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fra realta` e apparenza
Liceo Classico F. Fiorentino Esame di maturità A/ S 2005/2006 Percorso interdisciplinare dell’alunna Alessandra Renda Classe III A Il velo di Maya …tra realtà e apparenza… Schopenhauer I miraggi Montale Magnitudine assoluta Pirandello e apparente Il velo di Maya …tra realtà e apparenza…. Einstein Escher e Magritte “Le Metamorfosi” di Apuleio Le illusioni del periodo fascista Il teatro greco Tra Realtà e Apparenza…. Un periodo che più di altri è dominato dall’interrogativo su cosa siano la realtà e l’apparenza è quello che va dalla seconda metà dell’800 ad oggi e trova espressione in tutte le branche della cultura. A porre l’attenzione su questo interrogativo sono stati in particolare Pirandello e Schopenhauer che della frammentazione della realtà e della personalità dell’individuo hanno fatto il centro dei loro interessi. Ed è proprio in questo periodo che troviamo ancora più difficile distinguere tra realtà e apparenza, perché non si parla più soltanto di illusioni ottiche, ma di illusioni che risiedono nell’anima dell’individuo e delle cose che abbiamo sempre dato per scontato essere vere, ma che a volte neanche il nostro cervello ci aiuta a distinguere il vero dal falso, ( quello che invece per almeno un momento ci potrebbe capitare di fronte ad un Trompe L’oeil ). Un esempio di inganno ottico invece, sono le stelle; si proprio le stelle che ammiriamo ogni notte ed illuminano il cielo. Queste, infatti, a volte ci appaiono più luminose rispetto ad altre anche se in realtà sono più piccole. Pensiamo al sole che per noi è la stella più luminosa e che invece è niente al pari della stella più luminosa della nostra galassia che tuttavia ci appare più più piccola e meno brillante. Addirittura percepiamo la luce di alcune stelle che in realtà si sono estinte da milioni di anni: quale inganno peggiore??? O pensiamo a quante volte d’estate, sulla strada asfaltata ci capita di imbatterci in un miraggio : il nostro occhio crede che sulla strada si sia formata una pozzanghera, ma il nostro cervello ci dice che non è possibile con un simile caldo. Il nostro cervello ci rende consci anche di inganni più semplici di cui tutti siamo consapevoli, forse Freud vedrebbe tutto ciò come l’eccezione in cui sebbene l’es ed il Super io coincidano, L’io è molto instabile. Talvolta distinguere tra realtà e apparenza è molto difficile per i nostri occhi: sapreste dire se la donna rappresentata nell’immagine a fianco sia una giovane o un’anziana??? Purtroppo tutti gli sforzi per distinguere realtà e apparenza sembrano essere vani, come quelli che voi avrete fatto cercando di capire quali siano le reali sembianze della donna, ed anzi è sembrato sempre più improponibile operare una distinzione. L’unica cosa rimasta certa è che esistono mille sfaccettature con cui una realtà, oscura a tutti noi Si propone ad ognuno. Ed è proprio per questo che ho voluto che la mia tesina rappresentasse simbolicamente lo schermo su cui gli uomini proiettano le loro immaginazioni per rendere accettabile l’esistenza…..appunto “il velo di Maya” “E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista ; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua, o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un serpente”. Da “Il Mondo come volontà e rappresentazione” A. Schopenhauer Arthur Schopenhauer Partiamo da Arthur Schopenhauer per indagare la contrapposizione tra realtà e apparenza che egli analizzò nelle celebre opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Il punto di partenza della sua filosofia è la distinzione Kantiana tra fenomeno e noumeno (cosa in sé). A differenza del filosofo tedesco Schopenhauer considera il fenomeno come sogno, illusione, mentre concepisce il noumeno come una realtà nascosta dietro l’ingannevole trama fenomenica. Il mondo è quindi rappresentazione illusoria (concetto, questo, che viene inaugurato dalla filosofia Cartesiana e che è alla base di tutta la filosofia moderna), e da questo punto di vista non è quindi possibile distinguere tra il sogno e la veglia. La rappresentazione nasconde che l’essenza delle cose è rinvenibile unicamente nella volontà di vita e noi viviamo avvolti nel “VELO DI MAYA” fino a quando l’arte, la morale o l’ascesi non ci permettono di squarciarlo e di penetrare il senso della realtà. La vita Nacque a Danzica nel 1788. avviato dal padre alla mercatura , viaggiò in Olanda, Inghilterra, Francia, Svizzera e Austria. Ma dopo la morte del padre potè dedicarsi ad i suoi studi prediletti e nel 1813 scrisse per tesi di dottorato “La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”. A Weimar entrò in rapporti con Goethe e in quel tempo attende allo studio della civiltà indiana. Dal 1814 al 1819 egli elaborò il suo più grande capolavoro, appunto “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Intanto in quegli anni viaggia in Italia: è a Venezia, Bologna, Firenze, Napoli. Si reca poi a Berlino e, ottenuta la libera docenza in quell’università dove allora trionfava Hegel, egli dovette constatare l’assoluto insuccesso del suo insegnamento. Per distrarsi ritorna in Italia ma non desiste dalla sua opposizione all’idealismo trionfante e più particolarmente contro Hegel, Fichte e Schelling che egli chiama “i tre ciarlatani”. Si stabilisce infine a Francoforte dove elabora le sue ultime opere : “ I due problemi fondamentali dell’etica” e “ I supplementi al mondo come volontà”. Morì nel 1860. “ Il mondo come volontà e rappresentazione” “Il mondo come volontà e rappresentazione” “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare…” A. SCHOPENHAUER In quest’ opera Schopenhauer si professa Kantiano nell’ammettere che il mondo è fenomeno, non è altro che una nostra rappresentazione, cioè una serie infinita di fenomeni costituiti di molteplici parvenze sensoriali collegate tra loro. Inoltre ammette a differenza di Kant, solo tre forme a priori : spazio, tempo e causalità (alla quale tutte le altre sono riconducibili). Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a dei “vetri sfaccettati” attraverso cui si deforma la visione delle cose, egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole, traendo la conclusione che la vita è “sogno, tessuto d’apparenze, una sorta d’icantesimo”. Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo non può fare a meno di interrogarsi : esso infatti è un animale metafisico che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita. La rappresentazione è identificata con “IL VELO DI MAYA” , divinità buddista che si avvale del velo come strumento per mostrare come reali delle semplici illusioni. Ed è proprio fra le cose e noi che si contrappone questo velo ingannevole, di cui parla la sapienza indiana, attraverso il quale, quasi per incantesimo, vediamo le cose come in sogno o come l’effetto di un’illusione ottica: apparenza vana e fuggitiva. Si può fuoriuscire da questa dimensione illusoria per penetrare nella realtà nuda e cruda, squarciando tale velo, e per farlo, Schopenhauer ricorre all’allegoria del castello circondato dall’acqua, con il ponte levatoio sollevato” : il viandante può osservare il castello da tutti i lati, ma ne rimarrà sempre fuori. Allo stesso modo, noi possiamo osservare la realtà da tutti i punti di vista, ma ne rimaniamo ugualmente esclusi. Il tunnel che ci consente di andare al di là delle illusioni è il nostro corpo, l’unica realtà che non ci è data solo come immagine, perché noi viviamo il nostro corpo anche dall’interno. La corporeità è quindi il modo per andare al di là della rappresentazione e afferrare l’essenza delle cose. Schopenhauer considererà però il corpo, solo come un mezzo metafisico per pervenire alla realtà, percorrendo questa strada si individua una realtà sostanziale : la volontà di vivere, che ha un valore universale. La volontà di vivere è una forza tragica apportatrice di dolore, è il fondamento del reale, la brama, il desiderio di esistere, la vera essenza delle cose. Essa presenta quattro caratteristiche : è inconscia, eterna, unica, incausata e senza scopo. Prosegui nella lettura “Il mondo come volontà e rappresentazione” Da questo deriva l’irrazionalismo del pensiero schopenhauriano :viene negata la presenza di qualunque realtà nelle cose, di qualsiasi carattere razionale nella realtà (contrariamente ad Hegel, secondo il quale ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale ),e viene negata qualsiasi efficacia riconosciuta alla ragione. Dalla concezione di Schopenhauer della Volontà di vivere, emerge un ineluttabile pessimismo : la Volontà di vivere produce sofferenza, perché volere significa desiderare, cioè mancare di qualcosa. Tale senso di mancanza produce dolore. Alcuni desideri possono essere soddisfatti, ma il loro appagamento è temporaneo : il piacere è un intervallo in cui cessa il dolore e subentra la noia, forse proprio la noia che ci rende la realtà alterata ed illusoria. Schopenhauer approda alla “sensucht cosmica”, al dolore che investe ogni creatura. Egli approda allo stadio della sofferenza universale : tutto soffre : il male non è solo nel mondo ma nel principio da cui esso dipende. Nella globalità della sua filosofia, una via di liberazione apparentemente sicura dal dolore, potrebbe essere il suicidio, condannato invece fortemente dal filosofo in quanto sarebbe un’emblematica affermazione della Volontà stessa di vivere. La vera risposta al dolore del mondo non consiste nell’eliminazione di una o più vite, bensì nella stessa liberazione della volontà di vivere, l’iter salvifico delineato da Schopenhaur consta di tre momenti essenziali : L’ARTE : è la conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee ed ha un carattere contemplativo, la sua funzione però è temporanea e parziale, come un incantesimo. LA MORALE : che implica un impegno a favore del prossimo e che si concretizza in due virtù cardinali : la giustizia : si riconosce con la giustizia nella persona altrui, un essenza uguale alla nostra. la pietà : il sentimento in cui sentiamo nostre le sofferenze altrui. L’ASCESI : per la cui definizione, nel pensiero di Schopenhauer, concorrono elementi tratti dalla mistica tedesca. L’ascesi comincia infatti quando l’uomo cessa di volere ed esercita in se stesso la massima indifferenza per ogni cosa, finendo per provare orrore della volontà di vivere, che è il nocciolo del dolore. L’ultimo gradino dell’ascesi si rivela così essere la Noluntas o nolontà, l’assoluta quiete dell’animo, il puro nulla. . Cartesio Renè Descartes E se fosse tutto un sogno ? Cioè, e se niente esistesse per davvero? – né voi, né questo tavolo , né io qui seduta a sostenere gli esami , ma fosse un’illusione completa e coerente, generata dalla mia mente (come i sogni) oppure indotta da un agente esterno dotato di un immenso potere di suggestione?? Questo è un assaggio della strategia argomentativa che Cartesio utilizza nelle sue Meditazioni per sottoporre a critica la distinzione tra realtà e apparenza. Infatti a Cartesio è riconducibile la formulazione canonica in epoca moderna ed in occidente di ciò che è stato poi chiamato “solipsismo” : solo io esisto , o per meglio dire , la mia mente. Alla base di questa antica fantasia filosofica, vi è la capacità degli esseri umani di sognare e di formare immagini mentali, anche di cose che non esistono e di situazioni non realizzate, da cui dipende anche il dubitare che l’illusione che chiamiamo “realtà” sia prodotta da un essere perfido, un genio maligno. Vita. Renè Descartes nacque in Turenna nel 1596, grande filosofo, scienziato e matematico, è considerato il reale fondatore della filosofia moderna. Fu educato dai gesuiti nel collegio di La Flèche, dove ebbe una formazione, per quel tempo eccellente, improntata allo studio dei classici, della filosofia scolastica e della matematica. In seguito studiò diritto presso l’università di Poitiers e dal 1618 si arruolò nell’esercito del principe protestante Nassau, avendo deciso di intraprendere la carriera militare. La sua attenzione era tuttavia già rivolta ai problemi filosofici e matematici, ai quali poi dedicò tutta la vita. Fece molti viaggi in Italia ma visse per lo più in Francia dedicandosi alla filosofia e agli esperimenti di ottica. Tra le sue opere ricordiamo “Il discorso sul metodo”, lo scritto forse più famoso di Cartesio, in cui è esposta la sua intera filosofia. Ma è dopo la pubblicazione del Discorso che Cartesio sentì l’urgenza di una presentazione più ufficiale della propria dottrina , nascono così le “Meditazioni metafisiche” pubblicate a Parigi nel 1641. morì a Stoccolma nel 1650. Dal “Discorso sul metodo” alle “Meditazioni metafisiche” Dal “Discorso sul metodo” alle “Meditazioni metafisiche” “ Non c’è nulla interamente in nostro potere, se non i nostri pensieri “ R. DESCARTES La prima regola del metodo Cartesiano prescrive di accettare come vero soltanto ciò che è evidente, oltre ogni forma di dubbio e di incertezza . La prima cosa di cui si deve dubitare è la testimonianza dei sensi. È infatti comune l’esperienza che a volte i sensi ci ingannano. Ma se essi ci ingannano anche una volta soltanto, perché non potrebbero ingannarci sempre? In fondo è lo stesso discorso che facevano gli scettici: così come i sensi ci ingannano quando ci sembra spezzato un remo immerso nell’acqua per via di effetti ottici , chi ci dice che i sensi non ci ingannino sempre, su ogni cosa? Analogamente dobbiamo dubitare della nostra esistenza corporea e di tutta la realtà esterna : chi infatti ci assicura che la nostra vita non è un sogno continuo? . Tuttavia, prosegue Cartesio, anche se i sensi ingannano, e anche se possiamo, per quanto ne sappiamo, illuderci costantemente di vivere, vedere, toccare quello che in realtà solamente sogniamo, le verità matematiche sono comunque sempre vere. Due più tre fa sempre cinque e un quadrato ha sempre quattro lati. Tuttavia, applicando il metodo del dubbio iperbolico, Cartesio giunge ad immaginare che il creatore dell’Universo possa non essere il benevolente Dio Cristiano, bensì un genio maligno il cui costante scopo sia quello di ingannare il genere umano. Per cui, anche il più semplice ragionamento matematico potrebbe essere falso. Come possiamo, infatti, essere sicuri che tale genio maligno non esista? L’intera realtà, pertanto, potrebbe essere il sogno di tale genio maligno. Dobbiamo dunque, si interroga a questo punto Cartesio, giungere alla conclusione che non vi è nulla di indubitabile? No, dal momento che vi è in effetti qualcosa di indubitabile, vale a dire la certezza della propria esistenza: chi dubita, sta riflettendo, e chi riflette, o pensa, esiste (cogito, ergo sum). E’ importante notare, già a questo punto, come Cartesio precisi il fatto che sia la coscienza (l’attività mentale, il cogito) ad essere indubitabile, e non la certezza dell’esistenza del proprio corpo. Martin Heidegger Secondo un’affermazione di Martin Heidegger, “Cartesio è il primo tra i pensatori nel quale è possibile rintracciare i caratteri distintivi della modernità”. Lo stesso Heidegger (1889-1976) è il massimo rappresentante dell’esistenzialismo europeo. Professore universitario che ha legato la sua vita al nazismo. Il pensiero di Heidegger può apparire, per la sua concentrazione sulla questione dell'essere, un pensiero estremamente astratto e lontano dai problemi più concreti e più immediati della vita. In realtà dietro questa dedizione al problema ontologico, Heidegger manifesta una attenzione sensibilissima e capillare per quelli che sono gli sconvolgimenti radicali del mondo contemporaneo. Pensiamo a fenomeni come la svalutazione dei valori, la perdita del centro, le crisi di identità e a tutte quelle espressioni di una crisi profonda che lacerano il mondo contemporaneo e che hanno trovato in Heidegger un lettore, un interprete molto acuto e molto attento. Un giorno, mentre scartabellava nella biblioteca dell’università, trovò delle opere interessantissime di Kierkegaard. E’ infatti ad Heidegger che si deve la riscoperta di Kierkegaard e del suo pensiero filosofico. Per Heidegger questa scoperta fu fondamentale perché secondo lui, Kierkegaard è riuscito a capire l’uomo nella sua categoria fondamentale: la possibilità , L’AUT-AUT, infatti la vita dell’uomo è caratterizzata dall’angoscia (sentirsi abbandonati nel mondo). Questo aspetto sarà la caratteristica fondamentale dell’esistenzialismo. Vita autentica e inautentica / L’oblio dell’essere “ La grandezza dell’uomo si misura in base a quel che cerca e all’insistenza con cui egli resta alla ricerca “ M. HEIDEGGER Come aveva già dimostrato Kierkegaard , a cui Heidegger si richiama palesemente, l’angoscia è diversa dalla paura, perché quel che essa si trova davanti non è mai un ente definito ma qualcosa di indeterminato. Questo provoca una sorta di spaesamento dal mondo, che appare privo di significato e tale da non poter più offrire il nulla, è il nulla. Esaminati i momenti che rendono complessa e problematica l’esistenza nel suo profondo, Heidegger può concludere che l’esserci (il Dasein) ha di fronte a se un aut-aut, due scelte fondamentali, due possibilità: rimanere legato alla quotidianità e disperdersi nelle cose o elevarsi ad una visione più alta, ossia scegliere tra una vita apparente, falsa e la vita reale. La prima scelta, l’esistenza inautentica, determina, con la dispersione che la caratterizza, l’anonimato, la perdita dell’individualità, la rinuncia a se stessi in nome di un comodo ma vuoto adeguarsi a ciò che gli altri fanno, dicono e pensano espresso dall’impersonale “si”; è lo stato in cui “ognuno è gli altri e nessuno è se stesso”, (proprio come nella celebre opera di Pirandello). In fondo a questo modo di vivere l’uomo può trovare solo la paura di fronte ad un mondo che non può dominare, e tale paura lo conduce alla noia che il disperdersi nelle cose genera. La vita inautentica nella sua superficialità diventa “tranquillizzante” , ma proprio questa tranquillità vieta all’uomo la conquista del senso dell’essere, perché ,lo induce ad una attività sfrenata, che gli impedisce di rientrare in sé , di riflettere sul valore della sua esistenza, ma di costruirsi una maschera che mostra nella quotidianità. Il rientrare in sé, il riflettere sull’esistenza è dunque un traguardo che si raggiunge solo con l’altra scelta, radicalmente diversa, quella lontana dalle apparenze, quella dell’ esistenza autentica, caratterizzata dalla coscienza del carattere assolutamente individuale dell’esistenza. L’autenticità è comprendere l’onticità del Dasein senza veli. La situazione emotiva che accompagna questa scelta è proprio l’angoscia. L'angoscia è una situazione rara, ma è in essa che l'esserci si manifesta come essere possibile, sottratto a quello stato di nascondimento, in cui si trova quand'è immerso nel "Si" anonimo, è aperto, invece, alla libertà e alla possibilità di ritrovare se stesso. In quanto aperto a questa possibilità, l'esserci è già sempre proiettato avanti rispetto a sé, cioè si progetta, nel senso letterale del termine. Però l'esserci non può mai esperirsi come un ente totalmente compiuto, ma sempre soltanto come poter essere e può essere autenticamente tale solo ' anticipando costantemente la possibilità estrema e insuperabile ', cioè la morte . Da queste conclusioni nasce anche il rifiuto di heidegger del modello di sviluppo del mondo occidentale che fa perno sulla tecnica. La tecnica ha immerso l’uomo nel mondo facendogli dimenticare l’essere , mettendo in pericolo la sua esistenza, giungendo al suo oblio. Luigi Pirandello : Illusione e Realtà “ci sentiamo come smarriti, anzi perduti in un cieco , immenso labirinto, circondato tutt’intorno da un mistero impenetrabile. Di vie ve ne sono tante : quale sarà la vera…?” Queste parole, scritte nel 1893, quando Luigi Pirandello, ancora perfettamente sconosciuto aveva ventisei anni, bene testimoniano la precoce consapevolezza che lo scrittore ebbe della “crisi di valori” cui il mondo moderno andava incontro: consapevolezza che non fece che acuirsi col passare degli anni e che è all’origine di tutta l’opera pirandelliana, dalle novelle ai romanzi, alle commedie per il teatro. Scrittore, drammaturgo e narratore, rappresentò sulle scene l’incapacità dell’uomo di identificarsi con la propria personalità, il dramma della ricerca di una verità al di là delle convenzioni e delle apparenze.Al centro della concezione pirandelliana c’è il contrasto tra apparenza e sostanza. La critica delle illusioni va di paripasso con una drastica sfiducia nella possibilità di conoscere la realtà; qualsiasi rappresentazione del mondo si rivela inadeguata all’inattingibile verità della vita, percepita come un flusso continuo, caotico e inarrestabile. La vita e le opere “.…perché una realtà non ci fu data e non c’è ; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere ; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo ed infinitamente immutabile” L. Pirandello Luigi Pirandello : Vita e Opere Nacque a Girgenti il 28 giugno 1867: il padre gestiva alcune solfare, la madre apparteneva ad una famiglia di agiati commercianti. Compiuti gli studi liceali frequentò l’università di Roma , laureandosi poi a Bonn con una tesi sui suoni del dialetto agrigentino. Scrisse alcune raccolte di poesie : “le Elegie Renane” e “Pasqua di Gea” alla maniera carducciana . Sposatosi nel 1893 con Antonietta Portulano appartenente ad una ricca famiglia socia in affari con la sua e si trasferì a Roma dove insegnò stilistica italiana. Le sue prime composizioni furono alcune novelle; “Amori senza amore” ed opere di narrativa fra cui “Marta Ayala” che in seguito pubblicherà con il titolo “l’esclusa”. Nel 1904 la zolfatara gestita dal padre viene distrutta da una frana . La moglie ne riporta un trauma psichico dal quale non guarirà mai più . Le difficoltà familiari conducono Pirandello ad un forte senso di frustrazione, al punto da farlo pensare al suicidio . Ma nonostante tutto trova la forza di reagire . Nel 1904 pubblica un muovo romanzo che lo rende celebre “Il fu Mattia Pascal “ , in seguito “i vecchi e i giovani” (1913) , “Si gira” (1916), “Liolà”, “Pensaci Giacomino” e “Così è se vi pare” Nel dopoguerra riprende la produzione teatrale con una famosa trilogia della quale fa parte “Sei personaggi in cerca di autore”. Nel 1924 chiede la tessera del partito fascista , forse solo per ragioni pratiche. Conseguì grande successo in Europa ed in America anche se il suo teatro critico contrastava certamente con la retorica nazionalistica del fascismo.Nel 1934 gli venne conferito il premio nobel per la letteratura . Morì a Roma nel 1936. “ Uno, Nessuno e Centomila” L’opera fondamentale dalla quale è necessario partire per capire la concezione della vita di Pirandello e quindi della sua poetica è “UNO, NESSUNO E CENTOMILA” pubblicata nel 1926 che esprime pienamente il contrasto tra illusione e realtà. Il tutto parte dall’esperienza pirandelliana e di tutti gli uomini decadenti che avevano visto vanificare gli ideali ottocenteschi del progresso, della scienza , di pacifica coesistenza tra gli uomini e si trovavano a vivere un realtà storica ben diversa, avviata verso la catastrofe della prima guerra mondiale. In seguito a ciò nacque la convinzione del fallimento. La vita si presentava assurda nella sua casualità e tale che ogni illusione era destinata a mostrare il suo risvolto negativo. Pirandello in “Uno, nessuno e centomila” sostiene che il contrasto tra apparenza e realtà non esiste solo fuori di noi, ma anche e soprattutto nell’intimo della coscienza : contrasto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra ciò che siamo e risultiamo agli occhi degli altri, perché “la vita è un flusso che noi cerchiamo di arrestare in forme stabili e determinate”, come i concetti, gli ideali. Di conseguenza ciascun personaggio di Pirandello presenta centomila realtà interne , per cui la vera realtà è nessuna e proprio per i personaggi Pirandelliani non esiste quindi una realtà oggettiva ma soggettiva, che a contatto con la realtà degli altri si disintegra e si disumanizza. L’uomo però deve adeguarsi ad una legge imposta dalla società e per farlo si costruisce una maschera , poiché il personaggio non sa come mutarla si verifica la sua disintegrazione che si riassume nella teoria della triplicità esistenziale : Come il personaggio vede se stesso; Come il personaggio è visto dagli altri; Come il personaggio crede di essere visto dagli altri; Le conseguenze sono tre; il personaggio : È uno , quando viene messa in evidenza la realtà forma che lui si da; È nessuno, quando si accorge che ciò che lui pensa e ciò che gli altri pensano non è la stessa cosa;quando la propria realtà forma è soggettiva . È centomila, quando viene messa in evidenza la realtà forma che gli altri gli danno. In conclusione in “Uno, nessuno e centomila” Pirandello afferma che “o la realtà ti disperde e disintegra o ti vincola e ti incatena fino a soffocarti. Così è se vi pare “ Così è ….( Se vi pare)” La trama Altra significativa opera di Luigi Pirandello è “Così è (se vi pare)” messa in scena per la prima volta nel 1917. L’ho scelta perché, il titolo , dal sapore ironico racchiude la problematica esistenziale che Pirandello affronta nella storia : l’impossibilità di avere un a visione unica e certa della realtà. Il tema è stato ampiamente sviscerato in “Uno, nessuno e centomila” , ma appare già chiaro in questa commedia. Ironici, sentenziosi, enigmatici, a volte provocatori, i titoli teatrali pirandelliani sono un vero biglietto da visita, molto sottindendono e preparano l’attesa del pubblico. Come si può notare, il titolo della commedia è diviso e la seconda parte sembra il ripensamento della prima. Il “Così è” afferma , per l’ultima volta ciò che si vede, ciò che si crede di conoscere. Il contenuto fra parentesi (Se vi pare…), sovverte tale idea di ordine. La commedia diviene bipartita. Il “Così è” raccoglie le caratteristiche della commedia borghese, con manifestazioni semicaricaturali : la burocrazia di provincia, l’autorità prefettizia, le donne curiose. Rappresenta la vita sicura e tranquilla in cui tutto deve essere compreso e che è alla base dell’ordine costituito. Nel “(Se vi pare)” ci sono il disordine, la sciagura, il lutto, la pazzia che quell’ ordine respinge, un dolore impenetrabile di cui si ignorano le cause ed il personaggio che ne è portatore, è “martirizzato”, è vittima della requisizione borghese. Di solito però, una simile situazione teatrale si risolve con la vittoria di una delle parti, con il ritrovamento della chiave dell’enigma: Pirandello invece, rifiuta di soggiacere a tale logica e la sua ambizione è far vivere per un attimo un assioma : il fantasma velato = la signora Ponza non ha volto, sfugge alla burocrazia, resta atto di fede, la verità resta per sempre velata. “ Così è ….( Se vi pare)” Tutto un paese si affanna per sapere quale sia la verità intorno allo strano comportamento della famiglia Ponza. La curiosità nasce dal fatto che la sedicente madre della signora Ponza , la signora Frola, non vive con la figlia e il marito, anzi non entra neanche in casa loro, comunica con la figlia solo attraverso bigliettini scambiati per mezzo di un cestino calato dalla finestra . Alla signora Frola la gente pone insistenti domande , e la poveretta si vede costretta ad asserire che il signor Ponza , avendo perso nel terremoto tutti i suoi parenti, ha un amore ossessivo per la moglie che gli impedisce di farla uscire di casa e di far incontrare madre e figlia. Dal canto suo il signor Ponza sostiene invece che la signora Frola sia impazzita , poiché crede che la figlia morta, la prima signora Ponza , sia ancora in vita , scambiandola con la sua seconda moglie: per non deludere la suocera e per non importunare la nuova signora Ponza , non permette che le due donne s’incontrino. Poiché non c’è maniera di confutare nessuna delle due affermazioni , la gente, smaniosa di dover attribuire a tutti i costi una maschera e un ruolo ben definito ai componenti di questa famiglia , non può fare altro che interrogare la signora Ponza. Ma la donna che entra in scena velata, a simboleggiare l’impenetrabilità della verità, afferma di essere la seconda moglie del signor Ponza , per il marito, e la figlia della signora Frola , per la madre, ma per lei stessa nessuna :”io sono colei che mi si crede” Per Pirandello quindi l’uomo non ha una propria essenza a priori , l’uomo diventa una persona solo sotto lo sguardo degli altri , assumendo tanti ruoli e tante maschere , quante sono le persone che lo vedono. Eugenio Montale Oltre a Pirandello, colui che maggiormente ha saputo cogliere il mondo delle illusioni è Eugenio Montale. Pochi poeti come lui hanno saputo scavare con calma tenacia nei segreti tessuti della realtà, della quotidiana esistenza , alla ricerca di un nodo che chiarisse il groviglio inspiegabile, contraddittorio, crudele delle apparenze. Eugenio Montale, nato a Genova nel 1896 e e morto a Milano nel 1981, visse dapprima in Liguria, poi a Firenze e nel secolo del dopoguerra a Milano , dove lavorò come giornalista al “Corriere della sera”. La sua fama ebbe inizio con la raccolta giovanile “Ossi di seppia” e venne continuamente crescendo dal dopoguerra culminando in una serie di onorificenze ufficiali sino al premio nobel per la letteratura ottenuto nel 1975. Poeta raffinato, dallo stile inconfondibile per il lessico volutamente “povero” e insieme densissimo, costruttore di immagini difficili e nuovissime, Montale ha esercitato una grande influenza sulla poesia contemporanea. ha creato un modo di fare poesia antiretorico, tutto teso alla ricerca del significato di una vita autentica, al di là delle apparenze. Di qui anche il prevalere di paesaggi tipici:il sole, il mare, la nudità, la secchezza del mondo della sua infanzia trascorsa in Liguria. Dunque alla fonte della sua ispirazione c’è questa disarmonia che egli stesso definisce un “inadattamento” un maladjustment psicologico e morale che è proprio a tutte le nature a sfondo introspettivo. Il poeta dunque non riesce a vivere pienamente la vita,la realtà, limitandosi a descriverla , ad analizzarla. Le Poesie La casa dei doganieri Tu non ti ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t’attende dalla sera In cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto. Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana. Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana La casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell’oscurità. Il commento della poesia Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera ! Il varco è qui? (ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende…) Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta. Nuove stanze La casa dei doganieri Questa poesia è datata 1930 e come Montale stesso ha rivelato molti anni dopo, essa è dedicata ad Arletta, la fanciulla morta che compare in numerosi altri suoi testi. Nella poesia riappare un tema assai frequente in Montale:la consapevolezza dei guasti che il tempo opera sulla memoria, distruggendo anche i ricordi più amati e significativi. Si immagina che il poeta e la sua interlocutrice abbiano vissuto insieme un momento di vita autentica, vera nella casa dei doganieri, passato il quale, i rispettivi destini si sono separati: il poeta vive ancora ma da come si intuisce, invece la donna è morta. Il primo è rimasto tenacemente legato al ricordo di quel momento e del luogo dell’incontro, abbandonato invece, evidentemente dalla donna. Ed è proprio qui che emerge il contrasto tra apparenza e realtà: non è possibile sapere chi dei due sia davvero vivo e dunque fedele all’autenticità di quell’incontro lontano: l’apparente resistenza del poeta e l’apparente lontananza della donna potrebbero essere infatti fallaci. Sin dal titolo compare dunque il tema della casa, insieme alla contrapposizione interno/esterno. L’interno è il luogo dell’autenticità, dell’interiorità psicologica e del ricordo; l’esterno quello della vita falsa , della società di massa e del fascismo, d’altra parte il riferimento ai doganieri _addetti ai confini_ introduce il motivo del limite e, appunto, il confine che separa la vita vera dalla vita falsa, la realtà dall’apparenza. Nuove Stanze Poichè gli ultimi fili di tabacco al tuo gesto si spengono nel piatto, di cristallo, al soffitto lenta sale la spirale del fumo che gli alfieri e i cavalli degli scacchi guardano stupefatti; e nuovi anelli la seguono, più mobili di quelli delle tue dita. La morgana che in cielo liberava torri e ponti è sparita al primo soffio; s’apre la finestra non vista e il fumo s’agita. Là in fondo, altro stormo si muove: una tregenda d’uomini che non sa questo tuo incenso, nella scacchiera di cui puoi tu sola comporre il senso. Il mio dubbio d’un tempo era se forse tu stessa ignori il giuoco che si svolge sul quadrato e ora è nembo alle tue porte: follia di morte non si placa a poco prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo, ma domanda altri fuochi, oltre le fitte cortine che per te fomenta il dio del caso, quando assiste. Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco tocco la Martinella ed impaura le sagome d’avorio in una luce spettrale di nevaio. Ma resiste e vince il premio della solidarietà veglia chi può con te allo specchio ustorio che accieca le pedine opporre i tuoi occhi di acciaio. Il commento della poesia Nuove stanze A richiamare ancora il tema dell’illusione e della realtà, come il contrasto tra interno/esterno è la poesia “nuove stanze”, fu scritta quando già appariva inevitabile lo scoppio della seconda guerra mondiale. Ai preparativi militari, alla follia del fascismo e del nazismo , si oppone la chiaroveggenza di Clizia, di cui qui si esalta il potere di opposizione connesso alla sua forza intellettuale. Il poeta e Clizia giocano a scacchi in un interno, mentre il fumo della sigaretta della donna costruisce in aria un castello ideale. Ma si apre una finestra e la minaccia dell’esterno, rappresentata dal soffio del vento, può penetrare nella stanza distruggendo l’ideale costruzione che in essa si svolgeva. Al di là della finestra, all’esterno, fervono infatti i preparativi di guerra. Tuttavia il poeta non depone la speranza: può infatti dare una risposta al dubbio di un tempo (quello presente in stanze) riguardante il potere di Clizia, cioè della cultura. Solo la donna-angelo, con la chiaroveggenza dei suoi occhi di acciaio, può tenere in scacco la barbarie che si avvicina. gli scacchi hanno dunque un doppio valore emblematico: da un lato rappresentano una guerra simulata e riproducono simbolicamente la scacchiera dei campi europei; dall’altro sono il gioco dell’intelligenza e della cultura che si adattano bene al personaggio di Clizia. Una ricca simbologia evoca così l’atmosfera di un assedio medievale e, insieme,il clima di una magia, operata ,dalla donna come forma di controllo sulle cose. Infine dunque in questa poesia all’interno corrisponde il valore, all’esterno il disvalore ma anche la cruda realtà delle cose. Benito Mussolini : carisma e psicologia del duce Piero Gobetti e Carlo Rosselli hanno spiegato che fa parte della psicologia degli italiani la necessità di avere un padreterno capace di risolvere i problemi che altri popoli risolvono con il metodo e con l'impegno. Gli oppositori del fascismo si trovarono però di fronte ad un nemico grande e pericoloso, che era in grado, con la persuasione di far sembrare reali delle semplici illusioni. Il duce infatti non era soltanto un leader politico. Piantato sul palco in posa statuaria, le mani sui fianchi, gli occhi spiritati che scandagliano la folla, Mussollini arringa con fiero cipiglio gli italiani. A vederlo sentire parlare oggi, in uno dei suoi “cinegiornali luce”, non si può fare a meno di sorridere per certe pose esagerate, per certi atteggiamenti da consumato teatrante. Eppure Benito Mussolini anche con le recite da grottesco avanspettacolo e le pose gladiatorie che oggi fanno ridere, è rimasto saldamente al potere per un ventennio; è stato amato, adorato, idolatrato ma anche odiato. Il potere di condizionamento e persuasione di Mussolini fu così forte che poté permettersi persino il fortunato slogan "Il Duce ha sempre ragione", e scriverlo sui manifesti in tutt'Italia senza temere il ridicolo. Ma da dove veniva una tale pienezza di sé, una simile, incredibile presunzione? Il Duce era, nella mentalità degli italiani, il protagonista di un'avventura che sembrava promettere un grande e luminoso futuro. Anche se così non fu, era tutta apparenza, la figura provvidenziale del Duce si stagliava in tutta la sua grandezza. Il particolare rapporto di Mussolini con le masse fu influenzato, com'egli stesso ebbe a confessare, dall'opera di Gustave Le Bon, studioso francese che, con la "Psicologia delle folle", diede un determinante contributo alla comprensione del "carattere" delle masse e alle strategie di persuasione per dominarle. Mussolini comprese che, nella sua epoca, le folle, come scrisse per l'appunto Le Bon, rappresentavano per la prima volta un'immensa potenza. Mussolini sapeva cogliere gli umori più sottili del popolo ed era in grado di dare le risposte che il popolo stesso si aspettava. In questo egli sembrò aver assimilato alla perfezione le teorie di Le Bon. In "Psicologia delle folle" lo studioso definisce per la prima volta le caratteristiche delle masse: la più saliente é il desiderio inconscio alla sottomissione e il bisogno di essere guidate da un capo. La folla non possiede idee proprie in quanto gli uomini riuniti in essa perdono la loro individualità e la loro personalità cosciente: ciò determina un affievolimento delle capacità critiche, mentre si sviluppa un forte senso d'appartenenza a una identità collettiva. Di conseguenza la massa tende ad assimilare idee già fatte, specie se esse hanno una forte componente ideale e una carica di profonda suggest ione: la massa é, per sua natura, dominata dall'inconscio e dall'impulsività. Le Bon delinea anche le caratteristiche del capo: dev'essere innanzitutto un uomo d'azione e non di pensiero.Dev'essere dotato di grande volontà e sorretto da un'ideale o da una fede incrollabile: questo esercita sulle masse una grande forza di attrazione e coinvolgimento. Idee semplici, affermazioni concise, proclamate ripetutamente, sono i principali strumenti di persuasione che si basano sulla facilità di assimilazione.Il prestigio é anche la molla più forte di ogni potere. Il prestigio personale di un capo esercita un fascino magnetico e determina nello stesso tempo un'autorevolezza che non si presta a contestazioni. Benito Mussolini : carisma e psicologia del duce Mussolini era un oratore di consumata abilità. La sua forza comunicativa si basava su frasi brevi, pronunciate con tono oracolare e trionfalistico. Faceva un grande uso di metafore, di terminologie militari (ferro, fuoco, spada, moschetti, baionette, navi, cannoni) e spiritualistiche (fede, ideale, sacrificio, credere, martire, missione, comunione). Proclamava i suoi discorsi con brevi periodi, con martellante ritmo ternario e con un continuo ricorso all'antitesi ("Voi oggi mi odiate, perché mi amate ancora"). Il suo lessico era povero, e tuttavia ricco di enfasi, di pause sapienti, di richiami eroici e patriottici, e di genericità esaltanti proiettate in un indeterminato futuro, e proprio per questo difficilmente verificabili. La sua energia non ha nulla d'intimo e di reale: essa é soltanto esteriore e verbale, ma é straordinariamente pronta nello scoprire la debolezza dell'avversario e nello sfruttarla fino alle ultime conseguenze". Egli dunque aveva fortemente illuso il suo popolo, ma tante illusioni, ben presto se le fece anche lui. Tutto ebbe inizio quando annunciò da palazzo Venezia, a Roma, l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania e contro Francia ed Inghilterra. È il 10 giugno 1940 : la politica del ventennio fascista giunge al punto culminante , di lì a pochi anni l’Italia sarà un unico ammasso di rovine……. Clicca sul quadratino nero qui a fianco per sentire la voce di Mussolini durante il discorso pronunciato da palazzo Venezia. Le illusioni del duce durante le campagne militari La mattina del 10 Giugno 1940 Galeazzo Ciano, genero di Mussolini nonché Ministro degli Esteri del governo fascista, consegnava la dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna. Alle ore diciotto dello stesso giorno, dal balcone di Palazzo Venezia, di fronte a una folla entusiasta, il Duce stesso annunciava ufficialmente quanto era ormai stato stabilito: l'Italia entrava in guerra a fianco della Germania hitleriana, contro la Francia e l'Inghilterra. La guerra scoppiata nel Settembre precedente, con l'invasione nazista della Polonia, si allargava ulteriormente. Molti erano stati i dubbi e i tormenti della classe dirigente italiana; forti anche le perplessità dei vertici militari. Lo stesso Mussolini visse lunghe e dolorose lacerazioni, ma alla fine cedette e scelse l'opzione bellica: a spingerlo, non solo le minacce più o meno velate dell'alleato Hitler, ma anche i trionfi della macchina da guerra tedesca, capace in poche settimane di occupare Polonia, Norvegia e Danimarca, e di sferrare un attacco inarrestabile sul fronte occidentale; attacco che stava portando rapidamente la Francia al disastro. Il Duce era convinto che la guerra fosse già alle ultime battute e che essa avrebbe portato, in breve tempo, ad una pace generalizzata. Questo calcolo rafforzò ulteriormente la sua convinzione della necessità di un diretto contributo italiano al conflitto, pena lo scadimento dell'Italia a potenza "vassalla" in un'Europa ridisegnata dai nazisti vincitori. In un promemoria, Mussolini stendeva e pianificava tale decisiva convinzione, introducendo il concetto di "guerra parallela": l'Italia avrebbe combattuto sì coi Tedeschi, ma perseguendo obiettivi autonomi. Lo scopo era di crearsi una sfera egemonica in Africa e nel Mediterraneo; sfera poi da far riconoscere al futuro tavolo di negoziato. In realtà, tutto questo disegno era campato per aria, costruito su basi assolutamente inesistenti. La guerra non era affatto al termine; i successi hitleriani, per quanto strabilianti, erano tutt'altro che decisivi. Il calcolo meschino ed erroneo del Duce, ovvero ottenere grossi vantaggi sacrificando qualche povero soldato, avrebbe portato il regime fascista al crollo violento e totale; l'Italia al disastro e alla guerra civile; più di mezzo milione di italiani alla morte. Ma sarebbe sbagliato credere che fu la stolida ambizione di un uomo solo, Mussolini, a condurre il paese alla tragedia; gravissime furono infatti le responsabilità del re Vittorio Emanuele III, di Ciano e di quasi tutti i gerarchi fascisti, dei capi militari. Essi erano consapevoli della realtà; conoscevano le carenze dell'esercito e delle altre forze armate, la loro impreparazione alla guerra. Ma evitarono accuratamente di contrastare il Duce nelle sue astrazioni; anch'essi erano convinti della guerra breve, della vittoria tedesca e della necessità di qualche "sacrificio necessario" per ottenere gloria e vantaggi materiali. Il loro utilitaristico silenzio contribuì a rendere ancora più drammatiche le vicende successive e del crollo del fascismo. Il Teatro Greco Un’ altra forma di evasione dalla realtà la si può ritrovare nel teatro greco che fa delle rappresentazioni fittizie e delle finzioni, il suo punto di partenza. Il teatro greco ebbe origine nell'Attica nella forma del dramma satiresco, della tragedia e, quindi, della commedia, in stretta connessione con il culto di Dioniso e con le sue feste esaltanti che, operando la comunione dell'umano con il divino, crearono l'ambiente adatto perché sensibilità, passioni e fantasia dessero vita a una finzione drammatica. Nel periodo greco classico le rappresentazioni teatrali erano parte delle festività cittadine, a carattere religioso. Le festività più importanti erano le Dionisie (in marzo) e le Lenee (in gennaio). Le rappresentazioni si collocavano nell'ambito di una vera e propria gara di drammaturgia, in cui diversi autori concorrevano per vedersi aggiudicare un premio. La passione per il Teatro fu per i greci, e in particolare per gli ateniesi, una vera mania. Si diceva che Atene avesse speso per il teatro più che per la sua flotta. Quando, per il costo di realizzazione degli spettacoli, si dovette chiedere agli spettatori il pagamento di una tessera d'ingresso, Pericle istituì un fondo speciale per pagare l'ingresso ai cittadini meno abbienti. Lo spazio scenico A grandi linee, la codificazione rituale dovette avvenire in questi termini: il coro, o meglio i due semicori, celebrando le lodi del dio, venivano ad agire intorno all'altare, (la timelè) in uno spazio semicircolare che assunse il nome di orchestra (dal greco orkeomai che significa "danzare"). La timelè conserva comunque il centro della rappresentazione scenica. Aumentando progressivamente il numero dei personaggi affidati alla sua interpretazione, si presenta di pari passo l'esigenza di un riparo dietro cui l'attore possa celarsi durante i cambi d'abito. Questo luogo deputato, costituito agli inizi da un semplice siparietto, dal termine greco skené (che significa appunto tenda) assumerà la definizione teatrale di "scena" e verrà ad assumere un ruolo centralizzante nella rappresentazione teatrale, che successivamente verrà sopraelevata sfruttando, in un primo tempo, un rialzo naturale del terreno, o costruendo una pedana in legno. Il rialzo della skené e dello spazio circostante corrisponde alla esigenza di non confondere le azioni degli attori, appunto, in quella fascia che ancor oggi si definisce col termine di proscenio. Questo aspetto dello spazio scenico verrà corredato dalla presenza di due corridoi laterali aperti verso l'orchestra, che servivano per le entrate e le uscite dei semicori e che prendevano il nome di paradoi.Trattandosi quindi di rendere partecipi migliaia di spettatori che dovevano, non solo vedere, ma anche ascoltare, il problema poteva essere risolto solo con una sopraelevazione del pubblico stesso. Da questa semplice considerazione nasce la struttura plateale ad anfiteatro chiamato oggi "teatro greco". Il teatro greco si è sviluppato in forma compiuta solo dopo l'età periclea. Gli elementi suoi caratteristici sono la cavea, area semicircolare a gradoni, dove sedevano prima due scale laterali e infine, da una serie di scalinate radiali chiamate cunei. Nei primitivi teatri la cavea era formata in terra battuta (teatro di Siracusa, 470 a.C,), solo nel IV secolo a. C. viene realizzata interamente in pietra (Teatro di Epidauro, 370 a. C.). L'orchestra è la zona nella quale in origine e durante tutto il periodo classico agivano i danzatori e i coristi. Più tardi la rappresentazione si sposta in un piano sopraelevato. La sckené, in origine era un fondale di tela posto nell'orchestra, di fronte alla cavea, più tardi costruita in legno per accogliere gli attori durante il cambio dei costumi, fu posto dapprima a fianco dell'orchestra, poi costruita in muratura, fu posta di fronte alla cavea di modo che la parete sull'orchestra servisse da fondale. Un'ultima modifica portò alla formazione del proskenion che consiste in una articolazione a forma di "U" della skené. Le maschere Le maschere La rappresentazione di un’opera greca si caratterizzava per l’utilizzo da parte degli attori, di una maschera che traduceva in forme convenzionali le indicazioni sull’età, la condizione sociale e lo stato d’animo prevalente del personaggio. È dunque nella maschera che ritroviamo un contrasto più profondo fra illusione e realtà. L'applicazione di una faccia posticcia è un segno molto forte: lo si associa comunemente al modo forse più diretto per attuare un cambio di identità. Presentarsi al mondo con una faccia diversa manifesta l'intenzione di segnalare qualcosa (un avvenuto cambiamento, un carattere etc.) , interpretare un ruolo diverso, evadere dalla realtà e costruirsi un personaggio fittizio. La maschera è la rappresentazione più evidente della condanna dell’individuo a recitare sempre la stessa parte, imposta dall’esterno, sulla base di convenzioni che reggono l’esistenza di massa. Nella società rappresenta l’unico modo per evitare l’isolamento, nel teatro greco la maschera assolveva a una serie di funzioni pratiche: nella vastità del teatro, l'espressione facciale dell'attore si sarebbe persa; inoltre, i pochi attori permessi dalle convenzioni non avrebbero potuto sostenere le diverse parti; la maschera, in più, creava un effetto di amplificazione della voce dell'attore utile anche in teatri dall'acustica perfetta. La maschera, il cui uso è attestato nell’arte greca con implicazioni religiose molto prima del dramma, era la caratteristica più importante dell’attore greco. Fatta di lino / sughero / legno e munita di una parrucca, pur con una fisionomia fissa (viso dipinto di bianco per le donne, di grigio per gli uomini ) ed una bocca leggermente aperta per il solo fine di fungere da megafono (la scena poteva distare dagli ultimi spettatori anche m. 90), era fondamentale per attori che dovevano sostenere anche dieci ruoli diversi e, quindi, accessoriata (colore, forma, natura dei capelli; varietà dei copricapi; …) in modo tale da poter ottenere da pochi tipi una serie di personaggi dissimili. Nel periodo d’oro della tragedia (sec. IV) la maschera diventa più imponente e presenta una bocca decisamente sproporzionata al resto del volto. La maschera dunque, è stata usata nei tempi antichi in ambito sacro, magico e rituale, quale elemento di contatto con una dimensione che oltrepassasse il reale, condensandolo in una immagine (facciale, della intera testa, o totale, come travestimento corporeo) che, nei diversi usi e scopi, di quella stessa realtà fosse concrezione, un "di più" di espressione: un condensato che per esempio esprimesse la realtà vera, sottesa a quella comune, ovvero il sostrato magico, il legame con una alterità divina (nelle modalità della maschera cultuale o del travestimento rituale) o ancora con il regno dei morti. “Le Metamorfosi” di Apuleio Un tipo di evasione dalla realtà e un rientro nel tessuto ingannevole delle apparenze, può celarsi nel cambio d’identità, nella trasformazione, nella “Metamorfosi” , e chi meglio di Apuleio potrebbe rappresentarlo? Le Metamorfosi (o Metamorphoseon libri XI) dello scrittore latino Apuleio costituiscono - assieme al Satyricon di Petronio - l'unica testimonianze del romanzo antico in lingua latina. Sono infatti l’unico romanzo latino pervenuto intero ad oggi. Con l'intreccio di episodi variamente collegati alla magia che ne costituisce la nervatura, lo scritto non sarebbe potuto passare sotto silenzio all'epoca del processo per magia cui l'autore fu sottoposto nel 158; quindi è possibile desumere che la sua stesura sia posteriore a quella data. Il romanzo, opera stravagante in 11 libri, è forse l’adattamento di uno scritto di Luciano di Samosata , del quale ci è pervenuto un saggio intitolato “Lucius o L’asino”: si discute se Apuleio abbia seguito il modello solo nella trama principale o ne abbia ricavato anche le molte digressioni novellistiche, tragiche ed erotiche. In ogni caso le Metamorfosi di Apuleio gravitano comunque nella tradizione della “milesia”, Ma anche in quella del romanzo greco contemporaneo, arricchito però dall’originale e determinante elemento magico e misterico. Degli undici libri, i primi tre sono occupati dalle avventure del protagonista, il giovane Lucio (omonimo dell'autore, che forse proprio dal protagonista assunse il nome) prima e dopo il suo arrivo a Hypata in Tessaglia (tradizionalmente terra di maghi). Coinvolto già durante il viaggio nell'atmosfera carica di mistero che circonda il luogo, il giovane manifesta subito il tratto distintivo fondamentale del suo carattere, la “CURIOSITAS”, che lo conduce ad incappare nelle trame sempre più fitte di sortilegi che animano la vita della città. Ospite del ricco Milone e di sua moglie Pànfila, esperta di magia, riesce a conquistarsi i favori della servetta Fotide e la convince a farlo assistere di nascosto a una delle trasformazioni cui si sottopone la padrona. Alla vista di Pànfila che, grazie a un unguento, si muta in uccello, Lucio prega Fotide che lo aiuti a sperimentare su di sé tale metamorfosi. Fotide accetta, ma sbaglia unguento, e Lucio viene trasformato in asino, pur conservando coscienza ed intelligenza umana. Per una simile disgrazia, il rimedio sarebbe semplice, (gli basterebbe cibarsi di alcune rose), se un concatenarsi straordinario di circostanze non gli impedissero di scoprire l’antidoto indispensabile. La parte centrale del romanzo è occupata dalla novella di Amore e Psiche che riprende la trama principale e quasi ne anticipa il significato. La chiave di lettura del romanzo La chiave di lettura del romanzo… L’ultima parte del romanzo (libro XI) che si svolge in un clima di forte suggestione mistica ed iniziatica , non ha equivalente nel testo del modello greco. È evidente che è un’aggiunta di Apuleio, al pari della celebre favola di Amore e Psiche, che si trova inserita verso la metà dell’opera : centralità decisamente “programmatica”, che fa della stessa quasi un modello in scala ridotta dell’intero percorso narrativo del romanzo, offrendone la corretta decodificazione. La successione degli avvenimenti della novella riprende quella delle vicende del romanzo: prima un’avventura erotica, poi la “curiositas” punita con la perdita della condizione beata, quindi le peripezie e le sofferenze , che vengono alfine concluse dall’azione salvifica della divinità. La favola insomma , rappresenterebbe il destino dell’anima, che, per aver commesso il peccato di “hybris” (tracotanza) tentando di penetrare un mistero che non le era consentito di svelare , deve scontare la sua colpa con umiliazione ed affanni di ogni genere prima di rendersi degna di congiungersi al dio. L’allegoria filosofica è appena accennata (se non altro, nel nome della protagonista, Psiche, simbolo dell’anima umana), ma il significato religioso è evidente soprattutto nell’intervento finale del dio Amore, che, come Iside, prende l’iniziativa di salvare chi è caduto, e lo fa di sua spontanea volontà , non per i meriti della creatura umana. Ci si può chiedere se queste aggiunte non servano a spiegare l’intenzione dell’autore . In realtà l’episodio di Iside, come quello di Amore e Psiche , ha un evidente significato religioso: indubbio nel primo; fortemente probabile nel secondo , interpretato specificatamente ora come mito filosofico di matrice platonica, ora come un racconto di iniziazione al culto iliaco. Certo è, comunque, che tutto il romanzo è carico di rimandi simbolici all’itinerario spirituale del protagonista-autore: la vicenda di Lucio ha infatti indubbiamente valore allegorico: rappresenta la caduta e la redenzione dell’uomo. Il tutto farebbe delle “Metamorfosi”, così, un vero e proprio romanzo “mistagocico” che sembrerebbe registrare l’esperienza stessa dello scrittore. Romanzo che, tuttavia, qualunque sia la sua reale intenzione, ci offre una straordinaria descrizione delle province dell’impero. Il romanzo, confrontato con quello di Petronio, dà però la curiosa impressione che i personaggi vi siano osservati con maggiore distanza, come in un immenso affresco dove si muovono, agitandosi, innumerevoli comparse. …Il disegno è illusione M. C. Escher Renè Magritte M.C. Escher Colui che maggiormente è riuscito a penetrare con immensa genialità nel mondo delle illusioni, capovolgendo vertiginosamente tutte le prospettive artistiche, è stato Maurits Cornelis Escher. Se si pensa di trovare nell’arte trascorsa una figura che possa competere con l’artista Olandese, allora si rimarrà delusi perché mai nessuno ha sviluppato una ricerca così coerente e stringente, con esiti e tematiche tanto originali e geniali. Escher partendo dall’osservazione accurata della realtà, è giunto, nei suoi lavori, ad esiti di altissimo livello fantastico e simbolico: i suoi ingannevoli paesaggi, le sue prospettive invertite, le architetture da capogiro, i mosaici fantastici, le figure grottesche umane e animali, le costruzioni geometriche minuziosamente disegnate, incantano, sconcertano e contemporaneamente soddisfano il bisogno di ordine ed equilibrio. Nei contrasti giorno-notte , cielo-acqua, pesci-uccelli, delle incisioni più famose l’ambiguità visiva diventa ambiguità di significato, il positivo ed il negativo sono assolutamente intercambiabili, sovrapponibili, indissolubilmente legati. Disegnare diventa quindi con Escher, illusione: siamo convinti di vedere un mondo tridimensionale, quando il foglio da disegno è invece soltanto bidimensionale…. Il fascino e la fama di Escher quindi non sembrano voler invecchiare e oltrepassano il tempo e i luoghi, come testimonia l'uso sistematico delle sue immagini per le illustrazioni di libri e di articoli dedicati soprattutto, per un'affinità evidente, a fisica, astronomia, geometria, psicoanalisi e altre scienze, in ogni parte del mondo. Egli amava definirsi molto più vicino ai matematici e gli scienziati piuttosto che agli artisti. Chi si è occupato di Escher ha spesso cercato di capire se nelle immagini create dalla matita e dalla sgorbia del geniale artista olandese si nascondano, nonostante le sue stesse affermazioni, simboli, allegorie, enigmi, crittografie, rebus o comunque qualcosa di segreto. Tentativi non riusciti a quanto si sa. Se ne è dedotto che Escher non voleva dire nulla di più di quanto si vede nelle sue opere e che, pertanto, da un lato la sua ricerca estetica si identifica con la ricerca geometrico-formale, dall'altro la sua idea di bellezza risiede nella purezza del segno, nell'armonia anche apparente delle composizioni e nei paradossi illusionistici che solo la matita può creare. Le affinità di Escher con Magritte o il surrealismo, in particolare sono notevolissime, e anzi si può parlare di sicure influenze reciproche. Eppure Escher non viene di norma citato nè tra i surrealisti nè tra gli epigoni del movimento. C'è sicuramente un problema di contenuti, perchè se l'olandese appare nel complesso vicino alle scelte figurative surrealiste di Ernst, Magritte, Dalì, Mirò , è invece difficile apparentarlo alla ricerca interiore, psicanalitica e onirica che trasuda dalle loro opere. A differenza di altri artisti, Escher mentre ci inganna ci svela l'inganno, e forse proprio in questa ironia, o ammiccamento, richiesta di complicità, risiede buona parte del suo fascino e del suo rapporto empatico con lo spettatore. Il disegno è illusione Gallery Nell’occhio di Escher Il disegno è illusione Drawing hands Ascending and descending Reptiles Moemius band Waterfall Sky and water balcony Another world Belvedere Print gallery Rettili Gravitation Stars House of stairs Hight and low Relativity Illusion Reflecting Drawing Hands Un foglio di carta è fissato ad un supporto con quattro puntine da disegno: la mano destra è occupata a disegnare la manica di una camicia; al momento non ha terminato il suo lavoro, ma, un po’ più in là, a destra ha disegnato una mano sinistra già così dettagliatamente che questa si distacca dalla superficie e, a sua volta, come una parte viva del corpo, disegna la manica dalla quale appare la mano destra. Gallery Moemius band Un nastro chiuso e circolare presenta solitamente due superfici, una interna ed una esterna. Su questo nastro invece, camminano una dietro l’altra delle formiche rosse le quali percorrono sia la parte anteriore , sia quella posteriore. In questo modo il nastro risulta avere un’unica superficie. Gallery Relativity Qui agiscono perpendicolarmente tre livelli di forza di gravità, tre superfici terrestri, su ognuna delle quali vivono degli uomini e si intersecano ad angolo retto: due abitanti di due mondi diversi non possono vivere sullo stesso pavimento, perché non hanno lo stesso concetto di ciò che è orizzontale e verticale, nonostante ciò possono usare la stessa scala. Sulla scala superiore procedono due persone, l’una accanto all’altra, nella stessa direzione. Evidentemente è impossibile che queste persone entrino in contatto perché vivono in due mondi diversi e, per questo, l’uno non è a conoscenza dell’esistenza dell’altro. Gallery High and low Escher esaspera il tema dentro/fuori soprattutto in quest’opera, che mostra lo stesso ambiente da due punti di vista diversi. Nella metà superiore di questa litografia, il punto di vista è posto al terzo piano di un edificio che si apre su un cortile abbellito dalla presenza di una palma. La metà inferiore dell’opera, invece, rappresenta il medesimo edificio visto dal cortile, dove un ragazzotto con i pantaloni corti, guarda una donna affacciata alla finestra. Si ha così un effetto dentro/fuori che è molto sofisticato. Tra l’altro per riuscire a far entrare nella superficie ristretta di un foglio rettangolare uno spazio così dilatato, Escher è costretto ad utilizzare un tipo di deformazione prospettica, che, per l’epoca, appare assolutamente innovativa, ovvero quella della prospettiva curvilinea che Escher aveva studiato riproducendo le celebri sfere riflettenti. Gallery Renè Magritte Come già detto precedentemente, le affinità di Escher con Magritte sono notevolissime, ma se il lavoro di Escher appare incunearsi nella complicazione estrema della riflessione, dell’illusione prospettica, dell’artificio stesso della rappresentazione, Magritte si presenta in un tono misterioso e sospeso che è tipico del surrealismo. Magritte (Belgio 1898- 1967), svolge un tipico illusionismo di ordine onirico: illustra ad esempio oggetti e realtà assurde, come un paio di scarpe che si tramutano nelle dita di un piede o un paesaggio simultaneamente nella parte inferiore notturno e in quella superiore diurno, ricorrendo a tonalità fredde, ambigue, antisentimentali, quali quelle del sogno. Magritte è l’artista che più di ogni altro, gioca con gli spostamenti del senso, utilizzando sia gli accostamenti inconsueti, sia le deformazioni irreali. Ciò che invece è del tutto estraneo al suo metodo, è l’automatismo psichico, in quanto egli, con la sua pittura, non vuole fare emergere l’inconscio dell’uomo ma vuole svelare i lati misteriosi dell’universo. I suoi quadri sono realizzati in uno stile da illustratore, di evidenza quasi infantile. Volutamente le sue immagini conservano un aspetto pittorico, senza alcuna ricerca di illusionismo fotografico. Già in ciò si avverte una delle costanti poetiche di Magritte: l’insanabile distanza che separa la realtà dalla rappresentazione. E spesso il suo surrealismo nasce proprio dalla confusione che egli opera tra i due termini. In altri quadri Magritte gioca con il rapporto tra immagine naturalistica e realtà, proponendo rappresentazioni dove il quadro nel quadro ha lo stesso identico aspetto della realtà che rappresenta, al punto da confondersi con esso. Magritte è un “antipittore”, non amava dipingere. Non mancano gli aneddoti e le testimonianze dirette che confermano il suo atteggiamento distaccato rispetto al “fare pittura”, il suo è un dipingere freddo, levigato, meticoloso ma senza palpiti di pennello, senza sorprese di tocchi, di gesti, d’inebrianti incidenti di percorso, tuttavia e paradossalmente egli si colloca nel cuore della pittura. Il suo surrealismo è uno sguardo molto lucido e sveglio sulla realtà che lo circonda , dove non trovano spazio né il sogno, né le pulsioni inconscie. L’unico desiderio che la sua pittura manifesta, è quello di “sentire il silenzio del mondo”, come egli stesso scrisse. Il disegno è illusione Gallery Magritte Gallery Il disegno è illusione Ceci n’est pas une pipe Clairvoyance Le faux miroir L’empire des lumières Les passeggiates des Euclide Le modèle rouge Human condition Le viol Le chàteau des Pyrènèes Le fils de l’homme Les amants Graties naturali Le domaine d’Arnheim La dècouverte du feau Le grande famille Questa non è una pipa…… In “Ceci n’est pas une pipe”, il rapporto tra linguaggio ed immagine, ovvero tra rappresentazioni logiche ed analogiche, è un tema sul quale Magritte gioca con grande intelligenza ed ironia. In questo caso, guardando l’immagine di una pipa e leggendo la scritta sottostante che dice: “questa non è una pipa”, la prima reazione è di chiedersi : “ma allora cos’è?”. Il sottile inganno si svela ben presto se si riflette che si sta guardando solo un’immagine , non l’oggetto reale che noi chiamiamo “pipa”. Magritte anche in questo caso, tende a giocare con la confusione tra realtà e rappresentazione, per proporci una nuova riflessione sul confine, non sempre coscientemente chiaro tra i due termini. Gallery Gli amanti L’artista belga, ha ragione quando ritiene, che se è sostenibile che, secondo una logica strettamente surreale, il sogno rappresenti la vera vita, cioè la parte reale dell’esistenza, è però altrettanto sostenibile il contrario: cioè che la realtà visibile e tangibile non sia che un sogno, in sintesi il problema non si pone, è semplicemente superfluo. Uno dei meccanismi utilizzati da Magritte, per giungere alla rappresentazione surreale, è quello di coprire il volto dei personaggi ritratti per cancellarne l’identità e mostrarceli solo nella loro apparenza. Ai volti sovrappone delle colombe, a volte delle mele, , in questo caso copre i due volti con due lenzuoli. L’effetto è tanto più sorprendente se, come in questo caso, i due personaggi si stanno baciando. La sensazione che ne deriva è di malinconia per la crudeltà imposta ai due personaggi , ai quali viene negata la piena potenzialità del gesto compiuto. *(secondo alcune indiscrezioni, il dipinto rimanda all’episodio del ritrovamento del corpo della madre di Magritte, morta suicida nel 1912 e rinvenuta nel fiume Sambre con il volto coperto dalla camicia da notte.) Gallery Il modello rosso Due scarpe che diventano piedi o viceversa. Un’immagine disturbante ed ambigua. “il modello rosso” rappresenta una delle opere più emblematiche dell’artista. Forse un indizio sta nel titolo? Macchè…ci porta ancora più fuori strada!!! Un paio di piedi, perfettamente scorciati. Una parte resta in ombra, a prima vista. Ed è strano, perché la fonte luminosa nel quadro sembra essere unica ed inondare con omogeneità quasi artificiale l’intera scena. Ancora più strano è che i piedi si trasformano, sotto i nostri occhi increduli e diventano un bel paio di scarponcini scuri con tanto di stringhe. L’effetto sopresa è immediato, tuttavia la produzione di Magritte mira a creare questo effetto. La passione dell’artista per la creazione di accoppiamenti strani e incongrui spiazzano nella loro ostentata banalità :egli stesso afferma che la sua maniera di dipingere è assolutamente accademica e che l’unica cosa interessante è ciò che mostra. La visione del contenente (un paio di stivaletti) suggerisce all’istante, all’intelletto, la visione del contenuto (i piedi nudi). Dunque l’occhio non solo vede ma anche pensa, è consapevole di ciò che ha visto, di ciò che si nasconde dietro l’apparenza e di ciò che si potrebbe vedere. Gallery Albert Einstein: cenni biografici Albert Einstein ( Ulm 1879 - Princeton 1955 ) Fisico tedesco naturalizzato statunitense. Il maggiore fisico della nostra epoca. Dall'eta' di un anno visse a Monaco; fu per alcuni anni a Milano e poi a Zurigo (1896), Divenuto cittadino svizzero, trovò un impiego all'ufficio brevetti di Berna. Nel 1905 pubblicò tre scritti di fondamentale importanza; uno esponeva i principi della teoria della relatività ristretta; uno sul moto browniano, che costituiva la prima prova della reale esistenza degli atomi; il terzo per lungo tempo respinto dai fisici, rappresentava la prova della natura corpuscolare della luce. Proprio per questa prova (l'interpretazione dell'effetto fotoelettrico- conosciuto oggi come "fotovoltaico") vinse il premio Nobel per la fisica nel 1921. Nel 1916 pubblicò un fondamentale articolo sulla teoria della relatività generale, teoria che recentemente ha ottenuto una considerazione sempre più ampia e diverse nuove verifiche in campo cosmologico. Rifugiatosi in America durante il periodo delle persecuzioni ebraica hitleriane, venuto a conoscenza dei lavori di OTTO HAHN e FRITZ STRASSMANN e LEO SZILARD (fisico teorico ex allievo di Einstein all'Istituto di Fisica di Berlino), oltre i lavori di Fermi, con una lettera a Roosevelt, proponeva la costruzione di una bomba nucleare, per il timore che la Germania riuscisse a costruirne una. Perchè proprio dalla Germania a lui pervennero le ultime informazioni sulla struttura dell'atomo e sulle possibilità di usare l'energia nucleare. Dopo la seconda guerra mondiale, Einstein cercò in tutti i modi di favorire la pace nel mondo, promuovendo una vasta campagna popolare contro la guerra e le persecuzioni razziste. Proprio una settimana prima di morire, insieme ad altri sette Nobel, compilò una dichiarazione pacifista contro le armi nucleari. Questo messaggio all' umanità, che rappresenta una specie di testamento spirituale dello scienziato, termina con queste parole: "Noi rivolgiamo un appello come esseri umani a esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo è aperta la via di un nuovo paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale". La Teoria della Relatività La teoria della relatività, elaborata da Albert Einstein all’inizio del XX secolo, è alla base dell’intera fisica moderna. Solo mediante la teoria della relatività si può dare una sistemazione completa all’elettromagnetismo e alla teoria della gravitazione; ed è solo grazie ad essa che la fisica nucleare e la fisica delle particelle elementari hanno potuto svilupparsi e avere le applicazioni ingegneristiche attuali. La teoria della relatività si può suddividere, anche storicamente, in due “fasi” successive: la relatività speciale e la relatività generale. Il problema di fondo, per risolvere il quale Einstein elaborò la propria teoria, è in ambedue i casi quello di dare una forma invariante, indipendente cioè dal sistema di riferimento, alle leggi fisiche. Per molto tempo si credette che l’unica risoluzione del problema fosse costituita dal “Principio di relatività di Galileo”. Secondo questo principio tutti i sistemi di riferimento “inerziali” sono equivalenti per la descrizione dei fenomeni meccanici. Esso viene messo in discussione alla fine del XIX secolo in seguito alla scoperta dei fenomeni elettromagnetici. In modo particolare la formulazione maxwelliana dell’elettromagnetismo e la scoperta della natura elettromagnetica della luce portavano a contraddizioni molto profonde con il principio di relatività galileiano. Einstein riesce a superare le contraddizioni tra principio di relatività e teoria elettromagnetica. La teoria della relatività di Einstein si basa su due postulati: Le leggi della fisica devono essere le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. La velocità della luce è una costante, cioè è la stessa in tutti i sistemi di riferimento. Egli inoltre analizza a fondo i concetti di spazio e di tempo e dimostra, sulla base di due postulati, che né lo spazio né il tempo hanno carattere assoluto. Cenni biografici Il paradosso dei gemelli L’accettazione della teoria della relatività non fu immediata e ancora oggi esistono oppositori. Trai vari paradossi apparenti ideati per mostrare delle contraddizioni nella teoria della relatività ristretta, il più noto è quello dei gemelli. Il paradosso si presenta nel modo seguente. Sulla terra vivono due gemelli, Mimmo e Sonia, che al momento dell’esperimento hanno venti anni e possiedono entrambi un orologio ed un calendario. Supponiamo che Sonia decide di diventare astronauta, mentre Mimmo rimane sulla terra. Sull’astronave lei vede scorrere il tempo sul proprio orologio in modo normale. Quando Sonia torna sulla terra però , ha una sorpresa imprevista:Mimmo è più vecchio di lei ! La differenza di età dipende da quanto è durato il viaggio e dalla velocità alla quale si è svolto:più la velocità dell’astronave è stata vicina a quella della luce, maggiore è la differenza nel tempo sperimentata dai due gemelli. Il paradosso nasce dal ruolo apparentemente simmetrico dei due gemelli : ambedue possono sostenere, in base alla relatività del moto, di essere rimasti a riposo mentre l’altro faceva il viaggio. Ambedue possono sostenere che l’orologio dell’altro va a rilento . Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra i due gemelli: Mimmo è un osservatore inerziale mentre Sonia non lo è, poiché frena e inverte la marcia per tornare sulla terra. Magnitudine Assoluta e Magnitudine Apparente Un altro paradosso, un altro fenomeno ottico e sorprendentemente illusorio è quello delle stelle. Con il termine magnitudine si intende la misura della quantità di luce che ci arriva da un corpo celeste (stelle, galassie, nebulose..) questa quantità di luce dipende da molti fattori, come la distanza dell’astro in questione, la sua grandezza e la sua temperatura. Guardando il cielo si nota immediatamente che alcune stelle sono più luminose di altre. Inoltre la luce che la stella emette, durante il tragitto, sino alla terra, deve attraversare una quantità di materia che ne assorbe una parte(assorbimento interstellare); la stessa atmosfera terrestre contribuisce a questo assorbimento. Per cui una stella può essere più luminosa ma più lontana di un’altra, pertanto appare più debole. La magnitudine si distingue in Magnitudine Apparente:la dicitura apparente è dovuta al fatto che ci si riferisce alla luminosità delle stelle così come appaiono viste dalla superficie terrestre. In realtà questa scala non ci permette di classificare e quindi di confrontare correttamente le stelle fra loro, in quanto non tiene conto né delle dimensioni effettive dell’astro né della sua distanza dalla terra. Magnitudine Assoluta: è la luminosità effettiva e reale della stella. Si è deciso di costituire un sistema di magnitudini assolute in cui si misura la luminosità che avrebbero gli astri se fossero tutti alla distanza (arbitraria) di 10 Parsec dalla terra. Il legame tra la magnitudine relativa(m) e quella assoluta (M) è dato dalla seguente relazione: m Dove (d) è la distanza della stella in Parsec =d M Se si conosce la distanza di una stella se ne può determinare la magnitudine, viceversa se si conosce la magnitudine assoluta, si può risalire alla distanza. La scala delle grandezze è inversamente progressiva, cioè più la massa della stella è grande, meno sarà luminosa la stella. Anche i raggi che associamo alle stelle sono ovviamente illusori: derivano dalle aberrazioni sferiche dell’occhio e dalla struttura del cristallino , che diffondono la luce dei dei punti luminosi e ne producono un immagine sfrangiata. Altrettanto illusorio è il tremolio delle stelle che è invece causato dalla turbolenza dell’atmosfera. Oltre alle stelle, gli unici oggetti ottici di cui abbiamo una percezione diretta sono la via lattea e Andromeda. delle altre galassie non vediamo la luce direttamente, perché è troppo debole. Ma se la vedessimo, ci accorgeremo che essa non è bianca come quella del sole ma rossastra. Questo effetto ottico chiamato red schift “spostamento verso il rosso” è l’analogo visivo del famoso effetto doppler acustico. Analogamente la luce bianca emessa da una sorgente in movimento viene percepita come più o meno rossa o blu , a seconda che essa si allontani o si avvicini. Il red schift delle galassie scoperto nel 1929 da Edwin Hubble , è dunque una prova del fatto che esse si allontanano da noi e che l’universo si espande. I miraggi I miraggi Un altro inganno è rappresentato dai miraggi. Ma che cos’è un miraggio? È solo un’allucinazione? No, i miraggi non sono guizzi della nostra immaginazione, ma fenomeni ottici addirittura fotografabili e spiegabili. All’origine di ciascun miraggio vi è un’anomalia di rifrazione dei raggi luminosi causata da scarti di temperatura negli strati più bassi dell’atmosfera. Un miraggio può essere creato dal sole. Il sole appare come un disco arancione con un sottilissimo bordo superiore verde e un altro inferiore blu (il blu viene come al solito diffuso) nel momento in cui il sole sparisce all’orizzonte , il bordo verde si dissolve in un bagliore che da il nome al fenomeno. A volte l’ovale del sole al tramonto è un vero e proprio miraggio , come dimostra il fatto che esso può apparire interamente al di sopra della superficie dell’acqua e restringersi e svanire senza mai scendere sotto l’orizzonte. Altri tipici miraggi sono le le finte pozzanghere d’acqua che si vedono a volte sulle autostrade o nel deserto. In tutti questi casi è in azione un principio enunciato da Pierre de Fermat nel 1657: la luce segue sempre il cammino più veloce per congiungere 2 punti. Poiché l’aria calda ha minore densità e minore indice di rifrazione di quella fredda, la luce vi viaggia più velocemente. Quando la temperatura vicino al terreno è più alta di quella dell’ambiente circostante , come succede d’estate , la luce del cielo può dunque arrivare ai nostri occhi non seguendo la normale linea retta, bensì attraverso una linea curva concava che passa rasente al suolo. Il cervello scambia questa immagine del cielo con quello di una pozzanghera d’acqua provocando così la sensazione del miraggio. una situazione simmetrica si ottiene quando la temperatura vicino al terreno è più bassa di quella dell’ambiente circostante. In questo caso la luce arriva ai nostri occhi attraverso una linea curva convessa che passa alta nel cielo e l’impressione sarà quella di vedere gli oggetti sollevati da terra. Più spettacolare è la cosi detta “fata Morgana” tipica dello stretto di Messina. In determinate condizioni le rocce e gli edifici della costa sembrano fluttuare nel cielo e danno l’illusione di castelli in aria come quelli che la “fata Morgana” faceva apparire alla corte di re Artù.