...

Non - 1 hour more

by user

on
Category: Documents
16

views

Report

Comments

Transcript

Non - 1 hour more
Un coinvolgente viaggio in 24 storie di vita reale
con il sostegno di
sponsorizzato da
1 HOUR MORE
Storie e consigli sul Parkinson
Un coinvolgente viaggio in 24 storie di vita reale
pubblicato da
1 hour more. Storie e consigli sul Parkinson
Un coinvolgente viaggio in 24 storie di vita reale
© Testi
Bookrepublic srl
Via degli Olivetani 12,
Milano, Italy
Tutti i diritti riservati
Testi a cura di Grandi & Associati
© Immagini
Shutterstock, Unsplash
www.1hourmore.eu
5
Indice
Coltiva le tue passioni per vincere le tue paure................................. 12
Impara a essere un partner e non un servitore.................................. 18
Non servono gambe perfette: lo sprint inizia dalla testa................... 24
Bisogna saper proteggere anche dalle emozioni................................ 30
Lasciarsi aiutare è una grande dimostrazione di forza...................... 36
Una canzone per ritrovare la voglia di vivere.................................... 42
Assapora le piccole gioie delle grandi sfide....................................... 48
Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi.......................... 54
Risalire la corrente e non fermarsi mai............................................. 60
Il sonno è lo specchio della vita, di una vita sana.............................. 66
Verso l’ultima maratona, senza guardarsi alle spalle.......................... 72
Non è mai troppo tardi per ricominciare a sognare........................... 78
Pensa a combattere, non a vincere..................................................... 84
Non rinunciate a dare e a essere utili agli altri.................................. 90
6
Sulle tracce delle lucertole giganti.................................................... 96
Come Robespierre ha rivoluzionato la mia vita.............................. 102
Riscoprire il ritmo della vita con il tango........................................ 108
A volte è solo una questione di profumo........................................ 114
Il tempo è galantuomo, ma impariamo a farlo nostro..................... 120
Non rassegnatevi: il match si vince anche all’ultimo minuto.......... 126
La vita è una lunga partita a scacchi: rendetela divertente.............. 132
Un piccolo gesto può essere un grande aiuto.................................. 138
Il mondo è meraviglioso, anche di fronte a casa tua........................ 144
Non pensare troppo al futuro, costruiscilo...................................... 150
7
I
l progetto di storytelling “1 Hour More” è nato con lo scopo di
aumentare la consapevolezza sulla Malattia di Parkinson a livello internazionale dando, a chi ne è affetto, un supporto psicologico e pratico. Questo progetto è realizzato da Bookrepublic, con il sostegno della
European Parkinson’s Disease Association (EPDA) e la sponsorship di
Zambon SpA.
Il cuore dell’iniziativa è rappresentato da questo libro che racchiude 24
storie di vita reale, di speranza e reazione, validate da EPDA. Le storie
sono focalizzate sul valore del tempo per le persone affette dalla Malattia
di Parkinson, assistenti e medici.
Il libro ha inoltre dato vita ad una piattaforma digitale dedicata,
www.1hourmore.eu, in cui gli utenti possono leggere esperienze di vita
particolarmente significative sul valore del tempo, ma anche raccontare
la propria storia cercando di rispondere alla domanda chiave: “Cosa faresti se avessi un’ora in più al giorno?”.
L’identità delle persone coinvolte non viene rivelata né nel libro, né nel
sito. Resteranno anonime.
Il libro è disponibile gratuitamente e né EPDA né Zambon riceveranno alcun compenso per la sua riproduzione e distribuzione.
9
11
Coltiva le tue
passioni per
vincere le
tue paure
12
D
ieci giorni prima di vederla comparire a Barcellona, io e Ingrid
avevamo trascorso su Skype una delle “nostre serate”, come le chiama lei.
Nel video, la sua casa di Francoforte pareva un nido verde e lei un uccellino in cerca di sole.
«Qui ha piovuto tutto il giorno, come al solito» rideva.
«Qui c’è il sole, anche se il vento è freddino» ridevo.
«Mi porti a mangiare tortillas in quel posto delizioso?»
«Appena arrivi» le avevo promesso.
Ingrid mi chiama Batik perché adora i miei
foulard di seta e li sfoggia per stupire i suoi
Il tempo
grigi concittadini, che poi sono anche i miei,
sufficiente ad
sebbene io viva da tanti anni qui, in Spagna.
aver catalogato
Siamo amiche da quanto tempo? Non mi va
quasi tutti i
di far conti. Diciamo semplicemente il tempo
miei amori e
sufficiente ad aver catalogato quasi tutti i miei
poi l’arrivo
amori e poi l’arrivo dell’ospite inatteso, Parki.
dell’ospite
Avevo trentanove anni, adesso giro la boa dei
inatteso, Parki
cinquantacinque.
Il programma non era esattamente che fosse lei a venire. Dovevo andare io, questa volta, a visitare la città dove sono
nata. Ma i biglietti che avevo comprato sono rimasti sullo schermo del
13
computer; non hanno, diciamo così, avuto l’onore di essere stampati. Due
biglietti, non uno, buttati al vento! Una crisi del genere non mi capitava
da tanto: gli attacchi d’ansia avevano assunto l’esatta sembianza della carlinga dell’aereo, persino gli stessi colori della compagnia low cost!
Ero corsa ai ripari: un po’ di musica, voglio dire Frank Sinatra, senza
esagerare con il volume; respirazione lenta per ritrovare l’equilibrio e la
chiarezza; e il mio asana preferito, la “foglia arrotolata”. Ecco il cocktail
con cui ogni volta riesco a rimettermi in sesto.
In quei giorni avevo tagliato il gambo di una magnifica rosa i cui petali
avevano i toni della cipria. Avevo raccolto anche il ramo di un pesco,
esile come una vena, e staccato un pezzo di corteccia dove incorniciare
entrambi.
Ogni tanto, tornando a casa, passo vicino a un giardino che pare uscito
da una fiaba. Allungo un braccio e colgo gli elementi per i miei ikebana.
Insieme al batik è le mia seconda grande passione. Non sono hobby, cioè
semplici passatempo, bensì attività che mi riempiono veramente. L’ikebana è qualcosa che riguarda il nostro profondo. Me lo sono chiesto molte
volte: è uno specchio? Un riflesso? Un quadro
che racchiude la tensione verso l’armonia perL’ikebana è
fetta? Cosa mi attrae nella fragile composiqualcosa
zione di questi elementi organici?
che riguarda
Talvolta realizzarlo ha la velocità di un geil nostro
sto. Altre volte invece il percorso è più lento. Come la vita. In quei giorni qualcosa non
profondo.
Cosa mi attrae tornava. Forse dentro avevo ancora la tensione maligna del viaggio mancato. Osservavo
nella fragile
composizione di i miei elementi e non trovavo la chiave per
questi elementi comporli.
Dieci giorni dopo, la mattina di settembre
organici?
in cui Ingrid è arrivata, sembrava di essere ancora in piena estate, mentre io ero già piombata nell’inverno. L’ho immaginata atterrare, poi attendere la sua piccola
valigia e quindi prendere il taxi, fino al suono del citofono.
14
Ero rimasta a osservare il mare dalla finestra senza riuscire a fare quasi
nulla, bloccata, e lo scampanellio mi ha risvegliata di colpo.
La voce, le parole, il suono familiare erano già una cura.
Dalla piccola valigia è sbucato il primo regalo, un vestito di lino verde
acqua.
«Hai visto? Questa volta ci ho azzeccato: senza bottoni!»
Da quando c’è Parki quei fastidiosi piccoli biscotti che hanno il vizio di
doversi infilare nella loro asola hanno perso la
cittadinanza nel mio armadio. Sono comparse
È finito il
decine di T-shirt, così come lo spazzolino da
tempo in
denti elettrico e ho fatto di tutto per mimecui negavo
tizzare qualunque cosa che possa far assomila presenza
gliare casa mia a un ricovero per anziani. È
di Parki.
finito il tempo in cui negavo la presenza di
Benvenuta
Parki. Benvenuta l’epoca in cui non ho vergol’epoca in
gna a chiedere aiuto! Vivere soli però ha un
cui non ho
vantaggio: trascuratezza e pigrizia non sono
vergogna a
ammesse. Come diceva Nelson Mandela, “Il
chiedere aiuto!
coraggio non è assenza di paura, ma il trionfo
su di essa”.
In breve eravamo sedute di fronte alla famosa tortilla, sotto un tendone
a strisce gialle, di fronte al Mediterraneo. Sul volto di Ingrid spuntavano
le lentiggini. Mi ha chiesto dei batik e se avessi intenzione di tornare a
esporli come avevo fatto un paio di anni fa. «Mi piace il modo in cui sai
sposare il blu oltremare, il rosa, l’ocra, il malva.»
Mi chiede sempre di insegnarle a tingere e ogni volta finiamo col trovare scuse e rimandare alla prossima occasione. Le sue visite finiscono
immancabilmente in chiacchiere, o in lunghi silenzi; in tutti i casi, poche
altre cose mi rilassano allo stesso modo.
La trascino nella mia passione per la fotografia: non uso chissà quale
equipaggiamento, mi piace mettere alla prova il mio occhio artistico e poi
montare le immagini con Windows Media Maker: un lavoro infernale per
un risultato modesto, ma quando viene bene mi sento molto soddisfatta.
15
Il tempo è passato in fretta. Mancavano due
giorni alla sua partenza, eravamo di ritorno da
Abramo Lincoln una giornata quasi afosa e piena di piccoli bei
diceva che non momenti, quando Ingrid ha lanciato l’idea:
importano gli
«Perché non prendi l’aereo insieme a me?».
anni di vita, ma
Ho scosso la testa come una bimba. L’ansia
la vita dentro
ha messo fuori il becco.
gli anni
«Non saresti sola, ci sono io, dai...»
Ho detto ancora di no, Ingrid ha insistito.
Poi ha smesso. Poi ha ripreso a insistere dopo cena. Io ero stanca, anzi,
stremata, e devo aver capitolato davanti al tiramisù. Alla fine abbiamo
fatto il biglietto, ridendo, sedute davanti allo schermo del computer.
La mattina dopo, non so neanche come ci sono riuscita – normalmente
quello è un orario in cui Parki batte cassa e Ingrid dormiva ancora – sono
tornata nel mio giardino incantato. Ho ritrovato la rosa dai petali vellutati e un ramo di pesco ancora più esile e solitario. Rapida come un pennellata, sulla corteccia la composizione questa volta è comparsa nella sua
armonia segreta che, ho capito in quel momento, ha in sé tutta l’effimera
bellezza del tempo che passa. L’ikebana è semplicemente questo. Il tempo
è come lo impieghi. Abramo Lincoln diceva che non importano gli anni
di vita, ma la vita dentro gli anni.
Vivo e vedo Parki come una sfida, come l’opportunità di dimostrare che
ho saputo combattere e dare un senso al mio breve passaggio su questo
pianeta. E spero che quando arriverà il gran giorno, e calerà il sipario,
saprò cantare, come il mio amato Frank Sinatra...
Ho amato, ho riso e ho pianto
Ho avuto le mie soddisfazioni e la mia parte di sconfitte
(…)
Ho fatto a modo mio.
Ah, dimenticavo... Io e Ingrid abbiamo fatto fronte comune contro quel
bruttone di Parki e abbiamo vinto: siamo partite!
16
“
Vivere con consapevolezza e autenticità. Non
aver paura di chiedere aiuto. Non sprecare tempo
per attività che non ci rendono felici e rilassati.
Carpe diem!
„
17
Impara
a essere un
partner
e non un
servitore
18
I
dria è una piccola città, tetti rossi circondati da una catena di colline
verdi ricche di mercurio. Fino a qualche anno fa il solfato di mercurio si
estraeva in quantità, poi le miniere sono state smantellate.
La cittadina è un posto tranquillo e non sono molte le finestre ancora
illuminate alle due del mattino. La mia spesso lo è. Dietro ai vetri mi si
potrebbe vedere: eccomi lì, sveglia, che non riesco a prendere sonno, e allora quasi sempre leggo, leggo fino a molto tardi. Adesso sto leggendo un
libro che stranamente non avevo mai preso in
mano, sebbene sia appassionata di classici delQuasi sempre
la letteratura slovena e lo conoscessi di fama.
leggo, leggo
Si intitola Alamut e lo scrisse Vladimir Barfino a molto
tol nel 1938. È la storia di un principe, padrotardi
ne della fortezza di Alamut, dove un giorno
giungono due ragazzini, Halima e Tahir, venduti dai genitori per essere educati dal sovrano. Ma quando la fortezza
viene minacciata dal nemico il destino dei due ragazzi cambierà per sempre. La storia per certi versi è un po’ inquietante, lo stile vecchiotto, ma
non si riesce a smettere di leggerla. E poi perché dovrei smettere?
Quando c’era ancora mio marito, tutto quello che avrei desiderato era
leggere in santa pace. È morto da un anno e mezzo. Aveva il Parkinson.
Certe notti, osservando il profilo scuro delle colline, il pensiero di lui
19
si fa più intenso. Per molti anni ha lavorato nelle miniere, era ingegnere
minerario. Quando hanno chiuso le miniere è entrato al Ministero della
Difesa come esperto di calamità naturali. Mi diceva: «Miskolin, lo sai
che i disastri sono la mia specialità!». Ridevamo. Mio marito era molto
simpatico, era colto, e anche bello.
Si è ammalato a cinquantaquattro anni, ma secondo me i sintomi si
erano fatti sentire già vent’anni prima. Inspiegabili dolori alle mani, stanchezza, insonnia.
D’improvviso gli era venuto il desiderio di
Il mio motto è:
cavalcare. E siccome il mio motto è: “Se si
“Se si desidera
desidera qualcosa ed è possibile farla, falla”,
qualcosa ed è
avevamo comprato due cavalli, costruito una
possibile farla, stalla ed eravamo andati a lezione di equitafalla”
zione. La passione gli è durata due anni, poi è
accaduto qualcosa, non si sentiva più di farlo,
senza una ragione. Il nostro medico di famiglia ha subito sospettato che
potesse trattarsi di un problema neurologico.
Da principio non mi sono spaventata perché non avevo capito quanto
dura fosse la malattia. Non sapevo quasi nulla, eccetto la questione del
tremore. Penso che nemmeno i media e i medici di famiglia ne sappiano
abbastanza sul Parkinson. I politici raramente si interessano del problema. Io ho immediatamente cercato di aiutarlo e mi sono rivolta all’associazione dei parkinsoniani, di cui oggi sono Presidente.
La malattia non ha cambiato la mia visione della vita, sono sempre stata ottimista e ho cercato di adattarmi e informarmi. Adesso non ho più
paura, ma a quel tempo sì, e cercavo di saperne il più possibile ascoltando
mio marito e gli altri pazienti conosciuti tramite l’associazione. I medici
stessi imparano molto ascoltando i pazienti.
Prima della malattia mio marito era molto attivo, facevamo un sacco
di cose insieme. Aveva l’hobby delle costruzioni, gli piacevano i lavori
manuali e quando potevo lo aiutavo.
All’inizio non è stato difficile infondergli coraggio; i piani che si hanno
vengono sconvolti, è vero, ma noi abbiamo continuato a viaggiare, che è
20
una delle cose che amavamo fare di più, finché è cominciata la questione
della gelosia e le cose si sono aggravate.
Da principio era geloso del medico che lo seguiva per il Parkinson.
Poi di ogni uomo, indipendentemente dall’età. Faceva questioni per ogni
mia assenza da casa. Richiamava tutti i numeri di telefono che avevo
chiamato, a volte me lo trovavo fuori dall’ufficio dove avevo avuto un
appuntamento, oppure rimaneva seduto in macchina anche otto ore ad
aspettarmi. Non era mai stato geloso prima della malattia, non ne aveva
mai avuto motivo, e il suo nuovo comportamento era tutto il contrario
della sua natura: mio marito era sempre stato un uomo gentile, non aveva
mai insultato nessuno. Adesso, di colpo, sospettava di tutto e di tutti, di
me per prima.
Il culmine l’abbiamo toccato una vigilia di Natale, quando mi ha buttata fuori di casa perché, diceva, non poteva vivere con una donna che
aveva tanti uomini! Nel cuore della notte mi
sono allora recata all’ambulatorio presso cui
I medici stessi
era in cura e ho raccontato la situazione. Ho
imparano molto
chiamato anche l’infermeria del centro neuascoltando i
rologico: mi hanno detto di diminuire la dose
pazienti
del medicinale che assumeva e di portarlo in
ospedale, ma lui si è rifiutato. Non era consapevole della sua gelosia, non lo ammetteva. Dopo due settimane è stato
ricoverato alla clinica neurologica, e quando è tornato a casa si è messo
a controllare tutte le mail che avevo mandato e ricevuto in quel periodo.
Per questo motivo è stato ricoverato all’ospedale psichiatrico per un mese,
dove è stato trattato con un antipsicotico, che ha assunto per tre mesi, poi
ha smesso.
Lo psichiatra mi ha detto che sarebbe peggiorato, ma per fortuna la
gelosia è diminuita. In realtà faceva stare più male lui di me. La gelosia
ha avuto un grosso impatto sulla salute di mio marito e il Parkinson mi
è parso avanzare più velocemente. Durante gli incontri con i pazienti e i
caregivers ho affrontato l’argomento, così anche gli altri caregivers hanno
incominciato a raccontare i loro problemi. I pazienti difficilmente am21
mettono la questione della gelosia, ma abbiamo scoperto che spesso è
associata al Parkinson. I medici sottolineano che generalmente questi pazienti sono inclini a essere gelosi anche prima di ammalarsi. Ancora oggi,
non so se sia vero oppure no.
Io comunque ho cominciato ad adattarmi,
Soltanto
era quanto mi consigliavano gli psichiatri, e
un’ora in
gli sono sempre stata vicino; lo accompagnapiù avrebbe
vo persino a fare i suoi cinque chilometri di
significato
camminata al giorno. Abbiamo fatto ancora
molto, e se
qualche viaggio, e in quelle occasioni la gelol’avessi avuta
sia spariva del tutto e lui stava meglio, anche
l’avrei usata
fisicamente.
per camminare
Io non avevo più tempo libero. Soltanto
da sola in
un’ora in più avrebbe significato molto, e se
mezzo alla
l’avessi avuta l’avrei usata per camminare da
natura, per
sola in mezzo alla natura, per sconfiggere lo
sconfiggere lo stress. Il giorno e la notte erano ormai soggiogati alle necessità di mio marito.
stress
Per questo, ancora oggi, non vado mai a letto prima delle due di mattina. E se di notte vedete una luce accesa nella mia piccola città, vuol dire che sto leggendo la storia del principe di
Alamut, pronto a combattere i nemici della sua fortezza. Il mio gatto è
acciambellato ai miei piedi e ogni tanto, scrutando il profilo scuro delle
colline, sorrido di tenerezza.
22
“
Il Parkinson cambia da paziente a paziente, per
questo un caregiver deve monitorare il malato, essere
indulgente con lui e personalizzare le cure. Tuttavia
bisogna essere un partner, non un servitore.
„
23
Non servono
gambe perfette:
lo sprint inizia
dalla testa
24
A
volte rifletto su cosa sarebbe oggi la mia vita se invece di un
buon medico fossi stato un grande ciclista. In altre parole: se invece di dedicarmi anima e corpo alla medicina e diventare uno stimato neurologo
avessi vinto quella maledetta gara dove invece caddi e mi ruppi un piede!
Quanti anni sono passati? Per l’esattezza trentadue. Avevo ventiquattro
anni, adesso ne ho quasi cinquantasette.
Fino a qualche mese fa queste riflessioni le facevo ogni domenica mattina con Georg, scherzando davanti a una tazza di caffè. Prima della nostra pedalata settiA volte
manale. Ci allenavamo per la gara annuale dei
rifletto su
super dilettanti di Bremerhaven, la città in cui
cosa sarebbe
viviamo, porto modernissimo che serve alla
oggi la mia vita città di Brema come sfogo sul Mare del Nord.
se invece di un
Sono neurologo in un grande centro medibuon medico
co, Georg invece è proprietario di due grandi
fossi stato un
magazzini. Ci siamo conosciuti un paio d'angrande ciclista ni fa tramite le nostre mogli (entrambe insegnanti) e subito abbiamo scoperto di avere la
stessa passione per la bicicletta. In passato abbiamo corso tutti e due da
professionisti, abbiamo conosciuto le nostre metà, e poi la famiglia, i figli
e soprattutto il lavoro hanno preso il sopravvento sui sogni agonistici.
25
Davanti al caffè, prima di metterci in strada, di solito scherzavamo sul
fatto che, a esser sinceri, l’agonismo non l’avevamo mai abbandonato: io
sostengo che il medico è un ciclista da record dell’ora, deve fare bene e in
fretta. Mentre Georg sostiene che il commerciante è come un fondista,
anzi, è uno scalatore: va a muso duro e in salita. Senza guardarsi indietro.
E in effetti, Georg pedalava così, superandomi spesso. Una domenica
dopo l’altra, mi sono però reso conto che le gambe di Georg non funzionavano più come prima. Quando gli ho chiesto se c’era qualcosa che non
andasse, mi ha risposto che aveva come l’impressione che “andassero un
po’ per i fatti loro”.
L’ho osservato. L’ho osservato bene. E gli ho detto: «Non è questione
che vanno “per i fatti loro”. In realtà a me sembra che queste gambe siano
un po’ rigide, quando pedali non flettono bene, e quindi anche la tua postura in bicicletta non è più quella di una volta». Ho pensato che quello
fosse il momento giusto per andare a fondo della questione. «Mi pare che
tu sia anche più lento» ho aggiunto, «sei sempre stato un fulmine e adesso
invece mi fai passare avanti... Cosa c’è, hai compassione di me?» Abbiamo
riso, come al solito. Poi Georg ha dovuto ammettere che avevo ragione.
Correva meno di prima.
Georg aveva avuto, in passato, qualche proTi svegli nella
blema alla schiena: lombalgie, cose del genere.
stessa posizione Si è dunque fatto vedere da un ortopedico che
in cui ti eri
lo ha sottoposto a una serie di esami. Le solite
coricato?
lastre alla colonna vertebrale dalle quali non
è emerso nulla di significativo. Per non scoprire troppo le mie carte, tra una pedalata e l’altra, ho cominciato a fargli
qualche domanda più mirata. Tipo: ti senti più lento anche nella vita di
tutti i giorni? Oppure: durante la notte cambi posizione o ti svegli nella
stessa posizione in cui ti eri coricato? Georg non ci aveva fatto caso, ma
era stata sua moglie a fargli notare che non si muoveva più tanto di notte, le gambe soprattutto, insomma non lo svegliava più con uno dei suoi
famosi calcioni!
Mi si è accesso l’allarme rosso, anche perché improvvisamente mi è
26
tornato in mente che Georg mi aveva raccontato che sua madre, deceduta
un paio di anni prima, era confinata a letto da tempo, e si era parlato di
Parkinson senza però una diagnosi certa.
Gli ho allora suggerito di farsi vedere da un mio collega neurofisiologo
e ho visto il suo spavento. «Un neurologo? E perché non tu?»
Preferivo non essere coinvolto in prima persona, trattandosi di un amico: volevo il massimo dell’obiettività per lui e io invece rischiavo di essere
coinvolto emotivamente. Accanto a me c’era un amico e io non trovavo le
parole che ogni giorno uso con i miei pazienti.
«È uno bravissimo» l’ho tranquillizzato,
Per esperienza,
«non ti preoccupare, per qualsiasi cosa mi trovi
so che in
sullo stesso corridoio.» E gli ho fatto l’occhioquesta fase,
lino. Niente mi impediva di visitarlo io stesso,
l’elemento
ma mi sentivo troppo coinvolto emotivamensaliente è la
te, per la prima volta non mi fidavo di me.
percezione
Gli accertamenti hanno purtroppo conferche il paziente
mato i miei sospetti, clinicamente la diagnosi
ha di ciò che
di Parkinson è sembrata abbastanza evidente.
Ha dovuto fare ulteriori esami per escludere comporterà per
che non ci fossero quelle che noi chiamiamo lui il Parkinson
“cause secondarie”, come, per esempio, gli effetti collaterali di medicinali contro la depressione.
Si era scoperto che Georg ne aveva sofferto in gioventù durante il servizio militare (per forza, pensavo, è sempre stato un pacifista!).
Dopo quelle notizie Georg ha smesso di venire in bicicletta. Mi ha
detto che aveva bisogno di tempo per capire come affrontare la sua nuova
condizione.
Nonostante la terapia con i medicinali gli facesse bene, avevo la netta
sensazione che Georg l’avesse presa veramente male. Pativa la condizione
di ereditarietà (la madre era con ogni probabilità una parkinsoniana) ed
era spaventato da ciò che lo aspettava. Per esperienza, so che in questa
fase, indipendentemente dai benefici dati dalla terapia farmacologica, l’elemento saliente è la percezione che il paziente ha di ciò che comporterà
27
per lui il Parkinson. Sapevo che il mio amico pensava: ora sto bene, ma tra
due anni? Tra cinque? Tra dieci? E se finirò su una sedia a rotelle?
Non potevo permettere, né come amico né come medico, che si lasciasse andare.
Ho deciso di parlargli fuori dai denti. Georg
mi ha confidato: «Faccio fatica anche soltanto
Come una
a immaginarmi un’ora di tranquillità, di pace,
volata finale,
di libertà».
uno sprint
Sono rimasto in silenzio. Ho capito che non
che dipendeva
dovevo forzare i tempi, Georg doveva arrivarsoltanto dalla ci da solo, doveva riconquistare il suo tempo,
sua testa
ricostruirlo, perché era un percorso suo, come
una volata finale, uno sprint che dipendeva
soltanto dalla sua testa, dal momento che le sue gambe stavano ancora
relativamente bene.
Stamattina, in una fredda domenica di sole, ho ritrovato Georg davanti
alla caffetteria, infilato nella sua maglia termica rossa, con la bicicletta e il
caschetto. Il mare era bellissimo.
«Non è che devo per forza partecipare alla gara» mi ha detto, «ma allenarmi posso, no?»
28
“
Invitate i vostri malati di Parkinson a non
prevaricare i tempi; in altre parole, a non mettere
il carro davanti ai buoi. Non devono pensare
troppo al domani, ma immergersi in un caldo bagno
di “qui e ora”.
„
29
Bisogna
saper
proteggere
anche dalle
emozioni
30
C’
è una grande casa della fine del XIX secolo e c’è un uomo che
si prende cura dei suoi vecchi muri e delle sue ampie stanze. Intorno c’è la
campagna lussureggiante dello Cher, il cuore della Francia. La Loira, che
ha il colore dell’ardesia, corre non distante, tagliando in due la regione
del Berry. La città medievale di Bourges, che possiede una delle cattedrali gotiche più belle del mondo, dista una sessantina di chilometri. Da
quando è andato in pensione, ormai sono passati molti anni, Serge si alza
presto e appena può va a camminare lungo i sentieri del villaggio, tra siepi di bosso, rampicanti, erbe selvatiche e margherite che sbucano timide
delle crepe dei muri. Il suo occhio capta ogni
cosa, cataloga, recensisce. C’è anche qualche
Quelle
disciplinato vigneto, aranci che a seconda delpasseggiate
la stagione sono carichi o orfani dei frutti, e
mattutine sono splendidi cespugli di biancospino. Sua moglie
per Serge il
di solito lo aspetta con un po’ di apprensione.
momento per
Un tempo lo accompagnava sempre, adesso
dare un ordine molto meno. Quasi mai. Anche se lui insiste:
ai pensieri
mezz’ora di camminata è importante. Forza,
su, ti fa bene.
Quelle passeggiate mattutine sono per Serge il momento per dare un
ordine ai pensieri. Ripensa al viaggio che hanno fatto da poco, un antico
31
sogno che si è realizzato: il Marocco. Ripensa ai colori così netti, ai disegni delle ceramiche, ai sapori.
Tutto era stato organizzato nei minimi dettagli: dieci giorni dove anche
le soste per bere un bicchiere d’acqua erano pianificate. Avevano deciso
tutto insieme e insieme si erano preparati psicologicamente. «Mi aspettavo il deserto e invece abbiamo trovato distese di grano dorato. E una sera
abbiamo vissuto un bellissimo momento, nella
piazza centrale di Marrakech, con i ristoranti
Ora è quasi
a lume di candela e nell’aria l’odore del pesce
una parola
fritto e delle merguez, le salsicce piccanti. Era
d’ordine: sii
tutto così nuovo, inusuale e però piacevole.»
felice, elimina
Il viaggio è stato il risultato di qualcosa che
le cose che non Serge ha sempre saputo, ma raramente ha
ti fanno stare
messo in pratica. Ora è quasi una parola d’orbene, elimina
dine: sii felice, elimina le cose che non ti fani dispiaceri, le
no stare bene, elimina i dispiaceri, le tristezze.
tristezze
Lo ha capito prendendosi cura di sua moglie.
Non sa bene perché, ma immagina una nave
che sa cavalcare l’onda più favorevole per evitare di soccombere alla tempesta. Forse è un ricordo lontano.
Serge è cresciuto a Lille, nel nordest della Francia, quasi al confine con
il Belgio; la città che ha dato i natali a Charles de Gaulle. Certi inverni
con suo padre raggiungevano Calais e il ricordo dei grandi pescherecci
che tornavano in porto dopo aver sfidato le intemperie gli è rimasto negli
occhi.
Serge ha trascorso un lungo pezzo di vita come manager del settore
informatico, un mare tutto sommato placido, e non immaginava che le
mareggiate lo attendessero al varco. «Prima che a mia moglie fosse diagnosticato, del Parkinson sapevo davvero poco, poi grazie alle letture e
all’associazione mi sono informato e adesso la mia è una sfida comune,
mi sento parte in causa, coinvolto.»
Gran parte del tempo Serge lo dedica infatti all’associazione che si occupa dei bisogni delle persone come sua moglie: partecipa a incontri in
32
varie città e lavora per il giornale La Page, che esce ogni quattro mesi, anch’esso dedicato al mondo che ruota intorno alla malattia. Serge è abituato ad affrontare gli eventi di petto: se arriva una buona notizia si festeggia,
se invece la novella è cattiva si cerca una soluzione, senza girarci troppo
attorno. Come la nave sull’onda.
«Le domande più comuni che mi rivolge mia moglie riguardano il trattamento con i medicinali: se è corretto, se ci sono novità sul fronte della
ricerca e se esistono strutture capaci di accoglierla e curarla per i bisogni quotidiani che dovessero presentarsi. E soprattutto come è possibile,
giorno dopo giorno, migliorare la qualità della sua vita.»
In tre ore di macchina dal loro villaggio, poco più di mille anime, si raggiunge Parigi. Serge ogni tanto ci va, per un incontro legato alla ricerca
o per visitare una mostra. Se c’è qualche concerto o spettacolo teatrale
vicino a casa ci va anche sua moglie, ci vanno volentieri insieme.
«Ho imparato molte cose prendendomi cura di lei. Per esempio che le
emozioni sono un punto critico: dunque, bisogna cercare di essere sensibili, delicati, calmi, non deludere ed essere presenti per proteggere. È
importante anche sapere quando fermarsi,
quando dire “alt”, per esempio mentre si sta
Bisogna
facendo qualcosa insieme, e aspettare che la
cercare di
crisi passi.»
essere sensibili,
È un po’ - ha riflettuto ultimamente delicati, calmi,
come curare il giardino. Intorno alla vecchia
non deludere
casa non manca il verde e per certi versi Serge
ed essere
lo considera il suo regno. Quando nel 1980
presenti per
aveva piantato gli alberi erano alti due metri,
proteggere
ora sono bestioni da quindici. «È una lotta tra
me e loro. A volte sono costretto a eliminarne
qualcuno per fare spazio, ma il grande dilemma è: quali tagliare? Poi ci
sono i fiori: narcisi e giacinti sono già fioriti, mentre dei tulipani sono
cresciute solo le foglie, il fiore verrà poi. Il mese prossimo pianterò le dalie
e fra una settimana sarà il turno delle patate e della cicoria.»
Il giardino gli ha insegnato i ritmi del tempo, con i quali regola la sua
33
esistenza. Anche il tempo di sua moglie è regolato secondo una legge nuova.
È l’arte di
«La malattia divide la nostra vita tra i mosaper fare, di
menti in cui sta bene e quelli in cui le cose
saper usare
non vanno, dunque non è più possibile, se non
le mani. Ma
anche di sapersi per brevi periodi, usufruire liberamente del
tempo. A volte cerco di capire se la malattia ci
orientare
ha rubato del tempo. Poi però mi domando: è
tra pezzi
il Parkinson o semplicemente la nostra età?»
apparentemente Serge ha settantasette anni.
diseguali e
Se avesse più tempo, Serge si dedicherebbe
saper scegliere con più pazienza al giardino, ai fiori sopratquali usare
tutto, che sono i più esigenti. Ogni tanto, insieme a sua moglie, rievocano quegli splendidi versi di E.E.Cummings: ... apri petalo dopo petalo come la primavera fa,
toccando accortamente, misteriosamente, la sua prima rosa.
Sono precisamente quei due avverbi, “accortamente” e “misteriosamente”, che Serge sente presenti nella sua vita di oggi. «Alla nostra età non c’è
più la paura, ma devo pensare al momento in cui non sarò più in grado di
occuparmi di mia moglie e pensare a una soluzione.»
Ancora le onde del mare, ancora la tempesta. Serge però rimane calmo,
come la vecchia casa di cui si prende cura senza ricorrere a imbianchini,
elettricisti, idraulici, carpentieri. Fa tutto lui. Lo chiama con quel termine
giocoso che suona molto démodé: bricolage.
È l’arte di saper fare, di saper usare le mani. Ma anche di sapersi orientare tra pezzi apparentemente diseguali e saper scegliere quali usare. In
questo modo affronta tutte le sue nuove sfide.
34
“
Definisci i tuoi obiettivi: cosa ti aspetti
oggi, questa settimana, quest’anno. E lotta per
raggiungerli.
„
35
Lasciarsi
aiutare è
una grande
dimostrazione
di forza
36
P
ochi giorni dopo il funerale di suo marito, Grazia mi ha telefonato.
Di solito io e mia sorella non ci parlavamo per dei mesi. Hai visto? ho
pensato, ora che è rimasta vedova si fa sentire subito.
Invece mi ha detto: «Franca, cosa c’è che non va? Cos’è che non mi hai
detto?».
«In che senso?» ho risposto. «Perché? Cosa avrei dovuto dirti?»
«Tremi, Franca. Non stai ferma un secondo. Cosa sta succedendo?»
Ricordo che sono rimasta forse un intero minuto con il cellulare vicino
all’orecchio, senza dire nulla. Poi ho cominciato a piangere.
Lei a Verona da una vita, io a Pescara; ma non è la distanza che ci ha
tenute lontane. Fin da ragazzina ho sempre pensato che Grazia fosse una
persona paurosa, e a me la paura ha sempre fatto paura, soprattutto quella
degli altri. O forse non è neanche questo. Forse è solo il fatto che siamo
sempre state molto diverse. Lei si è sposata e
ha fatto due figli grandi e grossi come il suo
E sono sempre
defunto marito. Io ho insegnato tutta la vita
stata, credo,
nelle scuole: ho tirato su i figli degli altri. E
molto felice
sono sempre stata, credo, molto felice.
Ma da un paio di mesi tremavo. E più cercavo di tenere ferma la mia mano destra, più se ne andava per i fatti suoi.
Certi giorni non riuscivo nemmeno a correggere i compiti in classe. Non
37
riconoscevo più la mia scrittura, che era così bella.
Per la prima volta anche io ho avuto paura. Una paura irrazionale nei
confronti di ogni cosa. Mi mancavano due anni alla pensione e ho subito
pensato con terrore che forse avrei dovuto abbandonare il lavoro. E le
mie pedalate in bicicletta? E le vacanze in Corsica? Due anni prima, in
settembre, ero caduta con la bicicletta vicino a casa: un tizio era sbucato
di colpo con la macchina da un passo carraio e io mi ero spaventata perdendo l’equilibrio. E mi ero presa una brutta slogatura alla spalla destra.
Un’amica fisioterapista aveva cominciato a seguirmi, perché il dolore
non passava. Ed è stata lei, prima di me, ad accorgersi di qualcosa. Chiedeva insistentemente se andava tutto bene.
Io rispondevo di sì (ho sempre risposto di sì
Per la prima
a questa domanda, fin da bambina) e invece
volta anche io non era esattamente così. Ma non c’era nulla
ho avuto paura. di preciso, era un senso di stanchezza, di faUna paura
tica, che non passava. E la mano destra, che
irrazionale nei tremava. Non sempre, ma spesso. E che io naconfronti di
scondevo, come facevo un tempo con le dita
ogni cosa
quando mi mangiavo le unghie! Uguale! Perché mi vergognavo di quelle unghie rosicchiate fino alla pelle! Così, per dissimulare il tremore, mi grattavo continuamente il collo o giocavo coi capelli (che per fortuna ho ricci!), infilavo la
mano in tasca, me la chiudevo tra le cosce quando accavallavo le gambe.
Finché un giorno la fisioterapista – ai cui occhi non scappava niente! –
mi ha suggerito di farmi vedere da un neurologo. Un neurologo?! Devo
averla guardata come si guarda un matto...
Una mattina, ricordo ancora bene quando, mi sono resa conto che impiegavo moltissimo tempo a prepararmi per uscire. Come se dovessi fare
la mia entrata su un palcoscenico, mentre dovevo semplicemente vestirmi
per andare a scuola! In quei momenti mi prendeva il nervoso, tranne che
era un nervoso nuovo, un nervoso che mi bloccava. Rallentava tutto. Un
circolo vizioso: nervoso-lentezza-nervoso-lentezza! Arrivavo in ritardo a
scuola, in ritardo dalla fisioterapista, in ritardo al treno che avrebbe dovu38
to portarmi a casa di amici in Liguria, dove infatti non sono più andata.
Mi sono resa conto che il tempo mi sfuggiva, mi superava, non gli stavo
più dietro. Ne avevo sempre meno. E con il tempo se ne andavano le cose
che amo: uscire, vedere le persone, i piccoli viaggi del weekend, persino
la concentrazione, quella che ho sempre usato per leggere, per lavorare.
Poi è morto il marito di mia sorella. E invece di chiudersi nel suo lutto,
Grazia ha deciso che voleva aiutarmi. Passate un paio di settimane dal
funerale, ha sistemato alcune cose a Verona e ha detto ai suoi ragazzi che
per qualche tempo sarebbe venuta a stare da me a Pescara.
Grazia mi ha portato a vedere una lunga fila di medici, mi ha accompagnata quando sono andata a fare gli esami diagnostici, come la risonanza magnetica e altre cose simili (mi rifiuto di
imparare quei nomi, quelle sigle, le chiamo “le
Mi sono resa
fotografie”, e ci siamo capiti!). Ed era seduta
conto che
vicino a me, mi teneva la mano tremante, il
il tempo mi
giorno in cui la giovane neurologa ha pronunsfuggiva, mi
ciato il nome che inizia con la P.
superava, non
Se il mondo non mi è crollato addosso è
gli stavo più
perché mia sorella era con me e ha pensato
dietro
lei a organizzare tutto. Per molti mesi è stata
spessissimo con me, finché ho capito che la
mia vita, in fondo, non era cambiata così tanto.
Ho cominciato non nascondendo più la mano, smettendo di cincischiarmi i capelli senza motivo! E ho visto che le cose lentamente si
aggiustavano.
Siamo andate alle terme con un gruppo di parkinsoniani che ora frequento. Lei faceva i sali e io camminavo nell’acqua dove mi sentivo nello
stesso tempo più leggera e più sciolta. Grandi camminate avanti e indietro nella piscina, con l’acqua fino alla vita! E mi pare che l’irrigidimento
sia diminuito.
Affrontando le cose con calma ho ritrovato la capacità di organizzare il
tempo. Di guadagnare tempo, intendo dire. E ho capito che l’avrei ottenuto accettando i nuovi limiti che il signor P. mi ha imposto. È come se
39
facessi uno slalom. Uno slalom di cui miglioro
sempre di più il risultato.
Non posso dire di aver ritrovato lo slancio
per fare dei progetti a lunga scadenza: avrei
tanta voglia di tornare in Corsica, per esempio – e per la verità, per la prossima estate,
Grazia pensa di coinvolgere i ragazzi e andarci insieme – però ho ritrovato una normalità,
soprattutto nel lavoro. Questo è il mio ultimo
anno di insegnamento, salvo imprevisti, e ho deciso che me lo voglio
godere, conservare un bel ricordo, perché so che mi mancherà il trantran
quotidiano. L’unica difficoltà vera è la scrittura, immagino non tornerà
mai come prima.
Devo confessare una cosa, un piccolo peccato: quando rimane qualche
giorno da me, è Grazia adesso che corregge i compiti in classe. E ci credete che è più severa di me?
È come se
facessi uno
slalom. Uno
slalom di
cui miglioro
sempre di più il
risultato
40
“
Accettare la diagnosi è fondamentale. Averne
consapevolezza è l’inizio della cura, perché
conoscere tutte le caratteristiche del Parkinson
permette di accedere a una migliore assistenza e fa
sentire meglio, anche mentalmente.
„
41
Una canzone
per ritrovare
la voglia di
vivere
42
M
i chiamo Victoria, “Vicky”, e non sono più giovanissima, ma
nemmeno vecchia. Quando per strada incontro qualcuno che non vedo
da tanti anni, in genere lo riconosco, ma lui non riconosce me. Sono
molto cambiata. Quando però apro bocca tutti sanno chi sono. È per
via della mia voce. Pare sia molto particolare. È un po’ grave, rauca. Da
ragazza cantavo. Ero una fan di Nina Simone. Se spuntava una chitarra
fra gli amici, a me toccava cantare. Per un certo
periodo mi ero persino messa in testa di proDa ragazza
varci, a salire su un palco. Poi è arrivato l’amore
cantavo. Ero
e insieme un figlio, all’improvviso. E la voglia
una fan di
di rimettermi a studiare. Psicologia.
Nina Simone
Dopo qualche anno mi sono trovata a lavorare sulle forme di depressione, spesso connesse
a malattie neurologiche come il Parkinson. Senza contare che in questo
caso la depressione può essere un segnale che anticipa i sintomi più noti
della malattia (come la bradicinesia, la difficoltà a compiere anche i movimenti più banali) e non una conseguenza. Tuttavia, più spesso, sono i
colleghi neurologi a inviarmi loro pazienti a causa di una depressione
conseguente alla diagnosi.
Karina, una giornalista più o meno della mia età, non era un caso di depressione particolare, né particolarmente grave: era chiaro anzi che Kari43
na era semplicemente caduta in uno stato di sconforto molto accentuato,
un fatto piuttosto comune. Per qualche ragione mi ricordava mia madre:
lo stesso colore di occhi, di un blu quasi viola (bellissimi), e i capelli biondo cenere, arruffati, né corti né lunghi, vissuti come un gesto di estrema
libertà. Anche mia madre li portava così.
Oltre a lavorare in un giornale, Karina teneva una rubrica di politica
estera in una radio di Monaco, la città dove vivo da qualche anno (sono
nata ad Amburgo). Karina era parkinsoniana da circa tre anni e aveva
grossi problemi con la sua voce. Non accusava quasi altri sintomi, a parte
episodi di ipocinesia mattutina, cioè una certa difficoltà a ingranare: mi
disse che a volte si svegliava nella medesima posizione in cui era andata
a dormire. Temeva che quella fissità, che talvolta arrivava e così come era
arrivata svaniva, potesse un giorno diventare la sua condizione definitiva.
Mi disse che temeva di diventare una statua e, quello che è peggio, senza
aver mai compiuto neanche un’azione eroica per il suo Paese! Mi faceva
ridere. Karina aveva una bella maniera di ridere, soprattutto con gli occhi,
dal momento che la voce si era ridotta a un sussurro.
Questa è una delle possibili conseguenze
del Parkinson, e fra quelle che maggiormenLa voce perde
te pregiudicano la vita delle persone. La voce
tono e volume. perde tono e volume. Il timbro si modifica.
Il timbro si
Il linguaggio tende a diventare monotono, si
modifica
perde la prosodia e si instaura un’emissione
stereotipata dei singoli fonemi. In pratica, è
come se i suoni che emettiamo fossero tutti uguali. Ciò deriva anche da
problemi di respirazione. Karina, ormai da un paio di mesi, aveva abbandonato la trasmissione alla radio ed era chiaro che per lei fosse motivo
di grande frustrazione. Le chiesi se voleva cantare insieme a me e al mio
gruppo.
Sapete, quando anche la voce viene colpita, allora si capisce che non è
soltanto qualcosa che noi “sentiamo”, ma è una maniera di dire “io sono”.
È una maniera di riconoscersi ogni mattina e di farsi riconoscere dagli
altri.
44
Io sono timida: anche da ragazza lo ero, ma quando cantavo mi passava. Quasi che la voce del canto fosse più forte, più vera. Pian piano sono
andata a cercare la mia voce perduta nel passato e, una volta trovata, ho
ripreso a cantare. E poi sono entrata in un coro. Nel coro ho conosciuto
una maestra di “canto-terapia” e insieme abbiamo creato un altro gruppo dove lavoriamo con pazienti come Karina.
Cantiamo e, nello stesso tempo, cerchiamo di
Gran parte di
ritrovare la voce di chi l’ha persa.
quello che
Per i parkinsoniani il fatto di non essere più
pronunciamo
“capiti” quando parlano fa in modo che spesso
viene dalla
finiscano per non essere più ascoltati. Senza
respirazione
voce aumenta l’isolamento. D’improvviso, si
è come muti. Forse per questo Karina ha accettato subito di provare a entrare nel gruppo, dove, insieme a un pianista molto simpatico, cantiamo vecchie canzoni jazz, melodie bellissime e
orecchiabili. Il pianista, a dire la verità, oltre alla bravura possiede un’altra
grande qualità: la pazienza!
Attualmente nel gruppo siamo tre voci, a volte si aggiunge un contrabbassista (in realtà è un avvocato) e ognuna di noi ha un soprannome: io
sono Nina (ovviamente!). Amo le canzoni di Richard Rogers, come My
funny Valentine, la maestra adora Gershwin e il suo pezzo forte è Summertime, e via così.
Le prime due volte Karina è stata soprattutto ad ascoltare, ma la terza
ha chiesto al pianista se conosceva Smile, di Charlie Chaplin, una canzone dolcissima che risale al film Tempi moderni. Il pianista (si chiama
Otto) le conosce tutte, e quelle che non conosce le improvvisa.
La maestra ha detto a Karina di non preoccuparsi di cantare le parole,
ma di cominciare con la melodia. E prima ancora dalla respirazione. Gran
parte di quello che pronunciamo viene dalla respirazione, è lì che nasce
la voce, e pure il ritmo, l’armonia che diamo al suono che pronunciamo
e che si trasforma in qualcosa di comprensibile alle orecchie degli altri.
Piano, provando un po’ di volte, Karina ha cominciato a canticchiare.
«Non sono esattamente Ella Fitzgerald» ha detto, «ma ce la posso fare!»
45
Il resto del pomeriggio l’abbiamo trascorso ridendo e cantando.
Non è stata quella volta, ma uno o due mesi dopo, che ho assistito al
ripetersi dello stesso prodigio con un altro “corista”: nella musica la voce
torna fuori, nel canto si ritrova la sicurezza.
Il Parkinson ha molte implicazioni sociali, spesso il parkinsoniano ha
vergogna della sua condizione e tende a diminuire la sua frequentazione del mondo. E
E invece
invece bisogna vincere questa paura, tornando
bisogna vincere nel mondo, facendo qualcosa insieme agli alquesta paura,
tri, condividendo.
tornando nel
Recentemente Karina mi ha detto che non
mondo
era tanto per la voce che aveva lasciato la radio, ma piuttosto perché aveva smarrito il
tempo per preparare la trasmissione. E il tempo si era perso nella mancanza di voglia, voglia di uscire e stare con gli altri: il tempo nasceva da
uno stimolo, mi ha detto.
Nel frattempo siamo diventate amiche, siamo anche state insieme a
Berlino per un fine settimana. La sua trasmissione radio è tornata in onda
e dura un’ora. Ogni sabato mattina l’ascolto, è molto interessante.
Parla del mondo.
46
“
Divertiti. Se hai delle passioni nel tempo libero,
incentivale e accrescile. Se non ne hai, inventane di
nuove, cerca qualcuno con cui divertirti, entra a far
parte di un gruppo. Non stare solo, apriti a nuove
conoscenze e rapporti.
„
47
Assapora
le piccole
gioie delle
grandi
sfide
48
A
vete mai visto Londra dall’alto? È fantastica, e vi assicuro che
da lassù è ancora più bella. Per me, poi, guardarla dall’alto ha un sapore
davvero particolare. Non solo perché se ne ottiene una visione unica, ma
perché significa che sono riuscito a superare i miei limiti.
Si possono inventare tanti modi per farlo. Per esempio, io vorrei guardarla dalla cima dell’edificio 30 St. Mary Axe, conosciuto anche come
“The Gherkin”, un bellissimo grattacielo di
180 metri disegnato dal famoso architetto
Nove prove
Norman Foster. Per salire sono più di mille
come questa,
gradini e voglio farmeli tutti, uno per uno!
prove di
Il mio obiettivo è realizzare almeno nove
resistenza che prove come questa, prove di resistenza che
darebbero del
darebbero del filo da torcere all’atleta più alfilo da torcere lenato e sicuramente non afflitto dai problemi
all’atleta più
neurologici che ho io. Mi piacerebbe che fosallenato e
sero sfide un po’ diverse dal solito.
sicuramente
Non solo, ho intenzione di completare un
non afflitto
“Quadrathlon”, cioè una combinazione di
dai problemi
quattro sfide: tre ore su e giù dai gradini, poi
tre ore di vogatore in casa, seguite da tre ore
neurologici
di passeggiata nell’acqua bassa, da concludersi
che ho io
49
con tre ore di spinning. In tutto, sono dodici ore di esercizio continuo!
Un’altra idea che ho in testa è un po’ bizzarra, ma solo a prima vista:
mettermi a suonare la campana di una chiesa per tre/quattro ore, periodo
di tempo che corrisponde a 10.000 rintocchi! Ovvio: sempre che qualcuno nelle vicinanze non mi faccia smettere prima per raggiunto limite di
sopportazione dei timpani! E poi ho intenzione di salire e scendere per
venticinque volte i gradini della cattedrale di St. Paul, stupendo esempio
del barocco inglese. Forse adesso avete capito
perché mi diverto a farmi chiamare The PhePoi ho capito
che la diagnosi nomenon!
Ho cinquantun anni e fino a un paio d’anni
va accettata e
fa ero ispettore del fisco, ora sono in pensione.
se lo fai, piano Vivo nella contea del Kent, a sudest di Lonpiano la vita
dra, insieme a mia moglie e a mia figlia. La
può tornare
nostra è una bella zona, da una parte si è alle
a essere
porte della città, dall’altra si è già immersi nel
gratificante
verde della campagna e non distanti dalla costa, che è magnifica.
Il fatto di aver smesso di lavorare non significa che ho meno impegni
di prima. Anzi. Da quando non lavoro mi pare di avere molte più cose
da fare, e sono quasi tutte piacevoli. Lo sport innanzitutto, quello mi è
sempre piaciuto: adoro il calcio, sebbene non vada più allo stadio, ma difficilmente mi perdo una partita alla televisione. In tv mi piacciono anche
i documentari sulla vita selvaggia e ho sempre avuto una passione per la
musica degli anni Ottanta.
Sono malato da dieci anni, da quando ne avevo quarantuno. Mi ricordo
ancora la data esatta in cui ho ricevuto la diagnosi: il 23 dicembre 2004.
Avevo cominciato ad avvertire i sintomi soltanto un paio di mesi prima:
lentezza nei movimenti e rigidità delle membra.
Ragazzi... la mia prima reazione è stata di incredulità, ero scioccato.
Pensavo che la mia vita fosse giunta alla fine, dico sul serio, sono piombato nella depressione più nera. Ho fatto fatica ad ammetterlo: negavo
potesse essere davvero Parkinson. Anche i miei amici non ci potevano
50
credere. Poi ho capito che la diagnosi va accettata e, se lo fai, piano piano
la vita può tornare a essere gratificante.
Da allora, mi sento catapultato dentro un lungo viaggio di scoperta.
Però non da solo, non come se fosse una traversata in solitaria nell’Oceano. Al contrario, quello che imparo, che apprendo ogni giorno, mi piace
condividerlo con gli altri; mi piace infondere speranza e motivazione alle
persone.
Cerco di farmi venire nuove idee, diverse, creative, per diffondere informazioni, ascoltando le esperienze degli altri e facendo tesoro della mia.
Oggi promuovo incontri, tengo conferenze e mi dedico a raccogliere
fondi per la ricerca. In questo campo mi interessano in special modo le
scienze e la biologia umana.
Un progetto che mi sto impegnando a sostenere è quello di un professore universitario che lavora nel campo dei “Ritmi Circadiani”: in parole
più semplici si tratta del nostro orologio biologico, il ritmo biologico interno che muta e
I problemi
si trasforma nell’arco delle ventiquattro ore e
maggiori io li
che, prima di tutto, corrisponde al ciclo della
ho di mattina,
luce e del buio. Per dire la verità siamo ancora
al risveglio, e
alle battute iniziali degli studi, però è un camquando vado
po che mi affascina molto.
a letto, per
In fase più avanzata è invece un altro progetto in cui sono coinvolto e che riguarda gli
questo ho
studi sul sonno. Dormire è essenziale per la
capito che
nostra qualità della vita; avere il sonno irreil segreto è
golare può peggiorarla notevolmente. Inoltre
dormire bene
l’alimentazione è importante: faccio ricerche
anche in questo campo.
I problemi maggiori li ho di mattina, al risveglio, e quando vado a letto,
per questo ho capito che il segreto è dormire bene. In qualche modo,
dobbiamo rendere confortevole e prevedibile la nostra vita, perché se una
crisi ci coglie impreparati, allora sono guai! Per quanto mi riguarda, la rigidità è il problema maggiore, e anche la difficoltà a rimanere concentrato
51
per lunghi periodi: la mia autonomia è di circa due ore.
In tutti i modi, dovunque io mi trovi, se per caso sento arrivare un attacco, cerco di non concentrarmi sull’irrigidimento; voglio dire, cerco di
fuggire con la mente. Ecco perché la routine in genere è un toccasana:
niente imprevisti, o il meno possibile.
Chi l’ha detto che la routine è noiosa? Ritmi
regolari. Impegni precisi. Tutti i giorni, a orari
Chi l’ha detto
che la routine stabiliti.
Di solito realizzo due prove estreme ogni
è noiosa? Ritmi
anno, e per il resto del tempo mi alleno per
regolari.
rimanere in forma, mantenermi in salute e
Impegni precisi. minimizzare i progressi della malattia. Vado
Tutti i giorni, a in palestra cinque giorni alla settimana, che è
orari stabiliti
anche l’occasione per incontrare un gruppo di
amici che si allenano con me e con i quali si
chiacchiera e ci si fa due risate.
Anche mia moglie fa ginnastica cinque o sei volte alla settimana, e
siccome è in pensione come me ha tempo di accompagnarmi e venirmi
a prendere. Nonostante ciò riesce a cucinare cose buonissime e si prende cura della casa. Ammettiamolo, pure lei come fenomeno non è mica
male!
Il mio orizzonte certamente è cambiato: non posso più, per esempio,
fare lunghe maratone o imbarcarmi per lunghi viaggi.
È per questo che le mie sfide hanno trasformato la mia percezione del
tempo: gli obiettivi a breve termine mi rendono più padrone del tempo,
e lo uso per quelle attività che mi piacciono senza avere l’impressione di
perderlo.
La malattia, è vero, interferisce con gli impegni quotidiani, per questo
ho capito che bisogna godersi i piccoli piaceri della vita e assaporarli.
Soprattutto bisogna essere positivi: la positività è importante per godersi la vita, che è fatta di piccole gioie.
52
“
Non avere paura della routine per
mantenere un regolare ciclo del sonno; dormire
bene è importantissimo.
„
53
Non rimandare
a domani
quello che
puoi fare oggi
54
C’
è un prima e c’è un dopo. Sono due parole, prima e dopo, che
tornano spesso. Prima del Parkinson e dopo il Parkinson. Vorrei però che
queste due parole fossero lette semplicemente per quello che sono, un
indicatore di tempo, un angolo che nell’ormai lungo percorso della mia
vita, della nostra vita, a un certo punto abbiamo svoltato.
Mi chiamo Roser, ho sessantuno anni e vivo a Barcellona con mio marito. Abbiamo due figlie grandi e quattro nipoti, che sono la mia gioia.
Avevo anche un gatto, anzi, per essere precisi, una gatta bellissima che si
chiamava Taca, molto amata da tutti. Taca era l’unica che mi viziava, che
si accorgeva quando stavo male o ero triste.
Puntuale, arrivava e rimaneva al mio fianco,
C’è un prima
dandomi baci. Nessuno se ne accorgeva, né
e c’è un dopo.
le mie figlie né mio marito che aveva già il
Sono due
Parkinson. Taca era un membro in più della
parole, prima
famiglia che, oltre a rendersi conto di tutto
e dopo, che
quello che mi accadeva, rallegrava la mia vita.
tornano
Quando si è ammalata siamo stati tutti malisspesso. Prima
simo, abbiamo dovuto ricoverarla in un ospedel Parkinson
dale veterinario e poi sacrificarla. Sono stata
e dopo il
così male che ho deciso che non avrei mai più
Parkinson
tenuto un animale.
55
Durante questi ventotto anni di Parkinson sono cambiate molte cose,
ma la relazione tra me e mio marito è sempre la stessa. Quello che è
cambiato è che stiamo praticamente sempre insieme, in casa o all’Associazione Parkinsoniana Catalana, di cui sono Presidente.
La necessità principale di mio marito è stare sempre con me, così è più
tranquillo. E il fatto di stare tutto il giorno insieme mi lascia a mia volta
più serena, così posso controllare costantemente le sue condizioni.
Lui fa le terapie, con il logopedista e il fisioterapista, e contribuisce
all’Associazione in qualità di tesoriere: è molto intelligente, faceva un
lavoro di grande responsabilità.
Quando a mio marito fu diagnosticato il Parkinson aveva trentasette
anni e all’inizio teneva il braccio nascosto come Napoleone! Così io mi
dissi: se la malattia è solo questo, allora tutto bene!
In realtà la mia reazione era stata buona perché non ne sapevo quasi
nulla. Lui lavorava ancora e io mi trasformai nel suo autista: lo accompagnavo e l’andavo a prendere al lavoro. Con il passare del tempo però
la cosa si complicò, aveva dei movimenti involontari così esagerati che si
ruppe persino il polso. Per strada o al ristorante la gente non smetteva di guardarci e
Mi piace molto
in casa ci rendemmo conto che poteva fare
il lavoro
alcune cose e altre non più.
all’Associazione,
Tuttavia, questo non ci ha frenato e abbiaaiutare le
mo cominciato a lottare, a fare riabilitazione
persone ad
per rallentare i sintomi. Grazie al neurologo
andare avanti,
abbiamo cominciato a conoscere meglio il
perché mentre
Parkinson ed è il neurologo che ci ha presenaiuti gli altri
tati all’Associazione nella quale ormai lavoaiuti anche te
riamo da vent’anni.
stesso
Mi piace molto il lavoro all’Associazione,
aiutare le persone ad andare avanti, perché
mentre aiuti gli altri aiuti anche te stesso. Mi piace molto essere in contatto con la gente, capire le loro necessità e cercare di risolvere i problemi
e rassicurarli sul fatto che non sono soli, partecipare agli incontri durante
56
i quali ci scambiamo le esperienze e ci aiutiamo.
Prima lavoravo come amministratrice in una piccola impresa e poi
presso la Banca Catalana.
La mia routine adesso è il Parkinson. AiuSe potessi
tare mio marito e gli altri e appoggiare le riavere un’ora in
cerche.
più non farei
Il Parkinson ha certamente portato via temproprio nulla:
po alla mia vita, e sebbene incentivi continuarelax completo!
mente i caregivers a ritagliarsi un tempo per se
Un’ora in più
stessi, la verità è che io non ne ho mai.
per me oggi
Se potessi avere un’ora in più non farei procome oggi
prio nulla: relax completo! Un’ora in più per
mi pare un
me oggi come oggi mi pare un miraggio nel
miraggio nel
deserto!
deserto!
L’unico momento libero che ho è la mattina
presto, ma ne approfitto per andare in palestra
a fare un po’ di ginnastica. Dopodiché, normalmente vado all’Associazione. Prima avevo molto tempo da dedicare a me stessa, facevo sport, al pomeriggio andavo all’Istituto Nazionale di Educazione Fisica, accompagnavo le mie figlie a scuola, mi capitava di uscire a pranzo con le amiche,
poi andavo a prendere le bambine e le portavo a nuoto: sono state tra le
migliori nuotatrici della Catalogna! Insomma, facevo una vita tranquilla
e felice. Quando a mio marito hanno diagnosticato il Parkinson le ragazze avevano otto e undici anni, praticamente l’hanno visto tutta la vita
nelle sue attuali condizioni.
Oggi faccio quasi tutto io, anche portare la macchina dal meccanico, e
delle cose che facevo un tempo non è rimasto quasi nulla.
Me per il resto la nostra vita non è cambiata, è sempre felice, cerchiamo
di fare una vita normale. Ci piace andare a teatro e al cinema e a cenare
fuori, anche con gli amici. Spesso andiamo allo stadio a veder giocare il
Barça, che è una nostra passione. Io sono nata a Barcellona, è la città che
amo di più e dove mi sento bene; è una metropoli, ma è anche una città
di mare, con una forte energia della natura, la spiaggia, i colori del tra57
monto e dell’alba. A me piace l’arte, e Barcellona ne offre molta, oltre ai
giardini e a una splendida architettura. Davvero mi piace la sensazione di
essere parte di questa città mediterranea, così
caratteristica e insieme così aperta al mondo.
Nel Parkinson
Del resto, non smettiamo di fare progetti, ci
non tutto è
piace viaggiare e lo facciamo appena possibile,
negativo: a me
e poi siamo felici perché casa nostra è ancora
ha insegnato
il centro delle riunioni di famiglia. Vediamo
a guardare le
ancora gli amici di prima, riusciamo a fare
cose da una
qualche vacanza insieme. E quando possiamo
prospettiva
andiamo a trovare i nostri nipoti che vivono
differente e a
fuori Barcellona.
lasciar perdere
Penso che dopo ventotto anni di malattia
le stupidaggini l’effetto che facciamo sulla gente sia positivo,
perché nel Parkinson non tutto è negativo: a
me ha insegnato a guardare le cose da una prospettiva differente e a lasciar perdere le stupidaggini. E poi ho conosciuto molta gente carina.
Bisogna approfittare dei bei momenti, dei momenti in cui si sta bene.
E lasciarsi alle spalle la paura: noi cerchiamo di vivere la nostra vita senza pensare al domani. Infatti dico sempre: non lasciare a domani quello
che puoi fare oggi. Vivi il presente e non pensare al futuro. E a chi entra adesso in questa avventura dico di non preoccuparsi eccessivamente:
quando è successo a noi c’erano ancora pochi farmaci, ma adesso le opzioni sono molto maggiori e si può adattarle alle proprie necessità.
58
“ „
È importante che tutta la famiglia sappia
cos’è il Parkinson, in modo da affrontarlo tutti
insieme.
59
Risalire
la corrente
e non
fermarsi
mai
60
N
on immaginatevi il pescatore placidamente seduto su una sedia
da campeggio, cappello floscio in testa e un tranquillo lago di fronte, la
cui unica preoccupazione è aspettare che la canna cominci a tirare perché
allora vuol dire che il pesce ha abboccato.
No, quello non sono io. Per me la pesca vuol dire avventura; non parlo
di Indiana Jones o chissà che, ma il piacere della scoperta sì, l’entusiasmo
di andare in cerca di scenari incontaminati, riscoprire luoghi dimenticati.
Però non vado da solo; per sicurezza c’è sempre mio fratello.
Ho sessantatré anni e il fatto è che da qualche anno con me c’è anche il Parkinson, una
Per me la pesca presenza non così ingombrante ma con la
vuol dire
quale, da subito, ho dovuto fare i conti. È coavventura
minciato in modo molto singolare: non riuscivo più a chiudere una palpebra. Dopo aver
superato il problema, i disturbi erano così lievi che non ho avuto particolari reazioni, non mi sono né disperato né sono entrato in panico.
Anche l’evoluzione è stata molto lenta, finché all’inizio del 2012 mi sono
sottoposto all’intervento per installare l’apparecchio della Stimolazione
cerebrale profonda, anche detta DBS. Da quel momento i miglioramenti
sono stati tali che ho finito per sottovalutare il problema. Adesso invece
mi rendo completamente conto dell’ineluttabilità del Parkinson, per cui
61
ho cominciato a combatterlo con la fisioterapia e la ginnastica. Oggi i
fastidi maggiori li ho infatti nella deambulazione, nella postura e in una
stanchezza generale: altri sintomi, come il tremore o la perdita dell’equilibrio, sono quasi inesistenti, così come praticamente non mi succede mai
di bloccarmi durante la giornata. Non sono il primo caso in famiglia:
a mia madre fu diagnosticato il Parkinson a
ottant’anni, e morì a novantacinque.
Non sono il
Vengo da Cogne, un paesino di montagna,
primo caso in
in Valle d’Aosta, decimo di undici figli. Lì ho
famiglia
le mie radici: quando ci torno dormo ancora
nel letto dove sono nato. Dal 1974 però vivo a
Milano, sono sposato felicemente e ho quattro figli! Faccio l’editore, guido una piccola casa editrice, ma sto per ritirarmi dal lavoro. Finalmente
avrò più tempo per pescare.
La pesca è una passione di famiglia: da ragazzo accompagnavo i miei
fratelli in battute di pesca nelle nostre zone, dove c’erano un sacco di possibilità, vallate con bellissimi corsi d’acqua, siamo stati veramente viziati.
Poi, con il lavoro e la famiglia - e quattro figli non sono una passeggiata
- ho comunque cercato di non perdere la buona abitudine. Ora che i figli
sono grandi, almeno un giorno alla settimana cerco di dedicarlo alla mia
passione. Mio fratello e io prendiamo la macchina e via!
Pratico la pesca a spinning, cioè uso esche artificiali, e le mie prede preferite sono le trote. L’abitudine fin dall’infanzia di pescare in montagna,
risalendo ruscelli e fiumi, mi ha portato naturalmente a scegliere questo
tipo di pesca nel quale bisogna affrontare e superare le difficoltà del terreno, superare le cascate arrampicandosi e aiutandosi con i rami, gli alberi
e soprattutto cercando di evitare di finire in mezzo ai rovi e alle spine! In
quei momenti, mio fratello e io condividiamo tutto, la delusione per una
trota che ci sfugge oppure la felicità della cattura. In quei posti, inoltre,
una gioia si aggiunge alle altre: quella della solitudine. Spesso siamo solo
noi due, non incontriamo nessun altro. Piuttosto ci imbattiamo nei resti
di una civiltà contadina ormai abbandonata: terrazzamenti, mulini, canali, sentieri e ruderi quasi sommersi dalla vegetazione.
62
Le nostre mete predilette sono la Valle d’Aosta – dove ci sentiamo
davvero a casa nostra, ci pare di conoscerla in ogni anfratto, anche se ogni
volta scopriamo posti nuovi, è incredibile – e la Liguria, che è una regione
fantastica, montagnosa e insieme fatta di tante piccole valli che portano
al mare.
L’Italia ha davvero degli scenari fantastici, e spesso sono i più sconosciuti, lontani dalle città e anche dai luoghi “naturali” più noti: solo con
questa voglia di scoperta si incontrano i gioielli dimenticati di questa
penisola. Le emozioni che provo, che proviamo in quei momenti, sono
indescrivibili. Lanciare nel posto giusto e prendere la trota, e poi il piacere
di essere immersi in quella bellezza selvaggia: dove dietro a una roccia, in
fondo a un sentiero, capita di trovarsi dinnanzi a una cascata o una pozza
imprevista.
Oggi riesco a pescare ancora per sei o sette ore di fila, sebbene poi
il giorno dopo arrivi sempre il conto! Ma la
pesca, per me, non è soltanto un’attività fisiQuello che
ca che mi aiuta a muovermi, è soprattutto un
mi spaventa di
centro gravitazionale intorno al quale si conpiù, pensando
centrano la mia attenzione e i miei pensieri,
al futuro, è la
che fuggono così dal Parkinson.
perdita della
Non oso pensare a quando non potrò più
mia autonomia
farlo, ma è inutile anticipare: come si dice, a
ogni giorno basta la sua pena! La pesca rappresenta un tempo che riesco a riservare alla mia vita, la mia vita di sempre; e tuttavia, se potessi guadagnare del tempo, anche solo un’ora in più,
lo userei per combattere il Parkinson. Proprio perché quello che mi spaventa di più, pensando al futuro, è la perdita della mia autonomia. Una
lotta quotidiana contro le limitazioni che di volta in volta mi si piantano
davanti. Una lotta che non combatto da solo, ma insieme a mia moglie,
che mi è di grandissimo aiuto. Ma anche quello soltanto spirituale dei
miei figli, oggi sparpagliati per il mondo, è altrettanto fondamentale, e
anche quello dei due nipoti più grandi. Cerco di non rimpiangere quello
che non posso più fare, ma anzi apprezzare ciò che posso ancora fare. E
63
Organizziamo
un viaggio
all’estero,
soprattutto
nei Paesi
nordici, per
sperimentare
una pesca un po’
diversa
anche qui la pesca è un alleato prezioso.
Una volta all’anno, abbandoniamo le amate
vallate e ci spingiamo più lontano, organizziamo un viaggio all’estero, soprattutto nei
Paesi nordici, per sperimentare una pesca un
po’ diversa, dove anche i pesci sono altri, come
per esempio i lucci e i persici. Quest’anno andremo alla scoperta dei laghi finlandesi. Non
vedo l’ora!
64
“
Cercare di vivere a fondo il presente
apprezzando quello che si ha. Se infatti ci si guarda
attorno, a una certa età moltissime persone hanno
dei problemi. E il Parkinson è solo uno di questi!
„
65
Il sonno
È lo specchio
della vita,
di una vita
sana
66
N
oi medici veniamo a contatto con molti tipi di sofferenze, continuamente. Ci sono quelle fisiche che, anche se intense, sono talvolta le
più “ovvie” e le più riconoscibili, mentre quelle morali, quelle che derivano da un’altra malattia o da un dolore, un lutto, un abuso, le sofferenze
psichiche, sono per me più difficili, sono quelle che, in un certo modo, mi
“consumano” di più. Ne vediamo tante, tutti i giorni.
Facendo questo lavoro la percezione della vita cambia, anche se lo fa
lentamente, e quando alla sera torno a casa, e
mi rendo conto che c’è più salute che malattia,
Noi medici
mi sento una donna fortunata.
veniamo a
Vivo in una grande città del nord, ho quacontatto con
rantadue anni, un marito, due figli piccoli e
molti tipi di
avevo un cane che adoravo: quando è morto,
sofferenze,
lo scorso gennaio, ha lasciato un vuoto enorcontinuamente me in tutti noi, era il compagno di una vita,
quattordici anni insieme.
Sono neurologa in un ospedale. All’inizio, ho lavorato sull’epilessia,
appassionandomi all’elettroencefalografia come metodo per indagare le
funzioni del cervello. Sono sempre stata affascinata dalle potenzialità
del cervello umano; le funzioni e le capacità del nostro sistema nervoso
centrale sono davvero incredibili. Poi mi sono dedicata alle applicazioni
67
alternative dell’elettroencefalografia, studiando principalmente il coma e
il sonno, i cui disturbi occupano oggi quasi interamente la mia attività
lavorativa.
È questa la ragione per cui tra i miei pazienti ci sono spesso parkinsoniani o persone affette da “parkinsonismi”. Il sonno, infatti, è uno degli
aspetti più colpiti nel Parkinson: si soffre di insonnia, si soffre della “sindrome delle gambe senza riposo” (cioè la necessità di muovere continuamente le gambe, nel letto, per alleviare un senso di dolore, di formicolio,
di fastidio) e si soffre di apnee notturne, cioè la respirazione si interrompe
o rallenta mentre si dorme, rovinando il riposo. Lavoro anche sul cosiddetto “disturbo comportamentale della fase REM” che provoca movimento durante il sonno: in parole più semplici significa che si “fa” ciò che
si sta sognando; muovere le braccia, le gambe, parlare, addirittura alzarsi,
o gridare. Esistono degli studi che dimostrano come questo tipo di manifestazione possa talvolta precedere l’insorgenza della malattia. I parkinsoniani soffrono
Il sonno,
particolarmente per i disturbi motori e a cauinfatti, è uno
sa della limitazione della loro autonomia, ma
degli aspetti
non bisogna sottovalutare i disturbi del sonno,
più colpiti nel
così gravi da provocare una sonnolenza diurna
Parkinson:
che può modificare lo stile di vita e peggiorarsi soffre di
ne la qualità.
insonnia, si
Il lavoro sul sonno è affascinante. Duransoffre della
te la giornata eseguo i referti a partire dalle
“sindrome delle polisonnografie e dagli elettroencefalogramgambe senza
mi, e visito i pazienti. Capita che lavori anche
di notte: registriamo il sonno in un ambienriposo”
te protetto, in modo da acquisire dei tracciati
polisonnografici. Guido una équipe con due medici più giovani e cinque tecnici di neurofisiopatologia, e ovviamente rispondo a un primario.
Spesso capitano tra noi anche dei giovani che si stanno specializzando o
che stanno compiendo un dottorato.
La mia professione ha cambiato la mia percezione del tempo. Adesso
68
sono appena rientrata dalla maternità, dunque ho un orario ridotto, ma
in genere entro in ospedale alle sette e mezzo del mattino e non esco fino
alle sei del pomeriggio. Ho avuto un periodo di attività intensissima che
non mi lasciava spazio al di fuori del lavoro. Adesso no. Adoro il mio
lavoro e gli dedico tantissime energie, ma quello che c’è al di fuori è fondamentale. Perdermi la crescita dei miei figli sarebbe una cosa che non
mi perdonerei. Giocare con loro è impagabile. Oppure sedermi e fare due
chiacchiere con mio marito, o uscircene noi due, quando si può e si riesce,
o magari con qualche amica.
Sono una ex-pianista e adoro la musica. La
Ho bisogno di
musica mi rilassa e quando ne ho bisogno mi
ricavarmi degli
fa concentrare. Sono una lettrice vorace. Amo
spazi, non mi
l’arte in tutte le sue forme. Quando posso mi
piace avere
dedico allo yoga. Insomma, ho bisogno di
le giornate
ricavarmi degli spazi, non mi piace avere le
“ripiene”: se
giornate “ripiene”: se potessi avere un’ora in
potessi avere
più al giorno, come una finestra da riempire,
un’ora in più al
deciderei di volta in volta cosa fare. Solo l’idea
giorno, come
mi fa respirare libertà! Anche la libertà di deuna finestra
cidere di non fare nulla!
da riempire,
Certamente però tra le mie passioni c’è andeciderei di
che il lavoro. La mia è una specialità che mi
volta in volta
mette di fronte le storie più diverse e variopinte. Sono patologie molto trasversali, nel
cosa fare
senso che seppur diverse hanno molti punti di
contatto. Come quella bambina che cercava di non uscire per evitare una
crisi cataplettica (cioè un tipo di grave debolezza muscolare) che la prendeva quando rideva con gli amici. Oppure quel preside “rinato” dopo la
terapia contro le apnee notturne: per forza, si addormentava regolarmente
durante la lezione ed era diventato lo zimbello della scuola! E poi penso
a tutti quei genitori di bimbi affetti da pesanti patologie cranio-facciali,
ai bimbi stessi, che vediamo ogni giorno e ci danno esempi di coraggio
incredibili. Le sofferenze dei bambini mi disarmano completamente, così
69
come quelle degli animali.
I pazienti non si
I pazienti non si devono sentire ignorati. Per
devono sentire questo è importante che si parli del Parkinignorati.
son, anche se i media generalmente danno più
importanza agli aspetti di maggior impatto
Per questo è
emotivo, le immagini visive più forti. Ma forse
importante
che si parli del è anche giusto così, ci vuole consapevolezza.
Noi medici dobbiamo infondere coraggio.
Parkinson
Ai miei pazienti cerco di trasmettere messaggi forti e chiari, innanzitutto la comprensione. Ci vuole empatia e un fondo di serenità.
70
“
Cercate sempre l’autenticità e la motivazione
profonda nelle cose che fate. Ciò fornisce
consapevolezza nella vita privata e nel lavoro,
permettendo di gustare nel bene e nel male ogni
momento, proprio perché lo si è scelto.
„
71
Verso l’ultima
maratona,
senza
guardarsi
alle spalle
72
P
er fortuna che il pub è vicino a casa. Mi scoccerebbe molto non
poterci andare quando ne ho voglia. Non che sia mai stato un fissato, ma
una pinta con gli amici per tirare il fiato dopo il lavoro non ha mai fatto
male a nessuno. Se capita, si guarda una partita in tv e se si vince si brinda
insieme. Non sto parlando di calcio, no, sto parlando di rugby. Quello è
la mia passione, il rugby. Anche se lo sport in generale mi appassiona.
Anche io ne faccio, ne ho sempre fatto.
Ricordo che è stata una delle prime cose che
È la mia
ho pensato quando ventisette anni fa ho scopassione, il
perto di avere il Parkinson: non è che dovrò
rugby. Anche
rinunciare allo sport? Non facciamo scherzi!
se lo sport in
Adesso di anni ne ho settantatré e, a Dio
generale mi
piacendo, non ci ho ancora rinunciato. Corro,
appassiona.
soprattutto. E faccio esercizio in palestra, mi
Anche io ne
alleno.
faccio, ne ho
Qui dove viviamo, a Romford, a nord di
sempre fatto.
Londra, ci sono un sacco di bei posti tranquilli dove andare a correre. Mi piace vivere qui.
Abbiamo un bel giardino e un cagnetto che ci scorrazza volentieri. Mia
moglie, Janette, è in pensione anche lei, faceva la sarta, una sarta davvero
brava. Ancora oggi le è rimasta la passione per il taglio e il cucito. Quan73
do ha tempo, naturalmente: io le do un po’ di lavoro extra, con le mie
necessità. Non è che le sia rimasto molto tempo libero.
Facevo l’agente di borsa, nella City, un lavoro super stressante, e tutto
sommato anche un bel lavoro; e mi è sempre piaciuto andarmene lontano
dal centro finite le contrattazioni. Qui non ci sono quella confusione, il
rumore, il traffico. Però il lavoro in città mi piaceva. Certo, non l’avrei
lasciato così presto, il lavoro, come mi è accaduto a causa del Parkinson. Sapete, nessuno assume cinquantenni con il Parkinson. O, almeno, è
molto difficile che accada.
All’inizio il Parkinson l’ho vissuto come una seccatura. Avevo questo
tremore al braccio sinistro. Non ci facevo quasi caso e per avere la risposta definitiva, la diaCon il
gnosi, ci sono voluti quindici mesi. Quando
Parkinson la
poi è successo, ormai mi ero come abituato
vita in generale all’idea, avevo convissuto con questa possibidiventa più
lità e non ho fatto gran fatica ad accettarla.
difficile da
Anche i miei amici e i conoscenti hanno reagestire. Tutto
gito bene, con affetto.
diventa più
Chi non l’ha presa bene è stata Janette: per
lento
lei la notizia è stata devastante. Ha avuto paura, credo che ne abbia ancora adesso. C’è sempre l’incognita del futuro. Per lei potrebbe voler dire assumersi un carico
ancora più gravoso di quello che già oggi si porta sulle spalle. Con il Parkinson la vita in generale diventa più difficile da gestire. Tutto diventa più
lento. Però lei è molto forte e c'è sempre a darmi coraggio quando serve.
Certo, a volte il coraggio manca, paure ne ho pure io: per esempio, il
timore di rimanere prigioniero in casa, di non poter andare in palestra o
al pub a bere un bicchiere. Quantomeno, non poterlo fare da solo, con le
mie sole forze.
Tutto considerato, sono fortunato: dopo ventisette anni in questa condizione potrebbe andare peggio, molto peggio. Sono le piccole cose a dare
fastidio.
Ricordo che cominciò con piccole sciocchezze, tipo non riuscire a chiu74
dere il primo bottone della camicia. Adesso ho qualche problema di salivazione e mi pare di essere diventato più piccolo, di essermi abbassato
di statura! Ma è possibile? E mi domando: è il Parkinson o non sarà per
caso la vecchiaia a togliermi qualche centimetro?
E non è l’unica cosa che mi ha tolto: a volte ho l’impressione che mia
moglie mi trovi meno attraente...
Comunque gli impegni non mancano: io e Janette abbiamo quattro
figli grandi e siamo nonni di ben sette nipoti! Quel poco di tempo libero che resta lo
Quel poco di
dedico in gran parte all’Associazione dei partempo libero che
kinsoniani dove presto il mio servizio come
resta la dedico
volontario. La sede sta a Brentwood, una
in gran parte
cittadina non molto distante da qui, sempre
all’Associazione
nella contea dell’Essex.
Un tempo leggevo molto, ma ora ho diffi- dei parkinsoniani
coltà a mantenere la concentrazione e quando mi rendo conto che sto rileggendo per la quarta volta la stessa pagina
mollo il libro e mi metto a giocare a Sudoku! Almeno lì non perdo la
concentrazione, non ho ancora capito come mai. Sarà che i numeri hanno
un potere sulla mente diverso dalle parole?
Insomma, di tempo ne resta poco e se avessi un’oretta in più a disposizione mi prenderei una dose doppia di tutte queste cose.
Un po’ di tempo se lo portano via anche gli attacchi. Non c’è un momento particolare della giornata. Però quando mi succede normalmente
vado a correre. Non c’è un segreto per riuscirci: semplicemente metto un
piede davanti all’altro come fanno tutti. E poi via! Per me è un fatto molto naturale, correre. Anche nella mia condizione. Anzi, adesso ancora di
più. Il vero esercizio fisico è la migliore medicina che esista.
E poi la corsa è sempre stata la mia passione, più del rugby e di tutti
gli altri sport: in tutti questi anni ho partecipato a diciotto maratone e
me le ricordo tutte, una per una, me le sono godute dall’inizio alla fine.
C’è qualcosa di profondamente bello nella maratona e che non si esaurisce nel fatto agonistico, nella competizione, nella gara. Certo, anche
75
quell’aspetto è affascinante: correre in mezzo
alla gente, e conoscerla.
Ma la corsa è qualcosa di solitario: sei tu
con il tuo battito cardiaco, sei tu con le tue
scarpe e la tua strada, le tue curve, gli obiettivi
che mano a mano ti imponi di raggiungere,
il rapporto che instauri con il tuo corpo e la
tua capacità di resistenza. Correre ti fa persino
guardare il posto dove vivi con altri occhi: i
percorsi diventano familiari, cose che prima ti
sfuggivano mentre corri entrano nel tuo campo visivo, è persino divertente.
Guai se non potessi più correre. A maggior ragione ora. Perché, per
certi versi, il rapporto con il corpo è messo in crisi, e dunque è molto
confortante sentire che posso ancora farcela.
Purtroppo però forse dovrò operarmi a un piede, probabilmente molto
presto. Questo sì che è un pensiero, una preoccupazione: non l’operazione
in sé, ma come andrà. Non ho chissà quali progetti per il futuro, ma di
certo vorrei poter correre la mia ultima maratona. Questa è una cosa che
voglio davvero tanto.
Sapete, mi piace pensare che il Parkinson non abbia influito molto sulla
mia vita, che non giochi un grande ruolo. Beninteso, se si eccettua il fatto
che quando vado al pub non riesco più a trasportare due drink contemporaneamente!
Se avessi
un’oretta
in più a
disposizione mi
prenderei una
dose doppia di
tutte queste
cose
76
“
Vorrei suggerire quello che dice sempre mia
moglie: bisogna cercare di restare indipendenti. Non
viziateci! Non metteteci nella bambagia! A questo
proposito, buttiamola sullo scherzo e impegniamoci
per fare una vita quanto più normale possibile.
„
77
Non È mai
troppo
tardi per
ricominciare
a sognare
78
H
o sempre avuto due grandi passioni, la chimica e i libri poli-
zieschi.
Da giovane pensavo di diventare scrittore, ma per fortuna ho incontrato
Teresa, che poi sarebbe diventata mia moglie: fu lei a obbligarmi a finire
l’università e a lasciar perdere la letteratura. Eravamo giovani, lei era molto bella (lo è ancora, passati quasi cinquant’anni).
Di giorno studiavo e di notte scrivevo. Teresa lesse un mio racconto
e poi venne ad assistere a un mio esame, quindi emanò il suo verdetto:
meglio che ti laurei, e pure in fretta! Così ho fatto. Mi sono sempre fidato
istintivamente di lei: questo è sicuramente un
segno dell’amore.
Una mattina mi
Così le ho creduto subito anche quando,
ha detto: «Max, sette anni fa, una mattina mi ha detto: «Max,
credo di avere
credo di avere il Parkinson». Qualcun altro,
il Parkinson»
al mio posto, le avrebbe risposto una cosa del
tipo: come ti salta in mente una cosa del genere? Ma trattandosi di Teresa ho dovuto crederle. E infatti aveva ragione.
Tempo dopo si ricordò che una sua zia, la sorella maggiore di sua madre, ne aveva sofferto anche lei. Ma poi era morta in un incidente stradale.
Sette anni fa lavoravo ancora nell’impresa dove ho passato gran parte della mia vita professionale a studiare e inventare colle. Intendo proprio col79
le: collanti, mastici, adesivi. Insomma, tutto quello che serve a rimettere a
posto le cose che si rompono. Teresa mi ha sempre chiamato “l’aggiustatutto”. E quando, tre mesi dopo quella mattina, un neurologo ci consegnò
la diagnosi nero su bianco, Teresa sentenziò: «Ora aggiusterai pure me».
Quel giorno però non le ho creduto, per la prima volta nella mia vita.
Lei fissava il neurologo negli occhi e io sentivo la terra franare sotto i
piedi. Teresa si era sempre presa cura di me. Come avrei fatto a farlo io?
Ho settantadue anni, mi chiamo Max. Abbiamo due figli grandi, Helena e Magnus. Helena ha due figli bellissimi,
La mia faccia Magnus ha due cani da caccia, anche se odia la
caccia ed è vegetariano. Magnus ha reagito alla
è cambiata,
notizia come me: è entrato nel panico. Helena
è rigida. Ho
invece come sua mamma. «Bisognerà cambiare
perso delle
un po’ di cose» ha detto semplicemente. «Riorespressioni, ho ganizzarci.»
perso le mie
Una sera, qualche giorno dopo, ho chiesto a
espressioni.
Teresa come aveva fatto a capire di avere il ParNon sono più io kinson e lei mi ha detto che non si riconosceva
più allo specchio. Anzi, ha detto: «Mi stupisce
che anche tu non te ne sia accorto. Non vedi che la mia faccia è diventata
una fotografia?».
Non capivo quello che voleva dire.
«È statica» mi disse, «la mia faccia è cambiata, è rigida. Ho perso delle
espressioni, ho perso le mie espressioni. Non sono più io. Sono una maschera di cera. Non te ne sei accorto? Per forza, non fai altro che leggere i
tuoi polizieschi e non ti accorgeresti se la vicina di casa fosse assassinata!»
Io non me n’ero accorto. Teresa la vedo uguale da cinquant’anni, da
quando ci siamo incontrati al corso di Chimica, che per altro lei abbandonò per diventare agronoma: sapeva che avrebbe ereditato una grande
proprietà nell’Hallertau bavarase dove, ho scoperto dopo, avrebbe voluto
riattivare la produzione del luppolo avviata dai suoi nonni. E così ha fatto.
«Va bene» le dissi, «ma come sapevi che quella rigidità della faccia voleva dire che avevi il Parkinson?»
80
«L’ho letto su internet» rispose.
«Non sapevo che usassi internet» le dissi.
Mi guardò quasi stupita. «Secondo te a che cosa serve avere dei nipoti
adolescenti?»
Da allora leggo meno e sto più attento a Teresa. Sei mesi dopo ho ottenuto un pensionamento anticipato dal lavoro e non lo rimpiango. Ho
inventato un sacco di tipi diversi di colle – per il legno, per la plastica, per
la ceramica, per la gomma, resistenti all’acqua, al caldo, al freddo – ma
non è che il mio lavoro mi sia veramente mai piaciuto. La chimica sperimentale, è vero, ha delle somiglianze con il poliziesco, insomma, si indaga
per ipotesi, però i brividi non sono certo quelli di Mike Hammer!
Ora mi dovevo dedicare a Teresa. La rigidità non riguardava solo la
faccia: in breve aveva difficoltà a fare molte cose prima normalissime. I
medicinali facevano effetto, ma davano anche una serie di effetti collaterali imprevedibili e che a volte peggioravano la situazione.
Nel giro di un paio d’anni non ho potuto più
allontanarmi da lei. Sto sempre con lei. L’acI medicinali
compagno a fare la spesa, dal medico omeofacevano
patico (che lei preferisce al medico generico),
effetto, ma
dalla neurologa che l’ha in cura, all’Associadavano anche
zione di cui facciamo parte e dove fa ginnastiuna serie
ca. Insomma, faccio tante di quelle cose... Mi
di effetti
capita di lavarle i denti, di allacciarle le scarpe
collaterali
(anche se ormai mette quasi solo scarpe senza
imprevedibili
lacci). Ultimamente si è messa in testa di voler
e che a volte
andare a stabilirsi in campagna e seguire da
peggioravano
vicino la coltivazione del luppolo. Dice che è
stufa di stare ad Abensberg e che lei si è semla situazione
pre sentita una contadina.
Quando siamo in campagna in effetti sembra stare meglio. Non può
più fare lunghe camminate, ma il cortile di casa è grande e ci sono gli
animali. Teresa adora le oche. E i cani. E i gatti. Recentemente abbiamo
fatto una riunione di famiglia per discutere della cosa: Magnus era scetti81
co, come me. Helena si è detta d’accordo con
la mamma. I nipoti erano felicissimi all’idea.
Siamo andati
E i due cani da caccia pure. Risultato: siamo
a vivere in
andati a vivere in campagna, che poi è il posto
campagna, che
dove Teresa ha trascorso tutte le estati della
poi è il posto
sua infanzia.
dove Teresa
Il luppolo di quella zona è uno dei più rinoha trascorso
tutte le estati mati. Teresa adora quella pianta e quel fiore.
Ne conosce ogni segreto. Non a caso, dice, è
della sua
fatto a forma di cuore. In campagna Teresa
infanzia
sta meglio. Non è che i suoi acciacchi diminuiscano; alla mattina ha bisogno di tempo,
deve sempre fare la ginnastica per tirarsi dritta perché tende a curvarsi
troppo, fa gli esercizi facciali che migliorano anche la sua iper-salivazione
(ci sono medicinali per questo), ma soprattutto l’aria di quelle colline la
stanca, e di sera si addormenta rapidamente. E dormendo prima il suo
sonno è migliorato. E io finalmente ho più tempo per scrivere il mio
romanzo giallo.
Scrivo ogni giorno per un’ora, dalle undici a mezzanotte, a volte comincio un po’ prima, a volte un po’ dopo. Ho sempre sognato di poterlo fare,
senza aspettarmi nulla, come puro divertimento.
82
“
Non trascurare alcun aspetto del Parkinson
e impara tutto quello di cui ha bisogno la persona
di cui ti prendi cura. Anticipando le sue esigenze
guadagnerai tempo ed eviterai lo stress.
„
83
Pensa a
combattere,
non a
vincere!
84
L
i puoi vedere correre sulla Vespa, in primavera, lungo una sponda
dei Navigli dove Milano comincia a diventare campagna. Oppure sbarcare, prima Hans e poi Tilda – lui che le lancia una delle sue mani forti a cui
aggrapparsi –, in un porticciolo delle isole Sporadi, sotto il cielo di luglio
che stringe Grecia e Turchia in un unico abbraccio color degli zaffiri.
Tilda e Hans amano infinitamente quel cielo. Amano il mare. Amano
andare in barca e starci tre mesi, da giugno a fine settembre. D’inverno
la barca riposa a Rodi, d’estate attracca a Simi, dove c’è la casa che hanno
impiegato tre anni a rendere abitabile e da più di venti ospita tre figli, sei
nipoti e gli amici che vogliono raggiungerli.
Tilda ha sempre amato le barche, ma non
Tilda e
come adesso. Quando da bambina, sul Lago
Hans amano
Maggiore, veleggiava insieme a suo padre,
infinitamente
non era sempre un divertimento. «Mi lasciava
quel cielo.
il timone quando il vento calava, il momento
Amano il mare
più difficile, e il più noioso!» Con Hans è arrivata la passione. «La barca è stato uno dei nostri grandi progetti. Prima le barchine che ci stavano tranquillamente sul
tetto della macchina, poi quella di sei metri e mezzo con cui siamo andati
dall’Isola d’Elba fino in Turchia, impiegandoci quattro estati.» La prima
tappa è Milazzo, quindi le isole ioniche, poi il Peloponneso e finalmente
85
la costa turca. Il blu del mare, la calce bianca delle case, il verde screziato e
pieno di riflessi della macchia mediterranea e degli ulivi; se ci sono colori
che raccontano Tilda e Hans, eccoli, sono questi.
A Milano, fuori dai vetri del loro accogliente appartamento pieno di
strumenti musicali, c’è un piccolo giardino, e i toni verdi, anche se l’inverno li rende metallici, entrano fin dentro, trasformano gli altri colori.
Tilda ha sessantasei anni. E come suo marito Hans, che ne ha settanta,
ha insegnato per tutta la vita, fino alla pensione. Lei economia e diritto,
lui geografia. In scuole sperimentali. «Perché lì c’era un pochino di libertà
in più.» Concetto, quello della libertà, che per Tilda ha confini indefiniti.
Per questo ha sempre aggiunto altri impegni a quelli quotidiani: il volontariato, dapprima dando ripetizioni oltre l’orario di scuola; poi tra le
carcerate, per educare alla salute e alla convivenza.
«Per me si tratta di uno scambio. Non ho mai pensato al volontariato
come a qualcosa tipo: eccomi, arrivo io ad aiutare! Ma ho sempre pensato
a quello che avevo io da imparare, anche a scuola, con gli studenti. Ora
sono quattro o cinque anni che invece affianco un’insegnante che lavora
con le mamme straniere, egiziane specialmente, oppure tunisine, ma anche giapponesi. È fantastico, si imparano un
sacco di cose. Recentemente ci hanno fatto
Concetto,
vedere come si indossa il velo!»
quello della
Tilda ha il Parkinson da quasi sette anni, ma
libertà, che per lo sa da cinque. Lei che è sempre stata «una
Tilda ha confini strimpellatrice di piano» ha capito che qualindefiniti
cosa non andava per via del braccio e della
mano destra, le dita che non riuscivano più
a imporsi sui tasti. «E la voce, bassissima... Io pensavo: che sollievo, finalmente non devo più urlare come a scuola per impormi sui ragazzi!
La verità è che non mi si sentiva quasi più. Così ho iniziato un corso di
armonica a bocca, mi hanno detto che fa bene ai muscoli facciali e mi
pare abbia funzionato. Ho ritrovato la voce.» Hans come sempre non l’ha
lasciata sola: si è iscritto pure lui, ma ha scelto la fisarmonica.
«Ci provo» ridacchia, e guarda la moglie. «Tilda è molto concreta. È
86
come se avesse detto: ho il Parkinson? Bene, devo fare queste cose qui.
Non: oddio, adesso cosa mi succede?!»
«È vero, sono molto pragmatica, forse perché ho avuto un’educazione
luterana... Qualche giorno fa sebbene nevicasse sono andata alla nostra
associazione e non c’era praticamente nessuno
tranne la mia fisioterapista, che insegna anche
Due
Pilates. Appena mi ha visto da detto: figurati
neurologhe, la
se Tilda non veniva!»
piscina insieme
Due neurologhe, la piscina insieme ad Hans
ad Hans e a un
e a un gruppo di amici, il Pilates, la fisioterapia
gruppo di amici,
due volte al mese, la ginnastica tutte le mattiil Pilates, la
ne. E poi l’armonica a bocca e il pianoforte, un
modello verticale che svetta nella stanza della fisioterapia due
volte al mese,
musica, una verandina affacciata sul terrazzo,
la ginnastica
dove c’è anche la fisarmonica di Hans.
tutte le
Tilda ha il vizio di riempire la sua vita come
mattine
una dispensa in vista dell’inverno e il tempo
si dilata come una borsa da stipare di viaggi:
e se ci guardi dentro, nella sua ci trovi quasi sempre un nuovo progetto,
un nuovo desiderio. «Certo, l’energia, nelle mie attuali condizioni, non
è più quella di prima, ma c’è l’aspetto positivo: per esempio avevo quasi
attaccato al chiodo il pianoforte e invece mi è tornata la voglia di strimpellare. Anzi, ci ho aggiunto un altro strumento. Cioè mi sono misurata
con altre cose: prima la ginnastica la facevo un po’ così, senza metterci la
testa, adesso sono più consapevole.»
«È molto utile che mi si facciano notare le cose, Hans lo sa. Gli dico:
preferisco che mi dai uno strattone per ricordarmi di stare dritta piuttosto che rimproverarmi! Se mi fai la ramanzina ti mando al diavolo, invece
di coglierlo come uno stimolo. Voglio dire, devi scuotere un po' le cose
- le attività, i trattamenti, qualunque cosa - e trasformarle in quello che
ti piace, non in qualcosa che viola il tuo tempo.» Per Tilda il tempo va
inventato, crede che sia utile capovolgere le cose. Con un’ora in più tutto
diventa un passatempo, anche le cure, la ginnastica; vengono trasformate
87
in qualcosa che le piace, che la diverte.
A proposito di tempo. Tra qualche settimana, dopo Pasqua, Tilda e
Hans partiranno di nuovo per la Grecia, un assaggio dell’estate che li
aspetta. Vogliono visitare il nuovo museo dell’Acropoli ad Atene. «Pare
che dentro ci sia un modello del Partenone ricostruito, ma contemporaneamente vedi quello vero, fuori, dicono che sia bellissimo.» E poi c’è
da controllare che sia tutto ok con la barca.
Quella che hanno adesso è con loro da tre
Per Tilda
anni, è la più grande che hanno mai avuto,
il tempo va
misura trentasei piedi, undici metri, si può atinventato,
traversare l’oceano.
crede che
«Quest’anno forse avremo con noi solo i nisia utile
poti, il che è meglio.» Tilda ride.
capovolgere le
«L’anno scorso mio figlio si è portato pure
il cane! Però uno dei miei nipoti adesso ha
cose
quattordici anni e preferisce stare sull’isola, si
è fatto gli amichetti. Magari staremo a casa
più del solito.»
«Non vorresti mai scendere dalla barca, vero?» Hans la guarda, le prende una mano.
«Certe volte invece ho paura. Due anni fa, ti ricordi che tempo? Con le
Cicladi non si scherza, a volte il vento è fortissimo. Ci facemmo aiutare
da un amico che lavora sulle barche. Ricordo che mi fece un massaggio
alle mani meraviglioso, si erano improvvisamente gelate!» Poi Tilda aggiunge: «C’è un movimento di ginnastica che faccio tutti i giorni, è come
se sferrassi dei pugni, e quando lo faccio ripeto ogni volta: Maledetto
Parkinson! Io non sono mai stata un tipo competitivo, ma un piccolo senso di sfida deve esserci. Non per vincere, perché, ahimè, non è possibile.
Ma non posso concedergli la libertà di bloccarmi. Ah, proprio no!».
88
“
Circondarsi di una rete fatta di specialisti e
amici, e non rifiutare l’osservazione di chi ci sta
vicino per accorgerci dei nostri cambiamenti fisici e
posturali.
„
89
Non
rinunciate
a dare e a
essere utili
agli altri
90
U
na scena apparentemente comune, un uomo con un bambino:
l’uomo è alto, e sebbene non sia affatto vecchio ha i capelli bianchissimi
che cascano sopra la fronte spaziosa; il bimbo indossa un giubbotto rosso
con due strisce gialle sulle maniche e un paio di stivali di gomma bianchi.
L’uomo sta fermo al centro della piazza di fronte alla cattedrale, anch’essa
tutta bianca; il bambino, suo figlio, corre e d’un tratto si ferma a guardare
se il papà lo segue, e ogni volta resta immancabilmente deluso. L’uomo
allarga le braccia come per giustificarsi, tenta di fare qualche passo. E lì
ho capito. Quell’uomo ha il Parkinson come me.
Ho studiato letteratura comparata, estetica
e
filosofia.
Ho insegnato per molti anni scritL’uomo allarga
tura creativa all’università. Mi sono frequenle braccia
temente chiesto se sia più difficile scrivere o
come per
insegnare a farlo. Per me scrivere è sempre
giustificarsi,
stato molto naturale.
tenta di fare
È curioso, perché la scrittura è una delle atqualche passo. tività più equivocate che ci siano: voglio dire,
E lì ho capito.
tutti pensano di saper scrivere, proprio perché
Quell’uomo ha scrivere, come camminare, è una di quelle cose
il Parkinson
che impariamo da bambini. Non è così? Alcome me
zati sulle due gambe, vai da qui a lì, corri! E
91
nello stesso modo: scrivi il tuo nome, scrivi cosa hai fatto oggi a scuola!
È come saltare in sella a una bicicletta: una volta trovato l’equilibrio, si
pedala per tutta la vita.
Invece, quando le persone, non solo i giovani, vengono a un corso di
scrittura creativa scoprono che non sanno scrivere. O meglio, scoprono
che non riescono a raccontare quello che volevano raccontare, scoprono
che non riescono a farsi capire. Succede pure parlando, no?
La scrittura è la mia passione, anzi, posso dire di essere uno scrittore
di professione. Ho pubblicato otto libri, sia romanzi che non, e ora sto
lavorando a un libro proprio sul Parkinson e la
scrittura. È un po’ un’ossessione.
Abbiamo
Ho il Parkinson da dieci anni, più o meno, e
un club di
la mia attività principale oggi è il volontariato
supporto,
nelle organizzazioni che se ne occupano, sia a
una pagina
livello locale che mondiale. Abbiamo un club
Facebook,
di supporto, una pagina Facebook, progetti di
progetti di
sostegno non solo per i pazienti ma anche per
sostegno
i familiari e i caregivers. Sono stato delegato
non solo per
in un sacco di congressi in giro per il mondo.
i pazienti ma
Mi capita anche di leggere e commentare gli
anche per i
scritti dei miei colleghi parkinsoniani.
familiari e i
È difficile raccontare e spiegare cosa sia veramente il Parkinson. I media normalmente
caregivers
affrontano i risvolti edificanti, positivi: storie
di coraggio, di chi scopre improvvisamente se stesso e i propri valori, chi
invece trova nuovi amici e passioni. Ho sentito spesso dire ai malati che i
mezzi di comunicazione dovrebbero raccontare tutta la storia delle persone con il Parkinson, compresa la fine, ma forse questo è troppo doloroso
per i media e per il pubblico.
A questo proposito, ricordo che mia moglie all’inizio era molto più
preoccupata di me! Non sapeva come comportarsi. Smise di toccarmi e
abbiamo continuato così per sei anni, senza quasi toccarci, finché abbiamo divorziato. Ma dopo un anno siamo tornati insieme. Io a quel punto
92
ero più maturo, abbiamo avuto una seconda luna di miele e ci siamo
sposati per la seconda volta! La mia identità prima era, come dire?, vaga.
Adesso so meglio chi sono, intendo dire, oltre a essere un professore universitario e uno scrittore. Sento, vivo di più le mie emozioni, ne sono più
consapevole, e ciò è anche un po’ rischioso perché tendo a “innamorarmi”
continuamente, a vivere passioni irrazionali – forse in questo i farmaci
hanno un ruolo (sintomi ossessivo-compulsivi?).
D’altra parte, io sto meglio con le donne, sono sempre stato circondato da donne, sono importantissime per la mia
visione della vita. Con mia mamma, che ha
Sento, vivo
ottant’anni, parlo ancora tutti i giorni, le dico
di più le mie
tutto!
emozioni,
Io e mia moglie abitiamo appena fuori dalne sono più
la capitale, in un appartamento al sesto piaconsapevole
no che occupa tre lati dell’edificio. È una casa
piena di luce naturale e con una vista che si
perde lontano. Amo la sensazione di luce e spazio perché ormai, da quando non lavoro più, sto molto a casa, mi capita di starci anche diversi giorni di seguito. Organizzo le attività di volontariato al computer, guardo
documentari su YouTube, film di produttori indipendenti, servizi sulla
violenza della polizia americana, sulla guerra in Ucraina, ma anche quelle
sequenze di gag e scherzi divertenti, mi rilassano...
A volte manca proprio l’energia: se potessi avere un’ora extra me ne starei sul letto a meditare e a tentare di risolvere i fondamentali problemi di
uno dei miei filosofi preferiti, Ludwig Wittgenstein, l’autore del Tractatus Logico-philosophicus. Di solito è nel pomeriggio e verso sera che ritrovo
la forza e la concentrazione per scrivere.
Oggi so qual è il momento giusto per radermi, vestirmi e uscire per una
passeggiata o per un giro di shopping. Viceversa, so bene quando è meglio restare in casa, recuperare le forze e il sonno, perché magari ho dormito poco e subito dopo pranzo la testa mi si piega su una spalla mentre
ancora sono seduto a tavola.
A volte non posso evitare di domandarmi come starò tra cinque o dieci
93
Con i compagni
parkinsoniani e
i colleghi delle
associazioni
cerco di
mantenere un
atteggiamento
positivo. Ridiamo
e scherziamo:
l’umorismo aiuta
a vivere meglio
anni. Ma in questi anni ho fatto molto più
di quanto mi potessi aspettare all’inizio: ho
viaggiato e scritto molto.
Con i compagni parkinsoniani e i colleghi
delle associazioni cerco di mantenere un atteggiamento positivo. Ridiamo e scherziamo: l’umorismo aiuta a vivere meglio. Anche
le mie storie spesso finiscono bene. Come
quella dell’uomo e del bambino davanti alla
cattedrale: il bambino torna indietro, prende la mano di suo padre e lo conduce con
sé verso la scalinata che scende al lungomare
illuminato da un bellissimo sole.
94
“
Siate gentili con voi stessi e con gli altri. Non
rinunciate a dare. Aprite una porta, portate una
borsa, regalate una moneta. C’è sempre qualcuno
meno fortunato di noi: potrete essere il suo eroe e
la stella della vostra stessa vita.
„
95
Sulle
tracce delle
lucertole
giganti
96
M
io padre aveva già smesso di lavorare quando gli è stato diagnosticato il Parkinson. In seguito ho saputo che era cominciato molto
tempo prima. Credo che oggi abbia settantacinque anni, dico credo perché lui ha sempre fatto mistero sulla sua vera data di nascita. È nato a
Malaga, ma i miei nonni scapparono in Svizzera, a Losanna. A quel tempo c’era la guerra e l’anagrafe andò distrutta dalle bombe. Suona come
qualcosa uscito da un romanzo, lo so, ma questo era mio padre. E non
a caso, per tutta la vita, ha fatto il professore di letteratura e storia nelle
scuole superiori.
Sono tornato a vivere con lui a Losanna da quando mia madre è morta,
circa tre anni fa. È morta improvvisamente per un ictus. In quel periodo
vivevo in Spagna, una terra con la quale abbiamo sempre avuto stretti legami fin da quando ero piccolo. Mio padre si sente ancora uno spagnolo
del profondo sud. E anche io, a dire il vero.
Però, siccome faccio il regista pubblicitario,
Sono tornato
vivevo a Madrid, dove succedono le cose e c’è
a vivere con
movimento. Malaga è stupenda, ma è un po’
lui a Losanna
provinciale.
da quando mia
Stavo girando uno spot quando giunse la
madre è morta,
telefonata in cui mio padre mi annunciava
circa tre anni fa che Pepita non c’era più. Pepita era il sopran97
nome di mia mamma. Si chiamava Pilar e da giovane aveva recitato in
teatro. Il papà dice che assomigliava a Lauren Bacall.
In ogni caso era molto bella.
Volai a Losanna e trovai mio padre in uno stato catatonico. Notai che
aveva assunto una postura, anzi, una forma, che lì per lì mi fece pensare
a una tartaruga dei cartoni animati. Come se un guscio invisibile, però
pesantissimo, gli gravasse sulle spalle, sulla schiena; e lui cercasse faticosamente di mettere fuori la testa. Non era semplicemente ingobbito, era
qualcosa di diverso. Quando entrai in casa lo trovai seduto al tavolo della
cucina, e pensai che quella mia impressione era dovuta alla sua posizione;
ma quando mi alzai vidi che non era così, si stava proprio richiudendo...
come un libro. E poi la cucina pareva soffocare nell’aglio, cosa che mi
parve molto strana, perché era chiaro che mio padre non toccava cibo da
giorni. Capii solo più tardi: era puzza di sudore.
Un mese dopo lo portai dal dottore per la faccenda del sonno: era sempre stato insonne, ma ultimamente proprio non chiudeva occhio. Il medico, che per altro era un suo amico, mi chiese se il papà mi avesse raccontato dei loro ultimi incontri. In sostanza erano circa sei mesi che gli
consigliava di vedere un collega neurologo. A casa avemmo una discussione. Mi disse che anche la mamma sarebbe
stata contraria.
Si stava proprio
«Contraria a cosa? Non ho capito» gli chiesi.
richiudendo...
«A vedere un neurologo. Quelli ti vogliono
come un libro
sempre aprire la testa.»
Gli dissi che non credevo a quello che diceva. Figuriamoci se la mamma, che era la persona più razionale della terra
(per quello aveva abbandonato il teatro per sposarsi un professore), si
sarebbe opposta di fronte a una cosa così importante!
Alcuni mesi dopo la diagnosi era fatta. Parkinson. Nessuno in famiglia
ne aveva mai sofferto. E il papà non voleva saperne. Il neurologo passò il
testimone a una collega giovane, che pareva appena uscita dall’Università.
O così sembrava. Era piccola di statura e con un volto interessante. Disse
che quella postura del papà è detta “camptocormica”: è una perdita di
98
tono muscolare che provoca il ripiegamento e persino il restringimento
della cassa toracica.
«Facciamo così» disse a mio padre. «Diciamo che lei ha semplicemente
bisogno di raddrizzarsi e di rilassarsi un po’. Che ne dice?»
La dottoressa e mio padre si sorrisero: mi
piacque il sorriso di quella donna.
La dottoressa
Con la fisioterapia è tornato abbastanza
e mio padre
dritto: o meglio, non è questione di essere
si sorrisero:
dritto, ma di essersi come “riaperto”. La dotmi piacque
toressa lo segue molto per i medicinali, ma lui
il sorriso di
non è troppo regolare. Non sopporta gli effetti
quella donna
collaterali.
Il papà ha sempre avuto la passione della bicicletta e mi ha confessato che erano due anni che non aveva più la forza
di andarci. Adesso, ogni tanto, facciamo una passeggiata sul lungolago.
Senza esagerare.
Quasi ogni settimana va a fare il suo giro al rettilario, l’altra sua passione, che a Losanna è uno dei più importanti d’Europa. Fin da quando
ero bambino ho visto mio padre interessarsi alle lucertole e ai serpenti.
D’estate, in Spagna, mi portava in campagna a osservare i ramarri sotto
un sole agostano che spaccava le pietre. Diceva che erano gli unici sopravvissuti di un’altra era del mondo, e per riuscirci avevano scelto una
strategia, quella di rimpicciolirsi. Milioni di anni fa erano brontosauri
immensi, adesso si nascondevano tra pietre non più grandi di un paio di
stivali. Anche noi, diceva mio padre, un giorno finiremo così: diventeremo piccoli e ci infileremo nelle fessure dei muri a secco, e finalmente quel
giorno rispetteremo questo pianeta e non daremo più fastidio a nessuno!
La passione gli era venuta da ragazzino dopo aver visto un film americano chiamato Jacaré, la storia di una spedizione avventurosa in Amazzonia alla ricerca di rettili giganti. Qualche settimana fa mi ha chiesto di
poterci andare prima di morire. Gli ho risposto che, primo, non sarebbe
morto così presto e poi che l’Amazzonia è davvero un po’ impegnativa!
«Non in Amazzonia! A San Paolo. C’è il maggior rettilario del Sud
99
America, si chiama Istituto Butantan.»
«Non so se puoi viaggiare fino in Brasile, papà.»
«Parlane con la dottoressa Luise.» E mi ha fatto l’occhiolino. «Magari
vuol venire con noi. Ho visto che la chiami anche quando non è strettamente necessario...»
Devo ammettere che, tra le cose che il papà ha perso in questi anni, non
rientra il suo spirito di osservazione!
Luise ha detto che, date le sue buone condizioni, non è una cosa impossibile per papà
Quando non va
al rettilario va affrontare un viaggio del genere, ma bisogna
prepararsi a puntino. Bisogna fare in modo
alla biblioteca che non ci siano sorprese.
della Facoltà
Ho chiesto a Luise se questo tipo di fissadi Geografia e
zione (parlo del viaggio) non sia da attribuire
legge qualsiasi al Parkinson, a qualche effetto collaterale delcosa sul Brasile la levodopa. Mi ha risposto che è un discorso
lungo e se per caso non mi andasse di affrontarlo a cena...
Nel frattempo papà si è messo in testa che questa cosa si farà. Quando
non va al rettilario, va alla biblioteca della Facoltà di Geografia e legge
qualsiasi cosa sul Brasile. Praticamente ormai sa tutto quello che c’è da
sapere; che San Paolo è fornitissima di cliniche e bravi medici e che se
io non ce lo porto ci andrà con un viaggio organizzato! È già stato in
un’agenzia di viaggi per un preventivo. Dice che lui ha fatto quello che
gli è stato chiesto, che ha fatto “il bravo bambino”, ma adesso è venuto il
momento di incassare il suo assegno: a che cosa serve tutta questa disciplina se non a guadagnare un po’ di tempo per fare un lungo e comodo
volo per San Paolo?
Luise è d’accordo con lui. E pare che verrà con noi.
100
“
Affrontare la cura come una sfida può essere utile.
Bisogna sempre inventare nuovi obiettivi da condividere.
Trasformare gli ostacoli in passatempo.
„
101
Come
Robespierre ha
rivoluzionato
la mia vita
102
R
oby non si chiamava nemmeno Roby, quando Michel l’ha visto
per la prima volta, era ancora Robespierre, il numero 49 del canile municipale di una piccola città del sud della Francia. Una cittadina che d’estate
si riempie di turisti e d’inverno ha un’aria piacevolmente malinconica.
Muso bianco, macchia nera intorno a un occhio, coda esageratamente
lunga. Michel ha subito pensato che avesse un musetto indifeso più adatto a un “Roby” che a un Robespierre. Era tempo che pensava di prendere
un cane. Non sa bene perché. Forse perché voleva sentirsi meno egoista.
Divorziato, con un figlio al liceo, negli ultimi
tempi Michel aveva iniziato a sentirsi solo.
Il primo
Il primo sintomo del Parkinson Michel l’ha
sintomo del
avvertito sei mesi dopo: faceva fatica a star
Parkinson
dietro a Roby. Improvvisamente, camminaMichel l’ha
re lo sfiancava, come tirarsi dietro un masso.
avvertito sei
Michel abita in una casa un po’ isolata, su per
mesi dopo:
una strada che si stacca dalla litoranea, dove lo
faceva fatica
sguardo è così ampio e libero da abbracciare
a star dietro a l’intera rada di Tolone. Un posto magnifico.
Roby
Nelle loro passeggiate, Michel e Roby scendevano lungo la collina e arrivavano fino a un
piccolo porto dove un tempo viveva una comunità di pescatori di ricci.
103
La diagnosi è arrivata a quasi un anno di distanza dal giorno in cui Michel ha portato Roby a casa sua. Un ingegnere di professione, non aveva
ancora cinquant’anni. All’inizio ha tenuto duro, poi è crollato. L’interesse
per la vita è scivolato via. Anche per Roby. Roby che era abituato a uscire
puntuale come un orologio, mattina e sera. E
nel weekend doppia razione. Belle abitudini
Michel
che in breve tempo si sono interrotte. L’unico
non aveva
giro che Roby faceva ora era intorno alla casa,
impedimenti
un piccolo giardino sterrato e quasi sempre
fisici evidenti.
ricoperto di aghi di pino. Capitava che gioAccadevano
casse con i figli della sorella di Michel, che
altre cose. Per ogni tanto venivano a trovarlo. Gli tiravano
esempio gli
un ramo, una palla di gomma, ma poi passapareva di non
vano ad altro.
riconoscere più
Michel non aveva impedimenti fisici evicerti odori
denti. Accadevano altre cose. Per esempio gli
pareva di non riconoscere più certi odori, ma
questo gli capitava da ben prima di sapere di
avere il Parkinson. Il neurologo gli ha spiegato che questo disturbo è
connesso alla malattia e si chiama “parosmia”, e nel suo caso poteva essere uno dei primi sintomi a essersi manifestato, ben prima della rigidità e
della stanchezza cronica. Si è convinti di sentire odori che in realtà non
esistono, odori fantasma. Oppure si scambiano certi odori per altri.
Michel è ossessionato dagli odori. Gli pare che tutto emani un cattivo
odore. I fiori non profumano più di fiori. La frutta non sa più di frutta. E
anche Roby ha cominciato ad avere un odore fastidioso. Il neurologo gli
ha dato una cura, che secondo lui non ha fatto molto effetto.
Michel inoltre era ansioso per il lavoro, perché gli era passata la voglia
di lavorare e gli pareva che di lì a poco la sua piccola impresa edile sarebbe
andata a gambe all’aria. Il neurologo lo ha mandato da uno psichiatra, che
lo ha giudicato depresso e lo ha sottoposto a una terapia farmacologica.
Stava un po’ meglio. Ma tutto gli costava fatica, una gran fatica, fisica e
mentale. Così ha deciso di dare via Roby. Dapprima se n’è fatta carico la
104
sorella: in fondo ha due figli ragazzini, che sono sempre stati affezionati
al cane, anche se suo marito non era molto d’accordo. Vivono in un appartamento.
Uscito di scena Roby, Michel ha affidato gran parte del lavoro a un
suo dipendente, un architetto giovane, ed è uscito raramente di casa. Il
figlio, diciottenne, si faceva vedere di rado, pertanto aveva cominciato a
mandargli email. Michel stava tutto il giorno davanti al computer e, per
qualche strana ragione, quello che non si era mai detto con suo figlio di
persona, hanno cominciato a dirselo attraverso le mail. Ha scoperto poi
che il figlio rispondeva dal suo smartphone, per questo motivo rispondeva sempre e in fretta. Michel si è comprato anche lui uno smartphone,
così sono passati alle chat. Ma anche le chat dopo un po’ si sono diradate,
le conversazioni erano sempre più brevi e asciutte. E un giorno, attraverso
suo figlio, ha saputo che Roby era tornato in canile: sua sorella non poteva più tenerlo, probabilmente a causa del marito. Non avevano avuto il
coraggio di dirglielo.
Quel giorno lui e suo figlio hanno litigato via chat: un litigio violento.
Vedere quelle parole dure, di suo figlio, scritte nel telefono a caratteri luminosi, lo ha sconvolto. Michel ha sentito di aver toccato il fondo. E ha
pensato che quello era lui, lui era sempre stato così: non era il Parkinson.
Michel ha capito che per tornare a vivere
doveva cominciare da qualcosa di piccolo, un
Michel ha
passo alla volta. Così ha deciso che doveva
sentito di
chiedere aiuto all’unico che non gli aveva mai
aver toccato
chiesto nulla: Roby.
il fondo. E ha
Si è fatto accompagnare dal suo giovane arpensato che
chitetto. E ha scoperto, con piacere, che potequello era
va ancora guidare senza problemi.
«Robespierre si è fatto male, nel frattempo»
lui, lui era
gli hanno detto al canile.
sempre stato
«Cosa si è fatto?»
così: non era il
«Una frattura alla zampa anteriore sinistra.
Parkinson
Ma ora sta meglio. È in riabilitazione.»
105
«Lo rivoglio indietro.»
«Guardi che Robespierre ha bisogno di fare
esercizio per rimettersi del tutto. Lei non ha
dimostrato di essere affidabile.»
«È il mio cane! Che tipo di esercizio?»
«Correre... veloce. Se fosse un cavallo direi
che deve andare al trotto.»
«Ogni giorno?»
«Sì, almeno un’ora al giorno. Lei è in grado
di farglielo fare?»
Michel ha sbirciato l’architetto giovane seduto di fianco a lui, poi ha
detto: «Certo, senz’altro».
«Guardi che verremo a controllare. Quella che le diamo è un’ultima
possibilità.»
Così, mettendosi al passo di Roby, Michel ha riconquistato piano piano
la strada. Ogni giorno, per un’ora.
Durante le loro lunghe passeggiate capita che Roby sparisca per qualche secondo dalla sua vista, ma quando Michel arriva in fondo alla curva,
il cane è sempre lì ad aspettarlo.
Mettendosi al
passo di Roby,
Michel ha
riconquistato
piano piano la
strada. Ogni
giorno, per
un’ora
106
“
Lavora sulla fiducia in te stesso. Non smarrirla.
Sfidati quotidianamente, datti un ostacolo da
superare, apriti a un nuovo desiderio, non crearti da
solo i tuoi limiti.
„
107
Riscoprire
il ritmo
della vita
con il tango
108
«B
ravo, ora la sacada, appoggia il piede, gira!»
Gaetano esegue il passo, con naturalezza, senza perdere la postura.
«E adesso la salida, così...» lo sprono, lasciando che sia lui a portarmi.
Siamo al centro della sala da ballo, sotto lo sguardo attento di mio marito Marco, che segue la lezione e alza il volume della musica, un tango
struggente e bellissimo.
Mi chiamo Elena, ho quarantré anni e sono coordinatrice infermieristica in un grande ospedale. Nello specifico, mi occupo della riabilitazione
di pazienti afflitti da malattie neuro-degenerative, come il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla, o di chi è stato colpito da un ictus.
A me piace proprio il rapporto con il paziente, non potrei lavorare in
sala operatoria o in terapia intensiva; mi piacciono le relazioni umane,
sentirmi di aiuto, anche fuori dal lavoro.
E pensare che nella mia famiglia sono stata la prima a intraprendere
una professione sanitaria. Fin da bambina giocavo a fare l’infermiera: ricordo che mi infilavo sulla testa la federa di un
cuscino, la fissavo con il cerchietto e stendevo
A me piace
la mia bambola sul tavolo della cucina!
proprio il
A dire la verità, mio papà non voleva che
rapporto con
facessi l’infermiera, era contrario: temeva che
il paziente
avrei passato la vita a contatto con la sofferenza
109
soffrendo io stessa. Infatti a sedici anni ho dovuto iscrivermi di nascosto
alla scuola professionale dell’Ospedale Niguarda di Milano. La firma ce
la mise mia madre. Ora è diverso, bisogna avere il diploma, all’epoca no.
Quando sono diventata davvero infermiera, tre anni dopo, con il massimo dei voti e la lode, mio padre gongolava di soddisfazione, era molto
contento. Mi piace moltissimo trasmettere le mie conoscenze agli altri, e
infatti poi ho cominciato a insegnare come tutor alla scuola infermieristica professionale.
Il lavoro però non è la mia unica passione. Amo ballare. Con mio marito Marco, che fa lo chef, ci siamo sempre concessi un giro sulle piste da
ballo: il liscio, oppure il valzer; anche se mi è sempre piaciuto ascoltare il
tango, autori come Piazzolla, Gardel, Osvaldo Pugliese, è una musica che
mi emoziona. Però ballarlo no, forse mi sembrava troppo difficile.
Non so dire se le due cose siano collegate, ma è stato solo dopo la morte
di mio padre, avvenuta nel febbraio 2005, che ho deciso di cominciare a
ballarlo. La sua era stata una malattia lunga, dolorosa, durante la quale gli
sono stata molto vicina, l’ho accudito più che ho potuto, non solo come
figlia, ma anche come operatrice sanitaria, e
ciò ha fatto molta differenza, anche per lui.
Il lavoro però
Così, presa la decisione, nel settembre di
non è la mia
quello stesso anno io e Marco ci siamo iscritti
unica passione. in una scuola di tango argentino. Non ho fatto
Amo ballare
alcuna fatica a trascinarlo, anzi: abbiamo capito subito che lì c’era qualcosa in più rispetto ai
balli a cui eravamo abituati, che il tango va interpretato e improvvisato.
Abbiamo scoperto un mondo! La cosa che ci piace tanto è la possibilità
di esprimerci ballando.
Il tango si fonda sul gioco dei ruoli, dove all’uomo spetta condurre. Però
di natura sono un po’ io quella che guida, che conduce, e faccio fatica a
non prendere l’iniziativa. Sul lavoro sono la caposala e mi considero un
po’ come una manager: coordino trenta infermieri e di solito ho a che
fare con quaranta pazienti in una volta. Ballando il tango invece posso
finalmente staccare la spina e abbandonarmi. Posso perdere il controllo
110
perché qualcuno mi sta portando. Ma non è una cosa passiva, anzi, ti senti
coccolato e protetto.
La passione per il tango è cresciuta a tal punto che tre anni fa io e
mio marito abbiamo preso l’abilitazione come maestri di ballo e abbiamo
aperto la nostra piccola scuola, dove insegniamo la sera, dopo il lavoro. All’inizio pensavaSono diversi
mo che ci sarebbe mancato il tempo per farlo,
i motivi per
poi invece ci siamo accorti che se lo riempi
cui il tango è
con qualcosa che ti fa felice, che ti soddisfa, il
adatto alla
tempo cresce, si dilata.
riabilitazione,
Siccome nel reparto dove lavoro nel fratspecialmente
tempo si era cominciata a sperimentare la
per i pazienti
riabilitazione con il tango, chiamata anche
malati di
“tangoterapia”, ho unito la mia competenza
Parkinson
riabilitativa alla mia passione, sviluppando un
metodo che adesso è parte integrante del programma di riabilitazione clinica. Capita anche che, sapendo della mia
esperienza, nella nostra scuola vengano a ballare dei malati di Parkinson,
come Gaetano.
Sono diversi i motivi per cui il tango è adatto alla riabilitazione, specialmente per i pazienti malati di Parkinson.
Innanzitutto per il tipo di controllo della postura che comporta e la
forte intenzionalità che intercorre tra il pensiero e il passo. È come se,
nelle sequenze che io faccio fare ai pazienti, ci fosse il tempo di calibrare
il movimento. In altre parole, si riesce a scomporre ogni segmento dell’azione: ho il tempo di ragionare, di pensare prima di muovermi, prima di
decidere che passo devo fare.
Uno dei disturbi cui è spesso soggetto il malato è il cosiddetto “freezing”, cioè il congelamento dell’azione, per esempio davanti a un gradino.
Nel tango il ciclo è fatto da un esercizio e poi una pausa, esercizio-pausa, stop-ripresa: il paziente può dunque simulare il passo nei momenti
di difficoltà che capitano nella vita quotidiana. Infatti mi è capitato di
vedere dei miei pazienti che, appunto per scendere un gradino, fanno
111
il passetto indietro, poi quello a lato, e quindi scendono. Proprio come
stessero danzando!
Il tango è una danza di determinazione. L’uomo deve avere le idee chiare su ciò che vuol far fare alla partner. Voglio dire, non può arrivare in
ritardo! E ciò vale anche per la donna: in tutti i casi il tango sveltisce il
pensiero, lo facilita, è come se rendesse chiaro il comando che dalla sfera
del pensiero è indirizzato a quella fisica.
All’inizio i pazienti mi guardavano stralunati, soprattutto gli uomini.
C’era molta perplessità. Poi ho cercato di far
capire che era divertente, si poteva fare grupCosì, pazienti e
po, e poi la musica è bella. Ovviamente tutto
fisioterapisti,
avviene sotto il controllo del medico, che ha
ci siamo messi a scelto quali pazienti erano in grado di parteballare il tango cipare e tutti hanno accettato. L’unico a dire
no è stato un signore vedovo, che mi ha confessato un segreto: quando sua moglie era viva non l’aveva mai portata a
ballare, non l’aveva mai accontentata, e ora non se la sentiva di partecipare
al ballo, perché gli pareva di tradirla.
Così, pazienti e fisioterapisti, ci siamo messi a ballare il tango. Ho scelto
dei passi facili, alla portata di tutti. E subito tra i pazienti accade qualcosa: scoprire che sono in grado di farcela, di ballare, li spinge a cambiare.
Come posso dire... ringalluzziscono! E lo notavo da un dettaglio: per fare
una normale seduta di riabilitazione vengono come sono, in tuta, senza
curare l’aspetto. Per il tango invece si cambiano: mettono il profumo, c’è
chi si fa portare da casa una camicetta con gli strass, chi una bella giaccia,
qua e là compare anche un colpo di rossetto. Insomma, ho capito che alcuni pazienti cominciano dal tango a ritrovare un nuovo modo di pensare
al proprio corpo, e dunque a una nuova vita.
112
“
„
Applica nella vita di tutti i giorni quello che
impari in fisioterapia e nella danza.
113
A volte È
solo una
questione
di profumo
114
E
ra capitato a uno dei miei più importanti clienti, un ottimo interprete del repertorio barocco che, per la chitarra classica, è uno dei momenti migliori della storia musicale. Io non lo vedevo già da un certo
tempo e un giorno seppi che si era ritirato, non suonava più. A volte
succede: alcuni musicisti preferiscono smettere di dare concerti, per le
ragioni più varie. C’è chi, per esempio, non sopporta più la tensione del
palco. Pensai a qualcosa del genere anche in
quel caso, poi seppi che aveva il Parkinson. Mi
Avevo
parve una tragedia e non ebbi mai il coraggio
arrancato per
di chiamarlo.
quasi tutto il
Cinque anni fa, dunque a quarantotto anni,
percorso
scoprii di averlo anche io.
Parlo della diagnosi, perché i primi sintomi
li avevo avuti un paio di anni prima. Ero in vacanza in Italia, sull’isola di
Stromboli, con quella che allora era mia moglie. Decidemmo di fare la
salita al vulcano, un’ascesa di settecento metri. Si tratta di una camminata
che comincia nel tardo pomeriggio e si conclude di sera. Non è un’impresa da specialisti, ma neppure una passeggiatina. E poi si resta fino a notte
fonda a osservare l’attività dei crateri. È uno spettacolo unico al mondo,
emozionante. Quella notte però non riuscii a godermelo. Ero esausto, ma
non in una maniera normale. Avevo arrancato per quasi tutto il percorso.
115
Sentivo degli strani crampi. Una fatica colossale.
Nei mesi successivi gli episodi si intensificarono, specialmente di rallentamento. “Rallentamento” potrebbe essere considerato un eufemismo:
in realtà non riuscivo a cominciare le attività più banali, come infilarmi i
calzoni o il maglione. Vivevo con il terrore che cominciassero anche i tremori. Era una vera paranoia. In più, ho sempre sofferto di claustrofobia e
mi rifiutavo di entrare nella macchina per la risonanza magnetica. Così,
approfondire gli esami era difficile.
Caddi in depressione, di cui avevo già sofferto una quindicina di anni
prima senza curarmi davvero; e anche adesso mi rifiutavo di andare dallo
psicologo. Secondo il mio medico, però, la mia depressione era di natura
nevrotica, cioè provocata da cause esterne. Forse aveva ragione, dal momento che mia moglie aveva deciso di lasciarmi: il nostro matrimonio
non navigava in acque serene già da tempo, però non mi sarei aspettato
quel tempismo! Comunque, nonostante la paura che il tremore aumentasse, non ho mai sofferto di ipercinesia, cioè movimenti frenetici e incontrollati di parti del corpo, come per esempio il braccio o le mani. Se
fosse stato così, avrei dovuto smettere di lavorare. Il che avrebbe davvero
rappresentato una catastrofe. In ogni caso tutto era più lento, faticoso,
difficile e non riguardava solo il fisico. Anche la mia testa funzionava
in un altro modo; era come se vivessi una separazione tra il pensiero e
le azioni. Prima le due cose coincidevano, ora vivevano due dimensioni
temporali separate. Era come se potessi guardarmi dal di fuori, una sensazione che dà le vertigini e qualche volta il panico. Anche adesso.
Ho dovuto diminuire il ritmo di lavoro.
Dopo la diagnosi ho sospeso la costruzione di
In ogni caso
nuovi strumenti, limitandomi alle riparazioni.
tutto era
Per fortuna i miei clienti sono affezionati, ho
più lento,
musicisti non solo tedeschi ma di tutta Europa
faticoso,
che mi vengono a trovare e, mentre faccio il
difficile e non mio intervento, approfittano per stare qualche
riguardava
giorno a Rothenburg, dove vivo e ho il labosolo il fisico
ratorio. È una splendida città medievale che
116
sorge lungo il fiume Tauber, una regione collinare, verde, ricca di storia.
Il tempo rubato al lavoro ho cominciato a impiegarlo camminando.
Ho cercato sostegno presso un’Associazione di parkinsoniani di una città vicino alla mia, ma era troppo stancante. Siccome non guido, dovevo
prendere l’autobus e la cosa mi spaventava.
Dopo un anno, il mio neurologo mi propose
Dopo un
di fare l’intervento per la DBS, cioè la Stimoanno, il mio
lazione cerebrale profonda: si tratta di un eletneurologo mi
trodo che viene messo nel cervello e che trapropose di fare
mite un generatore di impulsi, un pacemaker,
l’intervento
dovrebbe diminuire i sintomi. Mi disse che le
per la DBS
mie condizioni, relativamente buone, permettevano questo tipo di intervento. Chiesi un po’
di tempo per pensarci e alla fine dissi di no. Pensai che stavo abbastanza
bene, a livello fisico, e il mio problema era più a livello psichico. Avevo
riflettuto proprio in quel periodo sul fatto che, tranne alle persone più intime, non avevo detto nulla a nessuno. Quasi nessun cliente, per esempio,
lo sapeva. Quando mi domandavano una chitarra nuova e rispondevo di
no, mi giustificavo dicendo che soffrivo di una forte tendinite e che non
potevo lavorare il legno. Siccome a bottega non ho mai preso nessun lavorante, i clienti mi credevano. Continuavo a fare le mie passeggiate, soprattutto in primavera e autunno, che dalle nostre parti è la stagione più
bella, a fare riparazioni e ad ascoltare musica. Faccio infatti parte di una
società concertistica locale e organizziamo serate in case private, come le
antiche accademie, con bravissimi giovani musicisti.
Qualche mese dopo, era mattina presto, ricevetti la telefonata del chitarrista che aveva avuto il Parkinson prima di me. Non lo sentivo da
diversi anni. Mi disse che era di passaggio a Rothenburg con suo figlio,
se avevo tempo di riceverlo. Lì per lì, non so perché, risposi che stavo per
partire. Non so quale paura mi avesse dettato quel comportamento! Il
giorno dopo lo richiamai e gli dissi di venire quando voleva.
Quel pomeriggio entrò in laboratorio e stentai a riconoscerlo. La sua
faccia non era più la stessa: era scavata, lucida come sapone e la bocca
117
pendeva da un lato. Le labbra erano esageratamente umide, dovute all’eccesso di salivazione. Il ragazzo avrà avuto ventuno, ventidue anni e dopo
qualche minuto disse che andava a farsi un giro e che sarebbe passato a riprendere il padre dopo una mezz’ora. Gli chiesi il motivo della sua visita e
lui mi rispose che aveva nostalgia dell’odore del mio atelier. Gli mancava
il profumo dei fogli di legno. Disse che era un profumo così speciale, «il
profumo del mio passato», disse. Era stato colto dal desiderio improvviso
di riassaporarlo.
Rimanemmo un’ora, più o meno, a osservarOra dopo ora,
ci nella penombra del mio studio, dopodiché
siamo già alla
il figlio se lo portò via.
quinta chitarra
Prima che se ne andasse, gli avevo chiesto
come stava e lui aveva risposto che stava molto bene. Non mi chiese come stavo io: e io non dissi nulla. Questo succedeva circa due anni fa.
Dal giorno successivo ho ricontattato l’Associazione e ho cominciato
a frequentarla di nuovo. Sentivo di aver bisogno di ritrovare la forza per
costruire una chitarra. Senza strafare: cominciare con un’ora di lavoro al
giorno. In sei mesi avrei avuto in mano un nuovo strumento nel quale,
su quei bei foglietti color avorio nascosti nella cassa armonica, apporre al
lavoro la mia firma.
Ora dopo ora, siamo già alla quinta chitarra: è una nuova serie di strumenti che ho deciso di battezzare Perfume. Forse sono le migliori chitarre
che abbia mai costruito.
118
“
Non aver paura di affrontare i passi necessari
per stare meglio. Più conosci le tue reali condizioni
e possibilità, più sarà semplice riprendere la tua vita
normale.
„
119
Il tempo è
galantuomo,
ma impariamo
a farlo nostro
120
I
l tempo ha bisogno delle lancette
Per far sentire la sua voce,
col suo tic
col suo tac
fa scandire i giorni
sapendo che
i fatti lasciano il segno
i sentimenti i sogni.
Scrivo poesie, amo la poesia. Questa l’ho intitolata Tempo, segni e sogni.
Con il tempo ho stabilito una relazione nuova, che cambia di giorno in
giorno e non è mai scontata. Per essere proprio sincero, ho sempre cercato di governare il tempo (quale presunzione!), di riempire i suoi spazi
e trasformare quello libero in mille impegni. Dopo l’impatto con il Parkinson mi sono reso conto che ciò che facevo prima, per esempio lavarmi
e vestirmi, poteva essere realizzato ugualmente ma con un po’ più di tempo, e ho creduto
Con il tempo
di poterlo controllare a mio piacimento. Gli
ho stabilito
stratagemmi che mettevo in pratica erano
una relazione
sottili e per un po’ mi hanno lasciato credere
nuova
che la vittoria potesse essere mia.
121
Povero illuso! Il tempo sa aspettare e, come si dice, “lasciando tempo al
tempo” c’è voluto poco per ammettere, quasi a capo chino, che si possono
anche rubare i minuti o le ore da tanti singoli momenti, ma non sarà per
sempre.
Se prima anticipavo la sveglia per consentire le ovvie consuetudini, ben
presto i limiti si sono fatti strada, imponendo la logica delle cose, dimenticando la frenesia, la voglia e il dovere di fare, tipico della giovane età. Ho
dovuto percorrere il sentiero di una difficile
accettazione del mio male, per poter giungeÈ un percorso
re alla matura consapevolezza che esso pone
dove la
dei limiti. È un percorso dove la scansione del
scansione del
tempo vince sulle mie astuzie e sui miei detempo vince
sideri; un cammino dove la mia volontà deve
sulle mie
saper fare i conti con la realtà della vita.
astuzie e sui
In questa nuova realtà ho imparato ad atmiei desideri
tendere “l’entrata in circolo” della levodopa
quotidiana che obbliga a riconoscere i limiti
imposti dal male: inutile andare a uno scontro dove il volere non potrà
più essere un sensato potere! È solo un gioco di parole, anzi, un gioco di
verbi all’infinito che però dimostra la maturità di chi, nella sua saggezza,
capisce che bisogna fare dei sacrifici.
Ecco perché se avessi un’ora in più non farei nulla di diverso da quello
che faccio adesso: vale a dire confrontarmi ogni giorno con Lui e tentare
di riempire il tempo con i miei impegni di sempre. Il Parkinson è una
malattia progressiva e per questo il rapporto con il futuro non è facile: naturalmente ho paura che un giorno non sarò più autosufficiente.
Il concetto di futuro preferisco sostituirlo con la concretezza di un atto
immediato.
I progetti servono a questo.
Mi chiamo Tony, ho cinquantacinque anni e vivo a Messina, in Sicilia,
con mia moglie e le mie tre figlie. Ho fatto per molti anni il chimico e
poi l’informatore scientifico, occupandomi, ironia della sorte, proprio di
neurologia. Ho il Parkinson da quindici anni. Accusavo un lieve tremore
122
alla mano sinistra e in casa mi convinsero a farmi vedere da un medico
amico: il giorno dopo mi sono ritrovato dal neurologo e dopo due mesi
eccomi con la diagnosi in mano.
Da principio, lo ammetto, l’ho sottovalutata. Ricordo che lo dissi a una
mia cara amica che aveva il papà parkinsoniano e la sua reazione mi è rimasta nella memoria, non me la sono più dimenticata. Mi diede le spalle
piangendo e disse: «No, tu no!»
Per la verità all’inizio non ho avuto difficoltà ad accettare la diagnosi,
ma sono entrato in uno stato che vorrei definire di “provvisorietà”.
Il disturbo maggiore per me sono i blocchi motori, alla mattina quando
mi sveglio e subito dopo pranzo. Per ovviare assumo il farmaco, mi siedo
in poltrona e leggo: cerco di distrarmi. A volte punto davanti a me una
luce con l’ausilio di una pila oppure conto il numero dei passi che, con
difficoltà, riesco a fare in quel momento. Questo metodo mi dà una certa
sicurezza nei movimenti sebbene non sia proprio naturale, come postura,
perché a quel punto i miei movimenti sono “pensati” e “ponderati”.
Oltre a questo, respiro profondamente e penso che la buona volontà
può darmi una mano: volere è potere, come si dice.
Se sono a casa è tutto più semplice, perché i movimenti si liberano e
si lasciano andare senza costrizioni. Le cose cambiano se mi trovo fuori: sentirsi guardato, controllato, giudicato, è
come essere spogliato e valutato per l’appaRespiro
renza e non per quello che si è. Il Parkinson
profondamente
interferisce nelle relazioni sociali, o meglio,
e penso che la
nella libertà delle relazioni sociali, che finibuona volontà
scono per essere filtrate da un farmaco o da
può darmi una
un sintomo. Ma non bisogna lasciargli troppo
mano
spazio, ed è qui che ci vengono in soccorso le
passioni e gli hobby.
Mi piace lavorare il legno e mi piacerebbe di nuovo poter scrivere. Il
Parkinson ha reso la mia scrittura indecifrabile, non la capisco più nemmeno io! Ho sempre amato scrivere a mano, scegliere la carta, la penna
stilografica e dare vita, scrivendo, a fatti e storie. Usare il computer non è
123
mica la stessa cosa. Il pc non ha lo stesso buon
profumo del bloc-notes, della carta!
Mi piace moltissimo leggere e non scrivo
solo poesie. Con l’aiuto di mia moglie scrivo
anche spettacoli di cabaret che porto in scena,
faccio volare la fantasia. In questo momento
stiamo lavorando per portare sul palco uno
spettacolo intitolato Miss/Mister Vibrazioni, incentrato sul Parkinson. Faccio parte di
un gruppo teatrale chiamato GRATA Parko
(Gruppo amatoriale teatro parkinsoniani). Da più di un anno un’attrice professionista ci segue per insegnarci i rudimenti della recitazione:
lo spettacolo sarà costituito da una serie di “quadri” collegati tra loro in
modo da creare uno svolgimento scenico. Ogni quadro affronta un argomento importantissimo della vita dei parkinsoniani: la diagnosi, la gabbia
(il nostro corpo imprigionato), i sintomi, il sostegno, la condivisione, l’ironia, il rapporto con i farmaci e la creatività. Abbiamo in programma di
andare in scena il prossimo giugno.
Non è una rappresentazione “triste” della condizione, anzi gioca molto
con l’autoironia. L’autoironia è fondamentale, aiuta sempre, è una maniera di leggere la realtà: ogni parkinsoniano, infatti, ha e avrà una sua storia,
un suo decorso unico e irripetibile. Bel concetto, questo: quasi quasi ci
scrivo su una poesia!
Usare il
computer non
è mica la stessa
cosa. Il pc non
ha lo stesso
buon profumo
del bloc-notes,
della carta!
124
“
Curare il proprio corpo sia dal punto di
vista intellettuale che fisico. Cercare nuovi
interessi, coltivare i “vecchi” e pensare che oggi
è già domani.
„
125
Non
rassegnatevi:
il match
si vince anche
all’ultimo
minuto
126
A
vevo sempre visto mio padre come una roccia. La persona sulla
quale contare per qualsiasi cosa. Lo chiamavo ogni giorno, lo consultavo
per tutto. Con l’apparizione del Parkinson la nostra relazione è cambiata.
Ha smesso di essere colui che si prendeva cura degli altri per diventare
colui che ne aveva bisogno; non solo sotto il profilo fisico, ma anche emozionale ed economico. Ha sessantacinque anni e da quando ha smesso
di lavorare gli introiti dei miei genitori sono drasticamente diminuiti.
Hanno dovuto limitare le spese e attualmente
stanno attingendo ai risparmi di una vita, dal
Oggi passa la
momento che la pensione non è sufficiente
maggior parte
per entrambi.
del tempo
Evito di condividere con lui le mie preocdavanti alla tv cupazioni e i miei problemi. Lo faccio per
risparmiargli un ulteriore peso ma anche perché so che la sua opinione non farà differenza. Per me, è come se lui non
avesse più la capacità di capire le questioni, come se non facessero più
parte del suo universo. Era una persona attiva, che praticava sport, amava
viaggiare, uscire, frequentare la gente. Oggi passa la maggior parte del
tempo davanti alla tv. Aveva sempre sognato di avere dei nipoti con cui
giocare a pallone o andare al mare per il fine settimana. Oggi che ho tre
figli non fa nulla di tutto ciò. Gli piace averli vicino, ma non fanno niente
127
insieme. È semplicemente un osservatore. Le persone in genere associano
il Parkinson al tremore, ma è molto più di questo. La malattia può causare
depressione e provocare una mancanza totale di interesse per la vita, un
problema altrettanto grave.
Mio padre è avvocato, aveva uno studio importante qui a Nottingham,
che ha lasciato in mano al suo socio, vendendo la sua parte di società. La
malattia ha influito sui suoi movimenti, soprattutto nella parte destra del
corpo, non riusciva più a fare cose semplicissime, come portare un piatto
o un bicchiere di Coca Cola. Ha dovuto prendere una macchina con il
cambio automatico per continuare a guidare. Anche il suo modo di ragionare, il suo cervello, è diventato più lento.
La sua grande passione era giocare a calcio.
Prende
Da ragazzo era diventato quasi professionista
medicinali per
e poi ha continuato a giocare nei fine setticontrollare i
mana con gli amici. Prima della diagnosi, otto
sintomi motori, anni fa, era stato operato a un ginocchio e
è seguito da
aveva smesso di giocare, ma è convinto che sia
una psichiatra per colpa del Parkinson se non ha più rimesso
e fa terapia con le scarpette. Prende medicinali per controllare
uno psicologo
i sintomi motori, è seguito da una psichiatra e
fa terapia con uno psicologo.
Non sa che mi sto separando da mio marito. Un tempo sarebbe stato il
primo a sapere. Questo è il tipo di cosa che avrei detto a lui prima ancora
che a mia madre. L’ultimo anno è stato difficile per noi. Mio marito, nonostante la crisi, non è sparito del tutto, ma fa il conducente di treni, ha
orari rigidissimi e non posso realmente contare su di lui.
Tre ragazzini che vanno a scuola, a nuoto, a danza, a fare i compiti a
casa degli amici, il più grande segue le orme del nonno, gioca in una
squadra juniores ed è molto in gamba. Insomma, ci sono mille cose da
fare. Senza contare che lavoro a tempo pieno come grafica editoriale in
una rivista di giardinaggio. Vorrei chiedere un part-time, vorrei avere più
tempo per la mia famiglia e per me stessa, ma non sono tempi adatti a
chiedere una riduzione di orario. Il tempo non c’è più o è molto meno di
128
prima. E quando manca del tutto bisogna inventarselo in qualche modo.
Il papà di un compagno di squadra di mio figlio mi ha invitata fuori
a bere un drink un paio di volte. Non volevo dire di no, è simpatico, si
chiama Jim – e in effetti è un piacere rimanere a chiacchierare con lui
qualche minuto durante le partite. Sabato ci sarebbe questa trasferta a
Birmingham e si è deciso che Tommy andrà da solo, anche se sarebbe la
prima volta e io non sono così tranquilla. Il problema è che mia madre è
andata a stare da una sorella a Oxford per un paio di settimane e il papà
non può rimanere solo tutto il giorno: la zia, che è sola, è in convalescenza
da una brutta operazione e la mamma non poteva più tirarsi indietro. Mi
ha chiesto se potevamo farcela senza di lei e ovviamente ho detto di sì.
Da mia zia c’era posto anche per mio padre, volendo, ma lui ha detto che
preferiva restare a casa, che “non vuole essere di impiccio” (la realtà è che
non sopporta più di dormire fuori casa).
Così è una settimana che finito il lavoro
L’altro
passo prima da lui, vedo se è tutto a posto,
pomeriggio ho
controllo le medicine, preparo la cena, poi
trovato papà
vado a casa dai ragazzi, che sono bravissimi e
in giardino
spesso si fanno un sandwich con il tonno o il
che tagliava il
salmone.
gambo di una
L’altro pomeriggio ho trovato papà in giarrosa
dino che tagliava il gambo di una rosa. I miei
hanno un bellissimo roseto, rose cremisi enormi, che in questa stagione sbocciano. Sono la passione della mamma, che
per altro le dipinge in quadretti minuscoli, incantevoli.
«Se ti vede la mamma con quella forbice in mano, sono guai!» gli ho
detto.
«E a cosa serve restarmene solo soletto, a soffrire?» mi ha risposto. Poi
si è girato, tutto rigido, è entrato in cucina e ha messo la rosa in un vaso.
In quel momento ho sentito il bisogno di dirgli cosa sta succedendo
nella mia vita. Che mio marito sta per trasferirsi in un’altra casa e io vorrei andare a bere un drink con un tale di nome Jim: un tempo gli avrei
chiesto cosa avrei dovuto fare. Ma sono rimasta zitta. Ora fissava la sua
129
rosa, pareva assorto. Gli ho chiesto se aveva preso le medicine. Ha annuito e sorriso. Poi mi ha chiesto se andava tutto bene. Gli ho risposto di sì,
come faccio automaticamente, ormai.
Allora mi ha chiesto di Tommy, della squadra. «Non c’è per caso un
torneo a Birmingham, in questo periodo?»
Gli ho risposto che avrebbe dovuto giocare
«Avrei voglia di
sabato, ma io non ci potevo andare e quindi
vedere Tommy
sarebbe andato da solo, insieme al padre di un
giocare» ha
suo compagno di squadra.
continuato
Papà si è seduto sulla sedia in cucina e io ho
cominciato a massaggiargli le spalle, che sono
sempre tese e rigide, piene di nodi.
«Come si chiama il papà di questo compagno di Tommy?» mi ha chiesto.
«Jim, si chiama Jim. Perché me lo chiedi?»
«È simpatico?»
Ho annuito mentre continuavo a massaggiarlo.
«Avrei voglia di vedere Tommy giocare» ha continuato il papà.
Io intanto avevo cominciato a piangere e lui se n’è accorto.
«Perché non ci andiamo insieme?» ho detto. «Si sta via mezza giornata,
non di più. Papà, ho bisogno di te.»
«Vuoi la mia benedizione?» Ha sorriso.
Io ho staccato le mani dalle sue spalle e ho cominciato a ridere.
E lui ha detto: «Secondo te ce la faccio a venire? E, soprattutto, non vi
disturbo?».
«Ma certo!» ho risposto. «Tommy me lo ha chiesto...» E lì ho mentito.
«È una partita importante e ci tiene molto che tu ci sia, che tu lo veda
giocare. È tanto che non lo vedi. Vuol sapere se deve continuare a questo
ritmo, se ne vale la pena, oppure lasciar perdere. Vuole il parere di un
avvocato!»
Il papà ha fatto sì con la testa e ha detto: «Allora è proprio il caso che
venga».
130
“
Spesso il Parkinson colpisce la sfera psichica quanto
quella fisica. Ma la prima è meno evidente. Non per
questo vanno sottovalutati i sintomi, spesso depressivi.
Anzi, tenere sempre alta la guardia è fondamentale per
la qualità della vita dei nostri cari.
„
131
La vita È una
lunga partita
a scacchi:
rendetela
divertente
132
C’
è stato un tempo in cui giocavo a scacchi per corrispondenza.
I miei avversari non avevano un volto. Le loro mosse mi giungevano per
mezzo di una cartolina. E io rispondevo mandandone una a mia volta.
Devo dire che era divertente, ricevere queste strane cartoline non solo
da Israele, ma anche dall’estero. A scacchi gioco da quando ero bambino, avrò avuto circa sei anni quando ho giocato per la prima volta. Mi è
sempre piaciuto molto. Il gioco degli scacchi è basato sulla concentrazione, l’analisi di soluzioni concrete e la costruzione di un’abilità tattica.
L’obiettivo è scoprire le intenzioni del tuo avversario. Divertimento puro.
Oggi gioco a scacchi al computer. Specialmente da quando mi hanno diagnosticato il Parkinson, il computer è
diventato il mio migliore amico, ed è sempre
Specialmente
a disposizione, così posso impostare sfide al
da quando
mio livello. A volte gioco con mio nipote, che
mi hanno
ha ereditato un pochino la mia passione.
diagnosticato
Fino a due anni fa insegnavo Nutrizione
il Parkinson,
animale presso il Dipartimento di Scienze
il computer è
animali della facoltà di Agraria, sono stato a
diventato il
capo del dipartimento e del gruppo di insemio migliore
gnanti. Ho comunque mantenuto un legame
amico
con l’Università di Tel Aviv: seguo ancora
133
una serie di studenti in procinto di discutere la loro tesi.
Vivo con mia moglie a Rehovot, una ventina di chilometri a sud di Tel
Aviv, dove sono nato.
Ho il Parkinson da quasi quindici anni, cioè da quando ne avevo cinquantasei. Il problema maggiore è la sensazione di irrigidimento dei muscoli, che provoca un dolore pressoché costante. Il dolore rende difficile
comportarsi normalmente. E poi il sonno:
non dormo più molto bene. ProbabilmenNon dormo più
te ciò ha a che vedere con nuove paure, che
molto bene.
forse fluttuano nel subconscio e che si fanno
Probabilmente sentire durante la notte.
ciò ha a che
Io comunque sono stato fortunato, dal movedere con
mento che il Parkinson ha colpito mio franuove paure,
tello maggiore qualche anno prima di me, e
che forse
quindi sapevo cosa dovevo aspettarmi. Influttuano nel
cassare la notizia è stato più facile. E poi ci
subconscio e
sono dei vantaggi, se così posso chiamarli:
che si fanno
ora sono molto più consapevole di quanto
sentire durante siamo fragili. Così come il fatto che reagisco
la notte
agli input esterni con maggiore emotività.
Insomma non credo che la malattia abbia influito negativamente sulla mia vita emotiva.
La mia vita è rimasta tutto sommato uguale, a cominciare dal lavoro,
che non ho dovuto abbandonare. E per me sarebbe stato un vero disastro, dal momento che è un lavoro che ho amato e amo ancora moltissimo. Un amore che è cominciato dentro di me prima ancora di pensare
lontanamente di farne una professione e che risale all’epoca precedente
al mio ingresso all’università come studente.
Come tanti giovani di allora ero andato a vivere in un kibbutz dove, tra
le tante attività comunitarie, avevo fatto il pastore. Passavo quasi tutto
il mio tempo con pecore e capre. E anche con le mucche. Non credevo
che avrei amato così tanto stare in mezzo a questi animali, imparare
134
a conoscerli. Soprattutto, avere curiosità nei loro confronti. Per quello,
quando poi ho cominciato a studiare, la strada verso la scienza animale
mi è parsa chiara, semplice, già decisa. E finiti gli studi sono approdato
all’insegnamento.
In questo ambito ho affrontato diversi aspetti della nutrizione animale,
concentrandomi principalmente sui bovini da latte. Il clima secco del
nostro Paese ci pone di fronte a grosse sfide da questo punto di vista:
non è facile ottenere buon foraggio in questi climi, e di conseguenza
produrre molto latte.
All’università c’è molto lavoro da fare, ma non mancano le gratificazioni, perché è un grande privilegio essere circondati da giovani e talentuosi
studenti e poterli seguire nel loro sviluppo intellettuale e nell’approfondimento delle materie accademiche dà molta soddisfazione. Si tengono
le lezioni, si fa ricerca, in facoltà e nelle aziende agricole, in campagna.
Ho fatto anche molta attività fuori dal campus, tenendo conferenze
all’estero, e ogni sette anni mi sono preso un anno sabbatico per studiare,
anche in altri Paesi, dove mi sono trasferito insieme alla mia famiglia:
siamo stati in Svizzera, Olanda e Stati Uniti.
Viaggiare mi è sempre piaciuto. Così come
Viaggiare mi è
stare insieme agli amici: anche qui, il Parkin- sempre piaciuto.
son non ha portato alcun cambiamento, anzi!
Così come
Ho trovato tanti nuovi amici. Molti di loro
stare insieme
sono interessati agli avanzamenti della riceragli amici:
ca, le possibili cure e le terapie che possano
anche qui,
migliorarne la qualità della vita. Incoraggio
il Parkinson
i miei colleghi parkinsoniani a essere più atnon ha
tivi fisicamente e a dedicarsi al volontariato
portato alcun
presso le associazioni di pazienti. A stare in
cambiamento,
mezzo alle persone non rinuncio: per questo
anzi! Ho
seguo ancora gli studenti che si devono lautrovato tanti
reare.
nuovi amici
Mi piace leggere libri anche in versione
135
digitale, in inglese o tradotti in ebraico. Mi
interessano i romanzi basati su ricerche storiche. Recentemente mi è piaciuto molto
Bambino 44 di Tom Rob Smith e La figlia dei
ricordi di Victoria Hislop, una saga dai toni
epici ambientata in Grecia che attraversa tutto il XX Secolo. Con un gruppo di amici stiamo progettando di visitare proprio la Grecia nei prossimi mesi. Non che
possa fare programmi con eccessivo anticipo - meglio evitare i progetti a
lunga scadenza - ma mi piacerebbe tanto.
I tempi per le decisioni si sono infatti accorciati, la mia agenda giornaliera è sicuramente cambiata, ma dal momento che amo quello che
faccio non mi pare una perdita di tempo. Se avessi un’ora in più sicuramente mi prenderei uno spazio per le cose che amo, come leggere. E
naturalmente gli scacchi.
Ci penso solo adesso: anche con il Parkinson gioco una partita a scacchi, e come i miei antichi avversari anche lui non ha un volto. Fa le sue
mosse, e io faccio le mie. A volte sembra vincere lui, spesso sono io a
dare scacco matto, quando so anticiparlo, quando riesco a prevedere la
sua tattica.
Amo quello
che faccio
non mi pare
una perdita di
tempo
136
“
A chi è nuovo alla diagnosi dico: non è la fine
del mondo. Ci sono molti strumenti a disposizione
in grado di migliorare la qualità della vita. Abbi
molta cura di te stesso, fai esercizio regolarmente,
riposati quando è necessario. E, soprattutto, guarda
sempre il lato positivo della vita.
„
137
Un piccolo
gesto puÒ
essere un
grande aiuto
138
L’
appuntamento è con l’Andrea Chénier, il poeta francese che morì
su una ghigliottina della Rivoluzione Francese. Ma arrivarci in tempo è
un’impresa. E non perché, poveraccio, l’eroe tragico visse più di duecento
anni fa, ma perché non so mai a che ora riuscirò a staccarmi dall’ambulatorio.
Proiettano lo spettacolo al cinema, in contemporanea con la “prima”
del Covent Garden di Londra. Ovvio, al cinema non è esattamente come
essere seduti in quel meraviglioso teatro, ma l’emozione è la stessa: quello
che conta è poter chiudere gli occhi, sprofondare nella musica che tanto amo. Per me l’OL’Opera è il
pera è il sottofondo della Storia; quello che è
sottofondo
stato fatto dall’uomo non è avvenuto in silendella Storia;
zio, è avvenuto insieme alla musica. L’Opera
quello che è
rende viva tutta la bellezza che l’Europa ha
stato fatto
prodotto per l’umanità, e andare a teatro è la
dall’uomo non mia maniera di staccare e ripulire la testa. Per
è avvenuto
lavoro sono a contatto tutti i giorni con la sofin silenzio,
ferenza, spesso con la morte.
Mi chiamo Federica, ho quarant’anni e ho
è avvenuto
scelto di fare la neurologa perché speravo che
insieme alla
attraverso questa specialità avrei capito come
musica
139
funziona la mente, non solo dal punto di vista psicodinamico, ma anche
dal punto di vista biologico: volevo sapere come nascono e si articolano
i pensieri.
Per me il neurologo è uno scienziato come Antonio Damasio, un medico portoghese che ha scritto libri bellissimi sulla mente, le cui teorie sono
poi state confermate da evidenze scientifiche.
Un aspetto che mi ha sempre affascinata è infatti quello di poter guardare dentro la mente, e oggi i moderni strumenti diagnostici ci permettono di vedere molto più di un tempo. Ancora prima di specializzarmi già
lavoravo in corsia, nell’ambito della malattie neuro-degenerative, come il
Parkinson, malattie che sono molto cresciute di numero con l’aumento
dell’aspettativa di vita. Il motivo è semplice: più si diventa vecchi più i
sistemi biologici dell’essere umano si deteriorano.
Quando ho finito la specialità sono passata a lavorare come neurologa
del reparto di cardiologia. All’inizio facevo le guardie notturne al pronto
soccorso, ma tempo un anno la neurologia ha assorbito il servizio dove
lavoravo ed è stata creata una terapia sub-intensiva a tutti gli effetti. Il
mio primario mi ha chiesto se volevo rimanere a lavorare in quel tipo di
servizio. Ho detto di sì e così sono tornata nel mio ambiente di origine,
anzi, mi sono avvicinata all’attività strumentale diagnostica. Insomma,
faccio le diagnosi utilizzando con senso critico i risultati forniti dagli
strumenti tecnici come la risonanza magnetica, la tomografia assiale computerizzata e gli
Un aspetto che ultrasuoni. Rispetto ad altri neurologi che non
mi ha sempre
si specializzano in questo campo, ritengo di
affascinata è
avere la capacità di interagire con il radiologo
infatti quello in modo efficace. E questo è un aspetto molto
di poter
importante, perché le immagini non sempre ci
guardare
dicono quello che vogliamo vedere. Siamo noi
dentro la mente che dobbiamo chiedere alla macchina quello
che vogliamo sapere. Nel caso della risonanza,
sapere quali sono le sequenze che servono aiuta ad avere una risposta più
chiara. Altrimenti le neuro-immagini non sono sempre in grado di dare
140
l’informazione che cerchiamo.
È un po’ come vedere una fotografia di Maria Callas, nella quale però
vedi solo la faccia, e non sai se, in quella foto, era già dimagrita: hai una
visione parziale. Con la diagnostica è la stessa cosa: se vuoi vedere cosa c’è
dentro l’occhio bisogna fare delle sequenze di
risonanza che permettano di sopprimere il se- Ho fatto il test
gnale del grasso presente nell’orbita, altrimenti
per entrare
il nervo ottico resta nascosto. Vedi tutto bianco
a medicina.
e non hai risposte.
Ricordo che
Sapere cosa chiedere alla macchina è essennell’attesa
ziale per non accontentarsi di ciò che si vede,
dei risultati
quando si è convinti che la diagnosi possa tromi pervase un
varsi da un’altra parte. Con il Parkinson può
grande senso
succedere spesso: molti parkinsoniani all’inizio
di vuoto.
vanno dallo psichiatra perché i sintomi vengoRipetevo a me
no interpretati come depressione. Quando poi
stessa: se non
compaiono i sintomi motori, come il tremore o
la lentezza, allora vengono sommati ai primi e entro qui cosa
faccio? Non
si stabilisce che il problema è di tutt’altra natuavrei saputo
ra. L’avvento delle neuro-immagini ha permesso di costruire degli atlanti di normalità, delle cos’altro fare
vere e proprie mappe, che noi confrontiamo
con un cervello che comincia a invecchiare o a degenerare.
Mi è sempre piaciuta l’idea di fare Medicina. Quando andavo alle elementari, avrò avuto sette o otto anni, mia madre mi regalò delle tavole
anatomiche, si chiamavano “transvision”: era un libricino verde con dei
fogli trasparenti che consentivano di sovrapporre un foglio all’altro. Era
bellissimo. Però se ci ripenso ora... come si fa a regalare a una bambina
delle tavole anatomiche dettagliate del sistema nervoso?!
Dopo il liceo ho fatto il test per entrare a Medicina. Ricordo che nell’attesa dei risultati mi pervase un grande senso di vuoto. Ripetevo a me stessa: se non entro qui cosa faccio? Non avrei saputo cos’altro fare.
Penso di essere migliore nel mio lavoro che nella vita di tutti i giorni.
141
Nella vita reale, prima di tutto sono poco socievole: sto meglio all’Opera, anche da sola, o
con i miei libri o con il mio gatto. Invece la
pietà umana che provo dinnanzi alla sofferenza delle persone mi fa tirar fuori le migliori
qualità. Sul lavoro non sono il tipo che si arrende.
Di fronte a un problema, il nostro mandato, come medici, è cercare di
risolverlo, nonostante le difficoltà che ci troviamo ad affrontare in corsia.
Ci vuole anche una certa dose di empatia. La persona malata potrei
essere io. È brutto star male, e quando si sta male sul serio c’è bisogno
di qualcuno che ti tenda una mano. Capita tutti i giorni di trovare una
persona su una barella che non sai ancora come si chiama, che ti cerca con
una mano: magari ha solo sete. Ha la bocca secca. Non stai compiendo un
atto medico, ma aiuti. Bisogna chiedere al paziente come sta.
Puoi trovarti di fronte un malato di Parkinson che evidenzia sintomi gravi, un tremore forte, difficoltà di deambulazione, o magari non si
capisce quello che sta dicendo, perché parla con un tono molto basso e
monotono. Ma se gli chiedi cosa si sente ti risponde che ha mal di pancia,
si è polarizzato su quello.
Bisogna cercare di capire qual è l’aspetto della malattia che il paziente
percepisce di più. Qualcosa di circostanziato: per capire che cosa della
malattia lo fa soffrire maggiormente, cosa gli toglie, contro cosa combatte
di più. E cominciare da lì.
Ci vuole anche
una certa dose
di empatia. La
persona malata
potrei essere io
142
“ „
Ascoltare il paziente per vedere al di là dei
sintomi.
143
Il mondo È
meraviglioso,
anche di
fronte a
casa tua
144
P
er me la fotografia è l’immagine di un desiderio. Quando esco di
casa portandomi dietro la mia attrezzatura quello che mi muove è infatti
un desiderio molto forte, il desiderio di fermare un attimo, l’istante. Che
per me è associato alla natura, al trovarmi immerso nella natura. Fotografo i paesaggi, amo fotografare i temporali, e soprattutto fotografo gli
uccelli: forse sono loro il soggetto che preferisco. Ora ho molto tempo
per farlo.
Mi chiamo Bruce, abito a pochi chilometri
da Zurigo insieme a mia moglie, ho quarantaLa cosa, come
due anni e ho il Parkinson da quasi nove. Fino
spesso accade,
a due anni fa ero responsabile marketing di
è cominciata da un’impresa di accessori ortopedici, insomma,
un dettaglio
le protesi: ginocchia, anche, spalle.
banale
La cosa, come spesso accade, è cominciata
da un dettaglio banale: mi sono sempre lavato
i denti facendo movimenti molto rapidi su e giù (ognuno, credo, ha la
sua maniera, no?) e un giorno non riuscivo più a smettere di spazzolare.
Molte volte, poi, di sera, la mia mano destra tremava, finché si è messa a
tremare tutto il giorno. In quel periodo avevo appena finito il mio Master
in Business Administration e nel frattempo lavoravo a tempo pieno; curiosamente, i tremori sono cominciati proprio l’ultimo giorno del master
145
e ho pensato fossero dovuti allo stress della tensione che si allentava.
Siamo partiti per tre settimane di vacanze e pensavo che la cosa sarebbe
tornata alla normalità, con il relax e così via, e invece...
Dopo sette settimane sono andato a farmi vedere dal mio medico, il
quale mi ha consigliato una visita neurologica. Mi sono fatto tutta una
trafila di esami approfonditi, come il DAT-Scan e l’MRI, ho sentito un
secondo parere e dopo cinque mesi è arrivata la diagnosi.
Tutto sommato, non ho reagito male, non sono caduto in depressione,
non mi sono lasciato sopraffare dalla paura. Fin dall’inizio mi è stato
chiaro che, per me, il Parkinson non è una malattia, ma qualcosa che fa
parte della mia vita.
I sintomi sono parte di me, io non sarei più
Fin dall’inizio
“io” senza di essi e perciò non mi preoccupo.
mi è stato
Siamo sinceri: non potrei cambiare la realchiaro che, per tà in ogni caso e mi pare assurdo mettermi
me, il Parkinson a immaginare adesso un “me stesso sano”. La
non è una
gente invecchia, si ammala, sviluppa vari tipi
malattia, ma
di disabilità: fa parte della vita.
qualcosa che fa
Chi ha avuto paura è stata mia moglie. Nel
parte della mia periodo in cui aspettavamo la diagnosi si era
vita
messa a cercare prove che smentissero le ipotesi più nere e immancabilmente veniva fuori
il contrario. La terra le mancava sotto i piedi, ed ero io quello che le dava
forza, la rassicurava e cercava di motivarla!
Alcuni amici hanno reagito male, sorpresi soprattutto che una diagnosi
del genere fosse toccata a un uomo di trentaquattro anni. Io gli dicevo:
guardate che sono lo stesso di prima, mica sono diventato un’altra persona! Inoltre, non ho mai avuto delle vere e proprie crisi, tutto scorre liscio.
E cerco di essere preciso nell’assunzione delle medicine in relazione ai
pasti. L’orologio è molto importante, è quasi un rimedio naturale: la maggior parte dei medicinali comincia a fare effetto solo dopo che ho mangiato, per questo non tocco cibo un’ora prima e mezz’ora dopo averli presi,
ma dopo devo mangiare! Mi fido delle mie sensazioni, mantengo saldo il
146
contatto con il mio corpo. E non faccio errori, tipo: oh, ho bisogno di un
po’ di relax in più... e giù con altre pillole! La calma, il rilassamento sono
fondamentali: è stressante quando devi fare qualcosa velocemente, perché
allora sembra che i farmaci perdano di colpo il loro effetto, e non agiscano
più per il resto del giorno.
Oggi mi sento molto bene, e non è uno scherzo. Guardo quello che ho
ricevuto in cambio: prima lavoravo come un matto e avevo poco tempo
libero per fare quello che mi piaceva, sempre alla ricerca di un equilibrio
tra vita e lavoro; due anni e mezzo fa ho potuto ritirarmi, cioè venticinque
anni prima della scadenza naturale, ottenendo la merce più preziosa che
si possa sognare: il tempo! In altri termini: non bisogna guardare quello
che il Parkinson toglie, ma quello che si guadagna. Nel mio caso, la possibilità di dedicarmi alla fotografia. E se a questo nuovo tempo si aggiungesse un’altra ora in regalo, la passerei fuori,
lungo l’argine di un fiume, a fare altre foto.
Oggi mi sento
Certo, c’è una cosa che non posso più fare,
molto bene,
correre in moto. Ma, sapete com’è, una mano
e non è uno
che trema incontrollabilmente sull’acceleratoscherzo
re non è una grande idea! Mi manca la sensazione che mi dava sfrecciare in moto, non
c’è qualcosa che sostituisca davvero quella dose di adrenalina... Anche
se, quando metto la macchina sul treppiede e me ne sto lì a osservare
una poiana come quella che ho di fronte ora, regale, così in armonia con
quello che ha intorno, così bella e fiera della sua indipendenza, l’emozione
non è facilmente descrivibile. E l’aquila, allora? E il falco, il gufo, il picchio? Ci sono così tante cose da vedere, da conoscere, anche appena fuori
dalla porta di casa!
Passo almeno tre mesi all’anno viaggiando per fare foto, sia in Svizzera
che in molti altri luoghi. Esco ogni giorno, vado in mezzo alla natura per
fare fotografie, e poi faccio molte presentazioni con il gruppo di sostegno
del Parkinson, e fornisco le immagini per una newsletter svizzera che
circola tra i pazienti e le famiglie con tutta una serie di informazioni utili.
Per certi versi il Parkinson è una malattia magnanima, poiché non si
147
può influire sul suo sviluppo, sulla sua progressione, in positivo o in negativo; non la puoi
peggiorare facendo questo o quello, voglio
dire. Ora come ora solo il lato destro (piede,
gamba, braccio, mano) è afflitto dal tremore.
Se iniziasse a tremare anche la parte sinistra
non avrei più “l’amica” con cui mi aiuto. Ma
non guardo troppo in là, mi godo il momento, non conosco il sentimento della paura. La
paura è come una pallina da golf: la spedisco da
un punto all’altro del campo, di buca in buca.
Dopo mezz’ora di attesa, una mezz’ora bellissima, impagabile, ecco la poiana nella posa
che cercavo: quel momento vibrante in cui, appollaiata su un ramo, dritta,
anzi, eretta come un guerriero, gira lievemente la testa e la inclina verso il
basso, come chi stia per tuffarsi da una roccia. E i suoi piccoli occhi neri,
opachi, sono così espressivi.
Clic.
Il prossimo weekend organizziamo un’esposizione insieme ad altri artisti locali. Ho un desiderio, che la mia poiana racconti questo: questa sua
straordinaria espressività.
Per certi versi
il Parkinson è
una malattia
magnanima,
poiché non si
può influire sul
suo sviluppo,
sulla sua
progressione,
in positivo o in
negativo
148
“
L’orologio è molto importante, vale quanto
un rimedio naturale. Rispettate il più possibile gli
orari in modo che i medicinali facciano effetto
nella maniera migliore per poter così affrontare gli
impegni con calma e senza stress.
„
149
Non pensare
troppo al
futuro,
costruiscilo
150
S
trano, come le cose cambiano. Prima che la Maledizione del Parkie, come la chiamo io, venisse a piantare le tende a casa mia, una settimana come questa mi sarebbe sembrata infernale. Impegni domestici,
la scuola delle figlie, una riunione alla radio locale del Wiltshire, dove
viviamo, per cercare di ottenere uno spazio pubblico dove affrontare il
problema dell’assistenza infermieristica a domicilio per i pazienti neurologici e, dulcis in fundo, domani mattina la riunione con la psicologa della
mia figlia più piccola; ci sono voluti due anni
per convincerla ad affrontare questo incontro!
Impegni
Insomma: c’è qualcuno che vuol prendere il
domestici, la
mio posto?
scuola delle
Eppure, invece di sembrarmi un inferno,
figlie, una
una settimana del genere è semplicemente la
riunione alla
mia vita, una vita ancora piena, che mi fa senradio locale
tire viva.
D’altra parte ho cinquantadue anni, due figlie da tirar su e un marito con il quale mi piace uscire a cena o bere un
drink, come vorremmo fare proprio sabato prossimo, visto che le ragazze
dormiranno fuori, evento raro! Senza parlare della scorta di carote per
Benjamin Bunny (chi conosce i libri per bambini coglierà senz’altro il
riferimento letterario a Beatrix Potter), il nostro coniglio che è un po’ il
151
quinto elemento della famiglia e forse l’unico che non si fa problemi di
dieta!
Quello che voglio dire è che la verità non è una sola, le cose vanno
osservate da più lati, le notizie elaborate e le conseguenze affrontate con
calma, una cosa alla volta. Quando, sei anni fa, due giorni prima del mio
quarantasettesimo compleanno, mi fu diagnosticato il Parkinson, provai
sollievo. Gli altri non ci credevano, che ero sollevata, parlo sul serio. Mio
marito per primo, che sul momento reagì male, la visse come una tragedia
portatrice di sciagure. Si mise subito a pensare al futuro. Come faremo
d’ora in avanti? Non aveva tutti i torti: io ero
il principale sostegno della famiglia, in quanto
Si mise subito
lavoravo come analista finanziaria. Dovevamo
a pensare al
ancora finire di pagare il mutuo. Le figlie erafuturo. Come
no piccole e di colpo ci trovavamo di fronte
faremo d’ora in quella novità!
avanti?
È un po’ il destino della mia famiglia quello
di vivere forti scossoni, cambiamenti e avventure. Io sono nata a Kuala Lumpur, in Malesia, perché mio padre era di
stanza laggiù con l’esercito durante la Guerra del Borneo. Quando erano
partiti dall’Inghilterra avevano due figlie, quando tornammo c’ero anch’io, eravamo in tre!
La mamma è ancora viva, mentre il papà è morto improvvisamente dodici anni fa. Non ha mai conosciuto la mia piccola, e la cosa mi intristisce
un po’, però mi consola che non mi abbia vista con il Parkinson. Per lui
sarebbe stato sconvolgente. Ecco un altro motivo di sollievo.
Sei anni fa però il motivo fu soprattutto un altro: e cioè che finalmente
capivo cosa mi stava succedendo, dopo quattro anni passati a cercare di
convincere il mio medico di famiglia a prendermi sul serio. Per lui ero
una ipocondriaca, figuriamoci! Avevo tremore alla mano destra, difficoltà
a camminare e a dormire. Muoversi stava diventando difficile, a volte non
riuscivo ad alzarmi da una sedia, le spalle bloccate. E la mia scrittura... si
era fatta minuta e tutta accartocciata, mentre prima era larga e facilmente
leggibile. A ripensarci poi, mi sono venuti in mente altri sintomi, meno
152
evidenti, più silenziosi, che forse mi portavo dietro da quando avevo poco
più di vent’anni.
Ebbene, un giorno mi sedetti nel suo ambulatorio e mi rifiutai di andarmene; e lui scrisse in un referto che sicuramente non avevo il Parkinson! Restai scioccata. Un neurologo specializzato fece poi la diagnosi.
Tornai dal mio medico, e prima di mandarlo a quel paese gli dissi quello
che pensavo di lui!
In tutti i modi ero sollevata, perché prima ero convinta di avere qualche
malattia neurologica grave e che sarei morta in pochi mesi. Adesso invece
avevo qualcuno disposto ad ascoltarmi e a prescrivermi i medicinali, che
quasi subito hanno migliorato la mia condizione fisica e mentale.
Nel corso degli anni ho cambiato diversi terapeuti, l’ultimo a inizio
dello scorso gennaio: il mio problema maggiore sono sempre state le distonie, contrazioni muscolari molto dolorose,
soprattutto nel lato sinistro del corpo, al piede
Ora va meglio,
e alla gamba. Quando la crisi arriva non c’è
mi hanno
nulla da fare, mi devo sdraiare su un lato o
prescritto una
addirittura per terra. Se sono fuori è un guaio,
nuova terapia e
non so cosa fare e non posso neanche fingere
mi pare di aver
che non stia succedendo!
ritrovato la
Ho paura di perdere il controllo di me stesvita
sa, di diventare tutta rigida e non riuscire a
prendere le medicine. È quasi accaduto in un
paio di occasioni e così cerco di non uscire di casa da sola. I luoghi troppo affollati possono provocarmi una crisi. Ma ora va meglio, mi hanno
prescritto una nuova terapia e mi pare di aver ritrovato la vita. È questo il
vero aspetto debilitante: la perdita di autonomia.
La malattia mi ha tolto tempo da passare con le mie figlie. Con la più
grande, adolescente, è difficile fare cose normali come andare a far shopping, o portarla a un concerto pop, cose del genere. Con la più piccola
non sono stata in grado di aiutarla di più con la scuola, dal momento che
ha qualche sintomo di autismo e problemi di memoria. Se avessi un’ora
in più farei tutte queste cose, appunto, per le mie figlie, le farei molto più
153
di quanto non riesca a fare adesso. Poi sto studiando il francese e mi piace
fare lavori di sartoria, e mi mantengo in forma con il vogatore. In più
rappresento i malati di Parkinson nella commissione clinica della nostra
contea, progetto che serve a sensibilizzare di più le istituzioni sui problemi e i deficit, che sono molti, a livello di assistenza. Per questo sto cercando di combinare l’appuntamento alla radio.
Se avessi un’ora Ma, questa settimana come molte altre... me
ne manca il tempo!
in più farei
Il tempo ha un altro valore per me ora e certutte queste
co di non pensare troppo al futuro, altrimenti
cose per le mie mi deprimo, soprattutto se penso alla vecchiafiglie
ia. Mi prende un poco il panico anche per il
futuro della mia figlia minore, alla quale stiamo cercando di garantire una sicurezza perché è la più vulnerabile. È il
mio progetto principale al momento, risparmiare abbastanza soldi per
fare in modo che possa studiare in una scuola speciale. Che possa costruirsi una vita e una carriera per essere indipendente, e io so cosa vuol dire
non esserlo.
Ormai ci siamo quasi, mancano circa 6.000 sterline e poi potremo tirare
un sospiro di sollievo!
154
“
Assicurati una buona notte di sonno. Spesso
vado a letto prima delle dieci di sera (anche prima
delle mie figlie!), altrimenti il giorno dopo è quasi
garantito che sarà una giornata difficile. Riposa
bene e rimetti in moto le forze!
„
155
156
157
Fly UP