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Un coinvolgente viaggio in 24 storie di vita reale con il sostegno di sponsorizzato da 1 HOUR MORE Storie e consigli sul Parkinson Un coinvolgente viaggio in 24 storie di vita reale pubblicato da 1 hour more. Storie e consigli sul Parkinson Un coinvolgente viaggio in 24 storie di vita reale © Testi Bookrepublic srl Via degli Olivetani 12, Milano, Italy Tutti i diritti riservati Testi a cura di Grandi & Associati © Immagini Shutterstock, Unsplash www.1hourmore.eu 5 Indice Coltiva le tue passioni per vincere le tue paure................................. 12 Impara a essere un partner e non un servitore.................................. 18 Non servono gambe perfette: lo sprint inizia dalla testa................... 24 Bisogna saper proteggere anche dalle emozioni................................ 30 Lasciarsi aiutare è una grande dimostrazione di forza...................... 36 Una canzone per ritrovare la voglia di vivere.................................... 42 Assapora le piccole gioie delle grandi sfide....................................... 48 Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi.......................... 54 Risalire la corrente e non fermarsi mai............................................. 60 Il sonno è lo specchio della vita, di una vita sana.............................. 66 Verso l’ultima maratona, senza guardarsi alle spalle.......................... 72 Non è mai troppo tardi per ricominciare a sognare........................... 78 Pensa a combattere, non a vincere..................................................... 84 Non rinunciate a dare e a essere utili agli altri.................................. 90 6 Sulle tracce delle lucertole giganti.................................................... 96 Come Robespierre ha rivoluzionato la mia vita.............................. 102 Riscoprire il ritmo della vita con il tango........................................ 108 A volte è solo una questione di profumo........................................ 114 Il tempo è galantuomo, ma impariamo a farlo nostro..................... 120 Non rassegnatevi: il match si vince anche all’ultimo minuto.......... 126 La vita è una lunga partita a scacchi: rendetela divertente.............. 132 Un piccolo gesto può essere un grande aiuto.................................. 138 Il mondo è meraviglioso, anche di fronte a casa tua........................ 144 Non pensare troppo al futuro, costruiscilo...................................... 150 7 I l progetto di storytelling “1 Hour More” è nato con lo scopo di aumentare la consapevolezza sulla Malattia di Parkinson a livello internazionale dando, a chi ne è affetto, un supporto psicologico e pratico. Questo progetto è realizzato da Bookrepublic, con il sostegno della European Parkinson’s Disease Association (EPDA) e la sponsorship di Zambon SpA. Il cuore dell’iniziativa è rappresentato da questo libro che racchiude 24 storie di vita reale, di speranza e reazione, validate da EPDA. Le storie sono focalizzate sul valore del tempo per le persone affette dalla Malattia di Parkinson, assistenti e medici. Il libro ha inoltre dato vita ad una piattaforma digitale dedicata, www.1hourmore.eu, in cui gli utenti possono leggere esperienze di vita particolarmente significative sul valore del tempo, ma anche raccontare la propria storia cercando di rispondere alla domanda chiave: “Cosa faresti se avessi un’ora in più al giorno?”. L’identità delle persone coinvolte non viene rivelata né nel libro, né nel sito. Resteranno anonime. Il libro è disponibile gratuitamente e né EPDA né Zambon riceveranno alcun compenso per la sua riproduzione e distribuzione. 9 11 Coltiva le tue passioni per vincere le tue paure 12 D ieci giorni prima di vederla comparire a Barcellona, io e Ingrid avevamo trascorso su Skype una delle “nostre serate”, come le chiama lei. Nel video, la sua casa di Francoforte pareva un nido verde e lei un uccellino in cerca di sole. «Qui ha piovuto tutto il giorno, come al solito» rideva. «Qui c’è il sole, anche se il vento è freddino» ridevo. «Mi porti a mangiare tortillas in quel posto delizioso?» «Appena arrivi» le avevo promesso. Ingrid mi chiama Batik perché adora i miei foulard di seta e li sfoggia per stupire i suoi Il tempo grigi concittadini, che poi sono anche i miei, sufficiente ad sebbene io viva da tanti anni qui, in Spagna. aver catalogato Siamo amiche da quanto tempo? Non mi va quasi tutti i di far conti. Diciamo semplicemente il tempo miei amori e sufficiente ad aver catalogato quasi tutti i miei poi l’arrivo amori e poi l’arrivo dell’ospite inatteso, Parki. dell’ospite Avevo trentanove anni, adesso giro la boa dei inatteso, Parki cinquantacinque. Il programma non era esattamente che fosse lei a venire. Dovevo andare io, questa volta, a visitare la città dove sono nata. Ma i biglietti che avevo comprato sono rimasti sullo schermo del 13 computer; non hanno, diciamo così, avuto l’onore di essere stampati. Due biglietti, non uno, buttati al vento! Una crisi del genere non mi capitava da tanto: gli attacchi d’ansia avevano assunto l’esatta sembianza della carlinga dell’aereo, persino gli stessi colori della compagnia low cost! Ero corsa ai ripari: un po’ di musica, voglio dire Frank Sinatra, senza esagerare con il volume; respirazione lenta per ritrovare l’equilibrio e la chiarezza; e il mio asana preferito, la “foglia arrotolata”. Ecco il cocktail con cui ogni volta riesco a rimettermi in sesto. In quei giorni avevo tagliato il gambo di una magnifica rosa i cui petali avevano i toni della cipria. Avevo raccolto anche il ramo di un pesco, esile come una vena, e staccato un pezzo di corteccia dove incorniciare entrambi. Ogni tanto, tornando a casa, passo vicino a un giardino che pare uscito da una fiaba. Allungo un braccio e colgo gli elementi per i miei ikebana. Insieme al batik è le mia seconda grande passione. Non sono hobby, cioè semplici passatempo, bensì attività che mi riempiono veramente. L’ikebana è qualcosa che riguarda il nostro profondo. Me lo sono chiesto molte volte: è uno specchio? Un riflesso? Un quadro che racchiude la tensione verso l’armonia perL’ikebana è fetta? Cosa mi attrae nella fragile composiqualcosa zione di questi elementi organici? che riguarda Talvolta realizzarlo ha la velocità di un geil nostro sto. Altre volte invece il percorso è più lento. Come la vita. In quei giorni qualcosa non profondo. Cosa mi attrae tornava. Forse dentro avevo ancora la tensione maligna del viaggio mancato. Osservavo nella fragile composizione di i miei elementi e non trovavo la chiave per questi elementi comporli. Dieci giorni dopo, la mattina di settembre organici? in cui Ingrid è arrivata, sembrava di essere ancora in piena estate, mentre io ero già piombata nell’inverno. L’ho immaginata atterrare, poi attendere la sua piccola valigia e quindi prendere il taxi, fino al suono del citofono. 14 Ero rimasta a osservare il mare dalla finestra senza riuscire a fare quasi nulla, bloccata, e lo scampanellio mi ha risvegliata di colpo. La voce, le parole, il suono familiare erano già una cura. Dalla piccola valigia è sbucato il primo regalo, un vestito di lino verde acqua. «Hai visto? Questa volta ci ho azzeccato: senza bottoni!» Da quando c’è Parki quei fastidiosi piccoli biscotti che hanno il vizio di doversi infilare nella loro asola hanno perso la cittadinanza nel mio armadio. Sono comparse È finito il decine di T-shirt, così come lo spazzolino da tempo in denti elettrico e ho fatto di tutto per mimecui negavo tizzare qualunque cosa che possa far assomila presenza gliare casa mia a un ricovero per anziani. È di Parki. finito il tempo in cui negavo la presenza di Benvenuta Parki. Benvenuta l’epoca in cui non ho vergol’epoca in gna a chiedere aiuto! Vivere soli però ha un cui non ho vantaggio: trascuratezza e pigrizia non sono vergogna a ammesse. Come diceva Nelson Mandela, “Il chiedere aiuto! coraggio non è assenza di paura, ma il trionfo su di essa”. In breve eravamo sedute di fronte alla famosa tortilla, sotto un tendone a strisce gialle, di fronte al Mediterraneo. Sul volto di Ingrid spuntavano le lentiggini. Mi ha chiesto dei batik e se avessi intenzione di tornare a esporli come avevo fatto un paio di anni fa. «Mi piace il modo in cui sai sposare il blu oltremare, il rosa, l’ocra, il malva.» Mi chiede sempre di insegnarle a tingere e ogni volta finiamo col trovare scuse e rimandare alla prossima occasione. Le sue visite finiscono immancabilmente in chiacchiere, o in lunghi silenzi; in tutti i casi, poche altre cose mi rilassano allo stesso modo. La trascino nella mia passione per la fotografia: non uso chissà quale equipaggiamento, mi piace mettere alla prova il mio occhio artistico e poi montare le immagini con Windows Media Maker: un lavoro infernale per un risultato modesto, ma quando viene bene mi sento molto soddisfatta. 15 Il tempo è passato in fretta. Mancavano due giorni alla sua partenza, eravamo di ritorno da Abramo Lincoln una giornata quasi afosa e piena di piccoli bei diceva che non momenti, quando Ingrid ha lanciato l’idea: importano gli «Perché non prendi l’aereo insieme a me?». anni di vita, ma Ho scosso la testa come una bimba. L’ansia la vita dentro ha messo fuori il becco. gli anni «Non saresti sola, ci sono io, dai...» Ho detto ancora di no, Ingrid ha insistito. Poi ha smesso. Poi ha ripreso a insistere dopo cena. Io ero stanca, anzi, stremata, e devo aver capitolato davanti al tiramisù. Alla fine abbiamo fatto il biglietto, ridendo, sedute davanti allo schermo del computer. La mattina dopo, non so neanche come ci sono riuscita – normalmente quello è un orario in cui Parki batte cassa e Ingrid dormiva ancora – sono tornata nel mio giardino incantato. Ho ritrovato la rosa dai petali vellutati e un ramo di pesco ancora più esile e solitario. Rapida come un pennellata, sulla corteccia la composizione questa volta è comparsa nella sua armonia segreta che, ho capito in quel momento, ha in sé tutta l’effimera bellezza del tempo che passa. L’ikebana è semplicemente questo. Il tempo è come lo impieghi. Abramo Lincoln diceva che non importano gli anni di vita, ma la vita dentro gli anni. Vivo e vedo Parki come una sfida, come l’opportunità di dimostrare che ho saputo combattere e dare un senso al mio breve passaggio su questo pianeta. E spero che quando arriverà il gran giorno, e calerà il sipario, saprò cantare, come il mio amato Frank Sinatra... Ho amato, ho riso e ho pianto Ho avuto le mie soddisfazioni e la mia parte di sconfitte (…) Ho fatto a modo mio. Ah, dimenticavo... Io e Ingrid abbiamo fatto fronte comune contro quel bruttone di Parki e abbiamo vinto: siamo partite! 16 “ Vivere con consapevolezza e autenticità. Non aver paura di chiedere aiuto. Non sprecare tempo per attività che non ci rendono felici e rilassati. Carpe diem! „ 17 Impara a essere un partner e non un servitore 18 I dria è una piccola città, tetti rossi circondati da una catena di colline verdi ricche di mercurio. Fino a qualche anno fa il solfato di mercurio si estraeva in quantità, poi le miniere sono state smantellate. La cittadina è un posto tranquillo e non sono molte le finestre ancora illuminate alle due del mattino. La mia spesso lo è. Dietro ai vetri mi si potrebbe vedere: eccomi lì, sveglia, che non riesco a prendere sonno, e allora quasi sempre leggo, leggo fino a molto tardi. Adesso sto leggendo un libro che stranamente non avevo mai preso in mano, sebbene sia appassionata di classici delQuasi sempre la letteratura slovena e lo conoscessi di fama. leggo, leggo Si intitola Alamut e lo scrisse Vladimir Barfino a molto tol nel 1938. È la storia di un principe, padrotardi ne della fortezza di Alamut, dove un giorno giungono due ragazzini, Halima e Tahir, venduti dai genitori per essere educati dal sovrano. Ma quando la fortezza viene minacciata dal nemico il destino dei due ragazzi cambierà per sempre. La storia per certi versi è un po’ inquietante, lo stile vecchiotto, ma non si riesce a smettere di leggerla. E poi perché dovrei smettere? Quando c’era ancora mio marito, tutto quello che avrei desiderato era leggere in santa pace. È morto da un anno e mezzo. Aveva il Parkinson. Certe notti, osservando il profilo scuro delle colline, il pensiero di lui 19 si fa più intenso. Per molti anni ha lavorato nelle miniere, era ingegnere minerario. Quando hanno chiuso le miniere è entrato al Ministero della Difesa come esperto di calamità naturali. Mi diceva: «Miskolin, lo sai che i disastri sono la mia specialità!». Ridevamo. Mio marito era molto simpatico, era colto, e anche bello. Si è ammalato a cinquantaquattro anni, ma secondo me i sintomi si erano fatti sentire già vent’anni prima. Inspiegabili dolori alle mani, stanchezza, insonnia. D’improvviso gli era venuto il desiderio di Il mio motto è: cavalcare. E siccome il mio motto è: “Se si “Se si desidera desidera qualcosa ed è possibile farla, falla”, qualcosa ed è avevamo comprato due cavalli, costruito una possibile farla, stalla ed eravamo andati a lezione di equitafalla” zione. La passione gli è durata due anni, poi è accaduto qualcosa, non si sentiva più di farlo, senza una ragione. Il nostro medico di famiglia ha subito sospettato che potesse trattarsi di un problema neurologico. Da principio non mi sono spaventata perché non avevo capito quanto dura fosse la malattia. Non sapevo quasi nulla, eccetto la questione del tremore. Penso che nemmeno i media e i medici di famiglia ne sappiano abbastanza sul Parkinson. I politici raramente si interessano del problema. Io ho immediatamente cercato di aiutarlo e mi sono rivolta all’associazione dei parkinsoniani, di cui oggi sono Presidente. La malattia non ha cambiato la mia visione della vita, sono sempre stata ottimista e ho cercato di adattarmi e informarmi. Adesso non ho più paura, ma a quel tempo sì, e cercavo di saperne il più possibile ascoltando mio marito e gli altri pazienti conosciuti tramite l’associazione. I medici stessi imparano molto ascoltando i pazienti. Prima della malattia mio marito era molto attivo, facevamo un sacco di cose insieme. Aveva l’hobby delle costruzioni, gli piacevano i lavori manuali e quando potevo lo aiutavo. All’inizio non è stato difficile infondergli coraggio; i piani che si hanno vengono sconvolti, è vero, ma noi abbiamo continuato a viaggiare, che è 20 una delle cose che amavamo fare di più, finché è cominciata la questione della gelosia e le cose si sono aggravate. Da principio era geloso del medico che lo seguiva per il Parkinson. Poi di ogni uomo, indipendentemente dall’età. Faceva questioni per ogni mia assenza da casa. Richiamava tutti i numeri di telefono che avevo chiamato, a volte me lo trovavo fuori dall’ufficio dove avevo avuto un appuntamento, oppure rimaneva seduto in macchina anche otto ore ad aspettarmi. Non era mai stato geloso prima della malattia, non ne aveva mai avuto motivo, e il suo nuovo comportamento era tutto il contrario della sua natura: mio marito era sempre stato un uomo gentile, non aveva mai insultato nessuno. Adesso, di colpo, sospettava di tutto e di tutti, di me per prima. Il culmine l’abbiamo toccato una vigilia di Natale, quando mi ha buttata fuori di casa perché, diceva, non poteva vivere con una donna che aveva tanti uomini! Nel cuore della notte mi sono allora recata all’ambulatorio presso cui I medici stessi era in cura e ho raccontato la situazione. Ho imparano molto chiamato anche l’infermeria del centro neuascoltando i rologico: mi hanno detto di diminuire la dose pazienti del medicinale che assumeva e di portarlo in ospedale, ma lui si è rifiutato. Non era consapevole della sua gelosia, non lo ammetteva. Dopo due settimane è stato ricoverato alla clinica neurologica, e quando è tornato a casa si è messo a controllare tutte le mail che avevo mandato e ricevuto in quel periodo. Per questo motivo è stato ricoverato all’ospedale psichiatrico per un mese, dove è stato trattato con un antipsicotico, che ha assunto per tre mesi, poi ha smesso. Lo psichiatra mi ha detto che sarebbe peggiorato, ma per fortuna la gelosia è diminuita. In realtà faceva stare più male lui di me. La gelosia ha avuto un grosso impatto sulla salute di mio marito e il Parkinson mi è parso avanzare più velocemente. Durante gli incontri con i pazienti e i caregivers ho affrontato l’argomento, così anche gli altri caregivers hanno incominciato a raccontare i loro problemi. I pazienti difficilmente am21 mettono la questione della gelosia, ma abbiamo scoperto che spesso è associata al Parkinson. I medici sottolineano che generalmente questi pazienti sono inclini a essere gelosi anche prima di ammalarsi. Ancora oggi, non so se sia vero oppure no. Io comunque ho cominciato ad adattarmi, Soltanto era quanto mi consigliavano gli psichiatri, e un’ora in gli sono sempre stata vicino; lo accompagnapiù avrebbe vo persino a fare i suoi cinque chilometri di significato camminata al giorno. Abbiamo fatto ancora molto, e se qualche viaggio, e in quelle occasioni la gelol’avessi avuta sia spariva del tutto e lui stava meglio, anche l’avrei usata fisicamente. per camminare Io non avevo più tempo libero. Soltanto da sola in un’ora in più avrebbe significato molto, e se mezzo alla l’avessi avuta l’avrei usata per camminare da natura, per sola in mezzo alla natura, per sconfiggere lo sconfiggere lo stress. Il giorno e la notte erano ormai soggiogati alle necessità di mio marito. stress Per questo, ancora oggi, non vado mai a letto prima delle due di mattina. E se di notte vedete una luce accesa nella mia piccola città, vuol dire che sto leggendo la storia del principe di Alamut, pronto a combattere i nemici della sua fortezza. Il mio gatto è acciambellato ai miei piedi e ogni tanto, scrutando il profilo scuro delle colline, sorrido di tenerezza. 22 “ Il Parkinson cambia da paziente a paziente, per questo un caregiver deve monitorare il malato, essere indulgente con lui e personalizzare le cure. Tuttavia bisogna essere un partner, non un servitore. „ 23 Non servono gambe perfette: lo sprint inizia dalla testa 24 A volte rifletto su cosa sarebbe oggi la mia vita se invece di un buon medico fossi stato un grande ciclista. In altre parole: se invece di dedicarmi anima e corpo alla medicina e diventare uno stimato neurologo avessi vinto quella maledetta gara dove invece caddi e mi ruppi un piede! Quanti anni sono passati? Per l’esattezza trentadue. Avevo ventiquattro anni, adesso ne ho quasi cinquantasette. Fino a qualche mese fa queste riflessioni le facevo ogni domenica mattina con Georg, scherzando davanti a una tazza di caffè. Prima della nostra pedalata settiA volte manale. Ci allenavamo per la gara annuale dei rifletto su super dilettanti di Bremerhaven, la città in cui cosa sarebbe viviamo, porto modernissimo che serve alla oggi la mia vita città di Brema come sfogo sul Mare del Nord. se invece di un Sono neurologo in un grande centro medibuon medico co, Georg invece è proprietario di due grandi fossi stato un magazzini. Ci siamo conosciuti un paio d'angrande ciclista ni fa tramite le nostre mogli (entrambe insegnanti) e subito abbiamo scoperto di avere la stessa passione per la bicicletta. In passato abbiamo corso tutti e due da professionisti, abbiamo conosciuto le nostre metà, e poi la famiglia, i figli e soprattutto il lavoro hanno preso il sopravvento sui sogni agonistici. 25 Davanti al caffè, prima di metterci in strada, di solito scherzavamo sul fatto che, a esser sinceri, l’agonismo non l’avevamo mai abbandonato: io sostengo che il medico è un ciclista da record dell’ora, deve fare bene e in fretta. Mentre Georg sostiene che il commerciante è come un fondista, anzi, è uno scalatore: va a muso duro e in salita. Senza guardarsi indietro. E in effetti, Georg pedalava così, superandomi spesso. Una domenica dopo l’altra, mi sono però reso conto che le gambe di Georg non funzionavano più come prima. Quando gli ho chiesto se c’era qualcosa che non andasse, mi ha risposto che aveva come l’impressione che “andassero un po’ per i fatti loro”. L’ho osservato. L’ho osservato bene. E gli ho detto: «Non è questione che vanno “per i fatti loro”. In realtà a me sembra che queste gambe siano un po’ rigide, quando pedali non flettono bene, e quindi anche la tua postura in bicicletta non è più quella di una volta». Ho pensato che quello fosse il momento giusto per andare a fondo della questione. «Mi pare che tu sia anche più lento» ho aggiunto, «sei sempre stato un fulmine e adesso invece mi fai passare avanti... Cosa c’è, hai compassione di me?» Abbiamo riso, come al solito. Poi Georg ha dovuto ammettere che avevo ragione. Correva meno di prima. Georg aveva avuto, in passato, qualche proTi svegli nella blema alla schiena: lombalgie, cose del genere. stessa posizione Si è dunque fatto vedere da un ortopedico che in cui ti eri lo ha sottoposto a una serie di esami. Le solite coricato? lastre alla colonna vertebrale dalle quali non è emerso nulla di significativo. Per non scoprire troppo le mie carte, tra una pedalata e l’altra, ho cominciato a fargli qualche domanda più mirata. Tipo: ti senti più lento anche nella vita di tutti i giorni? Oppure: durante la notte cambi posizione o ti svegli nella stessa posizione in cui ti eri coricato? Georg non ci aveva fatto caso, ma era stata sua moglie a fargli notare che non si muoveva più tanto di notte, le gambe soprattutto, insomma non lo svegliava più con uno dei suoi famosi calcioni! Mi si è accesso l’allarme rosso, anche perché improvvisamente mi è 26 tornato in mente che Georg mi aveva raccontato che sua madre, deceduta un paio di anni prima, era confinata a letto da tempo, e si era parlato di Parkinson senza però una diagnosi certa. Gli ho allora suggerito di farsi vedere da un mio collega neurofisiologo e ho visto il suo spavento. «Un neurologo? E perché non tu?» Preferivo non essere coinvolto in prima persona, trattandosi di un amico: volevo il massimo dell’obiettività per lui e io invece rischiavo di essere coinvolto emotivamente. Accanto a me c’era un amico e io non trovavo le parole che ogni giorno uso con i miei pazienti. «È uno bravissimo» l’ho tranquillizzato, Per esperienza, «non ti preoccupare, per qualsiasi cosa mi trovi so che in sullo stesso corridoio.» E gli ho fatto l’occhioquesta fase, lino. Niente mi impediva di visitarlo io stesso, l’elemento ma mi sentivo troppo coinvolto emotivamensaliente è la te, per la prima volta non mi fidavo di me. percezione Gli accertamenti hanno purtroppo conferche il paziente mato i miei sospetti, clinicamente la diagnosi ha di ciò che di Parkinson è sembrata abbastanza evidente. Ha dovuto fare ulteriori esami per escludere comporterà per che non ci fossero quelle che noi chiamiamo lui il Parkinson “cause secondarie”, come, per esempio, gli effetti collaterali di medicinali contro la depressione. Si era scoperto che Georg ne aveva sofferto in gioventù durante il servizio militare (per forza, pensavo, è sempre stato un pacifista!). Dopo quelle notizie Georg ha smesso di venire in bicicletta. Mi ha detto che aveva bisogno di tempo per capire come affrontare la sua nuova condizione. Nonostante la terapia con i medicinali gli facesse bene, avevo la netta sensazione che Georg l’avesse presa veramente male. Pativa la condizione di ereditarietà (la madre era con ogni probabilità una parkinsoniana) ed era spaventato da ciò che lo aspettava. Per esperienza, so che in questa fase, indipendentemente dai benefici dati dalla terapia farmacologica, l’elemento saliente è la percezione che il paziente ha di ciò che comporterà 27 per lui il Parkinson. Sapevo che il mio amico pensava: ora sto bene, ma tra due anni? Tra cinque? Tra dieci? E se finirò su una sedia a rotelle? Non potevo permettere, né come amico né come medico, che si lasciasse andare. Ho deciso di parlargli fuori dai denti. Georg mi ha confidato: «Faccio fatica anche soltanto Come una a immaginarmi un’ora di tranquillità, di pace, volata finale, di libertà». uno sprint Sono rimasto in silenzio. Ho capito che non che dipendeva dovevo forzare i tempi, Georg doveva arrivarsoltanto dalla ci da solo, doveva riconquistare il suo tempo, sua testa ricostruirlo, perché era un percorso suo, come una volata finale, uno sprint che dipendeva soltanto dalla sua testa, dal momento che le sue gambe stavano ancora relativamente bene. Stamattina, in una fredda domenica di sole, ho ritrovato Georg davanti alla caffetteria, infilato nella sua maglia termica rossa, con la bicicletta e il caschetto. Il mare era bellissimo. «Non è che devo per forza partecipare alla gara» mi ha detto, «ma allenarmi posso, no?» 28 “ Invitate i vostri malati di Parkinson a non prevaricare i tempi; in altre parole, a non mettere il carro davanti ai buoi. Non devono pensare troppo al domani, ma immergersi in un caldo bagno di “qui e ora”. „ 29 Bisogna saper proteggere anche dalle emozioni 30 C’ è una grande casa della fine del XIX secolo e c’è un uomo che si prende cura dei suoi vecchi muri e delle sue ampie stanze. Intorno c’è la campagna lussureggiante dello Cher, il cuore della Francia. La Loira, che ha il colore dell’ardesia, corre non distante, tagliando in due la regione del Berry. La città medievale di Bourges, che possiede una delle cattedrali gotiche più belle del mondo, dista una sessantina di chilometri. Da quando è andato in pensione, ormai sono passati molti anni, Serge si alza presto e appena può va a camminare lungo i sentieri del villaggio, tra siepi di bosso, rampicanti, erbe selvatiche e margherite che sbucano timide delle crepe dei muri. Il suo occhio capta ogni cosa, cataloga, recensisce. C’è anche qualche Quelle disciplinato vigneto, aranci che a seconda delpasseggiate la stagione sono carichi o orfani dei frutti, e mattutine sono splendidi cespugli di biancospino. Sua moglie per Serge il di solito lo aspetta con un po’ di apprensione. momento per Un tempo lo accompagnava sempre, adesso dare un ordine molto meno. Quasi mai. Anche se lui insiste: ai pensieri mezz’ora di camminata è importante. Forza, su, ti fa bene. Quelle passeggiate mattutine sono per Serge il momento per dare un ordine ai pensieri. Ripensa al viaggio che hanno fatto da poco, un antico 31 sogno che si è realizzato: il Marocco. Ripensa ai colori così netti, ai disegni delle ceramiche, ai sapori. Tutto era stato organizzato nei minimi dettagli: dieci giorni dove anche le soste per bere un bicchiere d’acqua erano pianificate. Avevano deciso tutto insieme e insieme si erano preparati psicologicamente. «Mi aspettavo il deserto e invece abbiamo trovato distese di grano dorato. E una sera abbiamo vissuto un bellissimo momento, nella piazza centrale di Marrakech, con i ristoranti Ora è quasi a lume di candela e nell’aria l’odore del pesce una parola fritto e delle merguez, le salsicce piccanti. Era d’ordine: sii tutto così nuovo, inusuale e però piacevole.» felice, elimina Il viaggio è stato il risultato di qualcosa che le cose che non Serge ha sempre saputo, ma raramente ha ti fanno stare messo in pratica. Ora è quasi una parola d’orbene, elimina dine: sii felice, elimina le cose che non ti fani dispiaceri, le no stare bene, elimina i dispiaceri, le tristezze. tristezze Lo ha capito prendendosi cura di sua moglie. Non sa bene perché, ma immagina una nave che sa cavalcare l’onda più favorevole per evitare di soccombere alla tempesta. Forse è un ricordo lontano. Serge è cresciuto a Lille, nel nordest della Francia, quasi al confine con il Belgio; la città che ha dato i natali a Charles de Gaulle. Certi inverni con suo padre raggiungevano Calais e il ricordo dei grandi pescherecci che tornavano in porto dopo aver sfidato le intemperie gli è rimasto negli occhi. Serge ha trascorso un lungo pezzo di vita come manager del settore informatico, un mare tutto sommato placido, e non immaginava che le mareggiate lo attendessero al varco. «Prima che a mia moglie fosse diagnosticato, del Parkinson sapevo davvero poco, poi grazie alle letture e all’associazione mi sono informato e adesso la mia è una sfida comune, mi sento parte in causa, coinvolto.» Gran parte del tempo Serge lo dedica infatti all’associazione che si occupa dei bisogni delle persone come sua moglie: partecipa a incontri in 32 varie città e lavora per il giornale La Page, che esce ogni quattro mesi, anch’esso dedicato al mondo che ruota intorno alla malattia. Serge è abituato ad affrontare gli eventi di petto: se arriva una buona notizia si festeggia, se invece la novella è cattiva si cerca una soluzione, senza girarci troppo attorno. Come la nave sull’onda. «Le domande più comuni che mi rivolge mia moglie riguardano il trattamento con i medicinali: se è corretto, se ci sono novità sul fronte della ricerca e se esistono strutture capaci di accoglierla e curarla per i bisogni quotidiani che dovessero presentarsi. E soprattutto come è possibile, giorno dopo giorno, migliorare la qualità della sua vita.» In tre ore di macchina dal loro villaggio, poco più di mille anime, si raggiunge Parigi. Serge ogni tanto ci va, per un incontro legato alla ricerca o per visitare una mostra. Se c’è qualche concerto o spettacolo teatrale vicino a casa ci va anche sua moglie, ci vanno volentieri insieme. «Ho imparato molte cose prendendomi cura di lei. Per esempio che le emozioni sono un punto critico: dunque, bisogna cercare di essere sensibili, delicati, calmi, non deludere ed essere presenti per proteggere. È importante anche sapere quando fermarsi, quando dire “alt”, per esempio mentre si sta Bisogna facendo qualcosa insieme, e aspettare che la cercare di crisi passi.» essere sensibili, È un po’ - ha riflettuto ultimamente delicati, calmi, come curare il giardino. Intorno alla vecchia non deludere casa non manca il verde e per certi versi Serge ed essere lo considera il suo regno. Quando nel 1980 presenti per aveva piantato gli alberi erano alti due metri, proteggere ora sono bestioni da quindici. «È una lotta tra me e loro. A volte sono costretto a eliminarne qualcuno per fare spazio, ma il grande dilemma è: quali tagliare? Poi ci sono i fiori: narcisi e giacinti sono già fioriti, mentre dei tulipani sono cresciute solo le foglie, il fiore verrà poi. Il mese prossimo pianterò le dalie e fra una settimana sarà il turno delle patate e della cicoria.» Il giardino gli ha insegnato i ritmi del tempo, con i quali regola la sua 33 esistenza. Anche il tempo di sua moglie è regolato secondo una legge nuova. È l’arte di «La malattia divide la nostra vita tra i mosaper fare, di menti in cui sta bene e quelli in cui le cose saper usare non vanno, dunque non è più possibile, se non le mani. Ma anche di sapersi per brevi periodi, usufruire liberamente del tempo. A volte cerco di capire se la malattia ci orientare ha rubato del tempo. Poi però mi domando: è tra pezzi il Parkinson o semplicemente la nostra età?» apparentemente Serge ha settantasette anni. diseguali e Se avesse più tempo, Serge si dedicherebbe saper scegliere con più pazienza al giardino, ai fiori sopratquali usare tutto, che sono i più esigenti. Ogni tanto, insieme a sua moglie, rievocano quegli splendidi versi di E.E.Cummings: ... apri petalo dopo petalo come la primavera fa, toccando accortamente, misteriosamente, la sua prima rosa. Sono precisamente quei due avverbi, “accortamente” e “misteriosamente”, che Serge sente presenti nella sua vita di oggi. «Alla nostra età non c’è più la paura, ma devo pensare al momento in cui non sarò più in grado di occuparmi di mia moglie e pensare a una soluzione.» Ancora le onde del mare, ancora la tempesta. Serge però rimane calmo, come la vecchia casa di cui si prende cura senza ricorrere a imbianchini, elettricisti, idraulici, carpentieri. Fa tutto lui. Lo chiama con quel termine giocoso che suona molto démodé: bricolage. È l’arte di saper fare, di saper usare le mani. Ma anche di sapersi orientare tra pezzi apparentemente diseguali e saper scegliere quali usare. In questo modo affronta tutte le sue nuove sfide. 34 “ Definisci i tuoi obiettivi: cosa ti aspetti oggi, questa settimana, quest’anno. E lotta per raggiungerli. „ 35 Lasciarsi aiutare è una grande dimostrazione di forza 36 P ochi giorni dopo il funerale di suo marito, Grazia mi ha telefonato. Di solito io e mia sorella non ci parlavamo per dei mesi. Hai visto? ho pensato, ora che è rimasta vedova si fa sentire subito. Invece mi ha detto: «Franca, cosa c’è che non va? Cos’è che non mi hai detto?». «In che senso?» ho risposto. «Perché? Cosa avrei dovuto dirti?» «Tremi, Franca. Non stai ferma un secondo. Cosa sta succedendo?» Ricordo che sono rimasta forse un intero minuto con il cellulare vicino all’orecchio, senza dire nulla. Poi ho cominciato a piangere. Lei a Verona da una vita, io a Pescara; ma non è la distanza che ci ha tenute lontane. Fin da ragazzina ho sempre pensato che Grazia fosse una persona paurosa, e a me la paura ha sempre fatto paura, soprattutto quella degli altri. O forse non è neanche questo. Forse è solo il fatto che siamo sempre state molto diverse. Lei si è sposata e ha fatto due figli grandi e grossi come il suo E sono sempre defunto marito. Io ho insegnato tutta la vita stata, credo, nelle scuole: ho tirato su i figli degli altri. E molto felice sono sempre stata, credo, molto felice. Ma da un paio di mesi tremavo. E più cercavo di tenere ferma la mia mano destra, più se ne andava per i fatti suoi. Certi giorni non riuscivo nemmeno a correggere i compiti in classe. Non 37 riconoscevo più la mia scrittura, che era così bella. Per la prima volta anche io ho avuto paura. Una paura irrazionale nei confronti di ogni cosa. Mi mancavano due anni alla pensione e ho subito pensato con terrore che forse avrei dovuto abbandonare il lavoro. E le mie pedalate in bicicletta? E le vacanze in Corsica? Due anni prima, in settembre, ero caduta con la bicicletta vicino a casa: un tizio era sbucato di colpo con la macchina da un passo carraio e io mi ero spaventata perdendo l’equilibrio. E mi ero presa una brutta slogatura alla spalla destra. Un’amica fisioterapista aveva cominciato a seguirmi, perché il dolore non passava. Ed è stata lei, prima di me, ad accorgersi di qualcosa. Chiedeva insistentemente se andava tutto bene. Io rispondevo di sì (ho sempre risposto di sì Per la prima a questa domanda, fin da bambina) e invece volta anche io non era esattamente così. Ma non c’era nulla ho avuto paura. di preciso, era un senso di stanchezza, di faUna paura tica, che non passava. E la mano destra, che irrazionale nei tremava. Non sempre, ma spesso. E che io naconfronti di scondevo, come facevo un tempo con le dita ogni cosa quando mi mangiavo le unghie! Uguale! Perché mi vergognavo di quelle unghie rosicchiate fino alla pelle! Così, per dissimulare il tremore, mi grattavo continuamente il collo o giocavo coi capelli (che per fortuna ho ricci!), infilavo la mano in tasca, me la chiudevo tra le cosce quando accavallavo le gambe. Finché un giorno la fisioterapista – ai cui occhi non scappava niente! – mi ha suggerito di farmi vedere da un neurologo. Un neurologo?! Devo averla guardata come si guarda un matto... Una mattina, ricordo ancora bene quando, mi sono resa conto che impiegavo moltissimo tempo a prepararmi per uscire. Come se dovessi fare la mia entrata su un palcoscenico, mentre dovevo semplicemente vestirmi per andare a scuola! In quei momenti mi prendeva il nervoso, tranne che era un nervoso nuovo, un nervoso che mi bloccava. Rallentava tutto. Un circolo vizioso: nervoso-lentezza-nervoso-lentezza! Arrivavo in ritardo a scuola, in ritardo dalla fisioterapista, in ritardo al treno che avrebbe dovu38 to portarmi a casa di amici in Liguria, dove infatti non sono più andata. Mi sono resa conto che il tempo mi sfuggiva, mi superava, non gli stavo più dietro. Ne avevo sempre meno. E con il tempo se ne andavano le cose che amo: uscire, vedere le persone, i piccoli viaggi del weekend, persino la concentrazione, quella che ho sempre usato per leggere, per lavorare. Poi è morto il marito di mia sorella. E invece di chiudersi nel suo lutto, Grazia ha deciso che voleva aiutarmi. Passate un paio di settimane dal funerale, ha sistemato alcune cose a Verona e ha detto ai suoi ragazzi che per qualche tempo sarebbe venuta a stare da me a Pescara. Grazia mi ha portato a vedere una lunga fila di medici, mi ha accompagnata quando sono andata a fare gli esami diagnostici, come la risonanza magnetica e altre cose simili (mi rifiuto di imparare quei nomi, quelle sigle, le chiamo “le Mi sono resa fotografie”, e ci siamo capiti!). Ed era seduta conto che vicino a me, mi teneva la mano tremante, il il tempo mi giorno in cui la giovane neurologa ha pronunsfuggiva, mi ciato il nome che inizia con la P. superava, non Se il mondo non mi è crollato addosso è gli stavo più perché mia sorella era con me e ha pensato dietro lei a organizzare tutto. Per molti mesi è stata spessissimo con me, finché ho capito che la mia vita, in fondo, non era cambiata così tanto. Ho cominciato non nascondendo più la mano, smettendo di cincischiarmi i capelli senza motivo! E ho visto che le cose lentamente si aggiustavano. Siamo andate alle terme con un gruppo di parkinsoniani che ora frequento. Lei faceva i sali e io camminavo nell’acqua dove mi sentivo nello stesso tempo più leggera e più sciolta. Grandi camminate avanti e indietro nella piscina, con l’acqua fino alla vita! E mi pare che l’irrigidimento sia diminuito. Affrontando le cose con calma ho ritrovato la capacità di organizzare il tempo. Di guadagnare tempo, intendo dire. E ho capito che l’avrei ottenuto accettando i nuovi limiti che il signor P. mi ha imposto. È come se 39 facessi uno slalom. Uno slalom di cui miglioro sempre di più il risultato. Non posso dire di aver ritrovato lo slancio per fare dei progetti a lunga scadenza: avrei tanta voglia di tornare in Corsica, per esempio – e per la verità, per la prossima estate, Grazia pensa di coinvolgere i ragazzi e andarci insieme – però ho ritrovato una normalità, soprattutto nel lavoro. Questo è il mio ultimo anno di insegnamento, salvo imprevisti, e ho deciso che me lo voglio godere, conservare un bel ricordo, perché so che mi mancherà il trantran quotidiano. L’unica difficoltà vera è la scrittura, immagino non tornerà mai come prima. Devo confessare una cosa, un piccolo peccato: quando rimane qualche giorno da me, è Grazia adesso che corregge i compiti in classe. E ci credete che è più severa di me? È come se facessi uno slalom. Uno slalom di cui miglioro sempre di più il risultato 40 “ Accettare la diagnosi è fondamentale. Averne consapevolezza è l’inizio della cura, perché conoscere tutte le caratteristiche del Parkinson permette di accedere a una migliore assistenza e fa sentire meglio, anche mentalmente. „ 41 Una canzone per ritrovare la voglia di vivere 42 M i chiamo Victoria, “Vicky”, e non sono più giovanissima, ma nemmeno vecchia. Quando per strada incontro qualcuno che non vedo da tanti anni, in genere lo riconosco, ma lui non riconosce me. Sono molto cambiata. Quando però apro bocca tutti sanno chi sono. È per via della mia voce. Pare sia molto particolare. È un po’ grave, rauca. Da ragazza cantavo. Ero una fan di Nina Simone. Se spuntava una chitarra fra gli amici, a me toccava cantare. Per un certo periodo mi ero persino messa in testa di proDa ragazza varci, a salire su un palco. Poi è arrivato l’amore cantavo. Ero e insieme un figlio, all’improvviso. E la voglia una fan di di rimettermi a studiare. Psicologia. Nina Simone Dopo qualche anno mi sono trovata a lavorare sulle forme di depressione, spesso connesse a malattie neurologiche come il Parkinson. Senza contare che in questo caso la depressione può essere un segnale che anticipa i sintomi più noti della malattia (come la bradicinesia, la difficoltà a compiere anche i movimenti più banali) e non una conseguenza. Tuttavia, più spesso, sono i colleghi neurologi a inviarmi loro pazienti a causa di una depressione conseguente alla diagnosi. Karina, una giornalista più o meno della mia età, non era un caso di depressione particolare, né particolarmente grave: era chiaro anzi che Kari43 na era semplicemente caduta in uno stato di sconforto molto accentuato, un fatto piuttosto comune. Per qualche ragione mi ricordava mia madre: lo stesso colore di occhi, di un blu quasi viola (bellissimi), e i capelli biondo cenere, arruffati, né corti né lunghi, vissuti come un gesto di estrema libertà. Anche mia madre li portava così. Oltre a lavorare in un giornale, Karina teneva una rubrica di politica estera in una radio di Monaco, la città dove vivo da qualche anno (sono nata ad Amburgo). Karina era parkinsoniana da circa tre anni e aveva grossi problemi con la sua voce. Non accusava quasi altri sintomi, a parte episodi di ipocinesia mattutina, cioè una certa difficoltà a ingranare: mi disse che a volte si svegliava nella medesima posizione in cui era andata a dormire. Temeva che quella fissità, che talvolta arrivava e così come era arrivata svaniva, potesse un giorno diventare la sua condizione definitiva. Mi disse che temeva di diventare una statua e, quello che è peggio, senza aver mai compiuto neanche un’azione eroica per il suo Paese! Mi faceva ridere. Karina aveva una bella maniera di ridere, soprattutto con gli occhi, dal momento che la voce si era ridotta a un sussurro. Questa è una delle possibili conseguenze del Parkinson, e fra quelle che maggiormenLa voce perde te pregiudicano la vita delle persone. La voce tono e volume. perde tono e volume. Il timbro si modifica. Il timbro si Il linguaggio tende a diventare monotono, si modifica perde la prosodia e si instaura un’emissione stereotipata dei singoli fonemi. In pratica, è come se i suoni che emettiamo fossero tutti uguali. Ciò deriva anche da problemi di respirazione. Karina, ormai da un paio di mesi, aveva abbandonato la trasmissione alla radio ed era chiaro che per lei fosse motivo di grande frustrazione. Le chiesi se voleva cantare insieme a me e al mio gruppo. Sapete, quando anche la voce viene colpita, allora si capisce che non è soltanto qualcosa che noi “sentiamo”, ma è una maniera di dire “io sono”. È una maniera di riconoscersi ogni mattina e di farsi riconoscere dagli altri. 44 Io sono timida: anche da ragazza lo ero, ma quando cantavo mi passava. Quasi che la voce del canto fosse più forte, più vera. Pian piano sono andata a cercare la mia voce perduta nel passato e, una volta trovata, ho ripreso a cantare. E poi sono entrata in un coro. Nel coro ho conosciuto una maestra di “canto-terapia” e insieme abbiamo creato un altro gruppo dove lavoriamo con pazienti come Karina. Cantiamo e, nello stesso tempo, cerchiamo di Gran parte di ritrovare la voce di chi l’ha persa. quello che Per i parkinsoniani il fatto di non essere più pronunciamo “capiti” quando parlano fa in modo che spesso viene dalla finiscano per non essere più ascoltati. Senza respirazione voce aumenta l’isolamento. D’improvviso, si è come muti. Forse per questo Karina ha accettato subito di provare a entrare nel gruppo, dove, insieme a un pianista molto simpatico, cantiamo vecchie canzoni jazz, melodie bellissime e orecchiabili. Il pianista, a dire la verità, oltre alla bravura possiede un’altra grande qualità: la pazienza! Attualmente nel gruppo siamo tre voci, a volte si aggiunge un contrabbassista (in realtà è un avvocato) e ognuna di noi ha un soprannome: io sono Nina (ovviamente!). Amo le canzoni di Richard Rogers, come My funny Valentine, la maestra adora Gershwin e il suo pezzo forte è Summertime, e via così. Le prime due volte Karina è stata soprattutto ad ascoltare, ma la terza ha chiesto al pianista se conosceva Smile, di Charlie Chaplin, una canzone dolcissima che risale al film Tempi moderni. Il pianista (si chiama Otto) le conosce tutte, e quelle che non conosce le improvvisa. La maestra ha detto a Karina di non preoccuparsi di cantare le parole, ma di cominciare con la melodia. E prima ancora dalla respirazione. Gran parte di quello che pronunciamo viene dalla respirazione, è lì che nasce la voce, e pure il ritmo, l’armonia che diamo al suono che pronunciamo e che si trasforma in qualcosa di comprensibile alle orecchie degli altri. Piano, provando un po’ di volte, Karina ha cominciato a canticchiare. «Non sono esattamente Ella Fitzgerald» ha detto, «ma ce la posso fare!» 45 Il resto del pomeriggio l’abbiamo trascorso ridendo e cantando. Non è stata quella volta, ma uno o due mesi dopo, che ho assistito al ripetersi dello stesso prodigio con un altro “corista”: nella musica la voce torna fuori, nel canto si ritrova la sicurezza. Il Parkinson ha molte implicazioni sociali, spesso il parkinsoniano ha vergogna della sua condizione e tende a diminuire la sua frequentazione del mondo. E E invece invece bisogna vincere questa paura, tornando bisogna vincere nel mondo, facendo qualcosa insieme agli alquesta paura, tri, condividendo. tornando nel Recentemente Karina mi ha detto che non mondo era tanto per la voce che aveva lasciato la radio, ma piuttosto perché aveva smarrito il tempo per preparare la trasmissione. E il tempo si era perso nella mancanza di voglia, voglia di uscire e stare con gli altri: il tempo nasceva da uno stimolo, mi ha detto. Nel frattempo siamo diventate amiche, siamo anche state insieme a Berlino per un fine settimana. La sua trasmissione radio è tornata in onda e dura un’ora. Ogni sabato mattina l’ascolto, è molto interessante. Parla del mondo. 46 “ Divertiti. Se hai delle passioni nel tempo libero, incentivale e accrescile. Se non ne hai, inventane di nuove, cerca qualcuno con cui divertirti, entra a far parte di un gruppo. Non stare solo, apriti a nuove conoscenze e rapporti. „ 47 Assapora le piccole gioie delle grandi sfide 48 A vete mai visto Londra dall’alto? È fantastica, e vi assicuro che da lassù è ancora più bella. Per me, poi, guardarla dall’alto ha un sapore davvero particolare. Non solo perché se ne ottiene una visione unica, ma perché significa che sono riuscito a superare i miei limiti. Si possono inventare tanti modi per farlo. Per esempio, io vorrei guardarla dalla cima dell’edificio 30 St. Mary Axe, conosciuto anche come “The Gherkin”, un bellissimo grattacielo di 180 metri disegnato dal famoso architetto Nove prove Norman Foster. Per salire sono più di mille come questa, gradini e voglio farmeli tutti, uno per uno! prove di Il mio obiettivo è realizzare almeno nove resistenza che prove come questa, prove di resistenza che darebbero del darebbero del filo da torcere all’atleta più alfilo da torcere lenato e sicuramente non afflitto dai problemi all’atleta più neurologici che ho io. Mi piacerebbe che fosallenato e sero sfide un po’ diverse dal solito. sicuramente Non solo, ho intenzione di completare un non afflitto “Quadrathlon”, cioè una combinazione di dai problemi quattro sfide: tre ore su e giù dai gradini, poi tre ore di vogatore in casa, seguite da tre ore neurologici di passeggiata nell’acqua bassa, da concludersi che ho io 49 con tre ore di spinning. In tutto, sono dodici ore di esercizio continuo! Un’altra idea che ho in testa è un po’ bizzarra, ma solo a prima vista: mettermi a suonare la campana di una chiesa per tre/quattro ore, periodo di tempo che corrisponde a 10.000 rintocchi! Ovvio: sempre che qualcuno nelle vicinanze non mi faccia smettere prima per raggiunto limite di sopportazione dei timpani! E poi ho intenzione di salire e scendere per venticinque volte i gradini della cattedrale di St. Paul, stupendo esempio del barocco inglese. Forse adesso avete capito perché mi diverto a farmi chiamare The PhePoi ho capito che la diagnosi nomenon! Ho cinquantun anni e fino a un paio d’anni va accettata e fa ero ispettore del fisco, ora sono in pensione. se lo fai, piano Vivo nella contea del Kent, a sudest di Lonpiano la vita dra, insieme a mia moglie e a mia figlia. La può tornare nostra è una bella zona, da una parte si è alle a essere porte della città, dall’altra si è già immersi nel gratificante verde della campagna e non distanti dalla costa, che è magnifica. Il fatto di aver smesso di lavorare non significa che ho meno impegni di prima. Anzi. Da quando non lavoro mi pare di avere molte più cose da fare, e sono quasi tutte piacevoli. Lo sport innanzitutto, quello mi è sempre piaciuto: adoro il calcio, sebbene non vada più allo stadio, ma difficilmente mi perdo una partita alla televisione. In tv mi piacciono anche i documentari sulla vita selvaggia e ho sempre avuto una passione per la musica degli anni Ottanta. Sono malato da dieci anni, da quando ne avevo quarantuno. Mi ricordo ancora la data esatta in cui ho ricevuto la diagnosi: il 23 dicembre 2004. Avevo cominciato ad avvertire i sintomi soltanto un paio di mesi prima: lentezza nei movimenti e rigidità delle membra. Ragazzi... la mia prima reazione è stata di incredulità, ero scioccato. Pensavo che la mia vita fosse giunta alla fine, dico sul serio, sono piombato nella depressione più nera. Ho fatto fatica ad ammetterlo: negavo potesse essere davvero Parkinson. Anche i miei amici non ci potevano 50 credere. Poi ho capito che la diagnosi va accettata e, se lo fai, piano piano la vita può tornare a essere gratificante. Da allora, mi sento catapultato dentro un lungo viaggio di scoperta. Però non da solo, non come se fosse una traversata in solitaria nell’Oceano. Al contrario, quello che imparo, che apprendo ogni giorno, mi piace condividerlo con gli altri; mi piace infondere speranza e motivazione alle persone. Cerco di farmi venire nuove idee, diverse, creative, per diffondere informazioni, ascoltando le esperienze degli altri e facendo tesoro della mia. Oggi promuovo incontri, tengo conferenze e mi dedico a raccogliere fondi per la ricerca. In questo campo mi interessano in special modo le scienze e la biologia umana. Un progetto che mi sto impegnando a sostenere è quello di un professore universitario che lavora nel campo dei “Ritmi Circadiani”: in parole più semplici si tratta del nostro orologio biologico, il ritmo biologico interno che muta e I problemi si trasforma nell’arco delle ventiquattro ore e maggiori io li che, prima di tutto, corrisponde al ciclo della ho di mattina, luce e del buio. Per dire la verità siamo ancora al risveglio, e alle battute iniziali degli studi, però è un camquando vado po che mi affascina molto. a letto, per In fase più avanzata è invece un altro progetto in cui sono coinvolto e che riguarda gli questo ho studi sul sonno. Dormire è essenziale per la capito che nostra qualità della vita; avere il sonno irreil segreto è golare può peggiorarla notevolmente. Inoltre dormire bene l’alimentazione è importante: faccio ricerche anche in questo campo. I problemi maggiori li ho di mattina, al risveglio, e quando vado a letto, per questo ho capito che il segreto è dormire bene. In qualche modo, dobbiamo rendere confortevole e prevedibile la nostra vita, perché se una crisi ci coglie impreparati, allora sono guai! Per quanto mi riguarda, la rigidità è il problema maggiore, e anche la difficoltà a rimanere concentrato 51 per lunghi periodi: la mia autonomia è di circa due ore. In tutti i modi, dovunque io mi trovi, se per caso sento arrivare un attacco, cerco di non concentrarmi sull’irrigidimento; voglio dire, cerco di fuggire con la mente. Ecco perché la routine in genere è un toccasana: niente imprevisti, o il meno possibile. Chi l’ha detto che la routine è noiosa? Ritmi regolari. Impegni precisi. Tutti i giorni, a orari Chi l’ha detto che la routine stabiliti. Di solito realizzo due prove estreme ogni è noiosa? Ritmi anno, e per il resto del tempo mi alleno per regolari. rimanere in forma, mantenermi in salute e Impegni precisi. minimizzare i progressi della malattia. Vado Tutti i giorni, a in palestra cinque giorni alla settimana, che è orari stabiliti anche l’occasione per incontrare un gruppo di amici che si allenano con me e con i quali si chiacchiera e ci si fa due risate. Anche mia moglie fa ginnastica cinque o sei volte alla settimana, e siccome è in pensione come me ha tempo di accompagnarmi e venirmi a prendere. Nonostante ciò riesce a cucinare cose buonissime e si prende cura della casa. Ammettiamolo, pure lei come fenomeno non è mica male! Il mio orizzonte certamente è cambiato: non posso più, per esempio, fare lunghe maratone o imbarcarmi per lunghi viaggi. È per questo che le mie sfide hanno trasformato la mia percezione del tempo: gli obiettivi a breve termine mi rendono più padrone del tempo, e lo uso per quelle attività che mi piacciono senza avere l’impressione di perderlo. La malattia, è vero, interferisce con gli impegni quotidiani, per questo ho capito che bisogna godersi i piccoli piaceri della vita e assaporarli. Soprattutto bisogna essere positivi: la positività è importante per godersi la vita, che è fatta di piccole gioie. 52 “ Non avere paura della routine per mantenere un regolare ciclo del sonno; dormire bene è importantissimo. „ 53 Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi 54 C’ è un prima e c’è un dopo. Sono due parole, prima e dopo, che tornano spesso. Prima del Parkinson e dopo il Parkinson. Vorrei però che queste due parole fossero lette semplicemente per quello che sono, un indicatore di tempo, un angolo che nell’ormai lungo percorso della mia vita, della nostra vita, a un certo punto abbiamo svoltato. Mi chiamo Roser, ho sessantuno anni e vivo a Barcellona con mio marito. Abbiamo due figlie grandi e quattro nipoti, che sono la mia gioia. Avevo anche un gatto, anzi, per essere precisi, una gatta bellissima che si chiamava Taca, molto amata da tutti. Taca era l’unica che mi viziava, che si accorgeva quando stavo male o ero triste. Puntuale, arrivava e rimaneva al mio fianco, C’è un prima dandomi baci. Nessuno se ne accorgeva, né e c’è un dopo. le mie figlie né mio marito che aveva già il Sono due Parkinson. Taca era un membro in più della parole, prima famiglia che, oltre a rendersi conto di tutto e dopo, che quello che mi accadeva, rallegrava la mia vita. tornano Quando si è ammalata siamo stati tutti malisspesso. Prima simo, abbiamo dovuto ricoverarla in un ospedel Parkinson dale veterinario e poi sacrificarla. Sono stata e dopo il così male che ho deciso che non avrei mai più Parkinson tenuto un animale. 55 Durante questi ventotto anni di Parkinson sono cambiate molte cose, ma la relazione tra me e mio marito è sempre la stessa. Quello che è cambiato è che stiamo praticamente sempre insieme, in casa o all’Associazione Parkinsoniana Catalana, di cui sono Presidente. La necessità principale di mio marito è stare sempre con me, così è più tranquillo. E il fatto di stare tutto il giorno insieme mi lascia a mia volta più serena, così posso controllare costantemente le sue condizioni. Lui fa le terapie, con il logopedista e il fisioterapista, e contribuisce all’Associazione in qualità di tesoriere: è molto intelligente, faceva un lavoro di grande responsabilità. Quando a mio marito fu diagnosticato il Parkinson aveva trentasette anni e all’inizio teneva il braccio nascosto come Napoleone! Così io mi dissi: se la malattia è solo questo, allora tutto bene! In realtà la mia reazione era stata buona perché non ne sapevo quasi nulla. Lui lavorava ancora e io mi trasformai nel suo autista: lo accompagnavo e l’andavo a prendere al lavoro. Con il passare del tempo però la cosa si complicò, aveva dei movimenti involontari così esagerati che si ruppe persino il polso. Per strada o al ristorante la gente non smetteva di guardarci e Mi piace molto in casa ci rendemmo conto che poteva fare il lavoro alcune cose e altre non più. all’Associazione, Tuttavia, questo non ci ha frenato e abbiaaiutare le mo cominciato a lottare, a fare riabilitazione persone ad per rallentare i sintomi. Grazie al neurologo andare avanti, abbiamo cominciato a conoscere meglio il perché mentre Parkinson ed è il neurologo che ci ha presenaiuti gli altri tati all’Associazione nella quale ormai lavoaiuti anche te riamo da vent’anni. stesso Mi piace molto il lavoro all’Associazione, aiutare le persone ad andare avanti, perché mentre aiuti gli altri aiuti anche te stesso. Mi piace molto essere in contatto con la gente, capire le loro necessità e cercare di risolvere i problemi e rassicurarli sul fatto che non sono soli, partecipare agli incontri durante 56 i quali ci scambiamo le esperienze e ci aiutiamo. Prima lavoravo come amministratrice in una piccola impresa e poi presso la Banca Catalana. La mia routine adesso è il Parkinson. AiuSe potessi tare mio marito e gli altri e appoggiare le riavere un’ora in cerche. più non farei Il Parkinson ha certamente portato via temproprio nulla: po alla mia vita, e sebbene incentivi continuarelax completo! mente i caregivers a ritagliarsi un tempo per se Un’ora in più stessi, la verità è che io non ne ho mai. per me oggi Se potessi avere un’ora in più non farei procome oggi prio nulla: relax completo! Un’ora in più per mi pare un me oggi come oggi mi pare un miraggio nel miraggio nel deserto! deserto! L’unico momento libero che ho è la mattina presto, ma ne approfitto per andare in palestra a fare un po’ di ginnastica. Dopodiché, normalmente vado all’Associazione. Prima avevo molto tempo da dedicare a me stessa, facevo sport, al pomeriggio andavo all’Istituto Nazionale di Educazione Fisica, accompagnavo le mie figlie a scuola, mi capitava di uscire a pranzo con le amiche, poi andavo a prendere le bambine e le portavo a nuoto: sono state tra le migliori nuotatrici della Catalogna! Insomma, facevo una vita tranquilla e felice. Quando a mio marito hanno diagnosticato il Parkinson le ragazze avevano otto e undici anni, praticamente l’hanno visto tutta la vita nelle sue attuali condizioni. Oggi faccio quasi tutto io, anche portare la macchina dal meccanico, e delle cose che facevo un tempo non è rimasto quasi nulla. Me per il resto la nostra vita non è cambiata, è sempre felice, cerchiamo di fare una vita normale. Ci piace andare a teatro e al cinema e a cenare fuori, anche con gli amici. Spesso andiamo allo stadio a veder giocare il Barça, che è una nostra passione. Io sono nata a Barcellona, è la città che amo di più e dove mi sento bene; è una metropoli, ma è anche una città di mare, con una forte energia della natura, la spiaggia, i colori del tra57 monto e dell’alba. A me piace l’arte, e Barcellona ne offre molta, oltre ai giardini e a una splendida architettura. Davvero mi piace la sensazione di essere parte di questa città mediterranea, così caratteristica e insieme così aperta al mondo. Nel Parkinson Del resto, non smettiamo di fare progetti, ci non tutto è piace viaggiare e lo facciamo appena possibile, negativo: a me e poi siamo felici perché casa nostra è ancora ha insegnato il centro delle riunioni di famiglia. Vediamo a guardare le ancora gli amici di prima, riusciamo a fare cose da una qualche vacanza insieme. E quando possiamo prospettiva andiamo a trovare i nostri nipoti che vivono differente e a fuori Barcellona. lasciar perdere Penso che dopo ventotto anni di malattia le stupidaggini l’effetto che facciamo sulla gente sia positivo, perché nel Parkinson non tutto è negativo: a me ha insegnato a guardare le cose da una prospettiva differente e a lasciar perdere le stupidaggini. E poi ho conosciuto molta gente carina. Bisogna approfittare dei bei momenti, dei momenti in cui si sta bene. E lasciarsi alle spalle la paura: noi cerchiamo di vivere la nostra vita senza pensare al domani. Infatti dico sempre: non lasciare a domani quello che puoi fare oggi. Vivi il presente e non pensare al futuro. E a chi entra adesso in questa avventura dico di non preoccuparsi eccessivamente: quando è successo a noi c’erano ancora pochi farmaci, ma adesso le opzioni sono molto maggiori e si può adattarle alle proprie necessità. 58 “ „ È importante che tutta la famiglia sappia cos’è il Parkinson, in modo da affrontarlo tutti insieme. 59 Risalire la corrente e non fermarsi mai 60 N on immaginatevi il pescatore placidamente seduto su una sedia da campeggio, cappello floscio in testa e un tranquillo lago di fronte, la cui unica preoccupazione è aspettare che la canna cominci a tirare perché allora vuol dire che il pesce ha abboccato. No, quello non sono io. Per me la pesca vuol dire avventura; non parlo di Indiana Jones o chissà che, ma il piacere della scoperta sì, l’entusiasmo di andare in cerca di scenari incontaminati, riscoprire luoghi dimenticati. Però non vado da solo; per sicurezza c’è sempre mio fratello. Ho sessantatré anni e il fatto è che da qualche anno con me c’è anche il Parkinson, una Per me la pesca presenza non così ingombrante ma con la vuol dire quale, da subito, ho dovuto fare i conti. È coavventura minciato in modo molto singolare: non riuscivo più a chiudere una palpebra. Dopo aver superato il problema, i disturbi erano così lievi che non ho avuto particolari reazioni, non mi sono né disperato né sono entrato in panico. Anche l’evoluzione è stata molto lenta, finché all’inizio del 2012 mi sono sottoposto all’intervento per installare l’apparecchio della Stimolazione cerebrale profonda, anche detta DBS. Da quel momento i miglioramenti sono stati tali che ho finito per sottovalutare il problema. Adesso invece mi rendo completamente conto dell’ineluttabilità del Parkinson, per cui 61 ho cominciato a combatterlo con la fisioterapia e la ginnastica. Oggi i fastidi maggiori li ho infatti nella deambulazione, nella postura e in una stanchezza generale: altri sintomi, come il tremore o la perdita dell’equilibrio, sono quasi inesistenti, così come praticamente non mi succede mai di bloccarmi durante la giornata. Non sono il primo caso in famiglia: a mia madre fu diagnosticato il Parkinson a ottant’anni, e morì a novantacinque. Non sono il Vengo da Cogne, un paesino di montagna, primo caso in in Valle d’Aosta, decimo di undici figli. Lì ho famiglia le mie radici: quando ci torno dormo ancora nel letto dove sono nato. Dal 1974 però vivo a Milano, sono sposato felicemente e ho quattro figli! Faccio l’editore, guido una piccola casa editrice, ma sto per ritirarmi dal lavoro. Finalmente avrò più tempo per pescare. La pesca è una passione di famiglia: da ragazzo accompagnavo i miei fratelli in battute di pesca nelle nostre zone, dove c’erano un sacco di possibilità, vallate con bellissimi corsi d’acqua, siamo stati veramente viziati. Poi, con il lavoro e la famiglia - e quattro figli non sono una passeggiata - ho comunque cercato di non perdere la buona abitudine. Ora che i figli sono grandi, almeno un giorno alla settimana cerco di dedicarlo alla mia passione. Mio fratello e io prendiamo la macchina e via! Pratico la pesca a spinning, cioè uso esche artificiali, e le mie prede preferite sono le trote. L’abitudine fin dall’infanzia di pescare in montagna, risalendo ruscelli e fiumi, mi ha portato naturalmente a scegliere questo tipo di pesca nel quale bisogna affrontare e superare le difficoltà del terreno, superare le cascate arrampicandosi e aiutandosi con i rami, gli alberi e soprattutto cercando di evitare di finire in mezzo ai rovi e alle spine! In quei momenti, mio fratello e io condividiamo tutto, la delusione per una trota che ci sfugge oppure la felicità della cattura. In quei posti, inoltre, una gioia si aggiunge alle altre: quella della solitudine. Spesso siamo solo noi due, non incontriamo nessun altro. Piuttosto ci imbattiamo nei resti di una civiltà contadina ormai abbandonata: terrazzamenti, mulini, canali, sentieri e ruderi quasi sommersi dalla vegetazione. 62 Le nostre mete predilette sono la Valle d’Aosta – dove ci sentiamo davvero a casa nostra, ci pare di conoscerla in ogni anfratto, anche se ogni volta scopriamo posti nuovi, è incredibile – e la Liguria, che è una regione fantastica, montagnosa e insieme fatta di tante piccole valli che portano al mare. L’Italia ha davvero degli scenari fantastici, e spesso sono i più sconosciuti, lontani dalle città e anche dai luoghi “naturali” più noti: solo con questa voglia di scoperta si incontrano i gioielli dimenticati di questa penisola. Le emozioni che provo, che proviamo in quei momenti, sono indescrivibili. Lanciare nel posto giusto e prendere la trota, e poi il piacere di essere immersi in quella bellezza selvaggia: dove dietro a una roccia, in fondo a un sentiero, capita di trovarsi dinnanzi a una cascata o una pozza imprevista. Oggi riesco a pescare ancora per sei o sette ore di fila, sebbene poi il giorno dopo arrivi sempre il conto! Ma la pesca, per me, non è soltanto un’attività fisiQuello che ca che mi aiuta a muovermi, è soprattutto un mi spaventa di centro gravitazionale intorno al quale si conpiù, pensando centrano la mia attenzione e i miei pensieri, al futuro, è la che fuggono così dal Parkinson. perdita della Non oso pensare a quando non potrò più mia autonomia farlo, ma è inutile anticipare: come si dice, a ogni giorno basta la sua pena! La pesca rappresenta un tempo che riesco a riservare alla mia vita, la mia vita di sempre; e tuttavia, se potessi guadagnare del tempo, anche solo un’ora in più, lo userei per combattere il Parkinson. Proprio perché quello che mi spaventa di più, pensando al futuro, è la perdita della mia autonomia. Una lotta quotidiana contro le limitazioni che di volta in volta mi si piantano davanti. Una lotta che non combatto da solo, ma insieme a mia moglie, che mi è di grandissimo aiuto. Ma anche quello soltanto spirituale dei miei figli, oggi sparpagliati per il mondo, è altrettanto fondamentale, e anche quello dei due nipoti più grandi. Cerco di non rimpiangere quello che non posso più fare, ma anzi apprezzare ciò che posso ancora fare. E 63 Organizziamo un viaggio all’estero, soprattutto nei Paesi nordici, per sperimentare una pesca un po’ diversa anche qui la pesca è un alleato prezioso. Una volta all’anno, abbandoniamo le amate vallate e ci spingiamo più lontano, organizziamo un viaggio all’estero, soprattutto nei Paesi nordici, per sperimentare una pesca un po’ diversa, dove anche i pesci sono altri, come per esempio i lucci e i persici. Quest’anno andremo alla scoperta dei laghi finlandesi. Non vedo l’ora! 64 “ Cercare di vivere a fondo il presente apprezzando quello che si ha. Se infatti ci si guarda attorno, a una certa età moltissime persone hanno dei problemi. E il Parkinson è solo uno di questi! „ 65 Il sonno È lo specchio della vita, di una vita sana 66 N oi medici veniamo a contatto con molti tipi di sofferenze, continuamente. Ci sono quelle fisiche che, anche se intense, sono talvolta le più “ovvie” e le più riconoscibili, mentre quelle morali, quelle che derivano da un’altra malattia o da un dolore, un lutto, un abuso, le sofferenze psichiche, sono per me più difficili, sono quelle che, in un certo modo, mi “consumano” di più. Ne vediamo tante, tutti i giorni. Facendo questo lavoro la percezione della vita cambia, anche se lo fa lentamente, e quando alla sera torno a casa, e mi rendo conto che c’è più salute che malattia, Noi medici mi sento una donna fortunata. veniamo a Vivo in una grande città del nord, ho quacontatto con rantadue anni, un marito, due figli piccoli e molti tipi di avevo un cane che adoravo: quando è morto, sofferenze, lo scorso gennaio, ha lasciato un vuoto enorcontinuamente me in tutti noi, era il compagno di una vita, quattordici anni insieme. Sono neurologa in un ospedale. All’inizio, ho lavorato sull’epilessia, appassionandomi all’elettroencefalografia come metodo per indagare le funzioni del cervello. Sono sempre stata affascinata dalle potenzialità del cervello umano; le funzioni e le capacità del nostro sistema nervoso centrale sono davvero incredibili. Poi mi sono dedicata alle applicazioni 67 alternative dell’elettroencefalografia, studiando principalmente il coma e il sonno, i cui disturbi occupano oggi quasi interamente la mia attività lavorativa. È questa la ragione per cui tra i miei pazienti ci sono spesso parkinsoniani o persone affette da “parkinsonismi”. Il sonno, infatti, è uno degli aspetti più colpiti nel Parkinson: si soffre di insonnia, si soffre della “sindrome delle gambe senza riposo” (cioè la necessità di muovere continuamente le gambe, nel letto, per alleviare un senso di dolore, di formicolio, di fastidio) e si soffre di apnee notturne, cioè la respirazione si interrompe o rallenta mentre si dorme, rovinando il riposo. Lavoro anche sul cosiddetto “disturbo comportamentale della fase REM” che provoca movimento durante il sonno: in parole più semplici significa che si “fa” ciò che si sta sognando; muovere le braccia, le gambe, parlare, addirittura alzarsi, o gridare. Esistono degli studi che dimostrano come questo tipo di manifestazione possa talvolta precedere l’insorgenza della malattia. I parkinsoniani soffrono Il sonno, particolarmente per i disturbi motori e a cauinfatti, è uno sa della limitazione della loro autonomia, ma degli aspetti non bisogna sottovalutare i disturbi del sonno, più colpiti nel così gravi da provocare una sonnolenza diurna Parkinson: che può modificare lo stile di vita e peggiorarsi soffre di ne la qualità. insonnia, si Il lavoro sul sonno è affascinante. Duransoffre della te la giornata eseguo i referti a partire dalle “sindrome delle polisonnografie e dagli elettroencefalogramgambe senza mi, e visito i pazienti. Capita che lavori anche di notte: registriamo il sonno in un ambienriposo” te protetto, in modo da acquisire dei tracciati polisonnografici. Guido una équipe con due medici più giovani e cinque tecnici di neurofisiopatologia, e ovviamente rispondo a un primario. Spesso capitano tra noi anche dei giovani che si stanno specializzando o che stanno compiendo un dottorato. La mia professione ha cambiato la mia percezione del tempo. Adesso 68 sono appena rientrata dalla maternità, dunque ho un orario ridotto, ma in genere entro in ospedale alle sette e mezzo del mattino e non esco fino alle sei del pomeriggio. Ho avuto un periodo di attività intensissima che non mi lasciava spazio al di fuori del lavoro. Adesso no. Adoro il mio lavoro e gli dedico tantissime energie, ma quello che c’è al di fuori è fondamentale. Perdermi la crescita dei miei figli sarebbe una cosa che non mi perdonerei. Giocare con loro è impagabile. Oppure sedermi e fare due chiacchiere con mio marito, o uscircene noi due, quando si può e si riesce, o magari con qualche amica. Sono una ex-pianista e adoro la musica. La Ho bisogno di musica mi rilassa e quando ne ho bisogno mi ricavarmi degli fa concentrare. Sono una lettrice vorace. Amo spazi, non mi l’arte in tutte le sue forme. Quando posso mi piace avere dedico allo yoga. Insomma, ho bisogno di le giornate ricavarmi degli spazi, non mi piace avere le “ripiene”: se giornate “ripiene”: se potessi avere un’ora in potessi avere più al giorno, come una finestra da riempire, un’ora in più al deciderei di volta in volta cosa fare. Solo l’idea giorno, come mi fa respirare libertà! Anche la libertà di deuna finestra cidere di non fare nulla! da riempire, Certamente però tra le mie passioni c’è andeciderei di che il lavoro. La mia è una specialità che mi volta in volta mette di fronte le storie più diverse e variopinte. Sono patologie molto trasversali, nel cosa fare senso che seppur diverse hanno molti punti di contatto. Come quella bambina che cercava di non uscire per evitare una crisi cataplettica (cioè un tipo di grave debolezza muscolare) che la prendeva quando rideva con gli amici. Oppure quel preside “rinato” dopo la terapia contro le apnee notturne: per forza, si addormentava regolarmente durante la lezione ed era diventato lo zimbello della scuola! E poi penso a tutti quei genitori di bimbi affetti da pesanti patologie cranio-facciali, ai bimbi stessi, che vediamo ogni giorno e ci danno esempi di coraggio incredibili. Le sofferenze dei bambini mi disarmano completamente, così 69 come quelle degli animali. I pazienti non si I pazienti non si devono sentire ignorati. Per devono sentire questo è importante che si parli del Parkinignorati. son, anche se i media generalmente danno più importanza agli aspetti di maggior impatto Per questo è emotivo, le immagini visive più forti. Ma forse importante che si parli del è anche giusto così, ci vuole consapevolezza. Noi medici dobbiamo infondere coraggio. Parkinson Ai miei pazienti cerco di trasmettere messaggi forti e chiari, innanzitutto la comprensione. Ci vuole empatia e un fondo di serenità. 70 “ Cercate sempre l’autenticità e la motivazione profonda nelle cose che fate. Ciò fornisce consapevolezza nella vita privata e nel lavoro, permettendo di gustare nel bene e nel male ogni momento, proprio perché lo si è scelto. „ 71 Verso l’ultima maratona, senza guardarsi alle spalle 72 P er fortuna che il pub è vicino a casa. Mi scoccerebbe molto non poterci andare quando ne ho voglia. Non che sia mai stato un fissato, ma una pinta con gli amici per tirare il fiato dopo il lavoro non ha mai fatto male a nessuno. Se capita, si guarda una partita in tv e se si vince si brinda insieme. Non sto parlando di calcio, no, sto parlando di rugby. Quello è la mia passione, il rugby. Anche se lo sport in generale mi appassiona. Anche io ne faccio, ne ho sempre fatto. Ricordo che è stata una delle prime cose che È la mia ho pensato quando ventisette anni fa ho scopassione, il perto di avere il Parkinson: non è che dovrò rugby. Anche rinunciare allo sport? Non facciamo scherzi! se lo sport in Adesso di anni ne ho settantatré e, a Dio generale mi piacendo, non ci ho ancora rinunciato. Corro, appassiona. soprattutto. E faccio esercizio in palestra, mi Anche io ne alleno. faccio, ne ho Qui dove viviamo, a Romford, a nord di sempre fatto. Londra, ci sono un sacco di bei posti tranquilli dove andare a correre. Mi piace vivere qui. Abbiamo un bel giardino e un cagnetto che ci scorrazza volentieri. Mia moglie, Janette, è in pensione anche lei, faceva la sarta, una sarta davvero brava. Ancora oggi le è rimasta la passione per il taglio e il cucito. Quan73 do ha tempo, naturalmente: io le do un po’ di lavoro extra, con le mie necessità. Non è che le sia rimasto molto tempo libero. Facevo l’agente di borsa, nella City, un lavoro super stressante, e tutto sommato anche un bel lavoro; e mi è sempre piaciuto andarmene lontano dal centro finite le contrattazioni. Qui non ci sono quella confusione, il rumore, il traffico. Però il lavoro in città mi piaceva. Certo, non l’avrei lasciato così presto, il lavoro, come mi è accaduto a causa del Parkinson. Sapete, nessuno assume cinquantenni con il Parkinson. O, almeno, è molto difficile che accada. All’inizio il Parkinson l’ho vissuto come una seccatura. Avevo questo tremore al braccio sinistro. Non ci facevo quasi caso e per avere la risposta definitiva, la diaCon il gnosi, ci sono voluti quindici mesi. Quando Parkinson la poi è successo, ormai mi ero come abituato vita in generale all’idea, avevo convissuto con questa possibidiventa più lità e non ho fatto gran fatica ad accettarla. difficile da Anche i miei amici e i conoscenti hanno reagestire. Tutto gito bene, con affetto. diventa più Chi non l’ha presa bene è stata Janette: per lento lei la notizia è stata devastante. Ha avuto paura, credo che ne abbia ancora adesso. C’è sempre l’incognita del futuro. Per lei potrebbe voler dire assumersi un carico ancora più gravoso di quello che già oggi si porta sulle spalle. Con il Parkinson la vita in generale diventa più difficile da gestire. Tutto diventa più lento. Però lei è molto forte e c'è sempre a darmi coraggio quando serve. Certo, a volte il coraggio manca, paure ne ho pure io: per esempio, il timore di rimanere prigioniero in casa, di non poter andare in palestra o al pub a bere un bicchiere. Quantomeno, non poterlo fare da solo, con le mie sole forze. Tutto considerato, sono fortunato: dopo ventisette anni in questa condizione potrebbe andare peggio, molto peggio. Sono le piccole cose a dare fastidio. Ricordo che cominciò con piccole sciocchezze, tipo non riuscire a chiu74 dere il primo bottone della camicia. Adesso ho qualche problema di salivazione e mi pare di essere diventato più piccolo, di essermi abbassato di statura! Ma è possibile? E mi domando: è il Parkinson o non sarà per caso la vecchiaia a togliermi qualche centimetro? E non è l’unica cosa che mi ha tolto: a volte ho l’impressione che mia moglie mi trovi meno attraente... Comunque gli impegni non mancano: io e Janette abbiamo quattro figli grandi e siamo nonni di ben sette nipoti! Quel poco di tempo libero che resta lo Quel poco di dedico in gran parte all’Associazione dei partempo libero che kinsoniani dove presto il mio servizio come resta la dedico volontario. La sede sta a Brentwood, una in gran parte cittadina non molto distante da qui, sempre all’Associazione nella contea dell’Essex. Un tempo leggevo molto, ma ora ho diffi- dei parkinsoniani coltà a mantenere la concentrazione e quando mi rendo conto che sto rileggendo per la quarta volta la stessa pagina mollo il libro e mi metto a giocare a Sudoku! Almeno lì non perdo la concentrazione, non ho ancora capito come mai. Sarà che i numeri hanno un potere sulla mente diverso dalle parole? Insomma, di tempo ne resta poco e se avessi un’oretta in più a disposizione mi prenderei una dose doppia di tutte queste cose. Un po’ di tempo se lo portano via anche gli attacchi. Non c’è un momento particolare della giornata. Però quando mi succede normalmente vado a correre. Non c’è un segreto per riuscirci: semplicemente metto un piede davanti all’altro come fanno tutti. E poi via! Per me è un fatto molto naturale, correre. Anche nella mia condizione. Anzi, adesso ancora di più. Il vero esercizio fisico è la migliore medicina che esista. E poi la corsa è sempre stata la mia passione, più del rugby e di tutti gli altri sport: in tutti questi anni ho partecipato a diciotto maratone e me le ricordo tutte, una per una, me le sono godute dall’inizio alla fine. C’è qualcosa di profondamente bello nella maratona e che non si esaurisce nel fatto agonistico, nella competizione, nella gara. Certo, anche 75 quell’aspetto è affascinante: correre in mezzo alla gente, e conoscerla. Ma la corsa è qualcosa di solitario: sei tu con il tuo battito cardiaco, sei tu con le tue scarpe e la tua strada, le tue curve, gli obiettivi che mano a mano ti imponi di raggiungere, il rapporto che instauri con il tuo corpo e la tua capacità di resistenza. Correre ti fa persino guardare il posto dove vivi con altri occhi: i percorsi diventano familiari, cose che prima ti sfuggivano mentre corri entrano nel tuo campo visivo, è persino divertente. Guai se non potessi più correre. A maggior ragione ora. Perché, per certi versi, il rapporto con il corpo è messo in crisi, e dunque è molto confortante sentire che posso ancora farcela. Purtroppo però forse dovrò operarmi a un piede, probabilmente molto presto. Questo sì che è un pensiero, una preoccupazione: non l’operazione in sé, ma come andrà. Non ho chissà quali progetti per il futuro, ma di certo vorrei poter correre la mia ultima maratona. Questa è una cosa che voglio davvero tanto. Sapete, mi piace pensare che il Parkinson non abbia influito molto sulla mia vita, che non giochi un grande ruolo. Beninteso, se si eccettua il fatto che quando vado al pub non riesco più a trasportare due drink contemporaneamente! Se avessi un’oretta in più a disposizione mi prenderei una dose doppia di tutte queste cose 76 “ Vorrei suggerire quello che dice sempre mia moglie: bisogna cercare di restare indipendenti. Non viziateci! Non metteteci nella bambagia! A questo proposito, buttiamola sullo scherzo e impegniamoci per fare una vita quanto più normale possibile. „ 77 Non È mai troppo tardi per ricominciare a sognare 78 H o sempre avuto due grandi passioni, la chimica e i libri poli- zieschi. Da giovane pensavo di diventare scrittore, ma per fortuna ho incontrato Teresa, che poi sarebbe diventata mia moglie: fu lei a obbligarmi a finire l’università e a lasciar perdere la letteratura. Eravamo giovani, lei era molto bella (lo è ancora, passati quasi cinquant’anni). Di giorno studiavo e di notte scrivevo. Teresa lesse un mio racconto e poi venne ad assistere a un mio esame, quindi emanò il suo verdetto: meglio che ti laurei, e pure in fretta! Così ho fatto. Mi sono sempre fidato istintivamente di lei: questo è sicuramente un segno dell’amore. Una mattina mi Così le ho creduto subito anche quando, ha detto: «Max, sette anni fa, una mattina mi ha detto: «Max, credo di avere credo di avere il Parkinson». Qualcun altro, il Parkinson» al mio posto, le avrebbe risposto una cosa del tipo: come ti salta in mente una cosa del genere? Ma trattandosi di Teresa ho dovuto crederle. E infatti aveva ragione. Tempo dopo si ricordò che una sua zia, la sorella maggiore di sua madre, ne aveva sofferto anche lei. Ma poi era morta in un incidente stradale. Sette anni fa lavoravo ancora nell’impresa dove ho passato gran parte della mia vita professionale a studiare e inventare colle. Intendo proprio col79 le: collanti, mastici, adesivi. Insomma, tutto quello che serve a rimettere a posto le cose che si rompono. Teresa mi ha sempre chiamato “l’aggiustatutto”. E quando, tre mesi dopo quella mattina, un neurologo ci consegnò la diagnosi nero su bianco, Teresa sentenziò: «Ora aggiusterai pure me». Quel giorno però non le ho creduto, per la prima volta nella mia vita. Lei fissava il neurologo negli occhi e io sentivo la terra franare sotto i piedi. Teresa si era sempre presa cura di me. Come avrei fatto a farlo io? Ho settantadue anni, mi chiamo Max. Abbiamo due figli grandi, Helena e Magnus. Helena ha due figli bellissimi, La mia faccia Magnus ha due cani da caccia, anche se odia la caccia ed è vegetariano. Magnus ha reagito alla è cambiata, notizia come me: è entrato nel panico. Helena è rigida. Ho invece come sua mamma. «Bisognerà cambiare perso delle un po’ di cose» ha detto semplicemente. «Riorespressioni, ho ganizzarci.» perso le mie Una sera, qualche giorno dopo, ho chiesto a espressioni. Teresa come aveva fatto a capire di avere il ParNon sono più io kinson e lei mi ha detto che non si riconosceva più allo specchio. Anzi, ha detto: «Mi stupisce che anche tu non te ne sia accorto. Non vedi che la mia faccia è diventata una fotografia?». Non capivo quello che voleva dire. «È statica» mi disse, «la mia faccia è cambiata, è rigida. Ho perso delle espressioni, ho perso le mie espressioni. Non sono più io. Sono una maschera di cera. Non te ne sei accorto? Per forza, non fai altro che leggere i tuoi polizieschi e non ti accorgeresti se la vicina di casa fosse assassinata!» Io non me n’ero accorto. Teresa la vedo uguale da cinquant’anni, da quando ci siamo incontrati al corso di Chimica, che per altro lei abbandonò per diventare agronoma: sapeva che avrebbe ereditato una grande proprietà nell’Hallertau bavarase dove, ho scoperto dopo, avrebbe voluto riattivare la produzione del luppolo avviata dai suoi nonni. E così ha fatto. «Va bene» le dissi, «ma come sapevi che quella rigidità della faccia voleva dire che avevi il Parkinson?» 80 «L’ho letto su internet» rispose. «Non sapevo che usassi internet» le dissi. Mi guardò quasi stupita. «Secondo te a che cosa serve avere dei nipoti adolescenti?» Da allora leggo meno e sto più attento a Teresa. Sei mesi dopo ho ottenuto un pensionamento anticipato dal lavoro e non lo rimpiango. Ho inventato un sacco di tipi diversi di colle – per il legno, per la plastica, per la ceramica, per la gomma, resistenti all’acqua, al caldo, al freddo – ma non è che il mio lavoro mi sia veramente mai piaciuto. La chimica sperimentale, è vero, ha delle somiglianze con il poliziesco, insomma, si indaga per ipotesi, però i brividi non sono certo quelli di Mike Hammer! Ora mi dovevo dedicare a Teresa. La rigidità non riguardava solo la faccia: in breve aveva difficoltà a fare molte cose prima normalissime. I medicinali facevano effetto, ma davano anche una serie di effetti collaterali imprevedibili e che a volte peggioravano la situazione. Nel giro di un paio d’anni non ho potuto più allontanarmi da lei. Sto sempre con lei. L’acI medicinali compagno a fare la spesa, dal medico omeofacevano patico (che lei preferisce al medico generico), effetto, ma dalla neurologa che l’ha in cura, all’Associadavano anche zione di cui facciamo parte e dove fa ginnastiuna serie ca. Insomma, faccio tante di quelle cose... Mi di effetti capita di lavarle i denti, di allacciarle le scarpe collaterali (anche se ormai mette quasi solo scarpe senza imprevedibili lacci). Ultimamente si è messa in testa di voler e che a volte andare a stabilirsi in campagna e seguire da peggioravano vicino la coltivazione del luppolo. Dice che è stufa di stare ad Abensberg e che lei si è semla situazione pre sentita una contadina. Quando siamo in campagna in effetti sembra stare meglio. Non può più fare lunghe camminate, ma il cortile di casa è grande e ci sono gli animali. Teresa adora le oche. E i cani. E i gatti. Recentemente abbiamo fatto una riunione di famiglia per discutere della cosa: Magnus era scetti81 co, come me. Helena si è detta d’accordo con la mamma. I nipoti erano felicissimi all’idea. Siamo andati E i due cani da caccia pure. Risultato: siamo a vivere in andati a vivere in campagna, che poi è il posto campagna, che dove Teresa ha trascorso tutte le estati della poi è il posto sua infanzia. dove Teresa Il luppolo di quella zona è uno dei più rinoha trascorso tutte le estati mati. Teresa adora quella pianta e quel fiore. Ne conosce ogni segreto. Non a caso, dice, è della sua fatto a forma di cuore. In campagna Teresa infanzia sta meglio. Non è che i suoi acciacchi diminuiscano; alla mattina ha bisogno di tempo, deve sempre fare la ginnastica per tirarsi dritta perché tende a curvarsi troppo, fa gli esercizi facciali che migliorano anche la sua iper-salivazione (ci sono medicinali per questo), ma soprattutto l’aria di quelle colline la stanca, e di sera si addormenta rapidamente. E dormendo prima il suo sonno è migliorato. E io finalmente ho più tempo per scrivere il mio romanzo giallo. Scrivo ogni giorno per un’ora, dalle undici a mezzanotte, a volte comincio un po’ prima, a volte un po’ dopo. Ho sempre sognato di poterlo fare, senza aspettarmi nulla, come puro divertimento. 82 “ Non trascurare alcun aspetto del Parkinson e impara tutto quello di cui ha bisogno la persona di cui ti prendi cura. Anticipando le sue esigenze guadagnerai tempo ed eviterai lo stress. „ 83 Pensa a combattere, non a vincere! 84 L i puoi vedere correre sulla Vespa, in primavera, lungo una sponda dei Navigli dove Milano comincia a diventare campagna. Oppure sbarcare, prima Hans e poi Tilda – lui che le lancia una delle sue mani forti a cui aggrapparsi –, in un porticciolo delle isole Sporadi, sotto il cielo di luglio che stringe Grecia e Turchia in un unico abbraccio color degli zaffiri. Tilda e Hans amano infinitamente quel cielo. Amano il mare. Amano andare in barca e starci tre mesi, da giugno a fine settembre. D’inverno la barca riposa a Rodi, d’estate attracca a Simi, dove c’è la casa che hanno impiegato tre anni a rendere abitabile e da più di venti ospita tre figli, sei nipoti e gli amici che vogliono raggiungerli. Tilda ha sempre amato le barche, ma non Tilda e come adesso. Quando da bambina, sul Lago Hans amano Maggiore, veleggiava insieme a suo padre, infinitamente non era sempre un divertimento. «Mi lasciava quel cielo. il timone quando il vento calava, il momento Amano il mare più difficile, e il più noioso!» Con Hans è arrivata la passione. «La barca è stato uno dei nostri grandi progetti. Prima le barchine che ci stavano tranquillamente sul tetto della macchina, poi quella di sei metri e mezzo con cui siamo andati dall’Isola d’Elba fino in Turchia, impiegandoci quattro estati.» La prima tappa è Milazzo, quindi le isole ioniche, poi il Peloponneso e finalmente 85 la costa turca. Il blu del mare, la calce bianca delle case, il verde screziato e pieno di riflessi della macchia mediterranea e degli ulivi; se ci sono colori che raccontano Tilda e Hans, eccoli, sono questi. A Milano, fuori dai vetri del loro accogliente appartamento pieno di strumenti musicali, c’è un piccolo giardino, e i toni verdi, anche se l’inverno li rende metallici, entrano fin dentro, trasformano gli altri colori. Tilda ha sessantasei anni. E come suo marito Hans, che ne ha settanta, ha insegnato per tutta la vita, fino alla pensione. Lei economia e diritto, lui geografia. In scuole sperimentali. «Perché lì c’era un pochino di libertà in più.» Concetto, quello della libertà, che per Tilda ha confini indefiniti. Per questo ha sempre aggiunto altri impegni a quelli quotidiani: il volontariato, dapprima dando ripetizioni oltre l’orario di scuola; poi tra le carcerate, per educare alla salute e alla convivenza. «Per me si tratta di uno scambio. Non ho mai pensato al volontariato come a qualcosa tipo: eccomi, arrivo io ad aiutare! Ma ho sempre pensato a quello che avevo io da imparare, anche a scuola, con gli studenti. Ora sono quattro o cinque anni che invece affianco un’insegnante che lavora con le mamme straniere, egiziane specialmente, oppure tunisine, ma anche giapponesi. È fantastico, si imparano un sacco di cose. Recentemente ci hanno fatto Concetto, vedere come si indossa il velo!» quello della Tilda ha il Parkinson da quasi sette anni, ma libertà, che per lo sa da cinque. Lei che è sempre stata «una Tilda ha confini strimpellatrice di piano» ha capito che qualindefiniti cosa non andava per via del braccio e della mano destra, le dita che non riuscivano più a imporsi sui tasti. «E la voce, bassissima... Io pensavo: che sollievo, finalmente non devo più urlare come a scuola per impormi sui ragazzi! La verità è che non mi si sentiva quasi più. Così ho iniziato un corso di armonica a bocca, mi hanno detto che fa bene ai muscoli facciali e mi pare abbia funzionato. Ho ritrovato la voce.» Hans come sempre non l’ha lasciata sola: si è iscritto pure lui, ma ha scelto la fisarmonica. «Ci provo» ridacchia, e guarda la moglie. «Tilda è molto concreta. È 86 come se avesse detto: ho il Parkinson? Bene, devo fare queste cose qui. Non: oddio, adesso cosa mi succede?!» «È vero, sono molto pragmatica, forse perché ho avuto un’educazione luterana... Qualche giorno fa sebbene nevicasse sono andata alla nostra associazione e non c’era praticamente nessuno tranne la mia fisioterapista, che insegna anche Due Pilates. Appena mi ha visto da detto: figurati neurologhe, la se Tilda non veniva!» piscina insieme Due neurologhe, la piscina insieme ad Hans ad Hans e a un e a un gruppo di amici, il Pilates, la fisioterapia gruppo di amici, due volte al mese, la ginnastica tutte le mattiil Pilates, la ne. E poi l’armonica a bocca e il pianoforte, un modello verticale che svetta nella stanza della fisioterapia due volte al mese, musica, una verandina affacciata sul terrazzo, la ginnastica dove c’è anche la fisarmonica di Hans. tutte le Tilda ha il vizio di riempire la sua vita come mattine una dispensa in vista dell’inverno e il tempo si dilata come una borsa da stipare di viaggi: e se ci guardi dentro, nella sua ci trovi quasi sempre un nuovo progetto, un nuovo desiderio. «Certo, l’energia, nelle mie attuali condizioni, non è più quella di prima, ma c’è l’aspetto positivo: per esempio avevo quasi attaccato al chiodo il pianoforte e invece mi è tornata la voglia di strimpellare. Anzi, ci ho aggiunto un altro strumento. Cioè mi sono misurata con altre cose: prima la ginnastica la facevo un po’ così, senza metterci la testa, adesso sono più consapevole.» «È molto utile che mi si facciano notare le cose, Hans lo sa. Gli dico: preferisco che mi dai uno strattone per ricordarmi di stare dritta piuttosto che rimproverarmi! Se mi fai la ramanzina ti mando al diavolo, invece di coglierlo come uno stimolo. Voglio dire, devi scuotere un po' le cose - le attività, i trattamenti, qualunque cosa - e trasformarle in quello che ti piace, non in qualcosa che viola il tuo tempo.» Per Tilda il tempo va inventato, crede che sia utile capovolgere le cose. Con un’ora in più tutto diventa un passatempo, anche le cure, la ginnastica; vengono trasformate 87 in qualcosa che le piace, che la diverte. A proposito di tempo. Tra qualche settimana, dopo Pasqua, Tilda e Hans partiranno di nuovo per la Grecia, un assaggio dell’estate che li aspetta. Vogliono visitare il nuovo museo dell’Acropoli ad Atene. «Pare che dentro ci sia un modello del Partenone ricostruito, ma contemporaneamente vedi quello vero, fuori, dicono che sia bellissimo.» E poi c’è da controllare che sia tutto ok con la barca. Quella che hanno adesso è con loro da tre Per Tilda anni, è la più grande che hanno mai avuto, il tempo va misura trentasei piedi, undici metri, si può atinventato, traversare l’oceano. crede che «Quest’anno forse avremo con noi solo i nisia utile poti, il che è meglio.» Tilda ride. capovolgere le «L’anno scorso mio figlio si è portato pure il cane! Però uno dei miei nipoti adesso ha cose quattordici anni e preferisce stare sull’isola, si è fatto gli amichetti. Magari staremo a casa più del solito.» «Non vorresti mai scendere dalla barca, vero?» Hans la guarda, le prende una mano. «Certe volte invece ho paura. Due anni fa, ti ricordi che tempo? Con le Cicladi non si scherza, a volte il vento è fortissimo. Ci facemmo aiutare da un amico che lavora sulle barche. Ricordo che mi fece un massaggio alle mani meraviglioso, si erano improvvisamente gelate!» Poi Tilda aggiunge: «C’è un movimento di ginnastica che faccio tutti i giorni, è come se sferrassi dei pugni, e quando lo faccio ripeto ogni volta: Maledetto Parkinson! Io non sono mai stata un tipo competitivo, ma un piccolo senso di sfida deve esserci. Non per vincere, perché, ahimè, non è possibile. Ma non posso concedergli la libertà di bloccarmi. Ah, proprio no!». 88 “ Circondarsi di una rete fatta di specialisti e amici, e non rifiutare l’osservazione di chi ci sta vicino per accorgerci dei nostri cambiamenti fisici e posturali. „ 89 Non rinunciate a dare e a essere utili agli altri 90 U na scena apparentemente comune, un uomo con un bambino: l’uomo è alto, e sebbene non sia affatto vecchio ha i capelli bianchissimi che cascano sopra la fronte spaziosa; il bimbo indossa un giubbotto rosso con due strisce gialle sulle maniche e un paio di stivali di gomma bianchi. L’uomo sta fermo al centro della piazza di fronte alla cattedrale, anch’essa tutta bianca; il bambino, suo figlio, corre e d’un tratto si ferma a guardare se il papà lo segue, e ogni volta resta immancabilmente deluso. L’uomo allarga le braccia come per giustificarsi, tenta di fare qualche passo. E lì ho capito. Quell’uomo ha il Parkinson come me. Ho studiato letteratura comparata, estetica e filosofia. Ho insegnato per molti anni scritL’uomo allarga tura creativa all’università. Mi sono frequenle braccia temente chiesto se sia più difficile scrivere o come per insegnare a farlo. Per me scrivere è sempre giustificarsi, stato molto naturale. tenta di fare È curioso, perché la scrittura è una delle atqualche passo. tività più equivocate che ci siano: voglio dire, E lì ho capito. tutti pensano di saper scrivere, proprio perché Quell’uomo ha scrivere, come camminare, è una di quelle cose il Parkinson che impariamo da bambini. Non è così? Alcome me zati sulle due gambe, vai da qui a lì, corri! E 91 nello stesso modo: scrivi il tuo nome, scrivi cosa hai fatto oggi a scuola! È come saltare in sella a una bicicletta: una volta trovato l’equilibrio, si pedala per tutta la vita. Invece, quando le persone, non solo i giovani, vengono a un corso di scrittura creativa scoprono che non sanno scrivere. O meglio, scoprono che non riescono a raccontare quello che volevano raccontare, scoprono che non riescono a farsi capire. Succede pure parlando, no? La scrittura è la mia passione, anzi, posso dire di essere uno scrittore di professione. Ho pubblicato otto libri, sia romanzi che non, e ora sto lavorando a un libro proprio sul Parkinson e la scrittura. È un po’ un’ossessione. Abbiamo Ho il Parkinson da dieci anni, più o meno, e un club di la mia attività principale oggi è il volontariato supporto, nelle organizzazioni che se ne occupano, sia a una pagina livello locale che mondiale. Abbiamo un club Facebook, di supporto, una pagina Facebook, progetti di progetti di sostegno non solo per i pazienti ma anche per sostegno i familiari e i caregivers. Sono stato delegato non solo per in un sacco di congressi in giro per il mondo. i pazienti ma Mi capita anche di leggere e commentare gli anche per i scritti dei miei colleghi parkinsoniani. familiari e i È difficile raccontare e spiegare cosa sia veramente il Parkinson. I media normalmente caregivers affrontano i risvolti edificanti, positivi: storie di coraggio, di chi scopre improvvisamente se stesso e i propri valori, chi invece trova nuovi amici e passioni. Ho sentito spesso dire ai malati che i mezzi di comunicazione dovrebbero raccontare tutta la storia delle persone con il Parkinson, compresa la fine, ma forse questo è troppo doloroso per i media e per il pubblico. A questo proposito, ricordo che mia moglie all’inizio era molto più preoccupata di me! Non sapeva come comportarsi. Smise di toccarmi e abbiamo continuato così per sei anni, senza quasi toccarci, finché abbiamo divorziato. Ma dopo un anno siamo tornati insieme. Io a quel punto 92 ero più maturo, abbiamo avuto una seconda luna di miele e ci siamo sposati per la seconda volta! La mia identità prima era, come dire?, vaga. Adesso so meglio chi sono, intendo dire, oltre a essere un professore universitario e uno scrittore. Sento, vivo di più le mie emozioni, ne sono più consapevole, e ciò è anche un po’ rischioso perché tendo a “innamorarmi” continuamente, a vivere passioni irrazionali – forse in questo i farmaci hanno un ruolo (sintomi ossessivo-compulsivi?). D’altra parte, io sto meglio con le donne, sono sempre stato circondato da donne, sono importantissime per la mia visione della vita. Con mia mamma, che ha Sento, vivo ottant’anni, parlo ancora tutti i giorni, le dico di più le mie tutto! emozioni, Io e mia moglie abitiamo appena fuori dalne sono più la capitale, in un appartamento al sesto piaconsapevole no che occupa tre lati dell’edificio. È una casa piena di luce naturale e con una vista che si perde lontano. Amo la sensazione di luce e spazio perché ormai, da quando non lavoro più, sto molto a casa, mi capita di starci anche diversi giorni di seguito. Organizzo le attività di volontariato al computer, guardo documentari su YouTube, film di produttori indipendenti, servizi sulla violenza della polizia americana, sulla guerra in Ucraina, ma anche quelle sequenze di gag e scherzi divertenti, mi rilassano... A volte manca proprio l’energia: se potessi avere un’ora extra me ne starei sul letto a meditare e a tentare di risolvere i fondamentali problemi di uno dei miei filosofi preferiti, Ludwig Wittgenstein, l’autore del Tractatus Logico-philosophicus. Di solito è nel pomeriggio e verso sera che ritrovo la forza e la concentrazione per scrivere. Oggi so qual è il momento giusto per radermi, vestirmi e uscire per una passeggiata o per un giro di shopping. Viceversa, so bene quando è meglio restare in casa, recuperare le forze e il sonno, perché magari ho dormito poco e subito dopo pranzo la testa mi si piega su una spalla mentre ancora sono seduto a tavola. A volte non posso evitare di domandarmi come starò tra cinque o dieci 93 Con i compagni parkinsoniani e i colleghi delle associazioni cerco di mantenere un atteggiamento positivo. Ridiamo e scherziamo: l’umorismo aiuta a vivere meglio anni. Ma in questi anni ho fatto molto più di quanto mi potessi aspettare all’inizio: ho viaggiato e scritto molto. Con i compagni parkinsoniani e i colleghi delle associazioni cerco di mantenere un atteggiamento positivo. Ridiamo e scherziamo: l’umorismo aiuta a vivere meglio. Anche le mie storie spesso finiscono bene. Come quella dell’uomo e del bambino davanti alla cattedrale: il bambino torna indietro, prende la mano di suo padre e lo conduce con sé verso la scalinata che scende al lungomare illuminato da un bellissimo sole. 94 “ Siate gentili con voi stessi e con gli altri. Non rinunciate a dare. Aprite una porta, portate una borsa, regalate una moneta. C’è sempre qualcuno meno fortunato di noi: potrete essere il suo eroe e la stella della vostra stessa vita. „ 95 Sulle tracce delle lucertole giganti 96 M io padre aveva già smesso di lavorare quando gli è stato diagnosticato il Parkinson. In seguito ho saputo che era cominciato molto tempo prima. Credo che oggi abbia settantacinque anni, dico credo perché lui ha sempre fatto mistero sulla sua vera data di nascita. È nato a Malaga, ma i miei nonni scapparono in Svizzera, a Losanna. A quel tempo c’era la guerra e l’anagrafe andò distrutta dalle bombe. Suona come qualcosa uscito da un romanzo, lo so, ma questo era mio padre. E non a caso, per tutta la vita, ha fatto il professore di letteratura e storia nelle scuole superiori. Sono tornato a vivere con lui a Losanna da quando mia madre è morta, circa tre anni fa. È morta improvvisamente per un ictus. In quel periodo vivevo in Spagna, una terra con la quale abbiamo sempre avuto stretti legami fin da quando ero piccolo. Mio padre si sente ancora uno spagnolo del profondo sud. E anche io, a dire il vero. Però, siccome faccio il regista pubblicitario, Sono tornato vivevo a Madrid, dove succedono le cose e c’è a vivere con movimento. Malaga è stupenda, ma è un po’ lui a Losanna provinciale. da quando mia Stavo girando uno spot quando giunse la madre è morta, telefonata in cui mio padre mi annunciava circa tre anni fa che Pepita non c’era più. Pepita era il sopran97 nome di mia mamma. Si chiamava Pilar e da giovane aveva recitato in teatro. Il papà dice che assomigliava a Lauren Bacall. In ogni caso era molto bella. Volai a Losanna e trovai mio padre in uno stato catatonico. Notai che aveva assunto una postura, anzi, una forma, che lì per lì mi fece pensare a una tartaruga dei cartoni animati. Come se un guscio invisibile, però pesantissimo, gli gravasse sulle spalle, sulla schiena; e lui cercasse faticosamente di mettere fuori la testa. Non era semplicemente ingobbito, era qualcosa di diverso. Quando entrai in casa lo trovai seduto al tavolo della cucina, e pensai che quella mia impressione era dovuta alla sua posizione; ma quando mi alzai vidi che non era così, si stava proprio richiudendo... come un libro. E poi la cucina pareva soffocare nell’aglio, cosa che mi parve molto strana, perché era chiaro che mio padre non toccava cibo da giorni. Capii solo più tardi: era puzza di sudore. Un mese dopo lo portai dal dottore per la faccenda del sonno: era sempre stato insonne, ma ultimamente proprio non chiudeva occhio. Il medico, che per altro era un suo amico, mi chiese se il papà mi avesse raccontato dei loro ultimi incontri. In sostanza erano circa sei mesi che gli consigliava di vedere un collega neurologo. A casa avemmo una discussione. Mi disse che anche la mamma sarebbe stata contraria. Si stava proprio «Contraria a cosa? Non ho capito» gli chiesi. richiudendo... «A vedere un neurologo. Quelli ti vogliono come un libro sempre aprire la testa.» Gli dissi che non credevo a quello che diceva. Figuriamoci se la mamma, che era la persona più razionale della terra (per quello aveva abbandonato il teatro per sposarsi un professore), si sarebbe opposta di fronte a una cosa così importante! Alcuni mesi dopo la diagnosi era fatta. Parkinson. Nessuno in famiglia ne aveva mai sofferto. E il papà non voleva saperne. Il neurologo passò il testimone a una collega giovane, che pareva appena uscita dall’Università. O così sembrava. Era piccola di statura e con un volto interessante. Disse che quella postura del papà è detta “camptocormica”: è una perdita di 98 tono muscolare che provoca il ripiegamento e persino il restringimento della cassa toracica. «Facciamo così» disse a mio padre. «Diciamo che lei ha semplicemente bisogno di raddrizzarsi e di rilassarsi un po’. Che ne dice?» La dottoressa e mio padre si sorrisero: mi piacque il sorriso di quella donna. La dottoressa Con la fisioterapia è tornato abbastanza e mio padre dritto: o meglio, non è questione di essere si sorrisero: dritto, ma di essersi come “riaperto”. La dotmi piacque toressa lo segue molto per i medicinali, ma lui il sorriso di non è troppo regolare. Non sopporta gli effetti quella donna collaterali. Il papà ha sempre avuto la passione della bicicletta e mi ha confessato che erano due anni che non aveva più la forza di andarci. Adesso, ogni tanto, facciamo una passeggiata sul lungolago. Senza esagerare. Quasi ogni settimana va a fare il suo giro al rettilario, l’altra sua passione, che a Losanna è uno dei più importanti d’Europa. Fin da quando ero bambino ho visto mio padre interessarsi alle lucertole e ai serpenti. D’estate, in Spagna, mi portava in campagna a osservare i ramarri sotto un sole agostano che spaccava le pietre. Diceva che erano gli unici sopravvissuti di un’altra era del mondo, e per riuscirci avevano scelto una strategia, quella di rimpicciolirsi. Milioni di anni fa erano brontosauri immensi, adesso si nascondevano tra pietre non più grandi di un paio di stivali. Anche noi, diceva mio padre, un giorno finiremo così: diventeremo piccoli e ci infileremo nelle fessure dei muri a secco, e finalmente quel giorno rispetteremo questo pianeta e non daremo più fastidio a nessuno! La passione gli era venuta da ragazzino dopo aver visto un film americano chiamato Jacaré, la storia di una spedizione avventurosa in Amazzonia alla ricerca di rettili giganti. Qualche settimana fa mi ha chiesto di poterci andare prima di morire. Gli ho risposto che, primo, non sarebbe morto così presto e poi che l’Amazzonia è davvero un po’ impegnativa! «Non in Amazzonia! A San Paolo. C’è il maggior rettilario del Sud 99 America, si chiama Istituto Butantan.» «Non so se puoi viaggiare fino in Brasile, papà.» «Parlane con la dottoressa Luise.» E mi ha fatto l’occhiolino. «Magari vuol venire con noi. Ho visto che la chiami anche quando non è strettamente necessario...» Devo ammettere che, tra le cose che il papà ha perso in questi anni, non rientra il suo spirito di osservazione! Luise ha detto che, date le sue buone condizioni, non è una cosa impossibile per papà Quando non va al rettilario va affrontare un viaggio del genere, ma bisogna prepararsi a puntino. Bisogna fare in modo alla biblioteca che non ci siano sorprese. della Facoltà Ho chiesto a Luise se questo tipo di fissadi Geografia e zione (parlo del viaggio) non sia da attribuire legge qualsiasi al Parkinson, a qualche effetto collaterale delcosa sul Brasile la levodopa. Mi ha risposto che è un discorso lungo e se per caso non mi andasse di affrontarlo a cena... Nel frattempo papà si è messo in testa che questa cosa si farà. Quando non va al rettilario, va alla biblioteca della Facoltà di Geografia e legge qualsiasi cosa sul Brasile. Praticamente ormai sa tutto quello che c’è da sapere; che San Paolo è fornitissima di cliniche e bravi medici e che se io non ce lo porto ci andrà con un viaggio organizzato! È già stato in un’agenzia di viaggi per un preventivo. Dice che lui ha fatto quello che gli è stato chiesto, che ha fatto “il bravo bambino”, ma adesso è venuto il momento di incassare il suo assegno: a che cosa serve tutta questa disciplina se non a guadagnare un po’ di tempo per fare un lungo e comodo volo per San Paolo? Luise è d’accordo con lui. E pare che verrà con noi. 100 “ Affrontare la cura come una sfida può essere utile. Bisogna sempre inventare nuovi obiettivi da condividere. Trasformare gli ostacoli in passatempo. „ 101 Come Robespierre ha rivoluzionato la mia vita 102 R oby non si chiamava nemmeno Roby, quando Michel l’ha visto per la prima volta, era ancora Robespierre, il numero 49 del canile municipale di una piccola città del sud della Francia. Una cittadina che d’estate si riempie di turisti e d’inverno ha un’aria piacevolmente malinconica. Muso bianco, macchia nera intorno a un occhio, coda esageratamente lunga. Michel ha subito pensato che avesse un musetto indifeso più adatto a un “Roby” che a un Robespierre. Era tempo che pensava di prendere un cane. Non sa bene perché. Forse perché voleva sentirsi meno egoista. Divorziato, con un figlio al liceo, negli ultimi tempi Michel aveva iniziato a sentirsi solo. Il primo Il primo sintomo del Parkinson Michel l’ha sintomo del avvertito sei mesi dopo: faceva fatica a star Parkinson dietro a Roby. Improvvisamente, camminaMichel l’ha re lo sfiancava, come tirarsi dietro un masso. avvertito sei Michel abita in una casa un po’ isolata, su per mesi dopo: una strada che si stacca dalla litoranea, dove lo faceva fatica sguardo è così ampio e libero da abbracciare a star dietro a l’intera rada di Tolone. Un posto magnifico. Roby Nelle loro passeggiate, Michel e Roby scendevano lungo la collina e arrivavano fino a un piccolo porto dove un tempo viveva una comunità di pescatori di ricci. 103 La diagnosi è arrivata a quasi un anno di distanza dal giorno in cui Michel ha portato Roby a casa sua. Un ingegnere di professione, non aveva ancora cinquant’anni. All’inizio ha tenuto duro, poi è crollato. L’interesse per la vita è scivolato via. Anche per Roby. Roby che era abituato a uscire puntuale come un orologio, mattina e sera. E nel weekend doppia razione. Belle abitudini Michel che in breve tempo si sono interrotte. L’unico non aveva giro che Roby faceva ora era intorno alla casa, impedimenti un piccolo giardino sterrato e quasi sempre fisici evidenti. ricoperto di aghi di pino. Capitava che gioAccadevano casse con i figli della sorella di Michel, che altre cose. Per ogni tanto venivano a trovarlo. Gli tiravano esempio gli un ramo, una palla di gomma, ma poi passapareva di non vano ad altro. riconoscere più Michel non aveva impedimenti fisici evicerti odori denti. Accadevano altre cose. Per esempio gli pareva di non riconoscere più certi odori, ma questo gli capitava da ben prima di sapere di avere il Parkinson. Il neurologo gli ha spiegato che questo disturbo è connesso alla malattia e si chiama “parosmia”, e nel suo caso poteva essere uno dei primi sintomi a essersi manifestato, ben prima della rigidità e della stanchezza cronica. Si è convinti di sentire odori che in realtà non esistono, odori fantasma. Oppure si scambiano certi odori per altri. Michel è ossessionato dagli odori. Gli pare che tutto emani un cattivo odore. I fiori non profumano più di fiori. La frutta non sa più di frutta. E anche Roby ha cominciato ad avere un odore fastidioso. Il neurologo gli ha dato una cura, che secondo lui non ha fatto molto effetto. Michel inoltre era ansioso per il lavoro, perché gli era passata la voglia di lavorare e gli pareva che di lì a poco la sua piccola impresa edile sarebbe andata a gambe all’aria. Il neurologo lo ha mandato da uno psichiatra, che lo ha giudicato depresso e lo ha sottoposto a una terapia farmacologica. Stava un po’ meglio. Ma tutto gli costava fatica, una gran fatica, fisica e mentale. Così ha deciso di dare via Roby. Dapprima se n’è fatta carico la 104 sorella: in fondo ha due figli ragazzini, che sono sempre stati affezionati al cane, anche se suo marito non era molto d’accordo. Vivono in un appartamento. Uscito di scena Roby, Michel ha affidato gran parte del lavoro a un suo dipendente, un architetto giovane, ed è uscito raramente di casa. Il figlio, diciottenne, si faceva vedere di rado, pertanto aveva cominciato a mandargli email. Michel stava tutto il giorno davanti al computer e, per qualche strana ragione, quello che non si era mai detto con suo figlio di persona, hanno cominciato a dirselo attraverso le mail. Ha scoperto poi che il figlio rispondeva dal suo smartphone, per questo motivo rispondeva sempre e in fretta. Michel si è comprato anche lui uno smartphone, così sono passati alle chat. Ma anche le chat dopo un po’ si sono diradate, le conversazioni erano sempre più brevi e asciutte. E un giorno, attraverso suo figlio, ha saputo che Roby era tornato in canile: sua sorella non poteva più tenerlo, probabilmente a causa del marito. Non avevano avuto il coraggio di dirglielo. Quel giorno lui e suo figlio hanno litigato via chat: un litigio violento. Vedere quelle parole dure, di suo figlio, scritte nel telefono a caratteri luminosi, lo ha sconvolto. Michel ha sentito di aver toccato il fondo. E ha pensato che quello era lui, lui era sempre stato così: non era il Parkinson. Michel ha capito che per tornare a vivere doveva cominciare da qualcosa di piccolo, un Michel ha passo alla volta. Così ha deciso che doveva sentito di chiedere aiuto all’unico che non gli aveva mai aver toccato chiesto nulla: Roby. il fondo. E ha Si è fatto accompagnare dal suo giovane arpensato che chitetto. E ha scoperto, con piacere, che potequello era va ancora guidare senza problemi. «Robespierre si è fatto male, nel frattempo» lui, lui era gli hanno detto al canile. sempre stato «Cosa si è fatto?» così: non era il «Una frattura alla zampa anteriore sinistra. Parkinson Ma ora sta meglio. È in riabilitazione.» 105 «Lo rivoglio indietro.» «Guardi che Robespierre ha bisogno di fare esercizio per rimettersi del tutto. Lei non ha dimostrato di essere affidabile.» «È il mio cane! Che tipo di esercizio?» «Correre... veloce. Se fosse un cavallo direi che deve andare al trotto.» «Ogni giorno?» «Sì, almeno un’ora al giorno. Lei è in grado di farglielo fare?» Michel ha sbirciato l’architetto giovane seduto di fianco a lui, poi ha detto: «Certo, senz’altro». «Guardi che verremo a controllare. Quella che le diamo è un’ultima possibilità.» Così, mettendosi al passo di Roby, Michel ha riconquistato piano piano la strada. Ogni giorno, per un’ora. Durante le loro lunghe passeggiate capita che Roby sparisca per qualche secondo dalla sua vista, ma quando Michel arriva in fondo alla curva, il cane è sempre lì ad aspettarlo. Mettendosi al passo di Roby, Michel ha riconquistato piano piano la strada. Ogni giorno, per un’ora 106 “ Lavora sulla fiducia in te stesso. Non smarrirla. Sfidati quotidianamente, datti un ostacolo da superare, apriti a un nuovo desiderio, non crearti da solo i tuoi limiti. „ 107 Riscoprire il ritmo della vita con il tango 108 «B ravo, ora la sacada, appoggia il piede, gira!» Gaetano esegue il passo, con naturalezza, senza perdere la postura. «E adesso la salida, così...» lo sprono, lasciando che sia lui a portarmi. Siamo al centro della sala da ballo, sotto lo sguardo attento di mio marito Marco, che segue la lezione e alza il volume della musica, un tango struggente e bellissimo. Mi chiamo Elena, ho quarantré anni e sono coordinatrice infermieristica in un grande ospedale. Nello specifico, mi occupo della riabilitazione di pazienti afflitti da malattie neuro-degenerative, come il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla, o di chi è stato colpito da un ictus. A me piace proprio il rapporto con il paziente, non potrei lavorare in sala operatoria o in terapia intensiva; mi piacciono le relazioni umane, sentirmi di aiuto, anche fuori dal lavoro. E pensare che nella mia famiglia sono stata la prima a intraprendere una professione sanitaria. Fin da bambina giocavo a fare l’infermiera: ricordo che mi infilavo sulla testa la federa di un cuscino, la fissavo con il cerchietto e stendevo A me piace la mia bambola sul tavolo della cucina! proprio il A dire la verità, mio papà non voleva che rapporto con facessi l’infermiera, era contrario: temeva che il paziente avrei passato la vita a contatto con la sofferenza 109 soffrendo io stessa. Infatti a sedici anni ho dovuto iscrivermi di nascosto alla scuola professionale dell’Ospedale Niguarda di Milano. La firma ce la mise mia madre. Ora è diverso, bisogna avere il diploma, all’epoca no. Quando sono diventata davvero infermiera, tre anni dopo, con il massimo dei voti e la lode, mio padre gongolava di soddisfazione, era molto contento. Mi piace moltissimo trasmettere le mie conoscenze agli altri, e infatti poi ho cominciato a insegnare come tutor alla scuola infermieristica professionale. Il lavoro però non è la mia unica passione. Amo ballare. Con mio marito Marco, che fa lo chef, ci siamo sempre concessi un giro sulle piste da ballo: il liscio, oppure il valzer; anche se mi è sempre piaciuto ascoltare il tango, autori come Piazzolla, Gardel, Osvaldo Pugliese, è una musica che mi emoziona. Però ballarlo no, forse mi sembrava troppo difficile. Non so dire se le due cose siano collegate, ma è stato solo dopo la morte di mio padre, avvenuta nel febbraio 2005, che ho deciso di cominciare a ballarlo. La sua era stata una malattia lunga, dolorosa, durante la quale gli sono stata molto vicina, l’ho accudito più che ho potuto, non solo come figlia, ma anche come operatrice sanitaria, e ciò ha fatto molta differenza, anche per lui. Il lavoro però Così, presa la decisione, nel settembre di non è la mia quello stesso anno io e Marco ci siamo iscritti unica passione. in una scuola di tango argentino. Non ho fatto Amo ballare alcuna fatica a trascinarlo, anzi: abbiamo capito subito che lì c’era qualcosa in più rispetto ai balli a cui eravamo abituati, che il tango va interpretato e improvvisato. Abbiamo scoperto un mondo! La cosa che ci piace tanto è la possibilità di esprimerci ballando. Il tango si fonda sul gioco dei ruoli, dove all’uomo spetta condurre. Però di natura sono un po’ io quella che guida, che conduce, e faccio fatica a non prendere l’iniziativa. Sul lavoro sono la caposala e mi considero un po’ come una manager: coordino trenta infermieri e di solito ho a che fare con quaranta pazienti in una volta. Ballando il tango invece posso finalmente staccare la spina e abbandonarmi. Posso perdere il controllo 110 perché qualcuno mi sta portando. Ma non è una cosa passiva, anzi, ti senti coccolato e protetto. La passione per il tango è cresciuta a tal punto che tre anni fa io e mio marito abbiamo preso l’abilitazione come maestri di ballo e abbiamo aperto la nostra piccola scuola, dove insegniamo la sera, dopo il lavoro. All’inizio pensavaSono diversi mo che ci sarebbe mancato il tempo per farlo, i motivi per poi invece ci siamo accorti che se lo riempi cui il tango è con qualcosa che ti fa felice, che ti soddisfa, il adatto alla tempo cresce, si dilata. riabilitazione, Siccome nel reparto dove lavoro nel fratspecialmente tempo si era cominciata a sperimentare la per i pazienti riabilitazione con il tango, chiamata anche malati di “tangoterapia”, ho unito la mia competenza Parkinson riabilitativa alla mia passione, sviluppando un metodo che adesso è parte integrante del programma di riabilitazione clinica. Capita anche che, sapendo della mia esperienza, nella nostra scuola vengano a ballare dei malati di Parkinson, come Gaetano. Sono diversi i motivi per cui il tango è adatto alla riabilitazione, specialmente per i pazienti malati di Parkinson. Innanzitutto per il tipo di controllo della postura che comporta e la forte intenzionalità che intercorre tra il pensiero e il passo. È come se, nelle sequenze che io faccio fare ai pazienti, ci fosse il tempo di calibrare il movimento. In altre parole, si riesce a scomporre ogni segmento dell’azione: ho il tempo di ragionare, di pensare prima di muovermi, prima di decidere che passo devo fare. Uno dei disturbi cui è spesso soggetto il malato è il cosiddetto “freezing”, cioè il congelamento dell’azione, per esempio davanti a un gradino. Nel tango il ciclo è fatto da un esercizio e poi una pausa, esercizio-pausa, stop-ripresa: il paziente può dunque simulare il passo nei momenti di difficoltà che capitano nella vita quotidiana. Infatti mi è capitato di vedere dei miei pazienti che, appunto per scendere un gradino, fanno 111 il passetto indietro, poi quello a lato, e quindi scendono. Proprio come stessero danzando! Il tango è una danza di determinazione. L’uomo deve avere le idee chiare su ciò che vuol far fare alla partner. Voglio dire, non può arrivare in ritardo! E ciò vale anche per la donna: in tutti i casi il tango sveltisce il pensiero, lo facilita, è come se rendesse chiaro il comando che dalla sfera del pensiero è indirizzato a quella fisica. All’inizio i pazienti mi guardavano stralunati, soprattutto gli uomini. C’era molta perplessità. Poi ho cercato di far capire che era divertente, si poteva fare grupCosì, pazienti e po, e poi la musica è bella. Ovviamente tutto fisioterapisti, avviene sotto il controllo del medico, che ha ci siamo messi a scelto quali pazienti erano in grado di parteballare il tango cipare e tutti hanno accettato. L’unico a dire no è stato un signore vedovo, che mi ha confessato un segreto: quando sua moglie era viva non l’aveva mai portata a ballare, non l’aveva mai accontentata, e ora non se la sentiva di partecipare al ballo, perché gli pareva di tradirla. Così, pazienti e fisioterapisti, ci siamo messi a ballare il tango. Ho scelto dei passi facili, alla portata di tutti. E subito tra i pazienti accade qualcosa: scoprire che sono in grado di farcela, di ballare, li spinge a cambiare. Come posso dire... ringalluzziscono! E lo notavo da un dettaglio: per fare una normale seduta di riabilitazione vengono come sono, in tuta, senza curare l’aspetto. Per il tango invece si cambiano: mettono il profumo, c’è chi si fa portare da casa una camicetta con gli strass, chi una bella giaccia, qua e là compare anche un colpo di rossetto. Insomma, ho capito che alcuni pazienti cominciano dal tango a ritrovare un nuovo modo di pensare al proprio corpo, e dunque a una nuova vita. 112 “ „ Applica nella vita di tutti i giorni quello che impari in fisioterapia e nella danza. 113 A volte È solo una questione di profumo 114 E ra capitato a uno dei miei più importanti clienti, un ottimo interprete del repertorio barocco che, per la chitarra classica, è uno dei momenti migliori della storia musicale. Io non lo vedevo già da un certo tempo e un giorno seppi che si era ritirato, non suonava più. A volte succede: alcuni musicisti preferiscono smettere di dare concerti, per le ragioni più varie. C’è chi, per esempio, non sopporta più la tensione del palco. Pensai a qualcosa del genere anche in quel caso, poi seppi che aveva il Parkinson. Mi Avevo parve una tragedia e non ebbi mai il coraggio arrancato per di chiamarlo. quasi tutto il Cinque anni fa, dunque a quarantotto anni, percorso scoprii di averlo anche io. Parlo della diagnosi, perché i primi sintomi li avevo avuti un paio di anni prima. Ero in vacanza in Italia, sull’isola di Stromboli, con quella che allora era mia moglie. Decidemmo di fare la salita al vulcano, un’ascesa di settecento metri. Si tratta di una camminata che comincia nel tardo pomeriggio e si conclude di sera. Non è un’impresa da specialisti, ma neppure una passeggiatina. E poi si resta fino a notte fonda a osservare l’attività dei crateri. È uno spettacolo unico al mondo, emozionante. Quella notte però non riuscii a godermelo. Ero esausto, ma non in una maniera normale. Avevo arrancato per quasi tutto il percorso. 115 Sentivo degli strani crampi. Una fatica colossale. Nei mesi successivi gli episodi si intensificarono, specialmente di rallentamento. “Rallentamento” potrebbe essere considerato un eufemismo: in realtà non riuscivo a cominciare le attività più banali, come infilarmi i calzoni o il maglione. Vivevo con il terrore che cominciassero anche i tremori. Era una vera paranoia. In più, ho sempre sofferto di claustrofobia e mi rifiutavo di entrare nella macchina per la risonanza magnetica. Così, approfondire gli esami era difficile. Caddi in depressione, di cui avevo già sofferto una quindicina di anni prima senza curarmi davvero; e anche adesso mi rifiutavo di andare dallo psicologo. Secondo il mio medico, però, la mia depressione era di natura nevrotica, cioè provocata da cause esterne. Forse aveva ragione, dal momento che mia moglie aveva deciso di lasciarmi: il nostro matrimonio non navigava in acque serene già da tempo, però non mi sarei aspettato quel tempismo! Comunque, nonostante la paura che il tremore aumentasse, non ho mai sofferto di ipercinesia, cioè movimenti frenetici e incontrollati di parti del corpo, come per esempio il braccio o le mani. Se fosse stato così, avrei dovuto smettere di lavorare. Il che avrebbe davvero rappresentato una catastrofe. In ogni caso tutto era più lento, faticoso, difficile e non riguardava solo il fisico. Anche la mia testa funzionava in un altro modo; era come se vivessi una separazione tra il pensiero e le azioni. Prima le due cose coincidevano, ora vivevano due dimensioni temporali separate. Era come se potessi guardarmi dal di fuori, una sensazione che dà le vertigini e qualche volta il panico. Anche adesso. Ho dovuto diminuire il ritmo di lavoro. Dopo la diagnosi ho sospeso la costruzione di In ogni caso nuovi strumenti, limitandomi alle riparazioni. tutto era Per fortuna i miei clienti sono affezionati, ho più lento, musicisti non solo tedeschi ma di tutta Europa faticoso, che mi vengono a trovare e, mentre faccio il difficile e non mio intervento, approfittano per stare qualche riguardava giorno a Rothenburg, dove vivo e ho il labosolo il fisico ratorio. È una splendida città medievale che 116 sorge lungo il fiume Tauber, una regione collinare, verde, ricca di storia. Il tempo rubato al lavoro ho cominciato a impiegarlo camminando. Ho cercato sostegno presso un’Associazione di parkinsoniani di una città vicino alla mia, ma era troppo stancante. Siccome non guido, dovevo prendere l’autobus e la cosa mi spaventava. Dopo un anno, il mio neurologo mi propose Dopo un di fare l’intervento per la DBS, cioè la Stimoanno, il mio lazione cerebrale profonda: si tratta di un eletneurologo mi trodo che viene messo nel cervello e che trapropose di fare mite un generatore di impulsi, un pacemaker, l’intervento dovrebbe diminuire i sintomi. Mi disse che le per la DBS mie condizioni, relativamente buone, permettevano questo tipo di intervento. Chiesi un po’ di tempo per pensarci e alla fine dissi di no. Pensai che stavo abbastanza bene, a livello fisico, e il mio problema era più a livello psichico. Avevo riflettuto proprio in quel periodo sul fatto che, tranne alle persone più intime, non avevo detto nulla a nessuno. Quasi nessun cliente, per esempio, lo sapeva. Quando mi domandavano una chitarra nuova e rispondevo di no, mi giustificavo dicendo che soffrivo di una forte tendinite e che non potevo lavorare il legno. Siccome a bottega non ho mai preso nessun lavorante, i clienti mi credevano. Continuavo a fare le mie passeggiate, soprattutto in primavera e autunno, che dalle nostre parti è la stagione più bella, a fare riparazioni e ad ascoltare musica. Faccio infatti parte di una società concertistica locale e organizziamo serate in case private, come le antiche accademie, con bravissimi giovani musicisti. Qualche mese dopo, era mattina presto, ricevetti la telefonata del chitarrista che aveva avuto il Parkinson prima di me. Non lo sentivo da diversi anni. Mi disse che era di passaggio a Rothenburg con suo figlio, se avevo tempo di riceverlo. Lì per lì, non so perché, risposi che stavo per partire. Non so quale paura mi avesse dettato quel comportamento! Il giorno dopo lo richiamai e gli dissi di venire quando voleva. Quel pomeriggio entrò in laboratorio e stentai a riconoscerlo. La sua faccia non era più la stessa: era scavata, lucida come sapone e la bocca 117 pendeva da un lato. Le labbra erano esageratamente umide, dovute all’eccesso di salivazione. Il ragazzo avrà avuto ventuno, ventidue anni e dopo qualche minuto disse che andava a farsi un giro e che sarebbe passato a riprendere il padre dopo una mezz’ora. Gli chiesi il motivo della sua visita e lui mi rispose che aveva nostalgia dell’odore del mio atelier. Gli mancava il profumo dei fogli di legno. Disse che era un profumo così speciale, «il profumo del mio passato», disse. Era stato colto dal desiderio improvviso di riassaporarlo. Rimanemmo un’ora, più o meno, a osservarOra dopo ora, ci nella penombra del mio studio, dopodiché siamo già alla il figlio se lo portò via. quinta chitarra Prima che se ne andasse, gli avevo chiesto come stava e lui aveva risposto che stava molto bene. Non mi chiese come stavo io: e io non dissi nulla. Questo succedeva circa due anni fa. Dal giorno successivo ho ricontattato l’Associazione e ho cominciato a frequentarla di nuovo. Sentivo di aver bisogno di ritrovare la forza per costruire una chitarra. Senza strafare: cominciare con un’ora di lavoro al giorno. In sei mesi avrei avuto in mano un nuovo strumento nel quale, su quei bei foglietti color avorio nascosti nella cassa armonica, apporre al lavoro la mia firma. Ora dopo ora, siamo già alla quinta chitarra: è una nuova serie di strumenti che ho deciso di battezzare Perfume. Forse sono le migliori chitarre che abbia mai costruito. 118 “ Non aver paura di affrontare i passi necessari per stare meglio. Più conosci le tue reali condizioni e possibilità, più sarà semplice riprendere la tua vita normale. „ 119 Il tempo è galantuomo, ma impariamo a farlo nostro 120 I l tempo ha bisogno delle lancette Per far sentire la sua voce, col suo tic col suo tac fa scandire i giorni sapendo che i fatti lasciano il segno i sentimenti i sogni. Scrivo poesie, amo la poesia. Questa l’ho intitolata Tempo, segni e sogni. Con il tempo ho stabilito una relazione nuova, che cambia di giorno in giorno e non è mai scontata. Per essere proprio sincero, ho sempre cercato di governare il tempo (quale presunzione!), di riempire i suoi spazi e trasformare quello libero in mille impegni. Dopo l’impatto con il Parkinson mi sono reso conto che ciò che facevo prima, per esempio lavarmi e vestirmi, poteva essere realizzato ugualmente ma con un po’ più di tempo, e ho creduto Con il tempo di poterlo controllare a mio piacimento. Gli ho stabilito stratagemmi che mettevo in pratica erano una relazione sottili e per un po’ mi hanno lasciato credere nuova che la vittoria potesse essere mia. 121 Povero illuso! Il tempo sa aspettare e, come si dice, “lasciando tempo al tempo” c’è voluto poco per ammettere, quasi a capo chino, che si possono anche rubare i minuti o le ore da tanti singoli momenti, ma non sarà per sempre. Se prima anticipavo la sveglia per consentire le ovvie consuetudini, ben presto i limiti si sono fatti strada, imponendo la logica delle cose, dimenticando la frenesia, la voglia e il dovere di fare, tipico della giovane età. Ho dovuto percorrere il sentiero di una difficile accettazione del mio male, per poter giungeÈ un percorso re alla matura consapevolezza che esso pone dove la dei limiti. È un percorso dove la scansione del scansione del tempo vince sulle mie astuzie e sui miei detempo vince sideri; un cammino dove la mia volontà deve sulle mie saper fare i conti con la realtà della vita. astuzie e sui In questa nuova realtà ho imparato ad atmiei desideri tendere “l’entrata in circolo” della levodopa quotidiana che obbliga a riconoscere i limiti imposti dal male: inutile andare a uno scontro dove il volere non potrà più essere un sensato potere! È solo un gioco di parole, anzi, un gioco di verbi all’infinito che però dimostra la maturità di chi, nella sua saggezza, capisce che bisogna fare dei sacrifici. Ecco perché se avessi un’ora in più non farei nulla di diverso da quello che faccio adesso: vale a dire confrontarmi ogni giorno con Lui e tentare di riempire il tempo con i miei impegni di sempre. Il Parkinson è una malattia progressiva e per questo il rapporto con il futuro non è facile: naturalmente ho paura che un giorno non sarò più autosufficiente. Il concetto di futuro preferisco sostituirlo con la concretezza di un atto immediato. I progetti servono a questo. Mi chiamo Tony, ho cinquantacinque anni e vivo a Messina, in Sicilia, con mia moglie e le mie tre figlie. Ho fatto per molti anni il chimico e poi l’informatore scientifico, occupandomi, ironia della sorte, proprio di neurologia. Ho il Parkinson da quindici anni. Accusavo un lieve tremore 122 alla mano sinistra e in casa mi convinsero a farmi vedere da un medico amico: il giorno dopo mi sono ritrovato dal neurologo e dopo due mesi eccomi con la diagnosi in mano. Da principio, lo ammetto, l’ho sottovalutata. Ricordo che lo dissi a una mia cara amica che aveva il papà parkinsoniano e la sua reazione mi è rimasta nella memoria, non me la sono più dimenticata. Mi diede le spalle piangendo e disse: «No, tu no!» Per la verità all’inizio non ho avuto difficoltà ad accettare la diagnosi, ma sono entrato in uno stato che vorrei definire di “provvisorietà”. Il disturbo maggiore per me sono i blocchi motori, alla mattina quando mi sveglio e subito dopo pranzo. Per ovviare assumo il farmaco, mi siedo in poltrona e leggo: cerco di distrarmi. A volte punto davanti a me una luce con l’ausilio di una pila oppure conto il numero dei passi che, con difficoltà, riesco a fare in quel momento. Questo metodo mi dà una certa sicurezza nei movimenti sebbene non sia proprio naturale, come postura, perché a quel punto i miei movimenti sono “pensati” e “ponderati”. Oltre a questo, respiro profondamente e penso che la buona volontà può darmi una mano: volere è potere, come si dice. Se sono a casa è tutto più semplice, perché i movimenti si liberano e si lasciano andare senza costrizioni. Le cose cambiano se mi trovo fuori: sentirsi guardato, controllato, giudicato, è come essere spogliato e valutato per l’appaRespiro renza e non per quello che si è. Il Parkinson profondamente interferisce nelle relazioni sociali, o meglio, e penso che la nella libertà delle relazioni sociali, che finibuona volontà scono per essere filtrate da un farmaco o da può darmi una un sintomo. Ma non bisogna lasciargli troppo mano spazio, ed è qui che ci vengono in soccorso le passioni e gli hobby. Mi piace lavorare il legno e mi piacerebbe di nuovo poter scrivere. Il Parkinson ha reso la mia scrittura indecifrabile, non la capisco più nemmeno io! Ho sempre amato scrivere a mano, scegliere la carta, la penna stilografica e dare vita, scrivendo, a fatti e storie. Usare il computer non è 123 mica la stessa cosa. Il pc non ha lo stesso buon profumo del bloc-notes, della carta! Mi piace moltissimo leggere e non scrivo solo poesie. Con l’aiuto di mia moglie scrivo anche spettacoli di cabaret che porto in scena, faccio volare la fantasia. In questo momento stiamo lavorando per portare sul palco uno spettacolo intitolato Miss/Mister Vibrazioni, incentrato sul Parkinson. Faccio parte di un gruppo teatrale chiamato GRATA Parko (Gruppo amatoriale teatro parkinsoniani). Da più di un anno un’attrice professionista ci segue per insegnarci i rudimenti della recitazione: lo spettacolo sarà costituito da una serie di “quadri” collegati tra loro in modo da creare uno svolgimento scenico. Ogni quadro affronta un argomento importantissimo della vita dei parkinsoniani: la diagnosi, la gabbia (il nostro corpo imprigionato), i sintomi, il sostegno, la condivisione, l’ironia, il rapporto con i farmaci e la creatività. Abbiamo in programma di andare in scena il prossimo giugno. Non è una rappresentazione “triste” della condizione, anzi gioca molto con l’autoironia. L’autoironia è fondamentale, aiuta sempre, è una maniera di leggere la realtà: ogni parkinsoniano, infatti, ha e avrà una sua storia, un suo decorso unico e irripetibile. Bel concetto, questo: quasi quasi ci scrivo su una poesia! Usare il computer non è mica la stessa cosa. Il pc non ha lo stesso buon profumo del bloc-notes, della carta! 124 “ Curare il proprio corpo sia dal punto di vista intellettuale che fisico. Cercare nuovi interessi, coltivare i “vecchi” e pensare che oggi è già domani. „ 125 Non rassegnatevi: il match si vince anche all’ultimo minuto 126 A vevo sempre visto mio padre come una roccia. La persona sulla quale contare per qualsiasi cosa. Lo chiamavo ogni giorno, lo consultavo per tutto. Con l’apparizione del Parkinson la nostra relazione è cambiata. Ha smesso di essere colui che si prendeva cura degli altri per diventare colui che ne aveva bisogno; non solo sotto il profilo fisico, ma anche emozionale ed economico. Ha sessantacinque anni e da quando ha smesso di lavorare gli introiti dei miei genitori sono drasticamente diminuiti. Hanno dovuto limitare le spese e attualmente stanno attingendo ai risparmi di una vita, dal Oggi passa la momento che la pensione non è sufficiente maggior parte per entrambi. del tempo Evito di condividere con lui le mie preocdavanti alla tv cupazioni e i miei problemi. Lo faccio per risparmiargli un ulteriore peso ma anche perché so che la sua opinione non farà differenza. Per me, è come se lui non avesse più la capacità di capire le questioni, come se non facessero più parte del suo universo. Era una persona attiva, che praticava sport, amava viaggiare, uscire, frequentare la gente. Oggi passa la maggior parte del tempo davanti alla tv. Aveva sempre sognato di avere dei nipoti con cui giocare a pallone o andare al mare per il fine settimana. Oggi che ho tre figli non fa nulla di tutto ciò. Gli piace averli vicino, ma non fanno niente 127 insieme. È semplicemente un osservatore. Le persone in genere associano il Parkinson al tremore, ma è molto più di questo. La malattia può causare depressione e provocare una mancanza totale di interesse per la vita, un problema altrettanto grave. Mio padre è avvocato, aveva uno studio importante qui a Nottingham, che ha lasciato in mano al suo socio, vendendo la sua parte di società. La malattia ha influito sui suoi movimenti, soprattutto nella parte destra del corpo, non riusciva più a fare cose semplicissime, come portare un piatto o un bicchiere di Coca Cola. Ha dovuto prendere una macchina con il cambio automatico per continuare a guidare. Anche il suo modo di ragionare, il suo cervello, è diventato più lento. La sua grande passione era giocare a calcio. Prende Da ragazzo era diventato quasi professionista medicinali per e poi ha continuato a giocare nei fine setticontrollare i mana con gli amici. Prima della diagnosi, otto sintomi motori, anni fa, era stato operato a un ginocchio e è seguito da aveva smesso di giocare, ma è convinto che sia una psichiatra per colpa del Parkinson se non ha più rimesso e fa terapia con le scarpette. Prende medicinali per controllare uno psicologo i sintomi motori, è seguito da una psichiatra e fa terapia con uno psicologo. Non sa che mi sto separando da mio marito. Un tempo sarebbe stato il primo a sapere. Questo è il tipo di cosa che avrei detto a lui prima ancora che a mia madre. L’ultimo anno è stato difficile per noi. Mio marito, nonostante la crisi, non è sparito del tutto, ma fa il conducente di treni, ha orari rigidissimi e non posso realmente contare su di lui. Tre ragazzini che vanno a scuola, a nuoto, a danza, a fare i compiti a casa degli amici, il più grande segue le orme del nonno, gioca in una squadra juniores ed è molto in gamba. Insomma, ci sono mille cose da fare. Senza contare che lavoro a tempo pieno come grafica editoriale in una rivista di giardinaggio. Vorrei chiedere un part-time, vorrei avere più tempo per la mia famiglia e per me stessa, ma non sono tempi adatti a chiedere una riduzione di orario. Il tempo non c’è più o è molto meno di 128 prima. E quando manca del tutto bisogna inventarselo in qualche modo. Il papà di un compagno di squadra di mio figlio mi ha invitata fuori a bere un drink un paio di volte. Non volevo dire di no, è simpatico, si chiama Jim – e in effetti è un piacere rimanere a chiacchierare con lui qualche minuto durante le partite. Sabato ci sarebbe questa trasferta a Birmingham e si è deciso che Tommy andrà da solo, anche se sarebbe la prima volta e io non sono così tranquilla. Il problema è che mia madre è andata a stare da una sorella a Oxford per un paio di settimane e il papà non può rimanere solo tutto il giorno: la zia, che è sola, è in convalescenza da una brutta operazione e la mamma non poteva più tirarsi indietro. Mi ha chiesto se potevamo farcela senza di lei e ovviamente ho detto di sì. Da mia zia c’era posto anche per mio padre, volendo, ma lui ha detto che preferiva restare a casa, che “non vuole essere di impiccio” (la realtà è che non sopporta più di dormire fuori casa). Così è una settimana che finito il lavoro L’altro passo prima da lui, vedo se è tutto a posto, pomeriggio ho controllo le medicine, preparo la cena, poi trovato papà vado a casa dai ragazzi, che sono bravissimi e in giardino spesso si fanno un sandwich con il tonno o il che tagliava il salmone. gambo di una L’altro pomeriggio ho trovato papà in giarrosa dino che tagliava il gambo di una rosa. I miei hanno un bellissimo roseto, rose cremisi enormi, che in questa stagione sbocciano. Sono la passione della mamma, che per altro le dipinge in quadretti minuscoli, incantevoli. «Se ti vede la mamma con quella forbice in mano, sono guai!» gli ho detto. «E a cosa serve restarmene solo soletto, a soffrire?» mi ha risposto. Poi si è girato, tutto rigido, è entrato in cucina e ha messo la rosa in un vaso. In quel momento ho sentito il bisogno di dirgli cosa sta succedendo nella mia vita. Che mio marito sta per trasferirsi in un’altra casa e io vorrei andare a bere un drink con un tale di nome Jim: un tempo gli avrei chiesto cosa avrei dovuto fare. Ma sono rimasta zitta. Ora fissava la sua 129 rosa, pareva assorto. Gli ho chiesto se aveva preso le medicine. Ha annuito e sorriso. Poi mi ha chiesto se andava tutto bene. Gli ho risposto di sì, come faccio automaticamente, ormai. Allora mi ha chiesto di Tommy, della squadra. «Non c’è per caso un torneo a Birmingham, in questo periodo?» Gli ho risposto che avrebbe dovuto giocare «Avrei voglia di sabato, ma io non ci potevo andare e quindi vedere Tommy sarebbe andato da solo, insieme al padre di un giocare» ha suo compagno di squadra. continuato Papà si è seduto sulla sedia in cucina e io ho cominciato a massaggiargli le spalle, che sono sempre tese e rigide, piene di nodi. «Come si chiama il papà di questo compagno di Tommy?» mi ha chiesto. «Jim, si chiama Jim. Perché me lo chiedi?» «È simpatico?» Ho annuito mentre continuavo a massaggiarlo. «Avrei voglia di vedere Tommy giocare» ha continuato il papà. Io intanto avevo cominciato a piangere e lui se n’è accorto. «Perché non ci andiamo insieme?» ho detto. «Si sta via mezza giornata, non di più. Papà, ho bisogno di te.» «Vuoi la mia benedizione?» Ha sorriso. Io ho staccato le mani dalle sue spalle e ho cominciato a ridere. E lui ha detto: «Secondo te ce la faccio a venire? E, soprattutto, non vi disturbo?». «Ma certo!» ho risposto. «Tommy me lo ha chiesto...» E lì ho mentito. «È una partita importante e ci tiene molto che tu ci sia, che tu lo veda giocare. È tanto che non lo vedi. Vuol sapere se deve continuare a questo ritmo, se ne vale la pena, oppure lasciar perdere. Vuole il parere di un avvocato!» Il papà ha fatto sì con la testa e ha detto: «Allora è proprio il caso che venga». 130 “ Spesso il Parkinson colpisce la sfera psichica quanto quella fisica. Ma la prima è meno evidente. Non per questo vanno sottovalutati i sintomi, spesso depressivi. Anzi, tenere sempre alta la guardia è fondamentale per la qualità della vita dei nostri cari. „ 131 La vita È una lunga partita a scacchi: rendetela divertente 132 C’ è stato un tempo in cui giocavo a scacchi per corrispondenza. I miei avversari non avevano un volto. Le loro mosse mi giungevano per mezzo di una cartolina. E io rispondevo mandandone una a mia volta. Devo dire che era divertente, ricevere queste strane cartoline non solo da Israele, ma anche dall’estero. A scacchi gioco da quando ero bambino, avrò avuto circa sei anni quando ho giocato per la prima volta. Mi è sempre piaciuto molto. Il gioco degli scacchi è basato sulla concentrazione, l’analisi di soluzioni concrete e la costruzione di un’abilità tattica. L’obiettivo è scoprire le intenzioni del tuo avversario. Divertimento puro. Oggi gioco a scacchi al computer. Specialmente da quando mi hanno diagnosticato il Parkinson, il computer è diventato il mio migliore amico, ed è sempre Specialmente a disposizione, così posso impostare sfide al da quando mio livello. A volte gioco con mio nipote, che mi hanno ha ereditato un pochino la mia passione. diagnosticato Fino a due anni fa insegnavo Nutrizione il Parkinson, animale presso il Dipartimento di Scienze il computer è animali della facoltà di Agraria, sono stato a diventato il capo del dipartimento e del gruppo di insemio migliore gnanti. Ho comunque mantenuto un legame amico con l’Università di Tel Aviv: seguo ancora 133 una serie di studenti in procinto di discutere la loro tesi. Vivo con mia moglie a Rehovot, una ventina di chilometri a sud di Tel Aviv, dove sono nato. Ho il Parkinson da quasi quindici anni, cioè da quando ne avevo cinquantasei. Il problema maggiore è la sensazione di irrigidimento dei muscoli, che provoca un dolore pressoché costante. Il dolore rende difficile comportarsi normalmente. E poi il sonno: non dormo più molto bene. ProbabilmenNon dormo più te ciò ha a che vedere con nuove paure, che molto bene. forse fluttuano nel subconscio e che si fanno Probabilmente sentire durante la notte. ciò ha a che Io comunque sono stato fortunato, dal movedere con mento che il Parkinson ha colpito mio franuove paure, tello maggiore qualche anno prima di me, e che forse quindi sapevo cosa dovevo aspettarmi. Influttuano nel cassare la notizia è stato più facile. E poi ci subconscio e sono dei vantaggi, se così posso chiamarli: che si fanno ora sono molto più consapevole di quanto sentire durante siamo fragili. Così come il fatto che reagisco la notte agli input esterni con maggiore emotività. Insomma non credo che la malattia abbia influito negativamente sulla mia vita emotiva. La mia vita è rimasta tutto sommato uguale, a cominciare dal lavoro, che non ho dovuto abbandonare. E per me sarebbe stato un vero disastro, dal momento che è un lavoro che ho amato e amo ancora moltissimo. Un amore che è cominciato dentro di me prima ancora di pensare lontanamente di farne una professione e che risale all’epoca precedente al mio ingresso all’università come studente. Come tanti giovani di allora ero andato a vivere in un kibbutz dove, tra le tante attività comunitarie, avevo fatto il pastore. Passavo quasi tutto il mio tempo con pecore e capre. E anche con le mucche. Non credevo che avrei amato così tanto stare in mezzo a questi animali, imparare 134 a conoscerli. Soprattutto, avere curiosità nei loro confronti. Per quello, quando poi ho cominciato a studiare, la strada verso la scienza animale mi è parsa chiara, semplice, già decisa. E finiti gli studi sono approdato all’insegnamento. In questo ambito ho affrontato diversi aspetti della nutrizione animale, concentrandomi principalmente sui bovini da latte. Il clima secco del nostro Paese ci pone di fronte a grosse sfide da questo punto di vista: non è facile ottenere buon foraggio in questi climi, e di conseguenza produrre molto latte. All’università c’è molto lavoro da fare, ma non mancano le gratificazioni, perché è un grande privilegio essere circondati da giovani e talentuosi studenti e poterli seguire nel loro sviluppo intellettuale e nell’approfondimento delle materie accademiche dà molta soddisfazione. Si tengono le lezioni, si fa ricerca, in facoltà e nelle aziende agricole, in campagna. Ho fatto anche molta attività fuori dal campus, tenendo conferenze all’estero, e ogni sette anni mi sono preso un anno sabbatico per studiare, anche in altri Paesi, dove mi sono trasferito insieme alla mia famiglia: siamo stati in Svizzera, Olanda e Stati Uniti. Viaggiare mi è sempre piaciuto. Così come Viaggiare mi è stare insieme agli amici: anche qui, il Parkin- sempre piaciuto. son non ha portato alcun cambiamento, anzi! Così come Ho trovato tanti nuovi amici. Molti di loro stare insieme sono interessati agli avanzamenti della riceragli amici: ca, le possibili cure e le terapie che possano anche qui, migliorarne la qualità della vita. Incoraggio il Parkinson i miei colleghi parkinsoniani a essere più atnon ha tivi fisicamente e a dedicarsi al volontariato portato alcun presso le associazioni di pazienti. A stare in cambiamento, mezzo alle persone non rinuncio: per questo anzi! Ho seguo ancora gli studenti che si devono lautrovato tanti reare. nuovi amici Mi piace leggere libri anche in versione 135 digitale, in inglese o tradotti in ebraico. Mi interessano i romanzi basati su ricerche storiche. Recentemente mi è piaciuto molto Bambino 44 di Tom Rob Smith e La figlia dei ricordi di Victoria Hislop, una saga dai toni epici ambientata in Grecia che attraversa tutto il XX Secolo. Con un gruppo di amici stiamo progettando di visitare proprio la Grecia nei prossimi mesi. Non che possa fare programmi con eccessivo anticipo - meglio evitare i progetti a lunga scadenza - ma mi piacerebbe tanto. I tempi per le decisioni si sono infatti accorciati, la mia agenda giornaliera è sicuramente cambiata, ma dal momento che amo quello che faccio non mi pare una perdita di tempo. Se avessi un’ora in più sicuramente mi prenderei uno spazio per le cose che amo, come leggere. E naturalmente gli scacchi. Ci penso solo adesso: anche con il Parkinson gioco una partita a scacchi, e come i miei antichi avversari anche lui non ha un volto. Fa le sue mosse, e io faccio le mie. A volte sembra vincere lui, spesso sono io a dare scacco matto, quando so anticiparlo, quando riesco a prevedere la sua tattica. Amo quello che faccio non mi pare una perdita di tempo 136 “ A chi è nuovo alla diagnosi dico: non è la fine del mondo. Ci sono molti strumenti a disposizione in grado di migliorare la qualità della vita. Abbi molta cura di te stesso, fai esercizio regolarmente, riposati quando è necessario. E, soprattutto, guarda sempre il lato positivo della vita. „ 137 Un piccolo gesto puÒ essere un grande aiuto 138 L’ appuntamento è con l’Andrea Chénier, il poeta francese che morì su una ghigliottina della Rivoluzione Francese. Ma arrivarci in tempo è un’impresa. E non perché, poveraccio, l’eroe tragico visse più di duecento anni fa, ma perché non so mai a che ora riuscirò a staccarmi dall’ambulatorio. Proiettano lo spettacolo al cinema, in contemporanea con la “prima” del Covent Garden di Londra. Ovvio, al cinema non è esattamente come essere seduti in quel meraviglioso teatro, ma l’emozione è la stessa: quello che conta è poter chiudere gli occhi, sprofondare nella musica che tanto amo. Per me l’OL’Opera è il pera è il sottofondo della Storia; quello che è sottofondo stato fatto dall’uomo non è avvenuto in silendella Storia; zio, è avvenuto insieme alla musica. L’Opera quello che è rende viva tutta la bellezza che l’Europa ha stato fatto prodotto per l’umanità, e andare a teatro è la dall’uomo non mia maniera di staccare e ripulire la testa. Per è avvenuto lavoro sono a contatto tutti i giorni con la sofin silenzio, ferenza, spesso con la morte. Mi chiamo Federica, ho quarant’anni e ho è avvenuto scelto di fare la neurologa perché speravo che insieme alla attraverso questa specialità avrei capito come musica 139 funziona la mente, non solo dal punto di vista psicodinamico, ma anche dal punto di vista biologico: volevo sapere come nascono e si articolano i pensieri. Per me il neurologo è uno scienziato come Antonio Damasio, un medico portoghese che ha scritto libri bellissimi sulla mente, le cui teorie sono poi state confermate da evidenze scientifiche. Un aspetto che mi ha sempre affascinata è infatti quello di poter guardare dentro la mente, e oggi i moderni strumenti diagnostici ci permettono di vedere molto più di un tempo. Ancora prima di specializzarmi già lavoravo in corsia, nell’ambito della malattie neuro-degenerative, come il Parkinson, malattie che sono molto cresciute di numero con l’aumento dell’aspettativa di vita. Il motivo è semplice: più si diventa vecchi più i sistemi biologici dell’essere umano si deteriorano. Quando ho finito la specialità sono passata a lavorare come neurologa del reparto di cardiologia. All’inizio facevo le guardie notturne al pronto soccorso, ma tempo un anno la neurologia ha assorbito il servizio dove lavoravo ed è stata creata una terapia sub-intensiva a tutti gli effetti. Il mio primario mi ha chiesto se volevo rimanere a lavorare in quel tipo di servizio. Ho detto di sì e così sono tornata nel mio ambiente di origine, anzi, mi sono avvicinata all’attività strumentale diagnostica. Insomma, faccio le diagnosi utilizzando con senso critico i risultati forniti dagli strumenti tecnici come la risonanza magnetica, la tomografia assiale computerizzata e gli Un aspetto che ultrasuoni. Rispetto ad altri neurologi che non mi ha sempre si specializzano in questo campo, ritengo di affascinata è avere la capacità di interagire con il radiologo infatti quello in modo efficace. E questo è un aspetto molto di poter importante, perché le immagini non sempre ci guardare dicono quello che vogliamo vedere. Siamo noi dentro la mente che dobbiamo chiedere alla macchina quello che vogliamo sapere. Nel caso della risonanza, sapere quali sono le sequenze che servono aiuta ad avere una risposta più chiara. Altrimenti le neuro-immagini non sono sempre in grado di dare 140 l’informazione che cerchiamo. È un po’ come vedere una fotografia di Maria Callas, nella quale però vedi solo la faccia, e non sai se, in quella foto, era già dimagrita: hai una visione parziale. Con la diagnostica è la stessa cosa: se vuoi vedere cosa c’è dentro l’occhio bisogna fare delle sequenze di risonanza che permettano di sopprimere il se- Ho fatto il test gnale del grasso presente nell’orbita, altrimenti per entrare il nervo ottico resta nascosto. Vedi tutto bianco a medicina. e non hai risposte. Ricordo che Sapere cosa chiedere alla macchina è essennell’attesa ziale per non accontentarsi di ciò che si vede, dei risultati quando si è convinti che la diagnosi possa tromi pervase un varsi da un’altra parte. Con il Parkinson può grande senso succedere spesso: molti parkinsoniani all’inizio di vuoto. vanno dallo psichiatra perché i sintomi vengoRipetevo a me no interpretati come depressione. Quando poi stessa: se non compaiono i sintomi motori, come il tremore o la lentezza, allora vengono sommati ai primi e entro qui cosa faccio? Non si stabilisce che il problema è di tutt’altra natuavrei saputo ra. L’avvento delle neuro-immagini ha permesso di costruire degli atlanti di normalità, delle cos’altro fare vere e proprie mappe, che noi confrontiamo con un cervello che comincia a invecchiare o a degenerare. Mi è sempre piaciuta l’idea di fare Medicina. Quando andavo alle elementari, avrò avuto sette o otto anni, mia madre mi regalò delle tavole anatomiche, si chiamavano “transvision”: era un libricino verde con dei fogli trasparenti che consentivano di sovrapporre un foglio all’altro. Era bellissimo. Però se ci ripenso ora... come si fa a regalare a una bambina delle tavole anatomiche dettagliate del sistema nervoso?! Dopo il liceo ho fatto il test per entrare a Medicina. Ricordo che nell’attesa dei risultati mi pervase un grande senso di vuoto. Ripetevo a me stessa: se non entro qui cosa faccio? Non avrei saputo cos’altro fare. Penso di essere migliore nel mio lavoro che nella vita di tutti i giorni. 141 Nella vita reale, prima di tutto sono poco socievole: sto meglio all’Opera, anche da sola, o con i miei libri o con il mio gatto. Invece la pietà umana che provo dinnanzi alla sofferenza delle persone mi fa tirar fuori le migliori qualità. Sul lavoro non sono il tipo che si arrende. Di fronte a un problema, il nostro mandato, come medici, è cercare di risolverlo, nonostante le difficoltà che ci troviamo ad affrontare in corsia. Ci vuole anche una certa dose di empatia. La persona malata potrei essere io. È brutto star male, e quando si sta male sul serio c’è bisogno di qualcuno che ti tenda una mano. Capita tutti i giorni di trovare una persona su una barella che non sai ancora come si chiama, che ti cerca con una mano: magari ha solo sete. Ha la bocca secca. Non stai compiendo un atto medico, ma aiuti. Bisogna chiedere al paziente come sta. Puoi trovarti di fronte un malato di Parkinson che evidenzia sintomi gravi, un tremore forte, difficoltà di deambulazione, o magari non si capisce quello che sta dicendo, perché parla con un tono molto basso e monotono. Ma se gli chiedi cosa si sente ti risponde che ha mal di pancia, si è polarizzato su quello. Bisogna cercare di capire qual è l’aspetto della malattia che il paziente percepisce di più. Qualcosa di circostanziato: per capire che cosa della malattia lo fa soffrire maggiormente, cosa gli toglie, contro cosa combatte di più. E cominciare da lì. Ci vuole anche una certa dose di empatia. La persona malata potrei essere io 142 “ „ Ascoltare il paziente per vedere al di là dei sintomi. 143 Il mondo È meraviglioso, anche di fronte a casa tua 144 P er me la fotografia è l’immagine di un desiderio. Quando esco di casa portandomi dietro la mia attrezzatura quello che mi muove è infatti un desiderio molto forte, il desiderio di fermare un attimo, l’istante. Che per me è associato alla natura, al trovarmi immerso nella natura. Fotografo i paesaggi, amo fotografare i temporali, e soprattutto fotografo gli uccelli: forse sono loro il soggetto che preferisco. Ora ho molto tempo per farlo. Mi chiamo Bruce, abito a pochi chilometri da Zurigo insieme a mia moglie, ho quarantaLa cosa, come due anni e ho il Parkinson da quasi nove. Fino spesso accade, a due anni fa ero responsabile marketing di è cominciata da un’impresa di accessori ortopedici, insomma, un dettaglio le protesi: ginocchia, anche, spalle. banale La cosa, come spesso accade, è cominciata da un dettaglio banale: mi sono sempre lavato i denti facendo movimenti molto rapidi su e giù (ognuno, credo, ha la sua maniera, no?) e un giorno non riuscivo più a smettere di spazzolare. Molte volte, poi, di sera, la mia mano destra tremava, finché si è messa a tremare tutto il giorno. In quel periodo avevo appena finito il mio Master in Business Administration e nel frattempo lavoravo a tempo pieno; curiosamente, i tremori sono cominciati proprio l’ultimo giorno del master 145 e ho pensato fossero dovuti allo stress della tensione che si allentava. Siamo partiti per tre settimane di vacanze e pensavo che la cosa sarebbe tornata alla normalità, con il relax e così via, e invece... Dopo sette settimane sono andato a farmi vedere dal mio medico, il quale mi ha consigliato una visita neurologica. Mi sono fatto tutta una trafila di esami approfonditi, come il DAT-Scan e l’MRI, ho sentito un secondo parere e dopo cinque mesi è arrivata la diagnosi. Tutto sommato, non ho reagito male, non sono caduto in depressione, non mi sono lasciato sopraffare dalla paura. Fin dall’inizio mi è stato chiaro che, per me, il Parkinson non è una malattia, ma qualcosa che fa parte della mia vita. I sintomi sono parte di me, io non sarei più Fin dall’inizio “io” senza di essi e perciò non mi preoccupo. mi è stato Siamo sinceri: non potrei cambiare la realchiaro che, per tà in ogni caso e mi pare assurdo mettermi me, il Parkinson a immaginare adesso un “me stesso sano”. La non è una gente invecchia, si ammala, sviluppa vari tipi malattia, ma di disabilità: fa parte della vita. qualcosa che fa Chi ha avuto paura è stata mia moglie. Nel parte della mia periodo in cui aspettavamo la diagnosi si era vita messa a cercare prove che smentissero le ipotesi più nere e immancabilmente veniva fuori il contrario. La terra le mancava sotto i piedi, ed ero io quello che le dava forza, la rassicurava e cercava di motivarla! Alcuni amici hanno reagito male, sorpresi soprattutto che una diagnosi del genere fosse toccata a un uomo di trentaquattro anni. Io gli dicevo: guardate che sono lo stesso di prima, mica sono diventato un’altra persona! Inoltre, non ho mai avuto delle vere e proprie crisi, tutto scorre liscio. E cerco di essere preciso nell’assunzione delle medicine in relazione ai pasti. L’orologio è molto importante, è quasi un rimedio naturale: la maggior parte dei medicinali comincia a fare effetto solo dopo che ho mangiato, per questo non tocco cibo un’ora prima e mezz’ora dopo averli presi, ma dopo devo mangiare! Mi fido delle mie sensazioni, mantengo saldo il 146 contatto con il mio corpo. E non faccio errori, tipo: oh, ho bisogno di un po’ di relax in più... e giù con altre pillole! La calma, il rilassamento sono fondamentali: è stressante quando devi fare qualcosa velocemente, perché allora sembra che i farmaci perdano di colpo il loro effetto, e non agiscano più per il resto del giorno. Oggi mi sento molto bene, e non è uno scherzo. Guardo quello che ho ricevuto in cambio: prima lavoravo come un matto e avevo poco tempo libero per fare quello che mi piaceva, sempre alla ricerca di un equilibrio tra vita e lavoro; due anni e mezzo fa ho potuto ritirarmi, cioè venticinque anni prima della scadenza naturale, ottenendo la merce più preziosa che si possa sognare: il tempo! In altri termini: non bisogna guardare quello che il Parkinson toglie, ma quello che si guadagna. Nel mio caso, la possibilità di dedicarmi alla fotografia. E se a questo nuovo tempo si aggiungesse un’altra ora in regalo, la passerei fuori, lungo l’argine di un fiume, a fare altre foto. Oggi mi sento Certo, c’è una cosa che non posso più fare, molto bene, correre in moto. Ma, sapete com’è, una mano e non è uno che trema incontrollabilmente sull’acceleratoscherzo re non è una grande idea! Mi manca la sensazione che mi dava sfrecciare in moto, non c’è qualcosa che sostituisca davvero quella dose di adrenalina... Anche se, quando metto la macchina sul treppiede e me ne sto lì a osservare una poiana come quella che ho di fronte ora, regale, così in armonia con quello che ha intorno, così bella e fiera della sua indipendenza, l’emozione non è facilmente descrivibile. E l’aquila, allora? E il falco, il gufo, il picchio? Ci sono così tante cose da vedere, da conoscere, anche appena fuori dalla porta di casa! Passo almeno tre mesi all’anno viaggiando per fare foto, sia in Svizzera che in molti altri luoghi. Esco ogni giorno, vado in mezzo alla natura per fare fotografie, e poi faccio molte presentazioni con il gruppo di sostegno del Parkinson, e fornisco le immagini per una newsletter svizzera che circola tra i pazienti e le famiglie con tutta una serie di informazioni utili. Per certi versi il Parkinson è una malattia magnanima, poiché non si 147 può influire sul suo sviluppo, sulla sua progressione, in positivo o in negativo; non la puoi peggiorare facendo questo o quello, voglio dire. Ora come ora solo il lato destro (piede, gamba, braccio, mano) è afflitto dal tremore. Se iniziasse a tremare anche la parte sinistra non avrei più “l’amica” con cui mi aiuto. Ma non guardo troppo in là, mi godo il momento, non conosco il sentimento della paura. La paura è come una pallina da golf: la spedisco da un punto all’altro del campo, di buca in buca. Dopo mezz’ora di attesa, una mezz’ora bellissima, impagabile, ecco la poiana nella posa che cercavo: quel momento vibrante in cui, appollaiata su un ramo, dritta, anzi, eretta come un guerriero, gira lievemente la testa e la inclina verso il basso, come chi stia per tuffarsi da una roccia. E i suoi piccoli occhi neri, opachi, sono così espressivi. Clic. Il prossimo weekend organizziamo un’esposizione insieme ad altri artisti locali. Ho un desiderio, che la mia poiana racconti questo: questa sua straordinaria espressività. Per certi versi il Parkinson è una malattia magnanima, poiché non si può influire sul suo sviluppo, sulla sua progressione, in positivo o in negativo 148 “ L’orologio è molto importante, vale quanto un rimedio naturale. Rispettate il più possibile gli orari in modo che i medicinali facciano effetto nella maniera migliore per poter così affrontare gli impegni con calma e senza stress. „ 149 Non pensare troppo al futuro, costruiscilo 150 S trano, come le cose cambiano. Prima che la Maledizione del Parkie, come la chiamo io, venisse a piantare le tende a casa mia, una settimana come questa mi sarebbe sembrata infernale. Impegni domestici, la scuola delle figlie, una riunione alla radio locale del Wiltshire, dove viviamo, per cercare di ottenere uno spazio pubblico dove affrontare il problema dell’assistenza infermieristica a domicilio per i pazienti neurologici e, dulcis in fundo, domani mattina la riunione con la psicologa della mia figlia più piccola; ci sono voluti due anni per convincerla ad affrontare questo incontro! Impegni Insomma: c’è qualcuno che vuol prendere il domestici, la mio posto? scuola delle Eppure, invece di sembrarmi un inferno, figlie, una una settimana del genere è semplicemente la riunione alla mia vita, una vita ancora piena, che mi fa senradio locale tire viva. D’altra parte ho cinquantadue anni, due figlie da tirar su e un marito con il quale mi piace uscire a cena o bere un drink, come vorremmo fare proprio sabato prossimo, visto che le ragazze dormiranno fuori, evento raro! Senza parlare della scorta di carote per Benjamin Bunny (chi conosce i libri per bambini coglierà senz’altro il riferimento letterario a Beatrix Potter), il nostro coniglio che è un po’ il 151 quinto elemento della famiglia e forse l’unico che non si fa problemi di dieta! Quello che voglio dire è che la verità non è una sola, le cose vanno osservate da più lati, le notizie elaborate e le conseguenze affrontate con calma, una cosa alla volta. Quando, sei anni fa, due giorni prima del mio quarantasettesimo compleanno, mi fu diagnosticato il Parkinson, provai sollievo. Gli altri non ci credevano, che ero sollevata, parlo sul serio. Mio marito per primo, che sul momento reagì male, la visse come una tragedia portatrice di sciagure. Si mise subito a pensare al futuro. Come faremo d’ora in avanti? Non aveva tutti i torti: io ero il principale sostegno della famiglia, in quanto Si mise subito lavoravo come analista finanziaria. Dovevamo a pensare al ancora finire di pagare il mutuo. Le figlie erafuturo. Come no piccole e di colpo ci trovavamo di fronte faremo d’ora in quella novità! avanti? È un po’ il destino della mia famiglia quello di vivere forti scossoni, cambiamenti e avventure. Io sono nata a Kuala Lumpur, in Malesia, perché mio padre era di stanza laggiù con l’esercito durante la Guerra del Borneo. Quando erano partiti dall’Inghilterra avevano due figlie, quando tornammo c’ero anch’io, eravamo in tre! La mamma è ancora viva, mentre il papà è morto improvvisamente dodici anni fa. Non ha mai conosciuto la mia piccola, e la cosa mi intristisce un po’, però mi consola che non mi abbia vista con il Parkinson. Per lui sarebbe stato sconvolgente. Ecco un altro motivo di sollievo. Sei anni fa però il motivo fu soprattutto un altro: e cioè che finalmente capivo cosa mi stava succedendo, dopo quattro anni passati a cercare di convincere il mio medico di famiglia a prendermi sul serio. Per lui ero una ipocondriaca, figuriamoci! Avevo tremore alla mano destra, difficoltà a camminare e a dormire. Muoversi stava diventando difficile, a volte non riuscivo ad alzarmi da una sedia, le spalle bloccate. E la mia scrittura... si era fatta minuta e tutta accartocciata, mentre prima era larga e facilmente leggibile. A ripensarci poi, mi sono venuti in mente altri sintomi, meno 152 evidenti, più silenziosi, che forse mi portavo dietro da quando avevo poco più di vent’anni. Ebbene, un giorno mi sedetti nel suo ambulatorio e mi rifiutai di andarmene; e lui scrisse in un referto che sicuramente non avevo il Parkinson! Restai scioccata. Un neurologo specializzato fece poi la diagnosi. Tornai dal mio medico, e prima di mandarlo a quel paese gli dissi quello che pensavo di lui! In tutti i modi ero sollevata, perché prima ero convinta di avere qualche malattia neurologica grave e che sarei morta in pochi mesi. Adesso invece avevo qualcuno disposto ad ascoltarmi e a prescrivermi i medicinali, che quasi subito hanno migliorato la mia condizione fisica e mentale. Nel corso degli anni ho cambiato diversi terapeuti, l’ultimo a inizio dello scorso gennaio: il mio problema maggiore sono sempre state le distonie, contrazioni muscolari molto dolorose, soprattutto nel lato sinistro del corpo, al piede Ora va meglio, e alla gamba. Quando la crisi arriva non c’è mi hanno nulla da fare, mi devo sdraiare su un lato o prescritto una addirittura per terra. Se sono fuori è un guaio, nuova terapia e non so cosa fare e non posso neanche fingere mi pare di aver che non stia succedendo! ritrovato la Ho paura di perdere il controllo di me stesvita sa, di diventare tutta rigida e non riuscire a prendere le medicine. È quasi accaduto in un paio di occasioni e così cerco di non uscire di casa da sola. I luoghi troppo affollati possono provocarmi una crisi. Ma ora va meglio, mi hanno prescritto una nuova terapia e mi pare di aver ritrovato la vita. È questo il vero aspetto debilitante: la perdita di autonomia. La malattia mi ha tolto tempo da passare con le mie figlie. Con la più grande, adolescente, è difficile fare cose normali come andare a far shopping, o portarla a un concerto pop, cose del genere. Con la più piccola non sono stata in grado di aiutarla di più con la scuola, dal momento che ha qualche sintomo di autismo e problemi di memoria. Se avessi un’ora in più farei tutte queste cose, appunto, per le mie figlie, le farei molto più 153 di quanto non riesca a fare adesso. Poi sto studiando il francese e mi piace fare lavori di sartoria, e mi mantengo in forma con il vogatore. In più rappresento i malati di Parkinson nella commissione clinica della nostra contea, progetto che serve a sensibilizzare di più le istituzioni sui problemi e i deficit, che sono molti, a livello di assistenza. Per questo sto cercando di combinare l’appuntamento alla radio. Se avessi un’ora Ma, questa settimana come molte altre... me ne manca il tempo! in più farei Il tempo ha un altro valore per me ora e certutte queste co di non pensare troppo al futuro, altrimenti cose per le mie mi deprimo, soprattutto se penso alla vecchiafiglie ia. Mi prende un poco il panico anche per il futuro della mia figlia minore, alla quale stiamo cercando di garantire una sicurezza perché è la più vulnerabile. È il mio progetto principale al momento, risparmiare abbastanza soldi per fare in modo che possa studiare in una scuola speciale. Che possa costruirsi una vita e una carriera per essere indipendente, e io so cosa vuol dire non esserlo. Ormai ci siamo quasi, mancano circa 6.000 sterline e poi potremo tirare un sospiro di sollievo! 154 “ Assicurati una buona notte di sonno. Spesso vado a letto prima delle dieci di sera (anche prima delle mie figlie!), altrimenti il giorno dopo è quasi garantito che sarà una giornata difficile. Riposa bene e rimetti in moto le forze! „ 155 156 157