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Dell`Etica e del Limite: Frederick Wiseman
relax Dell’Etica e del Limite: Frederick Wiseman di Loredana Bua Frederick Wiseman è uno dei maggiori registi documentaristi d’America, se non il maggiore in assoluto, nell’ultimo trentennio. Nato a Boston, Massachusetts, U.S.A., il 1° gennaio 1930. Ha studiato al Williams College, Williamstown, Massachusetts, poi alla Yale University fino al 1954. Ha insegnato Legge, poi ha preferito diventare regista di documentari. Quanto segue è il resoconto di un seminario che il regista americano ha tenuto a Palermo nel settembre del 2000. U na polo amaranto, un aspetto ordinario, un taccuino elettronico. Si presenta così, Frederick Wiseman, al seminario organizzato a Palermo dall’Assessorato dei Beni Culturali e Ambientali e della P.I. della Regione Siciliana per il ciclo: Cinema: Lezioni siciliane. Non fa chiasso, Wiseman, di norma gli americani ne fanno; lui declina le parole senza accenti, con incedere leggero, quasi impercettibile. Nel cognome il suo carattere: uomo prudente, saggio. L’incontro, curato da Alessandro Rais, Esperto Storico del Cinema dell’Assessorato Regionale Beni Culturali, si è tenuto a Palermo dal 25 al 30 settembre 2000, al Real Teatro Santa Cecilia, un luogo austero e silenzioso, all’interno un pavimento grezzo e sul soffitto antiche capriate in legno. Wiseman e il suo percorso di vita, e i punti cardini del suo futuro da regista. Lo studio controvoglia di Legge, l’appassionata lettura dei classici. Per ventuno mesi nell’esercito americano; a Parigi per due anni, assiduo spettatore di cinema e teatro. In America una volta ancora, la docenza di Medicina Legale e Legge Criminale, ed in seguito Psichiatria. 24 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 In America si studia legge dai ricorsi in appello, Wiseman conduce gli allievi in visita in tribunale e negli ospedali psichiatrici, tra cui il Manicomio Criminale di Bridgewater in Massachusetts, visitato nel 1966. Il suo interesse per il cinema, parallelo a quello per la legge; smette l’insegnamento ed inizia i documentari. Bridgewater, punto di partenza per iniziare, sulla scia di film simili da lui già visti. Il mondo intorno, esplorato grazie al 16 mm con suono sincronizzato ed attrezzatura leggera. Wiseman ed uno dei suoi assunti in relazione a quanto visto dentro Bridgewater: Il grado di civiltà di una nazione è dato dal modo in cui questa tiene un malato di mente. La sua decisione di guardare il mondo attraverso lo sviluppo delle istituzioni; progetto reso concreto per gli sviluppi tecnologici abbastanza nuovi. Wiseman e la sua tecnica. Titicut follies, girato dentro Bridgewater, il prototipo. Wiseman e l’abitudine a girare immediatamente, per timore della revoca dei permessi, com’è successo per lo stesso Titicut follies – permesso ottenuto, revocato e riottenuto in seguito (Bridgewater era un carcere di massima sicurezza). Wiseman e la sua troupe, da sempre di soli tre operatori lui compreso, la sua preferenza per il suono - un operatore è il cameraman, l’altro cambia le pellicole e porta l’attrezzatura. Wiseman e il codice di segni inventato ed usato coi suoi collaboratori nella dinamica delle riprese; Wiseman e la pellicola usata - bianco e nero Kodak 72/22, in seguito varie pellicole Kodak a colori. Decide le riprese all’impronta. Una ripresa: 15-20 secondi che bisogna non perdere. L’improvvisazione la sua tecnica, senza voce narrante, né interviste o copione; l’istinto la sua guida. Non preconcetti ideologici, non film a tesi. Ventiquattro giorni, tanto durano le riprese di Titicut follies, di norma sarebbero più e più settimane. La sua giornata lavorativa si prolunga di notte, con la disamina dei provini via via che le riprese procedono, importante lavoro che lo fa capace del materiale a disposizione. Wiseman e il suo concetto di Etica: la sua richiesta del permesso di girare o fotografare; la concessione del diritto di recesso, da esercitare però in tempi stretti, Wiseman e l’Etica, indispensabile alleata nel suo lavoro. Nulla è oggettivo, per lui: una tremenda soggettività passa al vaglio le sue riprese di vita quotidiana. Il suo impegno si traduce in un arco che va da 70 a 120 ore di sequenze fra 4 e 11 settimane di riprese; in un secondo momento, la sincronizzazione del suono. Wiseman ed il suo archivio, cataloga tutto il suo lavoro e sovente lo riguarda, schedando le inquadrature e scrivendo cosa ciascuna mostri; lavoro che, per lui, equivale a tenere aggiornati manuali sulla genesi di un film. Accumulati questi appunti, inizia il montaggio, poi la sincronizzazione d’immagine e suono, infine inserisce un codice. Macchinari obsoleti, metodologie antiche; non ama il digitale. Wiseman ed il suo lungo lavoro di revisione, la ricerca della sequenza ideale; la consapevolezza del tempo necessario per entrare in sintonia col materiale che vedrà. Fotogramma da Titcut follies, 1967 "" relax Le sequenze riguardate per mesi, cercando la forma con cui poterle mettere insieme. Non ricerca una struttura in cui chiudere le sequenze, finché non ha montato tutto quello che pensa gli servirà per un film. Dopo, in due - tre giorni monta una prima struttura del film, con in genere 20/30 minuti in più del film finale. L’attenzione rivolta sia al ritmo della singola sequenza che al ritmo tra le sequenze. Ovvio che lo spettatore non avrà la stessa sua conoscenza di luoghi e circostanze; sottolinea il suo voler lavorare con onestà, volendo informare il più possibile. Dal canto suo, non mostra a nessuno il lavoro se non quando è finito. Titicut follies è il nome di un musical che si recita annualmente nella prigione. La prima cosa non musicale del film è la scena della perquisizione: molto nitido l’atteggiamento verso i malati, che vengono umiliati nudi nella necessaria perquisizione: hanno commesso atti molto violenti, potrebbero ripeterli. Necessaria ma disumana, disumana ma pratica: occorre il controllo dell’esistenza di armi introdotte dall’esterno. Il dialogo fra un medico ed un giovane pedofilo spiega al pubblico il genere di colloquio per chi entra nel carcere ed il genere di crimini che si compiono. Suggerisce anche la mancanza di preparazione del medico, per come tratta e commenta il comportamento del giovane. Dà un’idea dell’assurdità di quel che accade all’interno di una prigione. Wiseman e la citazione: la prima parte di Full metal jacket di Stanley Kubrick é una citazione, scena per scena, del suo Basic training. Anche per Hair c’è stata citazione, entrambi i registi hanno letto il copione di Wiseman. Wiseman e la naturalezza: per lui, contraddicendo la teoria di orwelliana memoria, sapere di essere filmati non cambia il comportamento degli individui, che non riescono a fingere solo perché sanno di essere ripresi. Si permette di essere ripresi per vanità, narcisismo, e perché si é convinti della giustizia delle cose che si stanno facendo e si vuole che queste si facciano. Sottolinea sempre che lavora in onestà, Wiseman, e dichiara sempre cosa sta facendo e perché lo sta facendo, Fotogramma da High School, 1969 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 cosicché etica e strategia coincidono. Il tempo delle riprese per lui non comincia e non finisce con l’atto del girare: spesso rimane a parlare con le persone, e ciò le porta a decidere se si possono fidare di lui. Cerca di capire con le domande la routine della giornata e cerca di evitare le questioni controverse. Se facesse finta di avere interessi in comune con le persone che riprende, queste se ne accorgerebbero senz’altro e perderebbero fiducia in lui. Wiseman ed il Limite: limita l’azione nel luogo in cui ha deciso di girare, potrebbe anche girare in casa delle persone, dei parenti di questi, ma non lo fa per esigenze di limite, perché il film rischia di non finire ( già un suo documentario, Near Death, dura sei ore). Del limite: si limita a parlare di questioni comuni, piuttosto che insistere sulle discordanze, per instaurare un clima di fiducia reciproca. Wiseman ed il colore: predilige il bianco e nero, il colore usato in un film su una scuola di sordo-ciechi è il colore del tutto assente dalla vita di questi bambini. Ballet, che per inciso dura tre ore per mostrare la dinamica dello studio della danza classica, non avrebbe dovuto essere a colori, lo è diventato perché il bianco e nero non dava abbastanza luce naturale. High School (1968), mostra una scuola secondaria di Filadelfia. Wiseman dà una lettura semantica del suo stesso lavoro. Vista dall’esterno, la scuola sembra una fabbrica; essa stessa è una fabbrica che produce valori. All’interno, un insegnante legge il Bollettino Giornaliero, che descrive il pensiero del gior- no, per quel giorno il pensiero è che la vita sia causa ed effetto (visione meccanica della vita); procedono le informazioni: la scuola ha un bollettino, é mista, ha classi larghe. In un’altra classe, l’insegnante di spagnolo parla di Sartre: come si ponesse l’antitesi fra Eziologia ed Esistenzialismo. Altre informazioni; s’insegna spagnolo, musica, la scena nell’ufficio del responsabile della disciplina é molto importante, si esprime quali siano o quali si crede siano i valori della scuola. Qui il responsabile della disciplina sostiene che essere un uomo voglia dire accettare le punizioni. Tale necessità contrasta con una frase che s’intravede a malapena ad inizio film: «Le menti sono come i paracadute: funzionano meglio se sono aperte». L’inizio del film narra della scuola, le idee astratte e come queste vengano gestite. A fine film, una responsabile della scuola legge in pubblico una lettera di un ex studente dal Vietnam che ha scritto che se dovesse morire, desidera che l’assicurazione sulla vita sia devoluta alla scuola che gli ha dato tanto. Ogni parte, per Wiseman, ha la sua significazione in relazione al momento in cui viene inserita ed in rapporto alla precedente e seguente scena. Differente esito avrebbe avuto infatti la significazione se la scena fosse stata posta ad inizio documentario. La forma di High School è circolare: ad inizio film si vede un ambiente povero ed il giovane soldato è un orfano povero. Lui, scrive di se stesso, è un corpo che fa il suo lavoro, quasi come prodotto della “fabbrica” della scuola. "" 25 relax Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 collezionismo Qualcuno volò sul nido del cuculo? di Roberto Viscovich C on l’occasione del controllo semestrale presso il centro d’igiene mentale che mi segue dal mio ultimo efferato crimine, sono passato come sempre a salutare i vecchi amici, compagni di mille elettroshock. Casualmente ho sbagliato porta (i corridoi dei CIM sono così uguali…) e sono entrato nell’archivio generale, sulla scrivania del direttore faceva bella mostra di sé un faldone con scritto sopra “Roberto leggimi!”, o “Top secret”, oppure qualcosa di simile che adesso non ricordo bene. Insomma, per farla breve dentro c’era l’elenco completo di nomi ed indirizzi di moltissimi collezionisti italiani con ben evidenziato gli oggetti collezionati e le terapie a cui ognuno di loro viene sottoposto dal centro psichiatrico più vicino. Dopo un attimo di commozione l’ho sostituito coll’elenco soci Mensa, l’ho preso e portato via. Stranamente era in ordine alfabetico, però sono riuscito a consultarlo ugualmente. Sommo il mio stupore ed elevata la mia glicemia, quando ho visto di che cosa sono capaci gli abitanti di questa terra di Santi, poeti, navigatori e veline. Raccolte di ogni genere, famiglia e specie. Qualche esempio? C’è chi raccoglie accendini sferici e soltanto sferici, chi forbici antiche e presumo ruggine annessa, chi ancora fanalini da bicicletta. Anche alla fine del film si parla di qualcosa che ha fatto la differenza nella vita, come all’inizio, quando viene letto il Bollettino. Basic training è come il prosieguo di High School. In America nel ’68 si entrava nell’esercito subito dopo essere usciti dalla scuola. Wiseman stesso nota che alla maggior parte dei soldati piace quella vita, l’addestramento, la disciplina. La questione dell’Etica ritorna spesso nel suo eloquio e si pone anche sotto un secondo aspetto: la censura su Titicut follies durò 24 anni, si addusse la scusante che si volesse preservare la privacy dei malati, ripresi nudi. Quest’idea di diritto alla riservatezza era in parte contenuta nella Costituzione Americana, in parte era nella tacita tradizione dell’Etica. Qui il diritto alla privacy del malato scavalca il diritto alla trasparenza da parte del contribuente di sapere come andasse speso il denaro pubblico, di come andassero le cose a Bridgewater. Il diritto alla privacy del malato è stato uno schermo da 26 Ma il genio italico si scatena anche con i neologismi, esistono persone che si definiscono “Enzoferrarista” o “periglicofilo”. Per contrappasso c’è chi non ci arriva e si definisce collezionista di “dischetti metallici dei tappi delle bottiglie di spumante reclamizzati” per il resto del mondo più semplicemente “capsule”. Qualcuno di questi signori deve avere una terapia piuttosto pesante. Proseguendo la mia indagine ho visto cose che gli umani non possono quasi immaginare. In provincia di Genova un gentiluomo raccoglie tessere di partito, spero che non siano tutte a suo nome. Un toscano che ha poco spazio in casa si limita a catalogare i tagliandini di carta uniti al filo delle bustine da tea (sic!) e sempre in tema di spazio più d’una persona si trastulla trattenendo soltanto i jolly dei mazzi di carte buttando le altre, chissà forse esiste un mercato parallelo dei collezionisti di due di picche … Ritornando per un attimo quasi seri, in realtà provo molto rispetto per ognuno di codesti pazienti. Non so se potete capire, però Stefano Benni nel suo ultimo romanzo può aiutare con questa considerazione: «Quegli oggetti avevano una storia, un passato utile e felice. Avevano le rughe e le cicatrici come noi. Non parlavano, ma ti guardavano.» Dunque … forse … sono loro a che ci guardano e osservano! E non esiste un soggetto indegno di essere collezionato. Dimenticavo: se vi telefonano da un centro di salute psichiatrica, dite loro che non avete il telefono. Bibliografia • “Annuario del collezionista 2005-2006” a cura di L. Batocchio Ed. Mosè. • “Margherita Dolcevita” Stefano Benni Ed. Feltrinelli parte dello stato del Massachusetts per proteggersi. Viene posta anche la questione del Primo Emendamento della Costituzione Americana – libertà di stampa e di parola. Il film sulla polizia è dell’autunno del ’68; anche qui non esistono idee precostituite, quel che ne è venuto fuori è quello che egli ha visto semplicemente stando con i poliziotti, quindi non “documentario a tesi”, ma che si costruisce e si elabora via via che i dati vanno raccolti, elaborati, catalogati. In Public Housing la sequenza iniziale mostra le case popolari, poi una sedia rossa rotta e abbandonata per strada, che diventa in parte il gioco di un bimbo nero. Si vedono dei neri che giocano a scacchi: è gioco complesso e strano per il luogo in cui si svolge, che sembra alludere alla difficoltà degli incastri della vita. Due ragazzi su una moto costosa, probabilmente comprata grazie a losche azioni. Uomini per strada in ore mattutine: disoccupati. Non sarebbero in strada a $ quell’ora a non far nulla, nella zona vi è un alto tasso di disoccupazione di persone che non hanno specializzazioni tecniche. Avrebbe potuto mostrare che i negri sanno ballare, cantare, suonare, ha preferito mostrarli nella vita d’ogni giorno. Public Housing è l’immagine di una micro – comunità inserita in una macro – comunità, come in un gioco di scatole cinesi – la città, Chicago è contenuta nello Stato dell’Illinois che è contenuto negli Stati Uniti. Wiseman cerca di evitare l’atteggiamento di chi conosce già la verità, atteggiamento che nasce, per lui, dal semplificare troppo il comportamento umano per farlo coincidere con il punto di vista ideologico. Wiseman e la solitudine: ama lavorare da solo, si confonde a lavorare con altri perché pensa che gli altri potrebbero aver ragione ed instillare in lui dei dubbi. E chi dubita di sé sicuramente fa grandi cose. # relax Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 Intervista col Mensano Lanciata l’idea su Mensa News, ecco la prima “intervista col mensano” di Eliana Rocchi. Segnalateci Soci che per loro attività professionali, hobby o interessi ritenete siano, a vostro parere, particolarmente interessanti. Per ovvi motivi è gradito che siano evitate autocandidature. Memento di Eliana Rocchi S alve a tutti! Eccomi qui con la prima “intervista al mensano”. Mi è stato suggerito come candidato Luca Poli per il suo sorprendente eclettismo. Solo alcune notizie su di lui senza rubare troppo spazio alle sue parole. Luca ha 25 anni, studia medicina e, oltre all’impegno, anche extra-universitario, in campo medico, si è dedicato al volontariato, ha scritto un libro e svolto attività giornalistica, ha studiato in Spagna e in Giappone e molto altro… Tra i suoi interessi: salute, lettura, scrittura, poesia, programmazione, viaggi, araldica, giochi ed enigmi. Eccovi l’intervista… con piacere di aver raggiunto un buon livello nel castigliano scritto e parlato, di aver girovagato per la nazione in lungo ed in largo, costruendo sempre nuove relazioni umane che mi hanno sempre dato tanto. Sul piano puramente scientifico, posso dire che le opportunità per uno studente (forse per il rapporto privilegiato coi professori che si era instaurato) sono state veramente tante: ho affrontato lì la mia prima chirurgia (ovviamente ancora banale e sotto la supervisione di un tutore), ho mosso i primi passi nella sala autoptica, ho preso atto di una diversa sensibilità e forma di comunicazione tra il medico ed il paziente; insomma, piccole cose, che, sommate insieme retrospettivamente, danno però un quadro organico che, credo, mi abbia dato “quella spinta in più” negli anni a venire… E ~ So che per motivi di studio hai viaggiato molto, ritieni che questo sarà determinante per la tua futura riuscita professionale? L ~ Adoro viaggiare; è l’unico modo che mi permette di incontrare persone e pensieri tanto diversi e lontani dalla mia esperienza, insomma, di crescere. Nonostante nella mia carriera di medico i viaggi siano normalmente declinati in maniera differente (attraverso congressi, o sostituiti dalla comunicazione attraverso internet, per esempio), credo fermamente nel fatto che l’interscambio sia fondamentale nella vita di ognuno, e che si debba giocare su di un piano personale. Mi ricordo come fosse ieri, per esempio, del mio quart’anno di università, speso grazie al Programma Erasmus in Spagna, o al Convegno Internazionale del Mensa organizzato dal Mensa Svezia nel 2003: ambedue le situazioni hanno creato molti legami con persone con cui ancora intrattengo rapporti epistolari (e, tempo permettendo, visite reciproche). Insomma, viaggiare è divertente, oltre che utile e gratificante! E ~ Hai avuto contatto con l’organizzazione amministrativa della sanità dei paesi in cui hai operato? Che opinione ne hai tratto? Alla luce di queste tue esperienze come valuti l’organizzazione socio-sanitaria italiana? L ~ Potrei scivolare facilmente nel baratro: “siamo l’ultima ruota del carro in Europa”, ma, lasciando perdere i luoghi comuni, noto costantemente come l’organizzazione nel mondo sia centrata sul fruitore del servizio (paziente, cittadino, studente…) e non, come troppo spesso accade, sulla gestione delle cose (i.e., la burocrazia), come in Italia. La discussione sulla sanità non può certo essere banalizzata in un discorso di poche righe, ma sicuramente la cosa che più risalta dal mio punto di vista è il ristagnare dell’attività. E, com’è noto, chi non progredisce è destinato ad arretrare inesorabilmente! E ~ Vuoi raccontare qualcosa dell’anno di studio trascorso in Spagna? Che cosa ha lasciato in te quest’esperienza, quali sono stati i benefici che hai tratto dal Programma Erasmus, sia in campo professionale che personale? L ~ Tirare le somme di un anno è sempre una cosa difficilissima; posso dire E ~ Che progetti hai per il futuro? L ~ Attualmente, sto per lanciarmi in un’ultima avventura: sono stato accettato come Research Fellow presso l’Università di Harvard, e mi sto preparando per partire per Boston. Se l’esperienza fosse all’altezza delle mie aspettative (il Massachusset General Hospi- Eliana Rocchi tal è considerato tra i primissimi ospedali a livello mondiale), mi piacerebbe rimanere a lavorare negli USA e poter sviluppare qualche idea a livello medico che ho per la testa da un po’… E ~ Come sei venuto a contatto con l’Ordine di Malta? Di che cosa si tratta? Che attività hai svolto al suo interno? L ~ L’appartenenza all’Ordine procede per chiamata, un po’ come il Rotary o i Lions, ma direi che qui terminano le affinità. La maggior parte delle cariche dipendono strettamente dall’impronta che la propria famiglia ha lasciato nel tempo, il che è alla base del suo essere “Moderno per Tradizione”. Uno dei principali gruppi caritativi nel Mondo, presenti dall’undicesimo secolo nel Mondo, i Cavalieri del Sovrano Militare Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta si occupano di “tuitio fidei et obsequium pauperum”, attraverso la fondazione ed il mantenimento di ospedali, l’organizzazione e il coordinamento di attività umanitarie (come, per esempio, l’aiuto alla popolazione in seguito alle tristi vicende nel sud-est asiatico), e molto, molto altro ancora (essendo a tutti gli effetti uno Stato Sovrano, per esempio, l’Ordine intrattiene rapporti diplomatici con un grandissimo numero di paesi nel mondo). Io stesso posso entusiasticamente testimoniare a favore di pellegrinaggi, aiuti a sostegno di ogni tipo di malato, e attività religiose nelle quali sono stato coinvolto (che, per la stessa natura dell’Ordine, sono molteplici: dal portare la bandiera nelle processioni e nei momenti ufficiali, secondo il carisma militare, alla vera e propria gestione dell’infermo in ambito medico). E ~ Hai operato nell’ambito di un’Ordine religioso che si occupa di tuitio fidei et obsequium pauperum… quali sono i tuoi rapporti con la religione? "" 27 relax L ~ La religione è una parte fondante della vita, lo è in quella di ciascuno (anche di chi non vuole ammetterlo, e si nasconde dietro al proprio dito). Questo non vuol dire rendersi bigotti o chiudersi davanti alle diversità, tutt’altro: è il vivere giorno per giorno tenendo ben presente i grandi obiettivi, e momenti, della vita, che vanno affrontati dentro di noi ancor prima che nel reale. Insomma, in quanto uomo, credo. E ~ Qual’è l’ultimo libro che hai letto? L ~ A parte i libri di medicina e le guide della Lonely Planet? Sto leggendo, a spizzichi e bocconi, un paio di libri storici, più o meno in parallelo, “El Cid”, di Josè Luis Corral (per rinfrescare un po’ lo spagnolo), e “Catch me, if you can” di Frank W. Abagnale. Mi piace moltissimo leggere storie e biografie di grandi e piccoli eventi nella storia, li trovo molto significativi e gradevoli. E ~ So che ti interessi anche di araldica, cosa ti attrae di questa scienza? L ~ L’araldica è un po’ il punto di connessione tra storia e vita vissuta, tra arte e politica, tra geografia e intervento dell’uomo. Come la nostra vita, è al contempo rigore scientifico degli alberi genealogici e pazzia (chi scommetterebbe di trovare l’Ordine dell’Elefante Bianco tra quelli danesi?) Insomma, chi riuscirebbe a non emozionarsi davanti al simbolo dei grandi che tanto hanno lavorato per il bene nostro e dell’umanità? E ~ Mi sembra che oltre alla lettura ami anche scrivere… hai scritto un libro, ne vuoi parlare? L ~ Adoro scrivere. Nell’armadio tengo un sacco di appunti di quando ero teenager, e volevo scrivere volumi e volumi di futuri “grandi classici” che non ho mai concluso. Quando ho tempo, però, cerco sempre di mettere nero su bianco i miei pensieri, mi piace davvero tanto focalizzare le mie idee e vestirle, per così dire, della bellezza eterea della parola scritta. Ho recentemente terminato un libro sulla vita di Leonardo da Vinci a Milano, è vero, tra l’altro illustrato da una mia cara amica, nel quale si cerca di dare risalto alla nostra tanto amata, ma spesso dimenticata, storia, anche nei momenti “spiccioli” della vita quotidiana. Il libro cerca di immortalare il mio idolo di sem28 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 pre in un momento particolare della sua vita, dipingendolo all’interno dei luoghi della mia città così com’era cinquecento anni fa. Il vero problema è che, in seguito al “Codice Da Vinci” (che peraltro ho trovato pessimo), l’editore pensa che i tempi non siano maturi, e mi ha chiesto di aspettare ancora un po’ prima di darlo alle stampe. Chi vivrà vedrà… E ~ Ti ho sentito definire anche poeta… L ~ In realtà l’Italia è un paese di santi, poeti e navigatori, e il sottoscritto non vuole certo far eccezione! Mi piace scrivere poesie d’amore, o dei sentimenti che mi attraversano nel momento stesso della scrittura, per cui non credo che vedranno mai la stampa. Sicuramente non mi riconosco in nessun movimento poetico contemporaneo, anche se mi piace frequentare i salotti letterari “virtuali” grazie ad internet - per esempio, sono recentemente entrato a far parte della Poetic Genius Society, dove ho scoperto quanto sia difficile comporre in una lingua diversa da quella natìa. E ~ Il tuo poeta? L ~ Non ho un poeta preferito, anche se posso dire con certezza che la poesia che mi piace è introversa, parcellare: si discosta dai grandi poemi classici per diventare una pillola di vissuto, un haiku che porti una stilla di saggezza per qualche attimo. Dei nostri poeti adoro Leopardi e Luzi, di cui piango la recente scomparsa.. E ~ Si sente poco parlare di chirurgia della mano, faresti un’ “introduzione all’argomento” per i profani? L ~ Beh, direi che si tratta di un “iperspecializzazione” chirurgica, uno dei tanti campi (ma ignoti ai più) nei quali si sfrangia la mia professione. In Italia, è di derivazione plastica ed ortopedica, e consente di approfondire alcuni aspetti di patologie molto comuni (la sindrome del tunnel carpale, per esempio) che magari il semplice specialista non riesce a gestire, per mancanza di tempo. Posso dire a cuor leggero che determinati tipi di traumi (anche senza tirare in mezzo amputazioni o schiacciamenti) possono a tutt’oggi essere gestiti al meglio solo da un’Unità Operativa di Chirurgia della Mano E ~ Ci dai qualche esempio di patologie o traumi che suggeriscano l’intervento da parte di specialisti in chirurgia della mano? Dove si possono trovare i centri d’eccellenza nel nostro Paese, e quanto è progredita in Italia questa branca della medicina? L ~ Sicuramente il problema principale della mano è la presenza di un altissimo numero di strutture fini e delicate al suo interno; per un bravo chirurgo della mano è importante saper fare della microchirurgia, e avere una buona conoscenza di tutte le strutture da affrontare (dal nervo al vaso, dalle ossa agli annessi cutanei), il che rende la sua preparazione abbastanza variegata. La scuola italo-francese sicuramente gode di competenze riconosciute a livello mondiale, rivaleggiando con quella americana, più ricca di mezzi; nel nostro Paese le più importanti strutture di riferimento si trovano principalmente in Lombardia – al mio Maestro, il Professor Giorgio Pajardi, non posso che essere grato per tutto quello che mi ha insegnato; a chi si trovasse nella necessità di entrare in contatto con un’Unità Operativa di questo tipo, sicuramente consiglio il Centro Studi Mano, o altra struttura censita dalla Società Italiana di Chirurgia della Mano (sicm.it) E ~ Come vivi il fatto di essere membro del Mensa? L ~ A volte con semplicità, a volte con difficoltà. Essere membro del Mensa, prima di ogni altra cosa, significa aver ricevuto un regalo, e insieme l’impegno a metterlo a frutto – come farlo per il bene dell’umanità, come dice il nostro statuto, è un dilemma che ci impegna tutti, giorno per giorno! E ~ Ti ringrazio per la le tue risposte e… ti faccio un’ultima domanda: con quale frase vorresti congedarti dai nostri lettori? L ~ Posso scegliere io? In questo caso, prenderei a prestito qualche parola da Nazim Hikmet, in una sua poesia carica di bellezza e speranza per il futuro. “Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto.” # relax Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 La torta di riso della signora Alfonsina di Cecilia Deni (*) « M ah, non so se la mia torta è così speciale come dice lei. A noi la insegnò una vecchia, vecchia cuoca, di quelle di una volta, e lei diceva: “la torta bisogna dimenticarsela nel forno”. Proprio dimenticarsela nel forno. Certo che il nostro forno di allora non era mica di quelli di adesso. Sa, si cucinava col carbone, e non c’erano mica le lancette o gli orologi. Adesso poi queste teglie usa e getta, sono molto comode, davvero. Come facevamo? Eravamo abituati, facevamo anche il pane ogni settimana, e dopo il pane mettevamo la torta e chiudevamo il forno e ce la dimenticavamo proprio dentro. Poi mica si faceva sempre. Ci voleva un’occasione. Eh, ma comunque la ricetta è facile, proprio facile. Ci vuole semplicemente un etto di riso per ogni litro di latte, poi lo fa cuocere piano piano e il giorno dopo ci fa la torta.» Mensa News: i risultati del sondaggio Da Mensa News n. 60/2005 (http://news.mensa.it) «Spero di non aver ecceduto troppo con le critiche». Così si concludevano le note di uno dei questionari: nessun problema per le critiche, quando sono avanzate con garbo, e il garbo devo dire che in questi 100 questionari è stato il “condimento” più frequente, assieme all’umorismo che ha caratterizzato qualcuna delle risposte. Una per tutte? Alla domanda “aggiungerei una sezione dedicata a:” c’è chi ha risposto, semplicemente, “me” ... Sinceramente, più che di critiche (se intese nel senso negativo del termine) direi che sono giunti suggerimenti e proposte, alcuni davvero molto interessanti, altri forse impraticabili, ma ... sicuramente tutti utili. Sono arrivati anche diversi complimenti e ringraziamenti, che molto volentieri “giro” a Marco, Roberto, Pompeo e all’instancabile Davide ... 113 questionari elaborati (*) dai quali si scopre che: - il 68% dei rispondenti legge Mensa News regolarmente ogni settimana, - il 39% ne legge oltre la metà (il 38% solo alcune news, il 20% legge tutto o quasi tutto) - il 73% inizia a leggere dall’indice, mentre il 20% preferisce scorrere e fermarsi dove viene richiamata l’attenzione, - il 69% afferma che quanto a contenuti Mensa News va bene così com’è, ma il 26% lo vorrebbe più ricco, - non c’è sezione che non abbia i suoi estimatori ... Se volete contribuire, contattate la redazione all’indirizzo [email protected]. Vi aspettiamo! Natalia Buzzi (*) Cfr Mensa News n. 60/2005 «Ma quanto zucchero ci mette?» «Zucchero? No, non ce ne metto molto, il solito.» «Cioè?» «Quattro etti, ce ne vanno quattro etti.» «Tre di zucchero semplice e uno di vaniglia?» «Nooooo, quattro etti di zucchero.» «Allora non ci mette la vaniglia?» «Come non ci metto la vaniglia? Tutti ci mettono la vaniglia! Un etto di vaniglia, si capisce!» «E poi?» «Insomma, lei vuole tutte le dosi. Un etto e mezzo di mandorle (e conta con le dita). Un etto di cedro, ma è meglio se è abbondante, più è e meglio è, il cedro si sente, a me piace il cedro, un pochino di più!. un etto di amaretti. E sei uova, sei uova naturalmente. E basta, è tutto. Tutto a pezzetti, e tutto mescolato insieme, e poi messo nella teglia e in forno. Però la mia è un po’ diversa, eheheh... (pausa ad effetto). Ci sarebbe una cosa da fare in più. Se ne ha voglia, naturalmente, solo se le piace.» «Siii?» «Vede (e abbassa la voce e si china verso di me ridacchiando), vede quei quattro etti di zucchero non li metta tutti nel latte appena ha finito di cuocere col riso, no. Ne metta due etti. Gli altri due li mette al fuoco insieme con le mandorle tritate, non troppo piccole, quelle mandorle, e le fa leggermente caramellare. Mica da bruciarle, nooo, solo quel pochino, sa,quel pochino (si raddrizza di scatto). Poi mette tutto insieme. Ehehehe, gli da un altro sapore, un po’ così.. E non la bagni da calda col liquore, aspetti che si freddi bene, il caldo gli rovina il sapore.» «Che liquore?» «Ah, il misto per dolci, o l’amaretto, o l’alchermes. L’amaretto è buono, ma costa caro. Il misto andrà bene, vedrà. Se la torta è buona, tutto va bene, pure il rosolio. E’ contenta adesso? Ma mi dica la verità, lei non l’ha mica mai fatta la torta, eh? Me lo poteva dire subito che voleva farsela insegnare!» Uso sempre questa ricetta, che è migliore di quella di mia suocera, anzi è la migliore che io abbia mai assaggiato, comprese le versioni delle migliori pasticcerie bolognesi, vendute a caro prezzo in minuscoli quadratini in un pirottino di carta pieghettata. Se ritente necessarie ulteriori spiegazioni per eseguire la ricetta, eccole. Si fa cuocere a fuoco lento il riso nel latte per almeno un’ora, in modo che diventi bello tenero e si restringa. Poi si lascia raffreddare fino al giorno dopo. Si aggiungono tutti gli ingredienti tagliati a piccoli pezzettini, come suggerisce la signora, infine si scocciano sei uova in un piatto, si battono leggermente senza farle schiumare e si aggungono al composto. Si versa il tutto in una teglia unta e cosparsa di pane grattato oppure in una teglia di silicone, e si inforna a 160170 gradi per un’ora e mezzo circa, per tre quarti d’ora se il forno è a 180. ma meglio, come dice la signora Alfonsina, se il forno è meno caldo e la cottura più lunga. Alla fine ha un bel colore brunito ed è perfettamente soda. Si lascia raffreddare e si bagna con un goccio di liquore. Si serve tagliata a piccoli rombi con uno stuzzicadenti infilzato sopra, per prenderli meglio. Oppure, come fanno le pasticcerie, deposti in un pirottino di carta. (*) # 29 relax emma Buoni e Cattivi di Lorenzo Pescini L a giornata era finita, ma non il lavoro per Emma. Riordinare il negozio, riporre le paste ed i dolci in frigo, svuotare i portacenere … insomma il rituale di ogni sera. Gino, un arzillo ottantenne che amava ricordare il suo passato, le teneva spesso compagnia mentre lei lavorava alacremente. «Te l’ho mai raccontato Emma di quando, per uno stupido errore di gioventù, mi sono ritrovato in gattabuia…» disse quella sera Gino sedendosi ad un tavolino ancora sporco. «Là, c’era una poliziotta, Nina, che ti assomigliava tanto. D’estate, era lei che ci permetteva di uscire nel piazzale esterno per l’ora d’aria. Per sicurezza, però, dovevamo sempre essere ammanettati a coppie». Gino si accese un Toscanello immerso nel fumo e nei ricordi. «Eravate in molti?» ruppe il silenzio Emma mentre dava il cencio in laboratorio. «Mai meno di una decina di coppie» rispose Gino «ma la cosa più bella era il gioco dei Buoni e Cattivi che Nina ci aveva insegnato. Fu per tutti un vero tormentone per molte estati.» «Buoni e Cattivi?» chiese stancamente Emma chinata dietro il bancone. «Sì Emma. Tutte le coppie erano Buone tranne una, estratta a sorte, che aveva il ruolo della Cattiva. Una parodia della realtà era solita sottolineare Nina.» Gino si interruppe un istante. «Le regole erano semplici. Il piazzale era formato da grandi mattonelle quadrate. Ogni mattonella poteva contenere solo una persona e viceversa. Ogni coppia di Buoni doveva copriva due mattonelle contigue in verticale o in orizzontale. La coppia dei Cattivi invece copriva due mattonelle vicine ma in linea diagonale. Obiettivo del gioco era quello di occupare, tutti insieme nessuno escluso, un gruppo di mattonelle che formavano esattamente una forma quadrata o un rettangolare. Il pre30 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 mio – proseguì Gino - era una stecca di sigarette!». «Che bello!» sospirò tanto per fare Emma sperando che l’amico se ne andasse presto. «Beh, forse non ci crederai ma ci divertivamo un mondo. Ci si muoveva spostandoci su quelle mattonelle come dei bambini. Ma alla fine, non so perché, non ci siamo mai riusciti. Rimanevano sempre o mattonelle vuote all’interno della forma – cosa non permessa dal gioco – o qualcuno che restava fuori della quadratura. Ricordo come se fosse ieri il sorriso beffardo di Nina che era solita finire dicendo – Stop! Rientrate dentro. Ma ricordatevi che – “Fino a quando cattiveria ci sarà, niente di buono costruire si potrà”». L’attenzione di Emma, fino ad allora concentrata solo sul lavoro, fu però colpita da quelle parole in rima. Posata la granata mentalmente provò ad immaginare come in un film la faccia di Nina, i carcerati ammanettati, il piazzale lastricato e dopo un attimo, in tono bonariamente canzonatorio esclamò: «Caro Gino, ho la netta sensazione che Nina in tutti quegli anni vi abbia fatto scorrazzare sul piazzale come degli scemi sapendo che ciò che vi chiedeva era assolutamente impossibile!». Gino sembrò rifiutarsi di capire il significato delle sue parole. Stanco, riaccese il sigaro e salutando se ne andò. Emma finalmente sola, fu libera di addentare un bel pezzo di pizza capricciosa rimasta invenduta e soddisfatta delle pulizie fatte si rallegrò della brillante intuizione. giochi Da Mensa News a Pozzuoli di Alberta Sestito Il gioco del meeting di Pozzuoli Bisogna trovare una frase per ognuna delle sei definizioni misteriose che seguono. Anagrammando ogni frase, si otterranno altre sei frasi, ognuna delle quali individua una portata della cena del sabato. Per la soluzione corretta e completa si deve indicare sia la frase enigmatica che il suo anagramma. Le risposte corrette verranno svelate durante la cena di sabato 12 novembre. • Come si avvia l’auto in panne? (1 6, 4! / 11) • Santo sarà, chi di pomeriggio verso il desco s’incammina (6 3 3 1 7 4 / 8 4 12) • Per indovinare si usi ottima polvere marrone per fare budini e estratto liquido di radice piccante (6: 5 4, 5 2 7 / 8 3 5 2 5 1 5) • Se l’ingegnere vuole farsi notare (2 4 3 6 6 / 5 2 5 3 6) • In cronaca nera (7 5 / 6 1 5) • Quando i somari volano, cosa troviamo nei nidi? (4 6 / 5 1 4) La prima definizione è stata pubblicata nel numero 69 di Mensa News (news.mensa.it), le altre a seguire. Qui però le trovate tutte riunite. Arrivederci a Pozzuoli Il gioco delle parole trasformate Le risposte ([email protected]) parteciperanno al concorso a premi con premiazione al convegno nazionale 2006. Al convegno nazionale 2005 sono stati premiati Adriana Pitacco, solutrice di entrambe le puntate di Emma pubblicate sui precedenti numeri di Memento, e Bartolomeo Megna, solutore del primo appuntamento con Emma. Sono date dieci definizioni che individuano dieci parole diverse. Le parole si possono accoppiare mediante lo scarto di una lettera. Le lettere scartate, opportunamente disposte, formano il nome di un animale che è la soluzione del gioco. La difficoltà sta nella individuazione delle parole, gli accoppiamenti sono abbastanza semplici. Le definizioni sono date alla rinfusa e sono: # un pesce # accordo # grossa pietra # creme estive # trituro il grano # sotto i tetti # famiglia di vertebrati # si possono sollevare # scelta # un angolo particolare $ $ Domanda Riesci a spiegare l’intuizione di Emma con meno di 99 parole?