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Dell`Etica e del Limite: Frederick Wiseman

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Dell`Etica e del Limite: Frederick Wiseman
relax
Dell’Etica e del
Limite: Frederick
Wiseman
di Loredana Bua
Frederick Wiseman è uno dei maggiori
registi documentaristi d’America, se
non il maggiore in assoluto, nell’ultimo trentennio.
Nato a Boston, Massachusetts, U.S.A.,
il 1° gennaio 1930. Ha studiato al Williams College, Williamstown, Massachusetts, poi alla Yale University fino al 1954. Ha insegnato Legge, poi ha
preferito diventare regista di documentari.
Quanto segue è il resoconto di un seminario
che il regista americano ha tenuto a Palermo
nel settembre del 2000.
U
na polo amaranto, un aspetto
ordinario, un taccuino elettronico. Si presenta così, Frederick
Wiseman, al seminario organizzato a
Palermo dall’Assessorato dei Beni Culturali e Ambientali e della P.I. della Regione Siciliana per il ciclo: Cinema:
Lezioni siciliane.
Non fa chiasso, Wiseman, di norma gli
americani ne fanno; lui declina le parole senza accenti, con incedere leggero, quasi impercettibile. Nel cognome
il suo carattere: uomo prudente, saggio.
L’incontro, curato da Alessandro Rais,
Esperto Storico del Cinema dell’Assessorato Regionale Beni Culturali, si è
tenuto a Palermo dal 25 al 30 settembre 2000, al Real Teatro Santa Cecilia,
un luogo austero e silenzioso, all’interno un pavimento grezzo e sul soffitto
antiche capriate in legno.
Wiseman e il suo percorso di vita, e i
punti cardini del suo futuro da regista.
Lo studio controvoglia di Legge, l’appassionata lettura dei classici. Per ventuno mesi nell’esercito americano; a
Parigi per due anni, assiduo spettatore
di cinema e teatro. In America una volta
ancora, la docenza di Medicina Legale
e Legge Criminale, ed in seguito Psichiatria.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005
In America si studia legge dai ricorsi in
appello, Wiseman conduce gli allievi in
visita in tribunale e negli ospedali psichiatrici, tra cui il Manicomio Criminale
di Bridgewater in Massachusetts, visitato nel 1966.
Il suo interesse per il cinema, parallelo
a quello per la legge; smette l’insegnamento ed inizia i documentari.
Bridgewater, punto di partenza per iniziare, sulla scia di film simili da lui già
visti. Il mondo intorno, esplorato grazie al 16 mm con suono sincronizzato
ed attrezzatura leggera.
Wiseman ed uno dei suoi assunti in
relazione a quanto visto dentro Bridgewater:
Il grado di civiltà di una nazione è dato dal modo in cui
questa tiene un malato di
mente.
La sua decisione di guardare
il mondo attraverso lo sviluppo delle istituzioni; progetto
reso concreto per gli sviluppi
tecnologici abbastanza nuovi.
Wiseman e la sua tecnica. Titicut follies, girato dentro Bridgewater, il prototipo.
Wiseman e l’abitudine a girare immediatamente, per timore della revoca dei
permessi, com’è successo per lo stesso Titicut follies – permesso ottenuto,
revocato e riottenuto in seguito (Bridgewater era un carcere di massima
sicurezza).
Wiseman e la sua troupe, da sempre
di soli tre operatori lui compreso, la sua
preferenza per il suono - un operatore
è il cameraman, l’altro cambia le pellicole e porta l’attrezzatura.
Wiseman e il codice di segni inventato
ed usato coi suoi collaboratori nella
dinamica delle riprese; Wiseman e la
pellicola usata - bianco e nero Kodak
72/22, in seguito varie pellicole Kodak
a colori.
Decide le riprese all’impronta. Una ripresa: 15-20 secondi che bisogna non
perdere.
L’improvvisazione la sua tecnica, senza voce narrante, né interviste o copione; l’istinto la sua guida. Non preconcetti ideologici, non film a tesi.
Ventiquattro giorni, tanto durano le riprese di Titicut follies, di norma sarebbero più e più settimane.
La sua giornata lavorativa si prolunga
di notte, con la disamina dei provini
via via che le riprese procedono, importante lavoro che lo fa capace del
materiale a disposizione.
Wiseman e il suo concetto di Etica: la
sua richiesta del permesso di girare o
fotografare; la concessione del diritto
di recesso, da esercitare però in tempi
stretti, Wiseman e l’Etica, indispensabile alleata nel suo lavoro.
Nulla è oggettivo, per lui: una tremenda soggettività passa al vaglio le sue
riprese di vita quotidiana.
Il suo impegno si traduce in un arco
che va da 70 a 120 ore di sequenze
fra 4 e 11 settimane di riprese; in un
secondo momento, la sincronizzazione del suono.
Wiseman ed il suo archivio, cataloga
tutto il suo lavoro e sovente lo riguarda, schedando le inquadrature e scrivendo cosa ciascuna mostri; lavoro
che, per lui, equivale a tenere aggiornati manuali sulla genesi di un film.
Accumulati questi appunti, inizia il
montaggio, poi la sincronizzazione
d’immagine e suono, infine inserisce
un codice. Macchinari obsoleti, metodologie antiche;
non ama il digitale.
Wiseman ed il suo
lungo lavoro di revisione, la ricerca
della sequenza ideale; la consapevolezza del tempo necessario per entrare in sintonia col
materiale che vedrà.
Fotogramma da Titcut follies, 1967
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Le sequenze riguardate per mesi, cercando la forma con cui poterle mettere insieme. Non ricerca una struttura
in cui chiudere le sequenze, finché non
ha montato tutto quello che pensa gli
servirà per un film.
Dopo, in due - tre giorni monta una
prima struttura del film, con in genere
20/30 minuti in più del film finale. L’attenzione rivolta sia al ritmo della singola sequenza che al ritmo tra le sequenze.
Ovvio che lo spettatore non avrà la
stessa sua conoscenza di luoghi e circostanze; sottolinea il suo voler lavorare con onestà, volendo informare il
più possibile. Dal canto suo, non mostra a nessuno il lavoro se non quando è finito.
Titicut follies è il nome di un musical che
si recita annualmente nella prigione.
La prima cosa non musicale del film è
la scena della perquisizione: molto nitido l’atteggiamento verso i malati, che
vengono umiliati nudi nella necessaria
perquisizione: hanno commesso atti
molto violenti, potrebbero ripeterli.
Necessaria ma disumana, disumana
ma pratica: occorre il controllo dell’esistenza di armi introdotte dall’esterno.
Il dialogo fra un medico ed un giovane
pedofilo spiega al pubblico il genere di
colloquio per chi entra nel carcere ed il
genere di crimini che si compiono.
Suggerisce anche la mancanza di preparazione del medico, per come tratta
e commenta il comportamento del giovane. Dà un’idea dell’assurdità di quel
che accade all’interno di una prigione.
Wiseman e la citazione: la prima parte
di Full metal jacket di Stanley Kubrick é
una citazione, scena per scena, del suo
Basic training.
Anche per Hair c’è stata citazione, entrambi i registi hanno letto il copione di
Wiseman.
Wiseman e la naturalezza: per lui, contraddicendo la teoria di orwelliana memoria, sapere di essere filmati non cambia il comportamento degli individui,
che non riescono a fingere solo perché
sanno di essere ripresi.
Si permette di essere ripresi per vanità, narcisismo, e perché si é convinti
della giustizia delle cose che si stanno
facendo e si vuole che queste si facciano.
Sottolinea sempre che lavora in onestà, Wiseman, e dichiara sempre cosa
sta facendo e perché lo sta facendo,
Fotogramma da High School, 1969
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005
cosicché etica e strategia coincidono.
Il tempo delle riprese per lui non comincia e non finisce con l’atto del girare: spesso rimane a parlare con le persone, e ciò le porta a decidere se si
possono fidare di lui.
Cerca di capire con le domande la routine della giornata e cerca di evitare le
questioni controverse. Se facesse finta di avere interessi in comune con le
persone che riprende, queste se ne
accorgerebbero senz’altro e perderebbero fiducia in lui.
Wiseman ed il Limite: limita l’azione nel
luogo in cui ha deciso di girare, potrebbe anche girare in casa delle persone,
dei parenti di questi, ma non lo fa per
esigenze di limite, perché il film rischia
di non finire ( già un suo documentario, Near Death, dura sei ore).
Del limite: si limita a parlare di questioni comuni, piuttosto che insistere sulle
discordanze, per instaurare un clima
di fiducia reciproca.
Wiseman ed il colore: predilige il bianco e nero, il colore usato in un film su
una scuola di sordo-ciechi è il colore
del tutto assente dalla vita di questi
bambini.
Ballet, che per inciso dura tre ore per
mostrare la dinamica dello studio della danza classica, non avrebbe dovuto essere a colori, lo è diventato perché il bianco e nero non dava abbastanza luce naturale.
High School (1968), mostra una scuola secondaria di Filadelfia. Wiseman dà
una lettura semantica del suo stesso
lavoro.
Vista dall’esterno, la scuola sembra
una fabbrica; essa stessa è una fabbrica che produce valori. All’interno, un
insegnante legge il Bollettino Giornaliero, che descrive il pensiero del gior-
no, per quel giorno il pensiero è che la
vita sia causa ed effetto (visione meccanica della vita); procedono le informazioni: la scuola ha un bollettino, é
mista, ha classi larghe.
In un’altra classe, l’insegnante di spagnolo parla di Sartre: come si ponesse
l’antitesi fra Eziologia ed Esistenzialismo.
Altre informazioni; s’insegna spagnolo, musica, la scena nell’ufficio del responsabile della disciplina é molto importante, si esprime quali siano o quali si crede siano i valori della scuola.
Qui il responsabile della disciplina sostiene che essere un uomo voglia dire
accettare le punizioni.
Tale necessità contrasta con una frase
che s’intravede a malapena ad inizio
film: «Le menti sono come i paracadute: funzionano meglio se sono aperte».
L’inizio del film narra della scuola, le
idee astratte e come queste vengano
gestite.
A fine film, una responsabile della scuola legge in pubblico una lettera di un
ex studente dal Vietnam che ha scritto
che se dovesse morire, desidera che
l’assicurazione sulla vita sia devoluta
alla scuola che gli ha dato tanto.
Ogni parte, per Wiseman, ha la sua significazione in relazione al momento
in cui viene inserita ed in rapporto alla
precedente e seguente scena. Differente esito avrebbe avuto infatti la significazione se la scena fosse stata posta
ad inizio documentario.
La forma di High School è circolare:
ad inizio film si vede un ambiente povero ed il giovane soldato è un orfano
povero. Lui, scrive di se stesso, è un
corpo che fa il suo lavoro, quasi come
prodotto della “fabbrica” della scuola.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005
collezionismo
Qualcuno volò
sul nido del cuculo?
di Roberto Viscovich
C
on l’occasione del controllo semestrale presso il centro d’igiene mentale che mi segue dal mio ultimo
efferato crimine, sono passato come sempre a salutare i vecchi amici, compagni di mille elettroshock. Casualmente ho sbagliato porta (i corridoi dei CIM sono così uguali…) e sono entrato nell’archivio generale, sulla scrivania del
direttore faceva bella mostra di sé un faldone con scritto
sopra “Roberto leggimi!”, o “Top secret”, oppure qualcosa
di simile che adesso non ricordo bene. Insomma, per farla
breve dentro c’era l’elenco completo di nomi ed indirizzi di
moltissimi collezionisti italiani con ben evidenziato gli oggetti collezionati e le terapie a cui ognuno di loro viene sottoposto dal centro psichiatrico più vicino.
Dopo un attimo di commozione l’ho sostituito coll’elenco
soci Mensa, l’ho preso e portato via.
Stranamente era in ordine alfabetico, però sono riuscito a
consultarlo ugualmente. Sommo il mio stupore ed elevata
la mia glicemia, quando ho visto di che cosa sono capaci
gli abitanti di questa terra di Santi, poeti, navigatori e veline.
Raccolte di ogni genere, famiglia e specie.
Qualche esempio? C’è chi raccoglie accendini sferici e soltanto sferici, chi forbici antiche e presumo ruggine annessa,
chi ancora fanalini da bicicletta.
Anche alla fine del film si parla di qualcosa che ha fatto la differenza nella vita,
come all’inizio, quando viene letto il
Bollettino.
Basic training è come il prosieguo di
High School. In America nel ’68 si entrava nell’esercito subito dopo essere
usciti dalla scuola. Wiseman stesso
nota che alla maggior parte dei soldati
piace quella vita, l’addestramento, la
disciplina.
La questione dell’Etica ritorna spesso
nel suo eloquio e si pone anche sotto
un secondo aspetto: la censura su Titicut follies durò 24 anni, si addusse la
scusante che si volesse preservare la
privacy dei malati, ripresi nudi. Quest’idea di diritto alla riservatezza era in
parte contenuta nella Costituzione
Americana, in parte era nella tacita tradizione dell’Etica. Qui il diritto alla privacy del malato scavalca il diritto alla
trasparenza da parte del contribuente
di sapere come andasse speso il denaro pubblico, di come andassero le
cose a Bridgewater. Il diritto alla privacy
del malato è stato uno schermo da
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Ma il genio italico si scatena anche con i neologismi, esistono persone che si definiscono “Enzoferrarista” o “periglicofilo”. Per contrappasso c’è chi non ci arriva e si definisce
collezionista di “dischetti metallici dei tappi delle bottiglie di
spumante reclamizzati” per il resto del mondo più semplicemente “capsule”.
Qualcuno di questi signori deve avere una terapia piuttosto
pesante. Proseguendo la mia indagine ho visto cose che gli
umani non possono quasi immaginare. In provincia di Genova un gentiluomo raccoglie tessere di partito, spero che
non siano tutte a suo nome. Un toscano che ha poco spazio in casa si limita a catalogare i tagliandini di carta uniti al
filo delle bustine da tea (sic!) e sempre in tema di spazio più
d’una persona si trastulla trattenendo soltanto i jolly dei mazzi
di carte buttando le altre, chissà forse esiste un mercato
parallelo dei collezionisti di due di picche …
Ritornando per un attimo quasi seri, in realtà provo molto
rispetto per ognuno di codesti pazienti. Non so se potete
capire, però Stefano Benni nel suo ultimo romanzo può aiutare con questa considerazione: «Quegli oggetti avevano
una storia, un passato utile e felice. Avevano le rughe e le
cicatrici come noi. Non parlavano, ma ti guardavano.»
Dunque … forse … sono loro a che ci guardano e osservano!
E non esiste un soggetto indegno di essere collezionato.
Dimenticavo: se vi telefonano da un centro di salute psichiatrica, dite loro che non avete il telefono.
Bibliografia
• “Annuario del collezionista 2005-2006”
a cura di L. Batocchio Ed. Mosè.
• “Margherita Dolcevita” Stefano Benni Ed. Feltrinelli
parte dello stato del Massachusetts per
proteggersi. Viene posta anche la questione del Primo Emendamento della
Costituzione Americana – libertà di
stampa e di parola.
Il film sulla polizia è dell’autunno del
’68; anche qui non esistono idee precostituite, quel che ne è venuto fuori è
quello che egli ha visto semplicemente stando con i poliziotti, quindi non
“documentario a tesi”, ma che si costruisce e si elabora via via che i dati
vanno raccolti, elaborati, catalogati.
In Public Housing la sequenza iniziale
mostra le case popolari, poi una sedia
rossa rotta e abbandonata per strada,
che diventa in parte il gioco di un bimbo nero.
Si vedono dei neri che giocano a scacchi: è gioco complesso e strano per il
luogo in cui si svolge, che sembra alludere alla difficoltà degli incastri della vita.
Due ragazzi su una moto costosa, probabilmente comprata grazie a losche
azioni.
Uomini per strada in ore mattutine: disoccupati. Non sarebbero in strada a
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quell’ora a non far nulla, nella zona vi
è un alto tasso di disoccupazione di
persone che non hanno specializzazioni tecniche.
Avrebbe potuto mostrare che i negri
sanno ballare, cantare, suonare, ha preferito mostrarli nella vita d’ogni giorno.
Public Housing è l’immagine di una
micro – comunità inserita in una macro – comunità, come in un gioco di
scatole cinesi – la città, Chicago è contenuta nello Stato dell’Illinois che è contenuto negli Stati Uniti.
Wiseman cerca di evitare l’atteggiamento di chi conosce già la verità, atteggiamento che nasce, per lui, dal
semplificare troppo il comportamento
umano per farlo coincidere con il punto di vista ideologico.
Wiseman e la solitudine: ama lavorare
da solo, si confonde a lavorare con altri perché pensa che gli altri potrebbero aver ragione ed instillare in lui dei
dubbi.
E chi dubita di sé sicuramente fa grandi cose.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005
Intervista
col Mensano
Lanciata l’idea su Mensa News, ecco la prima “intervista col
mensano” di Eliana Rocchi. Segnalateci Soci che per loro attività professionali, hobby o interessi ritenete siano, a vostro
parere, particolarmente interessanti. Per ovvi motivi è gradito
che siano evitate autocandidature.
Memento
di Eliana Rocchi
S
alve a tutti! Eccomi qui con la
prima “intervista al mensano”. Mi
è stato suggerito come candidato Luca Poli per il suo sorprendente
eclettismo. Solo alcune notizie su di lui
senza rubare troppo spazio alle sue parole. Luca ha 25 anni, studia medicina e, oltre all’impegno, anche extra-universitario, in campo medico, si è dedicato al volontariato, ha scritto un libro
e svolto attività giornalistica, ha studiato in Spagna e in Giappone e molto
altro… Tra i suoi interessi: salute, lettura, scrittura, poesia, programmazione,
viaggi, araldica, giochi ed enigmi.
Eccovi l’intervista…
con piacere di aver raggiunto un buon
livello nel castigliano scritto e parlato,
di aver girovagato per la nazione in lungo ed in largo, costruendo sempre
nuove relazioni umane che mi hanno
sempre dato tanto. Sul piano puramente scientifico, posso dire che le opportunità per uno studente (forse per il rapporto privilegiato coi professori che si
era instaurato) sono state veramente
tante: ho affrontato lì la mia prima chirurgia (ovviamente ancora banale e
sotto la supervisione di un tutore), ho
mosso i primi passi nella sala autoptica, ho preso atto di una diversa sensibilità e forma di comunicazione tra il
medico ed il paziente; insomma, piccole cose, che, sommate insieme retrospettivamente, danno però un quadro organico che, credo, mi abbia dato
“quella spinta in più” negli anni a venire…
E ~ So che per motivi di studio hai viaggiato molto, ritieni che questo sarà
determinante per la tua futura riuscita
professionale?
L ~ Adoro viaggiare; è l’unico modo
che mi permette di incontrare persone
e pensieri tanto diversi e lontani dalla
mia esperienza, insomma, di crescere. Nonostante nella mia carriera di
medico i viaggi siano normalmente
declinati in maniera differente (attraverso congressi, o sostituiti dalla comunicazione attraverso internet, per esempio), credo fermamente nel fatto che l’interscambio sia fondamentale nella vita
di ognuno, e che si debba giocare su
di un piano personale. Mi ricordo come
fosse ieri, per esempio, del mio
quart’anno di università, speso grazie
al Programma Erasmus in Spagna, o
al Convegno Internazionale del Mensa
organizzato dal Mensa Svezia nel
2003: ambedue le situazioni hanno
creato molti legami con persone con
cui ancora intrattengo rapporti epistolari (e, tempo permettendo, visite reciproche). Insomma, viaggiare è divertente, oltre che utile e gratificante!
E ~ Hai avuto contatto con l’organizzazione amministrativa della sanità dei
paesi in cui hai operato? Che opinione
ne hai tratto? Alla luce di queste tue
esperienze come valuti l’organizzazione socio-sanitaria italiana?
L ~ Potrei scivolare facilmente nel baratro: “siamo l’ultima ruota del carro in
Europa”, ma, lasciando perdere i luoghi comuni, noto costantemente come
l’organizzazione nel mondo sia centrata sul fruitore del servizio (paziente, cittadino, studente…) e non, come troppo spesso accade, sulla gestione delle
cose (i.e., la burocrazia), come in Italia. La discussione sulla sanità non può
certo essere banalizzata in un discorso di poche righe, ma sicuramente la
cosa che più risalta dal mio punto di
vista è il ristagnare dell’attività. E, com’è noto, chi non progredisce è destinato ad arretrare inesorabilmente!
E ~ Vuoi raccontare qualcosa dell’anno di studio trascorso in Spagna? Che
cosa ha lasciato in te quest’esperienza, quali sono stati i benefici che hai
tratto dal Programma Erasmus, sia in
campo professionale che personale?
L ~ Tirare le somme di un anno è sempre una cosa difficilissima; posso dire
E ~ Che progetti hai per il futuro?
L ~ Attualmente, sto per lanciarmi in
un’ultima avventura: sono stato accettato come Research Fellow presso
l’Università di Harvard, e mi sto preparando per partire per Boston. Se l’esperienza fosse all’altezza delle mie aspettative (il Massachusset General Hospi-
Eliana
Rocchi
tal è considerato tra i primissimi ospedali a livello mondiale), mi piacerebbe
rimanere a lavorare negli USA e poter
sviluppare qualche idea a livello medico che ho per la testa da un po’…
E ~ Come sei venuto a contatto con
l’Ordine di Malta? Di che cosa si tratta?
Che attività hai svolto al suo interno?
L ~ L’appartenenza all’Ordine procede per chiamata, un po’ come il Rotary o i Lions, ma direi che qui terminano le affinità. La maggior parte delle
cariche dipendono strettamente dall’impronta che la propria famiglia ha lasciato nel tempo, il che è alla base del
suo essere “Moderno per Tradizione”.
Uno dei principali gruppi caritativi nel
Mondo, presenti dall’undicesimo secolo nel Mondo, i Cavalieri del Sovrano
Militare Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi,
detto di Malta si occupano di “tuitio fidei et obsequium pauperum”, attraverso la fondazione ed il mantenimento
di ospedali, l’organizzazione e il coordinamento di attività umanitarie (come,
per esempio, l’aiuto alla popolazione
in seguito alle tristi vicende nel sud-est
asiatico), e molto, molto altro ancora
(essendo a tutti gli effetti uno Stato Sovrano, per esempio, l’Ordine intrattiene rapporti diplomatici con un grandissimo numero di paesi nel mondo). Io
stesso posso entusiasticamente testimoniare a favore di pellegrinaggi, aiuti
a sostegno di ogni tipo di malato, e
attività religiose nelle quali sono stato
coinvolto (che, per la stessa natura
dell’Ordine, sono molteplici: dal portare la bandiera nelle processioni e nei
momenti ufficiali, secondo il carisma
militare, alla vera e propria gestione
dell’infermo in ambito medico).
E ~ Hai operato nell’ambito di un’Ordine religioso che si occupa di tuitio fidei
et obsequium pauperum… quali sono
i tuoi rapporti con la religione?
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L ~ La religione è una parte fondante
della vita, lo è in quella di ciascuno (anche di chi non vuole ammetterlo, e si
nasconde dietro al proprio dito). Questo non vuol dire rendersi bigotti o chiudersi davanti alle diversità, tutt’altro: è
il vivere giorno per giorno tenendo ben
presente i grandi obiettivi, e momenti,
della vita, che vanno affrontati dentro
di noi ancor prima che nel reale. Insomma, in quanto uomo, credo.
E ~ Qual’è l’ultimo libro che hai letto?
L ~ A parte i libri di medicina e le guide
della Lonely Planet? Sto leggendo, a
spizzichi e bocconi, un paio di libri storici, più o meno in parallelo, “El Cid”,
di Josè Luis Corral (per rinfrescare un
po’ lo spagnolo), e “Catch me, if you
can” di Frank W. Abagnale. Mi piace
moltissimo leggere storie e biografie di
grandi e piccoli eventi nella storia, li trovo molto significativi e gradevoli.
E ~ So che ti interessi anche di araldica, cosa ti attrae di questa scienza?
L ~ L’araldica è un po’ il punto di connessione tra storia e vita vissuta, tra
arte e politica, tra geografia e intervento dell’uomo. Come la nostra vita, è al
contempo rigore scientifico degli alberi
genealogici e pazzia (chi scommetterebbe di trovare l’Ordine dell’Elefante
Bianco tra quelli danesi?) Insomma, chi
riuscirebbe a non emozionarsi davanti al simbolo dei grandi che tanto hanno lavorato per il bene nostro e dell’umanità?
E ~ Mi sembra che oltre alla lettura ami
anche scrivere… hai scritto un libro, ne
vuoi parlare?
L ~ Adoro scrivere. Nell’armadio tengo un sacco di appunti di quando ero
teenager, e volevo scrivere volumi e volumi di futuri “grandi classici” che non
ho mai concluso. Quando ho tempo,
però, cerco sempre di mettere nero su
bianco i miei pensieri, mi piace davvero tanto focalizzare le mie idee e vestirle, per così dire, della bellezza eterea
della parola scritta. Ho recentemente
terminato un libro sulla vita di Leonardo da Vinci a Milano, è vero, tra l’altro
illustrato da una mia cara amica, nel
quale si cerca di dare risalto alla nostra tanto amata, ma spesso dimenticata, storia, anche nei momenti “spiccioli” della vita quotidiana. Il libro cerca di immortalare il mio idolo di sem28
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005
pre in un momento particolare della sua
vita, dipingendolo all’interno dei luoghi
della mia città così com’era cinquecento anni fa. Il vero problema è che, in
seguito al “Codice Da Vinci” (che peraltro ho trovato pessimo), l’editore
pensa che i tempi non siano maturi, e
mi ha chiesto di aspettare ancora un
po’ prima di darlo alle stampe. Chi vivrà vedrà…
E ~ Ti ho sentito definire anche poeta…
L ~ In realtà l’Italia è un paese di santi,
poeti e navigatori, e il sottoscritto non
vuole certo far eccezione! Mi piace scrivere poesie d’amore, o dei sentimenti
che mi attraversano nel momento stesso della scrittura, per cui non credo che
vedranno mai la stampa. Sicuramente non mi riconosco in nessun movimento poetico contemporaneo, anche
se mi piace frequentare i salotti letterari
“virtuali” grazie ad internet - per esempio, sono recentemente entrato a far
parte della Poetic Genius Society, dove
ho scoperto quanto sia difficile comporre in una lingua diversa da quella
natìa.
E ~ Il tuo poeta?
L ~ Non ho un poeta preferito, anche
se posso dire con certezza che la poesia che mi piace è introversa, parcellare: si discosta dai grandi poemi classici per diventare una pillola di vissuto,
un haiku che porti una stilla di saggezza per qualche attimo. Dei nostri poeti
adoro Leopardi e Luzi, di cui piango
la recente scomparsa..
E ~ Si sente poco parlare di chirurgia
della mano, faresti un’ “introduzione
all’argomento” per i profani?
L ~ Beh, direi che si tratta di un “iperspecializzazione” chirurgica, uno dei
tanti campi (ma ignoti ai più) nei quali
si sfrangia la mia professione. In Italia,
è di derivazione plastica ed ortopedica, e consente di approfondire alcuni
aspetti di patologie molto comuni (la
sindrome del tunnel carpale, per esempio) che magari il semplice specialista
non riesce a gestire, per mancanza di
tempo. Posso dire a cuor leggero che
determinati tipi di traumi (anche senza
tirare in mezzo amputazioni o schiacciamenti) possono a tutt’oggi essere gestiti al meglio solo da un’Unità Operativa di Chirurgia della Mano
E ~ Ci dai qualche esempio di patologie o traumi che suggeriscano l’intervento da parte di specialisti in chirurgia della mano? Dove si possono trovare i centri d’eccellenza nel nostro
Paese, e quanto è progredita in Italia
questa branca della medicina?
L ~ Sicuramente il problema principale della mano è la presenza di un altissimo numero di strutture fini e delicate
al suo interno; per un bravo chirurgo
della mano è importante saper fare
della microchirurgia, e avere una buona conoscenza di tutte le strutture da
affrontare (dal nervo al vaso, dalle ossa
agli annessi cutanei), il che rende la sua
preparazione abbastanza variegata.
La scuola italo-francese sicuramente
gode di competenze riconosciute a livello mondiale, rivaleggiando con quella americana, più ricca di mezzi; nel
nostro Paese le più importanti strutture di riferimento si trovano principalmente in Lombardia – al mio Maestro,
il Professor Giorgio Pajardi, non posso
che essere grato per tutto quello che
mi ha insegnato; a chi si trovasse nella necessità di entrare in contatto con
un’Unità Operativa di questo tipo, sicuramente consiglio il Centro Studi
Mano, o altra struttura censita dalla
Società Italiana di Chirurgia della Mano
(sicm.it)
E ~ Come vivi il fatto di essere membro del Mensa?
L ~ A volte con semplicità, a volte con
difficoltà. Essere membro del Mensa,
prima di ogni altra cosa, significa aver
ricevuto un regalo, e insieme l’impegno
a metterlo a frutto – come farlo per il
bene dell’umanità, come dice il nostro
statuto, è un dilemma che ci impegna
tutti, giorno per giorno!
E ~ Ti ringrazio per la le tue risposte
e… ti faccio un’ultima domanda: con
quale frase vorresti congedarti dai nostri lettori?
L ~ Posso scegliere io? In questo caso,
prenderei a prestito qualche parola da
Nazim Hikmet, in una sua poesia carica di bellezza e speranza per il futuro.
“Il più bello dei mari è quello che non
navigammo. Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto. I più belli dei
nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto.”
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005
La torta di riso della
signora Alfonsina
di Cecilia Deni (*)
«
M
ah, non so se la mia torta è così speciale come
dice lei. A noi la insegnò una vecchia, vecchia
cuoca, di quelle di una volta, e lei diceva: “la torta
bisogna dimenticarsela nel forno”. Proprio dimenticarsela
nel forno. Certo che il nostro forno di allora non era mica di
quelli di adesso. Sa, si cucinava col carbone, e non c’erano
mica le lancette o gli orologi. Adesso poi queste teglie usa e
getta, sono molto comode, davvero. Come facevamo?
Eravamo abituati, facevamo anche il pane ogni settimana,
e dopo il pane mettevamo la torta e chiudevamo il forno e
ce la dimenticavamo proprio dentro. Poi mica si faceva sempre. Ci voleva un’occasione. Eh, ma comunque la ricetta è
facile, proprio facile. Ci vuole semplicemente un etto di riso
per ogni litro di latte, poi lo fa cuocere piano piano e il giorno dopo ci fa la torta.»
Mensa News:
i risultati del sondaggio
Da Mensa News n. 60/2005 (http://news.mensa.it)
«Spero di non aver ecceduto troppo con le critiche».
Così si concludevano le note di uno dei questionari: nessun
problema per le critiche, quando sono avanzate con garbo,
e il garbo devo dire che in questi 100 questionari è stato il
“condimento” più frequente, assieme all’umorismo che ha
caratterizzato qualcuna delle risposte. Una per tutte? Alla
domanda “aggiungerei una sezione dedicata a:” c’è chi ha
risposto, semplicemente, “me” ...
Sinceramente, più che di critiche (se intese nel senso negativo del termine) direi che sono giunti suggerimenti e proposte, alcuni davvero molto interessanti, altri forse impraticabili, ma ... sicuramente tutti utili.
Sono arrivati anche diversi complimenti e ringraziamenti,
che molto volentieri “giro” a Marco, Roberto, Pompeo e all’instancabile Davide ...
113 questionari elaborati (*) dai quali si scopre che:
- il 68% dei rispondenti legge Mensa News regolarmente
ogni settimana,
- il 39% ne legge oltre la metà (il 38% solo alcune news, il
20% legge tutto o quasi tutto)
- il 73% inizia a leggere dall’indice, mentre il 20% preferisce
scorrere e fermarsi dove viene richiamata l’attenzione,
- il 69% afferma che quanto a contenuti Mensa News va
bene così com’è, ma il 26% lo vorrebbe più ricco,
- non c’è sezione che non abbia i suoi estimatori ...
Se volete contribuire, contattate la redazione all’indirizzo
[email protected]. Vi aspettiamo!
Natalia Buzzi
(*)
Cfr Mensa News n. 60/2005
«Ma quanto zucchero ci mette?»
«Zucchero? No, non ce ne metto molto, il solito.»
«Cioè?»
«Quattro etti, ce ne vanno quattro etti.»
«Tre di zucchero semplice e uno di vaniglia?»
«Nooooo, quattro etti di zucchero.»
«Allora non ci mette la vaniglia?»
«Come non ci metto la vaniglia? Tutti ci mettono la vaniglia!
Un etto di vaniglia, si capisce!»
«E poi?»
«Insomma, lei vuole tutte le dosi. Un etto e mezzo di mandorle (e conta con le dita). Un etto di cedro, ma è meglio se
è abbondante, più è e meglio è, il cedro si sente, a me piace
il cedro, un pochino di più!. un etto di amaretti. E sei uova,
sei uova naturalmente. E basta, è tutto. Tutto a pezzetti, e
tutto mescolato insieme, e poi messo nella teglia e in forno.
Però la mia è un po’ diversa, eheheh... (pausa ad effetto). Ci
sarebbe una cosa da fare in più. Se ne ha voglia, naturalmente, solo se le piace.»
«Siii?»
«Vede (e abbassa la voce e si china verso di me ridacchiando), vede quei quattro etti di zucchero non li metta tutti nel
latte appena ha finito di cuocere col riso, no. Ne metta due
etti. Gli altri due li mette al fuoco insieme con le mandorle
tritate, non troppo piccole, quelle mandorle, e le fa leggermente caramellare. Mica da bruciarle, nooo, solo quel pochino, sa,quel pochino (si raddrizza di scatto). Poi mette
tutto insieme. Ehehehe, gli da un altro sapore, un po’ così..
E non la bagni da calda col liquore, aspetti che si freddi
bene, il caldo gli rovina il sapore.»
«Che liquore?»
«Ah, il misto per dolci, o l’amaretto, o l’alchermes. L’amaretto è buono, ma costa caro. Il misto andrà bene, vedrà.
Se la torta è buona, tutto va bene, pure il rosolio. E’ contenta adesso? Ma mi dica la verità, lei non l’ha mica mai fatta
la torta, eh? Me lo poteva dire subito che voleva farsela
insegnare!»
Uso sempre questa ricetta, che è migliore di quella di mia
suocera, anzi è la migliore che io abbia mai assaggiato,
comprese le versioni delle migliori pasticcerie bolognesi,
vendute a caro prezzo in minuscoli quadratini in un pirottino di carta pieghettata. Se ritente necessarie ulteriori spiegazioni per eseguire la ricetta, eccole.
Si fa cuocere a fuoco lento il riso nel latte per almeno un’ora,
in modo che diventi bello tenero e si restringa. Poi si lascia
raffreddare fino al giorno dopo. Si aggiungono tutti gli ingredienti tagliati a piccoli pezzettini, come suggerisce la signora, infine si scocciano sei uova in un piatto, si battono leggermente senza farle schiumare e si aggungono al composto. Si versa il tutto in una teglia unta e cosparsa di pane
grattato oppure in una teglia di silicone, e si inforna a 160170 gradi per un’ora e mezzo circa, per tre quarti d’ora se il
forno è a 180. ma meglio, come dice la signora Alfonsina,
se il forno è meno caldo e la cottura più lunga. Alla fine ha
un bel colore brunito ed è perfettamente soda. Si lascia raffreddare e si bagna con un goccio di liquore. Si serve tagliata a piccoli rombi con uno stuzzicadenti infilzato sopra, per
prenderli meglio. Oppure, come fanno le pasticcerie, deposti in un pirottino di carta.
(*)
#
29
relax
emma
Buoni e Cattivi
di Lorenzo Pescini
L
a giornata era finita, ma non
il lavoro per Emma. Riordinare il negozio, riporre le
paste ed i dolci in frigo, svuotare i
portacenere … insomma il rituale
di ogni sera. Gino, un arzillo ottantenne che amava ricordare il suo
passato, le teneva spesso compagnia mentre lei lavorava alacremente. «Te l’ho mai raccontato Emma
di quando, per uno stupido errore
di gioventù, mi sono ritrovato in
gattabuia…» disse quella sera Gino
sedendosi ad un tavolino ancora
sporco. «Là, c’era una poliziotta,
Nina, che ti assomigliava tanto.
D’estate, era lei che ci permetteva
di uscire nel piazzale esterno per
l’ora d’aria. Per sicurezza, però,
dovevamo sempre essere ammanettati a coppie».
Gino si accese un Toscanello immerso nel fumo e nei ricordi. «Eravate in molti?» ruppe il silenzio
Emma mentre dava il cencio in laboratorio. «Mai meno di una decina di coppie» rispose Gino «ma la
cosa più bella era il gioco dei Buoni e Cattivi che Nina ci aveva insegnato. Fu per tutti un vero tormentone per molte estati.» «Buoni e
Cattivi?» chiese stancamente
Emma chinata dietro il bancone.
«Sì Emma. Tutte le coppie erano
Buone tranne una, estratta a sorte, che aveva il ruolo della Cattiva.
Una parodia della realtà era solita
sottolineare Nina.» Gino si interruppe un istante. «Le regole erano
semplici. Il piazzale era formato da
grandi mattonelle quadrate. Ogni
mattonella poteva contenere solo
una persona e viceversa. Ogni coppia di Buoni doveva copriva due
mattonelle contigue in verticale o
in orizzontale. La coppia dei Cattivi invece copriva due mattonelle
vicine ma in linea diagonale. Obiettivo del gioco era quello di occupare, tutti insieme nessuno escluso, un gruppo di mattonelle che
formavano esattamente una forma
quadrata o un rettangolare. Il pre30
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005
mio – proseguì Gino - era una stecca di sigarette!».
«Che bello!» sospirò tanto per fare
Emma sperando che l’amico se ne
andasse presto. «Beh, forse non ci
crederai ma ci divertivamo un mondo. Ci si muoveva spostandoci su
quelle mattonelle come dei bambini. Ma alla fine, non so perché, non
ci siamo mai riusciti. Rimanevano
sempre o mattonelle vuote all’interno della forma – cosa non permessa dal gioco – o qualcuno che restava fuori della quadratura. Ricordo come se fosse ieri il sorriso beffardo di Nina che era solita finire
dicendo – Stop! Rientrate dentro.
Ma ricordatevi che – “Fino a quando cattiveria ci sarà, niente di buono costruire si potrà”».
L’attenzione di Emma, fino ad allora concentrata solo sul lavoro, fu
però colpita da quelle parole in
rima. Posata la granata mentalmente provò ad immaginare come in
un film la faccia di Nina, i carcerati
ammanettati, il piazzale lastricato
e dopo un attimo, in tono bonariamente canzonatorio esclamò:
«Caro Gino, ho la netta sensazione che Nina in tutti quegli anni vi
abbia fatto scorrazzare sul piazzale come degli scemi sapendo che
ciò che vi chiedeva era assolutamente impossibile!».
Gino sembrò rifiutarsi di capire il significato delle sue parole. Stanco,
riaccese il sigaro e salutando se ne
andò. Emma finalmente sola, fu libera di addentare un bel pezzo di
pizza capricciosa rimasta invenduta e soddisfatta delle pulizie fatte si
rallegrò della brillante intuizione.
giochi
Da Mensa News
a Pozzuoli
di Alberta Sestito
Il gioco del meeting di Pozzuoli
Bisogna trovare una frase per ognuna delle sei
definizioni misteriose che seguono.
Anagrammando ogni frase, si otterranno altre
sei frasi, ognuna delle quali individua una portata della cena del sabato.
Per la soluzione corretta e completa si deve
indicare sia la frase enigmatica che il suo anagramma.
Le risposte corrette verranno svelate durante
la cena di sabato 12 novembre.
• Come si avvia l’auto in panne? (1 6, 4! / 11)
• Santo sarà, chi di pomeriggio verso il desco
s’incammina (6 3 3 1 7 4 / 8 4 12)
• Per indovinare si usi ottima polvere marrone
per fare budini e estratto liquido di radice piccante (6: 5 4, 5 2 7 / 8 3 5 2 5 1 5)
• Se l’ingegnere vuole farsi notare (2 4 3 6 6 /
5 2 5 3 6)
• In cronaca nera (7 5 / 6 1 5)
• Quando i somari volano, cosa troviamo nei
nidi? (4 6 / 5 1 4)
La prima definizione è stata pubblicata nel
numero 69 di Mensa News (news.mensa.it),
le altre a seguire. Qui però le trovate tutte riunite.
Arrivederci a Pozzuoli
Il gioco delle parole trasformate
Le risposte ([email protected])
parteciperanno al concorso a premi con premiazione al convegno
nazionale 2006.
Al convegno nazionale 2005 sono
stati premiati Adriana Pitacco, solutrice di entrambe le puntate di
Emma pubblicate sui precedenti
numeri di Memento, e Bartolomeo
Megna, solutore del primo appuntamento con Emma.
Sono date dieci definizioni che individuano
dieci parole diverse. Le parole si possono accoppiare mediante lo scarto di una lettera. Le
lettere scartate, opportunamente disposte, formano il nome di un animale che è la soluzione del gioco.
La difficoltà sta nella individuazione delle parole, gli accoppiamenti sono abbastanza semplici.
Le definizioni sono date alla rinfusa e sono:
# un pesce
# accordo
# grossa pietra
# creme estive
# trituro il grano
# sotto i tetti
# famiglia di vertebrati
# si possono sollevare
# scelta
# un angolo particolare
$
$
Domanda
Riesci a spiegare l’intuizione di
Emma con meno di 99 parole?
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