Il pentito Messina: entrai nell`organizzazione per vendicare mio padre
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Il pentito Messina: entrai nell`organizzazione per vendicare mio padre
06020818.qxd 05/02/2008 18 22.25 Pagina 1 In primo piano Mercoledì 6 Febbraio 2008 CRONACHE di NAPOLI CAMORRA LA RETATA I DELITTI La casa della Terracciano per decidere gli agguati La moglie La figlia Il ras Giovanna Terracciano Elvira De Falco Antonio Mariniello E' la consorte del defunto capoclan Ciro De Falco, assassinato ad Acerra nell'ottobre del 2006. L'omicidio scatenò una serie di risposte e di agguati contro il clan opposto a cui erano legati i componenti della famiglia Tedesco. La donna aveva un ruolo di primo piano nel clan E' la figlia del boss ucciso De Falco. La giovane partecipava ai summit per ristabilire il nuovo assetto delle alleanze sul territorio dopo la morte del padre: "Non è cambiato nulla, i soldi di mio padre ce li mangiamo sempre noi. Acerra è sempre di mio padre, lo devono capire questa gente” Il boss Antonio Mariniello era agli arresti domiciliari E’ stato ammanettato e rinchiuso nel carcere di Poggioreale. Venne beccato dalla polizia nei pressi di casa sua mentre era in auto con la moglie: addosso alla donna venne trovata una pistola di cui l’uomo si attribuì la proprietà Mala acerrana, gli indagati fanno scena muta Gli arrestati nel blitz si sono avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande dei gip di Marco Cesario ACERRA - Hanno fatto tutti scena muta. Nessuno ha scelto di rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari Antonella Terzi della seconda sezione penale del tribunale di Napoli che li ha fatti finire in prigione. Nessuno ha voluto replicare a caldo alle contestazioni mosse dal pubblico ministero Vincenzo D’Onofrio della Direzione distrettuale antimafia di Napoli nell’ambito dell’inchiesta che ha inferto un duro colpo al clan Di Fiore-De Falco. Ieri mattina in 21 hanno affrontato la prima tappa dell’iter giudiziario scaturito dalla notifica delle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, è stato il coro unanime che si è levato nella sala colloqui della casa circondariale di Poggioreale. Adesso tutti sperano nei giudici del tribunale del Riesame di Napoli ai quali, a stretto giro la difesa (rappresentata, tra gli altri, dagli avvocati Carlo Ercolino, Giovanni Bianco e Ludovico Montano) presenterà un’istanza di scarcerazione nella speranza di ottenere una lettura diversa del quadro indiziario. Numerose sono le accuse formulate dalla procura: associazione di stampo mafioso, estorsione (consumata e tentata), il tentato omicidio di Antonio Tedesco, e gli omicidi di Ciro De Falco (assassinato ad Acerra il 26 ottobre del 2006) e di Luigi Borzacchiello (assassinato il 9 dicembre del 2006). Le indagini, che poggiano su una serie di intercettazioni telefoniche ed ambientali e sulle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Domenico Delli Paoli e Giovanni Messina, hanno accertato anche che il clan Di FioreDe Falco era pronto a fare una strage. In particolare gli investigatori hanno ascoltato in diretta Giovanna Terracciano, la vedova di Ciro De Falco, mentre esortava i sicari ad uccidere Luigi Borzaccchiello, personaggio di primo piano del clan rivalere dei Mariniello, colpendolo in faccia, cosa che poi effettivamente accadde. Ancora: Elvira De Falco, figlia del boss assassinato, venne sentita mentre ristabiliva il nuovo assetto delle alleanze sul territorio dopo la morte del padre: “non è cambiato nulla, i soldi di mio padre ce li mangiamo sempre noi. Acerra è sempre di mio padre, lo devono capire questa gente di m...”. L’inchiesta ha fatto luce su una serie di episodi di contrasto tra i De Falco-Di Fiore, alleati dal 2004 con i De Sena nello spartirsi i proventi delle estorsioni sul territorio, e i Mariniello, alleati con i Tedesco, guerra di camorra cominciata ad ottobre 2006 proprio con l’agguato al boss. La polizia, ascoltando le conversazioni tra gli affiliati del clan, ha salvato la vita due volte ad Antonio Mariniello, responsabile dell’uccisione di Ciro De Falco e per questo condannato a morte dal clan rivale. Una prima volta, a novembre del 2006, quando i De Falco tentano l’azione, agenti accompagnano Mariniello nella sua abitazione in auto e i killer non agiscono. Mariniello, a questo punto, non lascia più il suo appartamento. E in casa De Falco, dove si trattano partite di droga in presenza dei bambini, si progetta anche un intervento con il tritolo nello stabile di Acerra dove Mariniello abita a pur di ucciderlo. “Gli butto giù 150 metri quadrati e 10 metri di muro”, spiega Pasquale Di Fiore, marito di Elvira, alla suocera Giovanna e al cognato Impero De Falco. “Vediamo di non fare figure di m...”, dice la donna. “Come ho progettato la bomba, non scappa, Giovanna. Gli do Afragola addosso”, è la replica. L’esplosivo, hanno spiegato il pubblico ministero antimafia Vincenzo D’Onofrio e il responsabile della Mobile Vittorio Pisani, era già pronto e proveniva da una cava del napoletano. Nell’esplosione avrebbero potuto perdere la vita, oltre a Mariniello, almeno altre 15 persone. Anche in questo caso, agenti di polizia vengono notati dalle vedette della camorra nei pressi dello stabile e non si procede. L’ascolto delle conversazini di camorra ha permesso di sventare, oltre la strage, altri due agguati, mentre in due casi non si sono decifrati i luoghi e le persone obiettivo dei killer. ACERRA - La morte di Ciro De Falco rappresenta la premessa cronologica e soprattutto la logica della maggior parte degli atri delitti sintetizzati nei capi di imputazione predisposti dal pm. A questo si intrecciano gli agguati di Antonio Tedesco e Luigi Borzacchiello e scaturiscono gli attuali equilibri del gruppo di cui era stato incontrastato leader e, in qualche misura, le scelte criminali dei suoi epigoni. Proprio a seguito di tale delitto che l’abitazione della moglie della vittima diventa il fulcro delle attività. L’appartamento di Giovanna Terracciano sembra infatti diventata, dopo l’omicidio del marito, una sorta di punto di ritrovo per i familiari - tutti per altro a vario titolo coinvolti nelle ‘esperienze’ criminali del capofamiglia e pronti ad assumerne l’eredità - e degli ulteriori partecipanti, i quali confluiscono per ricevere direttive e per relazionare sugli incarichi ricevuti. Le conversazioni, quindi, che si svolgono, finiscono col fornire non soltanto elementi in ordine all’omicidio, ma anche col dare un decisivo contributo ai fini dell’accertamento dell’esistenza dell’associazione e dell’appartenenza alla stessa degli interlocutori. Il prosieguo dell’ascolto e l’estensione anche ad utenze telefoniche in uso agli indagati apre poi insospettabili scenari anche sui delitti fine e, in particolare, sugli delitti che si raccordano all’eliminazione di Di Fiore. I dialoghi, tutti in chiaro e mai velati da precauzioni, e la facile identificazione di coloro che ne prendono parte, i quali di regola parlano in casa loro, chiamandosi per nome e le loro voci, peraltro, sono note agli investigatori, rendono questo mezzo di apprensione della prova assolutamente decisivo e di per sé autosufficiente ai fini rappresentativi cui è destinatario. Le operazioni di polizia, come già detto, concorrono a fugare i pochi dubbi e dirimere i rari equivoci. A supportare poi i dati ricavabili dalle intercettazioni, vi sono poi le dichiarazioni di Giovanni Messina, che da dei fatti una ricostruzione sempre sovrapponibile a quella che si ricava dai colloqui e, soprattutto, quelle di Domenico Delli Paoli. E per una fortunata coincidenza il ‘pentimento’ di Delli Paoli interviene immediatamente dopo la sostanziale conclusione dell’attività di indagine. La storia del sodalizio Il genitore del collaboratore di giustizia assassinato in un raid per errore. La ‘gola profonda’ divenne il guardaspalle del ras Esposito per farsi giustizia Il pentito Messina: entrai nell’organizzazione per vendicare mio padre ACERRA (Mariano Fellico) - Le dinamiche che hanno caratterizzato in passato e che caratterizzano attualmente l’area acerrana, sono racchiuse in buona parte nelle dichiarazioni del pentito Giovanni Messina e Domenico Delli Paoli. Le loro versioni descrivono un panorama criminale di “inarrestabile vivacittà” - come viene evidezianto dai pm - con repentini capovolgimenti di fronte, da amicizie labili e rancori spesso superficiali, da fratture che non sono mai nette, così come non lo sono i fronti che di volta in volta nascono in vista della realizzazione di interessi contingenti o per contrastare avversari comuni e con la stessa rapidità si disfano, magari, per ricompattarsi all’improvviso, mutando solo parzialmente la loro composizione. Si scopre, così, che ‘amici’ uccidono gli ‘amici’, dopo averli attirati in alleanze mistificatorie, che nemici giurati si ritrovano anche se temporaneamente dalla stessa parte per “complessi giochi di potere criminale”. E’ l’arte della ‘tragedia’, che , anche nell’esperienza di Giovanni Messina, governa e fa da regia agli accadimenti criminali del territorio acerrano. “Il 4 dicembre 1989 - afferma il pentito Messina durante un interrogatorio - è una data indimentica- bile per me. Una data che ha segnato per sempre la mia vita. Mio padre, seppure gravato da un precedente per furto, era completamente estraneo ai contesti camorristici di Acerra. La ragione della sua uccisione - afferma l’ho appresa diversi anni dopo, nel 1995. In quell’anno decisi di entrare a far parte di uno dei clan della zona, per vendicare mio padre. Quando venni a sapere chi erano stati gli autori dell’omicidio di mio padre e soprattutto che quell’omicidio era presumibilmente frutto di un errore di valutazione, qualcosa scattò in me e decisi di fare quello che poi ho fatto. Ricordo ancora - sottolinea Messina - quando mio fratello mi disse di aver sentito Antonio Capasso parlare dell’omicidio di mio padre. Conoscevano Guglielmo Mayer che, dopo l’arresto di Mario De Sena e di Francesco Montesarchio, gestiva il clan. Iniziai a fare l’autista e il guardaspalle di Giuseppe Esposito, ex cutoliano. Lo accompagnavo ed ero armato: aveva due pistole. Gli ex cutoliani temevano di essere uccisi. L’ottobre del 1995 partecipai ad un agguato a Casalnuovo. Questo - conclude Messina - fu il mio battesimo di fuoco”. Poi, qualche anno dopo, nel 1999 iniziò la spaccatura all’interno del cosca capeggiata da Mariniello. Il pentito, infatti, era in mezzo a due ‘fuochi’, doveva scegliere con chi passare: coi Mariniello o coi De Sena, ma lui optò per quest’ultimi.