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In Viaggio con Leo
In Viaggio con Leo Tutti gli incontri Europei di Leonard Bundu visti da Massimo Capitani “Scrivere di pugilato significa scrivere di se stessi” Joyce Carol Oates Supplemento di www.nove.firenze.it Associazione Comunicazione Democratica www.nove.firenze.it/leonardbundu In Viaggio con Leonard Racconti di Massimo Capitani Edito da Comunicazione Democratica, associazione di promozione sociale. Supplemento dell'11 dicembre 2014 a Nove da Firenze, giornale locale on line, testata giornalistica registrata al Tribunale di Firenze con il numero 4.877 il 31/3/1999. Direttore responsabile Nicola Novelli. Referenze fotografiche: L'immagine di copertina è stata realizzata da Monica Caleffi come le foto 9,10,12,16,17,20,24 le foto 1, 7,8,11,18,21,22,23 sono state scatatte da Corrado Sacchi le foto 2,3,6,13,14,15 sono state scattate da Michela Comisso i disegni dei Capitoli Londra e Wolverhampton sono di Luca Andreozzi www.nove.firenze.it/leonardbundu A Renato Recinos Anche se sono passati 26 anni, se chiudo gli occhi sento ancora il gancio sinistro di Renato che si abbatte sulla mia mascella, quella volta - il giorno prima non avevo fatto l’atleta - ma Renato metteva, eccome se metteva. Quando il Maestro Boncinelli - il Bonci - mi presenta come giornalista aggiunge: - è stato un mio allievo, ha fatto i guanti con I’ Recinos. La Boxe è davvero strana, un gancio sinistro ti può mettere a nanna, oppure ti può far ricordare un vecchio amico. Purtroppo di alcune persone ci rimane solo il ricordo. A chi ha creduto in me quando neanche io ci credevo. www.nove.firenze.it/leonardbundu Presentazione di Nicola Novelli Direttore Responsabile di Nove da Firenze Il Pugile delle Terme di Diocleziano è un bronzo ellenistico, attribuito alla scuola scultorea di Lisippo, conservato al Museo Nazionale di Roma. Dal 1885 quando la statua fu riscoperta durante scavi stradali, il Pugile emoziona generazioni di visitatori con il realismo della sua smorfia atletica, i dettagli tecnici e le ferite al volto al termine di un incontro violento. La grandezza di un artista del IV secolo avanti Cristo ha reso immortale un ignoto boxeur di duemila anni fa. In ogni epoca, la storia di un grande atleta è stata sempre legata al suo narratore, colui che con l'arte, o il racconto, ha saputo spiegare al pubblico la particolarità delle sue doti, la maestria dei suo colpi, ha saputo diffondere la fama delle sue imprese e farlo amare ai tifosi, qualche volta rendendolo immortale. Ricordate la favola del campione dei pesi massimi James J. Braddock? Durante la Grande depressione, Braddock si riduce a svolgere lavori di fatica, ma per un caso fortuito torna sul ring e grazie al soprannome Cinderella Man, che gli attribuisce il giornalista Damon Runyon nelle sue cronache sportive, finisce per rappresentare le speranze e le aspirazioni del pubblico americano alle prese con la crisi economica. "Il Cenerentolo" è delle più grandi sorprese della storia del pugilato, ma il suo mito è anche frutto dell'intuizione narrativa di un reporter. E' con questo atteggiamento che ho sostenuto con entusiasmo sin dall'inizio il progetto editoriale dedicato a Leonard Bundu da Massimo Capitani, redattore sportivo di Nove da Firenze, e dai fotografi Corrado Sacchi, Monica Caeffi, Michela Comisso. Il racconto dell'ascesa del campione fiorentino al titolo europeo dei Pesi Welter si intreccia nelle pagine di Capitani con aneddoti personali, dettagli dietro le quinte e tante spiegazioni tecniche sul mondo del pugilato. Ho sempre letto gli articoli di Capitani con il piacere di scoprire il pugilato di Bundu, le sue doti innate, il ritmo e i colpi irripetibili, la repentina inversione della guardia. Proprio quello che ogni narratore deve fare per divulgare e far amare un campione sportivo al grande pubblico. Se “In viaggio con Leonard”, pubblicato on line su www.nove.firenze.it, sia il migliore libro sul pugile fiorentino lo decida il pubblico. Di due cose sono certo: che ce n'era bisogno e che Bundu se lo merita. Con quel sorriso che conquista, simbolo di una nuova Italia, multietnica, tollerante, impegnata socialmente. Leonard è un paladino dello sport pulito, la metafora di un'Italia sana e sincera, che stringe i denti e si difende dai colpi della crisi economica. E' il simbolo di una nazione ringiovanita che vuole farsi strada e guardare lontano. In questi anni difficili, in cui il nostro paese è sinonimo di sfiducia, in Europa pochi concittadini possono camminare a testa alta. Uno che gode del rispetto unanime è Leonard Bundu, con la sua corona sulla cintura, sorta di Mario Draghi della Boxe nazionale, sul ring senza paura, pronto per le sfide più ambiziose. www.nove.firenze.it/leonardbundu Introduzione Un minuto con Leonard Bundu In tanti mi chiedono com’è Leonard Bundu dal vero e così, se hanno un po’ di tempo, racconto loro della mia prima intervista. Era la vigilia del primo match con Petrucci e Leo non era ancora Campione europeo. Quel pomeriggio ero andato - ma sarebbe meglio dire tornato - all’Accademia Pugilistica Fiorentina per intervistare il Maestro Boncinelli. Da bravo giornalista principiante, volevo iniziare da chi conoscevo bene: il mio vecchio Maestro. Oltrepassai la porta rossa che conduce alla palestra, indugiai sulle foto appese sulla destra, scesi la prima rampa e mi andai a sistemare sulla balaustra che precede la seconda rampa, quella che porta direttamente alla palestra. Da quella postazione franca notai da basso le telecamere della stampa istituzionale, che stava intervistando Leonard. Rimasi lì in piedi ad aspettare continuando ad arrotolarmi i pantaloni a pinocchietto, come faccio sempre quando sono teso, così che alla fine ero quasi in mutande. Quando fu il mio turno scesi la rampa. Il Maestro vedendomi mi salutò e disse, indicando Leonard: - Con lui, o con me? - Con te, con te - risposi io. Il Maestro - che io ho il privilegio, come tutti i suoi ragazzi ed ex ragazzi, di chiamare Bonci - aggiunse: - Puoi aspettare un minuto? - Certo. E visto che Leonard aveva smesso per un minuto di fare gli esercizi sul ring, mi presentò a lui: - Questo è un giornalista, è stato un mio allievo. Quel minuto fu lungo: con Leonard parlammo di quanto era strano che un evento come il Campionato europeo dei pesi welter fra due pugili italiani non fosse stato abbastanza pubblicizzato, mentre il beach volley, sempre al Foro Italico, aveva uno spot che paragonava i giocatori di pallavolo ai gladiatori! Leonard mi chiese di quando avevo frequentato l’Accademia, ed io - che ormai ero partito - gli raccontai di quegli anni, delle persone che frequentavano la palestra a quei tempi, qualche anno prima di lui, del fatto che non avevo potuto combattere. Così che ad un certo punto ho detto: - E che cavolo! Sono io che sto raccontando la mia “carriera” a Leonard Bundu. Lui sorrise e dopo poco quel minuto terminò. Ora, se avete un po’ di tempo, vi racconto cosa è successo prima e dopo quel minuto. Il racconto di un uomo che si è battuto sul ring per diventare Campione e di uomo che si è battuto sulla tastiera per raccontarvi questa storia. www.nove.firenze.it/leonardbundu In Viaggio con Leonard Si parte Ci sono persone che ci costringono a fare con l’immaginazione cose inimmaginabili. E' così che ci si può trovare a suonare la chitarra immaginaria di Jimi Hendrix, provare la punizione alla Diego Armando, o il cambio guardia di Leonard Bundu. Per iniziare questa Storia, non c'è giorno migliore di oggi, 11 Agosto 2012. Ho appena bevuto una birra media in un Pub fiorentino, mangiato una decina di olive, un numero imprecisato di noccioline e letto di Valentino Rossi che torna in Yamaha per provare a vincere ancora. Per i ragazzi di 20 anni fa tutto era una “Storia”: le Storie con le ragazze, poche; altre Storie, e se qualcuno proponeva il programma di una bella serata arrivava il coro: “Bella Storia!”. Questa è la Storia di alcuni ragazzi che sono passati dall’Accademia Pugilistica Fiorentina, ma soprattutto la Storia di Leo Bundu - il miglior pugile italiano professionista e del suo incredibile talento. Il talento è una cosa innata, per il quale non vale la pena perdere tempo a cercare un altro aggettivo. È come un ingrediente che viene aggiunto, chissà da chi e chissà perché, in una ricetta che dovrebbe essere uguale per tutti. Ciascuno di noi ha un po’ di talento, fatte le dovute proporzioni; eppure alcuni preferiscono non accorgersene, perché quando hai talento la gente si aspetta qualcosa da te, e tu mica hai voglia di sbatterti per qualcosa che non sai neanche da dove venga. “Va bene, Leo, muovi il tronco per benino; la ferita va bene, non ti preoccupare, va bene Leino.” Le parole sono del nostro Maestro Boncinelli, all’angolo di Leonard. Chiunque sia stato all’Accademia, sentendo “muovi il tronco per benino” s’immagina la figura del Bonci che oscilla, ma c’è solo un ragazzo che sa imitare alla perfezione questo gesto, Giuseppe Sette, e chi lo conosce non può che concordare con me. Nel resto del virgolettato c’è tutto l’amore del Maestro per il pugilato e per il suo ragazzo, un Maestro che alla mia domanda: “Quanto dell’uomo Boncinelli va sul quadrato insieme a Leonard?” rispose: “Tutto me stesso.” Sulle note di Azzurro, canto: “Cerco un pisano tutto l’anno e all’improvviso eccolo qua, e mi ricordo da bambino con le spranghe a guerreggiar, ma ora sono grande con la pistola vado a sparar, pisano… E allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te, il treno degli ultras viola…” Non ce l’ho con i pisani, non ce l’ho con nessuno a prescindere; ma se eri nato dalle mie parti queste erano le canzoni che sentivi e che volevi mettere in pratica prima possibile. Questa insomma era la mia idea di trasferta e i pisani, che la mamma continuava a definire “persone come noi”, non c’entravano niente. Certo è che, ora come allora, la trasferta ha tutto un altro fascino: la preparazione, il viaggio di andata con le chiacchiere speranzose e nervose, il viaggio di ritorno con la stanchezza che ti affetta e lo spirito diverso a seconda della situazione e l’idea che comunque il giorno dopo, o quello dopo ancora, sarà un giorno di lavoro. www.nove.firenze.it/leonardbundu Quando eravamo Ultras, anche le partite in casa le vivevamo come se fossero trasferte. Una volta alzati dal letto non c’era molto altro da fare che raccogliere i vestiti sparsi per la camera, le idee e la bottiglia d’acqua che ci aveva ristorato tutta notte, e andare nei pressi dello stadio a vedere che aria tirava. Partenza Falsa Questa Storia inizia, come molte mie Storie, con un nulla di fatto. Infatti a Firenze già da un po’ di tempo campeggiano le gigantografie di Leonard Bundu per il titolo del Mediterraneo, ma io faccio finta di nulla: il pugilato è roba del passato, i miei ricordi sul ring, o giù dal ring, sono lontani come il grande pugilato degli anni ’80 che vedevo in salotto con il babbo. Ho visto Leonard dal Bonci una delle rare volte che in questi 25 anni sono tornato con Alessio, i’ Foffy, all’Accademia. Sarà stato il 1995 e non so se era più difficile che Leo divenisse campione europeo a 37 anni, o che io iniziassi a scrivere. Poi l’ho visto alle Olimpiadi, e l’ho difeso quando è andato fuori al secondo turno litigando con un tizio che mi rinfacciava: “Meno male che avevi detto che era da medaglia”. Ma alla fine non sono andato all’incontro e tutto questo discorso - come anche altri che non riesco a esprimere - si sintetizza in questo breve colloquio col Foffy: - Ha combattuto Bundu al Mandela... - Lo so - rispondo io. - Ha vinto. - Lo so. - Certo che si poteva anche andare, siamo proprio i peggio... - Lo so. www.nove.firenze.it/leonardbundu Leonard Bundu vs Carlos “El Malevo” Adan Jerez (Argentina) Titolo Intercontinentale WBA vacante 19 Marzo 2010, Nelson Mandela Forum, Firenze Questa volta ci siamo: Ivan, un amico deI Foffy, ha trovato i biglietti. Arriviamo poco prima del combattimento che precede quello di Leonard, ovvero il Campionato italiano dei pesi gallo fra Rodrigo Bracco e Antonio Pio Nettuno. Mi capita di vedere il match accanto a un ragazzo mai visto e conosciuto: la sua ragazza mi ha ceduto il posto accanto a lui, perché nella poltroncina davanti a lei c’è un tipo con una testa a 62 pollici. Non è che del match io ne capisca molto: ho perso l’abitudine di seguire gli incontri e non assomigliano per nulla al calcio. Ma non posso non notare che il ragazzo che ho vicino continua a muoversi: chi è stato sul quadrato, quando si ritrova spettatore difficilmente rinuncia a muovere il tronco, a provare qualche colpo e a parlare a proposito. Rodrigo vincerà alla decima per getto della spugna. E io sono tornato come d’incanto a masticare pugilato. L’incontro successivo è quello di Leonard. Gli spogliatoi, quelli ancora della vecchia palestra, sono sulla nostra destra. Leonard appare salendo da quegli stessi scalini che centinaia di ragazzi hanno percorso, ma che solo lui ha saputo salire per arrivare così in alto. La presentazione dei pugili è qualcosa di grandioso, non c’è paragone con gli “olè” del calcio. Qui non si tratta solo di perdere o di vincere, qui non si gioca a calcio, né ad altro. Qui si combatte, si prendono e si danno. Punto e basta. Leonard arriva sulle note di una musica rap. Per lui il coro da brivido dalle tribune è “Bundu Bomaye” (Bundu uccidilo), che mi riporta alla mente le pagine di Il più grande, ovvero la Storia di Mohamed Ali. Il match ha inizio e Alessio mi dice, riferendosi a Leonard: - È tirato. - A balestra - rispondo io. Leo è veloce, cambia guardia come il panorama visto da un treno in corsa, e poi colpi in serie alla costante ricerca del bersaglio. L’argentino “El Malevo” (il malvagio) è il tipico Indio: lo sapete, gli argentini o sono carini e biondini, alla Caniggia, o alla Batistuta, o sono incazzati e scuri, alla Monzon, o alla Passerella. Insomma, un brutto cliente: braccia lunghe, colpi dritti e un destro largo da tenere a distanza, “la cianfata”, come dice il Bonci all’angolo. Dalle tribune, ma più precisamente nei pressi del ring, continua il “Bundu Bomaye” e poi una voce solista a me familiare intona Don't cry for me Argentina imitando Evita Peron, tra le risate generali. Cerco con lo sguardo l’autore ma il mio vicino mi precede: - Bada chi l’è, è Beppe I' Sette. Che, scatenato, ripete l’adagio. Il match si conclude alla 5° ripresa per la ferita dell’argentino: una gomitata involontaria di Leonard ha colpito Jerez al sopracciglio destro. www.nove.firenze.it/leonardbundu (Foto 1 Corrado Sacchi) Io proprio non so come ci si comporti per giudicare un match che si conclude per ferita. Il mio vicino di sedia, anche se siamo in piedi, mi soccorre e mi spiega che in caso di ferita accidentale, se lo stop viene imposto prima della 4° ripresa, il match viene giudicato come “pari tecnico”; dalla 5° in poi si leggono i cartellini dei tre giudici, che al termine di ogni singola ripresa hanno il compito di stilare per determinare, alla fine, il risultato. In definitiva so solo che Leonard ha vinto: lui ora è con le braccia al cielo a ringraziare tutti e quando lo fa, per ultimo, con il Bonci, il Maestro mima un “e che cazzo, era l’ora che ti ricordassi di me!”. Leonard si scusa anche con il pubblico per come è andata, per il mancato spettacolo di tutte le riprese, o di una soluzione prima del limite. Sembra sinceramente dispiaciuto. Ora che lo conosco, sono convinto che lo fosse davvero. Beh, non resta che tornare a casa. Ma, prima di farlo, nei pressi del ring noto un ragazzo che conosco, o meglio che ho visto una volta quando sono andato per lavoro nel suo ufficio; solo che stasera non batte meccanicamente su una tastiera, ma imbraccia una macchina fotografica e con tanto di pass fotografa l’evento. Non so quanto tempo mi ci vorrà per decidermi a chiedergli cosa ci facesse lì sotto il ring a scattare foto, e per scoprire che Corrado faceva il fotografo per il giornale on line “Nove da Firenze”. Ci vorrà ancora un po’ di tempo perché, complice la frequentazione della palestra di pugilato Centro Sport Da Combattimento, io assista, sempre al PalaMandela, al terzo titolo di Marceddu e mi decida di scrivere della serata e a inviare il pezzo all’indirizzo di posta elettronica di “Nove da Firenze”. Bene: proprio quel pezzo viene messo on line da uno dei redattori, Fabio Bernardini, e dà inizio alla mia carriera di cronista sportivo. www.nove.firenze.it/leonardbundu www.nove.firenze.it/leonardbundu Partenza col botto Mancano ventiquattr'ore alla prima sfida europea Bundu vs Petrucci, ed è anche il 24 di Giugno 2011, a Firenze il tradizionale giorno dei “Fochi di San Giovanni”. È un pezzo che non vedo i Fochi e li ricordo in momenti belli e in momenti brutti, “good times, bad times”, come direbbero i Led Zeppelin. Comunque, ricordo che il meglio veniva alla fine, quando sparavano i tre colpi di cannone. E, a proposito, oggi sono a cena dal direttore di “Nove da Firenze”. È la prima volta che lo vedo di persona, Nicola, dopo averlo conosciuto via mail. Lui sta al Poggio Imperiale, fra Porta Romana e il Piazzale Michelangelo, e se siete un po’ pratici di Firenze lo sapete da soli che è un gran bel posto. Alla sua tavola c’è roba da mangiare e da bere, ma la differenza, come da qualsiasi altra parte, più che la roba liquida e solida che entra nelle bocche, la fa quello che esce sotto forma di parole. Ricordo di aver preso le misure a tutti e a tutto con un paio di prosecchi niente male. E poi, appena il discorso è caduto sulla Boxe, ricordo di aver detto la mia. Il “la” lo aveva dato Alessandro Lazzeri, che per “Nove” scrive di Cultura: raccontò di aver tirato di Boxe ai suoi tempi e di come la Noble Art lo avesse tirato fuori al meglio, da una situazione con soggetti che nulla avevano di nobile, in una nottata parigina di molti anni prima. Fu allora che mi feci avanti, ricordando una di quelle volte nelle quali essere un pugile aveva fatto comunque la differenza. - Sapete, io una volta ho discusso con J.J. Anderson... - Ma chi, il giocatore di Basket della Liberty Firenze? - Proprio lui! - Piccino te lo sei scelto: due metri e passa di atleta... - Ma, insomma, com’è andata? - Avevo all’incirca 18 anni, lo ricordo perché avevo la macchina ed ero tornato in palestra perché c’erano alcune cose che non mi tornavano nell’abbandono del 1987. Fatto sta che avevo parcheggiato nelle stradina dietro Viale Malta, quella che porta all’entrata secondaria e oggi è delimitata da una sbarra. Dopo l’allenamento, vado per riprendere la macchina e vedo che davanti c’è parcheggiato un macchinone con tre persone che chiacchierano appena fuori dall’abitacolo. Passo davanti a loro mostrando le chiavi dell’auto, loro ricambiano lo sguardo e io monto in macchina e metto in moto. Ma, contrariamente a quanto mi sarei aspettato, nessuno di loro fa altrettanto e nessuna delle macchine si muove. Esco dalla macchina piuttosto innervosito: era talmente evidente quello che si doveva fare che mi dava fastidio doverci tornare sopra. Ne viene fuori una piccola discussione, dove nessuno capisce nessuno. Per fortuna in quel momento passa il Bonci con un altro ragazzo della palestra, che aveva qualche anno più di me e conosceva il Bonci da diverso tempo, così che alla fine si riesce a capire qualcosa e qualcuno si decide a spostare quella macchina. E io finalmente posso andare a casa o dove mi pare e piace. La storia ha pure un seguito. Quello era il primo periodo in cui l’Accademia - l’Accademia Pugilistica Fiorentina - si era stabilita al Palazzetto. Il Bonci era un giovane Maestro, mentre il basket andava alla grande a Firenze. In quegli anni, come ricorderete, molti tifosi - me compreso - uscivano dallo stadio ed andavano al Palazzetto. Insomma, c’era una certa sudditanza verso di loro. Ricordo che una volta avevamo l’allenamento in concomitanza con una loro partita e per uscire dal Palazzetto dopo la sessione ci toccò esibire la tessera dell’Accademia a tutti e, per quelli che se l’erano scordata a casa, al Bonci toccò dire: “lui è con me”. Quando tornai in palestra il giorno seguente alla discussione sulla macchina da spostare, ancora teneva banco l’accaduto e venne fuori che il Bonci era andato a scusarsi, visto che loro sostenevano che io li avessi aggrediti a parole. Rispiegai la mia versione dei fatti e il Bonci dopo un poco lasciò l’allenamento. Il giovane Maestro, come mi riferì lui dopo, era www.nove.firenze.it/leonardbundu andato a riferire la mia versione a quelli del basket, aggiungendo che non gli era convenuto andare oltre le parole con me. Nicola, come ebbe a dirmi qualche tempo dopo quella serata, pensò: - Che acquisto che abbiamo fatto. Io mica lo so a quel punto che ore erano, ma mi piace pensare che proprio in quel momento esplodessero i colpi di cannone dei Fochi di San Giovanni. www.nove.firenze.it/leonardbundu Leonard Bundu vs Daniele Petrucci Campionato Europeo vacante pesi welter 25 Giugno 2011, Foro Italico, Roma Se c’è una cosa che mi piace dei bambini è che loro giocano e si agitano anche con 40 gradi; mentre a noi grandi fa fatica anche solo pensare: “Ma come fanno a muoversi con questo caldo?”. L’appuntamento è a casa di Corrado - il fotografo - nel primo pomeriggio. Corrado sta preparando la sua attrezzatura, cercando di non sudare troppo e di non inciampare nell’elastico che sua figlia Giulia ha fissato alle due sedie nel corridoio, per giocare all’antico gioco dell’elastico. Giulia salta come un grillo ripetendo le sequenze che ha in mente, io la seguo a fatica sperando che non dica: “Dai, prova anche te.” Corrado se la prende comoda, Giulia pronuncia quella frase, e io entro nel gioco nonostante la stagione e i mali di stagione che ormai coprono l’intero anno. La posta si alza così come l’elastico e io salto più o meno come un ippopotamo in calore. Non me la cavo male, tranne che per l’uscita alla fine della sessione. Giulia mi spiega e ripete il gesto mentre io mi passo il dorso della mano sulla fronte e riprendo fiato. Riparto. Si tratta, con le gambe all’esterno dell’elastico, di stringere quest’ultimo fra le ginocchia, ruotare di 360° - rimanendo così costretti dall’elastico - e poi saltare librando le gambe fuori dall’elastico, che nel frattempo si è teso nuovamente. Giulia quest’ultimo passo lo chiama “lo chambé” o qualcosa di simile. Prova e riprova, riesco a saltare nella maniera giusta, evitando per un pelo lo spigolo della libreria che metterebbe K.O. anche un toro. Sono alla frutta, quando Corrado dice a Silvia, sua moglie: - Noi andiamo. Silvia sulla porta dice sorridendo: - Ma Massimo lo conosce il tuo amico? Sorrido senza sapere il perché. Un bacio del babbo alla figlia, un ultimo mio sguardo all’elastico. Partiamo. L’appuntamento con il fantomatico amico di Corrado è ai Bottai, da lì ci aspettano l’autostrada e il Foro Italico. L’amico di Corrado arriva con un’Audi nera, lo so perché Corrado dice: - Eccolo. La macchina fa manovra e io, riconoscendo il conducente, dico: - Azz che amici che hai. Stiamo andando a Roma a vedere Leonard Bundu con, e sulla macchina di, Piero Pelù. Piero frequentava un bar a Bellariva nell’estate di non so quale anno. Il bar era ricavato in un autobus in disuso, ma io non sono mai riuscito a trovarlo, Piero intendo, l’autobus era parcheggiato. Quando frequentavo un paio di locali in Borgo Albizi, lui passando di là lasciò un autografo a un tipo di soprannome Otto, scrivendo: “Otto per Otto, Piero Pelù". Ho visto i Litfiba, anche se ero andato per i CCCP, in Piazza Santissima Annunziata nel 1989. Era il concerto dopo e per Tienanmen. Ricordo che ad un certo punto arrivò un tipo che ripeteva “Tieni a mente Tienanmen, Tieni a mente Tienanmen, Tieni a mente Tienanmen”. Che dopo un po’ aveva rotto, e così si beccò insulti e monetine. Anche i miei, ed è una cosa di cui, dopo, mi sono sempre vergognato. Spero che basti. In macchina, però, non è il caso di parlare di questo o di altro che riguardi me e Piero Pelù, e la discussione va sul pugilato, una materia nella quale inizio a essere ferrato. Così parliamo delle vittorie di Leo in trasferta - quella di Berlino è la più gettonata -, della sua www.nove.firenze.it/leonardbundu tendenza a ferirsi e del futuro mondiale. Così io sparo un po’ di nomi di mostri nella categoria di Leo: Mayweather, Cotto, Pacquiao. - Ma chi, il filippino? - dice Piero. - Sì. - Ha vinto una cifra di mondiali... - Otto. - Se fa con quello, andiamo tutti a Manila. Si parla anche di altro, di film soprattutto, finché arriva il momento di fermarsi all’autogrill. È qui che inizia la menata per lui, perché la gente lo vede e dice: - È Piero Pelù! E poi fa le foto, fa domande; alcuni, i più titubanti, ripetono a noi la frase con alla fine un punto interrogativo, altri ancora si fanno gli affari propri. Ci sbrighiamo e saltiamo in macchina di nuovo. Appena siamo a Roma, troviamo subito il Foro giusto, il Foro Italico. Il mio amico Foffy mi aveva detto: - Gran bell’impianto, ci ho visto gli internazionali di tennis. Il tipo della sicurezza appena riconosce il conducente apre la transenna e ci fa passare. Parcheggiamo vicino all’uscita, con il cofano della macchina puntato in direzione nord. Quello della sicurezza si avvicina a Piero e gli attacca una gran pippa, credo che gli abbia dato anche il numero di telefono. Noi ce ne andiamo a ritirare gli accrediti. Sbagliamo subito sportello e così, dopo un paio di minuti di smarrimento, della serie “abbiamo sbagliato tutto”, la ragazza tira fuori tre buste intestate ai Dott. Nicola Novelli, direttore di “Nove da Firenze” che non è venuto, ed ai Dott. Corrado Sacchi e Massimo Capitani. Raggiungiamo Piero, che si è appena liberato dalla morsa del tipo, e puntiamo decisi all’ingresso. In più di uno salutano il cantante e uno di questi aggiunge: - Grande Piero, ma oggi vinciamo noi. - Vediamo - risponde lui in tono diplomatico. Già, perché qui sono tutti convinti che Petrucci vincerà, di sicuro perché hanno fiducia nel loro pugile, ma anche un po’ perché combattono in casa. Anche io sono stato convinto, e lo sono tuttora, che Leonard abbia fatto il passo decisivo per il titolo europeo proprio qui a Roma. Dopo l’intervista con il Bonci e Paolo che aveva preceduto il match romano, ero rimasto lì a raccogliere i miei appunti e a respirare un po’ di tensione. Leonard era sceso a salutare: il giorno dopo doveva essere a Roma per la conferenza stampa. Il Bonci, visto che Leonard passava da casa, gli aveva raccomandato, accompagnando le parole con il gesto inequivocabile della mano, di “non trombare”. Leo aveva risposto ridendo e dicendo: - È più di un mese. Così si era fatta l’ora di andare via. Salutai con un orgoglioso: - Ci vediamo a Roma. I Maestri salutarono a loro volta ed io dissi ancora: - In bocca a lupo. Fu il Bonci a rispondere: - Se n’ha bisogno. Sono sicuro che il Bonci aveva più di un dubbio sul fatto che a Roma il verdetto potesse essere condizionato in qualche modo dal fattore casalingo: chi ha visto qualche match sa che questa tendenza nella Boxe esiste a tutti i livelli, dai titoli più importanti, mondiali ed Olimpiadi, alle riunioni ordinarie dei dilettanti. Il Foro Italico, anche se non era strapieno come annunciato, per Petrucci vs Bundu presentava ottomila spettatori, ma i fiorentini erano davvero pochi: nonostante si fosse parlato di pullman, gruppi e comitive, solo qualche macchina aveva raggiunto l’impianto capitolino. Insomma, il tifo era tutto per Petrucci, e poi Leo aveva combattuto dalla seconda ripresa con un ematoma sulla fronte grosso come una pallina da tennis, che per sua stessa testimonianza gli procurava un dolore mai provato prima - e chi ha fatto 141 www.nove.firenze.it/leonardbundu match da dilettante e 29 da professionista, se ne intende di dolore - “il solo poggiare il guanto a protezione della parte acuiva la sofferenza”. Quando l’ho intervistato, gli ho chiesto se con quel dolore non aveva pensato, solo pensato - e che cavolo, si pensano così tante cose, e poi solo in un attimo - a smettere. Lui aveva risposto di no. È vero che i pugili non sono persone comuni e che Leo è un Campione, ma insomma è stato con il pareggio di Roma, in quel clima e con quel bozzo dolorosissimo, che Leonard Bundu ha ricevuto le stigmate del Campione. Anche Petrucci, passata la tensione del match, onorerà la ferita di guerra, e come nel match di Firenze riconoscerà la vittoria di Leonard. (Foto 2-3 Michela Comisso) Ma ora riprendo da dov’ero rimasto, all’ingresso del Foro Italico. All’ingresso del Foro Italico troviamo Antonella, agitata e scocciata perché hanno fatto un po’ di casino con i posti, motivo per cui Piero ha sul polso destro il pass di Nicola. È presto. Io e Corrado facciamo un giro intorno all’impianto, poi entriamo. La tribuna stampa è spostata rispetto al ring: siamo in una specie di curvino, non c’è alcuna delimitazione e ci possiamo sedere dove vogliamo, cosi ha detto lo steward. www.nove.firenze.it/leonardbundu Ci spostiamo fin dove possiamo e ora siamo a ridosso della balaustra. Sbracciandoci attiriamo l’attenzione del Bonci e del Vignoli che sono nei pressi del ring e indossano pass di diverso colore dei nostri. Non c’è verso di oltrepassare la balaustra, neanche se montiamo in collo a loro. “A bordo ring, solo stampa autorizzata”, come ci dirà lo steward addetto a quel settore. Torniamo dunque nel curvino, preoccupati per le foto e per il pezzo che dovremmo fare a distanza. Accanto a noi si siedono dei signori con i biglietti, niente vieta ad altri di avere il biglietto dei nostri posti, e visto che è annunciato il tutto esaurito siamo nei guai. Io e Corrado ci sediamo lungo la fila che è destinata al flusso degli spettatori; poi un momento dopo io mi alzo e vado a parlare con lo steward di vigilanza all’ingresso del settore da cui siamo entrati. Non mi dice molto di più di quello che già sapevamo e aggiunge che “siamo tutti nella stessa barca”. Torno da Corrado. Lui ha appena inviato un sms al direttore, che dopo aver appreso la nostra situazione ci ha riposto “eroici”: un incoraggiamento che, unito a quelli della mia compagna e del mio amico Bernardo, mi tirano un po’ su. La verità è che io scrivo da poco di pugilato e fino a venti giorni fa ambivo a essere al Foro Italico come spettatore, mentre ora devo scrivere un pezzo sul campionato europeo. Ho fifa, ma ormai sono qui e mica mi posso nascondere sotto il ring. Il sottoclou inizia con l’esordio di Mirko Ricci. Il medio massimo romano chiude subito infliggendo in rapida serie tre conteggi all’avversario; il datato portoghese Fernando Fernades è, come spesso succede, un comodo cliente per l’esordio da professionista di un promettente pugile. Vedrò Ricci combattere spesso durante la sua carriera professionistica. Contro di lui farà un gran bel match il fiorentino, ex Accademia Pugilistica Fiorentina, David Rettori: andatevi a rivedere il suo match. Di lui, all’Accademia, nei discorsi che si fanno a fine allenamento, dicono: “il Rettori da peso medio me lo gioco con tutti”. Di Ricci mi sono perso invece la sfida, persa, per il campionato italiano con Barletta. Chi se ne intende mi ha detto, anzi ripetuto, che deve imparare a tenere su le mani. Nel sottoclou ci sono anche Domenico Salvemini, che sconfigge Adrian Gabriec, e Massimiliano Bucchieri, che ha la meglio su Daniele Moruzzi, anche se io non sono molto d’accordo, visto che preferisco sempre la Boxe in linea a quella scomposta nonostante quest’ultima sia supportata dall’intraprendenza. Nel sottoclou ci sono anche due ragazze che si esibiscono, ma non si confrontano fra loro, ma con un palo che abbracciano e stringono forte, insomma c’è uno spettacolo di lap dance che per una riunione di pugilato è, tutto considerato, fuori contesto. Leonard, a cui chiederò cosa ne pensa della lap dance prima del suo match, definirà il tutto “esagerato”, come per par condicio definirò esagerate le ballerine del sexy disco Excelsior impiegate come ring girl nel mondiale di Kick Boxing di Marceddu al PalaMandela. Si va avanti con il ring announcer che elenca i personaggi illustri che partecipano alle serata, aggiungendo un: “mi dicono che ci sia anche Piero Pelù”, mentre non si scorda mai di dare spazio al fantomatico sosia di Sylvester Stallone, che noi, anche sporgendosi in quella, che dovrebbe essere la sua postazione, proprio non riusciamo a vedere. Quando è il momento di Manuel Ernesti opposto a Sebastian Skrzypczynski, me ne vado a comprare qualcosa da mangiare. L’incontro durerà meno del tempo che ci vuole a memorizzare il nome del pugile polacco. Esco dal mio settore mentre un collega della stampa vi entra e dice allo steward: - La tribuna stampa? - Sì. - Che ormai è diventata una tribuna famiglia. - Avercela, una famiglia - risponde lo steward. Credo che qui ci siano tutta la spontaneità e la naturalezza del romano che, messo in difficoltà, in una situazione di cui per altro non è responsabile, ne esce con una disinvoltura tutta romana. Prima del match avevo scritto un pezzo per “Nove Da Firenze” “Conto alla rovescia per il match Bundu vs Petrucci” - nel quale parlavo della rivalità fra www.nove.firenze.it/leonardbundu Firenze e Roma. E credo ancora che Firenze e Roma non si amino, e di sicuro in ambienti come stadio e bar vari il “non si amino” diventa un eufemismo; questo non mi impedisce di vedere e apprezzare il romano che se la cava con un: “avercela, una famiglia”. Quando torno, non manca molto al campionato europeo dei pesi welter. Corrado ha lasciato il posto sulle scalette di deflusso e si è preso due posti buoni. Il Foro Italico si va riempiendo, anche se per nostra fortuna non del tutto. Corrado poi abbandona il posto per guadagnare una postazione più favorevole per i suoi scatti, mentre io rimango lì, in attesa. Ci siamo quasi: ora sul ring ci sono i pugili che non devono combattere, Paulie Malignaggi e le vecchie glorie a riposo, mattatore della scena è Piero Del Papa, il dieci volte campione europeo che ci prende gusto ad essere applaudito e non vuol scendere più dal ring. Ora sul quadrato c’è solo il ring annoucer che, come suo solito, recita la frase “inizia la legge del ring”. Quando vedo sbucare fuori dagli spogliatoi Leo, non mi sembra neanche di essere lì, lì in quel momento, proprio come mi succede quando sono troppo emozionato. Recupero penna, blocco e me stesso, e inizio a concentrarmi prima che il match abbia inizio. Match finito - faccio un salto temporale, tanto lo sapete tutti com’è andata - mi aggrappo a Corrado per sapere qual è il sopracciglio tagliato di Leo, perché dalla nostra postazione non avevamo visto l’enorme ematoma sulla fronte del fiorentino. Le fotografie dell’amico mi chiariscono le idee. Il cellulare di Corrado squilla: è Piero che ci dà appuntamento al negozio della Leone appena sotto la nostra postazione. Raggiungiamo il posto, ma Piero non c’è. Corrado prova sul telefono ed è proprio in quel momento che io realizzo che il pur positivo pari mi mette nei casini fino al collo. Infatti, l’accordo con il direttore era di scrivere il pezzo e di mandarlo via, insieme alle foto, il prima possibile. Per l’evenienza e su consiglio di Nicola avevo preparato due pezzi: uno per la vittoria di Leo, uno per la sconfitta. Il pareggio non l’avevo proprio calcolato. Raggiungiamo Piero direttamente alla macchina. Al negozio della Leone lo avevano assalito. Così ci mettiamo in viaggio ed io tiro fuori il computer. Se c’è una cosa di cui soffro è il mal d'auto: se non volete che vomiti, non mi fate stare sul dietro di una macchina impegnata in una strada tutta curve. La “Volterrana” percorsa da bambino evoca ancora rigurgiti gassosi mai del tutto elaborati. Ed è consigliabile anche non farmi leggere le indicazioni su una mappa, qualsiasi posizione occupi io in macchina. Volendo, posso sempre guidare. Il primo sbuffo mi prende dopo cento metri, mentre siamo appena entrati nella coda della macchine che tentano di allontanarsi dal Foro Italico. Ricordo che il titolo mi venne fuori subito, come un coniglio dal cilindro, e non ridete perché è lo stesso titolo che userà Alfredo Bruno, direttore di Boxe Ring, per il suo pezzo: “Bundu vs Petrucci, tutto da rifare”, appunto. La descrizione del match al suo inizio è meno azzeccata, visto che preso dal panico decido di esordire con un' idea già preparata, sbagliando anche a battere sulla tastiera, finendo per scrivere: “Nessuno dei due disposto a snaturare il proprio pugilato, fatto di ritmo ed aggressivitŕ”, e invece Leo inizierà più aggressivo, mentre Petrucci cercherà di boxare di rimessa. Io continuo a battere sulla tastiera, cercando i concetti più semplici possibili, mentre là davanti i miei compagni, eccitati dall’evento, non la smettono di parlare. Tiene banco soprattutto la maniera strana in cui è stato comunicato il verdetto, visto che è stata decretata la parità senza dare la lettura dei cartellini. Corrado controlla cosa dice il web e trova una notizia che riporta che un giudice aveva la vittoria di Leo, o forse di Petrucci, ancora non si capisce bene. Io ancora non ci penso a queste cose e dico a Corrado di controllarmi sul web come si scrive Malignaggi. A conti fatti, sono diverse le persone che pensano che Leonard fosse in vantaggio di uno o due punti, anche se non mancano i pareri opposti. www.nove.firenze.it/leonardbundu La macchina si ferma. Miracolo. Siamo all’autogrill e Corrado e Piero, totalmente ignari del dramma che si sta consumando nelle mie viscere, mi invitano a bere o mangiare qualcosa. Rispondo: - Andate, andate pure. Ho pochi minuti per concludere il pezzo, vedere che non ci siano orrori ortografici e capire se il discorso fila almeno un po’. Quando Corrado e Piero tornano, sono pronto per leggere il mio pezzo, che anche se non sarà il migliore che ho scritto è comunque il meglio che potevo fare nella peggior situazione. Letto il pezzo, passo la chiavetta con il file a Corrado e respiro, finalmente. Corrado ha il compito di scegliere le foto e di mandare il tutto al direttore, che lo pubblicherà sul giornale. La mail notturna di Corrado è però malauguratamente finita negli spam della posta del direttore, e quindi il nostro pezzo sarà in rete solo intorno alle 14 del giorno dopo l’incontro, vanificando lo sforzo notturno. Ma non importa, perché alla fine ci siamo battuti come leoni senza star troppo a vedere, a ponderare, ed il tutto, compreso la foto di Corrado, in grande e sola evidenza, sarà riportato su boxe ring web sotto il titolo: “I post di Bundu vs Petrucci sulla stampa italiana”. Il parcheggio dei Bottai ci accoglie a braccia aperte e la macchina di Corrado è pronta per portarci a casa. Chiedo all’amico di sentire Piero per benzina e autostrada. Alla domanda, il cantante dei Litfiba sorride e dice: - Buonanotte. Sono a casa nel mio letto, è tardissimo, ormai è mattina presto. Talvolta la Boxe ti fa andare a letto tardi, a volte ti fa alzare molto presto, come la Scrittura che ti tiene sveglio e non ti fa dormire fin tanto che dal letto non ti alzi e la fissi su un pezzo di carta, anche se sarebbe più conveniente rimanere al caldo, al riparo delle coperte. Se c’è una cosa che mi piace sono i grandi che come i bambini, giocano e si agitano con le proprie passioni anche se sono stanchi, anche se converrebbe, a volte, non farne di nulla. www.nove.firenze.it/leonardbundu Leonard Bundu vs Daniele Petrucci Campionato d’Europa vacante pesi welter 4 Novembre 2011 PalaMandela Firenze Il giorno prima Il 3 Novembre 2012, il giorno della cerimonia del peso, per me era anche il primo giorno di un mal di denti fortissimo. Era da tempo che una vecchia otturazione perdeva pezzi e che mi davo da fare, con risultati sorprendenti, con il filo interdentale, ma dolore non ne avevo sentito mai. Quel giorno tornai a casa dal lavoro con una certa uggiolina. Presi un antidolorifico e mi stesi per una mezz’oretta. Al risveglio il dente sembrava cresciuto di una spanna e il dolore era arrivato. Credevo si trattasse di una pulpite o comunque qualcosa di serio; insomma, era chiaro che dovevo andare dal dentista. Il dentista mi diede un’occhiata e mi disse: “È un granuloma e bello grosso”. Armeggiò con quel coso di metallo e disse ancora: - Te lo devo aprire. - Quanto ci metti? - Una mezz’oretta. - Ok, allora faccio una telefonata. Avvertii il babbo. Con lui avevo fissato per andare a vedere la cerimonia del peso: lui si ricordava del 1967 e dell’europeo di Atzori, ultimo titolo continentale disputato a Firenze, e volevo che a distanza di 44 anni lui vedesse il più possibile dell’europeo di Bundu. Il dentista continuò ancora a maneggiare il mio dente, e poi disse: - Ma non senti dolore? - Non tanto. - Dovevi fare il pugile. Sorrisi per le sofferenze dei pugili e risposi: - Ci ho provato. Il dente aperto non faceva più male, davvero; il dentista ci mise una medicazione per cercare di salvarlo, dicendomi che con quella il dolore avrebbe ripreso a farsi sentire. Io volevo solo andare a vedere la cerimonia del peso. Il babbo era appostato nei pressi delle transenne che il giorno dopo avrebbero ospitato l’europeo. Lo salutai e gli indicai il posto che presumibilmente gli sarebbe toccato il giorno dopo: gli avevo preso un biglietto per la fila immediatamente dopo il bordo ring. Il giorno successivo al primo Bundu vs Petrucci il babbo, che aveva visto il match in televisione, mi aveva chiamato per dirmi quanto gli fosse piaciuto Leonard. Le sue parole furono: “Bellino da morire, e poi il cambio guardia fulmineo, i colpi in serie, che Campione”. Dopo la prima intervista a Leonard, prima del match di Firenze, avevo riportato i complimenti del babbo a Leonard e lui aveva sorriso e molto apprezzato. In quel momento Leonard stava parlando con qualcuno, appena finito si voltò verso di noi e riconoscendomi scansò la transenna e ci venne incontro. www.nove.firenze.it/leonardbundu “l’incontro” fra Leonard e il babbo. (foto 4 Massimo Capitani) Il pugno che il babbo mostra a Leo non è per lui, infatti Leo sorride alla sua maniera, quel pugno ricorda la potenza dei colpi di Guido Mazzinghi, fratello di Sandro, che si abbatterono sulla sua povera mascella dopo una sessione di guanti fra i due. Poche file dietro di noi vedo Marceddu che spippola con il suo cellullare. Anche lui è un Campione umile, tre volte campione del mondo di kick boxing. E anche lui come Leonard non è qui a godersi lo spettacolo, infatti domani combatterà contro il campione italiano dei pesi gallo Rodrigo Bracco. Marceddu vs Bracco sarà l’indomani un grande match, degno sottoclou dell’europeo pesi welter. Colgo l’occasione per fargli un saluto e per presentargli il babbo che ormai è a suo agio come a un tavolo di briscola e ventuno. È il momento di pesarsi. I pugili salgono sulla bilancia uno a uno, prima quelli impegnati nel sottoclou, poi gli sfidanti al titolo. Maggi, il Maestro di Petrucci, controlla la bilancia e il peso di Leonard Bundu, mentre il Maestro Boncinelli, a qualche passo di distanza, assume una delle sue solite pose: chi non lo conosce pensa che sia assente, chi lo conosce sa che non è così. Al termine di una serata di pugilato di qualche tempo fa, con cibo e un paio di spritz ad oliare i neuroni, il vice del Bonci, Paolo Vignoli, mi disse: "I Maestri come il Bonci hanno due giri di vite in più, quando gli altri si fermano loro continuano a fare i loro giri". In quei momenti di apparente assenza, il cacciavite del Bonci compie quei due giri in più, ed è proprio durante quel tempo che, andando più a fondo nel problema, lui trova le combinazioni giuste, le tattiche, i punti deboli. In quelle serate di pugilato e di dopopugilato mi sono stati raccontati mille aneddoti, alcuni raccontabili ed altri no. Quella sera, nei pressi della bilancia, il Bonci ne stava studiando una delle sue. Un pensiero che il Maestro aveva immaginato da quando si era innamorato di quello sport, cioè dal primo momento, e del suo allievo più talentuoso che nel corso della sua controversa carriera gli aveva fatto girare non solo viti, ma che aveva sempre aspettato, come si aspetta il sogno di una vita: far indossare, dopo 44 anni, la cintura di campione europeo - Atzori nel 1967 - ad un pugile dell’Accademia Pugilistica Fiorentina. www.nove.firenze.it/leonardbundu Finita la cerimonia, mi ritrovo ad aiutare il Bonci e il Vignoli a mettere a posto la bilancia. È la stessa sulla quale mi sono pesato io e centinaia di altri ragazzi, trattenendo il fiato in attesa della sentenza mentre il Bonci seduto spostava il cursore sul braccio della stadera. Quella sera al PalaMandela Quella sera avevo trasgredito alle regole del corso di scrittura e avevo lasciato il cellulare acceso durante la lezione. L’sms del fotografo arriva intorno alle 19.00: “Io e il direttore arriviamo verso le 21, tienici il posto.” La risposta è pronta: “È la notte di Leonard e voi ve ne state tranquillamente con le gambe sotto la tavola, vergognatevi!” Corrado, che è un tipo sveglio, prontamente risponde: “Mica è nostra la notte, è di Leonard.” Io controbatto: “Ok, ti lascio il posto all’angolo di Leo, girato verso il pubblico quando combatte, girato verso di lui quando sputa l’acqua.” “Sei un tesoro” chiosa Corrado. Il corso di scrittura non va per niente bene, così come il mio dente che mi ha costretto a prendere il secondo antidolorifico di giornata, e per di più mi ritrovo a leggere a voce alta il mio racconto, male come al solito. I miei colleghi di corso, ma soprattutto il prof - lo scrittore Marco Vichi - non sono impressionati favorevolmente da quanto ha scritto l’allievo. La seduta si chiude con tanti consigli, fra cui quello del prof di riscriverlo in terza persona, dando maggior ampiezza ai concetti e alla descrizione dei personaggi, insomma di scrivere come non faccio mai. Farò il compito, ma non ne ricaverò nulla, e poi so già che a me riesce meglio scrivere in 1° persona ed amo leggere scrittori che si esprimono in 1° persona, come Bukowski, Fante, Bunker, Ames. La telefonata del babbo arriva alle 19.25: - Massimo, c’è già gente. Quando arrivi? - Fra 10 minuti sono lì. Sono davanti al PalaMandela, faccio la fila per il pass e poi appendo quel cartoncino al collo come fosse una medaglia. Il babbo ha il posto assegnato nelle vicinanze del bordo ring, io sulla sopraelevata. Dobbiamo dividerci e lo facciamo con un abbraccio. Salgo la rampa con alcuni tifosi di Petrucci che sulle note di Fra Martino campanaro fanno andare una canzone che fa più o meno così: “Dai Bucetto dai Buce, buttalo per terra, buttalo per terra”. Bucetto è il soprannome di Petrucci per via di una sua vincita al gioco. La stampa che conta è giù: hanno postazioni con wireless, prese elettriche e portatili accesi. Io tiro fuori il blocco per gli appunti e mi preparo, anche se mancano ancora due ore al match di Leonard. Al Mandela non si può fumare ed è un vero peccato, perché durante gli incontri fumo come un dannato. Raggiungo l’uscita di servizio e vado a fumare. Al ritorno faccio un giro e appena vedo un cartello con scritto “buffet sala stampa” mi fiondo sull’obbiettivo, ma vengo respinto da un respingente umano: il mio pass non vale. Forse hanno paura che mi sbronzi e poi faccia casino, ma nessun pericolo, non bevo mai prima dei match. Torno al mio posto, guardo il telefono e rispondo velocemente ai messaggi del Foffy e di Andrea, il Galletto, che sono dalla parte opposta della mia postazione. Non ci sono altri scambi di messaggi o telefonate, loro sanno che sono teso. Ci sentiremo meglio e con più calma il giorno dopo. www.nove.firenze.it/leonardbundu Il direttore e il fotografo arrivano con aria compassata, si sistemano e si guardano in giro. Non manca molto al match. Io sono intento a scrivere qualcosa sugli altri match che precedono quello di Leonard. Dopo un po’ loro se ne vanno giù, il servizio di sicurezza è un po’ morbido e volendo si arriva nei pressi del bordo ring che ora è pieno. Mi chiamano al telefono invitandomi a raggiungerli, ma non riesco a passare, sembra che non mi riesca nulla in questa serata, ma sono solo teso, teso come una corda del ring. Decido di restarmene in sopraelevata, anche se so che i match si vedono bene a bordo ring: dal basso si notano meglio i pugni che incontrano l’avversario, dall’alto un po’ meno; comunque vedo bene e poi c’è lo schermo che mi può aiutare con i replay e anche il mio vicino di sedia non mi sembra male. Scrivere di pugilato con i pugni che saettano a serie è cosa ben difficile. Di solito prendo appunti così: mi segno le iniziali dei pugili e scrivo le abbreviazioni dei colpi più significativi, i conteggi, i richiami, e poi alla fine del round esprimo il giudizio. Cercando di stare con gli occhi sul foglio il meno possibile. Altrimenti, come faccio a vedere il match? È il momento che gli appassionati aspettano da 44 anni: i pugili fanno il loro ingresso sul ring, sbucando dagli spogliatoi, adiacenti alla nuova palestra, che sono sotto al Mandela. La vecchia palestra era dall’altro lato. Quando sono andato ad intervistare Leonard ho guardato il tappeto del vecchio ring coperto di macchie rosse e scure, il sangue dei pugili che per 25 anni si sono allenati all’Accademia Pugilistica Fiorentina; lì in mezzo, da qualche parte, ci sono anche le mie. All’inizio del match scoppia la rissa nel settore dei tifosi di Petrucci. Io sono dall’altro lato e assisto alla scena incazzato nero. Il match viene interrotto. Ci manca solo che assistiamo all’invasione del ring e poi tutti i peggiori cliché calcistici sono eguagliati. Non mi va di spendere tante parole sull’argomento, visto che andando su youtube e digitando "Bundu", appare subito “Bundu Petrucci rissa”. Si riprende. Ora il bordo ring è pieno zeppo di persone che hanno approfittato della rissa per guadagnare i posti migliori. È un incontro troppo nervoso per essere bello, la posta in palio è altissima e i due pugili, che già si conoscevano bene prima del match romano, ora si conoscono a menadito. (Foto 5 Corrado Sacchi) www.nove.firenze.it/leonardbundu Leo si avvantaggia nelle riprese iniziali e centrali, (Foto 6 Michela Comisso) (Foto 7 Corrado Sacchi) www.nove.firenze.it/leonardbundu Petrucci viene sospinto con brutte parole dal Maestro Maggi: “Ma che cazzo stai a fa'” (tutto è lecito fra Maestro e allievo) e cerca di invertire l’inerzia del match; ma Leo è troppo determinato, troppo preparato e affamato per mollare la cintura che ormai è vicinissima. Nel minuto di pausa che precede l’ultima ripresa, il Bonci soffia forte nelle orecchie del suo pupillo: "Non voglio sorprese, Leo, vanno convinti”. Ovvio che quelli da convincere sono i giudici che alla fine daranno la meritata vittoria a Leonard Bundu. Quando viene pronunciato il verdetto, grido come un pazzo per più di un minuto, mi riprendo solo perché ho un calo di pressione e inizio a vedere brillare tutto intorno. Dopo un paio di minuti sono a bordo ring. C’è una gran ressa ed è impossibile raggiungere il Campione, così mi metto fermo poco fuori dalla mischia. Arriva il babbo, che pronuncia le parole: “Leonard Campione senza discussione”. È il suo modo per tagliar corto, sgombrare il campo e per ricordare un altro titolo d’Europa sotto il cielo di Firenze. Leo cerca di raggiungere gli spogliatoi, mentre la fiumana lo segue; c’è pure Matteo Renzi che lo abbraccia. Ancora non è il momento, deve solo guardarmi, solo un attimo. Eccolo. Gli sguardi s’incrociano e subito dopo arriva l’abbraccio. La redazione di "Nove da Firenze" presente al Mandela è schierata appena fuori dall’impianto. Fumiamo una cicca e poi stabiliamo l’ora per mandare il pezzo e le foto on line. L'una e mezza. Rispetto l’orario e mando via il pezzo alle 1.27. il pezzo è on line poco dopo. Scrivo sulla bacheca di facebook di Leo: “Vola come un farfalla, pungi come un’ape”. Do un occhio ai pezzi più letti sul web, ci sono i più importanti già ben indicizzati. Leggo e commento, ma solo con il pensiero. Non ho sonno per nulla, vado a spasso ancora per il web, la bacheca di Leo si sta riempiendo di messaggi. È tardissimo, ma non so bene per cosa; non ho ancora sonno, ma una gran fame. Torno in zona PalaMandela. Appena dietro, rivedo il manifesto di 6 x 3 di Leo che pubblicizza l’evento e penso a una mattina di un mesetto prima, quando andando a lavoro avevo fatto il giro largo proprio per dare una sbirciatina alla foto di Leo prima di un’altra solita giornata di lavoro. Il forno che vende paste dolci per appetiti chimici e inguaribili nottambuli è a due passi da lì. Mi prendo un paio di brioche, così almeno una la mangio mentre torno a casa e un’altra prima di andare a letto. Sono le 5 passate. Sento l’adrenalina che cala e il sonno che arriva. Percorro lo stesso tratto di strada che mi riporta a casa dal PalaMandela. E ripenso a quando ho salutato Corrado e Nicola e sono andato a casa: ci sono arrivato a 10 minuti alle 1, ho acceso il computer e sono andato in camera, dove ho baciato Mari, la mia compagna, che dormiva, dicendole: - Leonard è campione d’Europa. Sono tornato in postazione, ho tirato fuori dalla sacca il blocco con gli appunti e ho iniziato. Avevo riempito tre pagine di roba, ma ora non ci capisco nulla: ho scritto in una specie di trance e l’unica cosa che riesco a leggere chiaramente è “vince ai punti ed è il nuovo campione europeo dei pesi welter Leonard Bundu”. Il pezzo inizia così. (Foto 8 Corrado Sacchi) www.nove.firenze.it/leonardbundu Leonard Bundu vs Antonio Moscatiello 1° difesa del titolo d’Europa pesi welter 23 Marzo 2012 Palasport EIB Fiera Brescia Inizio La trasferta di Brescia inizia sull’autostrada per Torino. Infatti, insieme al mio amico Cristiano, vado nel capoluogo piemontese per una gara di arrampicata: io a vedere, lui a scalare, entrambi per incontrare il nostro amico Luchino, talento dell’arrampicata nazionale. Con me ho il numero di telefono dell’addetto stampa della Boxe Loreni, tale Anna Sgarbi. La prima telefonata va a vuoto, Anna non risponde; nel frattempo ci fermiamo all’autogrill. Il telefono squilla nella sacca a tracolla mentre sto addentando un camogli. Delicatamente stringo il panino fra i denti e prendo il cellulare. Sul display appare: Boxe Loreni. Estraggo il camogli e parlo con Anna, ringraziandola per aver richiamato un numero sconosciuto. La telefonata si chiude con un “mandami una mail per formalizzare” da parte di Anna. Segue un fitto scambio di mail: io ed Anna condividiamo la passione per il pugilato e per le cavolate. Lei, alle mie pressanti richieste su Hatton - il probabile sfidante europeo, che non incontrerà mai Bundu - mi risponde: - Questo lo devi chiedere ai boxingnerds che viaggiano in rete. Lo scambio di mail si conclude con: - Ci vediamo sabato. - Facciamo venerdì - visto che quello è il giorno dell’incontro. - Eh sì, facciamo che sì. Compagni di viaggio www.nove.firenze.it/leonardbundu I miei compagni di viaggio sono Corrado il fotografo e Rico, dentista esperto di pugilato che in un recente passato ha scritto di Bundu su "Nove da Firenze" e che a Brescia ha fissato con Franco Ligas, suo vecchio amico. L’appuntamento è a casa di Rico, che sta più vicino all’imbocco dell’autostrada a nord; Corrado passa a prendermi vicino casa mia. A forza di mediare, lo anticipo di una buona mezz’ora. Ansia da Bundu. Ho dormito un’oretta e ho preparato la sacca con l’occorrente. Il computer lo lascio a casa: il direttore ha detto che il pezzo lo vuole in mattinata con calma, così posso evitare gli urti di vomito di Roma. Devo solo comprare le sigarette e ricaricare il cellulare, occorre essere previdenti quando si va in trasferta. Prima di chiudere la porta di casa, mando una mail al direttore di "Boxe Ring", rivista con cui ora collaboro, per chiedergli cosa ne pensa del nuovo avversario di Leo. Gianluca Branco ha dato forfait per il riacutizzarsi di un vecchio infortunio, lasciando spazio a Moscatiello, che avrebbe dovuto combattere per il titolo italiano la settimana prima. Franco Cherchi, manager di tutti e due, ha deciso che Moscatiello era così pronto per il titolo nazionale che poteva competere per quello continentale. Ho visto il record di Moscatiello: 12 vittorie, 9 prima del limite, è l’esatta fotocopia di tanti pugili promettenti, che a inizio carriera combattono con collaudatori, pugili che servono per fare esperienza, ma che molto difficilmente ti mettono in difficoltà. In palestra ho chiesto al Bonci, che senza sottovalutare nessun avversario mi ha detto: - Certo con Branco sarebbe stata più dura. Anche Alfredo, il direttore di "Boxe Ring", del quale avrei letto la risposta il giorno dopo, era sulla stessa lunghezza d’onda. Di sicuro tutti sappiamo che un avversario come Leo non lo ha mai incontrato. Aspetto Corrado davanti a un negozio di fotografia. Ce l’ho un po’ con i fotografi: vengono lì a bordo ring con le loro macchine da migliaia di euro, fanno 500 scatti - e qualcuno verrà pure bene - li scelgono e hanno finito il lavoro. Io ho una penna, un blocco, divento strabico a prendere gli appunti guardando il match e poi devo tradurre il tutto in un articolo. In realtà so che anche per loro - i fotografi - non è facile. Lotta senza esclusione di colpi per accaparrarsi le migliori postazioni sotto al ring, flash in pieno viso per disorientare l’avversario, obbiettivo nelle gengive e borsata in faccia. Una volta conquistata la postazione, spiegamento di mezzi e apparati vari sul bordo ring, gara a chi ha l’obbiettivo più lungo, facce truci e compiaciute per almeno due ore di attesa. Nel momento di maggior ressa vale tutto, anche il treppiedi scagliato sulla nuca del rivale. Il clacson di Corrado mi sveglia prima che io sogni di fare il fotografo. Meglio, perché il lato economico me lo sconsiglia di brutto. Il viaggio A casa di Rico facciamo con calma. In pratica ci mangiamo la mezz’ora guadagnata con la mediazione e addentiamo un altro quarto d’ora. Rico si dimostra un chiacchierone da competizione, il pugilato lo conosce dai tempi del marchese Queensberry. La passione per la Noble Art l’ha presa dal babbo, proprio come me e anche come Corrado: di padre in figlio. Il discorso va sul match di Leonard, oggetto dell’articolo di Rico. Leonard incontrava Zoran Cvek, ma subito la nostra concentrazione devia su Vigan Mustafa che in quella riunione subì un terribile K.O. Rico ricorda quella serata da incubo che lo portò in ansia all’ospedale, per sincerarsi della salute del ragazzo fiorentino, ragazzo che da quell’incontro non ha più combattuto. Corrado è l’unico ad avere le foto in sequenza del tremendo K.O. scattate in piedi impugnando la macchina con la mano destra lungo il fianco - tecnica anni trenta. Dopo l’incontro è stato contattato via mail da Sofiane Sebihi, il pugile che aveva inflitto il K.O. a Vigan, che si lamentava del fatto che nessuno dopo quel www.nove.firenze.it/leonardbundu match voleva organizzargli un incontro. Consultando poi il sito Boxe rec ho appreso che Il pugile svizzero ha ricombattuto, a distanza di 14 mesi. Andiamo spediti e Brescia si avvicina. Bisogna imbroccare l’uscita giusta. È il momento di chiamare Anna. Anche Anna è in macchina, la comunicazione viene e va; non ho capito se bisogna uscire a est o ovest. Chiedo un po’ di silenzio ai compagni ciarlieri, ma è un invito a nozze a fare un chiasso pauroso. I punti cardinali si alternano: est, ovest, nord e sud. Chiedo scusa ad Anna e lei mi risponde: - Un po’ di contegno, ricordati del tuo ruolo. Usciamo all’uscita giusta e in breve siamo nel punto giusto, l’entrata di un mercato polivalente, ma non lo riconosciamo e così ci facciamo un giro intorno. Chiediamo e torniamo al punto di prima. Chiedo alla guardia giurata alla porta, conferma e la sbarra si alza. Il Palazzetto di Brescia Nel parcheggio facciamo le rituali telefonate del "tutto bene" a mogli, figli e compagne. Poco più in là è parcheggiato il pullman dei sostenitori di Moscatiello. Ho un piccolo moto da ultras e vorrei gridare un "Bundu Bomaye", ma non lo faccio, forse perché mi ricordo del ruolo. Siamo nei pressi dell’entrata del Palazzetto, o almeno così dovrebbe essere. Vediamo Ligas che aspetta qualcuno e gli chiediamo se ha visto Rico, lui risponde che Rico è dentro e che sta cercando Piccirillo. Incasso i pass e siamo dentro. Delusione: la sede del match è una specie di capannone, niente tribune, manco un accenno. Il ring è al centro, tutto intorno una distesa di sedie di plastica. Sembra di stare alla festa dell’Unità in un spazio dedicato all’intervento del politico di turno. Mi riprendo incontrando Anna Sgarbi, non la conosco ma non può essere che lei che manda giù un birra con Paolo. Facciamo due chiacchiere e poi Anna mi fa fare un giro, chiedendo a Loreni dove ci possiamo mettere con i nostri pass. Tutto fatto. Accompagno Corrado a bordo ring, lui si piazza a un angolo neutro e mi dice: - Io mi fermo qui. - Hai fame? - Sì, ma… - Ho capito, te lo porto io. Non trovo Anna, la ritroverò a Udine. Al Bar vedo Pino, una vecchia conoscenza, che sta facendo la fila alla cassa mentre io sono in coda per essere servito. Riemergo con le mani occupate da panini e bibite, e anche gli occhi e i piedi sono impegnati a non far cadere nulla. Vedrò Pino dopo, penso. Consegno la cena a Corrado e cerco Rico. Lo vedo e mi siedo accanto a lui. La serata sta per cominciare. Rico tira fuori un’agendina e una penna. Gli piace prendere appunti. Io quando combatte Leo ho occhi solo per lui, ho fatto un’eccezione per Marceddu e Bracco. La verità è che seguire un’intera sessione di pugilato e scriverci su è una vera fatica, a volte mi faccio 8, 9, anche 10 e più incontri di dilettanti in una serata con il mio blocco poggiato sulle ginocchia. Oggi mi va di lusso: posso seguire Leo e posso anche condividere quello che vedo con il mio vicino di sedia. Il sottoclou Del sottoclou non ricordo molto, anche se era di ottimo livello: un pugile soprannominato “il principe del deserto”, un bel derby fra italiani - Pasqua e Lazzeri - finito in parità e il match di Fiordigiglio con Cattin. Li seguo con interesse, ma senza l’assillo della cronaca a tutti i costi, anzi ogni tanto mi alzo per farmi un giro. Quando salgono sul ring i supermassimi Matteo Modugno e Adnan Buharalija, mi alzo dalla sedia per farci ritorno a cose fatte. Ho la sensazione che il ring possa sprofondare www.nove.firenze.it/leonardbundu sotto il peso dei due, portandosi dietro il capannone e mezza autostrada. La gente guarda i pesi massimi soprattutto per le altissime percentuali da K.O. che la categoria offre e per vedere muscoli da superuomini. Per me il pugilato, anche quello dei pesi massimi, è un’altra cosa. Leo è in programma dopo questo incontro. Nel mio girovagare becco il Bonci e anche a lui dico il mio pensiero sul match in svolgimento. Lui sorride, ma non capisco se la pensa come me o no. Piuttosto mi dice: - Hai visto il match fra Lazzeri e Pasqua? - Non tutto, ma mi pareva che avesse vinto Pasqua, almeno per me. - Pasqua è stato avversario di Francesco. Francesco Brasca, ottimo 1° serie dell’Accademia, nonché figlio del presidente della federazione italiana pugilato, Alberto Brasca. Il Bonci ricorda tutti i pugili, anche quelli più piccoli. I massimi vanno a fare la doccia, ci siamo. Il Leone ferito Per l’incontro di Leo ho in serbo una sorpresa, infatti per la prima volta in vita mia ho portato fuori casa la Montblanc. È stata la stessa persona che mi ha spinto a scrivere e che poi mi ha regalato la penna, a dirmi: - Portatela dietro, facci solo attenzione. Lo sfidante è già sul ring. Nel suo clan hanno tutti la fascetta in testa con scritto “Big”, un po' alla Chavez Junior, il soprannome del pugile. Nel suo angolo c’è anche Fragomeni, che è suo zio. L’indomani mattina, controllando in rete l’indicizzazione del mio articolo, troverò un pezzo che recita più o meno così: "Moscatiello per ora si deve accontentare di essere famoso grazie alla sua parentela con lo zio". Io non lo avrei scritto. Quando Leo arriva di corsa dagli spogliatoi, mi alzo come una molla, vado a vedere il suo passaggio e gli grido: - GRANDE LEO! Lui agita il pugno e continua la sua corsa, sempre guardando davanti a sé. Anche sul ring sarà inarrestabile, si capisce fin dalle prime riprese, non concedendo mai la misura per mettere i colpi a Moscatiello, che senza quella diventa un pugile poco pericoloso e che deve badare più che altro a difendersi dal ritmo del Campione. La preoccupazione all’angolo del Bonci è “non te lo far venir vicino con la testa”. Nella 3° ripresa arriva per Leo la temuta ferita che rimescola un po’ le carte. Lascio il blocco e raggiungo l’angolo del Campione praticamente insieme a lui, con la Montblanc stretta nel pugno; mi accoccolo vicino ad un traliccio della struttura delle luci e osservo. (Foto 9 ©MONICACALEFFI) www.nove.firenze.it/leonardbundu La ferita è alla fronte: meglio che al sopracciglio, molto meglio che alla palpebra. Ma è sempre una ferita alla 3° ripresa, e con i trascorsi di Leo… Il match finisce alla 5°, Leo colpisce forte il fegato di Moscatiello, (Foto 10 ©MONICACALEFFI) che ormai bada a coprirsi la faccia, e lo piega in due. www.nove.firenze.it/leonardbundu (Foto 11 Corrado Sacchi) Quell’azione, più volte chiamata dall’angolo fin dalle prime riprese, visto che l’avversario lasciava scoperta quella zona, l’ho vista provare in palestra e così commentata dal Bonci: - Bene così, lì c’è il fegato. Il montante al corpo è un colpo del repertorio del Campione, infatti - come mi raccontò nell’ultima intervista - Leo sa di essere non troppo preciso al volto, mentre sotto, la sua azione è migliore e migliorata grazie al lavoro di forza ed esplosività a cui si sottopone nella prima fase di preparazione atletica, giù a Cisterna, con il Maestro Giuseppe Ardagna della Body Evolution. È il momento del verdetto e dell’omaggio che Leo viene a riscuotere dal gruppo di fiorentini, all’ennesimo "Bundu Bomaye". Vedo Pino e ci stringiamo in un abbraccio che sa di vittoria, di vecchi e nuovi tempi. (Foto 12 ©MONICACALEFFI) Il cercatore dell’ovvio Il capannone si sta svuotando, mentre io sono alla ricerca di spunti e conferme, o di qualsiasi cosa mi serva per battere il pezzo. www.nove.firenze.it/leonardbundu Sbatto contro Corrado che come un corazziere è rimasto fedele al suo angolo neutro. Mi invita a vedere i suoi scatti, che mostrano, secondo lui, che Moscatiello non si è voluto rialzare, come fosse ormai consapevole che prima o poi la sconfitta sarebbe arrivata. Spiego a Corrado quanto faccia male un cazzotto al fegato e il suo effetto ritardato sull’atterramento del pugile. Ma non lo convinco, e mentre lui ripone l’attrezzatura cerco qualcuno per fare due chiacchiere. C’è Ligas che a microfono spento sta chiacchierando amabilmente con chi ne ha voglia e torna sulle parole di Salvatore Cherchi, il manager di Moscatiello, che all’angolo alla 4° ripresa diceva: “Lui inizia a calare, sta calando”. Passa di lì Fiordigiglio e dice qualcosa come: "Mi hanno detto che ha parlato bene di me." Ligas risponde, precisando: “Dico quello che vedo”. Fiordigiglio se ne va. Ligas, che secondo me ha solo voluto prendere le giuste distanze fra pugile e giornalista, continua con noi su Fiordigiglio: - Un bel pugile. Oggi, dopo aver messo al tappeto l’avversario, si è irrigidito troppo, voleva finire subito. Mi sposto ancora, non ho pace. C’è il Bonci che sta chiacchierando a pochi metri da me e appena lo vedo libero mi avvicino, ho una domanda in testa: ma Moscatiello era all’altezza di questo titolo continentale? La pongo al Bonci sotto un’altra forma e lui, dando sfogo a qualcosa che aveva dentro, risponde: - Insomma, Leo è di un’altra categoria. Incasso il diretto del Maestro e non cerco più nulla. Salvatore Cherchi è lì, sullo sfondo, con la sua parlata e la sua sigaretta. Moscatiello dopo il match con Leo, farà il suo rientro sul ring contro il lettone Sakara, risultando un pugile svuotato, con poco ritmo e poca aggressività. In seguito il pugile lombardo combatterà per il titolo nazionale finendo per perdere anche questa sfida. A conti fatti, che senso ha dare una chance europea a un pugile che in quel momento è di livello nazionale? Che si fa? Recupero Rico che è ancora a sedere al suo posto, che compagni tradizionalisti; becchiamo Corrado e ci avviamo alla macchina. "Che si fa?" è la domanda. Mangiamo qualcosa o andiamo ad accompagnare Rico all’albergo - ha deciso di dormire a Brescia - e poi io e Corrado proseguiamo per Firenze? Mangiamo, mangiamo. Troviamo il primo locale aperto e fermiamo la macchina, poi ci aggiriamo 30 secondi a piedi nei dintorni per vedere se è proprio aperto aperto. Entriamo. Il pizzaiolo ci guarda malissimo, ma una signora del sud impiantata nel profondo nord ci sorride uscendo dalla cucina. Possiamo scegliere fra mangiare una pizza o un primo. Indovinate. Pasta fatta in casa, perché fa prima a cuocere, condita con frutti di mare. C’è anche posto per un po’ di vino bianco. Rico non si fa mancare nulla, anche perché non serve il tasso alcolico legale per dormire in albergo, ma di sicuro ti chiedono i documenti. È il momento di pagare e, se ci fosse i’ Foffy, direbbe: - Hai fatto la sceriffata, è in arrivo la siringata. Il conto arriva ed è più che accettabile, mi pare un ventino a testa, che al netto dell’ora, del lavoro e di quello che abbiamo mangiato va benissimo. Rico vuole fumare una sigaretta buona, io ho solo roba light, ma mi sa che vuole una bella lucky strike senza light e io quelle non le ho. Corrado si fa i cicchini con il tabacco. Così che non mi rimane che offrirgli un camel blu e accompagnarlo a nanna. Lo lasciamo in hotel e via verso casa. Siamo riusciti a far tardi anche stavolta, ed è sempre bello rubare ore alle giornate. Viene meglio scrivere nelle ore rubate. Curioso come poi la gente legga per addormentarsi. Mi squilla il cellulare, e chi cavolo è a quest’ora della notte? www.nove.firenze.it/leonardbundu È il direttore Nicola Novelli che vuole sapere della serata. Gli racconto un po’ di tutto e anche del capannone, ecco perché la parola è citata nel mio articolo. Imbocchiamo l’autostrada, ma sarebbe meglio dire che l’autostrada imbocca noi. Corrado mette la musica per non addormentarsi, mi guarda mentre sbadiglio e gli rispondo: - Tranquillo, se mi dà noia ti chiedo di spengerla. Tranquillo, anche se non guido reggo bene, nel caso prima di ronfare ti avverto. Ci fermiamo a un autogrill in località sconosciuta, ma non si capisce un tubo da dove bisogna passare e ci ritroviamo a vedere delle vetrine alle due di notte. Svoltiamo per una rampa e giriamo per un tornello, fino a che non vediamo un tizio con un cappello rosso che per prendere due caffè ci chiede se vogliamo aggiungerci una spremuta o almeno un biglietto della lotteria. Beviamo i caffè e resistiamo a tentare la fortuna. C’è ancora un po’ di strada da fare e per star svegli parliamo di donne; cavolo, con quelle sì che resti sveglio. A parlarne, a pensarle, a ricordare di averle amate. Insomma, siamo svegli come grilli quando siamo davanti a casa mia e ci fumiamo l’ultima sigaretta. Saluto e mi avvio a scrivere qualcosa, se non scrivo non dormo, poi per addormentarmi magari leggo. www.nove.firenze.it/leonardbundu Leonard Bundu vs Stefano Castellucci 2° difesa del titolo d’Europa pesi welter 14 Luglio 2012 PalaCarnera Udine Sono nei guai, guai seri. Non solo ho a tutti che sarei andato a Udine, l’ho anche scritto. L’articolo su "Nove da Firenze" parla chiaro: “Noi che andiamo a Udine”. Eppure, con Corrado in vacanza, Rico alle prese con un infortunio domestico della suocera, Monica impegnata al lavoro, non mi restava che cercare affannosamente un treno su trenitalia.it o riscrivere un pezzo dal titolo “Io che rimango a casa”. Le frecce di Trenitalia sono sia rosse sia d’argento, ma costano lo stesso oro; posso tagliare il pernottamento a Udine e tornare con il treno delle 4 di notte. L’idea di vagabondare per Udine a quell’ora non mi dispiace affatto, l’ora degli sbirri e dei ladri, detta alla Bunker; ma anche l’ora di chi aveva visto il 4° match europeo di Leonard. È una soluzione. Com’è una soluzione telefonare alla sorella di Leonard, Antonella. L’avevo vista a Roma per Petrucci - Bundu e c’eravamo scambiati qualche sms per concretizzare l’intervista con il fratello; lei aveva più volte gradito i miei articoli. L’avevo incrociata anche su Facebook. E dai, Massimo, che aspetti, telefona. La telefonata parte dal Galluzzo durante una serata di pugilato. Antonella mi risponde che avrebbe avvertito il suo compagno di viaggio, ma che secondo lei non c’erano problemi; comunque mi avrebbe fatto sapere. L’appuntamento è a Porta Romana, alla gelateria. Sono in scooter, mi lascio la gelateria sulla destra e sul marciapiede vedo Pino. Rallento, lui mi guarda e accenna un “vieni con noi”. Il mio casco va su e giù, in segno di un meraviglioso Sì. In macchina, sul sedile posteriore accanto a me c’è Michele, il figlio di Pino; Antonella davanti, lato passeggero; Pino pilota. Sul vano del cambio due libri sul Buddismo. Ho una voglia matta di chiedere a Pino: “Sono tuoi i libri?”, ma ancora non lo faccio. La prima cosa che faccio è avvertire l’amico Foffy con sms che sono in macchina con Pino. La risposta è pronta: “Grande Pino, macchina di cattivi e recidivi”. La domanda sul Buddismo arriva un po’ dopo. Pino risponde di sì: da diversi anni pratica la religione orientale. Conosco Pino da una vita, alle medie andavamo a scuola insieme, anche se non nella stessa sezione. Pino a quei tempi era Pinuccio. Lui ha sempre avuto uno di quegli sguardi che ti bucano da parte a parte, roba da far tremare i polsi e qualcos’altro. A scuola era vietato guardarlo; se lo facevi, correvi il rischio che lui ti dicesse la frase che andava di moda in quegli anni: “Che cazzo guardi?”, e allora erano fatti tuoi. Una mattina, durante la ricreazione, credo durante la coda per il panino, un mio compagno di classe, ignaro di avere Pino alle spalle, sentendosi toccare disse secco: “La maiala di to’ ma’”. La campanella e l’arrivo del preside salvarono il mio compagno, per il momento, condannandolo però a tre ore di agonia, quelle che lo separavano dall’uscita di scuola e dalla resa dei conti. Paolone, così si chiamava l’amico, non era mai stato un fulmine di guerra nella corsa, ma al suono della campanella quel giorno corse come dai blocchi delle Olimpiadi, facendo i 400 metri rincorsi più veloci della storia, quelli cioè che lo condussero sano e salvo, per il momento, al negozio di alimentari posto a metà strada da casa sua. Pinuccio giunse poco dopo, deciso ad aspettarlo fuori, e anche noi eravamo lì, decisi a non perderci la scena. www.nove.firenze.it/leonardbundu Paolone si trovava in una prigione dorata e si stava ingozzando con pane e salame, quando Pinuccio si stufò di aspettare e andò dentro. Il destro di Pinuccio lo centrò in piena faccia, mandando lui e il panino al salame distesi sul pavimento. L'estate del 2012 è la più calda da cent'anni a questa parte e la Multipla di Pino, con l’aria condizionata al massimo, annaspa sul tratto Appenninico, mentre Antonella non fa che ricordarglielo. Il viaggio è ancora lungo, si prova con un po’ di musica. La radio è sintonizzata su frequenza 105. Michele si agita sentendo la trasmissione, io faccio una smorfia memore di un altro viaggio passato in compagnia dello zoo di 105, trasmissione dell’omonima radio che faceva impazzire gli altri occupanti della macchina, mentre a me faceva schifo. Finalmente si cambia musica. Nel porta cd Antonella pesca i Doors e la voce di Jim Morrison riempie la macchina. Dopo un po’ che la musica suona, dico: - Che band i Doors, io non avevo mai sentito niente del genere, la prima volta è stata come quando ho assaggiato i funghi fritti, ma questa che roba è? Non farò mai più a meno di questo nella vita. Ricordo il lato due della musicassetta di “Strange days”, attaccava con People are strange e My eyes have seen you, la fine del primo pezzo e l’inizio del secondo erano una sintesi che mi metteva i brividi. Il nastro TDK era bianco in quel punto. Pino risponde: - Io ci sono cresciuto con questa musica. Mi faccio passare la custodia del cd vuota, scorro la lista delle canzoni, guardo nel vuoto per un attimo, poi prendo il telefono e scatto una foto alla copertina. Il tratto appenninico è finito, abbiamo davanti strada sgombra e in pianura. Michele cerca di far funzionare il satellitare, ma il tom tom si ostina a riportare la solita frase: “Proseguire per Udine”. D’altronde non fa una piega. A turno ci scambiamo il prezioso aggeggio, ma non ne caviamo niente di buono. È sicuramente rotto, altrimenti in quattro non potemmo non farlo funzionare. Antonella si affida all’Iphone e dirige la macchina ad Udine, mentre Jim Morrison canta ancora. Le istruzioni della proprietaria del Bed & Breakfast sono precise e perentorie: - Telecomando cancello, chiave portone, la luce si accende automaticamente, chiavi delle camere. Prendiamo in consegna le rispettive chiavi, mentre lei continua: - La colazione è pronta dalle 7.30 alle 9.00, lasciate un biglietto sopra la credenza con l’ora in cui intendete fare colazione. Facciamo di sì con la testa, io pregusto il momento in cui Pino le rifarà il verso. Appena il tempo di salire in macchina. Siamo nel parcheggio del PalaCarnera, sede dell’incontro. A giudicare dal numero delle macchine siamo i primi. A pochi passi da noi c’è il superwelter Orlando Fiordigiglio, che sarà impegnato nel sottoclou. Inizia a far freddo. Io indosso i pantaloni di jeans a pinocchietto, gli stessi che indossavo a Roma, e una t-shirt. Antonella chiama Leonard sul cellulare, io vado a prendere gli accrediti stampa, ancora non ci sono abituato. Mi riunisco alla comitiva con il cartellino press che mi spunta dal petto. Dopo qualche minuto il campione europeo dei pesi welter appare nel parcheggio accompagnato dalla moglie Giuliana e dai figli, Andrè e Frida. Leonard tiene sulle spalle la solita borsa di quando fa il pezzetto di strada che dal Viale Malta porta al PalaMandela, sede dell’Accademia Pugilistica Fiorentina. Leonard, soprattutto dopo l’allenamento, ha il passo strascicato. La prima volta che l’ho intervistato l’ho notato quando siamo andati a prendere l’acqua e ho pensato: se non www.nove.firenze.it/leonardbundu l’avessi visto poco prima fare 6 riprese di guanti con Fiordigiglio, non avrei mai sospettato che quest’uomo fosse capace di certe cose. All’ingresso del PalaCarnera, il Campione dice, con il sorriso sulle labbra: - Fatemi entrare, altrimenti non si comincia. Questo - indicando noi - è il mio staff. Facciamo le scalette tutti insieme, incontriamo la statua di Primo Carnera e poi vediamo il ring. Io osservo Leonard per vedere se a poche ore dal match dalla sua faccia traspare la tensione. Non ne vedo alcuna, Leonard non accusa la pressione del match, rimane tranquillo fino a quando non è il momento di concentrarsi. Come dice il Bonci, è una della qualità del Campione che non s'insegna e che gli permette di combattere, dovunque sia, nelle condizioni migliori. La famiglia scende gli scalini e si dirige negli spogliatoi. E, se i bimbi avessero in mano un gelato e Leo non tenesse la borsa, sembrerebbe che fossero tutti lì per assistere al match. Poi vanno nello spogliatoio fino al momento dei baci. (foto 13 Michela Comisso) Noi prendiamo posto, ce n’è tanto, e incontriamo altri fiorentini: i' Giano, che alla presentazione di Leo tiene le insegne del Campione - la cintura di campione europeo -; i’ Cece, che anche lui accompagna Leo sul ring; Luca, il promettente Junior dell’Accademia, e altri fiorentini. Aspettando Leonard Bundu Difficile dire chi abbia deluso di più, fra gli spettatori presenti - alcune centinaia - e gli incontri di sottoclou. Fatto sta che il tempo passa, fra una bibita, niente birra per me (il pugilato è già difficile da inquadrare da sobri), un panino e una battuta. L’eroe del sottoclou per i fiorentini è Sandor Balogh, che a dispetto dei suoi 20 - 25 chili di sovrappeso si fa rispettare dal fisicato con l’acconciatura alla moda - cresta rossa - Fabio Tuiach, al rientro sul ring. Balogh è uno di quei collaudatori esperti cui non piace rubare la borsa, a casa gli basta riportare la pancia, già gonfia, e non la faccia. Balogh si copre bene, discreto movimento di cintura, incassa poco, insomma fa il suo match e lo fa fare al suo avversario e ogni tanto gli ricorda con qualche colpo più forte: “Fai pure il tuo match, uomo, ma ci sono anch’io”. Per questo i fiorentini gridano: GRANDE SANDOR, GRANDE CICCIO PASTICCIO, METTICELO GIÙ. www.nove.firenze.it/leonardbundu Io che sono della stampa non partecipo alla Sandormania e vedo l'incontro accanto ad Aldo Sassoli, il mentore di Fiordigiglio. Quello successivo è il match del suo pupillo. Così che posso riportarvi il suo pensiero sull’incontro del mitico Sandor: "Questi sono i match utili al rientro, rifai il colpo d’occhio, l’abitudine al match, perdi un po’ di peso”. Alla fine del match, Tuiach non farà misteri sulla sua fede in Dio e sul fatto che gli abbia ridato la speranza per combattere ancora, per crederci insomma. Fin qui, non fa una piega; ma quando dice: “Penso che Dio vuole che picchi ancora tanta gente” a mio parere scade e di parecchio, e Sandor, anche per me, diventa sempre più grande. Devo dire che le parole di Tuiach mi sono state riportate con dovizia di particolari dagli altri; io, per scriverle in maniera fedele oggi, mi sono rivisto le immagini e l’audio su youtube. Infatti nel frattempo ero andato fuori a fumare una sigaretta e a telefonare al babbo, per sincerarmi che si fosse sintonizzato correttamente su sportitalia, canale che trasmetteva il match. Bundu vs Castellucci Al rientro, Bundu è alle porte e io mi siedo al mio posto. Davanti a me c’è Giuliana, la moglie di Leonard, che inizia a dondolare sulla sedia nervosamente; anche i bimbi sono irrequieti e lei li riprende con accento campano: “State calmi, la mamma sta nervosa”. Io scatto dalla sedia, Castellucci è già sul ring, vado nello spogliatoio di Leonard, vedo gli ultimi colpi di riscaldamento del Campione, (foto 14 Michela Comisso) imbraccio la macchina fotografica e scatto, fino a che Leonard non è sul quadrato. Bundu bomaye Riprendo il mio posto. Giuliana inizia a gridare, accanto a me Pino ed i fiorentini sono in piedi e intonano BUNDU BOMAYE. Il match ha inizio, non ho mai visto Leonard così deciso ad essere Bundu bomaye. Il Bonci alla fine del match mi ha detto: “Lo voleva mettere via subito”. E infatti Leonard inizia a braccare Castellucci, che inizia a pedalare all’indietro. Già nel primo round Leo pizzica con il montante l’avversario al corpo, che non gradisce e mette il gomitino a protezione del fegato. All’angolo del campione, il Bonci e Paolo gli raccomandano di non saltare per avvicinarsi all’avversario e di accorciare a piccoli passi. Leo riparte alla carica e nel secondo round, dopo una combinazione fulminea, di quelle come se ne vedono poche, montante sotto gancio sopra, piega le ginocchia all’avversario. www.nove.firenze.it/leonardbundu L'arbitro conta Castellucci, mentre i fiorentini impazziscono e gridano ancora BUNDU BOMAYE. Castellucci si rimette in piedi, ma la sua azione è scomposta e spesso abbassa la testa, così che Giuliana grida: “Sta testa Castellu”, Pino esordisce: “Vaìa, co' sta testa mi sembra una coppa Uefa”. E ancora: “Co' sta testa del cazzo”, fino a che non finisce per prendersi con il Maestro di Castellucci. I round sono tutti uguali: Leo domina, Castellucci fa quello che può. Alla 5°, il match finisce; due testate, giudicate involontarie, aprono la fronte e la palpebra di Leonard, l’incontro è sospeso dal medico, si va al conteggio dei cartellini. Castellucci si sporge dalle corde e grida a Giuliana, allargando le braccia: “Signo’, mi dispiace, non l'ho fatto apposta”. Io sono sotto al ring, vedo la scena e in quel momento sono un tifoso di Castellucci, un ragazzo che, come dice il Maestro Vignoli, fa il muratore fino alle 5 del pomeriggio e poi va in palestra. Un pugile che ha lottato con coraggio e per quanto poteva con un Campione come Leo, e che, a detta di quest’ultimo, nelle poche volte che è stato colpito, faceva male. Leo alza le braccia, la sua vittoria è pura matematica, i giudici gli hanno assegnato tutte le riprese con un punto di vantaggio, tranne la seconda - quella del conteggio - in cui i punti sono due. Ora siamo tutti sotto al ring, io sono dalla parte opposta delle telecamere, Dario Torromeo sta intervistando Leonard. Gli addetti al ring mi spingono perché non si vede la pubblicità che ho dietro le spalle; guadagno un punto più tranquillo, ma la pubblicità e le spinte mi seguono. La verità è che, nell’immediato dopo match di Leonard, non so quello che faccio. La tensione è stata tanta, così come lo sforzo di essere concentrato, che poi mi ritrovo svuotato, ma ancora eccitato. Prima del match lo stavo spiegando a Paolo; lì vicino c’era anche Lauri, che mi ha detto: - Neanche fossi te a dover combattere. Gli ho risposto con un sorriso. Dopo match Leo è negli spogliatoi, io sono a fumare con Anna; quando abbiamo finito, le luci nel palazzetto sono accese a giorno ed è come voltare una pagina e passare a un altro racconto. Gli addetti iniziano a smontare. Sono lieto che oggi non tocchi a me, gli amici del Centro Sport da Combattimento di Firenze possono capire. Torniamo negli spogliatoi. Leo è sotto la doccia, la cintura di campione europeo dei pesi welter è sul lettino insieme ad alcune lattine di birra, le ha portate un tipo che non conosco. Presto la cintura sarà preda di Antonella e di tutti noi per le foto. Nella stanza ci sono anche Pino, Michele e il tipo che distribuisce birra. Arriva un uomo che cerca Leo, poi si guarda in giro e dice: - Non potete stare tutti qui. Pino gli risponde: - Ma te chi tu sei? E che cazzo vuoi? - Sono il medico dell’antidoping. - Uhm, Leo è sotto la doccia, vuoi una birra? - Volentieri. Leo ora si sta cambiando. Anche Frida vuol sapere chi era quell’uomo, l’uomo dell’antidoping. Leo mentre si allaccia la scarpa spiega alla sua bambina che quel signore vuol sapere se il babbo ha preso la medicina di superman, ma il babbo non l’ha presa ed è tutto a posto. Anche Leo beve la sua lattina di birra: dopo il match il campione si disidrata quasi completamente, la birra gli fa fare pipì, ormai è un rito. Al Foro Italico anche Petrucci ha voluto la sua birra, a Paolo il compito di accontentare i due pugili. www.nove.firenze.it/leonardbundu Il palazzetto ormai è vuoto, vuoto del tutto. Siamo a sedere accanto al busto di Primo Carnera, aspettando che i due pugili facciano la pipì, mentre Pino si chiarisce con il Maestro di Castellucci, spiegando che non c’era cattiveria nelle sue parole, solo sentimento. Nel Viaggio di ritorno, Pino ben giustificherà quel sentimento esagerato ad Antonella: - Una ferita può compromettere il match, e a questo punto della carriera tuo fratello non può permettersi di compromettere nulla. I due pugili non riescono proprio a riempire le provette. È tardi, ma non so esattamente bene che ora sia. Decidiamo di andare a mangiare un boccone e di sentirci dopo. Probabilmente Leo dovrà andare a ricucirsi, ma nessun problema. Per Giuliana e i bimbi non è la prima volta che vanno all’ospedale dopo un match, a Roma con quel bozzo ci fecero mattina. Il fatto strano è che nessuno dell’organizzazione si curò di accompagnarli per controllare che il bozzo fosse comunque sotto controllo. Prendiamo la macchina e andiamo al ristorante. Perdiamo Anna e acquistiamo Michela, appena la vedo iniziamo a prenderla in giro, io in maniera particolare. Ci sediamo dietro. Ormai siamo in mano alle donne che ci guideranno letteralmente, prendendo ordini dall’Iphone di Antonella, per tutta la serata. A noi sta bene la situazione ci sentiamo come ragazzini Fuori dal ristorante ci sono i' Bonci e i' Vignoli che chiacchierano in piedi; poco lontano da loro un tipo rivolge la mitica domanda al Bonci: - Ce la fa Leonard a fare il mondiale? Il Bonci increspa le labbra e dice: - Mah. - Come mai rispondete tutti mah? - Il fatto è che in America non interessa un uomo di 38 anni. Mi ci è voluto un po’ di tempo per riportare quella frase in un articolo, non ne avevo voglia. L’occasione me l’ha data la rinuncia di Zaveck a sfidare Leonard. L’articolo è “La rinuncia di Zaveck allontana il sogno mondiale di Bundu”, su "Nove da Firenze". Mentre noi continuiamo a chiacchierare, le donne efficientissime sono all’interno del ristorante per procacciarci una cena fuori orario; dentro ci sono anche il promoter di Leo, Loreni, i membri del suo staff e l’arbitro dell’incontro, Massimo Barrovecchio. Barrovecchio è un grande arbitro, spesso si vede negli incontri dei Klitschko e nei mondiali WBC in genere; l’ho visto nel pubblico ad Arezzo per Nicchi vs Salvemini. Avrei voluto stringergli la mano, cosa che non mi verrebbe in mente di fare a Collina. Questa è una delle differenze fra Boxe e calcio. Cena Mi squilla il cellulare: è Antonella che ci avverte che la cena è pronta. La cameriera ci fulmina con gli occhi tutte le volte che si avvicina al tavolo. Ha ragione: è tardissimo. Mangiamo un primo condito con del sugo verde, probabilmente rucola, affettati e formaggi, gli altri bevono acqua e vino, io prendo una birra. Dopo cena Siamo di nuovo fuori a intrattenerci con il Bonci e il Vignoli; con noi c’è anche il tipo della birra e un altro che non conosco. Il Bonci racconta di Pino, di quando andarono a tirare, non mi ricordo dove, e prima di salire sul ring Pino disse: - Un mi capiterà mica un mancino. - Ma va', sarebbe un caso. Allora i pugili combattevano tutti nella loro guardia e i mancini puri erano rari come ora. Successe il caso, e il Bonci recuperò la situazione ordinando: - Gira all’incontrario - ovvero dalla parte opposta del mancino dell’avversario - e tira tutti i destri. www.nove.firenze.it/leonardbundu Pino parla ancora di un suo incontro. Stava vincendo alla grande, quando prende un destro alla tempia, e va giù. Si rialza dopo il conteggio dell’arbitro e dice: - Sto bene, sto bene. - Anch’io, out - aggiunge l’arbitro. Pino racconta ancora, alzandosi e mimando il passo del pugile scosso e aggiungendo: - Parevo Pippo, quello di Topolino, mentre tornavo all’angolo. Si parla anche di me, e il Bonci dice: - Su di lui ci avevo fatto un pensierino... Pino riprende: - Non ha avuto le palle. - Non è vero - ribatte il Bonci. - Non è vero - faccio io. Già, non è vero. Manco per un secondo, ricordando la stanza del mezzo incubo in cui ho dormito alcune notti nel 1987. La stanza del mezzo incubo Il pugilato mi è entrato dentro. È vero, ci è voluto un bel po’, pensando ai tempi di un diciassettenne che viaggia con benzina e accendino sempre pronti; ma ora lo sento dentro. Il Bonci ha smesso di incavolarsi con me. Una volta mi ha fermato durante una sessione di guanti e levandomi i guantoni ha detto: “Non si può fare il pugilato con il peso del corpo in avanti”. Un’altra volta mi ha legato il braccio destro con una corda perché colpendo il sacco con il sinistro mi scoprivo sollevando il gomito destro, e anche se era più per scherzo che per altro, era sempre un modo di riprendermi. Ora, invece, mi dice cose come “sei migliorato”,” se avessi un destro come il tuo lo tirerei sempre” e me lo dice tutte le volte che mi vede in palestra, cioè almeno quattro, cinque volte la settimana. Il sabato vado a correre e quando vedo uno specchio faccio il pugilato a vuoto. Nell’ingresso a vetri del portone dei miei genitori ho boxato più round che un incontro europeo. La Boxe mi ha asciugato e anche se ho passato di diversi centimetri il metro e 65 di Ray Boom Boom Mancini - il mio pugile preferito - ormai sono del suo peso, sono un superleggero, 63.5 kg, e vorrei che questo titolo venisse prima del mio stesso nome: "il superleggero Massimo Capitani". Ho caratteristiche da tecnico, gambe poco divaricate e senso del tempo; a differenza di Boom Boom non sono un attaccante, ma più un incontrista. Spesso faccio i guanti con ragazzi che devono esordire come me il prossimo anno, il 1988. Altre volte con ragazzi più esperti. Spesso ci scambiamo belle mazzate con Renato, Renato Recinos: lui passa il tempo sotto la corda di guida imparando a muovere il corpo per schivare i colpi dell’avversario per poi lanciare i suoi tremendi ganci. Il classico picchiatore. Un giorno è passato due volte sotto il mio destro scagliando il suo gancio sinistro e il Bonci alla seconda legnata decretò lo stop, quello che faceva sempre quando i guanti diventavano troppo pesi. È questo quello che sogno, anzi sognavo, nella mia camera. Poi ho iniziato ad avere le vertigini, il letto ha cominciato a prendere il volo. Succede tutte le volte che chiudo gli occhi, tutte le volte che faccio i guanti in palestra. La prima volta che succede piango dallo spavento, cerco di pensare alla “stanza del mezzo sogno” di Mohamed Alì, quella che il più grande descrive nel suo libro quando parla della strana dimensione in cui ti spinge un pugno che ti manda sull’orlo del K.O. È uno stato che devi imparare a riconoscere e ad assecondare, se non vuoi farti abbattere da un altro colpo che ti manderebbe a nanna definitivamente. www.nove.firenze.it/leonardbundu Ma non funziona, non funziona manco per un secondo. Per il momento non dico nulla a casa, in palestra inizio a trovare scuse come “mi fa male una mano”. La volta in cui non ho più scuse, sul ring sono nervoso, in tensione; il Bonci se ne accorge e me lo dice. È come tornare indietro, indietro di parecchio, quando non mi sentivo un superleggero, proprio come adesso. Alla fine ho trovato il coraggio e ho vuotato il sacco. Il babbo è andato a parlare con il Bonci e ho fatto gli esami vestibolari. Ti stendono su un lettino e ti mettono un liquido dentro le orecchie, ti gira tutto, sembra perfino peggio di essere nella stanza del mezzo incubo dove fino ad ieri sognavi di essere un pugile e ora ti vergogni di essere un ragazzo. Gli esami li portiamo a far vedere al dottore della struttura sanitaria. Ricordo che siamo stati in Viale Matteotti e ricordo perfino il nome del dottore, Accrocca. Lui dice che si è alterato il mio senso dell’equilibrio e che il pugilato è pericoloso. Continuo ad andare in palestra. Il Bonci e il babbo parlano ancora e alla fine si decide di andare con gli esami in mano dal dottore della Federazione di Pugilato. Non ricordo il suo nome, ricordo che faceva ambulatorio dalle parti di via Bronzino. Ora siamo nella sua stanza, io il babbo e il Bonci; lui ha gli occhi sul risultato delle analisi, il dottore parte dalla firma del medico che ha valutato gli esami: - Accrocca, è un buon nome - ci pensa un attimo, poi continua - nel caso in cui il ragazzo prendesse un cazzotto forte, un cazzotto fuori dal normale per intendersi, potrebbe diventare sordo o perdere l’equilibrio. Se volete, possiamo fargli fare la visita a cui tutti i pugili si sottopongono prima di passare professionisti. La mattina dopo getto la spugna: sono out e sarò fuori dal pugilato per tanto tempo. Rientrarci dal bordo ring, con la penna stretta in mano e il cuore che batte per la Boxe e la Scrittura, sarà un successo. E anche se adesso non sono più un superleggero, non importa, ora finalmente non importa più. Il sesso forte È deciso: andiamo via, Michela è già in macchina e Antonella minaccia di lasciarci lì. Saliamo in macchina e lei parte. Antonella dice: - Il conto l’ha pagato... - segue il nome, ma non lo capisco, capisco solo che è il tipo delle birre. Ho la lucidità di ringraziare, prima che in macchina scatti la rissa, infatti dietro si scatena un "tutti contro Michele", che è ripetutamente colpito con carezze amichevoli. A dire il vero non sono ubriaco, ubriaco vero: la birra ha sciolto la tensione del match, lasciandomi una bella eccitazione, e di dormire non ne ho propria voglia. Antonella è stanca e furibonda, il giorno dopo mi dirà: - Ti avevo conosciuto per un bravo ragazzo, prima della trasformazione dott. Jekyll/mr. Hide. Sono onorato di questo paragone: amo Stevenson, lui doveva fare l’ingegnere, come tutti nella sua famiglia, ma il suo fisico malaticcio non glielo consentiva. Costretto per lunghi periodi a letto, non gli restava che far viaggiare la fantasia, e più tardi l’avrebbe fermata su un foglio di carta. Lui è uno di quegli scrittori che ti fa venire voglia di provare a Scrivere, un po’ come Hendrix, Maradona e Leo. Dopo aver letto “Il ladro di cadaveri” dello scrittore scozzese, scrissi il mio primo racconto noir. Il primo a scendere dalla macchina è Guido, così si chiama il tipo delle birre, che è anche il suocero di Leonard, lo so perché appena ripartiamo lo chiedo. Alla fermata successiva scendono le ragazze, che dormiranno nello stesso appartamento; ci fanno mille raccomandazioni, e un ultimatum: “spengiamo il cellullare”; ma forse è un penultimatum. Il nostro Bed & Breakfast dista un paio di chilometri, ma sbagliare alle 3 del mattino sarebbe un casino. Nel nuovo silenzio mettiamo in funzione il nostro navigatore www.nove.firenze.it/leonardbundu naturale, sviluppato quando la tecnologia non c’era e per tornare a casa, nelle torbide serate dovevi far conto solo su di te. Dopo pochi minuti siamo a destinazione. Ripetiamo le consegne della padrona del Bed & Breakfast, compreso il messaggio con l’orario della colazione; poi svelti e in silenzio raggiungiamo le nostre camere e ci salutiamo. La stanza dello scrittore So quello che devo fare: mano alla sacca del computer, presa collegata, blocco degli appunti, musichetta di windows, e si parte. Ricordo di aver scritto fino al mattino cercando di non pensare al finale che avevo già in testa. I galli si rispondevano nella campagna, dalla finestra veniva un bel fresco e la luce del mattino, dopo che non hai dormito, ha sempre un’altra tonalità. Poi ho preso il telefono e sono andato alla foto della copertina del cd. Ho visto come si scriveva waiting for the sun, non era certo l’ora per mettere alla prova il mio inglese. Non mi rimaneva che mandare il pezzo. Ho preso la chiavetta internet e sono andato sulla mia posta elettronica. Connessione lenta, ma alla fine ero sulla mia Gmail e non mi rimaneva che allegare il pezzo. La connessione è sparita, ho fatto un paio di tentativi e poi ho spento tutto, ho caricato la sveglia sul cellulare alle 8 e sono svenuto. Risveglio Al terzo trillo sono già con la mano sul cellulare, non possono girarmi le scatole e chissenefrega se ho dormito tre ore: Leonard è il campione d’Europa, io mi farò una doccia e poi penserò al mio pezzo, sono ancora in Viaggio. Connessione ok, pezzo mandato. Busso alla porta di Pino e Michele: cavolo, anche loro sono del mio stesso umore. La colazione ci dà un'ulteriore carica e io sono così contento che perfino mi interesso all’arredamento della casa. Siamo in partenza, ringraziamo e salutiamo la signora del Bed & Breakfast. Ancora un altro caffè prima di andare dalle ragazze, poi con loro raggiungiamo in albergo Leo e famiglia. La famiglia esce dall’albergo. Leo ha un cerotto sul sopracciglio, sono stati al pronto soccorso, ma non dopo il match: si era fatto tardi, così sono tornati la mattina. Quattordici i punti di sutura. Dietro la famiglia c’è anche Santos Medrano, l’avversario di Fiordigiglio: ha la faccia da killer, del quadrato s’intende, chiedete a Zamora. Rimaniamo nel parcheggio per un po’, qualche telefonata, qualche chiacchiera; poi, il vento che scuote la carrucola di una gru a torre sistemata sulla nostra testa ci consiglia di andare. Facciamo un giro per Udine, ma non so dove siamo esattamente: sono un passeggero che sta registrando emozioni. Ci fermiamo a un bar, sosta per un caffè poi di nuovo in macchina verso il ristorante. Ampio parcheggio e una tenuta con verde: è un posto per ricevimenti, matrimoni e altro. Andrà benissimo per festeggiare il confermato Campione d’Europa. Siamo una bella tavolata. Pino inizia a prendere di mira il principale che si prodiga a spiegare piatti e portate, e non mollerà fino alla nostra partenza. È il momento di fare la foto con Leonard, a dire il vero è un po’ che l’avevo in mente. Nello scatto abbasso gli occhi un po’ emozionato. Il mio articolo è già on line, Pino lo legge e si congratula, poi aggiunge: - Ci sono anch’io! - Ci siamo tutti, non potevo lasciare fuori i miei compagni di Viaggio. www.nove.firenze.it/leonardbundu A pranzo mi trovo davanti a Leo. Ho il buon gusto di non chiedergli notizie sul suo futuro e cose simili… Lui si vuol solo rilassare, mangiare e bere; il resto può aspettare. Mangiamo bene, anche se un po’ ci fanno attendere; Pino lo dice apertamente al principale e lui ribatte: - Se volete, accendo il microonde. È tardi, dobbiamo andare; Firenze e i rispettivi impegni aspettano tutti noi. Michela ci segue, è sicura di far funzionare il navigatore e infatti ci riesce in tre secondi. Non rinuncio a farle ancora una battuta mentre ce ne andiamo. Udine Firenze Sono dietro con Michele che è agitato come è naturale per un ragazzo di 15 anni, cosa incompatibile con la voglia di un quarantaduenne di chiudere un po' gli occhi e di tirare il fiato. Si finisce per parlare del prossimo match con Zaveck: Leo è pronto a sfidare lo sloveno a casa sua. Io sono scettico, non certo sulle qualità di Leo, ma sui verdetti casalinghi di cui continuo a non fidarmi. Sappiamo invece com’è andata. Zaveck, che sa di rischiare con Leo, non ha accettato; lo avrebbe fatto solo se la sfida fosse valsa per una semifinale mondiale, ma questo non è stato. Siamo sempre lì a rimpiangere questo mondiale che non viene, invece di goderci lo splendido Viaggio europeo con Leonard Bundu. Il più grande campione europeo del mondo. Leonard Bundu vs Ismael El Massoudi (Francia) 3° difesa del titolo d’Europa pesi welter 1 Dicembre 2012 - Rezzato, provincia di Brescia Altra roba Quando Leo entrò all’Accademia, il Bonci lo mise, come metteva tutti, allo specchio a tirare il sinistro, in attesa, quando il colpo con la mano davanti fosse stato metabolizzato, di tirare anche il destro. La maggior parte delle persone è destrorsa e porta, in posizione di guardia, il braccio sinistro avanti. Il Maestro già dopo un’occhiata si rese conto che quel ragazzo non era come tutti gli altri ragazzi e che le cose le imparava subito, bastava solo fargliele vedere una volta. In seguito, come mi ha raccontato lo stesso Bonci, quel Maestro capì che quel ragazzo faceva cose che neanche gli erano state fatte vedere: “Una sera, durante una sessione di guanti, Leo aveva all’incirca una decina di match, lo vidi fare un’azione con la guardia normale, poi, cambiare guardia - con il braccio destro in avanti - e continuare a colpire e a spostarsi come se nulla fosse. Rimasi zitto e osservandolo mi sembrò che tutto fosse corretto, naturale.” Da quel giorno, il cambio guardia divenne il marchio di fabbrica del Campione - uno dei suoi marchi di fabbrica - un’arma propria per disorientare l’avversario e avvantaggiarsi. Come avvenne a Berlino per la difesa del titolo dell’Unione Europea, quando al termine della 1° ripresa all’angolo gli fu consigliato di boxare sempre in guardia normale, e così lui fece. Tanto, per lui non c’è differenza. Quando andavo in palestra io, tanti e tanti anni fa, i pugili che lavoravano sulle schivate si esercitavano alla corda di guida, una corda che veniva tesa all’altezza del volto dell’atleta e che rappresentava la linea di colpi dell’avversario. Il pugile doveva passare con la testa e il busto sotto la corda, variando da sinistra a destra, e poi doveva lanciare per primi i www.nove.firenze.it/leonardbundu colpi con la mano con la quale usciva. Se usciva a sinistra, ad esempio, metteva il montante sinistro e poi continuava la serie. Le schivate nel pugilato moderno sono meno evidenti e a volte si schiva a destra e poi si rientra con il gancio sinistro. È quello che all’angolo prende il nome di “incrociare l’avversario”. Leonard Bundu vs Ismael El Massoudi durò solo 2 minuti e 42 secondi, lo spazio di un lampo. Il lampo di quel gancio sinistro incrociato (foto 15 Michela Comisso) (foto 16 ©MONICACALEFFI) che si è abbattuto come un treno sulla mascella di El Massoudi, spengendo le luci del pugile franco marocchino. Rezzato, chi era costui? www.nove.firenze.it/leonardbundu Rezzato è un po’ come Carneade, nonostante dubiti - e a buon diritto - delle mie conoscenze. Anche i miei amici dottorati e masterizzati non conoscono il comune in provincia di Brescia, ma dopo un giro in rete siamo tutti più colti, almeno a parole. La formazione per Rezzato è uguale per ¾ a quella di Udine, infatti siamo io, Beppe, Michele, non c’è Antonella mentre c’è Luca, un amico di Pino. Niente commenti, per favore. In macchina ce ne stiamo per lo più zitti. Luca è assonnato, Pino guida, io mi adeguo e Michele ancora non ha preso il via. Anche stavolta non siamo riusciti a far funzionare il tom tom, Luca lo ha acceso in autostrada e così il segnale ha dato di matto. Ci facciamo guidare dalle indicazioni cartacee che ho cercato su internet e visto che le prossime sono di trovare il cartello che indica Brescia-Padova siamo tranquilli, anche se “tranquillo - come si dice - ha preso 20 anni di galera”. Io me ne sto a pensare per conto mio, forse la mia testa è rivolta al “Viaggio con Leo”; forse è da un’altra parte; quando Pino ha un sussulto e dice: - Ma qui in dove si va? Io l’altra volta - parla di Bundu vs Moscatiello - non sono mica passato di qua. La macchina si rianima, io controllo le carte nautiche e ribadisco: - L’abbiamo trovato Brescia-Padova? Mi rispondono Pino e il risorto Luca che giurano: - No. Il paesaggio che ci sta sulla sinistra, montagne e cascate d’acqua, indica però che qualcosa non va e che bisogna spostare la nostra attenzione su qualcos’altro se vogliamo viaggiare con Leo. Il cartello che segnala pochi chilometri a Trento ci leva gli ulteriori dubbi e consiglia la fermata al primo autogrill, a meno che non si voglia cenare a wurstel e birra. Beppa Giosef Io non mi sarei mai sognato di vedere Beppa Giosef in carne e ossa, meno che mai all’autogrill quel pomeriggio. E invece lei era lì a pochi passi da me, e anche se non aveva il sigaro in bocca, era lei, era Beppa, anche se travestita da lavavetri. Beppa Giosef è un personaggio di Alan Ford, fumetto che ho imparato presto ad amare mentre i miei coetanei leggevano il sempreverde Topolino - grazie a Mauro, mio fratello maggiore, che li seminava per casa. E così, mentre fissavo il brufolo sul nasone di Beppa, assorbivo tutte le informazioni per tornare indietro e prendere la Milano-Venezia, poi non si doveva proseguire per la città da bere, ricorderete la pubblicità, o da pere, come diceva un tipo che conoscevo, ma verso Peschiera. Fatto sta che stiamo a cavallo, e che se non facciamo ulteriori cavolate a Rezzato ci arriviamo in orario. E poi Pino dice: - Che ci vuole, prendiamo la funivia - indicando i monti - e arriviamo. Buco chi non sa usare il tom tom “Buco chi legge” era il messaggio che perfino alle elementari trovavi scritto sui muri; qualcuno in seconda elementare scrisse con le tempere nel bagno dei maschi “buco chi lege”. E si beccò di ciuco dalla maestra davanti a tutta la classe. Ovvio che come l’offesa era incomprensibile allora, lo è anche ora, anche se per motivi diversi. Ma insomma, ora siamo finalmente all’uscita Brescia est e dobbiamo trovare l’albergo che le indicazioni suggeriscono molto vicino. La macchina è ferma, la radio spenta, il cervello acceso, dobbiamo suggerire al tom tom dove andare. www.nove.firenze.it/leonardbundu Ci siamo, i parametri sono quasi tutti impostati, aspettiamo che la vocina della signorina tom tom ci guidi, invece arriva quella di Luca, che, svoltando il collo a sinistra arriva sulla destinazione e dice: - Eccolo lì. Il Best Western Il Best Western è una di quelle catene di alberghi internazionali dove niente è affidato al caso. Fai la prenotazione on line e stai sicuro che, dopo il soggiorno, ti arriva la mail che ti chiede il grado di soddisfazione del servizio, eventuali annotazioni, lamentele, ecc. Poi seguono altre mail con offerte imperdibili, delle quali puoi non tenere conto, così come puoi cancellarti dalla mailing list, ma loro comunque non lasciano niente al caso. E infatti niente da dire: a un prezzo conveniente hai una bella camera, un bel servizio e un’ottima colazione. Cosa che ci vuole - la colazione, intendo - visto che Pino in sede di prenotazione mi ha detto: - Prendi l’offerta con la colazione, che un caffè ci vuole per mandar giù il cherosene della sera. Unico neo del Best Western, la vicinanza all’autostrada che anche la notte non smette di fare rumore. Prendiamo possesso delle camere e subito le abbandoniamo: direzione palasport di Rezzato. Faccio in tempo a fare una telefonata ad Anna Sgarbi, che super carina come al solito mi ha riservato due pass per me e il fotografo che non c’è, e poi ha aggiunto: - Chiamami se hai bisogno. Direzione Rezzato Stavolta non ci frega nessuno: il tom tom fa quello che abbiamo in mente portandoci vicino al Palasport. Il camion attrezzato della Rai ci dice che siamo sul posto giusto. A Rezzato piove, ma se anche ci fosse un sole che spacca le pietre il Palasport ci apparirebbe per quello che è: una struttura che è poco più di una palestra. All’esterno, sotto una tettoia, hanno allestito dei tavoli e una cucina che sforna le solite cose, anche se la salsiccia i locali la chiamano "salamella", più il formaggio fuso. Davanti al Palasport di Rezzato sembra però di essere al PalaMandela. Infatti ci sono: i' Bonci, Paolo, i’ Giano, Monica, Giulia e noi. Entro a ritirare i pass e a dare un occhio in giro. Il mio accredito è nominale e non è nella busta destinata a "Nove da Firenze" con quello del fotografo. Chiedo se posso ritirare anche il pass del fotografo Corrado Sacchi, ma l’uomo della sicurezza mi dice, laconico, lapidario e molto accigliato: - Può prenderlo lui quando arriva. Sono dentro, e da dentro la palestra ha un'unica tribuna e poi il bordo ring. È presto e c’è poca gente, ma tutti hanno un pass al collo, mi sa che l’incasso è magro e hanno stretto le maglie per chi s’imbuca. Sono di nuovo fuori. Leo e famiglia sono arrivati. Facciamo la conta per vedere a chi manca il pass e Leo prende gli esclusi e li accompagna dentro, ma qui siamo a Rezzato e non a Udine e non si passa. Torno fuori e vado da Luca che è rimasto un po’ defilato: gli dico di andare dentro a prendere il pass per Corrado Sacchi, così anche lui è sistemato. Giuliana mi sorprende da solo a fumare una sigaretta, mentre i miei compagni sono a mangiare, e mi chiede con il portafogli in mano: - In quanti siete rimasti fuori? - Alla fine in due. - Ok - e mette mano al portafogli. - Aspetta, Pino non vuole che pagate voi. - È Leonard che lo vuole, siete venuti fin qui per vederlo. Non so che dire e, intanto che ci penso, Giuliana è già tornata con i biglietti. www.nove.firenze.it/leonardbundu Raggiungo i miei compagni al tavolo, tiro fuori i biglietti e appena Pino mi guarda dico: - Giuliana me li ha messi in mano. Poi vado a fare il buono per il pasto: visto che non posso bere niente, mangio come un lupo e a quello che avrei comunque mangiato aggiungo il formaggio fuso che mi serrerà lo stomaco per tre giorni di fila. Con Luca ci sistemiamo a bordo ring, proprio davanti al tavolo degli altri giornalisti, mentre Pino e Michele sono dietro le transenne, da veri ultras. Metto la macchina fotografica al collo di Luca, sopra il pass, e inizio i miei soliti giri. Capito nei pressi della postazione di Monica Caleffi, la mia amica e fotografa per questa sera, che si è sistemata in posizione di luce favorevole in compagnia di altri suoi colleghi. Quando arrivo sta giocando a chi ha l’obiettivo più grosso con il suo vicino; le sue macchine, due, sono sul tappeto del ring come fiches. Visto che lei non può mollare di un centimetro la guardia, le prendo una sedia così che potrà riposarsi. Dall’altra parte del ring c’è Michela Comisso, la vedo che fa da baby sitter ad Andrè e a Frida; poco più in là c’è la loro mamma. Mi avvicino con circospezione e, con le spalle coperte dai bimbi, approfitto per fare un saluto a Michela, lei mi risponde come se nulla fosse. Sollevato, faccio un altro giro e porto una birra a Monica. Fuori trovo Guido, l’uomo delle birre; gli offro una birra, ma lui dice di no. Il tempo delle birre verrà dopo. Il sottosottoclou Non è che questo sottoclou sia peggio di quello di Udine; ma forse è proprio la ripetizione della brutta edizione del PalaCarnera, dopo i contorni interessanti di Firenze e Brescia, che mi induce a ripetermi. Alla fine della fiera solo il match di Brunet Zamora, che invecchiando scende di peso invece di salire, è un discreto match. "El Italian Salsero" infatti - al rientro sul ring dopo la sconfitta europea - vince senza aver bisogno di strafare e rispetta fino in fondo Michael Carrero, andando a segno proprio alla scadere del match, con un colpo che fa sputare il paradenti all’avversario. Per il resto Ouerghi va K.O. per un gancio sinistro, tanto violento quanto scontato, del suo avversario Sabau. Leo, che era con lui nello spogliatoio, gli aveva detto "in bocca a lupo", così, appreso l’esito del match, agli altri pugili compagni di spogliatoio non ha detto più nulla. È uno di quei K.O. terribili, da silenzio in sala. Ouerghi sottoposto alle immediate cure del caso dimostra di stare bene, come poi sarà. Il peso medio Murgia, gran fisico, ha la meglio su Markovic alla seconda ripresa. Nonostante la netta vittoria, Murgia, come dicono in palestra, “becca troppo”, ovvero prende troppi cazzotti, e secondo me il peso medio sardo è da rivedere con un avversario più preparato anche a livello fisico; Markovic respirava a bocca aperta a metà della prima ripresa. Visto il record di Murgia, 10 vittorie su 10 match, gli avversari arriveranno. Neanche quello di Esposito con Garcia è un bel match, ma i pugili che vengono dal team Ortiz-Nicaragua, come l’avversario di Zamora, anche se sono dei collaudatori, non sono facili per nessuno, insomma non ci stanno a prenderle. Forse è il momento di spiegare chi sono questi pugili "collaudatori" e così parliamo anche di Ortiz. I pugili collaudatori sono quei pugili che partono perdenti, e lo sono quasi sempre. Per il fatto che nessuno chiede loro di vincere, e se lo fanno magari non li chiamano più, combattono molto di più degli altri pugili, ai quali servono per testare le loro condizioni in previsione dei match importanti. Combattono per la borsa e oltre a quella a fine match incassano i colpi dell’avversario, l’importante è non prenderne troppi perché la testa è come un salvadanaio senza buco sul fondo, e quello che entra non esce. Quando il salvadanaio è pieno, è l’ora di smettere. Ortiz è uno che a 43 anni il salvadanaio non lo ha ancora pieno, infatti il pugile colombiano combatte ancora. Diversi dei suoi match li ha disputati in Italia - ecco perché parlo di lui con cognizione di causa, attribuendogli anche www.nove.firenze.it/leonardbundu delle frasi precise. Ortiz ha messo insieme più di 50 match con un'altissima percentuale di sconfitte, eppure non ha la faccia pesta. A vederlo sembra più un rapper trentenne con cappellino da baseball e medaglione al collo, dalla faccia pulita, una faccia che però incute rispetto, quando, riferendosi al pugile che poi lo sconfiggerà, dice: “Ehi amico, vacci piano sennò ti picchio”. Una volta l’hanno chiamato a mezzogiorno per la sera, lui ha fatto la corsa ed è salito sul quadrato. Ha combattuto con Rotolo, e lo ha messo al tappeto perché non faceva piano, poi comunque ha perso. Se vi state chiedendo se il ragazzo combatta ancora, ve lo dico subito: Ortiz ha combattuto l’8 Marzo e lo vedremo combattere prima di Leo al Tendastrisce. Quando hai 43 anni bisogna combattere spesso, anche perché tempo ne rimane sempre meno. Alla fine arriva anche il match di Tuiach. Stavolta il triestino, concittadino di Italo Svevo, se la vede con Bogdanovi, che oltre ad avere una forma fisica sformata non ha né il mestiere né la tecnica di Sandor Balogh. Ne viene fuori un match brutto e al rallentatore; per questo il solito Pino, al momento in cui l’arbitro apre il round dicendo "Boxe", gli fa eco: - Ma boxe, però. Il match si chiude nel minuto di pausa della terza ripresa, con Bogdanovi che accusa un dolore alla spalla destra, i giudici decretano il K.O tecnico, ma a casa mia si chiama abbandono. Non manca, come al solito, l’intervista a Tuiach. Il pugile triestino, mentre si tormenta l’elastico dei calzoncini con il pollice del guantone, forse tradito dall’emozione, lancia la sua sfida a Modugno per il titolo italiano di categoria. Un incontro che mette curiosità nell’ambiente, anche se ci vorrà un po’ di tempo perché si concretizzi, visto che Modugno per il momento ha altri progetti. Ma qui alla fine si perde di vista l’obbiettivo di questo viaggio, e così torno a ricordarmi di me stesso subito dopo che Zamora e il suo cappello sono spariti. Infatti sono lì che inforco la strada che porta fuori per fumarmi l’ultima sigaretta. Nel corridoio che sta in mezzo tra lo spogliatoio dell’angolo rosso, di Bundu, e quello blu, di El Massoudi, vedo il Bonci che guarda in direzione dell’altro spogliatoio, dove l’avversario di Leo sta facendo le figure con il suo Maestro. Conosco, conosciamo, quello sguardo e forse non ci penserei più di tanto se appena fuori dal Palazzetto non trovassi la Giulia, che non è la vettura anni ’70, ma la Giulia dell’Accademia Pugilistica Fiorentina che, anche lei in versione Smokers, dice: - Non ho mai visto Ale così - lei è l’unica che il Bonci lo chiama così. Io abbozzo un: - È preoccupato per l’avversario, uno che ha esperienza, uno che sa fare la Boxe... - Sì, ok, ma Leo è Leo. Non c’è più tempo per sigarette, pisciatine, birre e noccioline, perché LEONARD BUNDU è sul ring, e io ho appena il tempo di dire al mio socio, che ormai è talmente calato nella parte da essere una poltroncina del bordo ring: - Su, fai qualche foto. Il match Alla fine Leo, pur non buttandosi come con Castellucci, non ci pensa più di tanto a far sentire i suoi pugni, e infatti prima dell’incrocio becca El Massoudi due volte, almeno al corpo, e una volta con il gancio sinistro in uscita. Insomma, un’entrata da campione, un’entrata da Leo. Poi, quando il cronometro segna 2 minuti e 42, il gancio sinistro abbatte El Massoudi. Il franco marocchino si rialza - anche se le gambe s’incrociano l’arbitro lo conta e poi quando lo chiama vicino per stringergli i guantoni e sincerarsi delle sue condizioni lo guarda in viso e decreta lo stop. Leo alza ancora una volta le braccia al cielo da Campione d’Europa. (Foto 17 ©MONICACALEFFI) www.nove.firenze.it/leonardbundu C’è chi dice che lo stop è stato troppo affrettato, soprattutto per un campionato europeo; io sono dell’opinione che il match era finito, il pugile franco marocchino era groggy e la sua fine sarebbe arrivata, visto che il termine della ripresa era a un passo, nel secondo round. Prima del match avevo parlato di questo El Massoudi. Tutti, a partire dal Bonci passando per Paolo fino ad Alfredo Bruno, avevano detto che era uno che sapeva fare il pugilato; del pugile francese avevo seguito i due video su youtube, la bella vittoria su M’Baye e la tremenda sconfitta con l’argentino, tagliagole, Chaves, e proprio parlando con Paolo avevo avanzato qualche dubbio sull’integrità del franco marocchino dopo il tremendo K.O. Andatelo a rivedere. Paolo aveva minimizzato e sul mio articolo di presentazione del match ero stato cauto anche io, rimarcando però il tremendo K.O. e il fatto che al nostro Leo era affidato il compito di verificare se la Tempesta, "Desert storm" è il soprannome di El Massoudi, era ancora intensa o si era ridotta di potenza. Terzo tempo C’è un gran casino sul ring. Io sono appena sotto mentre Anna Sgarbi passa il microfono della Rai a Leo, visto che "mamma rai" non ha potuto mandare nessuno a fare la telecronaca. Vedo Anna che scavalca le corde e vuole scendere, ma c’è troppa ressa; mi offro di prenderla, lei si offre di essere presa. Sono goffo e senza volere le metto una mano sul culo, lei mi dice: - Se volevi toccarmi potevi dirmelo. E il mio viso diventa del colore dell’angolo rosso. Il palazzetto si sta svuotando e io che ho recuperato il mio colore naturale sono a chiacchiera con Anna e Michela. Parliamo di racconti noir e di altre cose, così confesso a Michela che avevo un gran timore di aver esagerato la scorsa volta. Sentite la sua risposta: - Sono abituata a queste cose, avendo molti amici maschi. Io sorrido e lei continua: - Sì, ma sono amici. Incasso la battuta e continuiamo a chiacchierare. In fondo la legge che parla dei due sacchi, uno per darle e uno per prenderle, vale anche per le battute. Qualcosa si smuove, Leo ha fatto l’antidoping a tempo di record, oggi gli viene tutto veloce, e sta chiacchierando in buon inglese con il clan di El Massoudi che ha le orecchie ciondoloni come i breton francesi. Leo gli dice che aveva accolto con favore la notizia di combattere, dopo Moscatiello e Castellucci, con un avversario di spessore internazionale. Poi Leo allarga le braccia e dice: "È andata così." Come a volersi scusare del K.O. www.nove.firenze.it/leonardbundu La postazione ora mi offre il foglio word di un collega che sta battendo il suo pezzo. Mentre leggo credo proprio che un lavoro così lo saprei fare anch’io, e magari lascerei strare il solito annuncio del prossimo mondiale per Leonard Bundu, che ormai sembra la novella dello stento, e darei notizie certe appena possibile. Non voglio sminuirmi con quel credo, ma è un po’ la difficoltà che tutti gli autodidatti hanno quando si confrontano con chi ha fatto il percorso istituzionale. Alzo le spalle, ma già penso a come sarà il mio pezzo. La serata continua a cena da qualche parte. La nostra comitiva ne farebbe anche a meno: dopo l’euforia del match viene fuori la stanchezza arretrata, accumulata in letti insonni e bar sempre aperti. Ma Michele, il cucciolo del gruppo, vuole proseguire la serata e quindi si va a avanti. Siamo alla tavolata di Leo. Manco abbiamo digerito la prima cena che siamo alla seconda, che atleti. In più devo prolungare la mia astinenza dall’alcol, visto che mi hanno eletto autista della serata. Rimpiango Michela, che non so proprio che fine abbia fatto. La mente sveglia mi dà l’opportunità di beccare, anche se in maniera parziale, il colloquio che si svolge alle mie spalle: il Bonci, che sta andando via con Paolo, saluta Leo e gli dice che durante la preparazione ha trovato in lui qualcosa di diverso dal solito, forse perché lo dico io - era stufo di vedere il tempo passare senza valorizzare il suo titolo. Fatto sta che il Campione risponde: - Sì, ma ho visto che non eri preoccupato. - Non mi sono fatto vedere che lo ero, è qui che sta la psicologia. Il Maestro se ne va, noi rimaniamo, ma ancora per poco. La serata è finita e anche se paga Loreni, il promoter di Leo, quando è finita è finita, è inutile insistere nel divertimento, come dicevano gli "Amici miei", ed è bello che questa cosa la capisca al volo Michele che quella coda al divertimento l’ha voluta. Notte da Campioni Il ritorno al Best Western è un lampo, grazie al navigatore che ci assiste passo passo. Io dormo con Luca, ma prima di dormire devo scrivere il pezzo, così mi sistemo nel tavolino nel corridoio davanti al bagno con la luce del lavabo accesa, nonostante il mio socio affermi che dormirebbe anche in un pozzo. Batto sulla tastiera per un’oretta, controllo il pezzo e so che devo sottolineare che il commentatore della rai non c’era, credo che non lo dirà nessuno; ma il bello di essere un battitore libero e autodidatta è anche questo, solo devo trovare le parole giuste che non trovo. Allora mando il pezzo così, i redattori poi lo inseriranno la mattina. Saranno le due e mezzo almeno e sono troppo cotto per cercare le parole. Le troverò il giorno dopo, dopo una breve telefonata al Direttore, visto che il pezzo non era stato messo ancora in rete. È l’ora di stendersi, tutti hanno bisogno di riposo. Il mio socio se la russa alla grossa, la mattina dirà: - Devo aver russato stanotte, da quanto l’ho fatto mi sono svegliato. - Confermo - rispondo io. La colazione è a buffet, o meglio all’abbuffata, c’è di tutto insomma. Michele svaria fra il dolce e salato, e alla fine si becca il rimprovero del babbo. A furor di popolo vinco un altro giro sulla macchina di Pino, i miei compagni si addormentano nel giro di cinque minuti e io rimango solo con i miei pensieri un’altra volta ancora. In più sto covando una forma d’influenza e ho vissuto la vigilia del match con la paura di ammalarmi, come quando da bambino dovevo andare al cinema. Mi fermo all’autogrill, un caffè farà bene a tutti. Michele indugia in bagno e noi tre ci ritroviamo da soli a fumare con il culo appoggiato alla macchina, per come siamo messi in questo momento: stanchi , incasinati, attivi saremmo perfetti per un racconto di Bukowski, ma un racconto alla fine finiremo per scriverlo. www.nove.firenze.it/leonardbundu Siamo di n nuovo sulla strada. Qualcuno chiede dove siamo e io rispondo “a Cantagallo” – il menestrello del cartone animato Robin Hood - poi inizio a canticchiare la colonna sonora del cartone, che da piccola, faceva impazzire la mia nipote Sara. Gli altri mi vengono dietro e la macchina di cattivi e recidivi intona: “Robin Hood e Little John van per la foresta e ognuno con l’altro ride e scherza come vuol. Son felici delle loro gesta, urca urca tirulero, oggi splende il sol”. www.nove.firenze.it/leonardbundu Leonard Bundu vs Rafal Jackiewicz (Polonia) 4° difesa del titolo d’Europa 6 Aprile 2013 - Tendastrisce di Roma Numeri mai visti Quando correvo con la moto da cross, il babbo mi seguiva segnalandomi la posizione. In quel periodo spesso mi allenavo sul campo gara di un amico, lui faceva gli italiani, io i promozionali regionali. Una bella differenza. Un pomeriggio al suo campo di gara, dopo una garetta al termine della quale ero arrivato sul podio, gli dissi: - Roba da matti, il babbo al primo giro mi ha segnalato la posizione numero 1. - Numeri mai visti - rispose lui. Roma mi ha accolto a braccia aperte. È la 4° volta che mi giro per vedere il mio nome impresso sulla sedia del rinfresco pre-match in sala stampa. Ho perso Anna e Monica, ma non le cerco. La ragazza sui trampoloni mi sorride ancora e mi dice: - Ne vuoi un altro? - Sì - rispondo io. E siamo a 3, 3 negroni. Il mio libro intanto passa di mano in mano e tutte le volte che un collega mostra di averlo gradito mi alzo di un centimetro, ormai supero agevolmente il metro e 80 di mio fratello. Credo di avercela fatta, anzi ne sono sicuro: il viaggio con Leo mi porterà ai Caraibi con questa gnocca che ora mi porge il drink e il sorriso. Numeri reali Ahhh!, due dita della mano sinistra mi sono rimaste incastrate nel finestrino della macchina: il meccanismo elettrico che lo alza e lo abbassa è rotto da tempo, il cristallo soqquadra e per chiuderlo del tutto devo rimetterlo dritto con la mano. È un’operazione che faccio tranquillamente da circa tre anni, solo che oggi il comando si è incantato e mi serra le dita contro il telaio del finestrino. Mi sto immettendo in autostrada, direzione Firenze sud, ho una macchina dietro e non mi posso fermare, così faccio la curva con la mano destra e provo a tirare quella sinistra per liberarmi dalla morsa, il sudore mi si ghiaccia sulla fronte e il dolore mi serra lo stomaco. Deciso, provo a tirare per liberarmi. Ahhhhhh!, l’urlo della liberazione è ancora più lungo, quasi che arrivo a Firenze Certosa; mi guardo le dita segnate dalla morsa e le metto in bocca per lenire il dolore. Devo fare in fretta: ho fissato alle 18.00 in Viale Malta, devo accompagnare Paolo e i ragazzi che combattono stasera a Scarperia. Il Bonci è già a Roma da oggi, Leo da un paio di giorni. Il cruscotto davanti e il portafogli dietro mi danno solo cattive notizie: devo fare il cambio dell’olio, la macchina ha 210.000 km e dovrei cambiarla, ma ho 140 euro e devo arrivare a fine mese, nel conto in banca ci sono così pochi spiccioli che un bambino di 3 anni potrebbe contarli. Siamo quello che facciamo con quello che abbiamo, questo è poco, ma almeno è reale. Scarperia, Riunione dilettanti, 5 Aprile 2013 Quella di stasera è una di quelle riunioni da cui se levi gli addetti ai lavori, i pugili, gli amici e i familiari dei pugili non rimarrebbe nessuno. Anche così i biglietti venduti sono una settantina. Per le società queste riunioni sono una rimessa sicura, resta solo da quantificarne la cifra a fine serata. I soldi per fare pari a fine anno si prendono dai mensili in palestra, dagli amatori, dalle cene autofinanziate e dagli sponsor, che sono sempre meno e sempre meno munifici, la Federazione non dà nulla e si prende la tassa. In definitiva, il volontariato e la passione sono i veri motori di questo sport. Queste riunioni, da cui passano tutti i pugili più o meno bravi e anche i futuri campioni, servono alle società per far crescere i propri ragazzi piano piano, secondo le loro esigenze. “Se vai dagli altri, al massimo puoi avere un match al 35%, al 40%”. Le percentuali esprimono le possibilità di vittoria. www.nove.firenze.it/leonardbundu Il pugilato è uno sport durissimo e spietato. Qui non si tratta di raccogliere una palla in rete: un match sbagliato, con un avversario che non ti aspetti, e ti perdi per strada un ragazzo. “La gente non lo sa" ripete il Bonci: “quanti anni e quanti passi giusti ci vogliono per fare una serie”. La categoria più prestigiosa dei dilettanti. Il bar che fa anticamera alla stanza del peso è pieno. Prendo possesso di un tavolino e del giornale, il "Corriere dello sport stadio", che ho già letto stamattina. Lo sfoglio rapidamente per trovare e mostrare l’articolo di Bundu a Paolo. Trovato. Sulla stessa pagina c’è il pezzo che parla di Valentino, il virgolettato del Dottor Rossi: “Sono cresciuto”. Sarà un caso trovare i miei due campioni preferiti nella stessa pagina? Forse è di buon auspicio, ma me lo tengo per me. Paolo entra con Mattia Palermo e Mohammed Obbadi, i due ragazzi dell’Accademia Pugilistica Fiorentina che oggi combattono, nella sala del peso. Esco a prendere una boccata d’aria portandomi dietro la borsa Viola dell’Accademia, che contiene i guantoni e i caschetti dei pugili che combattono stasera. Fa un freddo cane. Fuori ci sono i Maestri del Boxing Club e un tipo seduto al tavolino che parlano del match di domani, ma non gli viene in mente il nome del polacco sfidante di Leo. Mi avvicino e dico: - È Jackiewicz, lo sfidante ufficiale. - Già - rispondono loro - è quello che ha battuto fuori casa Abis. - Sì, è uno tosto. I Maestri raggiungono i ragazzi, che si sono già pesati, negli spogliatoi; io mi siedo al tavolino e inizio a parlare di pugilato con il tizio seduto. Ha un cappellino di lana, jeans e un giubbotto a bomberino, è lì perché stasera combatte suo figlio. Parliamo di pugili. Lui si presenta: è Sicuranza di Prato. Io gli rispondo: - Sono Massimo e accompagno i ragazzi dell’Accademia con Paolo, il Boncinelli è a Roma. - Che grande Maestro il Boncinelli, che occhio! Salutamelo. Andiamo avanti per una mezz'oretta e si rammentano tanti nomi, alcuni li conosco, altri no, perché sono compresi nello spazio di tempo in cui non ho frequentato l’ambiente. Si parla anche di Calcio Storico, inevitabile. Cristiano, il mio amico di Piombino, una sera dopo una birra media mi ha detto: “A Firenze siete tutti pazzi, abitate nella città più bella del mondo, ma finite sempre per parlare del Calcio Storico”. Sicuranza mi racconta delle sue esperienze e io lo sto ad ascoltare, integrando il discorso con le mie conoscenze. È la seconda volta che mi offre una sigaretta, e anche se ho le mie, e lui lo sa, l’accetto volentieri. Sta per iniziare la riunione, così ci alziamo e andiamo verso “il pallone” che ospita i match. Lo saluto all’ingresso e vado verso lo spogliatoio. Mattia si sta scaldando, il suo match è previsto a inizio serata. Paolo gli dà raccomandazioni del tipo: "Non ti buttare" - ovvero non partire troppo da lontano, rischiando di diventare prevedibile e d’incappare nei colpi di rimessa dell’avversario "trova la distanza con il sinistro e poi metti il destro, fai l’azione e spostati, fai per benino". Sul quadrato è un altro paio di maniche e Mattia, al suo secondo match, seguirà le indicazioni del Maestro solo in parte. Poi la foga del match e il suo temperamento lo portano a forzare, a scomporsi e ad abbassarsi troppo con la testa. È un pareggio, e va bene così: la sconfitta avrebbe penalizzato troppo il ragazzo che ha carattere, ma deve disciplinarsi. Il pugilato impone una serie di gradini che il pugile deve superare. Mattia, ad esempio, ha superato il primo, quello del debutto; ora deve crescere e affrontare match più duri ed avversari più tosti. La telecamera del babbo di Obbadi è sistemata. Mohammed, Moha per gli amici, sale sul quadrato senza particolari emozioni. È un ragazzo di 20 anni, nel 2012 ha vinto un prestigioso torneo a livello nazionale , il "Guanto d’Oro", ma purtroppo per ora la strada per gli Assoluti d’Italia è sbarrata, essendo di nazionalità marocchina. Con la cittadinanza italiana si vedrà. Moha vive a Cascina, in provincia di Pisa, e tutti i giorni, dopo la scuola, www.nove.firenze.it/leonardbundu viene ad allenarsi all’Accademia, per poi fare ritorno a casa alle 21.30. “Non è mai mancato un giorno” dice il Bonci. L’avversario di Moha è un 1° serie da diversi anni, è un bel ragazzo determinato che porta con facilità colpi a serie. Moha impone il suo ritmo da cavalletta, la sua capacità di variare i colpi e il bersaglio e le sue schivate. Il piccolo difetto di Moha è quello, a volte, di non spostarsi dopo l’azione, dando la possibilità di replica all’avversario, ma questo secondo lui ha una spiegazione: “Quando capisco che non fanno male, li lascio scaricare”. Ovvio che Paolo non vuol sentir parlare di simili bischerate, e urla: “Levati di lì!’”. Non sappiamo com’è il conteggio dei colpi a fine match: per i dilettanti gli arbitri tengono il computo dei colpi a segno - anche se il regolamento è in evoluzione, anzi in involuzione dato che si parla di tornare al vecchio - ma sono sicuro che alla fine il match fosse in vantaggio di diversi colpi. Non è dello stesso avviso il Maestro dell’avversario di Moha, e quando insieme a Paolo ci avviamo negli spogliatoi dice: - Poteva starci un pareggio, ma si sa, siete in casa. Non c’è replica da parte nostra, Paolo sposta il problema sul fatto che sia stato un bel match. Ma per noi resta la consapevolezza che stavolta non c’entra il favore, odioso, di combattere in casa. Moha ha vinto meritatamente, almeno questo è il nostro pensiero, perché di pareri contrastanti se ne vedono quasi a tutti i match. Riesco a vedere solo un po’ dell’incontro di Sicuranza junior, e da quello che posso vedere è un ragazzo interessante, coraggioso, che accorcia e picchia bene con entrambe le mani. Il suo avversario, non troppo abile ad uscire dalla traiettoria dei colpi, lo ha facilitato in questo modo. Mi farà piacere rivedere entrambi i Sicuranza, e prima o poi succederà. Questo è sicuro. Abbiamo finito. I ragazzi tornano a casa con i genitori e io e Paolo possiamo fare due chiacchiere, magari mentre mangiamo qualcosa. Ho rinunciato al panino al bar per mangiare ora: conosco Paolo e so che difficilmente mi dirà di no. Infatti siamo a mangiare da “Baffo”, un ristorante sulla via del ritorno, di quelli che ti danno da mangiare a qualsiasi ora. La scusa è buona per far tardi comunque e parlare del match di domani. Ho letto tutti gli articoli su Bundu vs Jackiewicz, che questa volta ci sono stati, ho visto tutti i match disponibili su youtube di Jackiewicz, e a suo tempo ho guardato il match con Abis, vinto dal polacco per getto della spugna in casa dell’italiano. Ho presentato il match con il pezzo “Bundu vs Jackiewicz, la sfida ufficiale”. Infatti il polacco è lo sfidante ufficiale, il primo per Leo, e questo match - dopo tre difese agevoli - rappresenta quello che può legittimare, ufficializzare, la cintura di Leonard Bundu. Sono contento che anche gli altri colleghi presentano il match più o meno in questi termini. Ho un po’ di fifa per questo polacco. Qualche giorno fa, durante una riunione dell’Accademia - di cui ora sono, grazie all’investitura del Bonci, consigliere - ho detto sommessamente, ma decisamente: “Aspettiamo a parlare delle prossime sfide, prima vediamo quella di sabato”. Tutti hanno concordato. Il Bonci definisce Jackiewicz un bell’omo, dove “bell’uomo” sta per: forte, solido, un avversario tosto insomma. Certo che stavolta sembra diverso, e non perché ci siamo scordati delle altre vigilie. Il polacco appena arrivato a Roma ha rilasciato dichiarazioni spavalde e sicure di vittoria, “vado a Roma per vincere e per illuminare il mio futuro” così diverse dalle altre ascoltate in precedenza, che suonavano così: "Mi sono preparato bene, farò del mio meglio…". Per contro ci sono le repliche, come sempre pacate ma decise, di Leo: “Lo rispetto, ma non lo temo”; frase di circostanza, ma giusta. Come anche questa: “Non mi piacciono gli allarmismi, né fissarmi con le riprese TV degli altri pugili”. Che per me è una vera perla di consapevolezza e decisione. Comunque sia, questo è il match della verità, quella che i primi tre sfidanti hanno rimandato. www.nove.firenze.it/leonardbundu Finiamo quel che abbiamo nel piatto e ce ne andiamo. Paolo parte domani mattina per Roma, io nel primo pomeriggio con Rico, Corrado che ho ritrovato lungo il Viaggio, e Monica. Cosa diciamo io e Paolo di Jackiewicz? - Cazzo, Paolo, che destro ha Jackiewicz. Cosa bisogna fare con quello? - Bisogna vedere di non pigliarlo. Cip e Ciop Quando leggo su Whatsup il quindicesimo messaggio di Corrado, inizio a rimpiangere l’affidabilità di Pino. Il messaggio di Corrado è: “Chiamalo te Rico, perché a me non mi risponde e se lo fa mi prende per il culo”. La telefonata a Rico parte immediata. Lui fa il vago, anche se il match è domani, mica fra un anno. Insomma, ci lasciamo con il classico "risentiamoci", che lascia tutto come prima. La cosa che più mi inquieta sono le prime parole che Rico mi ha detto al telefono, ovvero: “Dimmi, Masini ha appena finito di cantare”. Certo Masini canta ancora, l’ho visto sui manifesti; quello che mi meraviglia è che la gente lo vada a vedere, ma quelli sono fatti loro. Ma Rico non è la gente, e così cerco di capire dove ho sbagliato e cosa mi ha portato a passare dai Doors di Pino al Masini di Rico. Dopo altre 8 telefonate, 3 messaggi in segreteria, 9 sms - tutti contati e documentati, i messaggi su Whatsup ve li posso anche regalare, tanto sono gratis - dove gli scenari riguardanti i Viaggiatori, i mezzi di locomozione, orari e sedi di partenza, cambiano così rapidamente come le immagini guardate attraverso il finestrino di un frecciarossa, abbiamo finalmente un orario e un luogo. Ore 15 a casa di Corrado. Prendo Monica a casa sua e con la mia macchina ci rechiamo a casa di Corrado. La sorpresa è trovare Cip e Ciop, come li ribattezzerà in seguito Monica, alla finestra. Corrado abita a un piano terreno, e non in una torre, appena rialzato dalla sede stradale, ma visto che in due fanno mezzo centimetro scarso di capelli, non possiamo certo servirci della loro chioma per raggiungerli - come nella fiaba di Raperonzolo - e ci serviamo delle comuni scale, come nella comune realtà. Rico ha l’attrezzatura e la tenuta della giovane marmotta, o se preferite del giovane giornalista. Giacca sportiva con cravatta elegante, pantalone jeans e scarpa comoda. Nel taschino della giacca, due penne e un blocchetto per prendere appunti sui prossimi 35 europei. Corrado ha il solito zaino per la sua macchina fotografica, che insieme alle altre borse sta per andare nell’ampio bagagliaio, e sembra non aver bisogno di nient’altro. Se così fosse sarebbe fantastico, invece torna sui suoi passi e prende dei CD, così Io avverto: - Rico ieri era a vedere il concerto di Masini. - Masini! - mi risponde la Monica - Era all’interno di una serata di beneficenza per il Mayer - chiude, soltanto per ora, Rico. Siamo alla seconda ora di Viaggio, la fermata per in caffettino e il bisognino l’abbiamo fatta, ed è qui che salta fuori il primo cd dalla custodia di Corrado: sono i Dick Dick ed io e Monica vorremmo saltare dalla macchina, ma siccome non possiamo farlo iniziamo a parlare fra di noi così che le orecchie riprendono fiato. Quelli davanti, accorgendosi della nostra tattica, alzano il volume e fanno il coro in falsetto, così che ora diventano uggiosi come la cacca a letto. Ormai non ne possiamo più e chiediamo a gran voce, se proprio non si può spengere, almeno il cambio del cd. Al peggio non c’è limite, infatti dalla custodia degli orrori Corrado estrae Pappalardo ed inizia la sua “Ricominciamo”. In seguito apprendo con stupore estremo che Pappalardo ha fatto altre canzoni che sono assai peggiori di “Ricominciamo”, beata ignoranza. Si va avanti così per un altro po’: a nulla valgono le nostre rimostranze, la replica del duo Cip e Ciop, argomentata e critica, è quasi peggio del peggio di Pappalardo. A forza di mediare arriviamo a un compromesso storico: ancora musica, ancora italiana, ma stavolta è Vasco, Vasco Rossi. Le note del primo “maledetto” Vasco, anche se non poteva certo star dietro al buon vecchio Bukowski, ci portano fino alla tangenziale romana. www.nove.firenze.it/leonardbundu Insomma, siamo di nuovo a Roma e ancora per Leonard Bundu. Davanti al Tendastrisce c’è un po’ di movimento, niente di eccezionale ma è meglio di Rezzato per intendersi. Rico tenta un parcheggio selvaggio, ma sconsigliato da noi ripiega nel parcheggino senza sfondo dietro il baracchino di panini e bibite, ad alto rischio imbottigliamento. Non è il momento di mangiare e comunque abbiamo i tramezzini che la moglie di Rico ci ha preparato. Salta fuori una bottiglia di spumante. - Ma siete matti, mettetela via subito, porta male - dico io. Rico ribatte: - È lì dall’ultimo dell’anno”. Il mio nervosismo mal celato anche nel Viaggio inizia a venire fuori, mentre tramezzini e bottiglia rimangono in macchina. Dietro al primo baracchino c’è Moreno, il presidente dell’Accademia, che allena le mandibole con un panino. Non se lo ricorda, ma è stato proprio lui che mi ha fatto conoscere il dolore di un colpo al fegato durante una sessione di guanti: io prima gli misi un destro d’incontro, un bel colpo. Li ricordo tutti e due con piacere. Moreno è in giacca e cravatta. Non che sia una novità per lui, è scappato da un pranzo di matrimonio per vedersi Leo. Ora mangia il panino tenendolo a distanza di sicurezza. Il discorso cade sul match e sul destro di Jackiewicz. Ripeto le parole di Paolo, “Bisogna vedere di non prenderlo”. Moreno risponde: - Scordatevi che non lo prenda mai, è un film che non possiamo vedere, questo è un match, parlando di percentuali, 55 a 45. A me non dice niente di nuovo, ma i miei compagni ci rimangono male. Monica, mentre ci avviamo al Tendastrisce, mi dice: - Mi sta scendendo la lacrimuccia, 55 a 45 per l’altro. - No, al contrario, il favorito resta Leo, ma non di tanto. All’ingresso c’è Anna, telefono in mano e sorriso bello e pronto, tutto come al solito. Ci facciamo dire dove si ritirano gli accrediti. Quello di Rico non c’è, così ricontrolliamo con l’addetta i nominativi, scorriamo la lista con gli occhi e i miei vanno sulla generosa scollatura di lei; di solito evito, ma stavolta no. Finalmente ci siamo e possiamo andare tutti con il nostro braccialetto/pass. Peccato a me piacciono più i cartoncini da appendere al collo, che poi sono anche più carini da conservare. Il Tendastrisce ricorda, e non solo per assonanza, il nostro vecchio Teatro Tenda, quello che poi è stato il Saschall e ora è l’Obihall, a seconda della generazione di appartenenza. Il ring è montato davanti al palcoscenico e a me pare un po’ basso, in confronto agli altri. Non c’è tanta gente e Anna ci mette in contatto con chi ha la responsabilità di trovare posto a tutti, in modo da fare casino. I fotografi vanno a bordo ring, io e Rico ci prendiamo due sedie e le aggiungiamo a una fila. In prospettiva il palo di sostegno delle luci e l’angolo blu mi tolgono un po’ di visuale, non molta; so che comunque mi agiterò prendendomela con quei due ostacoli per tutta la serata, ma con qualcosa me la prenderei anche se fossi in piedi sul bordo ring. Dato che abbiamo visto dove sono le sedie, uniamo le nostre braccia a quelle di Anna e di altri per aggiungere dei posti. La fila che stiamo facendo è per i colleghi della stampa. Qualcuno scomoda nomi di testate importanti, ma non me le ricordo; loro comunque arriveranno dopo. Chissà come mi comporterei, se quello fosse il mio vero lavoro. Pagato, intendo. A volte, come faccio con il mio, lo disprezzerei? Cederei a quello che si deve fare? O me ne servirei per il mio ego a svantaggio del giusto? Belle domande. La passione è una cosa strana, e forse fra le azioni meno estemporanee è quella a cui si richiede di non perdere la propria spontaneità. Quando lavoravo al cimitero, veniva a farci compagnia un ragazzo. Capitava, fra una salma e un’altra o un lavoro di giardinaggio, di andarci a prenderci il caffè, chiacchierare insieme. Con il tempo le sue visite cominciarono a essere frequenti e, dato che non si faceva problemi a prendere in mano pala, vanga e resti mortali, ci venne naturale di www.nove.firenze.it/leonardbundu chiedergli di lavorare con noi. Lui accettò ma quella fu la fine della nostra collaborazione e della nostra amicizia, perché lui si rilevò incapace di rispettare orari e compiti che un qualsiasi lavoro deve avere. Fare il battitore libero, essere un volontario appassionato può avere i suoi vantaggi e a volte devi tenerli a mente per andare avanti e continuare a Scrivere. Credo che alla fine smetterei di Scrivere, per farmi leggere dagli altri, solo se mi rendessi conto che la qualità di quello che scrivo è pessima. Per il resto, il mondo del pugilato, ma credo anche il resto del giornalismo, è costellato di volontari appassionati. E comunque qualcuno ha già deciso per tutti, e non ci sono più soldi e opportunità, almeno non per tutti. Abbasso il sottoclou Dir male del sul sottoclou professionistico di Roma è facile come bere un bicchiere d’acqua fresca quando hai sete. Occorre subito dire che c’è stato anche un sottoclou dilettantistico, e per quello che ho visto io non era male, in sostituzione di un match professionistico saltato per bontà divina. Credo due match, di sicuro uno perché quello a differenza del primo l’ho visto. Si tratta di un incontro fra ragazzi pesanti, + 91, e benché non siano i miei preferiti il match è ok. Il ragazzo all’angolo rosso, che poi si sistemerà davanti a me e a Rico, aggiungendosi al palo delle luci e all’angolo blu, è impostato meglio, sa fare più cose e vincerà abbastanza facilmente. Alla luce di questo mi domando: ma non era meglio portare qualche buon dilettante 1° serie romano sul quadrato? Magari della Boxe e del quartiere San Basilio, che si trova a pochi passi da qua, così la sua provenienza avrebbe assicurato, al pari di alcuni di questi professionisti fermi da tempo, un buon numero di persone al seguito e poi si sarebbe vista più freschezza e meno chili di troppo. Comunque è andata, ed è andata male purtroppo: pensate a questo spettacolo visto in TV in paesi come Inghilterra o Germania, ad esempio, dove la Boxe è amata e rispettata, quanti danni può fare al già boccheggiante movimento italiano. Tutti hanno capito che se non sappiamo valorizzare Leonard Bundu è anche perché di contorno gli mettiamo incontri simili. L’articolo di Dario Torromeo, a mio parere la miglior penna della Boxe, parlava chiaro, già da titolo: “Solo Bundu nella notte romana”; in seguito si chiedeva se la Lega Pro Boxe non vigilasse. Purtroppo per me la delusione del sottoclou arriva anche da Ortiz, il pugile colombiano di cui vi avevo già parlato. Ad ogni modo, io sono qui per Leonard Bundu e non è che mi danno troppo l’anima per il sottoclou. Infatti sono più le volte che mi alzo, vado in bagno, passeggio, parlo; di quelle che guardo, tanto c’è Rico che prende appunti. In una della mie peregrinazioni al bagno, usato anche come luogo per fumare, trovo i tifosi di Jackiewicz. Alcuni hanno alzato il gomito. Uno di loro mi chiede una sigaretta, così finiamo per fumare assieme. Nei pressi del bagno trovo anche Panchetti, il commentatore delle serata insieme a Massimiliano Duran. Mi avvicino e facciamo due chiacchiere. Dal vivo sembra ancora più giovane che in TV, comunque mi piace come commentatore, puntuale e non troppo appariscente, capace di dare il giusto spazio a Duran. Gli esprimo la mia stima e continuo con il fatto che scrivo di Boxe e di Leo, finendo col dire che ho appena presentato “In Viaggio con Leo”. - L’ho letto in rete - risponde lui. - Sono sempre a caccia di notizie. Pino invece lo trovo fuori dal Tendastrisce quando torno con Corrado e Rico dall’assalto ai tramezzini. - Ti avanza un braccialetto per il pischello? - mi chiede Pino alludendo al mio pass e a suo figlio. - Ora guardo, aspetta qua. www.nove.firenze.it/leonardbundu Sono di nuovo in bagno, stavolta con Corrado, e cerco di sbottonargli il braccialetto, ma quel cavolo di aggeggio di plastica non viene. L’hanno fatto in modo che non possa essere riutilizzabile. Torno fuori a dare la brutta notizia a Pino, che scrolla le spalle e dice: - Non preoccuparti, in qualche modo facciamo. E infatti. Come sempre Il ring announcer, con i capelli a coda di cavallo anni ‘80, ha appena finito di presentare Rafal Jackiewicz. Sono in piedi, così che non ho bisogno di rialzarmi, e decido di raggiungere la porta da dove sbucherà il polacco dal cuore impavido: "Bravehart" è il soprannome di Jackiewicz. Lo faccio per vedere che faccia ha il diavolo. Jackiewicz entra con una maglietta a maniche corte, bianca o giù di lì, e si avvia sul ring. Ricordo che mi è sembrato più basso di come lo avevo visto in video, quando spengeva gli avversari con il destro dritto e in montante. Arriva Leo. Ha i pantaloncini bianchi alla Mohamed Ali, che gli spuntano dall’accappatoio di raso rosso e nero. Lo guardo negli occhi finché posso e lo vedo “come sempre”. Nel film Il giocatore ci sono Matt Damon, Edward Norton e John Turturro: tutti e tre giocano a poker, ma con tre modi diversi. Turturro è quello che va sul sicuro sempre, quello che ha famiglia e che sfrutta il suo talento per camparla senza rischiare mai un K.O. da cui potrebbe non rialzarsi. Nel film, ad un certo punto Damon chiede a Turturro: - Come va? E l’altro risponde: - Come sempre. Ho usato diverse volte l’espressione “come sempre”, quando intervistavo Leo prima dei match. Ora sapete da dove viene. Foto18 Corrado Sacchi Il match Stavolta Leo inizia davvero un po’ meno forte delle altre volte, ma non sembra contratto, timoroso o altro, sembra solo concentrato sul match. Ad ogni modo riesce ad andare a segno, già nel corso della prima ripresa, al bersaglio grosso eludendo la guardia a riccio del polacco. La prima ripresa è sua, lo concordo con Rico prima di mettermi a sedere a scrivere, sì perché si è creata talmente tanta ressa a bordo ring che siamo tutti in piedi. www.nove.firenze.it/leonardbundu (Foto 19 ©MONICACALEFFI) I tifosi di Jackiewicz, una decina in tutto, fanno un tifo infernale, dimostrando che oltre al gomito sanno alzare anche la voce. All’angolo del polacco c’è il ragazzo che mi ha chiesto dove era il bagno: è lui che comanda il gruppo, li fa partire all’unisono scandendo a ritmo ora il nome del loro beniamino, ora la parola "Polska", Polonia in polacco. I fiorentini sono meno organizzati: Pino, il capobanda, ha raggiunto il bordo ring, ma ha finito la voce dopo i primi due "Bundu bomaye", e ora invece di gridare emette un suono gutturale, una specie di ululato che sfuma in una serie di imprecazioni contro la sua voce che lo ha abbandonato. Durante il match, però, partiranno alcuni cori potenti, che coinvolgeranno fiorentini e romani. Finisce la 2° ripresa che forse è un pari o forse no, perché se è vero che Leo ha fatto poco, Jackiewicz ha fatto meno, come dice il ragazzo che ho di fianco. - A questi livelli le riprese pari è difficile che le diano - riprendo io che ho preso un po’ di coraggio. - Vero - chiude lui. Anche la 3° è nel segno del Campione. Io e Rico lo confermiamo a Giuliana che “sta nervosa”, in uno scambio di cenni d’intesa rapidi, ma efficaci. Il match va avanti con Leo che impone il suo ritmo, cambia continuamente guardia e scarica i colpi alternando il bersaglio. Jackiewicz non ha le braccia abbastanza lunghe, o il corpo abbastanza corto, per coprirsi e incassa duri colpi. www.nove.firenze.it/leonardbundu (Foto 20 ©MONICACALEFFI) Foto 21 Corrado Sacchi www.nove.firenze.it/leonardbundu La tensione fra di noi è sempre alta. Io e Rico continuiamo a prendere appunti, lui mi dice: - Ho dei problemi a stare dietro a tutti i colpi. - Impossibile - rispondo io, - sulla scorta delle decine di match fra dilettanti a cui ho assistito, passa più tempo con gli occhi sul ring e meno sul foglio, scrivi nel minuto di pausa. Dietro di me c’è Pino, che inizia a diventare molesto, infatti m'infastidisce sempre più, e al terzo scappellotto gli rispondo: - Pino, cazzo, sono nervoso. - Anche io, è il modo per farmelo passare. - Allora fattelo passare in un altro modo. Ci sono alcuni secondi di intervallo. E poi Pino mi dice all’orecchio: - Scusa, mi sono scordato perché sei qui. - Siamo qui per la stessa cosa. - Comunque quello - riprende Pino, indicando Jackiewicz - non finisce, è calato, io me ne intendo di pugilato. - Vediamo - chiudo io per ora. Siamo alla 6° ripresa e puntuale arriva la solita testata involontaria, al sopracciglio. Non sembra grave però, vorrei chiederlo a Monica e Corrado che sono sotto all’angolo dove il dottore sta controllando la ferita, ma è impossibile raggiungerli e poi Leo è già stato rimandato a centro ring. Il round finisce ancora con una serie del Campione, mentre lo sfidante si sta affidando sempre più al suo destro, nel tentativo di dare una svolta al match, ma il colpo non entra quasi mai, e mai in maniera efficace. Leo è troppo rapido, troppo vario e anche quando sbaglia la misura, esponendosi ai colpi di rimessa di Jackiewicz, li schiva con i riflessi e il colpo d’occhio del Campione. La ferita non desta preoccupazioni e io mi sto calmando, infatti nel minuto di pausa ho il tempo di pensare alla differenza che c’è fra i match del sottoclou e questo. Non sembra neanche lo stesso sport, chiunque potrebbe vederlo. Anzi, a pensarci bene bisognerebbe entrare dalla telecamera di "Sportitalia" e obbligare tutti quelli che stanno guardando fiction, talk show e film vari a guardare quello che Leonard Bundu sta facendo: sta trasformando uno sport in un’arte, l’arte di fare una cosa bene, qualsiasi cosa si faccia, di qualsiasi sport si tratti. Ricordo che una volta, alle Olimpiadi di Seul, ho guardato giocare due ragazze a volano, o meglio a badminton, come lo chiamano loro. Quel gioco con le racchette in cui devi colpire quell’aggeggio di forma conica con un gommino all’estremità. Beh, giocato da loro era uno spettacolo di colpi, in uno scambio serrato e avvincente. E così mi sono www.nove.firenze.it/leonardbundu appassionato alla visione di uno sport a cui in spiaggia giocavo giusto per due minuti, durante i quali raccattavo quell’aggeggio dieci volte e poi annoiato ripiegavo sul pallone. La 7° ripresa inizia con la raccomandazione dell’arbitro a tutti e due i pugili a non abbassare la testa. Foto 22 Corrado Sacchi Il calo di Jackiewicz è evidente: la spinta del polacco al 9° round appare come un segno di frustrazione per non riuscire a fare quello che aveva in mente di fare. Tutto sembra andare “come sempre”. Leo fa il suo dovere sul ring; i fans polacchi intonano i cori da ultras consumati, davvero ammirabili; Rico è sempre alle prese con la gestione del foglio, degli occhi, della penna e di quello che succede sul ring, e io allento ancora un po’ la tensione e gli dico: - Pensa che io a una riunione di dilettanti non facevo che scambiare il pugile all’angolo rosso con quello all’angolo blu, fu una vera impresa tirare fuori un articolo da quella riunione. Eccola qua l’11° ripresa. La settimana scorsa, parlando del match di Boschiero finito, in suo favore, alla 10° per K.O, il Bonci mi ha detto: - Se uno trova il colpo vincente alla 10° ripresa, vuol dire che uno ha i numeri del campione. Ricordo di aver visto partire la combinazione del K.O., ma ho solo intuito il montante al fegato, forse perché lo stesso Leo m’impallava la visuale. Ho visto solo che Jackiewicz ha fatto una rotazione di 180° e dal centro ring si è disteso bocconi all’angolo rosso. (Foto 23 Corrado Sacchi) www.nove.firenze.it/leonardbundu A quel punto non ho capito più nulla, finché l’arbitro non ha mimato la fine del match e sono finito sotto al ring. Nel tragitto ho incontrato Francesco Sottili, che mi ha detto: - Grande match. Dietro di lui c’era Massimo Nascimbene, che mi ha detto: - Che match. Con la coda dell’occhio ho visto i “ragazzi” dell’Accademia esultare sulla parte destra, rispetto a me, del palcoscenico del Tendastrisce. Mi sono arrampicato e li ho raggiunti. Era una festa. In quel momento il ring announcer scandiva l’epilogo del match: “A 1 minuto e 22 secondi dell’11° ripresa, vince per K.O. e si conferma Campione Europeo dei pesi welter Leonard Bundu, Bundu". Tiro fuori dalla tasca destra la penna, che in questi momenti con gesto automatico ripongo sempre lì, e sulla mano scrivo: “1. 22”. Il Campione di tutti Leo sta parlando al microfono e ringrazia tutti, partendo dal pubblico romano che ha tifato per lui. Petrucci è stato un grande uomo a preparare il terreno, il resto l’ha fatto lui, con la sua classe e la sua semplicità che hanno conquistato il cuore del pubblico che ha visto con i propri occhi un Campione vero. Credo sia mezzanotte, o giù di lì, ma non ci penso due volte a chiamare a casa, roba che se lo fai in qualsiasi altro giorno dell’anno butti tutti giù dal letto con le ansie del caso, invece il babbo è sveglio ed entusiasta e ancora una volta ha capito il match, infatti mi dice: "Tutte le volte che l’altro provava a mettere il destro, Leo glielo faceva passare sopra la spalla e il colpo andava a vuoto". Siamo nel backstage di Leo, l’artista del montante al fegato. Siamo tutti lì. Leo sta rilasciando un’intervista. Si parla del campionato mondiale W.B.C., di un’altra difesa volontaria, poi Leo spiega - Leo docet - della combinazione risolutiva dei due montanti. Il primo al viso costringe l’avversario a coprirsi la faccia; il secondo, preparato con tutta la spinta del corpo e della spalla, va al fegato rimasto scoperto. Ivano Dagliana dice la sua: - Noi lo sappiamo bene, dalle volte che ci ha messo con il culo per terra. In quel momento appare per un attimo Jackiewicz: parte un applauso spontaneo, il polacco si copre il viso e sparisce dietro una porta. Quel gesto di pudore istintivo è così www.nove.firenze.it/leonardbundu umano che quasi mi commuove. Il gesto di un campione sconfitto da un avversario superiore, e che vede la sua carriera compromessa. La combinazione vincente è ora preda di noi quasi profani. Vi ricordate la chitarra immaginaria di Jimi Hendrix?, ecco che io sono lanciato a mimare la serie, ad uso e consumo di Rico, che intento ad aggiornare il suo taccuino si era perso il montante anche io me lo sono perso, ma mica glielo dico. E così tiro i montanti mentre Anna li para, e Monica scatta foto a raffica. (Foto 24 ©MONICACALEFFI) Leo è negli spogliatoi, che poi sarebbero i camerini del teatro, e sta bevendo la sua birra pro antidoping. Pino lo saluta prima con un bacio poi con una toccata di culo. Leo fa notare il palpeggio e io dico: - Sopra e sotto, il tema della serata. Non è una gran battuta, ma si ride perché siamo contenti: tutti lì sappiamo che nel match più importante Leo ha fatto la prestazione più importante. I minuti passano, così come la mezzanotte è passata da tempo, mentre Firenze dista sempre 300 km. Dobbiamo cominciare a pensare di tornare, qualcuno inizia a dirlo, ma a turno si fa finta di non sentire, anche perché non è che la voce sia troppo insistente. Sembra quasi la voce del babbo che ci chiamava per rincasare, da bambini, mentre noi rimandavamo con un “ancora 5 minuti”. Dai e dai tutti gli occupanti della macchina di Rico sono pronti a partire. Saluta che ti saluta, perdo Anna. Nel corridoio che precede l’uscita becchiamo Giuliana e il suo babbo, Guido, l’uomo delle birre, che ci salutano con calore. Al bar troviamo aria di festa, e ora ricordo che il ring announcer diceva ogni tanto di una festa a cui eravamo tutti inviati. Davanti alla porta d’uscita c’è una ragazza su un tacco 15 vestita con 20 centimetri di stoffa che ancheggia sinuosa al ritmo della musica, noi continuiamo la nostra strada, riservandole un’occhiata. Siamo fuori. Davanti alla biglietteria ci sono i polacchi che se ne stanno a smaltire la delusione. Uno di loro, credo sempre quello del bagno, mi dice in un italiano stentato: - Scrivi bene. Alzo il pollicione, quello lo capiscono tutti, e capisco anche il loro stato. Mi vengono in mente gli articoli di giornale che parlavano di Jackiewicz e dell’unica sua preoccupazione prima del match: “10 biglietti per i suoi tifosi”, quei tifosi. Gli articoli parlavano anche della sua palestra, il “fight club” dove il campione insegnava agli allievi, e qualcosa mi dice che www.nove.firenze.it/leonardbundu quelli sono i suoi allievi. Forse penso troppo e parlo poco, come diceva una mia amica: sarà per questo che scrivo? In macchina Monica addenta finalmente il suo tramezzino. Ne resta uno e ce lo smezziamo io e Corrado. Non penso alla maionese che sto ingurgitando, ma lei penserà a me fra qualche ora. Viaggiamo tranquilli e soddisfatti per tutto il tragitto. Rico, sempre alla guida, è ormai adagiato sullo schienale reclinato del suo sedile e più che in autostrada sembra in spiaggia. Nessuno si lamenta, per me e Monica basta che non ci metta ancora i Cugini di Campagna e compagnia cantante, per il resto può anche mettersi la mascherina e dormire. Il cd salta fuori inesorabilmente a un centinaio di km da Firenze city: ora non si scherza più, il colpo di sonno può mandarci tutti a nanna. Dalla play list escono i capelli stirati e i lustrini di James Brown, la sua voce energica ci scuote come una red bull e ci porta a casa. Alla rotonda di Bagno a Ripoli, Rico ha ancora voglia di giocare. Infatti, seguendo il ritmo di Sex Machine, inverte 3 volte la rotta prima di imbroccare quella consigliata dal navigatore Corrado. Il duo Cip e Ciop ci conduce sotto casa, si perde ancora tempo e io non ne ho molto, visto che la maionese sta scendendo rapidamente. Appena liberi dalla morsa dei due, che potrebbero andare avanti tutta la notte, io e Monica saltiamo sulla mia macchina, prossima destinazione casa sua. Non ho più molto tempo, ma lo impiego bene guidando spedito e sperando di trovare un posto salvifico sotto casa, o almeno nei pressi. Sono fortunato e ora sono tranquillo e asciutto nel mio letto, apro il computer e me lo metto in grembo, aspettando che Microsoft Word si apra e io possa fissare il mio pezzo. Ricordo di aver scritto fino alle 5 con la facilità di quando i pezzi li scrivi nella tua testa e tutto torna come per magia. Credo sia una questione di consapevolezza trovata, almeno per una volta, quella che ha portato Leo a essere un Campione e me a Scrivere del Campione. Chiudo il computer soddisfatto solo dopo aver trovato il titolo al mio pezzo. Avevo pensato, in religioso segreto, di intitolarlo “Bundu spenge il futuro di Jackiewicz”, in risposta alla dichiarazione del polacco che alla vigilia aveva detto: “Vengo a Roma per illuminare il mio futuro”. Ma alcune cose sono cambiate e lo chiamo “Bundu campione d’Europa, punto e a capo”. Poi spengo tutto, come quando spegni la radio dopo una canzone stupenda e non vuoi sentire più nulla. Almeno per un po’, almeno fino al prossimo Viaggio. 14 Dicembre 2013 Leonard Bundu vs Lee Purdy (Inghilterra) Campionato Europeo pesi welter Excel Arena, Londra Should I stay or should I go (The Clash) - Dovrei andare o dovrei restare Ho sempre ascoltato la musica per il ritmo. Il ritmo è tutto. Il ritmo ti agita, ti scuote, ti manda indietro e avanti, ti fa andare a sbattere da qualche parte o su qualcuno. Il ritmo è www.nove.firenze.it/leonardbundu la colonna sonora di una vita non vissuta, ma ballata, “pogata” come ad un concerto punk. Finché il ritmo non cessa e con lui il resto. Le parole, quelle sì che non hanno alcuna importanza: se ti devi innamorare delle parole fai meglio ad imparare a memoria i versi dei Poeti, quelli sì che vanno bene. C’è n’è una che mi piace tantissimo, Sant’Ambrogio del Giusti. Tutte le volte che percorro via Giuseppe Giusti mi ricordo di quel toscanaccio che in rima “metteva le birbe alla berlina” e poi si commuoveva anche per la parte avversa e alla fine se “non scappa abbraccia il caporale”. Molte volte nella mia vita ho dovuto decidere se andare o restare. Ho “scelto” sempre ascoltando il ritmo; ma mai sentendolo veramente. Per Londra, per Leo, i numeri reali erano impietosi, o pietosi, dipende dal mio o dal vostro punto di vista. La macchina mi aveva abbandonato alla veneranda età di 222354 km, un sabato notte nella zona industriale della città. Il bancomat era qualcosa di lieto nelle prime due settimane dalla riscossione, nelle altre diveniva uno spauracchio. Poi, una quarantina di giorni prima del match, sono andato in palestra e così ho rivisto Leo, dopo tanti mesi. Lui mi dà il cinque e mi dice: “allora grande?”, poi si scusa perché doveva fare le ripetute al sacco. In quel momento sento che non avrei potuto fare a meno di andare a Londra, non mi immaginavo di restare a guardarlo alla TV - sempre ammesso che trasmettessero il match. Non sarebbe bastato neanche non mettere più piede in palestra da ora fino al giorno del match, per farmi passare l’entusiasmo di assistere all’incontro dal vivo. Momenti di Gloria 15 Dicembre 2013, ore 3.00 del mattino - dopo il match. Londra, Dockland La batteria del mio portatile mi sta abbandonando, ormai sono passati alcuni minuti dall’ultimatum apparso in basso a destra: “passare all’alimentazione elettrica”. Non posso passare da nessuna parte, visto che non ho voluto adeguarmi - al costo di sole 8 sterline al distributore automatico dell’albergo - alle spine elettriche inglesi che, come per valuta, senso di marcia, pesi, misure ecc. sono differenti da quelle di noialtri europei. Ma gliel’ho fatta anche stavolta - e non è la prima questa sera - a questi inglesi del cavolo, e il mio pezzo, “La regina s’inchina a Leonard Bundu”, vola dalla mia posta elettronica alla mail di Nove da Firenze. In rete, qualche ora più tardi, riceverà 468 “mi piace” facebookiani, una vera messe in aumento, roba che tutte le volte che andavo a vederla crescere, la mia faccia assomigliava all’emoticon sorridente. Spengo la luce e mi infilo a letto. Non mi ci vuole molto per capire che il mio paziente compagno di stanza non dorme ancora, e infatti alla mia domanda, anzi affermazione: - Sei sveglio. Risponde - E chi ce la fa a dormire con tutta quest’adrenalina in corpo. Abbiamo vissuto una serata di sport speciale, una di quelle che capitano ogni tanto e solo se hai la pazienza di saperle aspettare e l’entusiasmo per andarle a trovare. Ricordo una domenica pomeriggio di tanti anni fa, quando le partite si giocavano tutte la domenica pomeriggio e Sky e le tv a pagamento erano parole estranee e straniere. Beh, quella domenica io ero a casa con il babbo, la Fiorentina giocava a Napoli. Era la stagione 1981/82, quella del testa a testa con la Juve per lo scudetto. Con il babbo si ascoltava “Tutto il calcio minuto per minuto” - la trasmissione radiofonica che raccontava a turno, progressivamente, tutte le partite di serie A. Gli inviati sul campo interrompevano la scaletta preordinata solo quando la partita seguita registrava una marcatura. Con il babbo, mentre si ascoltava la radio, si faceva ginnastica. La Fiorentina pareggiava e la www.nove.firenze.it/leonardbundu Juve, che anche allora rappresentava il potere forte, vinceva, così che il nostro sogno scudetto si allontanava. Io, allora portiere di calcio dodicenne, ci davo dentro con gli esercizi, così che potessi alimentare il sogno di rivincita. Da grande avrei conquistato lo scudetto con la maglia Viola. Poi dalla radio qualcuno disse: - Scusa Ameri - che era quello che coordinava i collegamenti - intervengo dal San Paolo, la Fiorentina è passata in vantaggio, goal di Antognoni. La sera guardai a 90° minuto Antognoni mettere la palla in rete. A distanza di tanti anni, che ci crediate o meno, ricordo ancora quel goal e l’esultanza di “Antonio”, che gioiva sotto la curva del Napoli. Con Fabrizio, così si chiama il mio compagno di stanza, parliamo ancora per un bel po’. Ricordiamo quel gancio destro, prima del diretto che ha spedito Purdy al tappeto. Quel gancio destro è stata una vera mazzata: al rallentatore si apprezza il pugno che si abbatte sulla testa di Purdy e lo scuote prima a destra e poi a sinistra. Si continua a ruota libera per un’altra ora sul filo dei ricordi, onorando l’impresa di Leonard Bundu che qualche ora fa, con noi intorno, urlava: - CONTINUAVA A DARMI DI VECCHIO E L’HO MESSO KO ALLA 12° RIPRESA. Poi ci ricordiamo che la sveglia è puntata alle 7.30 e così proviamo a fare un riposino. 14 Dicembre 2013 Excel Arena, a pochi secondi dalla fine del match La faccia di Paolino a fine match è una cartolina di Firenze che batte, schianta Londra. La sua espressione è raggiante e furiosa allo stesso tempo. Continua a ripetere questa frase intorno al ring: “Non è una dote essere incassatore, a lungo andare il salvadanaio si riempie e non ti ricordi neanche come ti chiami”. Tutto vero, o quasi. Le parole di Paolino sono dettate dalla grande gioia dopo il grande spavento della 6° ripresa, quando Leo all’angolo ha detto: “Non mi sento le gambe”. Il Campione è stato rispedito a centro ring con queste parole: “Hai fatto mille riprese di allenamento, sei prontissimo”; ma con il grande dubbio che quella faccia da sbruffone di Purdy potesse, dai e dai, aver minato le certezze di Leo. La 7° ripresa sarà una delle poche perse dal Campione, che accetta lo scambio a centro ring e ne esce fuori con lo zigomo gonfio. Non lo posso dire con certezza, ma forse Leo in quella ripresa ha voluto provare a scambiare per testare la sua forza, e ha avuto la peggio, uscendo però con la consapevolezza di potercela fare. Dalle tribune, ignari di questi siparietti, nessuno si azzarda a dire nulla, ma tutti siamo consapevoli che il Campione, seppur in vantaggio ai punti, abbia sofferto in quella ripresa, e temiamo un’inversione di tendenza che vanificherebbe tutto. Sì, perché l’inizio di Leo è quello giusto. Beccatevi il botta e risposta tra me e Francesco Sottili dopo la 1° ripresa: - È partito forte. - Anche troppo - risponde Francesco, temendo che una partenza a razzo provocasse un calo in seguito. Leo comunque fa il suo dovere di Campione, mettendo buone serie di colpi, fra cui anche la famosa serie montante al volto/montante al corpo e Purdy incassa “prendendoli tutti pieni” - frase ripetuta da Moreno, alludendo al fatto che l’inglese non schiva né para con i guantoni, anche parzialmente, i colpi di Leo. L’inglese, una volta ricevuto il colpo, si limita a scuotere la testa per dire: “Non mi hai fatto niente”. Il match va avanti su questo tema, così che io penso che nel racconto che andrò a fare inserirò questa massima: “Il pugilato è cercare di dare più pugni possibili, cercando di subirne meno possibili, e non viceversa”. Tutti siamo convinti che Leo faccia molto con i suoi colpi, e non niente come dice Purdy, www.nove.firenze.it/leonardbundu Ma l’atteggiamento provocatorio dell’inglese, che continua a scuotere la testa e a irridere l’avversario, insinua rabbia e qualche dubbio. All’avvio della 7° ripresa, Moreno vede Leo che prima di partire all’assalto piega le mani verso il basso per fare un po’ di stretching, un segno che Leo ripete quando è stanco. Eh sì, non abbiamo mai visto il Campione in questo stato: i match fin qui li ha dominati, gli avversari sbaragliati. Anche con Jackewitz non è mai andato in sofferenza né fisica, né mentale. L’odio per l’irriverente inglese è al massimo, e quando Leo accetta, e soffre lo scambio a centro ring della 7° ripresa, anche noi soffriamo come bestie. Purdy ha il cazzotto pesante, Paolino mi dirà in seguito che i suoi pugni provocano dei gran tonfi e Leo pare cambiare espressione quando li deve incassare. Il rapporto fra pugni dati e presi è sempre di 1 a 8 come minimo, ma non conta nulla ora. Ora è un altro match. “Non ci scambiare, tre colpi e spostati”, “ritrova la distanza” “muoviti sul tronco per benino”. Questo è quello che il Bonci e Paolo devono aver detto a Leo nel corso del minuto di riposo che separa la 7° e l’8° ripresa. Poi, i due Maestri ricevono il solito invito dell’arbitro ad abbandonare il ring. Entrambi non sono davvero lesti ad andare fuori, tanto che Ezio dice: “Bisogna insegnargli a uscire dal ring”. Ma tutti sappiamo che quei secondi in più sono ossigeno per Leo. Leo segue i consigli dell’angolo. Per tutta la ripresa Purdy lo pressa e lo costringe alle corde, ma Leo schiva e rientra; per due volte lo fa centrando il mento dell’inglese con il montante e Purdy dice sì con la testa. È una ripresa che Leo si aggiudica alla grande, è quella che fa da spartiacque. È quella che decide. Non riusciamo più a contenere la gioia e ormai, anche se nessuno dice nulla, la paura è solo quella di un verdetto casalingo che ribalti la situazione. Qualche ora fa ci siamo intrattenuti per alcuni minuti con un giornalista italiano che lavora a Londra ed è lui che ci ha detto: “Qui i furti sono all’ordine del giorno, speriamo bene e comunque, over the best”. E allora rituffiamoci nel match, perché ora Purdy sembra finalmente accusare i colpi e per la prima volta, dopo essere stato “spinto” da un destro di Leo, si appoggia alle corde e poi “lega”, abbraccia l’avversario per riprendere fiato. È il round finale. Leo è determinato a colpire, e colpire ancora e ancora, fin tanto che le braccia non gli si stacchino dal corpo. Purdy è ormai allo stremo; poi il gancio destro, l’ennesimo. Leo lo mette uscendo da un corpo a corpo. È un colpo portato alla perfezione: gamba, spalla e dorso accompagnano il pugno destro che trova il mento di Purdy. Il diretto che segue è come una spintarella a un ubriaco, che per tutta la sera ti ha piagnucolato in un orecchio e ora, arrivati sulla soglia del letto, non vedi l’ora di mettere a nanna. L’inglese va giù, e , forse, pensa: hai visto cosa succede a prendere in giro i vecchietti. Disegno di Luca Andreozzi www.nove.firenze.it/leonardbundu Ricordo di aver abbracciato, girandomi, Davide e subito dopo di aver rimesso gli occhi sul quadrato ed essermelo trovato di nuovo di fronte e in piedi. Ha un coraggio da leone questo ragazzo, e riprendendo le parole del Bonci: “Se imparasse la Boxe, diventerebbe campione del mondo”. Comunque sia, Purdy è in piedi, e mostra i pugni alti all’arbitro, che lo rimanda a combattere. Tutto il coraggio e il fisico del mondo però non possono reggere alla voglia di vittoria di Leo, che scarica ancora una volta i suoi colpi; poi ancora il gancio destro e l’arbitro che chiama lo stop. Mancano 7 secondi alla fine del match e Leo è ancora il Campione d’Europa. Lo stop dell’arbitro è stato sacrosanto: Purdy aveva perso la tonicità della sua muscolatura e ogni altro colpo poteva mettere a repentaglio la sua incolumità. Tuttavia, come ci confermerà Leo, quello stop è stato chiamato quasi in maniera sommessa. Di solito siamo abituati ad arbitri che in situazioni simili si mettono nel mezzo, togliendo il pugile in difficoltà dalla furia agonistica dell’altro. Ma per Leo è bastata la parola “stop” per fermarsi, realizzare e strizzare ancoro una volta l’occhio al cielo d’Europa. Il Vincente Match finito. Leo festeggia sul ring. Purdy viene preso in consegna dall’arbitro, che lo aiuta a raggiungere l’angolo, e poi dal suo Maestro che lo fa sedere. L’inglese starà ancora un po’, poco, sul quadrato: ma fa in tempo a prendere lo sfogo del Bonci che in perfetto fiorentino gli dice sul becco: - Sei un antisportivo. E quello di Leo, in inglese: - Vedi cosa succede a prendere in giro i vecchietti. Il campione d’Europa, anzi il riconfermato - per la quinta volta - campione d’Europa, rimane da solo sul ring: Purdy è già, precauzionalmente, negli spogliatoi. Il verdetto e le braccia salgono ancora al cielo, mentre in sottofondo vanno i cori “FIRENZE, FIRENZE” e “BUNDU BOMAYE” dei Fiorentini e gli applausi degli inglesi, che suggellano il trionfo made in Accademia Pugilistica Fiorentina. Leo scende dal ring per l’intervista di rito, si siede sul banco dei commentatori e sciorina il suo inglese per i giornalisti di Sky United Kingdom, che non conoscono bene Leo come noi, il pugile italiano è una piacevole sorpresa e vogliono scoprirla bene. Il grande vantaggio di questa rischiosissima trasferta inglese - e non dimentichiamoci che in caso di sconfitta Leo ora sarebbe fuori da tutto - era proprio concedere al campione una platea internazionale. www.nove.firenze.it/leonardbundu L’Inghilterra, insieme alla Germania, è lo stato che più di tutti in Europa promuove la Boxe, con manager come Richy Hatton e società come la Matchroom; con televisioni come Sky Uk, che trasmettono tutti i match della serata con approfondimenti, mentre la nostra RAI passa solo il match clou, talvolta pure in differita; infine, con impianti nuovi ed esclusivi, che celebrano le serate di Boxe. Leo è chiamato a gran voce dai Fiorentini in estasi, e finalmente, scortato dalla sicurezza, viene verso di noi, che ormai presidiamo le transenne dalla parte dell’angolo rosso. Il Campione, segnato dalla battaglia - me ne rendo conto solo ora - esulta e canta insieme a noi. Lui è consapevole di avere fatto una grande impresa. Lui che solo tre anni fa si accontentava di disputare il campionato d’Europa e ora, all’ennesima riconferma, quello stesso titolo gli sta decisamente stretto. In questo momento, proprio nell’immediato dopo match, si parla di una semifinale mondiale con Devon Alexander da fare subito, che nel frattempo ha perso il titolo per mano di Shawn Porter. Mentre ora che scrivo - nel Giugno 2014 - sappiamo che Leo combatterà di sicuro un’altra volta in Inghilterra con Gavin, ancora per difendere la cintura Europea. Nel frattempo infatti è saltato per la 3° volta il match con Branco, che doveva essere una difesa ufficiale, e probabilmente la difesa volontaria con Frezza. Poi dopo, in caso di vittoria ci dovrebbe essere la semifinale mondiale di Leo. Per Leo è così, sempre un’altra sfida, sempre qualcosa da dimostrare. In questo senso mi ricorda un grandissimo del calcio come Roby Baggio, costretto a far da riserva per due volte ad un Del Piero deludente. Anche lui sempre ad un passo dalla meta più grande, per quanti passi possa compiere. Tornando all’Excel Arena, è un grande momento di sport, un altro, e un altro ricordo affiora dal passato: sto vedendo il basket N.B.A., ed in particolare i Bulls di Micheal Jordan, Pippen e Rodman. I Bulls sono sotto. Nel secondo quarto, Jordan sta male, probabilmente ha la febbre alta. Per tutto il quarto seguente se ne sta in panchina a bere e a sudare, e a vederlo sembra che abbia un febbrone da cavallo, di quelli che quando prendono ai comuni mortali, non resta loro che stare a letto, sperando che qualcuno in piedi sia pronto a prendersi cura di loro. Inizia l’ultimo quarto, Air Jordan è in campo, prende la squadra per mano e la fa volare, così come prende il volo la fantasia degli scrittori. I Bulls di Jordan vincono nella maniera più bella ed inaspettata, proprio come Leo che a Londra ha preso la penna in mano e ha scritto una storia che a immaginarla non sarebbe venuta così bella. Il Perdente Purdy alla fine del match incassa gli sfoghi del Bonci e di Leo alla solita maniera, scuotendo la testa e bofonchiando qualcosa. Poi viene accompagnato negli spogliatoi dal suo Maestro che lo sorregge per un braccio, con due ragazze bellissime e vistosissime che lo seguono, e che di sicuro non potranno contare sul pugile inglese per continuare la serata. Purdy viene, presumibilmente, steso subito su un lettino - di sicuro è lì che lo trovano i nostri eroi quando tornano dai festeggiamenti. L’entourage dell’inglese ha lasciato subito il ring, non perché non volesse tributare il giusto riconoscimento a Leo, ma perché era preoccupato e doveva prendersi cura del proprio pugile. Purdy ha subito una quantità di colpi impressionante, altrimenti l’arbitro non avrebbe mai chiamato lo stop a soli 7 secondi dalla fine del match, ma gli avrebbe lasciato, in casa, la soddisfazione di finire ai punti. Purdy ha 26 anni e un promoter capace e influente alle spalle che gli ha procurato chance importantissime. L’inglese ha avuto la possibilità, non sfruttata, di combattere per il titolo mondiale con Devon Alexander il 18 Maggio 2013, proprio passando avanti al nostro Leo che pure era campione d’Europa, dato che nel ranking I.B.F. l’inglese sopravanzava misteriosamente Leo. Purdy non ha sfruttato nessuna di queste opportunità e ora che ha gettato via anche questa, di diventare campione d’Europa, le sue quotazioni sono in netto ribasso. www.nove.firenze.it/leonardbundu Dal punto di vista fisico, Purdy è un pugile provato, tutte le volte che sale sul ring prende la sua bella razione di cazzotti, ha un grande cuore e probabilmente un gran “salvadanaio”, ma il rischio che lo spazio inizi a scarseggiare c’è. Ho visto combattere Purdy con Alexander, e anche in quell’occasione il suo pugilato non è stato diverso: Boxe frontale, rigido sul tronco, difesa quasi inesistente, pressione sull’avversario, ma pochi colpi portati. Con quella Boxe, a questi livelli non vai da nessuna parte. Con Alexander, il suo angolo chiamò l’abbandono alla 7° ripresa; in quell’occasione il match non era risultato valido per il titolo mondiale, visto che l’inglese non era riuscito a rientrare nella categoria di peso per poterlo disputare. Con Leo, e con il titolo d’Europa in palio, il suo Maestro l’ha tenuto per tutte le 12 riprese sul quadrato, e la punizione è stata più dura e più lunga. Non posso che riprendere ancora le parole del Bonci per avviarmi a chiudere questo paragrafo: - Se questo ragazzo imparasse la Boxe, sarebbe il campione del mondo. Ma siccome credo che, ormai, per lui sia troppo tardi sia per insegnargliela che per impararla, sono convinto che Purdy farebbe meglio a smettere. 24 ore: aeroporto di Londra, 14 Dicembre 2013, ore 15 circa - prima del match. Eccoci qua, tutti in fila ad aspettare che i servitori di sua Maestà la Regina ci diano il via libera per entrare sul suolo inglese. Siamo io, Vittorio, Fabrizio, Moreno, Cesare, Davide, Ezio, Francesco e Simone. La poliziotta A, guarda la carta d’identità di Cesare e poi la getta al poliziotto B, come getterebbe le carte di una mano di poker dopo aver scoperto un Jack di quadri quando mancava una cuori per fare colore. Il poliziotto B con il gioco in mano chiede: - Passaporti? - No - ci limitiamo a rispondere noi, con la faccia di chi sta pensando: ma quali passaporti, non ti basta la carta d’identità? Il poliziotto B tira fuori una lente d’ingrandimento e fissa con il suo occhio ingrandito quella strana carta con su scritto “Repubblica Italiana”. A me scappa tanto da ridere: sembra Sherlock Holmes alla ricerca del passaporto perduto, ma ovvio che non lo faccio perché so come funziona e ci tengo ad andare a vedere Leo stasera. Ora tutte le nostre carte vengono portate al banco del poliziotto C e noi veniamo invitati ad arretrare dalla postazione delle forze dell’ordine vicino a delle transenne. Sono l’ultimo della fila, postazione utile per notare il poliziotto D che da un’altra collocazione ci incoraggia a eseguire le disposizioni dei suoi colleghi. Cavolo, siamo nei guai, perché il poliziotto D assomiglia come una goccia di birra al lacchè di Di Caprio nel film di Tarantino Django - che poi sarebbe Samuel L. Jackson - e ora spiffererà nell’orecchio del poliziotto A una cosa che poi A passerà a B e che B passerà a C, e quando C aprirà bocca e ci parlerà saremo tutti fregati. Credo che il nostro Viaggio londinese inizi ora, dalla prima difficoltà, e visto che non c’è il passaparola fra poliziotti, smetto di far andare la fantasia, tiro fuori lentamente il libro dalla sacca e mi metto a leggere. Ho iniziato a leggere Finestra sul vuoto di Chandler nel viaggio di andata ad Amsterdam. Finestra sul vuoto è uno di quei libri che mi piacciono, ma di cui non riesco del tutto a innamorarmi. Qualche pagina avanti la sera, prima di andare a letto, qualche pagina indietro la sera dopo per riprendere il filo, e alla fine passa qualche mese prima di arrivare in fondo. Sono libri che rimangono sul comodino per diverso tempo e sono costretto a portarmeli dietro in simili situazioni per poterli finalmente terminare. Maestri di vita e noiosi prof www.nove.firenze.it/leonardbundu Leggo Chandler perché è dello stesso filone di Ellroy, che a sua volta aveva scoperto Eddie Bunker, che è stato il primo dei tre che abbia letto. Un po’ come ho fatto con Fante, che era stato riportato in auge da Bukowski. Per qualche tempo ho letto solo questi due ultimi autori. Un po’ come da ragazzo andavo dai Led Zeppelin ai Doors. Poi ho cercato di leggere anche altro, ma se voglio andare sul sicuro divoro un libro di Bukowski o me ne sparo uno di Bunker. Sono loro i miei Maestri di vita. Non avevo un buon rapporto con i miei prof istituzionali, quelli, per intendersi, che ho avuto alle superiori da ragazzo. Ben altra cosa sono stati i rapporti con i professori di quando ho ripreso e finito le superiori, a 35 anni. Credo che la colpa del cattivo rapporto fosse tanto mia quanto loro. Certo che loro non facevano altro che lamentarsi, del lavoro, della paga, e se non lo facevano volevano a tutti i costi insegnarti a vivere, ma soprattutto che ti ricordassi di loro, ripetendo: “Fra qualche anno vi ricorderete del vostro vecchio professore che vi diceva: bla, bla, bla”. Questa smania di essere ricordati li ha portati a rimanere nella mia memoria, sì, ma come una fidanzata da cui ti sei liberato dopo troppi anni e a fatica. Beh, alla fine la poliziotta C ci rende le carte di identità, e fa pure tenerezza quando tenta di pronunciare i nostri nomi italici. Ora però siamo in Inghilterra e bisogna far lavorare la zucca se vogliamo trovare un metrò che ci porti all’Excel Arena, il posto dove si svolgerà il match. Le prime info che otteniamo ce le dà uno di quei distributori automatici di biglietti in cui basta selezionare la lingua per ottenere risposte. Nonostante 4/5 tentativi a testa, non ne veniamo a capo. Si decide di proseguire. Alla biglietteria che incontriamo poco più giù, ci sono tre addetti e nessuno in coda. Simone e Vittorio scelgono bene il nostro interlocutore individuando il primo a destra. Scelta azzeccata: l’omino in 2 minuti sforna 9 biglietti - scusate, tickets - per 2 giorni, e un gran sorriso. La raccolta dei soldi, visto che abbiamo molta valuta intera, non è precisa, e alla fine mancherebbe qualche centesimo. Ci offriamo di dargli 1 o 2 euro, e lui smette di sorridere e ride. Scendiamo ai treni mentre ci complimentiamo con Simone e Vittorio per la scelta dell’omino. La metropolitana inglese viaggia come le schegge; il treno fa un pezzo all’aperto per poi rituffarsi nel sottosuolo. In poco più di mezz’ora siamo a Piccadilly Circus, abbiamo un po’ di tempo e conviene mangiare qualcosa, prima di arrivare a destinazione. La scala mobile emerge al centro di Londra e siccome è sabato e siamo sotto Natale, sembra di stare a Firenze, solo è tutto più grande. Il primo pub a destra è il nostro. Dentro al locale c’è un gran buio e, se non fosse per tre TV accese che trasmettono calcio e rugby, non si vedrebbe un tubo. Non che la luce serva a tanto, giusto a capire che il piatto unico, l’hamburger con patatine, è condito con quello o con quell’altra cosa. Alla fine decido per un hamburger classic e un’acqua minerale: la scelta della bevanda è dettata dal fatto che devo buttare giù un antinfiammatorio, altrimenti prendo il mio collo e me lo sego. Se avessi un euro per tutti le volte che ho sentito male al collo sarei ricco; il bello è che ricchi sono diventati gli osteopati che mi hanno incontrato. Solo che poi fortunatamente trovi quello giusto, anzi quella giusta visto che si tratta di una donna, che non ti viene presentata come il messia, ma che comunque ti rimette al mondo e ti fa sentire meno incavolato con quelli che l’hanno preceduta, proprio perché l’hanno preceduta ed ora non ci sono più. Excel Arena “Excel arena, Excel arena”. Il tizio del tram scandisce le mitiche parole e, anche se sono stanco morto di trascinare per tutta Londra me stesso e il trolley, mi alzo come se dovessi scrivere un pezzo rimasto con me tutta la notte. www.nove.firenze.it/leonardbundu L’impianto olimpico - qui si sono svolte le Olimpiadi del 2012 - però è una delusione. In tutta l’Arena non c’è una tribuna, a meno che non si voglia chiamare così quella struttura rialzata da terra di mezzo metro e con 7/8 file a disposizione, che sta dietro alla nostra postazione, che si trova prima del bordo ring. E poi credevo che contenesse quindicimila spettatori e invece boh, diciamo quattro o cinquemila. Ci sediamo e vediamo le ultime riprese di McDonnel vs Medina. Avremmo visto volentieri anche Zamora, che inizialmente era stato inserito nel programma come sfidante al titolo dell’Unione Europea; ma l’italo-cubano non è potuto essere della partita per un problema burocratico. Tornando a McDonnel vs Medina, non possiamo che apprezzare il match, visto che entrambi sono buoni pugili. Il primo è stato campione mondiale, poi ha perso il titolo per questioni burocratiche; qualcuno ci ha detto che è stato il suo vecchio manager, che tradito dal pugile si è rifatto facendogli perdere il titolo. Certo è che il pugilato è pieno di simili questioni, sono un po’ il grande ombrello dove si raccolgono le motivazioni più disparate. Un po’ come quando alla porta degli uffici trovi scritto: “chiuso per motivi tecnici” e la vera motivazione è che il capoufficio e il suo collaboratore, quella stessa notte, hanno troncato la loro relazione clandestina dopo 15 anni. McDonnel è una nostra vecchia conoscenza, Rodrigo - Bracco - ci ha disputato l’europeo. Comunque sia, Medina tiene testa al gallese per tutte le 8 riprese, e round finale a parte, secondo me fa meglio del pugile di casa. Ovvio che non basta per vincere. Credo sia il momento di vedere se becco Anna Sgarbi. L’ho vista su facebook dimagritissima, sul suo profilo di WhatsApp ha messo per un periodo “ho fame”. I social network ci precedono sempre. Ci diamo appuntamento alla smoking area. Anna arriva con un vestitino sul blu davvero adatto a quell’occasione e al suo fisico davvero ok. Ce ne stiamo per un po’ lì, buttati fra cumuli di cartoni di birra e sigarette, fin tanto che non ne abbiamo abbastanza e guadagniamo un posto migliore, anche perché Anna vuol mangiarsi un hot dog. Davanti al tipo che fa i panini c’è il nipote di Salvatore Cherchi. È un ragazzo giovane, in giacca e cravatta per l’occasione, ma da come porta quei panni direi che ci è abituato a quelle occasioni. Ma che ci fa un Cherchi a Londra? Credo i fatti suoi in primis, e poi, dando credito ad una probabile indiscrezione, non ci scordiamo che proprio l’OPI 2000, di Salvatore Cherchi, aveva vinto l’asta per Branco vs Bundu e visto che il match non si è fatto ora hanno rimediato trovando il match londinese per Leo. Anna mi dice che è già stata a Londra nel 2006, a vedere Haye vs Fragomeni, un match bellissimo, io me lo sono visto su youtube questa estate, ero andato su facebook tanto per far passare un po’ di tempo e ho visto il video postato da Fabio Turchi. Anna ha visto Fragomeni di recente, a pochi giorni dal match perso con Wlodarczyk. Il pugile italiano è uscito sconfitto per colpa di una ferita impressionante, c’entravano due dita. Quando l’ha visto Anna, di quella ferita restava un graffietto. Dai pugili, di punto in bianco Anna passa a parlare delle donne: - È pieno di tipe con le tette rifatte, senza calze e sui trampoli. Io sorrido a pensare all’immagine del suo profilo facebook di qualche tempo fa, che raffigurava Mafalda, dall’omonimo fumetto, che allo specchio chiedeva: “Chi è la più rognosa del reame?”. È tempo di andare, andare in bagno per ora. Non ho bevuto né mangiato, anche se avrei una voglia matta di assaggiare una birra inglese. Comunque sia, mi serve un bagno. Le latrine inglesi sono uguali a tutto il resto del mondo, almeno quelle. Opto per il servizio in piedi, scelgo l’ultimo orinatoio, quello più lontano dalla porta di entrata. Mentre sto espletando il mio bisogno, vedo che un tizio, grasso, rosso di capelli, lentigginoso, ma soprattutto ubriaco, sta facendo pipì dalla parte opposta e si sposta di postazione in postazione continuando a urinare. A questo ritmo, goccia a goccia tra poco www.nove.firenze.it/leonardbundu sarà vicino a me. Non credo per come è fradicio che riesca a vedermi e c’è il serio rischio che mi pisci addosso. Non ho ancora finito e il tempo stringe. Un tizio magro, bruno di capelli e senza lentiggini, ma soprattutto ubriaco, si mette a fare pipì accanto a me, così finisce che ora è lui ad avere l’altro accanto. I due lasciano il loro arnese si danno il cinque prima di riprendere a fare quello che facevano. Vedo la scena mentre me ne sto andando: guadagno l’uscita il più in fretta possibile, saltando anche il lavaggio delle mani, e credo di essere scusato. Il match sta per iniziare, ma non ci sono gli inni a preannunciarlo. E questo, anche se sveltisce la cerimonia, mi dispiace un po’. Il tricolore e con lui il giglio di Firenze avranno modo di sventolare dopo. 15 Dicembre 2013, ore 8 circa del mattino, Londra, Dockland - dopo il match. La colazione inglese consumata dagli italiani affamati è una vera libidine: il buffet diventa una grande abbuffata, un trionfo di trigliceridi, colesterolo e glicemia. Questo e la birra, che avrò l’opportunità di bere nel pomeriggio, sono ottimi motivi per tornare a Londra. Me ne sto comodamente seduto a consumare il sesto giro di portate, quando mi accorgo che una pischella, con dei grossi occhiali neri, in jeans e con le All Star ai piedi, mi sta guardando con il suo vassoio in mano. Visto che occupo il posto sul corridoio, credo che voglia che mi sposti per passare di là. Penso che però potrebbe passare da un’altra parte evitando di rompere e continuo a concentrarmi sul piatto. Volgo lo sguardo, la pischella è ancora là. Passo dal piatto di pancetta fritta e marmellata di lamponi alla sua faccia, e solo dopo realizzo. È Anna. Anna in versione mattutina, senza lenti a contatto. Cerco di rimediare a questa figura del cavolo facendo il disinvolto, della serie: ho fatto finta di non conoscerti; ma è una di quelle volte che la toppa è peggio del danno. Rimedierò strappando cinque minuti fuori dall’hotel per una sigaretta. Inizia il viaggio di ritorno. Saluto Anna davanti all’hotel, prendo il trolley e mi avvio con i miei compagni. Fatti sì e no 300 metri, ci accorgiamo che abbiamo sbagliato strada, così invertiamo la rotta e ci troviamo a passare di nuovo davanti all’hotel. Anna è ancora lì, ci sorride e dice che siamo buffi. Io rispondo che sembriamo italiani in un film di Alberto Sordi. Abbiamo un po’ di tempo e vediamo un po’ di Londra. A dire la verità, non è che a me freghi poi tanto. Credo che sia un po’ come nei racconti del mio amico americano quando andò la prima volta ad arrampicare a Fontainebleau, a quel tempo arrampicavo anch’io. Fontainebleau è una foresta vicino a Parigi, ma per gli arrampicatori è la mecca mondiale, così l’amico americano raccontava che nel giorno di riposo dalle fatiche di climber, non erano andati nella capitale d’Europa, ma erano rimasti a vedere le lavatrici girare. Non ho mai chiesto se vedere le lavatrici girare fosse un modo di dire yankee; ma ho sempre saputo che per vedere e apprezzare posti nuovi bisogna essere in palla, e non svuotati da una passione che fa passare tutto in second’ordine. Fine del Viaggio, per ora… Eccoci qua, sull’aereo di ritorno. Siamo io, Vittorio, Fabrizio, Moreno, Cesare, Davide, Ezio, Francesco e Simone. Io sono sistemato tra Moreno e Cesare, mentre gli altri sono poco più dietro o poco più davanti. Moreno dorme, io sono alle ultime pagine di Finestra sul vuoto. Cesare se ne sta tranquillo, come del resto lo è stato durante tutto il viaggio; gran bell’atteggiamento per un ragazzo di 16 anni. Poso il libro per un attimo e faccio due chiacchiere con lui: - Vedi Cesare, in vita tua ne incontrerai di persone che ti vorranno dire cosa ricordare e chi ricordare, ma se ami lo sport questa impresa sarà tua per sempre. Io c’ero, la notte in cui Leonard Bundu sbancò Londra, io c’ero. www.nove.firenze.it/leonardbundu Al mio ritorno mi aspettano buone notizie. Una mi aspetta direttamente all’aeroporto e si chiama Francesca. A dire il vero l’ho fatta anche aspettare, il volo era in ritardo; ma le belle ragazze non andrebbero mai fatte aspettare e ora non vedo l’ora di recuperare. Anche lei ha visto Leonard in TV. Sono in tanti ad aver visto, sofferto e gioito con Leonard Bundu. Serena, mia sorella, mi invia un sms: “Eccezionale Leo! Ci ha tenuti incollati alla tv.” A lavoro diversi colleghi mi diranno di aver visto il match e rivisto finalmente il grande pugilato. Con i miei articoli e con le mie parole sono riuscito a far appassionare le persone a Leonard Bundu, questa è la più grande soddisfazione. Raccontare Storie e appassionare. www.nove.firenze.it/leonardbundu Leonard Bundu vs Frankie Gavin 1 Agosto 2014 6° Difesa del titolo di Campione d'Europa dei pesi welter Civic Hall Theatre - Birmingham - Wolverhampton Tutto vano? L'inglese nel round finale prende il centro ring e mena la danza, non fa niente di che; ma dimostra di finire meglio di Leo ed il suo pubblico, dopo averlo visto nel corso del match disteso lungo sul tappeto, si rianima ed accompagna la ripresa con gli olè. Ma non basta una ripresa per vincere un match prima di quella ci sono state/le altre/l'atterramento della 6°/il paradenti/il resto? I pensieri interrogativi si affollano veloci nella mia testa in un tempo che è indefinibile, il tempo che ci divide dall’annuncio del vincitore del match. Incredibile, se fossimo in Italia me ne starei, non dico rilassato, ma molto più tranquillo, perché, ed è bene che tutti lo sappiano, stiamo parlando di un match vinto chiaramente con 4 o 5 punti di scarto, ed invece me ne sto con il giramento a fissare gli inglesi che sperano di far festa solo perché siamo a casa loro. È dura andare in trasferta, è durissima vincere in trasferta; odio essere beffato, lo faccio solo per Leo. Sono qui solo per lui. Non certo per la Federazione che è assente, non certo per la lega Pro Boxe che è assente; non certo per Loreni che non ha vinto neanche quest'asta, non certo per la televisione italiana che è assente pure lei e ci lascia qui da soli, unici testimoni di un'ingiustizia, se così sarà, che rimarrà inaccessibile ai più. Perché si sa come vanno queste cose, fra qualche anno il match di Wolverhampton sarà ricordato al massimo come un match dal verdetto casalingo per quasi tutti; mentre per noi che c'eravamo sarà una ferita che si riaprirà. Certo che non sono poi così solo, il flusso dei pensieri, passato dall'uso del singolare al plurale, mi ha anticipato. Qui, accanto a me, ci sono i miei compagni. Penso a Fabrizio con cui ho passato qualche giorno e mi pare di conoscerlo da sempre. Penso ad Ezio che a 76 anni quando gli ho detto, appena appreso che il match sarebbe stato in Inghilterra, “Ezio ci tocca tornare in Inghilterra” lui mi ha risposto alzando le spalle “eh allora, si prende l’aereo”. Stamani alle 5 del mattino all’aeroporto di Pisa si parlava di Gavin ed io dicevo che era un tipo sgusciante, uno che va via, che ti manda a vuoto e... “lo sai quante ne ha trovati in carriera di pugili così, a Leo gli metti il sinistro e lui lo schiva ed è subito lì, ti ruba la distanza quando vuole, è sempre a misura, quanto mi ha fatto divertire in questi anni” rispondeva Ezio. Penso anche a Simone, al fatto che nonostante l'età e alla zazzera potrebbe essere definito un “grande vecchio”. A Vittorio che ha perso la carta di identità ieri sera, l’ha cercata per mari e per monti accontentandosi anche di trovare il passaporto in pianura e poi ha dovuto rinunciare a partire. A partire con noi stamani, ma non ha rinunciato ad esserci oggi, prendendo il volo Firenze - Birmingham nel pomeriggio, atterrando sul suolo inglese alle 16,30 ed è lì che l'abbiamo preso con la nostra macchina noleggiata all'aeroporto di Londra alle 9 del mattino. No no, non dico cavolate, il viaggio da Londra a Wolverhampton ha avuto tempi lunghissimi, infatti, - a parte la fermata per recuperare il nostro Vittorio a Birmingham siamo arrivati a Wolverhampton intorno alle 19. Avevamo stimato che il tratto di strada da coprire sarebbe stato di 150 km, calcolando così 2 ore di viaggio, tanto per stare tranquilli ed invece i km, anzi le miglia, erano molte di più. Diciamo che tutto è andato piuttosto bene fin quando alla guida della macchina c'era Simone, che già aveva esperienza di guida destrorsa, coadiuvato dal navigatore umano Fabrizio seduto a fianco e dal navigatore meccanico seduto sul cruscotto; poi a tutti è venuta una gran fame e quindi ci siamo fermati; ma nella terra di sua maestà, almeno nel tratti di strada in questione, non ci sono gli autogrill così come li intendiamo noi. Non si tratta della roba da mangiare o dei wc, si tratta del fatto che le aree di sosta non sono contigue rispetto alla strada percorsa, così da permettere l'uscita del veicolo, la sua fermata ed agevolare la ripresa della marcia e della strada precedentemente abbandonata. Quindi, il malcapitato veicolo ed i suoi occupanti, dove aver fatto gli opportuni rifornimenti e scarichi, si trovano sbalzati in un'altra strada e devono ritrovare la vecchia e giusta via. Alla guida della macchina ora c'è Fabrizio, Simone passa dietro per un po' di riposo, io davanti alla navigazione. Fabrizio prende l'unica strada possibile e ci troviamo in un'altra realtà ricca di insidie e di rotonde. Ho incontrato le rotonde la prima volta “nell'acida” Ibiza dei primi anni '90, prima cioè che diventassero di moda anche a Firenze e provincia, ma non avevo mai fatto i conti con le rotonde affrontate con il sistema inglese, che incasina il tuo modo di procedere acquisito per i vialetti dei giardini ai tempi in cui la mamma ti guidava in carrozzina. Alla prima rotonda il navigatore meccanico ordina di uscire alla 4° uscita e subito sbagliamo, perché è un autentico macello capire in anglosassone come fare a seguire quella che sembra un'elementare manovra, è tanto difficile che ora che scrivo mi sono completamente scordato il ragionamento fatto a suo tempo per convertire in guida inglese le abitudine di una vita. Fatto sta che abbiamo sbagliato e ci ritroviamo in una strada stretta ed a doppio senso di circolazione, i veicoli che provengono nella direzione opposta alla nostra sembrano tutti venire in controsenso, la mostruosa sensazione è acuita alle curve e sembra di essere in un videogame. Fabrizio appare in leggera apprensione, compresso com'è nella situazione di chi, per evitare un frontale dietro l'altro, rischia di andare fuori strada. Io che assisto cerco di rimanere calmo tenendo d'occhio, dal mio specchietto, la striscia che delimita il margine destro, scusate sinistro - visto com'è facile sbagliare -, alcune volte devo richiamare l'attenzione del pilota a riprendersi da quello che sembra un quasi incidente, altre volte sono le fronde degli alberi sul ciglio della strada che ci avvertono che non rimane più tanto spazio fra noi e il baratro. Decidiamo di fermarsi e di far riprendere a Simone il comando delle operazioni, nello spiazzato vediamo anche che siamo finiti in piena campagna inglese, con i prati all'inglese, le collinette all'inglese e perfino i sassi all'inglese. Alla prima rotonda comunque sbagliamo ancora - another volta - e ritroviamo i cartelli che indicano Londra minacciosamente più vicina. Ci vorranno un paio di ore buone, condite da discussioni sul come fare ed uscite da brivido alle rotonde, per ripassare davanti alla famigerata area di sosta. Alla fine siamo in hotel anzi al Novotel nel tardo pomeriggio. Nella hall troviamo il Bonci, Loreni e Leo, per lui è ancora presto per andare al Civic Hall, così ci saluta e torna in camera. Prendiamo possesso delle camere anche noi, Francesco ha dovuto dare forfait all'ultimo minuto e così io e Fabrizio siamo in camere separate e tutte per noi. La mia attenzione va subito alla postazione di scrittura che individuo vicino alla vetrata - perfetto - inserisco la spina inglese prestata da Nicola ed apro il computer. Connessione internet ok, apro il miei appunti e sento che quello è un buon posto per Scrivere. Sbrigate le cose importanti, penso a fare la doccia ed a prendere qualcosa per la testa/collo, visto che la tensione sale e la nottata sarà lunga. Quando scendo è già l'ora di mangiare, non perché abbiamo particolarmente fame - il tacchino della famigerata sosta era abbondante, oltre che buono - ma perché la nottata resta lunga. Prima che il piatto sia pieno telefono alla Franci e mi faccio vivo, ancora una volta non posso che ripetere che la diretta TV non ci sarà. Come tutti ho il telefono pieno di messaggi/telefonate di chi è non è potuto essere qui e chiede lumi sui collegamenti. Si dice che Warren, il promoter di Gavin, abbia sorriso all'offerta della TV italiana - tanto era bassa - e per chi è dovuto rimanere a casa non resta che lo streaming. Chiudo la telefonata con un bacio e con un “a presto”. La macchina per Leo è arrivata. Il campione ora appare tirato in viso. In silenzio lo accompagnano nel piazzale dell'hotel, lui mette la borsa nel bagagliaio, alza il braccio destro lo piega ed agita il pugno, rispondiamo increspando le labbra. Seguiamo la macchina che se ne va. Appuntamento al Civic Hall Theatre. Civic Hall Theatre Ho bisogno di un po’ d’aria. Mi alzo, con lo sguardo chiedo al tizio che mi sta accanto di sedia di farmi passare, la sua mano tatuata va in direzione dell'uscita, così come la sua testa rasata. Le sue gambe si ritirano. Aria. Mi alzo il bavero del mio giubbino e soffio il fumo verso l’alto, piove ma nessuno pare farci caso. La mia attenzione viene catturata da una scena dall’altra parte della strada. Un gruppetto di poliziotti inglesi circonda un ragazzo scalzo e a torso nudo che sbraita all’indirizzo di non so chi. Il suo amico, non molto distante dalla mia postazione, fa avanti e indietro per dire qualcosa ai Bobbies, tutte le volte viene accompagnato dall’altro lato della strada da uno degli agenti, tutte le volte ritorna. Ad un certo punto un coglione passa nei pressi della scena, indica il ragazzo seminudo, urla il suo nome e ride forte. Gli animi si surriscaldano, ma i poliziotti si adoperano per raffreddarli e si capisce subito che la camionetta, parcheggiata nei pressi della scena, se ne andrà vuota. Ed infatti il tizio seminudo va per la sua strada ed io torno dentro fra l’indifferenza generale. Ancora non mi va di tornare a sedere, al bar c'è una gran ressa ed una pessima birra, trovo però gli altri compagni di viaggio che si sono mossi per conto proprio, Antonella e Guido. Ringrazio Antonella che è riuscita a procurarmi un pass per il bordo ring, infatti questa volta non ho neppure provato a trovare un accredito. Guido mi offre una birra, declino l'offerta scusandomi. Saluto i due dopo che Antonella mi ha spiegato dove sono gli altri. Passo a salutare Giuliana ed i bimbi che sono nei pressi del bordo ring dalla nostra stessa parte. Faccio il giro per salutare Anna e Michela, le trovo sempre in forma, Anna addirittura più alta della volta scorsa, potenza dei tacchi. Riprendo la mia posizione. I tizi che precedono il mio posto - due amici hanno raggiunto il ragazzo che prima ha agevolato la mia uscita - si alzano e rischiamo una collisione fra pance di spaghetti e pance di birra. Sono di nuovo accanto a Fabrizio, che precede Ezio, Simone e Vittorio, a guardare il sottoclou. I match non sono un granché, forse Warren ha speso tanto per far combattere il suo pupillo nel giardino di casa e non gli è rimasto molto per il resto. Sul quadrato ci sono due pesi massimi imbattuti con un bel record. Uno di loro, l’australiano Browne, molto massimo, il suo avversario è l’ucraino Rudenko. Il match ha in palio il titolo intercontinentale WBA. Il peso dei due pugili rende tutto molto faticoso, con il passare delle riprese poi, lo sforzo e le botte li rendono lenti e prevedibili. Rudenko si muove meglio nelle prime riprese, Browne va dritto per dritto anche contro i cazzotti che prende. Il pugile australiano è un vero duro, uno che non si fa mancare nulla, come il suo corpo che è pieno d’inchiostro tatuato, dove puoi trovarci: la carpa giapponese, il maori neo zelandese e chi più ne ha, più ne metta. Vince Browne, che così si avvicina alla vetta della classifica mondiale - così apprenderò in seguito - ma non credo che possa fare tanto meglio, per capirsi Klitschko, il campione, lo metterebbe K.O. in 3 riprese. Di grande interesse per me è chi c’è all’angolo di Browne, infatti il suo Maestro è Jeff Fenech ed il suo promoter e Ricky Hatton, entrambe più volte campioni mondiali. Fenech, che non è parente della Edwige nazionale, ha combattuto con gente del calibro di Azumah Nelson. Ricordo uno speciale che Rino Tommasi gli dedicò qualche tempo molto - tempo fa - sulla sua rubrica di Boxe anni ’80, quando i media non oscuravano la Boxe. Il servizio si chiudeva con un ripetuta infinita di montanti da parte di Fenech. Ricky Hatton è stato un grande campione, uno che si è piegato, quando era all’apice, solo a campionissimi come Maywheather e Pacquiao. Hatton, dopo aver fatto il suo rientro sul ring nel 2012, ha smesso definitivamente con la Boxe. The Hitman, l’uomo che colpisce, il nome sul ring di Hatton, è molto fuori forma oggi - e potrei essere molto più duro con lui nel descriverlo - ma sono già molto duri i suoi problemi fuori dal ring: alcool, depressione e droga, così lascio perdere. Vedrò se riesco a leggere la sua storia, ma non fin tanto che è scritta solo in inglese. Chi la sta leggendo, pur conoscendo il tipo, è rimasto mezzo sconvolto. Comunque quello che volevo dire è che Hatton in Inghilterra è una vera leggenda. Da promoter Hatton va forte. Nella sua scuderia ha pugili interessantissimi come Rabchenko, il suo prestigio deve anche aver contato molto nella carriera del fratello Matthew, che fresco di titolo continentale ha combattuto per il titolo mondiale sigla W.B.C con un certo Saul Alvarez. Matthew in passato era stato accostato diverse volte al nome di Bundu, ma poi, complice il suo tentativo mondiale e poi la sua sconfitta con Brooke non se n’è fatto mai di nulla. Per capire come vanno le cose: Brooke, dopo aver battuto il fratellino di Hatton, non ha mai mostrato alcun interesse per il titolo europeo di Bundu, ma ha puntato alle eliminatorie per i titolo mondiale IBF, ed ora è il campione mondiale di sigla dopo aver battuto, anche un po' inaspettatamente, Shaun Porter negli Stati Uniti. Quello che sta facendo di straordinario Leo è proprio questo: avere la forza di vincere sempre e dovunque, per tenere in piedi le sue chance ed essere ancora in partita con chi ha sempre avuto in mano carte più forti, grazie a manager e federazioni più autorevoli e potenti delle nostre. Sul ring ora, dopo i due massimi, c’è un pugile di casa contro un ragazzo di colore, quest’ultimo ha la pancia e le guanciotte alla Arnold Jackson - il protagonista del famoso telefilm anni ’80 - , ma non si muove male. Il pugile di casa ha un fisico più da pugile; ma un’impostazione così scolastica che fa quasi tenerezza, mi pare, che come da copione, vinca quest’ultimo, fra la poca partecipazione degli spettatori impegnati ad intasare il corridoio che dà sul bar e quello che dà sui bagni. Il pubblico si scalda un po’ quando arriva sul ring Jo Costello, un nome che detto da un ring announcer inglese è già un programma. Il 20enne di Birmingham va dentro forte, il suo avversario nonostante i suoi 26 anni è al suo 11esimo match. Vince Costello, ma a me non pare un fenomeno. Bundu vs Gavin I bar sono vuoti, le persone hanno smesso di bere, chiacchierare, fumare. Ora tutti sono qui a vedere il match. Come faccio spesso vado a vedermi l'entrata di Leo. Leo appare da dietro le quinte, come sempre ha l'accappatoio di raso nero e rosso e la faccia da guerra. Le note di Fifty cent, lo stacchetto scelto da Leo, lo accompagnano sul quadrato. Qualcuno fischia, altri fanno il gesto dell'ombrello, la maggior parte aspetta Gavin. Il pugile inglese arriva in clima da stadio, i cori inglesi, i migliori del mondo, insieme alle cornamuse lo accompagnano sul ring, insieme ad una cintura multicolore che non riesco identificare. Ride bene chi ride alla 6° ripresa 4 montanti: montante destro doppiato al volto, due colpi che trovano l’opposizione dei guanti di Gavin. Montante sinistro strettissimo al mento che entra di precisione, montante sinistro alla figura che colpisce il fegato di Gavin e lo abbatte. Leo va all’angolo neutro ed osserva la scena l'arbitro che conta. Quando il conteggio arriva a 3 - 4 e Gavin è ancora disteso bocconi con le gambe rigide, Leo alza le braccia quasi convinto che Gavin non si rialzi fino al conteggio totale. Ma l’inglese ha un sussulto, si gira, sputa il paradenti e si rimette in piedi. L’arbitro raccoglie il paradenti scuotendo la testa, probabilmente un gesto di imbarazzo perché sa che dovrebbe almeno richiamare ufficialmente Gavin per quel gesto volontario - se non decretare lo stop del match, e la vittoria di Leo, perché il pugile che si alza dal know down dovrebbe dimostrare di essersi ripreso e non fare esercizi di sputazzamento - ed invece dà il paradenti all’angolo dell’inglese per la necessaria pulizia. Leo ride per la presa di giro che sta subendo. Disegno di Luca Andreozzi La sceneggiata va avanti per un altro po', non scordiamoci che siamo in teatro, poi quando gli attori hanno finito di fare finta si ricomincia a fare sul serio. Leo si getta su Gavin cercando di mettere a frutto quei pochi secondi che separano il round dalla sua fine. L'inglese dimostra di aver recuperato - ma che sarebbe successo se Leo lo avesse subito avuto disponibile? - e fa quello che gli riesce meglio, ovvero non si fa trovare, schiva e si muove e cerca di arrivare alla fine del round. Leo gli sta addosso, lo colpisce, ma non abbastanza forte e bene da mandarlo un'altra volta al tappeto. La campana mette fine al round, Leo viene riaccompagnato all'angolo dall'arbitro che fa ampi gesti al Bonci e a Paolino di provvedere alla garza del guantone che ha ceduto. Non una parola fra gli italiani e l'arbitro. Intanto in platea come dappertutto nel teatro siamo in piedi, non sappiamo che tipo di spettacolo si aspettavano gli inglesi, ma se metti Leo in programma non puoi non considerare il suo montante al fegato. Non è che non fosse successo nulla prima di quella ripresa: Leo aveva iniziato a braccare Gavin, che aveva iniziato a schivare e poi al 5° round aveva preso anche a rientrare, cosa che c'era piaciuta poco e che avevamo comunicato ad Antonella la quale, seduta qualche fila più in là, al termine di ogni round, ci chiedeva lumi girandosi verso di noi come precedentemente concordato. Ma se nel match con Purdy la chiave della vittoria era stata il saper cambiare in corsa stile, in questo match la mossa vincente per Leo è stata quella di non modificare il suo atteggiamento mentale pur subendo le manfrine dell'arbitro che, in occasione del conteggio ed anche quando Gavin reiterava le sue scorrettezze, non lo tutelava mai. Insomma nervi d'acciaio per Leo che nella bolgia di Wolverhampton deve avere pensato, vinco io comunque sia: arbitro, avversario, giuria, paradenti e tifo contro. Siamo al giro di boa di un match previsto sulle 12 riprese; ma che promette di finire prima, almeno è quello che ci auguriamo noi. Arriva il suono della campana che ci trova ancora tutti in piedi. È una lotta selvaggia, fra chi vuol chiudere il match e chi vuol rimanere in piedi e recuperare energie. Il KO è nell'aria, lo sentono i pugili e lo avvertiamo noi, è un clima di apprensione, paura e soddisfazione non ancora venuta a galla. Il Civic Hall di Wolverhampton ribolle di queste sensazioni ed ognuno di noi che le sta vivendo è una bollicina di un liquido in ebollizione. Gli unici estranei da questo clima sono 2 tizi di colore dietro di noi, che se ne stanno comodi sulle loro sedie, come stessero vedendo la 20esima replica di Pierino e i lupo ed invitano noi a sederci. Ci penserà lo speaker a richiamare tutti a stare seduti e tranquilli. Si va avanti ed il KO non arriva. Gavin dimostra di saper reggere, a dispetto del suo fisico non troppo muscolato, le bordate di Leo che continua a metterlo alla frusta fino alla 10° ripresa. Nelle ultime 2 riprese Leo rallenta la sua azione, negli spogliatoi ci dirà “dall' 8° mi sono presi i crampi”. Gavin ne approfitta, e dopo la burrasca dei round precedenti, mette fuori il naso e vede un po' di sole. Tutto vano 2? Ora non c'è più tempo per i pensieri, i ricordi, le recriminazioni. Ora il ring announcer ci dirà la risposta al nostro interrogativo, una risposta che tutto il Civic Hall attende in piedi. Quando viene annunciata la split decision, la decisione non unanime dei giudici, sento il bracciolo in legno della mia sedia che si avvicina pericolosamente alle mia terga, seguono in rapida successione i nomi ed i punteggi dei tre giudici che non capisco; ma poi capisco “and still champion...”, che vuol dire che Leo è ancora campione d'Europa. In definitiva Leonard vince perché 2 giudici su 3 gli riconoscono un punto di vantaggio, mentre il 3° giudice scriverà nel suo cartellino un PAZZESCO computo che riconosce 3 punti di vantaggio per Gavin. A conti fatti si può dire che abbiamo evitato la beffa per 1 punto. Dopo match Senza troppa resistenza ci siamo fatti buttare fuori dalla sorveglianza inglese ed ora siamo in strada davanti a due alternative, sto parlando di me e Fabrizio, tornare in hotel con gli altri e dopo 2 chiacchiere andare in camera, dove io ritroverò la mia cara postazione o vedere quello che c'è da fare con Leo e gli altri. Decidono le parole di Fabrizio: “e dai, quando ci ricapita un'occasione come questa?”. Per rientrare usiamo la carta Michela, che ha seguito il flusso inverso ed è andata nello spogliatoio con Leo e gli altri. Michela arriva con in braccio Frida, con le due signore passiamo il primo blocco - la tizia della sorveglianza davanti alla porta - poi proseguiamo da soli perché Frida deve andare in bagno. Procediamo con circospezione nel teatro semivuoto, tenendo a mente la raccomandazione di Michela “fate finta di nulla e nessuno vi dirà nulla”. Passiamo in mezzo agli operai che stanno smontando il ring e ci addentriamo dietro al palcoscenico, per due volte sbagliamo strada e ci ritroviamo a passare davanti allo spogliatoio di Gavin che in mutande e molto segnato in viso parla con gli uomini del suo entourage, come sarebbe bello capire che dicono. Al ritorno dal secondo giro troviamo Michela e Frida che ci conducono da Leo. Il campione è già docciato, non ha particolari segni della battaglia, a parte un lieve rossore dell'occhio. E' seduto sul divano - ricordiamoci che siamo dietro le quinte di un teatro - e concede un'intervista a Marco Bratush di Boxe ring web. Assisto con piacere al lavoro del collega, fa piacere vedere come lavorano gli altri anche in considerazione del pezzo che poi scriveranno e che il giorno dopo mi andrò a leggere. Leo racconta anche che durante la preparazione ha avuto un problema alla mano che gli ha impedito di lavorare come doveva, ero a conoscenza di questo, ma non ho detto nulla nei mie articoli, l’informazione era riservata. Passa Guido e mi ritrovo una birra in mano, stavolta la prendo e ringrazio. Dopo le varie tensioni delle ultime ore, ora è arrivato il momento di godersi la vittoria ed è ancora più bello condividerla con gli amici. Argomenti dibattuti: il comportamento parziale dell'arbitro e la grande paura per la decisione della split decision. Per quanto riguarda quest’ultima nota i ragazzi che avevano la postazione opposta alla nostra e le pupille sulle facce dei protagonisti ci raccontano, che dalla mimica del ring announcer e di Frank Warren avevano capito che le cose si mettevano bene, infatti il primo aveva una faccia da funerale e Warren gli faceva compagnia, insomma Leo gli aveva tolto quel sorriso che la TV italiana gli aveva donato. Nel corridoio ci passa accanto Gavin che ci saluta, poi sappiamo che aveva invitato Leo a bere una birra in un pub dove si doveva far festa per la sua vittoria. Di lì a poco anche noi salutiamo ed in banda usciamo dal Civic Hall. Del comportamento dell'inglese Leo dirà - dall'articolo di Buttafuoco - “Diciamo che Gavin è stato tanto educato e professionale prima del match, durante la conferenza stampa, quanto antisportivo durante e dopo l’incontro. Ha spesso colpito dopo il gong, si è sovente lasciato andare a prese di lotta ed alla fine non ha voluto abbracciarmi e riconoscere la sconfitta. Ma penso che il suo fosse solo nervosismo derivante dall’aver incassato la sua prima sconfitta in carriera”. Il gruppo procede in direzione del Novotel, sotto la noiosa e ghiaccia pioggia inglese sembreremmo un normale gruppo di ragazzi che se ne torna a casa dopo un venerdì sera, ed infatti siamo un gruppo normale di ragazzi con in mezzo il campione d'Europa dei pesi welter e che per la seconda volta di fila ha espugnato l'Inghilterra, un'impresa che non era mai riuscita a nessuno. Durante il tragitto Leo spiega che dall'8° ripresa gli erano presi i crampi ed il pensiero va ai calciatori che sdraiati sui campi di calcio sembrano moribondi. La hall dell'albergo è perfetta per continuare a festeggiare e siccome una festa senza birra non è una festa, arriva il prezioso liquido. Siamo una bella banda di gente che non ha nessuna voglia di andare a letto, nell'allegria generale viene fuori anche la cintura che Gavin ha portato sul quadrato e messo così in palio, si tratta della cintura del Commonwealth, che Leo gli ha portato via per la sua nascita in un paese del Commonwealth. Paolino mi chiama da una parte e mi sussurra “grazie per esserci sempre”. Poi mi fa guardare gli sms ricevuti dai Maestri di tutta Italia che rendono omaggio al campione. Mi sa che inizia ad essere tardi, ma prima che mi decida a salutare arrivano le pizze. Infatti un genio ha chiamato un pizza taxi che non perde l'occasione per farsi un selfie con Leo. Mangio un pezzo di pizza e decido di andare a pescare Fabrizio, lo trovo in zona Michela, non mi va di scroccare niente a nessuno così gli dico che pensi lui al conto delle vivande e poi mi farà sapere. Il giorno dopo mi dirà che tutto è stato offerto dal Leo. La postazione è lì che mi aspetta, ammucchio i vestiti sul divano ed in totale sbraco mi metto a scrivere. È una bella sensazione riuscire a battere sui tasti nonostante tutto, tralascio le parti più o meno preparate e lascio andare le dita. Il pezzo lo chiamo “Bundu Campione nonostante tutto”. Lo rileggo 1 volta o 2, anche se sono sicuro che non riuscirò a fare un buon lavoro con la correzione, è sempre così se mi faccio prendere dal ritmo. Sono le 5 del mattino quando lo mando via, penso che fra qualche ora lo potrò modificare, ma poi non lo faccio, lo lascio così. Sono 25 ore che non dormo e decido che per ora basta così. Sapete una cosa, quando intervistai Leonard prima che diventasse campione d'Europa scrissi: “ci sono uomini che devono perdere tempo per saperlo apprezzare. E se poi hanno il talento di Leonand si trovano a combattere per il titolo europeo a 37 anni”. Dopo 3 anni, grazie alla forza di Leonard, quella frase Europea è diventata Mondiale, il 13 Dicembre Leo sarà a Las Vegas per conquistare il titolo mondiale ad interim nella mani dei Keith Thurman. Tutti a bordo Non ci sono Viaggi senza Viaggiatori, gente dal motore sempre acceso e dallo spirito sempre pronto per raggiungere mete sempre nuove e persone diverse, perché l’importante è poi avere qualcosa da raccontare, perché il tempo passa e alla fine mica puoi parlare solo del tempo. Insomma, questi sono i Viaggiatori: - Il Maestro Boncinelli, Bonci per tutti tranne che per Giulia che lo chiama Ale. Il tenente Colombo del pugilato italiano, da 27 anni guida l’Accademia Pugilistica Fiorentina; al suo angolo dieci campioni italiani e un campione d’Europa. Lo trovi in palestra perché è lì che si fanno i Maestri, come i pugili del resto. - Il Maestro Paolo Vignoli, vice del Bonci, che continua e continuerà la strada del Maestro. Sua la metafora che nel racconto del match di Firenze spiega la pervicacia del Bonci: una volta mi ha detto: "In questo mondo - il pugilato - nessuno vive di questo lavoro, il Bonci fa il pellettiere e io faccio il postino". E io - aggiunsi - faccio l’impiegato. - Moreno Mencucci, presidente dell’Accademia Pugilistica Fiorentina dal 2013, prima consigliere e prima ancora pugile: sotto la giacca, c’è da scommetterci, indossa la canottiera dell’A.P.F. - Massimo Nascimbene. Consigliere dell’Accademia, pugile amatore, d.j e commercialista, mi dà una mano nelle relazioni con la S.I.A.E. Una mano molto gradita. - Il mio babbo. Nel salotto di casa Capitani è nata la passione per il pugilato e per il cinema, quando tutta la famiglia si riuniva davanti a quello schermo. Quando vivi quei tempi pensi che tutto rimarrà così, ma poi le cose cambiano e se sei fortunato, dopo 26 anni, quella passione si rinnova dal vivo una sera di Novembre. - Alessio Farolfi, detto i' Foffy. Con lui da bambini ci siamo rotolati nell’erba dei giardini fra siringhe e cacche di cane, un miracolo esserne usciti vivi. Dà il "la" ai Viaggi, sempre pronto, sempre lui. - Andrea Gallo, detto il Galletto. Ha visto la sua prima partita di calcio in curva Fiesole, Fiorentina-Juve 2 a 2 di coppa Italia nel 2005, partita sospesa e cariche della polizia. Il suo primo match di pugilato dal vivo, Bundu-Petrucci al Mandela, anche qui scontri sugli spalti. Battesimi di fuoco per chi comunque conosce il valore delle cose. - Antonella Bundu, sorella del Campione, sempre presente a bordo ring per sostenere il fratello. Afferma di non essere lei quella che si sente gridare durante i match, ma dice che è Giuliana. Le credete? - Piero Pelù. È... Siete sicuri che debba spiegarvi chi è Piero Pelù? - Giuliana Riunno, la compagna di Leo, sempre in 1° fila, sempre a urlare il nome del suo uomo. Leonard, per sua stessa ammissione, le deve l’equilibrio che nello sport, come nella vita, ti serve per raggiungere gli obbiettivi. - Andrè e Frida, i bimbi di Leo, che lasciano il babbo solo per farlo combattere, ma appena finito sono i primi ad abbracciarlo. - Guido Riunno, l’uomo delle birre, ha il.. compito di reidratare Leonard dopo il match e subito prima dell’antidoping, altrimenti il campione non riempie la provetta. A proposito, Guido è anche il suocero di Leonard. - Nicola Novelli, direttore di "Nove da Firenze", il primo a credere che i Viaggi di Leo fossero un buon progetto. E anche se preferisco la narrativa “cattiva”, come non essergli grato? - Corrado Sacchi, che sul suo profilo di WhatsApp ha scritto: “la più grande fortuna di una donna è essere fotografata da me”. Io aggiungo che la più grande fortuna di una persona è averlo per amico e compagno di Viaggio. L’unico che conosco che abbia il coraggio di fotografare il lato b della vitella al Calcio Storico Fiorentino. - Monica Caleffi, appassionata e simpatica fotografa, ritrae tutto con passione, ma la sua più grande passione è fotografare il pugilato. - Michela Comisso, fotografa e grande amica di Leonard, abile a cogliere il Campione sul ring e appena fuori dal ring: sua la foto del Campione che bacia Frida, la sua bambina. - Rico Borri, dentista appassionato e grande conoscitore di pugilato, che ha seguito anche in qualità di reporter. - Anna Sgarbi, addetta stampa della Boxe Loreni e Maestro di Boxe, graziosa e sempre ben disposta, ma se si arrabbia… chiedete ai suoi allievi che per punizione hanno passato un paio d'ore a saltare per tutta la palestra. Non conosco bene Anna, almeno non benissimo, ma so di volerle Bene. - Giuseppe Sette, detto Pino. Quante volte avrei voluto essere Pino, quante volte avrei voluto non esserlo. Sempre pronto alla burla, capace di farti ridere raccontandoti la barzelletta più vecchia del mondo. Sul quadrato scherzava poco, capace di portare il destro secco con una naturalezza sorprendente. Oggi, se gli chiedi: "Pino, ci sono ancora i cattivi ragazzi?", lui risponde: "Sì, ma non hanno l’ironia di quelli di un tempo". - Michele Sette, figlio di Pino. Cresce di Viaggio in Viaggio, adolescente inquieto, ma di sicuro siamo noi che invecchiamo. - Luca, amico di Pino. Mai visto il pugilato in vita sua. Inizia con il campionato d’Europa a Rezzato; quando lo rivedrò, controllerò che si sia tolto il pass dell’evento. - Giano Lenzi, ottimo pugile dilettante, ha combattuto due volte con Cammarelle; ora colonna dei Verdi del Calcio Storico Fiorentino, sul ring europeo porta le insegne del Campione dall’alto del suo metro e novanta. - Cesare Arzilli, detto I' Cece, anche lui pugile dilettante; il suo libretto vanta un record d’altri tempi, quando i guantoni non erano antishock e le soluzioni prima del limite erano frequenti. - La Giulia, pugile donna dell’Accademia. La trovi sempre in palestra, prima ad allenarsi e poi ad allenare il corso amatori. - Ivano Dagliana, talento pugilistico puro, all’Accademia quando ricordano i migliori pugili e i tempi dei grandi 1° serie, lui è sempre nei primi posti. Campione d’Italia dilettanti, si è ritirato con 109 incontri disputati. Nella sua carriera tantissimi infortuni alle mani, molte volte avrà dovuto colpire con il cuore. - Luca Platania, promessa 17enne dell’Accademia; è nipote di Ivano Dagliana, ma sul ring ci va lui, eccome se ci va lui. - Ezio Sottili, presidente onorario dell’Accademia Pugilistica Fiorentina, da sempre nella Boxe, i colori dell’Accademia devono a lui e alla sua famiglia la rinascita. Apprendere da Ezio Sottili che il match di Leo a Londra ricordava quelli di Mazzinghi ha un significato par- ticolare. A Londra è voluto esserci nonostante non fosse in forma, se mi capite cosa vuol dire non essere in forma per un uomo di oltre 75 anni. - Francesco Sottili, cosa scrivere di Francesco, beh potrei scrivere quello che ha detto durante la riunione per decidere se avremmo organizzato il match europeo di Bracco: “se organizziamo noi, l’addetto stampa sarà Massimo”. Affetto e stima mi legano a Francesco, sono contento che le sue capacità possano esprimersi nel ruolo di assessore allo sport nel comune di Fiesole. Memorabile la nostra telecronaca su Teleiride della manifestazione organizzata in occasione del campionato dell’Unione Europea di Bracco a Firenze - Simone Sottili, se io sono fortunato in quanto a capelli posso dire che Simone ha una fortuna sfacciata, praticamente ha il solito ciuffo di quando l’ho conosciuto io, 25 anni fa. A parte la capigliatura Simone ha un grandissima competenza di Boxe, se capitate ad un match di pugilato e lo vedete, avvicinatevi e capirete il perché. - Fabrizio Frosali, la nostra guida a Londra fortunati noi e fortunati i suoi allievi, infatti nella vita Fabrizio è il Prof. Frosali. - Davide Sarti, chi ha visto il nostro abbraccio dopo l’atterramento di Purdy giurerebbe che ci conosciamo da anni, invece solo da poche ore. Lo sport è capace anche di questo. - Cesare Sarti, figlio di Davide, ragazzino di 16enne capace di stare con i grandi, forse noi avremo insegnato qualcosa a lui, di sicuro qualcosa noi da lui abbiamo appreso - Vittorio, agente di viaggio, è lui che organizza il Viaggio a Londra e che Viaggio. Un libro scritto in autostrada, nei ritagli di tempo fra lavoro e casi-ni della vita, “è sempre bello rubare ore alle giornate. Viene meglio scrivere nelle ore rubate”. La passione, il sacrificio, gli “incontri” vengono descritti dall’autore attraverso il Viaggio con Leonard Bundu: Campione Europeo pesi welter. Le due passioni, del pugile per diventare campione e dell’autore per scrivere, sono unite nel Viaggio che intreccia l’essenza della boxe e dell’amicizia. “Al terzo trillo ero già con la mano sul cellulare, non potevano girarmi le scatole e chissenefregava se avevo dormito 3 ore: Leonard è il campione d’Europa, io avrei fatto una doccia e poi avrei pensato al mio pezzo, ero ancora in Viaggio”. Un racconto sui ragazzi dell’Accademia Pugilistica Fiorentina e sull’unico ragazzo, Leonard, che diventando campione d’Europa li simboleggia tutti. Ringraziamenti A Caterina Bigazzi per l'editing A Maria Rosa, Andrea, Alessandra, Bernardo, Zelda, Monica, Daniela che hanno letto i miei scritti quando nessuno li leggeva. A Daniela, Francesca e Andrea per avermi sopportato e supportato nella correzione del testo. A Nove da Firenze per tutto A Monica Caleffi, Corrado Sacchi, Michela Comisso, per le foto e per il resto. Massimo Capitani fiorentino, profondo conoscitore degli ambienti sportivi. Fin da giovanissimo ha praticato numerosi sport: boxe, motocross, downhill, arrampicata, hockey, calcio, ha frequentato assiduamente la Curva Fiesole. Teppista mancato, si è avvicinato al mondo del giornalismo sportivo pubblicando su riviste del settore. Attualmente redattore del quotidiano on line Nove da Firenze, si occupa di Boxe e Calcio Storico Fiorentino.