi e mimando il passo del pugile scosso e aggiungendo:
- Parevo Pippo, quello di Topolino, mentre tornavo all’angolo.
Si parla anche di me, e il Bonci dice:
- Su di lui ci avevo fatto un pensierino...
Pino riprende:
- Non ha avuto le palle.
- Non è vero - ribatte il Bonci.
- Non è vero - faccio io.
Già, non è vero. Manco per un secondo, ricordando la stanza del mezzo incubo in cui ho
dormito alcune notti nel 1987.
La stanza del mezzo incubo
Il pugilato mi è entrato dentro. È vero, ci è voluto un bel po’, pensando ai tempi di un
diciassettenne che viaggia con benzina e accendino sempre pronti; ma ora lo sento
dentro.
Il Bonci ha smesso di incavolarsi con me.
Una volta mi ha fermato durante una sessione di guanti e levandomi i guantoni ha detto:
“Non si può fare il pugilato con il peso del corpo in avanti”. Un’altra volta mi ha legato il
braccio destro con una corda perché colpendo il sacco con il sinistro mi scoprivo
sollevando il gomito destro, e anche se era più per scherzo che per altro, era sempre un
modo di riprendermi.
Ora, invece, mi dice cose come “sei migliorato”,” se avessi un destro come il tuo lo tirerei
sempre” e me lo dice tutte le volte che mi vede in palestra, cioè almeno quattro, cinque
volte la settimana.
Il sabato vado a correre e quando vedo uno specchio faccio il pugilato a vuoto.
Nell’ingresso a vetri del portone dei miei genitori ho boxato più round che un incontro
europeo. La Boxe mi ha asciugato e anche se ho passato di diversi centimetri il metro e
65 di Ray Boom Boom Mancini - il mio pugile preferito - ormai sono del suo peso, sono un
superleggero, 63.5 kg, e vorrei che questo titolo venisse prima del mio stesso nome: "il
superleggero Massimo Capitani".
Ho caratteristiche da tecnico, gambe poco divaricate e senso del tempo; a differenza di
Boom Boom non sono un attaccante, ma più un incontrista. Spesso faccio i guanti con
ragazzi che devono esordire come me il prossimo anno, il 1988. Altre volte con ragazzi
più esperti.
Spesso ci scambiamo belle mazzate con Renato, Renato Recinos: lui passa il tempo
sotto la corda di guida imparando a muovere il corpo per schivare i colpi dell’avversario
per poi lanciare i suoi tremendi ganci. Il classico picchiatore. Un giorno è passato due
volte sotto il mio destro scagliando il suo gancio sinistro e il Bonci alla seconda legnata
decretò lo stop, quello che faceva sempre quando i guanti diventavano troppo pesi.
È questo quello che sogno, anzi sognavo, nella mia camera.
Poi ho iniziato ad avere le vertigini, il letto ha cominciato a prendere il volo. Succede tutte
le volte che chiudo gli occhi, tutte le volte che faccio i guanti in palestra.
La prima volta che succede piango dallo spavento, cerco di pensare alla “stanza del
mezzo sogno” di Mohamed Alì, quella che il più grande descrive nel suo libro quando
parla della strana dimensione in cui ti spinge un pugno che ti manda sull’orlo del K.O. È
uno stato che devi imparare a riconoscere e ad assecondare, se non vuoi farti abbattere
da un altro colpo che ti manderebbe a nanna definitivamente.
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Ma non funziona, non funziona manco per un secondo. Per il momento non dico nulla a
casa, in palestra inizio a trovare scuse come “mi fa male una mano”. La volta in cui non
ho più scuse, sul ring sono nervoso, in tensione; il Bonci se ne accorge e me lo dice.
È come tornare indietro, indietro di parecchio, quando non mi sentivo un superleggero,
proprio come adesso.
Alla fine ho trovato il coraggio e ho vuotato il sacco.
Il babbo è andato a parlare con il Bonci e ho fatto gli esami vestibolari. Ti stendono su un
lettino e ti mettono un liquido dentro le orecchie, ti gira tutto, sembra perfino peggio di
essere nella stanza del mezzo incubo dove fino ad ieri sognavi di essere un pugile e ora ti
vergogni di essere un ragazzo.
Gli esami li portiamo a far vedere al dottore della struttura sanitaria. Ricordo che siamo
stati in Viale Matteotti e ricordo perfino il nome del dottore, Accrocca. Lui dice che si è
alterato il mio senso dell’equilibrio e che il pugilato è pericoloso.
Continuo ad andare in palestra. Il Bonci e il babbo parlano ancora e alla fine si decide di
andare con gli esami in mano dal dottore della Federazione di Pugilato. Non ricordo il suo
nome, ricordo che faceva ambulatorio dalle parti di via Bronzino. Ora siamo nella sua
stanza, io il babbo e il Bonci; lui ha gli occhi sul risultato delle analisi, il dottore parte dalla
firma del medico che ha valutato gli esami:
- Accrocca, è un buon nome - ci pensa un attimo, poi continua - nel caso in cui il ragazzo
prendesse un cazzotto forte, un cazzotto fuori dal normale per intendersi, potrebbe
diventare sordo o perdere l’equilibrio. Se volete, possiamo fargli fare la visita a cui tutti i
pugili si sottopongono prima di passare professionisti.
La mattina dopo getto la spugna: sono out e sarò fuori dal pugilato per tanto tempo.
Rientrarci dal bordo ring, con la penna stretta in mano e il cuore che batte per la Boxe e la
Scrittura, sarà un successo.
E anche se adesso non sono più un superleggero, non importa, ora finalmente non
importa più.
Il sesso forte
È deciso: andiamo via, Michela è già in macchina e Antonella minaccia di lasciarci lì.
Saliamo in macchina e lei parte.
Antonella dice:
- Il conto l’ha pagato... - segue il nome, ma non lo capisco, capisco solo che è il tipo delle
birre.
Ho la lucidità di ringraziare, prima che in macchina scatti la rissa, infatti dietro si scatena
un "tutti contro Michele", che è ripetutamente colpito con carezze amichevoli.
A dire il vero non sono ubriaco, ubriaco vero: la birra ha sciolto la tensione del match,
lasciandomi una bella eccitazione, e di dormire non ne ho propria voglia.
Antonella è stanca e furibonda, il giorno dopo mi dirà:
- Ti avevo conosciuto per un bravo ragazzo, prima della trasformazione dott. Jekyll/mr.
Hide.
Sono onorato di questo paragone: amo Stevenson, lui doveva fare l’ingegnere, come tutti
nella sua famiglia, ma il suo fisico malaticcio non glielo consentiva. Costretto per lunghi
periodi a letto, non gli restava che far viaggiare la fantasia, e più tardi l’avrebbe fermata su
un foglio di carta. Lui è uno di quegli scrittori che ti fa venire voglia di provare a Scrivere,
un po’ come Hendrix, Maradona e Leo. Dopo aver letto “Il ladro di cadaveri” dello scrittore
scozzese, scrissi il mio primo racconto noir.
Il primo a scendere dalla macchina è Guido, così si chiama il tipo delle birre, che è anche
il suocero di Leonard, lo so perché appena ripartiamo lo chiedo.
Alla fermata successiva scendono le ragazze, che dormiranno nello stesso appartamento;
ci fanno mille raccomandazioni, e un ultimatum: “spengiamo il cellullare”; ma forse è un
penultimatum. Il nostro Bed & Breakfast dista un paio di chilometri, ma sbagliare alle 3 del
mattino sarebbe un casino. Nel nuovo silenzio mettiamo in funzione il nostro navigatore
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naturale, sviluppato quando la tecnologia non c’era e per tornare a casa, nelle torbide
serate dovevi far conto solo su di te. Dopo pochi minuti siamo a destinazione. Ripetiamo
le consegne della padrona del Bed & Breakfast, compreso il messaggio con l’orario della
colazione; poi svelti e in silenzio raggiungiamo le nostre camere e ci salutiamo.
La stanza dello scrittore
So quello che devo fare: mano alla sacca del computer, presa collegata, blocco degli
appunti, musichetta di windows, e si parte.
Ricordo di aver scritto fino al mattino cercando di non pensare al finale che avevo già in
testa. I galli si rispondevano nella campagna, dalla finestra veniva un bel fresco e la luce
del mattino, dopo che non hai dormito, ha sempre un’altra tonalità.
Poi ho preso il telefono e sono andato alla foto della copertina del cd. Ho visto come si
scriveva waiting for the sun, non era certo l’ora per mettere alla prova il mio inglese.
Non mi rimaneva che mandare il pezzo. Ho preso la chiavetta internet e sono andato sulla
mia posta elettronica. Connessione lenta, ma alla fine ero sulla mia Gmail e non mi
rimaneva che allegare il pezzo.
La connessione è sparita, ho fatto un paio di tentativi e poi ho spento tutto, ho caricato la
sveglia sul cellulare alle 8 e sono svenuto.
Risveglio
Al terzo trillo sono già con la mano sul cellulare, non possono girarmi le scatole e
chissenefrega se ho dormito tre ore: Leonard è il campione d’Europa, io mi farò una
doccia e poi penserò al mio pezzo, sono ancora in Viaggio.
Connessione ok, pezzo mandato.
Busso alla porta di Pino e Michele: cavolo, anche loro sono del mio stesso umore.
La colazione ci dà un'ulteriore carica e io sono così contento che perfino mi interesso
all’arredamento della casa.
Siamo in partenza, ringraziamo e salutiamo la signora del Bed & Breakfast.
Ancora un altro caffè prima di andare dalle ragazze, poi con loro raggiungiamo in albergo
Leo e famiglia.
La famiglia esce dall’albergo. Leo ha un cerotto sul sopracciglio, sono stati al pronto
soccorso, ma non dopo il match: si era fatto tardi, così sono tornati la mattina. Quattordici
i punti di sutura.
Dietro la famiglia c’è anche Santos Medrano, l’avversario di Fiordigiglio: ha la faccia da
killer, del quadrato s’intende, chiedete a Zamora.
Rimaniamo nel parcheggio per un po’, qualche telefonata, qualche chiacchiera; poi, il
vento che scuote la carrucola di una gru a torre sistemata sulla nostra testa ci consiglia di
andare. Facciamo un giro per Udine, ma non so dove siamo esattamente: sono un
passeggero che sta registrando emozioni.
Ci fermiamo a un bar, sosta per un caffè poi di nuovo in macchina verso il ristorante.
Ampio parcheggio e una tenuta con verde: è un posto per ricevimenti, matrimoni e altro.
Andrà benissimo per festeggiare il confermato Campione d’Europa.
Siamo una bella tavolata. Pino inizia a prendere di mira il principale che si prodiga a
spiegare piatti e portate, e non mollerà fino alla nostra partenza. È il momento di fare la
foto con Leonard, a dire il vero è un po’ che l’avevo in mente. Nello scatto abbasso gli
occhi un po’ emozionato.
Il mio articolo è già on line, Pino lo legge e si congratula, poi aggiunge:
- Ci sono anch’io!
- Ci siamo tutti, non potevo lasciare fuori i miei compagni di Viaggio.
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A pranzo mi trovo davanti a Leo. Ho il buon gusto di non chiedergli notizie sul suo futuro e
cose simili… Lui si vuol solo rilassare, mangiare e bere; il resto può aspettare.
Mangiamo bene, anche se un po’ ci fanno attendere; Pino lo dice apertamente al
principale e lui ribatte:
- Se volete, accendo il microonde.
È tardi, dobbiamo andare; Firenze e i rispettivi impegni aspettano tutti noi.
Michela ci segue, è sicura di far funzionare il navigatore e infatti ci riesce in tre secondi.
Non rinuncio a farle ancora una battuta mentre ce ne andiamo.
Udine Firenze
Sono dietro con Michele che è agitato come è naturale per un ragazzo di 15 anni, cosa
incompatibile con la voglia di un quarantaduenne di chiudere un po' gli occhi e di tirare il
fiato.
Si finisce per parlare del prossimo match con Zaveck: Leo è pronto a sfidare lo sloveno a
casa sua. Io sono scettico, non certo sulle qualità di Leo, ma sui verdetti casalinghi di cui
continuo a non fidarmi. Sappiamo invece com’è andata. Zaveck, che sa di rischiare con
Leo, non ha accettato; lo avrebbe fatto solo se la sfida fosse valsa per una semifinale
mondiale, ma questo non è stato.
Siamo sempre lì a rimpiangere questo mondiale che non viene, invece di goderci lo
splendido Viaggio europeo con Leonard Bundu. Il più grande campione europeo del
mondo.
Leonard Bundu vs Ismael El Massoudi (Francia)
3° difesa del titolo d’Europa pesi welter
1 Dicembre 2012 - Rezzato, provincia di Brescia
Altra roba
Quando Leo entrò all’Accademia, il Bonci lo mise, come metteva tutti, allo specchio a
tirare il sinistro, in attesa, quando il colpo con la mano davanti fosse stato metabolizzato,
di tirare anche il destro. La maggior parte delle persone è destrorsa e porta, in posizione
di guardia, il braccio sinistro avanti.
Il Maestro già dopo un’occhiata si rese conto che quel ragazzo non era come tutti gli altri
ragazzi e che le cose le imparava subito, bastava solo fargliele vedere una volta.
In seguito, come mi ha raccontato lo stesso Bonci, quel Maestro capì che quel ragazzo
faceva cose che neanche gli erano state fatte vedere:
“Una sera, durante una sessione di guanti, Leo aveva all’incirca una decina di match, lo
vidi fare un’azione con la guardia normale, poi, cambiare guardia - con il braccio destro in
avanti - e continuare a colpire e a spostarsi come se nulla fosse. Rimasi zitto e
osservandolo mi sembrò che tutto fosse corretto, naturale.”
Da quel giorno, il cambio guardia divenne il marchio di fabbrica del Campione - uno dei
suoi marchi di fabbrica - un’arma propria per disorientare l’avversario e avvantaggiarsi.
Come avvenne a Berlino per la difesa del titolo dell’Unione Europea, quando al termine
della 1° ripresa all’angolo gli fu consigliato di boxare sempre in guardia normale, e così lui
fece. Tanto, per lui non c’è differenza.
Quando andavo in palestra io, tanti e tanti anni fa, i pugili che lavoravano sulle schivate si
esercitavano alla corda di guida, una corda che veniva tesa all’altezza del volto dell’atleta
e che rappresentava la linea di colpi dell’avversario. Il pugile doveva passare con la testa
e il busto sotto la corda, variando da sinistra a destra, e poi doveva lanciare per primi i
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colpi con la mano con la quale usciva. Se usciva a sinistra, ad esempio, metteva il
montante sinistro e poi continuava la serie.
Le schivate nel pugilato moderno sono meno evidenti e a volte si schiva a destra e poi si
rientra con il gancio sinistro. È quello che all’angolo prende il nome di “incrociare
l’avversario”.
Leonard Bundu vs Ismael El Massoudi durò solo 2 minuti e 42 secondi, lo spazio di un
lampo. Il lampo di quel gancio sinistro incrociato
(foto 15 Michela Comisso)
(foto 16 ©MONICACALEFFI)
che si è abbattuto come un treno sulla mascella di El Massoudi, spengendo le luci del
pugile franco marocchino.
Rezzato, chi era costui?
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Rezzato è un po’ come Carneade, nonostante dubiti - e a buon diritto - delle mie
conoscenze. Anche i miei amici dottorati e masterizzati non conoscono il comune in
provincia di Brescia, ma dopo un giro in rete siamo tutti più colti, almeno a parole.
La formazione per Rezzato è uguale per ¾ a quella di Udine, infatti siamo io, Beppe,
Michele, non c’è Antonella mentre c’è Luca, un amico di Pino.
Niente commenti, per favore.
In macchina ce ne stiamo per lo più zitti. Luca è assonnato, Pino guida, io mi adeguo e
Michele ancora non ha preso il via.
Anche stavolta non siamo riusciti a far funzionare il tom tom, Luca lo ha acceso in
autostrada e così il segnale ha dato di matto.
Ci facciamo guidare dalle indicazioni cartacee che ho cercato su internet e visto che le
prossime sono di trovare il cartello che indica Brescia-Padova siamo tranquilli, anche se
“tranquillo - come si dice - ha preso 20 anni di galera”.
Io me ne sto a pensare per conto mio, forse la mia testa è rivolta al “Viaggio con Leo”;
forse è da un’altra parte; quando Pino ha un sussulto e dice:
- Ma qui in dove si va? Io l’altra volta - parla di Bundu vs Moscatiello - non sono mica
passato di qua.
La macchina si rianima, io controllo le carte nautiche e ribadisco:
- L’abbiamo trovato Brescia-Padova?
Mi rispondono Pino e il risorto Luca che giurano:
- No.
Il paesaggio che ci sta sulla sinistra, montagne e cascate d’acqua, indica però che
qualcosa non va e che bisogna spostare la nostra attenzione su qualcos’altro se vogliamo
viaggiare con Leo. Il cartello che segnala pochi chilometri a Trento ci leva gli ulteriori
dubbi e consiglia la fermata al primo autogrill, a meno che non si voglia cenare a wurstel e
birra.
Beppa Giosef
Io non mi sarei mai sognato di vedere Beppa Giosef in carne e ossa, meno che mai
all’autogrill quel pomeriggio. E invece lei era lì a pochi passi da me, e anche se non aveva
il sigaro in bocca, era lei, era Beppa, anche se travestita da lavavetri.
Beppa Giosef è un personaggio di Alan Ford, fumetto che ho imparato presto ad amare mentre i miei coetanei leggevano il sempreverde Topolino - grazie a Mauro, mio fratello
maggiore, che li seminava per casa.
E così, mentre fissavo il brufolo sul nasone di Beppa, assorbivo tutte le informazioni per
tornare indietro e prendere la Milano-Venezia, poi non si doveva proseguire per la città da
bere, ricorderete la pubblicità, o da pere, come diceva un tipo che conoscevo, ma verso
Peschiera.
Fatto sta che stiamo a cavallo, e che se non facciamo ulteriori cavolate a Rezzato ci
arriviamo in orario.
E poi Pino dice:
- Che ci vuole, prendiamo la funivia - indicando i monti - e arriviamo.
Buco chi non sa usare il tom tom
“Buco chi legge” era il messaggio che perfino alle elementari trovavi scritto sui muri;
qualcuno in seconda elementare scrisse con le tempere nel bagno dei maschi “buco chi
lege”. E si beccò di ciuco dalla maestra davanti a tutta la classe. Ovvio che come l’offesa
era incomprensibile allora, lo è anche ora, anche se per motivi diversi.
Ma insomma, ora siamo finalmente all’uscita Brescia est e dobbiamo trovare l’albergo che
le indicazioni suggeriscono molto vicino.
La macchina è ferma, la radio spenta, il cervello acceso, dobbiamo suggerire al tom tom
dove andare.
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Ci siamo, i parametri sono quasi tutti impostati, aspettiamo che la vocina della signorina
tom tom ci guidi, invece arriva quella di Luca, che, svoltando il collo a sinistra arriva sulla
destinazione e dice:
- Eccolo lì.
Il Best Western
Il Best Western è una di quelle catene di alberghi internazionali dove niente è affidato al
caso. Fai la prenotazione on line e stai sicuro che, dopo il soggiorno, ti arriva la mail che ti
chiede il grado di soddisfazione del servizio, eventuali annotazioni, lamentele, ecc. Poi
seguono altre mail con offerte imperdibili, delle quali puoi non tenere conto, così come
puoi cancellarti dalla mailing list, ma loro comunque non lasciano niente al caso.
E infatti niente da dire: a un prezzo conveniente hai una bella camera, un bel servizio e
un’ottima colazione. Cosa che ci vuole - la colazione, intendo - visto che Pino in sede di
prenotazione mi ha detto:
- Prendi l’offerta con la colazione, che un caffè ci vuole per mandar giù il cherosene della
sera.
Unico neo del Best Western, la vicinanza all’autostrada che anche la notte non smette di
fare rumore.
Prendiamo possesso delle camere e subito le abbandoniamo: direzione palasport di
Rezzato.
Faccio in tempo a fare una telefonata ad Anna Sgarbi, che super carina come al solito mi
ha riservato due pass per me e il fotografo che non c’è, e poi ha aggiunto:
- Chiamami se hai bisogno.
Direzione Rezzato
Stavolta non ci frega nessuno: il tom tom fa quello che abbiamo in mente portandoci
vicino al Palasport. Il camion attrezzato della Rai ci dice che siamo sul posto giusto.
A Rezzato piove, ma se anche ci fosse un sole che spacca le pietre il Palasport ci
apparirebbe per quello che è: una struttura che è poco più di una palestra. All’esterno,
sotto una tettoia, hanno allestito dei tavoli e una cucina che sforna le solite cose, anche se
la salsiccia i locali la chiamano "salamella", più il formaggio fuso.
Davanti al Palasport di Rezzato sembra però di essere al PalaMandela. Infatti ci sono: i'
Bonci, Paolo, i’ Giano, Monica, Giulia e noi.
Entro a ritirare i pass e a dare un occhio in giro. Il mio accredito è nominale e non è nella
busta destinata a "Nove da Firenze" con quello del fotografo. Chiedo se posso ritirare
anche il pass del fotografo Corrado Sacchi, ma l’uomo della sicurezza mi dice, laconico,
lapidario e molto accigliato:
- Può prenderlo lui quando arriva.
Sono dentro, e da dentro la palestra ha un'unica tribuna e poi il bordo ring. È presto e c’è
poca gente, ma tutti hanno un pass al collo, mi sa che l’incasso è magro e hanno stretto le
maglie per chi s’imbuca.
Sono di nuovo fuori. Leo e famiglia sono arrivati. Facciamo la conta per vedere a chi
manca il pass e Leo prende gli esclusi e li accompagna dentro, ma qui siamo a Rezzato e
non a Udine e non si passa.
Torno fuori e vado da Luca che è rimasto un po’ defilato: gli dico di andare dentro a
prendere il pass per Corrado Sacchi, così anche lui è sistemato.
Giuliana mi sorprende da solo a fumare una sigaretta, mentre i miei compagni sono a
mangiare, e mi chiede con il portafogli in mano:
- In quanti siete rimasti fuori?
- Alla fine in due.
- Ok - e mette mano al portafogli.
- Aspetta, Pino non vuole che pagate voi.
- È Leonard che lo vuole, siete venuti fin qui per vederlo.
Non so che dire e, intanto che ci penso, Giuliana è già tornata con i biglietti.
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Raggiungo i miei compagni al tavolo, tiro fuori i biglietti e appena Pino mi guarda dico:
- Giuliana me li ha messi in mano.
Poi vado a fare il buono per il pasto: visto che non posso bere niente, mangio come un
lupo e a quello che avrei comunque mangiato aggiungo il formaggio fuso che mi serrerà lo
stomaco per tre giorni di fila.
Con Luca ci sistemiamo a bordo ring, proprio davanti al tavolo degli altri giornalisti, mentre
Pino e Michele sono dietro le transenne, da veri ultras.
Metto la macchina fotografica al collo di Luca, sopra il pass, e inizio i miei soliti giri. Capito
nei pressi della postazione di Monica Caleffi, la mia amica e fotografa per questa sera,
che si è sistemata in posizione di luce favorevole in compagnia di altri suoi colleghi.
Quando arrivo sta giocando a chi ha l’obiettivo più grosso con il suo vicino; le sue
macchine, due, sono sul tappeto del ring come fiches. Visto che lei non può mollare di un
centimetro la guardia, le prendo una sedia così che potrà riposarsi.
Dall’altra parte del ring c’è Michela Comisso, la vedo che fa da baby sitter ad Andrè e a
Frida; poco più in là c’è la loro mamma. Mi avvicino con circospezione e, con le spalle
coperte dai bimbi, approfitto per fare un saluto a Michela, lei mi risponde come se nulla
fosse. Sollevato, faccio un altro giro e porto una birra a Monica.
Fuori trovo Guido, l’uomo delle birre; gli offro una birra, ma lui dice di no. Il tempo delle
birre verrà dopo.
Il sottosottoclou
Non è che questo sottoclou sia peggio di quello di Udine; ma forse è proprio la ripetizione
della brutta edizione del PalaCarnera, dopo i contorni interessanti di Firenze e Brescia,
che mi induce a ripetermi.
Alla fine della fiera solo il match di Brunet Zamora, che invecchiando scende di peso
invece di salire, è un discreto match. "El Italian Salsero" infatti - al rientro sul ring dopo la
sconfitta europea - vince senza aver bisogno di strafare e rispetta fino in fondo Michael
Carrero, andando a segno proprio alla scadere del match, con un colpo che fa sputare il
paradenti all’avversario.
Per il resto Ouerghi va K.O. per un gancio sinistro, tanto violento quanto scontato, del suo
avversario Sabau. Leo, che era con lui nello spogliatoio, gli aveva detto "in bocca a lupo",
così, appreso l’esito del match, agli altri pugili compagni di spogliatoio non ha detto più
nulla.
È uno di quei K.O. terribili, da silenzio in sala. Ouerghi sottoposto alle immediate cure del
caso dimostra di stare bene, come poi sarà.
Il peso medio Murgia, gran fisico, ha la meglio su Markovic alla seconda ripresa.
Nonostante la netta vittoria, Murgia, come dicono in palestra, “becca troppo”, ovvero
prende troppi cazzotti, e secondo me il peso medio sardo è da rivedere con un avversario
più preparato anche a livello fisico; Markovic respirava a bocca aperta a metà della prima
ripresa. Visto il record di Murgia, 10 vittorie su 10 match, gli avversari arriveranno.
Neanche quello di Esposito con Garcia è un bel match, ma i pugili che vengono dal team
Ortiz-Nicaragua, come l’avversario di Zamora, anche se sono dei collaudatori, non sono
facili per nessuno, insomma non ci stanno a prenderle.
Forse è il momento di spiegare chi sono questi pugili "collaudatori" e così parliamo anche
di Ortiz. I pugili collaudatori sono quei pugili che partono perdenti, e lo sono quasi sempre.
Per il fatto che nessuno chiede loro di vincere, e se lo fanno magari non li chiamano più,
combattono molto di più degli altri pugili, ai quali servono per testare le loro condizioni in
previsione dei match importanti. Combattono per la borsa e oltre a quella a fine match
incassano i colpi dell’avversario, l’importante è non prenderne troppi perché la testa è
come un salvadanaio senza buco sul fondo, e quello che entra non esce. Quando il
salvadanaio è pieno, è l’ora di smettere. Ortiz è uno che a 43 anni il salvadanaio non lo ha
ancora pieno, infatti il pugile colombiano combatte ancora. Diversi dei suoi match li ha
disputati in Italia - ecco perché parlo di lui con cognizione di causa, attribuendogli anche
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delle frasi precise. Ortiz ha messo insieme più di 50 match con un'altissima percentuale di
sconfitte, eppure non ha la faccia pesta. A vederlo sembra più un rapper trentenne con
cappellino da baseball e medaglione al collo, dalla faccia pulita, una faccia che però
incute rispetto, quando, riferendosi al pugile che poi lo sconfiggerà, dice: “Ehi amico, vacci
piano sennò ti picchio”. Una volta l’hanno chiamato a mezzogiorno per la sera, lui ha fatto
la
corsa ed è salito sul quadrato. Ha combattuto con Rotolo, e lo ha messo al tappeto
perché non faceva piano, poi comunque ha perso. Se vi state chiedendo se il ragazzo
combatta ancora, ve lo dico subito: Ortiz ha combattuto l’8 Marzo e lo vedremo
combattere prima di Leo al Tendastrisce. Quando hai 43 anni bisogna combattere spesso,
anche perché tempo ne rimane sempre meno.
Alla fine arriva anche il match di Tuiach. Stavolta il triestino, concittadino di Italo Svevo, se
la vede con Bogdanovi, che oltre ad avere una forma fisica sformata non ha né il mestiere
né la tecnica di Sandor Balogh. Ne viene fuori un match brutto e al rallentatore; per
questo il solito Pino, al momento in cui l’arbitro apre il round dicendo "Boxe", gli fa eco:
- Ma boxe, però.
Il match si chiude nel minuto di pausa della terza ripresa, con Bogdanovi che accusa un
dolore alla spalla destra, i giudici decretano il K.O tecnico, ma a casa mia si chiama
abbandono.
Non manca, come al solito, l’intervista a Tuiach. Il pugile triestino, mentre si tormenta
l’elastico dei calzoncini con il pollice del guantone, forse tradito dall’emozione, lancia la
sua sfida a Modugno per il titolo italiano di categoria. Un incontro che mette curiosità
nell’ambiente, anche se ci vorrà un po’ di tempo perché si concretizzi, visto che Modugno
per il momento ha altri progetti.
Ma qui alla fine si perde di vista l’obbiettivo di questo viaggio, e così torno a ricordarmi di
me stesso subito dopo che Zamora e il suo cappello sono spariti. Infatti sono lì che inforco
la strada che porta fuori per fumarmi l’ultima sigaretta. Nel corridoio che sta in mezzo tra
lo spogliatoio dell’angolo rosso, di Bundu, e quello blu, di El Massoudi, vedo il Bonci che
guarda in direzione dell’altro spogliatoio, dove l’avversario di Leo sta facendo le figure con
il suo Maestro. Conosco, conosciamo, quello sguardo e forse non ci penserei più di tanto
se appena fuori dal Palazzetto non trovassi la Giulia, che non è la vettura anni ’70, ma la
Giulia dell’Accademia Pugilistica Fiorentina che, anche lei in versione Smokers, dice:
- Non ho mai visto Ale così - lei è l’unica che il Bonci lo chiama così.
Io abbozzo un:
- È preoccupato per l’avversario, uno che ha esperienza, uno che sa fare la Boxe...
- Sì, ok, ma Leo è Leo.
Non c’è più tempo per sigarette, pisciatine, birre e noccioline, perché LEONARD BUNDU
è sul ring, e io ho appena il tempo di dire al mio socio, che ormai è talmente calato nella
parte da essere una poltroncina del bordo ring:
- Su, fai qualche foto.
Il match
Alla fine Leo, pur non buttandosi come con Castellucci, non ci pensa più di tanto a far
sentire i suoi pugni, e infatti prima dell’incrocio becca El Massoudi due volte, almeno al
corpo, e una volta con il gancio sinistro in uscita. Insomma, un’entrata da campione,
un’entrata da Leo. Poi, quando il cronometro segna 2 minuti e 42, il gancio sinistro
abbatte El Massoudi. Il franco marocchino si rialza - anche se le gambe s’incrociano l’arbitro lo conta e poi quando lo chiama vicino per stringergli i guantoni e sincerarsi delle
sue condizioni lo guarda in viso e decreta lo stop. Leo alza ancora una volta le braccia al
cielo da Campione d’Europa.
(Foto 17 ©MONICACALEFFI)
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C’è chi dice che lo stop è stato troppo affrettato, soprattutto per un campionato europeo;
io sono dell’opinione che il match era finito, il pugile franco marocchino era groggy e la
sua fine sarebbe arrivata, visto che il termine della ripresa era a un passo, nel secondo
round. Prima del match avevo parlato di questo El Massoudi. Tutti, a partire dal Bonci
passando per Paolo fino ad Alfredo Bruno, avevano detto che era uno che sapeva fare il
pugilato; del pugile francese avevo seguito i due video su youtube, la bella vittoria su
M’Baye e la tremenda sconfitta con l’argentino, tagliagole, Chaves, e proprio parlando con
Paolo avevo avanzato qualche dubbio sull’integrità del franco marocchino dopo il
tremendo K.O. Andatelo a rivedere. Paolo aveva minimizzato e sul mio articolo di
presentazione del match ero stato cauto anche io, rimarcando però il tremendo K.O. e il
fatto che al nostro Leo era affidato il compito di verificare se la Tempesta, "Desert storm" è
il soprannome di El Massoudi, era ancora intensa o si era ridotta di potenza.
Terzo tempo
C’è un gran casino sul ring. Io sono appena sotto mentre Anna Sgarbi passa il microfono
della Rai a Leo, visto che "mamma rai" non ha potuto mandare nessuno a fare la
telecronaca. Vedo Anna che scavalca le corde e vuole scendere, ma c’è troppa ressa; mi
offro di prenderla, lei si offre di essere presa. Sono goffo e senza volere le metto una
mano sul culo, lei mi dice:
- Se volevi toccarmi potevi dirmelo.
E il mio viso diventa del colore dell’angolo rosso.
Il palazzetto si sta svuotando e io che ho recuperato il mio colore naturale sono a
chiacchiera con Anna e Michela. Parliamo di racconti noir e di altre cose, così confesso a
Michela che avevo un gran timore di aver esagerato la scorsa volta. Sentite la sua
risposta:
- Sono abituata a queste cose, avendo molti amici maschi.
Io sorrido e lei continua:
- Sì, ma sono amici.
Incasso la battuta e continuiamo a chiacchierare. In fondo la legge che parla dei due
sacchi, uno per darle e uno per prenderle, vale anche per le battute.
Qualcosa si smuove, Leo ha fatto l’antidoping a tempo di record, oggi gli viene tutto
veloce, e sta chiacchierando in buon inglese con il clan di El Massoudi che ha le orecchie
ciondoloni come i breton francesi. Leo gli dice che aveva accolto con favore la notizia di
combattere, dopo Moscatiello e Castellucci, con un avversario di spessore internazionale.
Poi Leo allarga le braccia e dice: "È andata così." Come a volersi scusare del K.O.
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La postazione ora mi offre il foglio word di un collega che sta battendo il suo pezzo.
Mentre leggo credo proprio che un lavoro così lo saprei fare anch’io, e magari lascerei
strare il solito annuncio del prossimo mondiale per Leonard Bundu, che ormai sembra la
novella dello stento, e darei notizie certe appena possibile. Non voglio sminuirmi con quel
credo, ma è un po’ la difficoltà che tutti gli autodidatti hanno quando si confrontano con chi
ha fatto il percorso istituzionale.
Alzo le spalle, ma già penso a come sarà il mio pezzo.
La serata continua a cena da qualche parte. La nostra comitiva ne farebbe anche a meno:
dopo l’euforia del match viene fuori la stanchezza arretrata, accumulata in letti insonni e
bar sempre aperti. Ma Michele, il cucciolo del gruppo, vuole proseguire la serata e quindi
si va a avanti.
Siamo alla tavolata di Leo. Manco abbiamo digerito la prima cena che siamo alla
seconda, che atleti. In più devo prolungare la mia astinenza dall’alcol, visto che mi hanno
eletto autista della serata. Rimpiango Michela, che non so proprio che fine abbia fatto.
La mente sveglia mi dà l’opportunità di beccare, anche se in maniera parziale, il colloquio
che si svolge alle mie spalle: il Bonci, che sta andando via con Paolo, saluta Leo e gli dice
che durante la preparazione ha trovato in lui qualcosa di diverso dal solito, forse perché lo dico io - era stufo di vedere il tempo passare senza valorizzare il suo titolo. Fatto sta
che il Campione risponde:
- Sì, ma ho visto che non eri preoccupato.
- Non mi sono fatto vedere che lo ero, è qui che sta la psicologia.
Il Maestro se ne va, noi rimaniamo, ma ancora per poco. La serata è finita e anche se
paga Loreni, il promoter di Leo, quando è finita è finita, è inutile insistere nel divertimento,
come dicevano gli "Amici miei", ed è bello che questa cosa la capisca al volo Michele che
quella coda al divertimento l’ha voluta.
Notte da Campioni
Il ritorno al Best Western è un lampo, grazie al navigatore che ci assiste passo passo. Io
dormo con Luca, ma prima di dormire devo scrivere il pezzo, così mi sistemo nel tavolino
nel corridoio davanti al bagno con la luce del lavabo accesa, nonostante il mio socio
affermi che dormirebbe anche in un pozzo.
Batto sulla tastiera per un’oretta, controllo il pezzo e so che devo sottolineare che il
commentatore della rai non c’era, credo che non lo dirà nessuno; ma il bello di essere un
battitore libero e autodidatta è anche questo, solo devo trovare le parole giuste che non
trovo. Allora mando il pezzo così, i redattori poi lo inseriranno la mattina. Saranno le due e
mezzo almeno e sono troppo cotto per cercare le parole. Le troverò il giorno dopo, dopo
una breve telefonata al Direttore, visto che il pezzo non era stato messo ancora in rete.
È l’ora di stendersi, tutti hanno bisogno di riposo.
Il mio socio se la russa alla grossa, la mattina dirà:
- Devo aver russato stanotte, da quanto l’ho fatto mi sono svegliato.
- Confermo - rispondo io.
La colazione è a buffet, o meglio all’abbuffata, c’è di tutto insomma. Michele svaria fra il
dolce e salato, e alla fine si becca il rimprovero del babbo.
A furor di popolo vinco un altro giro sulla macchina di Pino, i miei compagni si
addormentano nel giro di cinque minuti e io rimango solo con i miei pensieri un’altra volta
ancora. In più sto covando una forma d’influenza e ho vissuto la vigilia del match con la
paura di ammalarmi, come quando da bambino dovevo andare al cinema.
Mi fermo all’autogrill, un caffè farà bene a tutti. Michele indugia in bagno e noi tre ci
ritroviamo da soli a fumare con il culo appoggiato alla macchina, per come siamo messi in
questo momento: stanchi , incasinati, attivi saremmo perfetti per un racconto di Bukowski,
ma un racconto alla fine finiremo per scriverlo.
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Siamo di n nuovo sulla strada. Qualcuno chiede dove siamo e io rispondo “a Cantagallo”
– il menestrello del cartone animato Robin Hood - poi inizio a canticchiare la colonna
sonora del cartone, che da piccola, faceva impazzire la mia nipote Sara. Gli altri mi
vengono dietro e la macchina di cattivi e recidivi intona:
“Robin Hood e Little John van per la foresta
e ognuno con l’altro ride e scherza come vuol.
Son felici delle loro gesta,
urca urca tirulero, oggi splende il sol”.
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Leonard Bundu vs Rafal Jackiewicz (Polonia)
4° difesa del titolo d’Europa
6 Aprile 2013 - Tendastrisce di Roma
Numeri mai visti
Quando correvo con la moto da cross, il babbo mi seguiva segnalandomi la posizione. In
quel periodo spesso mi allenavo sul campo gara di un amico, lui faceva gli italiani, io i
promozionali regionali. Una bella differenza. Un pomeriggio al suo campo di gara, dopo
una garetta al termine della quale ero arrivato sul podio, gli dissi:
- Roba da matti, il babbo al primo giro mi ha segnalato la posizione numero 1.
- Numeri mai visti - rispose lui.
Roma mi ha accolto a braccia aperte. È la 4° volta che mi giro per vedere il mio nome
impresso sulla sedia del rinfresco pre-match in sala stampa. Ho perso Anna e Monica, ma
non le cerco. La ragazza sui trampoloni mi sorride ancora e mi dice:
- Ne vuoi un altro?
- Sì - rispondo io. E siamo a 3, 3 negroni.
Il mio libro intanto passa di mano in mano e tutte le volte che un collega mostra di averlo
gradito mi alzo di un centimetro, ormai supero agevolmente il metro e 80 di mio fratello.
Credo di avercela fatta, anzi ne sono sicuro: il viaggio con Leo mi porterà ai Caraibi con
questa gnocca che ora mi porge il drink e il sorriso.
Numeri reali
Ahhh!, due dita della mano sinistra mi sono rimaste incastrate nel finestrino della
macchina: il meccanismo elettrico che lo alza e lo abbassa è rotto da tempo, il cristallo
soqquadra e per chiuderlo del tutto devo rimetterlo dritto con la mano. È un’operazione
che faccio tranquillamente da circa tre anni, solo che oggi il comando si è incantato e mi
serra le dita contro il telaio del finestrino. Mi sto immettendo in autostrada, direzione
Firenze sud, ho una macchina dietro e non mi posso fermare, così faccio la curva con la
mano destra e provo a tirare quella sinistra per liberarmi dalla morsa, il sudore mi si
ghiaccia sulla fronte e il dolore mi serra lo stomaco. Deciso, provo a tirare per liberarmi.
Ahhhhhh!, l’urlo della liberazione è ancora più lungo, quasi che arrivo a Firenze Certosa;
mi guardo le dita segnate dalla morsa e le metto in bocca per lenire il dolore.
Devo fare in fretta: ho fissato alle 18.00 in Viale Malta, devo accompagnare Paolo e i
ragazzi che combattono stasera a Scarperia. Il Bonci è già a Roma da oggi, Leo da un
paio di giorni.
Il cruscotto davanti e il portafogli dietro mi danno solo cattive notizie: devo fare il cambio
dell’olio, la macchina ha 210.000 km e dovrei cambiarla, ma ho 140 euro e devo arrivare a
fine mese, nel conto in banca ci sono così pochi spiccioli che un bambino di 3 anni
potrebbe contarli. Siamo quello che facciamo con quello che abbiamo, questo è poco, ma
almeno è reale.
Scarperia, Riunione dilettanti, 5 Aprile 2013
Quella di stasera è una di quelle riunioni da cui se levi gli addetti ai lavori, i pugili, gli amici
e i familiari dei pugili non rimarrebbe nessuno. Anche così i biglietti venduti sono una
settantina. Per le società queste riunioni sono una rimessa sicura, resta solo da
quantificarne la cifra a fine serata. I soldi per fare pari a fine anno si prendono dai mensili
in palestra, dagli amatori, dalle cene autofinanziate e dagli sponsor, che sono sempre
meno e sempre meno munifici, la Federazione non dà nulla e si prende la tassa. In
definitiva, il volontariato e la passione sono i veri motori di questo sport.
Queste riunioni, da cui passano tutti i pugili più o meno bravi e anche i futuri campioni,
servono alle società per far crescere i propri ragazzi piano piano, secondo le loro
esigenze. “Se vai dagli altri, al massimo puoi avere un match al 35%, al 40%”. Le
percentuali esprimono le possibilità di vittoria.
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Il pugilato è uno sport durissimo e spietato. Qui non si tratta di raccogliere una palla in
rete: un match sbagliato, con un avversario che non ti aspetti, e ti perdi per strada un
ragazzo. “La gente non lo sa" ripete il Bonci: “quanti anni e quanti passi giusti ci vogliono
per fare una serie”. La categoria più prestigiosa dei dilettanti.
Il bar che fa anticamera alla stanza del peso è pieno. Prendo possesso di un tavolino e
del giornale, il "Corriere dello sport stadio", che ho già letto stamattina. Lo sfoglio
rapidamente per trovare e mostrare l’articolo di Bundu a Paolo. Trovato. Sulla stessa
pagina c’è il pezzo che parla di Valentino, il virgolettato del Dottor Rossi: “Sono cresciuto”.
Sarà un caso trovare i miei due campioni preferiti nella stessa pagina? Forse è di buon
auspicio, ma me lo tengo per me.
Paolo entra con Mattia Palermo e Mohammed Obbadi, i due ragazzi dell’Accademia
Pugilistica Fiorentina che oggi combattono, nella sala del peso.
Esco a prendere una boccata d’aria portandomi dietro la borsa Viola dell’Accademia, che
contiene i guantoni e i caschetti dei pugili che combattono stasera.
Fa un freddo cane. Fuori ci sono i Maestri del Boxing Club e un tipo seduto al tavolino che
parlano del match di domani, ma non gli viene in mente il nome del polacco sfidante di
Leo. Mi avvicino e dico:
- È Jackiewicz, lo sfidante ufficiale.
- Già - rispondono loro - è quello che ha battuto fuori casa Abis.
- Sì, è uno tosto.
I Maestri raggiungono i ragazzi, che si sono già pesati, negli spogliatoi; io mi siedo al
tavolino e inizio a parlare di pugilato con il tizio seduto. Ha un cappellino di lana, jeans e
un giubbotto a bomberino, è lì perché stasera combatte suo figlio. Parliamo di pugili.
Lui si presenta: è Sicuranza di Prato. Io gli rispondo:
- Sono Massimo e accompagno i ragazzi dell’Accademia con Paolo, il Boncinelli è a
Roma.
- Che grande Maestro il Boncinelli, che occhio! Salutamelo.
Andiamo avanti per una mezz'oretta e si rammentano tanti nomi, alcuni li conosco, altri
no, perché sono compresi nello spazio di tempo in cui non ho frequentato l’ambiente. Si
parla anche di Calcio Storico, inevitabile. Cristiano, il mio amico di Piombino, una sera
dopo una birra media mi ha detto: “A Firenze siete tutti pazzi, abitate nella città più bella
del mondo, ma finite sempre per parlare del Calcio Storico”.
Sicuranza mi racconta delle sue esperienze e io lo sto ad ascoltare, integrando il discorso
con le mie conoscenze. È la seconda volta che mi offre una sigaretta, e anche se ho le
mie, e lui lo sa, l’accetto volentieri.
Sta per iniziare la riunione, così ci alziamo e andiamo verso “il pallone” che ospita i match.
Lo saluto all’ingresso e vado verso lo spogliatoio.
Mattia si sta scaldando, il suo match è previsto a inizio serata. Paolo gli dà
raccomandazioni del tipo: "Non ti buttare" - ovvero non partire troppo da lontano,
rischiando di diventare prevedibile e d’incappare nei colpi di rimessa dell’avversario "trova la distanza con il sinistro e poi metti il destro, fai l’azione e spostati, fai per benino".
Sul quadrato è un altro paio di maniche e Mattia, al suo secondo match, seguirà le
indicazioni del Maestro solo in parte. Poi la foga del match e il suo temperamento lo
portano a forzare, a scomporsi e ad abbassarsi troppo con la testa. È un pareggio, e va
bene così: la sconfitta avrebbe penalizzato troppo il ragazzo che ha carattere, ma deve
disciplinarsi. Il pugilato impone una serie di gradini che il pugile deve superare. Mattia, ad
esempio, ha superato il primo, quello del debutto; ora deve crescere e affrontare match
più duri ed avversari più tosti.
La telecamera del babbo di Obbadi è sistemata. Mohammed, Moha per gli amici, sale sul
quadrato senza particolari emozioni. È un ragazzo di 20 anni, nel 2012 ha vinto un
prestigioso torneo a livello nazionale , il "Guanto d’Oro", ma purtroppo per ora la strada
per gli Assoluti d’Italia è sbarrata, essendo di nazionalità marocchina. Con la cittadinanza
italiana si vedrà. Moha vive a Cascina, in provincia di Pisa, e tutti i giorni, dopo la scuola,
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viene ad allenarsi all’Accademia, per poi fare ritorno a casa alle 21.30. “Non è mai
mancato un giorno” dice il Bonci.
L’avversario di Moha è un 1° serie da diversi anni, è un bel ragazzo determinato che porta
con facilità colpi a serie. Moha impone il suo ritmo da cavalletta, la sua capacità di variare
i colpi e il bersaglio e le sue schivate.
Il piccolo difetto di Moha è quello, a volte, di non spostarsi dopo l’azione, dando la
possibilità di replica all’avversario, ma questo secondo lui ha una spiegazione: “Quando
capisco che non fanno male, li lascio scaricare”. Ovvio che Paolo non vuol sentir parlare
di simili bischerate, e urla: “Levati di lì!’”.
Non sappiamo com’è il conteggio dei colpi a fine match: per i dilettanti gli arbitri tengono il
computo dei colpi a segno - anche se il regolamento è in evoluzione, anzi in involuzione
dato che si parla di tornare al vecchio - ma sono sicuro che alla fine il match fosse in
vantaggio di diversi colpi.
Non è dello stesso avviso il Maestro dell’avversario di Moha, e quando insieme a Paolo ci
avviamo negli spogliatoi dice:
- Poteva starci un pareggio, ma si sa, siete in casa.
Non c’è replica da parte nostra, Paolo sposta il problema sul fatto che sia stato un bel
match. Ma per noi resta la consapevolezza che stavolta non c’entra il favore, odioso, di
combattere in casa. Moha ha vinto meritatamente, almeno questo è il nostro pensiero,
perché di pareri contrastanti se ne vedono quasi a tutti i match.
Riesco a vedere solo un po’ dell’incontro di Sicuranza junior, e da quello che posso
vedere è un ragazzo interessante, coraggioso, che accorcia e picchia bene con entrambe
le mani. Il suo avversario, non troppo abile ad uscire dalla traiettoria dei colpi, lo ha
facilitato in questo modo. Mi farà piacere rivedere entrambi i Sicuranza, e prima o poi
succederà. Questo è sicuro.
Abbiamo finito. I ragazzi tornano a casa con i genitori e io e Paolo possiamo fare due
chiacchiere, magari mentre mangiamo qualcosa. Ho rinunciato al panino al bar per
mangiare ora: conosco Paolo e so che difficilmente mi dirà di no. Infatti siamo a mangiare
da “Baffo”, un ristorante sulla via del ritorno, di quelli che ti danno da mangiare a qualsiasi
ora. La scusa è buona per far tardi comunque e parlare del match di domani.
Ho letto tutti gli articoli su Bundu vs Jackiewicz, che questa volta ci sono stati, ho visto tutti
i match disponibili su youtube di Jackiewicz, e a suo tempo ho guardato il match con Abis,
vinto dal polacco per getto della spugna in casa dell’italiano. Ho presentato il match con il
pezzo “Bundu vs Jackiewicz, la sfida ufficiale”. Infatti il polacco è lo sfidante ufficiale, il
primo per Leo, e questo match - dopo tre difese agevoli - rappresenta quello che può
legittimare, ufficializzare, la cintura di Leonard Bundu. Sono contento che anche gli altri
colleghi presentano il match più o meno in questi termini.
Ho un po’ di fifa per questo polacco. Qualche giorno fa, durante una riunione
dell’Accademia - di cui ora sono, grazie all’investitura del Bonci, consigliere - ho detto
sommessamente, ma decisamente: “Aspettiamo a parlare delle prossime sfide, prima
vediamo quella di sabato”. Tutti hanno concordato.
Il Bonci definisce Jackiewicz un bell’omo, dove “bell’uomo” sta per: forte, solido, un
avversario tosto insomma. Certo che stavolta sembra diverso, e non perché ci siamo
scordati delle altre vigilie. Il polacco appena arrivato a Roma ha rilasciato dichiarazioni
spavalde e sicure di vittoria, “vado a Roma per vincere e per illuminare il mio futuro” così
diverse dalle altre ascoltate in precedenza, che suonavano così: "Mi sono preparato bene,
farò del mio meglio…". Per contro ci sono le repliche, come sempre pacate ma decise, di
Leo: “Lo rispetto, ma non lo temo”; frase di circostanza, ma giusta. Come anche questa:
“Non mi piacciono gli allarmismi, né fissarmi con le riprese TV degli altri pugili”. Che per
me è una vera perla di consapevolezza e decisione.
Comunque sia, questo è il match della verità, quella che i primi tre sfidanti hanno
rimandato.
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Finiamo quel che abbiamo nel piatto e ce ne andiamo. Paolo parte domani mattina per
Roma, io nel primo pomeriggio con Rico, Corrado che ho ritrovato lungo il Viaggio, e
Monica.
Cosa diciamo io e Paolo di Jackiewicz?
- Cazzo, Paolo, che destro ha Jackiewicz. Cosa bisogna fare con quello?
- Bisogna vedere di non pigliarlo.
Cip e Ciop
Quando leggo su Whatsup il quindicesimo messaggio di Corrado, inizio a rimpiangere
l’affidabilità di Pino. Il messaggio di Corrado è: “Chiamalo te Rico, perché a me non mi
risponde e se lo fa mi prende per il culo”.
La telefonata a Rico parte immediata. Lui fa il vago, anche se il match è domani, mica fra
un anno. Insomma, ci lasciamo con il classico "risentiamoci", che lascia tutto come prima.
La cosa che più mi inquieta sono le prime parole che Rico mi ha detto al telefono, ovvero:
“Dimmi, Masini ha appena finito di cantare”. Certo Masini canta ancora, l’ho visto sui
manifesti; quello che mi meraviglia è che la gente lo vada a vedere, ma quelli sono fatti
loro. Ma Rico non è la gente, e così cerco di capire dove ho sbagliato e cosa mi ha
portato a passare dai Doors di Pino al Masini di Rico.
Dopo altre 8 telefonate, 3 messaggi in segreteria, 9 sms - tutti contati e documentati, i
messaggi su Whatsup ve li posso anche regalare, tanto sono gratis - dove gli scenari
riguardanti i Viaggiatori, i mezzi di locomozione, orari e sedi di partenza, cambiano così
rapidamente come le immagini guardate attraverso il finestrino di un frecciarossa,
abbiamo finalmente un orario e un luogo. Ore 15 a casa di Corrado.
Prendo Monica a casa sua e con la mia macchina ci rechiamo a casa di Corrado. La
sorpresa è trovare Cip e Ciop, come li ribattezzerà in seguito Monica, alla finestra.
Corrado abita a un piano terreno, e non in una torre, appena rialzato dalla sede stradale,
ma visto che in due fanno mezzo centimetro scarso di capelli, non possiamo certo servirci
della loro chioma per raggiungerli - come nella fiaba di Raperonzolo - e ci serviamo delle
comuni scale, come nella comune realtà.
Rico ha l’attrezzatura e la tenuta della giovane marmotta, o se preferite del giovane
giornalista. Giacca sportiva con cravatta elegante, pantalone jeans e scarpa comoda. Nel
taschino della giacca, due penne e un blocchetto per prendere appunti sui prossimi 35
europei. Corrado ha il solito zaino per la sua macchina fotografica, che insieme alle altre
borse sta per andare nell’ampio bagagliaio, e sembra non aver bisogno di nient’altro. Se
così fosse sarebbe fantastico, invece torna sui suoi passi e prende dei CD, così Io
avverto:
- Rico ieri era a vedere il concerto di Masini.
- Masini! - mi risponde la Monica
- Era all’interno di una serata di beneficenza per il Mayer - chiude, soltanto per ora, Rico.
Siamo alla seconda ora di Viaggio, la fermata per in caffettino e il bisognino l’abbiamo
fatta, ed è qui che salta fuori il primo cd dalla custodia di Corrado: sono i Dick Dick ed io e
Monica vorremmo saltare dalla macchina, ma siccome non possiamo farlo iniziamo a
parlare fra di noi così che le orecchie riprendono fiato. Quelli davanti, accorgendosi della
nostra tattica, alzano il volume e fanno il coro in falsetto, così che ora diventano uggiosi
come la cacca a letto. Ormai non ne possiamo più e chiediamo a gran voce, se proprio
non si può spengere, almeno il cambio del cd. Al peggio non c’è limite, infatti dalla
custodia degli orrori Corrado estrae Pappalardo ed inizia la sua “Ricominciamo”. In
seguito apprendo con stupore estremo che Pappalardo ha fatto altre canzoni che sono
assai peggiori di “Ricominciamo”, beata ignoranza.
Si va avanti così per un altro po’: a nulla valgono le nostre rimostranze, la replica del duo
Cip e Ciop, argomentata e critica, è quasi peggio del peggio di Pappalardo. A forza di
mediare arriviamo a un compromesso storico: ancora musica, ancora italiana, ma stavolta
è Vasco, Vasco Rossi. Le note del primo “maledetto” Vasco, anche se non poteva certo
star dietro al buon vecchio Bukowski, ci portano fino alla tangenziale romana.
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Insomma, siamo di nuovo a Roma e ancora per Leonard Bundu.
Davanti al Tendastrisce c’è un po’ di movimento, niente di eccezionale ma è meglio di
Rezzato per intendersi. Rico tenta un parcheggio selvaggio, ma sconsigliato da noi ripiega
nel parcheggino senza sfondo dietro il baracchino di panini e bibite, ad alto rischio
imbottigliamento.
Non è il momento di mangiare e comunque abbiamo i tramezzini che la moglie di Rico ci
ha preparato. Salta fuori una bottiglia di spumante.
- Ma siete matti, mettetela via subito, porta male - dico io.
Rico ribatte:
- È lì dall’ultimo dell’anno”.
Il mio nervosismo mal celato anche nel Viaggio inizia a venire fuori, mentre tramezzini e
bottiglia rimangono in macchina.
Dietro al primo baracchino c’è Moreno, il presidente dell’Accademia, che allena le
mandibole con un panino. Non se lo ricorda, ma è stato proprio lui che mi ha fatto
conoscere il dolore di un colpo al fegato durante una sessione di guanti: io prima gli misi
un destro d’incontro, un bel colpo. Li ricordo tutti e due con piacere.
Moreno è in giacca e cravatta. Non che sia una novità per lui, è scappato da un pranzo di
matrimonio per vedersi Leo. Ora mangia il panino tenendolo a distanza di sicurezza.
Il discorso cade sul match e sul destro di Jackiewicz. Ripeto le parole di Paolo, “Bisogna
vedere di non prenderlo”. Moreno risponde:
- Scordatevi che non lo prenda mai, è un film che non possiamo vedere, questo è un
match, parlando di percentuali, 55 a 45.
A me non dice niente di nuovo, ma i miei compagni ci rimangono male. Monica, mentre ci
avviamo al Tendastrisce, mi dice:
- Mi sta scendendo la lacrimuccia, 55 a 45 per l’altro.
- No, al contrario, il favorito resta Leo, ma non di tanto.
All’ingresso c’è Anna, telefono in mano e sorriso bello e pronto, tutto come al solito. Ci
facciamo dire dove si ritirano gli accrediti. Quello di Rico non c’è, così ricontrolliamo con
l’addetta i nominativi, scorriamo la lista con gli occhi e i miei vanno sulla generosa
scollatura di lei; di solito evito, ma stavolta no. Finalmente ci siamo e possiamo andare
tutti con il nostro braccialetto/pass. Peccato a me piacciono più i cartoncini da appendere
al collo, che poi sono anche più carini da conservare.
Il Tendastrisce ricorda, e non solo per assonanza, il nostro vecchio Teatro Tenda, quello
che poi è stato il Saschall e ora è l’Obihall, a seconda della generazione di appartenenza.
Il ring è montato davanti al palcoscenico e a me pare un po’ basso, in confronto agli altri.
Non c’è tanta gente e Anna ci mette in contatto con chi ha la responsabilità di trovare
posto a tutti, in modo da fare casino. I fotografi vanno a bordo ring, io e Rico ci prendiamo
due sedie e le aggiungiamo a una fila. In prospettiva il palo di sostegno delle luci e
l’angolo blu mi tolgono un po’ di visuale, non molta; so che comunque mi agiterò
prendendomela con quei due ostacoli per tutta la serata, ma con qualcosa me la
prenderei anche se fossi in piedi sul bordo ring.
Dato che abbiamo visto dove sono le sedie, uniamo le nostre braccia a quelle di Anna e di
altri per aggiungere dei posti. La fila che stiamo facendo è per i colleghi della stampa.
Qualcuno scomoda nomi di testate importanti, ma non me le ricordo; loro comunque
arriveranno dopo.
Chissà come mi comporterei, se quello fosse il mio vero lavoro. Pagato, intendo. A volte,
come faccio con il mio, lo disprezzerei? Cederei a quello che si deve fare? O me ne
servirei per il mio ego a svantaggio del giusto? Belle domande. La passione è una cosa
strana, e forse fra le azioni meno estemporanee è quella a cui si richiede di non perdere
la propria spontaneità.
Quando lavoravo al cimitero, veniva a farci compagnia un ragazzo. Capitava, fra una
salma e un’altra o un lavoro di giardinaggio, di andarci a prenderci il caffè, chiacchierare
insieme. Con il tempo le sue visite cominciarono a essere frequenti e, dato che non si
faceva problemi a prendere in mano pala, vanga e resti mortali, ci venne naturale di
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chiedergli di lavorare con noi. Lui accettò ma quella fu la fine della nostra collaborazione e
della nostra amicizia, perché lui si rilevò incapace di rispettare orari e compiti che un
qualsiasi lavoro deve avere.
Fare il battitore libero, essere un volontario appassionato può avere i suoi vantaggi e a
volte devi tenerli a mente per andare avanti e continuare a Scrivere. Credo che alla fine
smetterei di Scrivere, per farmi leggere dagli altri, solo se mi rendessi conto che la qualità
di quello che scrivo è pessima. Per il resto, il mondo del pugilato, ma credo anche il resto
del giornalismo, è costellato di volontari appassionati. E comunque qualcuno ha già
deciso per tutti, e non ci sono più soldi e opportunità, almeno non per tutti.
Abbasso il sottoclou
Dir male del sul sottoclou professionistico di Roma è facile come bere un bicchiere
d’acqua fresca quando hai sete.
Occorre subito dire che c’è stato anche un sottoclou dilettantistico, e per quello che ho
visto io non era male, in sostituzione di un match professionistico saltato per bontà divina.
Credo due match, di sicuro uno perché quello a differenza del primo l’ho visto.
Si tratta di un incontro fra ragazzi pesanti, + 91, e benché non siano i miei preferiti il match
è ok.
Il ragazzo all’angolo rosso, che poi si sistemerà davanti a me e a Rico, aggiungendosi al
palo delle luci e all’angolo blu, è impostato meglio, sa fare più cose e vincerà abbastanza
facilmente. Alla luce di questo mi domando: ma non era meglio portare qualche buon
dilettante 1° serie romano sul quadrato? Magari della Boxe e del quartiere San Basilio,
che si trova a pochi passi da qua, così la sua provenienza avrebbe assicurato, al pari di
alcuni di questi professionisti fermi da tempo, un buon numero di persone al seguito e poi
si sarebbe vista più freschezza e meno chili di troppo.
Comunque è andata, ed è andata male purtroppo: pensate a questo spettacolo visto in TV
in paesi come Inghilterra o Germania, ad esempio, dove la Boxe è amata e rispettata,
quanti danni può fare al già boccheggiante movimento italiano. Tutti hanno capito che se
non sappiamo valorizzare Leonard Bundu è anche perché di contorno gli mettiamo
incontri simili.
L’articolo di Dario Torromeo, a mio parere la miglior penna della Boxe, parlava chiaro, già
da titolo: “Solo Bundu nella notte romana”; in seguito si chiedeva se la Lega Pro Boxe non
vigilasse.
Purtroppo per me la delusione del sottoclou arriva anche da Ortiz, il pugile colombiano di
cui vi avevo già parlato.
Ad ogni modo, io sono qui per Leonard Bundu e non è che mi danno troppo l’anima per il
sottoclou. Infatti sono più le volte che mi alzo, vado in bagno, passeggio, parlo; di quelle
che guardo, tanto c’è Rico che prende appunti.
In una della mie peregrinazioni al bagno, usato anche come luogo per fumare, trovo i tifosi
di Jackiewicz. Alcuni hanno alzato il gomito. Uno di loro mi chiede una sigaretta, così
finiamo per fumare assieme.
Nei pressi del bagno trovo anche Panchetti, il commentatore delle serata insieme a
Massimiliano Duran. Mi avvicino e facciamo due chiacchiere. Dal vivo sembra ancora più
giovane che in TV, comunque mi piace come commentatore, puntuale e non troppo
appariscente, capace di dare il giusto spazio a Duran. Gli esprimo la mia stima e continuo
con il fatto che scrivo di Boxe e di Leo, finendo col dire che ho appena presentato “In
Viaggio con Leo”.
- L’ho letto in rete - risponde lui. - Sono sempre a caccia di notizie.
Pino invece lo trovo fuori dal Tendastrisce quando torno con Corrado e Rico dall’assalto ai
tramezzini.
- Ti avanza un braccialetto per il pischello? - mi chiede Pino alludendo al mio pass e a suo
figlio.
- Ora guardo, aspetta qua.
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Sono di nuovo in bagno, stavolta con Corrado, e cerco di sbottonargli il braccialetto, ma
quel cavolo di aggeggio di plastica non viene. L’hanno fatto in modo che non possa
essere riutilizzabile. Torno fuori a dare la brutta notizia a Pino, che scrolla le spalle e dice:
- Non preoccuparti, in qualche modo facciamo.
E infatti.
Come sempre
Il ring announcer, con i capelli a coda di cavallo anni ‘80, ha appena finito di presentare
Rafal Jackiewicz. Sono in piedi, così che non ho bisogno di rialzarmi, e decido di
raggiungere la porta da dove sbucherà il polacco dal cuore impavido: "Bravehart" è il
soprannome di Jackiewicz. Lo faccio per vedere che faccia ha il diavolo.
Jackiewicz entra con una maglietta a maniche corte, bianca o giù di lì, e si avvia sul ring.
Ricordo che mi è sembrato più basso di come lo avevo visto in video, quando spengeva
gli avversari con il destro dritto e in montante.
Arriva Leo. Ha i pantaloncini bianchi alla Mohamed Ali, che gli spuntano dall’accappatoio
di raso rosso e nero. Lo guardo negli occhi finché posso e lo vedo “come sempre”.
Nel film Il giocatore ci sono Matt Damon, Edward Norton e John Turturro: tutti e tre
giocano a poker, ma con tre modi diversi. Turturro è quello che va sul sicuro sempre,
quello che ha famiglia e che sfrutta il suo talento per camparla senza rischiare mai un
K.O. da cui potrebbe non rialzarsi. Nel film, ad un certo punto Damon chiede a Turturro:
- Come va?
E l’altro risponde:
- Come sempre.
Ho usato diverse volte l’espressione “come sempre”, quando intervistavo Leo prima dei
match. Ora sapete da dove viene.
Foto18 Corrado Sacchi
Il match
Stavolta Leo inizia davvero un po’ meno forte delle altre volte, ma non sembra contratto,
timoroso o altro, sembra solo concentrato sul match. Ad ogni modo riesce ad andare a
segno, già nel corso della prima ripresa, al bersaglio grosso eludendo la guardia a riccio
del polacco. La prima ripresa è sua, lo concordo con Rico prima di mettermi a sedere a
scrivere, sì perché si è creata talmente tanta ressa a bordo ring che siamo tutti in piedi.
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(Foto 19 ©MONICACALEFFI)
I tifosi di Jackiewicz, una decina in tutto, fanno un tifo infernale, dimostrando che oltre al
gomito sanno alzare anche la voce. All’angolo del polacco c’è il ragazzo che mi ha chiesto
dove era il bagno: è lui che comanda il gruppo, li fa partire all’unisono scandendo a ritmo
ora il nome del loro beniamino, ora la parola "Polska", Polonia in polacco.
I fiorentini sono meno organizzati: Pino, il capobanda, ha raggiunto il bordo ring, ma ha
finito la voce dopo i primi due "Bundu bomaye", e ora invece di gridare emette un suono
gutturale, una specie di ululato che sfuma in una serie di imprecazioni contro la sua voce
che lo ha abbandonato. Durante il match, però, partiranno alcuni cori potenti, che
coinvolgeranno fiorentini e romani.
Finisce la 2° ripresa che forse è un pari o forse no, perché se è vero che Leo ha fatto
poco, Jackiewicz ha fatto meno, come dice il ragazzo che ho di fianco.
- A questi livelli le riprese pari è difficile che le diano - riprendo io che ho preso un po’ di
coraggio.
- Vero - chiude lui.
Anche la 3° è nel segno del Campione. Io e Rico lo confermiamo a Giuliana che “sta
nervosa”, in uno scambio di cenni d’intesa rapidi, ma efficaci.
Il match va avanti con Leo che impone il suo ritmo, cambia continuamente guardia e
scarica i colpi alternando il bersaglio. Jackiewicz non ha le braccia abbastanza lunghe, o il
corpo abbastanza corto, per coprirsi e incassa duri colpi.
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(Foto 20 ©MONICACALEFFI)
Foto 21 Corrado Sacchi
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La tensione fra di noi è sempre alta. Io e Rico continuiamo a prendere appunti, lui mi dice:
- Ho dei problemi a stare dietro a tutti i colpi.
- Impossibile - rispondo io, - sulla scorta delle decine di match fra dilettanti a cui ho
assistito, passa più tempo con gli occhi sul ring e meno sul foglio, scrivi nel minuto di
pausa.
Dietro di me c’è Pino, che inizia a diventare molesto, infatti m'infastidisce sempre più, e al
terzo scappellotto gli rispondo:
- Pino, cazzo, sono nervoso.
- Anche io, è il modo per farmelo passare.
- Allora fattelo passare in un altro modo.
Ci sono alcuni secondi di intervallo. E poi Pino mi dice all’orecchio:
- Scusa, mi sono scordato perché sei qui.
- Siamo qui per la stessa cosa.
- Comunque quello - riprende Pino, indicando Jackiewicz - non finisce, è calato, io me ne
intendo di pugilato.
- Vediamo - chiudo io per ora.
Siamo alla 6° ripresa e puntuale arriva la solita testata involontaria, al sopracciglio. Non
sembra grave però, vorrei chiederlo a Monica e Corrado che sono sotto all’angolo dove il
dottore sta controllando la ferita, ma è impossibile raggiungerli e poi Leo è già stato
rimandato a centro ring.
Il round finisce ancora con una serie del Campione, mentre lo sfidante si sta affidando
sempre più al suo destro, nel tentativo di dare una svolta al match, ma il colpo non entra
quasi mai, e mai in maniera efficace. Leo è troppo rapido, troppo vario e anche quando
sbaglia la misura, esponendosi ai colpi di rimessa di Jackiewicz, li schiva con i riflessi e il
colpo d’occhio del Campione.
La ferita non desta preoccupazioni e io mi sto calmando, infatti nel minuto di pausa ho il
tempo di pensare alla differenza che c’è fra i match del sottoclou e questo. Non sembra
neanche lo stesso sport, chiunque potrebbe vederlo. Anzi, a pensarci bene bisognerebbe
entrare dalla telecamera di "Sportitalia" e obbligare tutti quelli che stanno guardando
fiction, talk show e film vari a guardare quello che Leonard Bundu sta facendo: sta
trasformando uno sport in un’arte, l’arte di fare una cosa bene, qualsiasi cosa si faccia, di
qualsiasi sport si tratti.
Ricordo che una volta, alle Olimpiadi di Seul, ho guardato giocare due ragazze a volano,
o meglio a badminton, come lo chiamano loro. Quel gioco con le racchette in cui devi
colpire quell’aggeggio di forma conica con un gommino all’estremità. Beh, giocato da loro
era uno spettacolo di colpi, in uno scambio serrato e avvincente. E così mi sono
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appassionato alla visione di uno sport a cui in spiaggia giocavo giusto per due minuti,
durante i quali raccattavo quell’aggeggio dieci volte e poi annoiato ripiegavo sul pallone.
La 7° ripresa inizia con la raccomandazione dell’arbitro a tutti e due i pugili a non
abbassare la testa.
Foto 22 Corrado Sacchi
Il calo di Jackiewicz è evidente: la spinta del polacco al 9° round appare come un segno di
frustrazione per non riuscire a fare quello che aveva in mente di fare.
Tutto sembra andare “come sempre”. Leo fa il suo dovere sul ring; i fans polacchi
intonano i cori da ultras consumati, davvero ammirabili; Rico è sempre alle prese con la
gestione del foglio, degli occhi, della penna e di quello che succede sul ring, e io allento
ancora un po’ la tensione e gli dico:
- Pensa che io a una riunione di dilettanti non facevo che scambiare il pugile all’angolo
rosso con quello all’angolo blu, fu una vera impresa tirare fuori un articolo da quella
riunione.
Eccola qua l’11° ripresa. La settimana scorsa, parlando del match di Boschiero finito, in
suo favore, alla 10° per K.O, il Bonci mi ha detto:
- Se uno trova il colpo vincente alla 10° ripresa, vuol dire che uno ha i numeri del
campione.
Ricordo di aver visto partire la combinazione del K.O., ma ho solo intuito il montante al
fegato, forse perché lo stesso Leo m’impallava la visuale. Ho visto solo che Jackiewicz ha
fatto una rotazione di 180° e dal centro ring si è disteso bocconi all’angolo rosso.
(Foto 23 Corrado Sacchi)
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A quel punto non ho capito più nulla, finché l’arbitro non ha mimato la fine del match e
sono finito sotto al ring.
Nel tragitto ho incontrato Francesco Sottili, che mi ha detto:
- Grande match.
Dietro di lui c’era Massimo Nascimbene, che mi ha detto:
- Che match.
Con la coda dell’occhio ho visto i “ragazzi” dell’Accademia esultare sulla parte destra,
rispetto a me, del palcoscenico del Tendastrisce. Mi sono arrampicato e li ho raggiunti.
Era una festa.
In quel momento il ring announcer scandiva l’epilogo del match: “A 1 minuto e 22 secondi
dell’11° ripresa, vince per K.O. e si conferma Campione Europeo dei pesi welter Leonard
Bundu, Bundu".
Tiro fuori dalla tasca destra la penna, che in questi momenti con gesto automatico ripongo
sempre lì, e sulla mano scrivo: “1. 22”.
Il Campione di tutti
Leo sta parlando al microfono e ringrazia tutti, partendo dal pubblico romano che ha tifato
per lui. Petrucci è stato un grande uomo a preparare il terreno, il resto l’ha fatto lui, con la
sua classe e la sua semplicità che hanno conquistato il cuore del pubblico che ha visto
con i propri occhi un Campione vero.
Credo sia mezzanotte, o giù di lì, ma non ci penso due volte a chiamare a casa, roba che
se lo fai in qualsiasi altro giorno dell’anno butti tutti giù dal letto con le ansie del caso,
invece il babbo è sveglio ed entusiasta e ancora una volta ha capito il match, infatti mi
dice: "Tutte le volte che l’altro provava a mettere il destro, Leo glielo faceva passare sopra
la spalla e il colpo andava a vuoto".
Siamo nel backstage di Leo, l’artista del montante al fegato. Siamo tutti lì. Leo sta
rilasciando un’intervista. Si parla del campionato mondiale W.B.C., di un’altra difesa
volontaria, poi Leo spiega - Leo docet - della combinazione risolutiva dei due montanti. Il
primo al viso costringe l’avversario a coprirsi la faccia; il secondo, preparato con tutta la
spinta del corpo e della spalla, va al fegato rimasto scoperto.
Ivano Dagliana dice la sua:
- Noi lo sappiamo bene, dalle volte che ci ha messo con il culo per terra.
In quel momento appare per un attimo Jackiewicz: parte un applauso spontaneo, il
polacco si copre il viso e sparisce dietro una porta. Quel gesto di pudore istintivo è così
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umano che quasi mi commuove. Il gesto di un campione sconfitto da un avversario
superiore, e che vede la sua carriera compromessa.
La combinazione vincente è ora preda di noi quasi profani. Vi ricordate la chitarra
immaginaria di Jimi Hendrix?, ecco che io sono lanciato a mimare la serie, ad uso e
consumo di Rico, che intento ad aggiornare il suo taccuino si era perso il montante anche io me lo sono perso, ma mica glielo dico. E così tiro i montanti mentre Anna li para,
e Monica scatta foto a raffica.
(Foto 24 ©MONICACALEFFI)
Leo è negli spogliatoi, che poi sarebbero i camerini del teatro, e sta bevendo la sua birra
pro antidoping. Pino lo saluta prima con un bacio poi con una toccata di culo. Leo fa
notare il palpeggio e io dico:
- Sopra e sotto, il tema della serata.
Non è una gran battuta, ma si ride perché siamo contenti: tutti lì sappiamo che nel match
più importante Leo ha fatto la prestazione più importante.
I minuti passano, così come la mezzanotte è passata da tempo, mentre Firenze dista
sempre 300 km. Dobbiamo cominciare a pensare di tornare, qualcuno inizia a dirlo, ma a
turno si fa finta di non sentire, anche perché non è che la voce sia troppo insistente.
Sembra quasi la voce del babbo che ci chiamava per rincasare, da bambini, mentre noi
rimandavamo con un “ancora 5 minuti”.
Dai e dai tutti gli occupanti della macchina di Rico sono pronti a partire. Saluta che ti
saluta, perdo Anna. Nel corridoio che precede l’uscita becchiamo Giuliana e il suo babbo,
Guido, l’uomo delle birre, che ci salutano con calore.
Al bar troviamo aria di festa, e ora ricordo che il ring announcer diceva ogni tanto di una
festa a cui eravamo tutti inviati. Davanti alla porta d’uscita c’è una ragazza su un tacco 15
vestita con 20 centimetri di stoffa che ancheggia sinuosa al ritmo della musica, noi
continuiamo la nostra strada, riservandole un’occhiata.
Siamo fuori. Davanti alla biglietteria ci sono i polacchi che se ne stanno a smaltire la
delusione. Uno di loro, credo sempre quello del bagno, mi dice in un italiano stentato:
- Scrivi bene.
Alzo il pollicione, quello lo capiscono tutti, e capisco anche il loro stato. Mi vengono in
mente gli articoli di giornale che parlavano di Jackiewicz e dell’unica sua preoccupazione
prima del match: “10 biglietti per i suoi tifosi”, quei tifosi. Gli articoli parlavano anche della
sua palestra, il “fight club” dove il campione insegnava agli allievi, e qualcosa mi dice che
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quelli sono i suoi allievi. Forse penso troppo e parlo poco, come diceva una mia amica:
sarà per questo che scrivo?
In macchina Monica addenta finalmente il suo tramezzino. Ne resta uno e ce lo
smezziamo io e Corrado. Non penso alla maionese che sto ingurgitando, ma lei penserà a
me fra qualche ora.
Viaggiamo tranquilli e soddisfatti per tutto il tragitto. Rico, sempre alla guida, è ormai
adagiato sullo schienale reclinato del suo sedile e più che in autostrada sembra in
spiaggia. Nessuno si lamenta, per me e Monica basta che non ci metta ancora i Cugini di
Campagna e compagnia cantante, per il resto può anche mettersi la mascherina e
dormire.
Il cd salta fuori inesorabilmente a un centinaio di km da Firenze city: ora non si scherza
più, il colpo di sonno può mandarci tutti a nanna. Dalla play list escono i capelli stirati e i
lustrini di James Brown, la sua voce energica ci scuote come una red bull e ci porta a
casa.
Alla rotonda di Bagno a Ripoli, Rico ha ancora voglia di giocare. Infatti, seguendo il ritmo
di Sex Machine, inverte 3 volte la rotta prima di imbroccare quella consigliata dal
navigatore Corrado. Il duo Cip e Ciop ci conduce sotto casa, si perde ancora tempo e io
non ne ho molto, visto che la maionese sta scendendo rapidamente.
Appena liberi dalla morsa dei due, che potrebbero andare avanti tutta la notte, io e Monica
saltiamo sulla mia macchina, prossima destinazione casa sua. Non ho più molto tempo,
ma lo impiego bene guidando spedito e sperando di trovare un posto salvifico sotto casa,
o almeno nei pressi.
Sono fortunato e ora sono tranquillo e asciutto nel mio letto, apro il computer e me lo
metto in grembo, aspettando che Microsoft Word si apra e io possa fissare il mio pezzo.
Ricordo di aver scritto fino alle 5 con la facilità di quando i pezzi li scrivi nella tua testa e
tutto torna come per magia. Credo sia una questione di consapevolezza trovata, almeno
per una volta, quella che ha portato Leo a essere un Campione e me a Scrivere del
Campione.
Chiudo il computer soddisfatto solo dopo aver trovato il titolo al mio pezzo. Avevo
pensato, in religioso segreto, di intitolarlo “Bundu spenge il futuro di Jackiewicz”, in
risposta alla dichiarazione del polacco che alla vigilia aveva detto: “Vengo a Roma per
illuminare il mio futuro”. Ma alcune cose sono cambiate e lo chiamo “Bundu campione
d’Europa, punto e a capo”.
Poi spengo tutto, come quando spegni la radio dopo una canzone stupenda e non vuoi
sentire più nulla. Almeno per un po’, almeno fino al prossimo Viaggio.
14 Dicembre 2013
Leonard Bundu vs Lee Purdy (Inghilterra)
Campionato Europeo pesi welter
Excel Arena, Londra
Should I stay or should I go (The Clash) - Dovrei andare o dovrei restare
Ho sempre ascoltato la musica per il ritmo. Il ritmo è tutto. Il ritmo ti agita, ti scuote, ti
manda indietro e avanti, ti fa andare a sbattere da qualche parte o su qualcuno. Il ritmo è
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la colonna sonora di una vita non vissuta, ma ballata, “pogata” come ad un concerto punk.
Finché il ritmo non cessa e con lui il resto.
Le parole, quelle sì che non hanno alcuna importanza: se ti devi innamorare delle parole
fai meglio ad imparare a memoria i versi dei Poeti, quelli sì che vanno bene.
C’è n’è una che mi piace tantissimo, Sant’Ambrogio del Giusti. Tutte le volte che percorro
via Giuseppe Giusti mi ricordo di quel toscanaccio che in rima “metteva le birbe alla
berlina” e poi si commuoveva anche per la parte avversa e alla fine se “non scappa
abbraccia il caporale”.
Molte volte nella mia vita ho dovuto decidere se andare o restare.
Ho “scelto” sempre ascoltando il ritmo; ma mai sentendolo veramente.
Per Londra, per Leo, i numeri reali erano impietosi, o pietosi, dipende dal mio o dal vostro
punto di vista. La macchina mi aveva abbandonato alla veneranda età di 222354 km, un
sabato notte nella zona industriale della città. Il bancomat era qualcosa di lieto nelle prime
due settimane dalla riscossione, nelle altre diveniva uno spauracchio.
Poi, una quarantina di giorni prima del match, sono andato in palestra e così ho rivisto
Leo, dopo tanti mesi. Lui mi dà il cinque e mi dice: “allora grande?”, poi si scusa perché
doveva fare le ripetute al sacco. In quel momento sento che non avrei potuto fare a meno
di andare a Londra, non mi immaginavo di restare a guardarlo alla TV - sempre ammesso
che trasmettessero il match. Non sarebbe bastato neanche non mettere più piede in
palestra da ora fino al giorno del match, per farmi passare l’entusiasmo di assistere
all’incontro dal vivo.
Momenti di Gloria
15 Dicembre 2013,
ore 3.00 del mattino - dopo il match.
Londra, Dockland
La batteria del mio portatile mi sta abbandonando, ormai sono passati alcuni minuti
dall’ultimatum apparso in basso a destra: “passare all’alimentazione elettrica”. Non posso
passare da nessuna parte, visto che non ho voluto adeguarmi - al costo di sole 8 sterline
al distributore automatico dell’albergo - alle spine elettriche inglesi che, come per valuta,
senso di marcia, pesi, misure ecc. sono differenti da quelle di noialtri europei.
Ma gliel’ho fatta anche stavolta - e non è la prima questa sera - a questi inglesi del cavolo,
e il mio pezzo, “La regina s’inchina a Leonard Bundu”, vola dalla mia posta elettronica alla
mail di Nove da Firenze. In rete, qualche ora più tardi, riceverà 468 “mi piace”
facebookiani, una vera messe in aumento, roba che tutte le volte che andavo a vederla
crescere, la mia faccia assomigliava all’emoticon sorridente. Spengo la luce e mi infilo a
letto.
Non mi ci vuole molto per capire che il mio paziente compagno di stanza non dorme
ancora, e infatti alla mia domanda, anzi affermazione:
- Sei sveglio.
Risponde
- E chi ce la fa a dormire con tutta quest’adrenalina in corpo.
Abbiamo vissuto una serata di sport speciale, una di quelle che capitano ogni tanto e solo
se hai la pazienza di saperle aspettare e l’entusiasmo per andarle a trovare.
Ricordo una domenica pomeriggio di tanti anni fa, quando le partite si giocavano tutte la
domenica pomeriggio e Sky e le tv a pagamento erano parole estranee e straniere. Beh,
quella domenica io ero a casa con il babbo, la Fiorentina giocava a Napoli. Era la stagione
1981/82, quella del testa a testa con la Juve per lo scudetto. Con il babbo si ascoltava
“Tutto il calcio minuto per minuto” - la trasmissione radiofonica che raccontava a turno,
progressivamente, tutte le partite di serie A. Gli inviati sul campo interrompevano la
scaletta preordinata solo quando la partita seguita registrava una marcatura. Con il
babbo, mentre si ascoltava la radio, si faceva ginnastica. La Fiorentina pareggiava e la
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Juve, che anche allora rappresentava il potere forte, vinceva, così che il nostro sogno
scudetto si allontanava. Io, allora portiere di calcio dodicenne, ci davo dentro con gli
esercizi, così che potessi alimentare il sogno di rivincita. Da grande avrei conquistato lo
scudetto con la maglia Viola.
Poi dalla radio qualcuno disse:
- Scusa Ameri - che era quello che coordinava i collegamenti - intervengo dal San Paolo,
la Fiorentina è passata in vantaggio, goal di Antognoni.
La sera guardai a 90° minuto Antognoni mettere la palla in rete. A distanza di tanti anni,
che ci crediate o meno, ricordo ancora quel goal e l’esultanza di “Antonio”, che gioiva
sotto la curva del Napoli.
Con Fabrizio, così si chiama il mio compagno di stanza, parliamo ancora per un bel po’.
Ricordiamo quel gancio destro, prima del diretto che ha spedito Purdy al tappeto. Quel
gancio destro è stata una vera mazzata: al rallentatore si apprezza il pugno che si abbatte
sulla testa di Purdy e lo scuote prima a destra e poi a sinistra.
Si continua a ruota libera per un’altra ora sul filo dei ricordi, onorando l’impresa di Leonard
Bundu che qualche ora fa, con noi intorno, urlava:
- CONTINUAVA A DARMI DI VECCHIO E L’HO MESSO KO ALLA 12° RIPRESA.
Poi ci ricordiamo che la sveglia è puntata alle 7.30 e così proviamo a fare un riposino.
14 Dicembre 2013
Excel Arena, a pochi secondi dalla fine del match
La faccia di Paolino a fine match è una cartolina di Firenze che batte, schianta Londra. La
sua espressione è raggiante e furiosa allo stesso tempo. Continua a ripetere questa frase
intorno al ring: “Non è una dote essere incassatore, a lungo andare il salvadanaio si
riempie e non ti ricordi neanche come ti chiami”. Tutto vero, o quasi.
Le parole di Paolino sono dettate dalla grande gioia dopo il grande spavento della 6°
ripresa, quando Leo all’angolo ha detto: “Non mi sento le gambe”.
Il Campione è stato rispedito a centro ring con queste parole: “Hai fatto mille riprese di
allenamento, sei prontissimo”; ma con il grande dubbio che quella faccia da sbruffone di
Purdy potesse, dai e dai, aver minato le certezze di Leo.
La 7° ripresa sarà una delle poche perse dal Campione, che accetta lo scambio a centro
ring e ne esce fuori con lo zigomo gonfio. Non lo posso dire con certezza, ma forse Leo in
quella ripresa ha voluto provare a scambiare per testare la sua forza, e ha avuto la
peggio, uscendo però con la consapevolezza di potercela fare.
Dalle tribune, ignari di questi siparietti, nessuno si azzarda a dire nulla, ma tutti siamo
consapevoli che il Campione, seppur in vantaggio ai punti, abbia sofferto in quella ripresa,
e temiamo un’inversione di tendenza che vanificherebbe tutto.
Sì, perché l’inizio di Leo è quello giusto. Beccatevi il botta e risposta tra me e Francesco
Sottili dopo la 1° ripresa:
- È partito forte.
- Anche troppo - risponde Francesco, temendo che una partenza a razzo provocasse un
calo in seguito.
Leo comunque fa il suo dovere di Campione, mettendo buone serie di colpi, fra cui anche
la famosa serie montante al volto/montante al corpo e Purdy incassa “prendendoli tutti
pieni” - frase ripetuta da Moreno, alludendo al fatto che l’inglese non schiva né para con i
guantoni, anche parzialmente, i colpi di Leo. L’inglese, una volta ricevuto il colpo, si limita
a scuotere la testa per dire: “Non mi hai fatto niente”.
Il match va avanti su questo tema, così che io penso che nel racconto che andrò a fare
inserirò questa massima: “Il pugilato è cercare di dare più pugni possibili, cercando di
subirne meno possibili, e non viceversa”.
Tutti siamo convinti che Leo faccia molto con i suoi colpi, e non niente come dice Purdy,
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Ma l’atteggiamento provocatorio dell’inglese, che continua a scuotere la testa e a irridere
l’avversario, insinua rabbia e qualche dubbio.
All’avvio della 7° ripresa, Moreno vede Leo che prima di partire all’assalto piega le mani
verso il basso per fare un po’ di stretching, un segno che Leo ripete quando è stanco. Eh
sì, non abbiamo mai visto il Campione in questo stato: i match fin qui li ha dominati, gli
avversari sbaragliati. Anche con Jackewitz non è mai andato in sofferenza né fisica, né
mentale.
L’odio per l’irriverente inglese è al massimo, e quando Leo accetta, e soffre lo scambio a
centro ring della 7° ripresa, anche noi soffriamo come bestie.
Purdy ha il cazzotto pesante, Paolino mi dirà in seguito che i suoi pugni provocano dei
gran tonfi e Leo pare cambiare espressione quando li deve incassare. Il rapporto fra pugni
dati e presi è sempre di 1 a 8 come minimo, ma non conta nulla ora. Ora è un altro match.
“Non ci scambiare, tre colpi e spostati”, “ritrova la distanza” “muoviti sul tronco per
benino”.
Questo è quello che il Bonci e Paolo devono aver detto a Leo nel corso del minuto di
riposo che separa la 7° e l’8° ripresa. Poi, i due Maestri ricevono il solito invito dell’arbitro
ad abbandonare il ring. Entrambi non sono davvero lesti ad andare fuori, tanto che Ezio
dice: “Bisogna insegnargli a uscire dal ring”. Ma tutti sappiamo che quei secondi in più
sono ossigeno per Leo.
Leo segue i consigli dell’angolo. Per tutta la ripresa Purdy lo pressa e lo costringe alle
corde, ma Leo schiva e rientra; per due volte lo fa centrando il mento dell’inglese con il
montante e Purdy dice sì con la testa.
È una ripresa che Leo si aggiudica alla grande, è quella che fa da spartiacque. È quella
che decide.
Non riusciamo più a contenere la gioia e ormai, anche se nessuno dice nulla, la paura è
solo quella di un verdetto casalingo che ribalti la situazione. Qualche ora fa ci siamo
intrattenuti per alcuni minuti con un giornalista italiano che lavora a Londra ed è lui che ci
ha detto: “Qui i furti sono all’ordine del giorno, speriamo bene e comunque, over the best”.
E allora rituffiamoci nel match, perché ora Purdy sembra finalmente accusare i colpi e per
la prima volta, dopo essere stato “spinto” da un destro di Leo, si appoggia alle corde e poi
“lega”, abbraccia l’avversario per riprendere fiato.
È il round finale.
Leo è determinato a colpire, e colpire ancora e ancora, fin tanto che le braccia non gli si
stacchino dal corpo.
Purdy è ormai allo stremo; poi il gancio destro, l’ennesimo. Leo lo mette uscendo da un
corpo a corpo. È un colpo portato alla perfezione: gamba, spalla e dorso accompagnano il
pugno destro che trova il mento di Purdy. Il diretto che segue è come una spintarella a un
ubriaco, che per tutta la sera ti ha piagnucolato in un orecchio e ora, arrivati sulla soglia
del letto, non vedi l’ora di mettere a nanna. L’inglese va giù, e , forse, pensa: hai visto
cosa succede a prendere in giro i vecchietti.
Disegno di Luca Andreozzi
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Ricordo di aver abbracciato, girandomi, Davide e subito dopo di aver rimesso gli occhi sul
quadrato ed essermelo trovato di nuovo di fronte e in piedi. Ha un coraggio da leone
questo ragazzo, e riprendendo le parole del Bonci: “Se imparasse la Boxe, diventerebbe
campione del mondo”.
Comunque sia, Purdy è in piedi, e mostra i pugni alti all’arbitro, che lo rimanda a
combattere. Tutto il coraggio e il fisico del mondo però non possono reggere alla voglia di
vittoria di Leo, che scarica ancora una volta i suoi colpi; poi ancora il gancio destro e
l’arbitro che chiama lo stop.
Mancano 7 secondi alla fine del match e Leo è ancora il Campione d’Europa. Lo stop
dell’arbitro è stato sacrosanto: Purdy aveva perso la tonicità della sua muscolatura e ogni
altro colpo poteva mettere a repentaglio la sua incolumità. Tuttavia, come ci confermerà
Leo, quello stop è stato chiamato quasi in maniera sommessa. Di solito siamo abituati ad
arbitri che in situazioni simili si mettono nel mezzo, togliendo il pugile in difficoltà dalla
furia agonistica dell’altro. Ma per Leo è bastata la parola “stop” per fermarsi, realizzare e
strizzare ancoro una volta l’occhio al cielo d’Europa.
Il Vincente
Match finito.
Leo festeggia sul ring.
Purdy viene preso in consegna dall’arbitro, che lo aiuta a raggiungere l’angolo, e poi dal
suo Maestro che lo fa sedere.
L’inglese starà ancora un po’, poco, sul quadrato: ma fa in tempo a prendere lo sfogo del
Bonci che in perfetto fiorentino gli dice sul becco:
- Sei un antisportivo.
E quello di Leo, in inglese:
- Vedi cosa succede a prendere in giro i vecchietti.
Il campione d’Europa, anzi il riconfermato - per la quinta volta - campione d’Europa,
rimane da solo sul ring: Purdy è già, precauzionalmente, negli spogliatoi. Il verdetto e le
braccia salgono ancora al cielo, mentre in sottofondo vanno i cori “FIRENZE, FIRENZE” e
“BUNDU BOMAYE” dei Fiorentini e gli applausi degli inglesi, che suggellano il trionfo
made in Accademia Pugilistica Fiorentina.
Leo scende dal ring per l’intervista di rito, si siede sul banco dei commentatori e sciorina il
suo inglese per i giornalisti di Sky United Kingdom, che non conoscono bene Leo come
noi, il pugile italiano è una piacevole sorpresa e vogliono scoprirla bene. Il grande
vantaggio di questa rischiosissima trasferta inglese - e non dimentichiamoci che in caso di
sconfitta Leo ora sarebbe fuori da tutto - era proprio concedere al campione una platea
internazionale.
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L’Inghilterra, insieme alla Germania, è lo stato che più di tutti in Europa promuove la Boxe,
con manager come Richy Hatton e società come la Matchroom; con televisioni come Sky
Uk, che trasmettono tutti i match della serata con approfondimenti, mentre la nostra RAI
passa solo il match clou, talvolta pure in differita; infine, con impianti nuovi ed esclusivi,
che celebrano le serate di Boxe.
Leo è chiamato a gran voce dai Fiorentini in estasi, e finalmente, scortato dalla sicurezza,
viene verso di noi, che ormai presidiamo le transenne dalla parte dell’angolo rosso. Il
Campione, segnato dalla battaglia - me ne rendo conto solo ora - esulta e canta insieme a
noi. Lui è consapevole di avere fatto una grande impresa. Lui che solo tre anni fa si
accontentava di disputare il campionato d’Europa e ora, all’ennesima riconferma, quello
stesso titolo gli sta decisamente stretto.
In questo momento, proprio nell’immediato dopo match, si parla di una semifinale
mondiale con Devon Alexander da fare subito, che nel frattempo ha perso il titolo per
mano di Shawn Porter.
Mentre ora che scrivo - nel Giugno 2014 - sappiamo che Leo combatterà di sicuro
un’altra volta in Inghilterra con Gavin, ancora per difendere la cintura Europea. Nel
frattempo infatti è saltato per la 3° volta il match con Branco, che doveva essere una
difesa ufficiale, e probabilmente la difesa volontaria con Frezza. Poi dopo, in caso di
vittoria ci dovrebbe essere la semifinale mondiale di Leo. Per Leo è così, sempre un’altra
sfida, sempre qualcosa da dimostrare. In questo senso mi ricorda un grandissimo del
calcio come Roby Baggio, costretto a far da riserva per due volte ad un Del Piero
deludente. Anche lui sempre ad un passo dalla meta più grande, per quanti passi possa
compiere.
Tornando all’Excel Arena, è un grande momento di sport, un altro, e un altro ricordo affiora
dal passato: sto vedendo il basket N.B.A., ed in particolare i Bulls di Micheal Jordan,
Pippen e Rodman. I Bulls sono sotto. Nel secondo quarto, Jordan sta male,
probabilmente ha la febbre alta. Per tutto il quarto seguente se ne sta in panchina a bere
e a sudare, e a vederlo sembra che abbia un febbrone da cavallo, di quelli che quando
prendono ai comuni mortali, non resta loro che stare a letto, sperando che qualcuno in
piedi sia pronto a prendersi cura di loro. Inizia l’ultimo quarto, Air Jordan è in campo,
prende la squadra per mano e la fa volare, così come prende il volo la fantasia degli
scrittori. I Bulls di Jordan vincono nella maniera più bella ed inaspettata, proprio come Leo
che a Londra ha preso la penna in mano e ha scritto una storia che a immaginarla non
sarebbe venuta così bella.
Il Perdente
Purdy alla fine del match incassa gli sfoghi del Bonci e di Leo alla solita maniera,
scuotendo la testa e bofonchiando qualcosa. Poi viene accompagnato negli spogliatoi dal
suo Maestro che lo sorregge per un braccio, con due ragazze bellissime e vistosissime
che lo seguono, e che di sicuro non potranno contare sul pugile inglese per continuare la
serata. Purdy viene, presumibilmente, steso subito su un lettino - di sicuro è lì che lo
trovano i nostri eroi quando tornano dai festeggiamenti.
L’entourage dell’inglese ha lasciato subito il ring, non perché non volesse tributare il giusto
riconoscimento a Leo, ma perché era preoccupato e doveva prendersi cura del proprio
pugile. Purdy ha subito una quantità di colpi impressionante, altrimenti l’arbitro non
avrebbe mai chiamato lo stop a soli 7 secondi dalla fine del match, ma gli avrebbe
lasciato, in casa, la soddisfazione di finire ai punti.
Purdy ha 26 anni e un promoter capace e influente alle spalle che gli ha procurato chance
importantissime. L’inglese ha avuto la possibilità, non sfruttata, di combattere per il titolo
mondiale con Devon Alexander il 18 Maggio 2013, proprio passando avanti al nostro Leo
che pure era campione d’Europa, dato che nel ranking I.B.F. l’inglese sopravanzava
misteriosamente Leo. Purdy non ha sfruttato nessuna di queste opportunità e ora che ha
gettato via anche questa, di diventare campione d’Europa, le sue quotazioni sono in netto
ribasso.
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Dal punto di vista fisico, Purdy è un pugile provato, tutte le volte che sale sul ring prende
la sua bella razione di cazzotti, ha un grande cuore e probabilmente un gran
“salvadanaio”, ma il rischio che lo spazio inizi a scarseggiare c’è.
Ho visto combattere Purdy con Alexander, e anche in quell’occasione il suo pugilato non è
stato diverso: Boxe frontale, rigido sul tronco, difesa quasi inesistente, pressione
sull’avversario, ma pochi colpi portati. Con quella Boxe, a questi livelli non vai da nessuna
parte.
Con Alexander, il suo angolo chiamò l’abbandono alla 7° ripresa; in quell’occasione il
match non era risultato valido per il titolo mondiale, visto che l’inglese non era riuscito a
rientrare nella categoria di peso per poterlo disputare.
Con Leo, e con il titolo d’Europa in palio, il suo Maestro l’ha tenuto per tutte le 12 riprese
sul quadrato, e la punizione è stata più dura e più lunga.
Non posso che riprendere ancora le parole del Bonci per avviarmi a chiudere questo
paragrafo:
- Se questo ragazzo imparasse la Boxe, sarebbe il campione del mondo.
Ma siccome credo che, ormai, per lui sia troppo tardi sia per insegnargliela che per
impararla, sono convinto che Purdy farebbe meglio a smettere.
24 ore: aeroporto di Londra,
14 Dicembre 2013,
ore 15 circa - prima del match.
Eccoci qua, tutti in fila ad aspettare che i servitori di sua Maestà la Regina ci diano il via
libera per entrare sul suolo inglese. Siamo io, Vittorio, Fabrizio, Moreno, Cesare, Davide,
Ezio, Francesco e Simone. La poliziotta A, guarda la carta d’identità di Cesare e poi la
getta al poliziotto B, come getterebbe le carte di una mano di poker dopo aver scoperto un
Jack di quadri quando mancava una cuori per fare colore.
Il poliziotto B con il gioco in mano chiede:
- Passaporti?
- No - ci limitiamo a rispondere noi, con la faccia di chi sta pensando: ma quali passaporti,
non ti basta la carta d’identità?
Il poliziotto B tira fuori una lente d’ingrandimento e fissa con il suo occhio ingrandito quella
strana carta con su scritto “Repubblica Italiana”.
A me scappa tanto da ridere: sembra Sherlock Holmes alla ricerca del passaporto
perduto, ma ovvio che non lo faccio perché so come funziona e ci tengo ad andare a
vedere Leo stasera.
Ora tutte le nostre carte vengono portate al banco del poliziotto C e noi veniamo invitati ad
arretrare dalla postazione delle forze dell’ordine vicino a delle transenne. Sono l’ultimo
della fila, postazione utile per notare il poliziotto D che da un’altra collocazione ci
incoraggia a eseguire le disposizioni dei suoi colleghi.
Cavolo, siamo nei guai, perché il poliziotto D assomiglia come una goccia di birra al
lacchè di Di Caprio nel film di Tarantino Django - che poi sarebbe Samuel L. Jackson - e
ora spiffererà nell’orecchio del poliziotto A una cosa che poi A passerà a B e che B
passerà a C, e quando C aprirà bocca e ci parlerà saremo tutti fregati.
Credo che il nostro Viaggio londinese inizi ora, dalla prima difficoltà, e visto che non c’è il
passaparola fra poliziotti, smetto di far andare la fantasia, tiro fuori lentamente il libro dalla
sacca e mi metto a leggere.
Ho iniziato a leggere Finestra sul vuoto di Chandler nel viaggio di andata ad Amsterdam.
Finestra sul vuoto è uno di quei libri che mi piacciono, ma di cui non riesco del tutto a
innamorarmi. Qualche pagina avanti la sera, prima di andare a letto, qualche pagina
indietro la sera dopo per riprendere il filo, e alla fine passa qualche mese prima di arrivare
in fondo. Sono libri che rimangono sul comodino per diverso tempo e sono costretto a
portarmeli dietro in simili situazioni per poterli finalmente terminare.
Maestri di vita e noiosi prof
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Leggo Chandler perché è dello stesso filone di Ellroy, che a sua volta aveva scoperto
Eddie Bunker, che è stato il primo dei tre che abbia letto. Un po’ come ho fatto con Fante,
che era stato riportato in auge da Bukowski. Per qualche tempo ho letto solo questi due
ultimi autori. Un po’ come da ragazzo andavo dai Led Zeppelin ai Doors. Poi ho cercato di
leggere anche altro, ma se voglio andare sul sicuro divoro un libro di Bukowski o me ne
sparo uno di Bunker. Sono loro i miei Maestri di vita.
Non avevo un buon rapporto con i miei prof istituzionali, quelli, per intendersi, che ho
avuto alle superiori da ragazzo. Ben altra cosa sono stati i rapporti con i professori di
quando ho ripreso e finito le superiori, a 35 anni.
Credo che la colpa del cattivo rapporto fosse tanto mia quanto loro. Certo che loro non
facevano altro che lamentarsi, del lavoro, della paga, e se non lo facevano volevano a tutti
i costi insegnarti a vivere, ma soprattutto che ti ricordassi di loro, ripetendo: “Fra qualche
anno vi ricorderete del vostro vecchio professore che vi diceva: bla, bla, bla”.
Questa smania di essere ricordati li ha portati a rimanere nella mia memoria, sì, ma come
una fidanzata da cui ti sei liberato dopo troppi anni e a fatica.
Beh, alla fine la poliziotta C ci rende le carte di identità, e fa pure tenerezza quando tenta
di pronunciare i nostri nomi italici. Ora però siamo in Inghilterra e bisogna far lavorare la
zucca se vogliamo trovare un metrò che ci porti all’Excel Arena, il posto dove si svolgerà il
match.
Le prime info che otteniamo ce le dà uno di quei distributori automatici di biglietti in cui
basta selezionare la lingua per ottenere risposte. Nonostante 4/5 tentativi a testa, non ne
veniamo a capo. Si decide di proseguire.
Alla biglietteria che incontriamo poco più giù, ci sono tre addetti e nessuno in coda.
Simone e Vittorio scelgono bene il nostro interlocutore individuando il primo a destra.
Scelta azzeccata: l’omino in 2 minuti sforna 9 biglietti - scusate, tickets - per 2 giorni, e un
gran sorriso.
La raccolta dei soldi, visto che abbiamo molta valuta intera, non è precisa, e alla fine
mancherebbe qualche centesimo. Ci offriamo di dargli 1 o 2 euro, e lui smette di sorridere
e ride. Scendiamo ai treni mentre ci complimentiamo con Simone e Vittorio per la scelta
dell’omino.
La metropolitana inglese viaggia come le schegge; il treno fa un pezzo all’aperto per poi
rituffarsi nel sottosuolo. In poco più di mezz’ora siamo a Piccadilly Circus, abbiamo un po’
di tempo e conviene mangiare qualcosa, prima di arrivare a destinazione.
La scala mobile emerge al centro di Londra e siccome è sabato e siamo sotto Natale,
sembra di stare a Firenze, solo è tutto più grande.
Il primo pub a destra è il nostro. Dentro al locale c’è un gran buio e, se non fosse per tre
TV accese che trasmettono calcio e rugby, non si vedrebbe un tubo. Non che la luce
serva a tanto, giusto a capire che il piatto unico, l’hamburger con patatine, è condito con
quello o con quell’altra cosa.
Alla fine decido per un hamburger classic e un’acqua minerale: la scelta della bevanda è
dettata dal fatto che devo buttare giù un antinfiammatorio, altrimenti prendo il mio collo e
me lo sego. Se avessi un euro per tutti le volte che ho sentito male al collo sarei ricco; il
bello è che ricchi sono diventati gli osteopati che mi hanno incontrato. Solo che poi
fortunatamente trovi quello giusto, anzi quella giusta visto che si tratta di una donna, che
non ti viene presentata come il messia, ma che comunque ti rimette al mondo e ti fa
sentire meno incavolato con quelli che l’hanno preceduta, proprio perché l’hanno
preceduta ed ora non ci sono più.
Excel Arena
“Excel arena, Excel arena”. Il tizio del tram scandisce le mitiche parole e, anche se sono
stanco morto di trascinare per tutta Londra me stesso e il trolley, mi alzo come se dovessi
scrivere un pezzo rimasto con me tutta la notte.
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L’impianto olimpico - qui si sono svolte le Olimpiadi del 2012 - però è una delusione. In
tutta l’Arena non c’è una tribuna, a meno che non si voglia chiamare così quella struttura
rialzata da terra di mezzo metro e con 7/8 file a disposizione, che sta dietro alla nostra
postazione, che si trova prima del bordo ring. E poi credevo che contenesse quindicimila
spettatori e invece boh, diciamo quattro o cinquemila.
Ci sediamo e vediamo le ultime riprese di McDonnel vs Medina. Avremmo visto volentieri
anche Zamora, che inizialmente era stato inserito nel programma come sfidante al titolo
dell’Unione Europea; ma l’italo-cubano non è potuto essere della partita per un problema
burocratico.
Tornando a McDonnel vs Medina, non possiamo che apprezzare il match, visto che
entrambi sono buoni pugili. Il primo è stato campione mondiale, poi ha perso il titolo per
questioni burocratiche; qualcuno ci ha detto che è stato il suo vecchio manager, che
tradito dal pugile si è rifatto facendogli perdere il titolo.
Certo è che il pugilato è pieno di simili questioni, sono un po’ il grande ombrello dove si
raccolgono le motivazioni più disparate. Un po’ come quando alla porta degli uffici trovi
scritto: “chiuso per motivi tecnici” e la vera motivazione è che il capoufficio e il suo
collaboratore, quella stessa notte, hanno troncato la loro relazione clandestina dopo 15
anni.
McDonnel è una nostra vecchia conoscenza, Rodrigo - Bracco - ci ha disputato l’europeo.
Comunque sia, Medina tiene testa al gallese per tutte le 8 riprese, e round finale a parte,
secondo me fa meglio del pugile di casa. Ovvio che non basta per vincere.
Credo sia il momento di vedere se becco Anna Sgarbi. L’ho vista su facebook
dimagritissima, sul suo profilo di WhatsApp ha messo per un periodo “ho fame”. I social
network ci precedono sempre.
Ci diamo appuntamento alla smoking area. Anna arriva con un vestitino sul blu davvero
adatto a quell’occasione e al suo fisico davvero ok. Ce ne stiamo per un po’ lì, buttati fra
cumuli di cartoni di birra e sigarette, fin tanto che non ne abbiamo abbastanza e
guadagniamo un posto migliore, anche perché Anna vuol mangiarsi un hot dog.
Davanti al tipo che fa i panini c’è il nipote di Salvatore Cherchi. È un ragazzo giovane, in
giacca e cravatta per l’occasione, ma da come porta quei panni direi che ci è abituato a
quelle occasioni. Ma che ci fa un Cherchi a Londra? Credo i fatti suoi in primis, e poi,
dando credito ad una probabile indiscrezione, non ci scordiamo che proprio l’OPI 2000, di
Salvatore Cherchi, aveva vinto l’asta per Branco vs Bundu e visto che il match non si è
fatto ora hanno rimediato trovando il match londinese per Leo.
Anna mi dice che è già stata a Londra nel 2006, a vedere Haye vs Fragomeni, un match
bellissimo, io me lo sono visto su youtube questa estate, ero andato su facebook tanto per
far passare un po’ di tempo e ho visto il video postato da Fabio Turchi. Anna ha visto
Fragomeni di recente, a pochi giorni dal match perso con Wlodarczyk. Il pugile italiano è
uscito sconfitto per colpa di una ferita impressionante, c’entravano due dita. Quando l’ha
visto Anna, di quella ferita restava un graffietto.
Dai pugili, di punto in bianco Anna passa a parlare delle donne:
- È pieno di tipe con le tette rifatte, senza calze e sui trampoli.
Io sorrido a pensare all’immagine del suo profilo facebook di qualche tempo fa, che
raffigurava Mafalda, dall’omonimo fumetto, che allo specchio chiedeva: “Chi è la più
rognosa del reame?”.
È tempo di andare, andare in bagno per ora. Non ho bevuto né mangiato, anche se avrei
una voglia matta di assaggiare una birra inglese. Comunque sia, mi serve un bagno. Le
latrine inglesi sono uguali a tutto il resto del mondo, almeno quelle.
Opto per il servizio in piedi, scelgo l’ultimo orinatoio, quello più lontano dalla porta di
entrata. Mentre sto espletando il mio bisogno, vedo che un tizio, grasso, rosso di capelli,
lentigginoso, ma soprattutto ubriaco, sta facendo pipì dalla parte opposta e si sposta di
postazione in postazione continuando a urinare. A questo ritmo, goccia a goccia tra poco
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sarà vicino a me. Non credo per come è fradicio che riesca a vedermi e c’è il serio rischio
che mi pisci addosso.
Non ho ancora finito e il tempo stringe. Un tizio magro, bruno di capelli e senza lentiggini,
ma soprattutto ubriaco, si mette a fare pipì accanto a me, così finisce che ora è lui ad
avere l’altro accanto. I due lasciano il loro arnese si danno il cinque prima di riprendere a
fare quello che facevano. Vedo la scena mentre me ne sto andando: guadagno l’uscita il
più in fretta possibile, saltando anche il lavaggio delle mani, e credo di essere scusato.
Il match sta per iniziare, ma non ci sono gli inni a preannunciarlo. E questo, anche se
sveltisce la cerimonia, mi dispiace un po’. Il tricolore e con lui il giglio di Firenze avranno
modo di sventolare dopo.
15 Dicembre 2013,
ore 8 circa del mattino,
Londra, Dockland - dopo il match.
La colazione inglese consumata dagli italiani affamati è una vera libidine: il buffet diventa
una grande abbuffata, un trionfo di trigliceridi, colesterolo e glicemia. Questo e la birra,
che avrò l’opportunità di bere nel pomeriggio, sono ottimi motivi per tornare a Londra.
Me ne sto comodamente seduto a consumare il sesto giro di portate, quando mi accorgo
che una pischella, con dei grossi occhiali neri, in jeans e con le All Star ai piedi, mi sta
guardando con il suo vassoio in mano. Visto che occupo il posto sul corridoio, credo che
voglia che mi sposti per passare di là. Penso che però potrebbe passare da un’altra parte
evitando di rompere e continuo a concentrarmi sul piatto. Volgo lo sguardo, la pischella è
ancora là. Passo dal piatto di pancetta fritta e marmellata di lamponi alla sua faccia, e solo
dopo realizzo. È Anna. Anna in versione mattutina, senza lenti a contatto. Cerco di
rimediare a questa figura del cavolo facendo il disinvolto, della serie: ho fatto finta di non
conoscerti; ma è una di quelle volte che la toppa è peggio del danno. Rimedierò
strappando cinque minuti fuori dall’hotel per una sigaretta.
Inizia il viaggio di ritorno.
Saluto Anna davanti all’hotel, prendo il trolley e mi avvio con i miei compagni.
Fatti sì e no 300 metri, ci accorgiamo che abbiamo sbagliato strada, così invertiamo la
rotta e ci troviamo a passare di nuovo davanti all’hotel. Anna è ancora lì, ci sorride e dice
che siamo buffi. Io rispondo che sembriamo italiani in un film di Alberto Sordi.
Abbiamo un po’ di tempo e vediamo un po’ di Londra. A dire la verità, non è che a me
freghi poi tanto. Credo che sia un po’ come nei racconti del mio amico americano quando
andò la prima volta ad arrampicare a Fontainebleau, a quel tempo arrampicavo anch’io.
Fontainebleau è una foresta vicino a Parigi, ma per gli arrampicatori è la mecca mondiale,
così l’amico americano raccontava che nel giorno di riposo dalle fatiche di climber, non
erano andati nella capitale d’Europa, ma erano rimasti a vedere le lavatrici girare. Non ho
mai chiesto se vedere le lavatrici girare fosse un modo di dire yankee; ma ho sempre
saputo che per vedere e apprezzare posti nuovi bisogna essere in palla, e non svuotati da
una passione che fa passare tutto in second’ordine.
Fine del Viaggio, per ora…
Eccoci qua, sull’aereo di ritorno. Siamo io, Vittorio, Fabrizio, Moreno, Cesare, Davide,
Ezio, Francesco e Simone. Io sono sistemato tra Moreno e Cesare, mentre gli altri sono
poco più dietro o poco più davanti. Moreno dorme, io sono alle ultime pagine di Finestra
sul vuoto. Cesare se ne sta tranquillo, come del resto lo è stato durante tutto il viaggio;
gran bell’atteggiamento per un ragazzo di 16 anni. Poso il libro per un attimo e faccio due
chiacchiere con lui:
- Vedi Cesare, in vita tua ne incontrerai di persone che ti vorranno dire cosa ricordare e
chi ricordare, ma se ami lo sport questa impresa sarà tua per sempre. Io c’ero, la notte in
cui Leonard Bundu sbancò Londra, io c’ero.
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Al mio ritorno mi aspettano buone notizie. Una mi aspetta direttamente all’aeroporto e si
chiama Francesca. A dire il vero l’ho fatta anche aspettare, il volo era in ritardo; ma le
belle ragazze non andrebbero mai fatte aspettare e ora non vedo l’ora di recuperare.
Anche lei ha visto Leonard in TV.
Sono in tanti ad aver visto, sofferto e gioito con Leonard Bundu.
Serena, mia sorella, mi invia un sms: “Eccezionale Leo! Ci ha tenuti incollati alla tv.”
A lavoro diversi colleghi mi diranno di aver visto il match e rivisto finalmente il grande
pugilato. Con i miei articoli e con le mie parole sono riuscito a far appassionare le persone
a Leonard Bundu, questa è la più grande soddisfazione. Raccontare Storie e
appassionare.
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Leonard Bundu vs Frankie Gavin 1 Agosto 2014
6° Difesa del titolo di Campione d'Europa dei pesi welter
Civic Hall Theatre - Birmingham - Wolverhampton
Tutto vano?
L'inglese nel round finale prende il centro ring e mena la danza, non fa niente di che; ma
dimostra di finire meglio di Leo ed il suo pubblico, dopo averlo visto nel corso del match
disteso lungo sul tappeto, si rianima ed accompagna la ripresa con gli olè. Ma non basta
una ripresa per vincere un match prima di quella ci sono state/le altre/l'atterramento della
6°/il paradenti/il resto? I pensieri interrogativi si affollano veloci nella mia testa in un tempo
che è indefinibile, il tempo che ci divide dall’annuncio del vincitore del match.
Incredibile, se fossimo in Italia me ne starei, non dico rilassato, ma molto più tranquillo,
perché, ed è bene che tutti lo sappiano, stiamo parlando di un match vinto chiaramente
con 4 o 5 punti di scarto, ed invece me ne sto con il giramento a fissare gli inglesi che
sperano di far festa solo perché siamo a casa loro. È dura andare in trasferta, è durissima
vincere in trasferta; odio essere beffato, lo faccio solo per Leo. Sono qui solo per lui. Non
certo per la Federazione che è assente, non certo per la lega Pro Boxe che è assente;
non certo per Loreni che non ha vinto neanche quest'asta, non certo per la televisione
italiana che è assente pure lei e ci lascia qui da soli, unici testimoni di un'ingiustizia, se
così sarà, che rimarrà inaccessibile ai più. Perché si sa come vanno queste cose, fra
qualche anno il match di Wolverhampton sarà ricordato al massimo come un match dal
verdetto casalingo per quasi tutti; mentre per noi che c'eravamo sarà una ferita che si
riaprirà. Certo che non sono poi così solo, il flusso dei pensieri, passato dall'uso del
singolare al plurale, mi ha anticipato. Qui, accanto a me, ci sono i miei compagni.
Penso a Fabrizio con cui ho passato qualche giorno e mi pare di conoscerlo da sempre.
Penso ad Ezio che a 76 anni quando gli ho detto, appena appreso che il match sarebbe
stato in Inghilterra, “Ezio ci tocca tornare in Inghilterra” lui mi ha risposto alzando le spalle
“eh allora, si prende l’aereo”. Stamani alle 5 del mattino all’aeroporto di Pisa si parlava di
Gavin ed io dicevo che era un tipo sgusciante, uno che va via, che ti manda a vuoto e...
“lo sai quante ne ha trovati in carriera di pugili così, a Leo gli metti il sinistro e lui lo schiva
ed è subito lì, ti ruba la distanza quando vuole, è sempre a misura, quanto mi ha fatto
divertire in questi anni” rispondeva Ezio. Penso anche a Simone, al fatto che nonostante
l'età e alla zazzera potrebbe essere definito un “grande vecchio”. A Vittorio che ha perso
la carta di identità ieri sera, l’ha cercata per mari e per monti accontentandosi anche di
trovare il passaporto in pianura e poi ha dovuto rinunciare a partire. A partire con noi
stamani, ma non ha rinunciato ad esserci oggi, prendendo il volo Firenze - Birmingham
nel pomeriggio, atterrando sul suolo inglese alle 16,30 ed è lì che l'abbiamo preso con la
nostra macchina noleggiata all'aeroporto di Londra alle 9 del mattino.
No no, non dico cavolate, il viaggio da Londra a Wolverhampton ha avuto tempi
lunghissimi, infatti, - a parte la fermata per recuperare il nostro Vittorio a Birmingham siamo arrivati a Wolverhampton intorno alle 19. Avevamo stimato che il tratto di strada da
coprire sarebbe stato di 150 km, calcolando così 2 ore di viaggio, tanto per stare tranquilli
ed invece i km, anzi le miglia, erano molte di più. Diciamo che tutto è andato piuttosto
bene fin quando alla guida della macchina c'era Simone, che già aveva esperienza di
guida destrorsa, coadiuvato dal navigatore umano Fabrizio seduto a fianco e dal
navigatore meccanico seduto sul cruscotto; poi a tutti è venuta una gran fame e quindi ci
siamo fermati; ma nella terra di sua maestà, almeno nel tratti di strada in questione, non ci
sono gli autogrill così come li intendiamo noi. Non si tratta della roba da mangiare o dei
wc, si tratta del fatto che le aree di sosta non sono contigue rispetto alla strada percorsa,
così da permettere l'uscita del veicolo, la sua fermata ed agevolare la ripresa della
marcia e della strada precedentemente abbandonata. Quindi, il malcapitato veicolo ed i
suoi occupanti, dove aver fatto gli opportuni rifornimenti e scarichi, si trovano sbalzati in
un'altra strada e devono ritrovare la vecchia e giusta via.
Alla guida della macchina ora c'è Fabrizio, Simone passa dietro per un po' di riposo, io
davanti alla navigazione. Fabrizio prende l'unica strada possibile e ci troviamo in un'altra
realtà ricca di insidie e di rotonde. Ho incontrato le rotonde la prima volta “nell'acida” Ibiza
dei primi anni '90, prima cioè che diventassero di moda anche a Firenze e provincia, ma
non avevo mai fatto i conti con le rotonde affrontate con il sistema inglese, che incasina il
tuo modo di procedere acquisito per i vialetti dei giardini ai tempi in cui la mamma ti
guidava in carrozzina.
Alla prima rotonda il navigatore meccanico ordina di uscire alla 4° uscita e subito
sbagliamo, perché è un autentico macello capire in anglosassone come fare a seguire
quella che sembra un'elementare manovra, è tanto difficile che ora che scrivo mi sono
completamente scordato il ragionamento fatto a suo tempo per convertire in guida inglese
le abitudine di una vita.
Fatto sta che abbiamo sbagliato e ci ritroviamo in una strada stretta ed a doppio senso di
circolazione, i veicoli che provengono nella direzione opposta alla nostra sembrano tutti
venire in controsenso, la mostruosa sensazione è acuita alle curve e sembra di essere in
un videogame. Fabrizio appare in leggera apprensione, compresso com'è nella situazione
di chi, per evitare un frontale dietro l'altro, rischia di andare fuori strada. Io che assisto
cerco di rimanere calmo tenendo d'occhio, dal mio specchietto, la striscia che delimita il
margine destro, scusate sinistro - visto com'è facile sbagliare -, alcune volte devo
richiamare l'attenzione del pilota a riprendersi da quello che sembra un quasi incidente,
altre volte sono le fronde degli alberi sul ciglio della strada che ci avvertono che non
rimane più tanto spazio fra noi e il baratro.
Decidiamo di fermarsi e di far riprendere a Simone il comando delle operazioni, nello
spiazzato vediamo anche che siamo finiti in piena campagna inglese, con i prati
all'inglese, le collinette all'inglese e perfino i sassi all'inglese.
Alla prima rotonda comunque sbagliamo ancora - another volta - e ritroviamo i cartelli che
indicano Londra minacciosamente più vicina. Ci vorranno un paio di ore buone, condite da
discussioni sul come fare ed uscite da brivido alle rotonde, per ripassare davanti alla
famigerata area di sosta. Alla fine siamo in hotel anzi al Novotel nel tardo pomeriggio.
Nella hall troviamo il Bonci, Loreni e Leo, per lui è ancora presto per andare al Civic Hall,
così ci saluta e torna in camera.
Prendiamo possesso delle camere anche noi, Francesco ha dovuto dare forfait all'ultimo
minuto e così io e Fabrizio siamo in camere separate e tutte per noi. La mia attenzione va
subito alla postazione di scrittura che individuo vicino alla vetrata - perfetto - inserisco la
spina inglese prestata da Nicola ed apro il computer. Connessione internet ok, apro il miei
appunti e sento che quello è un buon posto per Scrivere.
Sbrigate le cose importanti, penso a fare la doccia ed a prendere qualcosa per la
testa/collo, visto che la tensione sale e la nottata sarà lunga.
Quando scendo è già l'ora di mangiare, non perché abbiamo particolarmente fame - il
tacchino della famigerata sosta era abbondante, oltre che buono - ma perché la nottata
resta lunga. Prima che il piatto sia pieno telefono alla Franci e mi faccio vivo, ancora una
volta non posso che ripetere che la diretta TV non ci sarà. Come tutti ho il telefono pieno
di messaggi/telefonate di chi è non è potuto essere qui e chiede lumi sui collegamenti. Si
dice che Warren, il promoter di Gavin, abbia sorriso all'offerta della TV italiana - tanto era
bassa - e per chi è dovuto rimanere a casa non resta che lo streaming. Chiudo la
telefonata con un bacio e con un “a presto”.
La macchina per Leo è arrivata. Il campione ora appare tirato in viso. In silenzio lo
accompagnano nel piazzale dell'hotel, lui mette la borsa nel bagagliaio, alza il braccio
destro lo piega ed agita il pugno, rispondiamo increspando le labbra. Seguiamo la
macchina che se ne va. Appuntamento al Civic Hall Theatre.
Civic Hall Theatre
Ho bisogno di un po’ d’aria. Mi alzo, con lo sguardo chiedo al tizio che mi sta accanto di
sedia di farmi passare, la sua mano tatuata va in direzione dell'uscita, così come la sua
testa rasata. Le sue gambe si ritirano. Aria.
Mi alzo il bavero del mio giubbino e soffio il fumo verso l’alto, piove ma nessuno pare farci
caso.
La mia attenzione viene catturata da una scena dall’altra parte della strada. Un gruppetto
di poliziotti inglesi circonda un ragazzo scalzo e a torso nudo che sbraita all’indirizzo di
non so chi.
Il suo amico, non molto distante dalla mia postazione, fa avanti e indietro per dire
qualcosa ai Bobbies, tutte le volte viene accompagnato dall’altro lato della strada da uno
degli agenti, tutte le volte ritorna.
Ad un certo punto un coglione passa nei pressi della scena, indica il ragazzo seminudo,
urla il suo nome e ride forte. Gli animi si surriscaldano, ma i poliziotti si adoperano per
raffreddarli e si capisce subito che la camionetta, parcheggiata nei pressi della scena, se
ne andrà vuota.
Ed infatti il tizio seminudo va per la sua strada ed io torno dentro fra l’indifferenza
generale.
Ancora non mi va di tornare a sedere, al bar c'è una gran ressa ed una pessima birra,
trovo però gli altri compagni di viaggio che si sono mossi per conto proprio, Antonella e
Guido. Ringrazio Antonella che è riuscita a procurarmi un pass per il bordo ring, infatti
questa volta non ho neppure provato a trovare un accredito. Guido mi offre una birra,
declino l'offerta scusandomi. Saluto i due dopo che Antonella mi ha spiegato dove sono gli
altri.
Passo a salutare Giuliana ed i bimbi che sono nei pressi del bordo ring dalla nostra stessa
parte. Faccio il giro per salutare Anna e Michela, le trovo sempre in forma, Anna
addirittura più alta della volta scorsa, potenza dei tacchi. Riprendo la mia posizione.
I tizi che precedono il mio posto - due amici hanno raggiunto il ragazzo che prima ha
agevolato la mia uscita - si alzano e rischiamo una collisione fra pance di spaghetti e
pance di birra. Sono di nuovo accanto a Fabrizio, che precede Ezio, Simone e Vittorio, a
guardare il sottoclou. I match non sono un granché, forse Warren ha speso tanto per far
combattere il suo pupillo nel giardino di casa e non gli è rimasto molto per il resto.
Sul quadrato ci sono due pesi massimi imbattuti con un bel record. Uno di loro,
l’australiano Browne, molto massimo, il suo avversario è l’ucraino Rudenko. Il match ha in
palio il titolo intercontinentale WBA. Il peso dei due pugili rende tutto molto faticoso, con il
passare delle riprese poi, lo sforzo e le botte li rendono lenti e prevedibili. Rudenko si
muove meglio nelle prime riprese, Browne va dritto per dritto anche contro i cazzotti che
prende. Il pugile australiano è un vero duro, uno che non si fa mancare nulla, come il suo
corpo che è pieno d’inchiostro tatuato, dove puoi trovarci: la carpa giapponese, il maori
neo zelandese e chi più ne ha, più ne metta. Vince Browne, che così si avvicina alla vetta
della classifica mondiale - così apprenderò in seguito - ma non credo che possa fare tanto
meglio, per capirsi Klitschko, il campione, lo metterebbe K.O. in 3 riprese.
Di grande interesse per me è chi c’è all’angolo di Browne, infatti il suo Maestro è Jeff
Fenech ed il suo promoter e Ricky Hatton, entrambe più volte campioni mondiali. Fenech,
che non è parente della Edwige nazionale, ha combattuto con gente del calibro di
Azumah Nelson. Ricordo uno speciale che Rino Tommasi gli dedicò qualche tempo molto - tempo fa - sulla sua rubrica di Boxe anni ’80, quando i media non oscuravano la
Boxe. Il servizio si chiudeva con un ripetuta infinita di montanti da parte di Fenech.
Ricky Hatton è stato un grande campione, uno che si è piegato, quando era all’apice,
solo a campionissimi come Maywheather e Pacquiao. Hatton, dopo aver fatto il suo
rientro sul ring nel 2012, ha smesso definitivamente con la Boxe. The Hitman, l’uomo che
colpisce, il nome sul ring di Hatton, è molto fuori forma oggi - e potrei essere molto più
duro con lui nel descriverlo - ma sono già molto duri i suoi problemi fuori dal ring: alcool,
depressione e droga, così lascio perdere. Vedrò se riesco a leggere la sua storia, ma non
fin tanto che è scritta solo in inglese. Chi la sta leggendo, pur conoscendo il tipo, è rimasto
mezzo sconvolto. Comunque quello che volevo dire è che Hatton in Inghilterra è una vera
leggenda.
Da promoter Hatton va forte. Nella sua scuderia ha pugili interessantissimi come
Rabchenko, il suo prestigio deve anche aver contato molto nella carriera del fratello
Matthew, che fresco di titolo continentale ha combattuto per il titolo mondiale sigla W.B.C
con un certo Saul Alvarez. Matthew in passato era stato accostato diverse volte al nome
di Bundu, ma poi, complice il suo tentativo mondiale e poi la sua sconfitta con Brooke non
se n’è fatto mai di nulla. Per capire come vanno le cose: Brooke, dopo aver battuto il
fratellino di Hatton, non ha mai mostrato alcun interesse per il titolo europeo di Bundu, ma
ha puntato alle eliminatorie per i titolo mondiale IBF, ed ora è il campione mondiale di sigla
dopo aver battuto, anche un po' inaspettatamente, Shaun Porter negli Stati Uniti. Quello
che sta facendo di straordinario Leo è proprio questo: avere la forza di vincere sempre e
dovunque, per tenere in piedi le sue chance ed essere ancora in partita con chi ha
sempre avuto in mano carte più forti, grazie a manager e federazioni più autorevoli e
potenti delle nostre.
Sul ring ora, dopo i due massimi, c’è un pugile di casa contro un ragazzo di colore,
quest’ultimo ha la pancia e le guanciotte alla Arnold Jackson - il protagonista del famoso
telefilm anni ’80 - , ma non si muove male. Il pugile di casa ha un fisico più da pugile; ma
un’impostazione così scolastica che fa quasi tenerezza, mi pare, che come da copione,
vinca quest’ultimo, fra la poca partecipazione degli spettatori impegnati ad intasare il
corridoio che dà sul bar e quello che dà sui bagni.
Il pubblico si scalda un po’ quando arriva sul ring Jo Costello, un nome che detto da un
ring announcer inglese è già un programma. Il 20enne di Birmingham va dentro forte, il
suo avversario nonostante i suoi 26 anni è al suo 11esimo match. Vince Costello, ma a
me non pare un fenomeno.
Bundu vs Gavin
I bar sono vuoti, le persone hanno smesso di bere, chiacchierare, fumare. Ora tutti sono
qui a vedere il match.
Come faccio spesso vado a vedermi l'entrata di Leo. Leo appare da dietro le quinte, come
sempre ha l'accappatoio di raso nero e rosso e la faccia da guerra. Le note di Fifty cent, lo
stacchetto scelto da Leo, lo accompagnano sul quadrato. Qualcuno fischia, altri fanno il
gesto dell'ombrello, la maggior parte aspetta Gavin. Il pugile inglese arriva in clima da
stadio, i cori inglesi, i migliori del mondo, insieme alle cornamuse lo accompagnano sul
ring, insieme ad una cintura multicolore che non riesco identificare.
Ride bene chi ride alla 6° ripresa
4 montanti: montante destro doppiato al volto, due colpi che trovano l’opposizione dei
guanti di Gavin. Montante sinistro strettissimo al mento che entra di precisione, montante
sinistro alla figura che colpisce il fegato di Gavin e lo abbatte. Leo va all’angolo neutro ed
osserva la scena l'arbitro che conta. Quando il conteggio arriva a 3 - 4 e Gavin è ancora
disteso bocconi con le gambe rigide, Leo alza le braccia quasi convinto che Gavin non si
rialzi fino al conteggio totale. Ma l’inglese ha un sussulto, si gira, sputa il paradenti e si
rimette in piedi. L’arbitro raccoglie il paradenti scuotendo la testa, probabilmente un gesto
di imbarazzo perché sa che dovrebbe almeno richiamare ufficialmente Gavin per quel
gesto volontario - se non decretare lo stop del match, e la vittoria di Leo, perché il pugile
che si alza dal know down dovrebbe dimostrare di essersi ripreso e non fare esercizi di
sputazzamento - ed invece dà il paradenti all’angolo dell’inglese per la necessaria pulizia.
Leo ride per la presa di giro che sta subendo.
Disegno di Luca Andreozzi
La sceneggiata va avanti per un altro po', non scordiamoci che siamo in teatro, poi
quando gli attori hanno finito di fare finta si ricomincia a fare sul serio.
Leo si getta su Gavin cercando di mettere a frutto quei pochi secondi che separano il
round dalla sua fine. L'inglese dimostra di aver recuperato - ma che sarebbe successo se
Leo lo avesse subito avuto disponibile? - e fa quello che gli riesce meglio, ovvero non si fa
trovare, schiva e si muove e cerca di arrivare alla fine del round. Leo gli sta addosso, lo
colpisce, ma non abbastanza forte e bene da mandarlo un'altra volta al tappeto. La
campana mette fine al round, Leo viene riaccompagnato all'angolo dall'arbitro che fa ampi
gesti al Bonci e a Paolino di provvedere alla garza del guantone che ha ceduto. Non una
parola fra gli italiani e l'arbitro.
Intanto in platea come dappertutto nel teatro siamo in piedi, non sappiamo che tipo di
spettacolo si aspettavano gli inglesi, ma se metti Leo in programma non puoi non
considerare il suo montante al fegato.
Non è che non fosse successo nulla prima di quella ripresa: Leo aveva iniziato a braccare
Gavin, che aveva iniziato a schivare e poi al 5° round aveva preso anche a rientrare, cosa
che c'era piaciuta poco e che avevamo comunicato ad Antonella la quale, seduta qualche
fila più in là, al termine di ogni round, ci chiedeva lumi girandosi verso di noi come
precedentemente concordato. Ma se nel match con Purdy la chiave della vittoria era stata
il saper cambiare in corsa stile, in questo match la mossa vincente per Leo è stata quella
di non modificare il suo atteggiamento mentale pur subendo le manfrine dell'arbitro che, in
occasione del conteggio ed anche quando Gavin reiterava le sue scorrettezze, non lo
tutelava mai. Insomma nervi d'acciaio per Leo che nella bolgia di Wolverhampton deve
avere pensato, vinco io comunque sia: arbitro, avversario, giuria, paradenti e tifo contro.
Siamo al giro di boa di un match previsto sulle 12 riprese; ma che promette di finire prima,
almeno è quello che ci auguriamo noi. Arriva il suono della campana che ci trova ancora
tutti in piedi. È una lotta selvaggia, fra chi vuol chiudere il match e chi vuol rimanere in
piedi e recuperare energie. Il KO è nell'aria, lo sentono i pugili e lo avvertiamo noi, è un
clima di apprensione, paura e soddisfazione non ancora venuta a galla. Il Civic Hall di
Wolverhampton ribolle di queste sensazioni ed ognuno di noi che le sta vivendo è una
bollicina di un liquido in ebollizione.
Gli unici estranei da questo clima sono 2 tizi di colore dietro di noi, che se ne stanno
comodi sulle loro sedie, come stessero vedendo la 20esima replica di Pierino e i lupo ed
invitano noi a sederci. Ci penserà lo speaker a richiamare tutti a stare seduti e tranquilli.
Si va avanti ed il KO non arriva. Gavin dimostra di saper reggere, a dispetto del suo fisico
non troppo muscolato, le bordate di Leo che continua a metterlo alla frusta fino alla 10°
ripresa. Nelle ultime 2 riprese Leo rallenta la sua azione, negli spogliatoi ci dirà “dall' 8° mi
sono presi i crampi”. Gavin ne approfitta, e dopo la burrasca dei round precedenti, mette
fuori il naso e vede un po' di sole.
Tutto vano 2?
Ora non c'è più tempo per i pensieri, i ricordi, le recriminazioni. Ora il ring announcer ci
dirà la risposta al nostro interrogativo, una risposta che tutto il Civic Hall attende in piedi.
Quando viene annunciata la split decision, la decisione non unanime dei giudici, sento il
bracciolo in legno della mia sedia che si avvicina pericolosamente alle mia terga, seguono
in rapida successione i nomi ed i punteggi dei tre giudici che non capisco; ma poi capisco
“and still champion...”, che vuol dire che Leo è ancora campione d'Europa.
In definitiva Leonard vince perché 2 giudici su 3 gli riconoscono un punto di vantaggio,
mentre il 3° giudice scriverà nel suo cartellino un PAZZESCO computo che riconosce 3
punti di vantaggio per Gavin. A conti fatti si può dire che abbiamo evitato la beffa per 1
punto.
Dopo match
Senza troppa resistenza ci siamo fatti buttare fuori dalla sorveglianza inglese ed ora
siamo in strada davanti a due alternative, sto parlando di me e Fabrizio, tornare in hotel
con gli altri e dopo 2 chiacchiere andare in camera, dove io ritroverò la mia cara
postazione o vedere quello che c'è da fare con Leo e gli altri. Decidono le parole di
Fabrizio: “e dai, quando ci ricapita un'occasione come questa?”.
Per rientrare usiamo la carta Michela, che ha seguito il flusso inverso ed è andata nello
spogliatoio con Leo e gli altri. Michela arriva con in braccio Frida, con le due signore
passiamo il primo blocco - la tizia della sorveglianza davanti alla porta - poi proseguiamo
da soli perché Frida deve andare in bagno. Procediamo con circospezione nel teatro
semivuoto, tenendo a mente la raccomandazione di Michela “fate finta di nulla e nessuno
vi dirà nulla”. Passiamo in mezzo agli operai che stanno smontando il ring e ci
addentriamo dietro al palcoscenico, per due volte sbagliamo strada e ci ritroviamo a
passare davanti allo spogliatoio di Gavin che in mutande e molto segnato in viso parla
con gli uomini del suo entourage, come sarebbe bello capire che dicono. Al ritorno dal
secondo giro troviamo Michela e Frida che ci conducono da Leo. Il campione è già
docciato, non ha particolari segni della battaglia, a parte un lieve rossore dell'occhio. E'
seduto sul divano - ricordiamoci che siamo dietro le quinte di un teatro - e concede
un'intervista a Marco Bratush di Boxe ring web. Assisto con piacere al lavoro del collega,
fa piacere vedere come lavorano gli altri anche in considerazione del pezzo che poi
scriveranno e che il giorno dopo mi andrò a leggere. Leo racconta anche che durante la
preparazione ha avuto un problema alla mano che gli ha impedito di lavorare come
doveva, ero a conoscenza di questo, ma non ho detto nulla nei mie articoli, l’informazione
era riservata. Passa Guido e mi ritrovo una birra in mano, stavolta la prendo e ringrazio.
Dopo le varie tensioni delle ultime ore, ora è arrivato il momento di godersi la vittoria ed è
ancora più bello condividerla con gli amici. Argomenti dibattuti: il comportamento parziale
dell'arbitro e la grande paura per la decisione della split decision. Per quanto riguarda
quest’ultima nota i ragazzi che avevano la postazione opposta alla nostra e le pupille sulle
facce dei protagonisti ci raccontano, che dalla mimica del ring announcer e di Frank
Warren avevano capito che le cose si mettevano bene, infatti il primo aveva una faccia da
funerale e Warren gli faceva compagnia, insomma Leo gli aveva tolto quel sorriso che la
TV italiana gli aveva donato. Nel corridoio ci passa accanto Gavin che ci saluta, poi
sappiamo che aveva invitato Leo a bere una birra in un pub dove si doveva far festa per la
sua vittoria. Di lì a poco anche noi salutiamo ed in banda usciamo dal Civic Hall. Del
comportamento dell'inglese Leo dirà - dall'articolo di Buttafuoco - “Diciamo che Gavin è
stato tanto educato e professionale prima del match, durante la conferenza stampa,
quanto antisportivo durante e dopo l’incontro. Ha spesso colpito dopo il gong, si è sovente
lasciato andare a prese di lotta ed alla fine non ha voluto abbracciarmi e riconoscere la
sconfitta. Ma penso che il suo fosse solo nervosismo derivante dall’aver incassato la sua
prima sconfitta in carriera”.
Il gruppo procede in direzione del Novotel, sotto la noiosa e ghiaccia pioggia inglese
sembreremmo un normale gruppo di ragazzi che se ne torna a casa dopo un venerdì
sera, ed infatti siamo un gruppo normale di ragazzi con in mezzo il campione d'Europa dei
pesi welter e che per la seconda volta di fila ha espugnato l'Inghilterra, un'impresa che
non era mai riuscita a nessuno. Durante il tragitto Leo spiega che dall'8° ripresa gli erano
presi i crampi ed il pensiero va ai calciatori che sdraiati sui campi di calcio sembrano
moribondi.
La hall dell'albergo è perfetta per continuare a festeggiare e siccome una festa senza birra
non è una festa, arriva il prezioso liquido. Siamo una bella banda di gente che non ha
nessuna voglia di andare a letto, nell'allegria generale viene fuori anche la cintura che
Gavin ha portato sul quadrato e messo così in palio, si tratta della cintura del
Commonwealth, che Leo gli ha portato via per la sua nascita in un paese del
Commonwealth. Paolino mi chiama da una parte e mi sussurra “grazie per esserci
sempre”. Poi mi fa guardare gli sms ricevuti dai Maestri di tutta Italia che rendono
omaggio al campione.
Mi sa che inizia ad essere tardi, ma prima che mi decida a salutare arrivano le pizze.
Infatti un genio ha chiamato un pizza taxi che non perde l'occasione per farsi un selfie con
Leo. Mangio un pezzo di pizza e decido di andare a pescare Fabrizio, lo trovo in zona
Michela, non mi va di scroccare niente a nessuno così gli dico che pensi lui al conto delle
vivande e poi mi farà sapere.
Il giorno dopo mi dirà che tutto è stato offerto dal Leo.
La postazione è lì che mi aspetta, ammucchio i vestiti sul divano ed in totale sbraco mi
metto a scrivere. È una bella sensazione riuscire a battere sui tasti nonostante tutto,
tralascio le parti più o meno preparate e lascio andare le dita. Il pezzo lo chiamo “Bundu
Campione nonostante tutto”. Lo rileggo 1 volta o 2, anche se sono sicuro che non riuscirò
a fare un buon lavoro con la correzione, è sempre così se mi faccio prendere dal ritmo.
Sono le 5 del mattino quando lo mando via, penso che fra qualche ora lo potrò modificare,
ma poi non lo faccio, lo lascio così.
Sono 25 ore che non dormo e decido che per ora basta così.
Sapete una cosa, quando intervistai Leonard prima che diventasse campione d'Europa
scrissi: “ci sono uomini che devono perdere tempo per saperlo apprezzare. E se poi
hanno il talento di Leonand si trovano a combattere per il titolo europeo a 37 anni”. Dopo
3 anni, grazie alla forza di Leonard, quella frase Europea è diventata Mondiale, il 13
Dicembre Leo sarà a Las Vegas per conquistare il titolo mondiale ad interim nella mani
dei Keith Thurman.
Tutti a bordo
Non ci sono Viaggi senza Viaggiatori, gente dal motore sempre acceso e dallo spirito
sempre pronto per raggiungere mete sempre nuove e persone diverse, perché l’importante è poi avere qualcosa da raccontare, perché il tempo passa e alla fine mica puoi parlare
solo del tempo.
Insomma, questi sono i Viaggiatori:
- Il Maestro Boncinelli, Bonci per tutti tranne che per Giulia che lo chiama Ale. Il tenente
Colombo del pugilato italiano, da 27 anni guida l’Accademia Pugilistica Fiorentina; al suo
angolo dieci campioni italiani e un campione d’Europa. Lo trovi in palestra perché è lì che
si fanno i Maestri, come i pugili del resto.
- Il Maestro Paolo Vignoli, vice del Bonci, che continua e continuerà la strada del Maestro.
Sua la metafora che nel racconto del match di Firenze spiega la pervicacia del Bonci: una
volta mi ha detto: "In questo mondo - il pugilato - nessuno vive di questo lavoro, il Bonci fa
il pellettiere e io faccio il postino". E io - aggiunsi - faccio l’impiegato.
- Moreno Mencucci, presidente dell’Accademia Pugilistica Fiorentina dal 2013, prima consigliere e prima ancora pugile: sotto la giacca, c’è da scommetterci, indossa la canottiera
dell’A.P.F.
- Massimo Nascimbene. Consigliere dell’Accademia, pugile amatore, d.j e commercialista,
mi dà una mano nelle relazioni con la S.I.A.E. Una mano molto gradita.
- Il mio babbo. Nel salotto di casa Capitani è nata la passione per il pugilato e per il cinema, quando tutta la famiglia si riuniva davanti a quello schermo. Quando vivi quei tempi
pensi che tutto rimarrà così, ma poi le cose cambiano e se sei fortunato, dopo 26 anni,
quella passione si rinnova dal vivo una sera di Novembre.
- Alessio Farolfi, detto i' Foffy. Con lui da bambini ci siamo rotolati nell’erba dei giardini fra
siringhe e cacche di cane, un miracolo esserne usciti vivi. Dà il "la" ai Viaggi, sempre
pronto, sempre lui.
- Andrea Gallo, detto il Galletto. Ha visto la sua prima partita di calcio in curva Fiesole,
Fiorentina-Juve 2 a 2 di coppa Italia nel 2005, partita sospesa e cariche della polizia. Il
suo primo match di pugilato dal vivo, Bundu-Petrucci al Mandela, anche qui scontri sugli
spalti. Battesimi di fuoco per chi comunque conosce il valore delle cose.
- Antonella Bundu, sorella del Campione, sempre presente a bordo ring per sostenere il
fratello. Afferma di non essere lei quella che si sente gridare durante i match, ma dice che
è Giuliana. Le credete?
- Piero Pelù. È... Siete sicuri che debba spiegarvi chi è Piero Pelù?
- Giuliana Riunno, la compagna di Leo, sempre in 1° fila, sempre a urlare il nome del suo
uomo. Leonard, per sua stessa ammissione, le deve l’equilibrio che nello sport, come nella vita, ti serve per raggiungere gli obbiettivi.
- Andrè e Frida, i bimbi di Leo, che lasciano il babbo solo per farlo combattere, ma appena
finito sono i primi ad abbracciarlo.
- Guido Riunno, l’uomo delle birre, ha il.. compito di reidratare Leonard dopo il match e subito prima dell’antidoping, altrimenti il campione non riempie la provetta. A proposito, Guido è anche il suocero di Leonard.
- Nicola Novelli, direttore di "Nove da Firenze", il primo a credere che i Viaggi di Leo fossero un buon progetto. E anche se preferisco la narrativa “cattiva”, come non essergli grato?
- Corrado Sacchi, che sul suo profilo di WhatsApp ha scritto: “la più grande fortuna di una
donna è essere fotografata da me”. Io aggiungo che la più grande fortuna di una persona
è averlo per amico e compagno di Viaggio. L’unico che conosco che abbia il coraggio di
fotografare il lato b della vitella al Calcio Storico Fiorentino.
- Monica Caleffi, appassionata e simpatica fotografa, ritrae tutto con passione, ma la sua
più grande passione è fotografare il pugilato.
- Michela Comisso, fotografa e grande amica di Leonard, abile a cogliere il Campione sul
ring e appena fuori dal ring: sua la foto del Campione che bacia Frida, la sua bambina.
- Rico Borri, dentista appassionato e grande conoscitore di pugilato, che ha seguito anche
in qualità di reporter.
- Anna Sgarbi, addetta stampa della Boxe Loreni e Maestro di Boxe, graziosa e sempre
ben disposta, ma se si arrabbia… chiedete ai suoi allievi che per punizione hanno passato
un paio d'ore a saltare per tutta la palestra. Non conosco bene Anna, almeno non benissimo, ma so di volerle Bene.
- Giuseppe Sette, detto Pino. Quante volte avrei voluto essere Pino, quante volte avrei voluto non esserlo. Sempre pronto alla burla, capace di farti ridere raccontandoti la barzelletta più vecchia del mondo. Sul quadrato scherzava poco, capace di portare il destro secco
con una naturalezza sorprendente. Oggi, se gli chiedi: "Pino, ci sono ancora i cattivi ragazzi?", lui risponde: "Sì, ma non hanno l’ironia di quelli di un tempo".
- Michele Sette, figlio di Pino. Cresce di Viaggio in Viaggio, adolescente inquieto, ma di sicuro siamo noi che invecchiamo.
- Luca, amico di Pino. Mai visto il pugilato in vita sua. Inizia con il campionato d’Europa a
Rezzato; quando lo rivedrò, controllerò che si sia tolto il pass dell’evento.
- Giano Lenzi, ottimo pugile dilettante, ha combattuto due volte con Cammarelle; ora colonna dei Verdi del Calcio Storico Fiorentino, sul ring europeo porta le insegne del Campione dall’alto del suo metro e novanta.
- Cesare Arzilli, detto I' Cece, anche lui pugile dilettante; il suo libretto vanta un record
d’altri tempi, quando i guantoni non erano antishock e le soluzioni prima del limite erano
frequenti.
- La Giulia, pugile donna dell’Accademia. La trovi sempre in palestra, prima ad allenarsi e
poi ad allenare il corso amatori.
- Ivano Dagliana, talento pugilistico puro, all’Accademia quando ricordano i migliori pugili
e i tempi dei grandi 1° serie, lui è sempre nei primi posti. Campione d’Italia dilettanti, si è
ritirato con 109 incontri disputati. Nella sua carriera tantissimi infortuni alle mani, molte
volte avrà dovuto colpire con il cuore.
- Luca Platania, promessa 17enne dell’Accademia; è nipote di Ivano Dagliana, ma sul ring
ci va lui, eccome se ci va lui.
- Ezio Sottili, presidente onorario dell’Accademia Pugilistica Fiorentina, da sempre nella
Boxe, i colori dell’Accademia devono a lui e alla sua famiglia la rinascita. Apprendere da
Ezio Sottili che il match di Leo a Londra ricordava quelli di Mazzinghi ha un significato par-
ticolare. A Londra è voluto esserci nonostante non fosse in forma, se mi capite cosa vuol
dire non essere in forma per un uomo di oltre 75 anni.
- Francesco Sottili, cosa scrivere di Francesco, beh potrei scrivere quello che ha detto durante la riunione per decidere se avremmo organizzato il match europeo di Bracco: “se organizziamo noi, l’addetto stampa sarà Massimo”. Affetto e stima mi legano a Francesco,
sono contento che le sue capacità possano esprimersi nel ruolo di assessore allo sport
nel comune di Fiesole. Memorabile la nostra telecronaca su Teleiride della manifestazione
organizzata in occasione del campionato dell’Unione Europea di Bracco a Firenze
- Simone Sottili, se io sono fortunato in quanto a capelli posso dire che Simone ha una
fortuna sfacciata, praticamente ha il solito ciuffo di quando l’ho conosciuto io, 25 anni fa. A
parte la capigliatura Simone ha un grandissima competenza di Boxe, se capitate ad un
match di pugilato e lo vedete, avvicinatevi e capirete il perché.
- Fabrizio Frosali, la nostra guida a Londra fortunati noi e fortunati i suoi allievi, infatti nella
vita Fabrizio è il Prof. Frosali.
- Davide Sarti, chi ha visto il nostro abbraccio dopo l’atterramento di Purdy giurerebbe che
ci conosciamo da anni, invece solo da poche ore. Lo sport è capace anche di questo.
- Cesare Sarti, figlio di Davide, ragazzino di 16enne capace di stare con i grandi, forse noi
avremo insegnato qualcosa a lui, di sicuro qualcosa noi da lui abbiamo appreso
- Vittorio, agente di viaggio, è lui che organizza il Viaggio a Londra e che Viaggio.
Un libro scritto in autostrada, nei ritagli di tempo fra lavoro e casi-ni della
vita, “è sempre bello rubare ore alle giornate. Viene meglio scrivere nelle
ore rubate”.
La passione, il sacrificio, gli “incontri” vengono descritti dall’autore
attraverso il Viaggio con Leonard Bundu: Campione Europeo pesi welter.
Le due passioni, del pugile per diventare campione e dell’autore per
scrivere, sono unite nel Viaggio che intreccia l’essenza della boxe e
dell’amicizia.
“Al terzo trillo ero già con la mano sul cellulare, non potevano girarmi le
scatole e chissenefregava se avevo dormito 3 ore: Leonard è il campione
d’Europa, io avrei fatto una doccia e poi avrei pensato al mio pezzo, ero
ancora in Viaggio”.
Un racconto sui ragazzi dell’Accademia Pugilistica Fiorentina e sull’unico
ragazzo, Leonard, che diventando campione d’Europa li simboleggia tutti.
Ringraziamenti
A Caterina Bigazzi per l'editing
A Maria Rosa, Andrea, Alessandra, Bernardo, Zelda, Monica, Daniela
che hanno letto i miei scritti quando nessuno li leggeva.
A Daniela, Francesca e Andrea per avermi sopportato e supportato
nella correzione del testo.
A Nove da Firenze per tutto
A Monica Caleffi, Corrado Sacchi, Michela Comisso, per le foto e per
il resto.
Massimo Capitani
fiorentino, profondo conoscitore degli ambienti sportivi. Fin da giovanissimo ha praticato numerosi sport: boxe, motocross, downhill, arrampicata, hockey, calcio, ha frequentato assiduamente la Curva Fiesole. Teppista mancato, si è avvicinato al mondo del
giornalismo sportivo pubblicando su riviste del settore. Attualmente redattore del quotidiano on line Nove da Firenze, si occupa di Boxe e Calcio Storico Fiorentino.
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