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Proverbi e Detti del CAPO di LEUCA - CULTURA POPOLARE -

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Proverbi e Detti del CAPO di LEUCA - CULTURA POPOLARE -
Proverbi e Detti
del CAPO di LEUCA
- CULTURA POPOLARE -
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Proverbi e Detti di “CULTURA POPOLARE”
2
Cultura Popolare
Quannu muti dannu a ncapu a unu sulu, vene tiempu ca
unu, a unu.
la pàcane, a
(Quando molti danno in testa ad uno solo, profittando della sua debolezza, verrà
tempo che la pagheranno, ad uno, ad uno).
E' facile, nello stile del branco, farsi forti di fronte ad uno solo. Non potrà mai farcela da
solo contro tutti, specialmente quando tutti sono pronti a creare le più ributtanti
invenzioni, pur di nuocere alla sua immagine.
La legge del branco non perdona, specialmente quando si vuol obbligare il malcapitato a
far qualcosa della quale poi si pentirebbe.
In questo gioco sono maggiormente feroci le donne, pronte al pettegolezzo, alla
cattiveria gratuita. Spesso sono invidiose, capaci di azioni ignominiose che feriscono
1’anima: quello che pensano lo attribuiscono al malcapitato e sono capaci di inventare
storie inverosimili, alle quali, alla lunga, finiscono per crederci anche loro. Anzi, é
accaduto che raccontino cose in contrasto con quelle raccontate qualche tempo prima,
facendo delle figuracce.
Chi inventa, infatti, dimentica e poi si tradisce, non trattandosi di storie vissute e
realmente accadute.
Sin qui, però, è quasi sempre accaduto che i protagonisti del branco, presto o tardi,
cadano facendo molto rumore. E quello il momento in cui vien fuori la loro Vera anima:
”ti prego, salvami, te lo chiedo in ginocchio”, sono le parole che fuoriescono da una bocca
bugiarda che ha inventato l'inverosimile. Da vomitare, non c'è spettacolo più ignobile.
Eppure, questi personaggi sono pronti a riciclarsi, a cospargersi la testa di cenere, a
giurare sulle cose care. Riescono anche a riemergere dal baratro della vergogna, per
rincominciare a far male a chi, senza saperlo, accetta di star loro accanto, per poi
pentirsene amaramente.
L’ultimo atto li trova con la bava alla bocca, assediati da un livore senza tempo, ad uno ad
uno, per pagare tutto, sino all’ultimo respiro.
Mintete cu lli meju de tie e falli e spese.
(Mettiti con i migliori di te e sopportane le spese).
E sempre meglio ricercare nella vita la compagnia di persone oneste,
Che rappresentino la parte migliore della società. Si riferisce, soprattutto, a quelle
persone Che non praticano ii pettegolezzo e Che rispettano la personalità altrui.
E un’espressione molto usata nel Capo di Leuca, terra in Cui il sentimento dell’onesta e
sempre state in prime piano. I migliori erano Coloro i quali avevano la patente di
rispettabili, perché persone
oneste.
Li ufàni se vàrdane allu specchiu cu scòprene nobiltà
(Gli ufani, presuntuosi consapevoli di valere poco, si guardano
scoprire eventuali nobiltà).
alla specchio per
Si tratta di personaggi molto timidi e quindi depressi, Che si auto-Convincono di valere
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molto, più di quel Che sino a quel momento la Vita ha dato loro. Gonfiano il petto,
guardano l'ombra Che concede il sole alla persona mentre Camminano ed interrogano lo
specchio per scoprire caratteri distintivi diversi e nobili. Quando scoprono la verità
cadono in depressione e diventano pericolosi. E un proverbio Che abbiamo rintracciato
grazie al Contributo di un vecchio di quasi Cento anni. «La loro invidia è tanta e tale —
diceva - Che sono pronti anche ad inventare storie senza logica, pur di farsi Credere da
Coloro ai quali parlano. E una Caratteristica di questi personaggi i quali spesso finiscono
per avvelenare l'ambiente e distruggono le amicizie delle brave persone. Basta
accorgersi in tempo per metterli alla berlina. Spesso, si riconoscono perché gonfiano il
petto, quasi a voler partecipare a tutti la loro possanza Che si poggia sul vuoto assoluto».
Se de caddina nasci, a nterra pizzulisci
(Chi nasce da gallina è costretto a razzolare).
Diceva proprio Cosi il proverbio più famoso ”Chi da gallina nasce convien Che razzoli”. Il
riferimento tocca Coloro i quali, pur provenendo da natali molto limitati, s’inventano
atteggiamenti di nobiltà e presunzione Che, ad un certo punto, finiscono per rimanere
scornati. Quando si tratta di persone neo-ricche 0 che, malgrado i loro limiti, sono
arrivate a posti di prestigio, inventano situazioni paradossali al limite del "non sai chi
sono io".
E ne porti furmini!!
(E ne hai difulminill).
Espressione tipica del Capo di Leuca per dire ad una persona che non riuscirà mai a
prenderti in giro, perché hai già capito tutto quello che gli macina in testa. In pratica, ci si
trova davanti ad una persona ben organizzata che sa vendere molto bene ma che
stavolta ha trovato qualcuno che conosce quell'arte e che non si lascerà mai raggirare.
Può anche essere espressione bonaria riferita a qualcuno a cui si vuol molto bene. Lo si
avvisa perché non continui la farsa, tanto nessuno gli darà ascolto.
Chiri senza denti sèntane friddu de tutti li tiempi
(Coloro i quali non hanno denti sentono freddo sempre, in ogni stagione).
Un detto senza alcuna spiegazione logica. Era molto popolare nella zona del Capo di
Leuca. Il significato, che più di altri ci sembra probabile, è quello che vuole le persone
senza denti non in grado di assumere cibo e, quindi, il corpo non sprigiona quel calore
che proviene dall’assimilazione dei pasti.
Torci u vinchiatèddu finca è ttennarèddu
(Piega lo stelo di una pianta, un arbusto, una canna, fin da quando è ancora
tenero, verde).
Molto famoso e non solo nell’Italia meridionale. Se vuoi piegare un arbusto ma anche
una giovane vita, nel senso di portarla sulla retta via, è necessario che tu cominci l’opera
di educazione sin dalla tenera età, così come accade con l'arbusto. Solo così potrai
portare a compimento la tua opera.
Se vuoi cominciare quando ormai l'arbusto è indurito dall'età, non otterrai più nulla, al
massimo l’arbusto si spezzerà ed il giovane ti odierà per il fastidio che arrechi.
T’aggiu datu puru u llàvatu e mo m’àggiu stajàtu
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(Ti ho dato anche il lievito ed ora mi sono svezzato).
Un proverbio inedito che abbiamo appreso da una `donna molto anziana che, a sua volta,
l’aveva appreso dalla nonna. E riferito alla situazione di un padre che si era stancato di
stare dietro ai capricci ed alle malefatte del figlio. Ti ho dato anche il lievito significa: ti
ho dato anche la possibilità di poter produrre, di farti avanti nella vita. Cioè, ti ho
anticipato delle sostanze perché cominciassi a lavorare, ad aprire una tua attività.
Non sei stato capace di far nulla ed ora io mi sono staiàtu. Staiàre significa svezzare ma
anche slattare, smettere, se riferito alla gallina che fa le uova e smette di farne.
Ci cabbu se face, maravja rrivèsce
(Chi si meraviglia per quel che accade ad altri, potrebbe pentirsi per lo stesso
motivo).
Guai a meravigliarsi per le disgrazie altrui perché siamo tutti esposti alle stesse
eventualità.
Con lo stesso significato:
Nu ddire mai de quai nu nci passu
(Non dire mai di qui non passo).
Al momento meno opportuno, la sorte ci può proporre situazioni
inattese che non saremo capaci di affrontare perchè non le attendevamo e, quindi, non
saremo preparati.
A cchiru ca vidi pìcca crìdì, a chiru ca senti nu cridìre nenti
(Credi poco a quello che vedi, a quello che senti mai alcuna fiducia).
La realtà è ben altra: bisogna credere molto poco a quel che cade
sotto i nostri occhi. A quello che si sente, invece, non si darà mai fiducia alcuna, perché
potrebbe essere stato riportato in maniera artata e, quindi, ingannevole e lontano dalla
realtà.
Chiaì a ccìntu e mònucu intru
(Chiave alla cintola e monaco dentro).
Lo si riferiva a più situazioni. Le più comuni riguardavano coloro i quali avevano una certa
ricchezza ed erano soliti chiudere tutto quanto a chiave, tenendo ben controllate le vie
della borsa contro eventuali malintenzionati, Oppure, quei genitori ma anche mariti, che
tenevano saldamente chiusa la casa per evitare sia che la moglie avesse l’occasione ladra
o che le figlie avessero contatti con eventuali spasimanti. Bene, quando accadeva, si
diceva che la chiave era legata alla cintola ma che il monaco era già all'interno, cioè il
ladro aveva già trovato il modo per gabbarlo. l riferimenti potrebbero addirittura
riguardare il medioevo allorquando, chi andava in guerra 0 mancava da casa per un bel
pezzo, costringeva la moglie ad indossare la cintura di castità. Proprio allora scattava il
meccanismo della ricerca, da parte della moglie, del fabbro che avrebbe costruito non
una ma due chiavi. Una se la portava il marito, legata alla cintola, nel suo viaggio, l’altra
rimaneva a casa a disposizione delle esigenze.
La dizione monucu intru, comunque, era riferita al fatto che spesso il marito veniva
ingannato dalla moglie molto religiosa con uno stratagemma: lo spasimante si travestiva
da monaco, male in arnese o camuffato negli anni il quale, con la scusa della confessione,
s’introduceva in casa senza destare sospetti.
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Accadeva nelle case dei ricchi dove spesso arrivavano i religiosi per la ”cerca", grazie alla
quale i monasteri, ma anche la chiesa ufficiale, sopravvivevano.
U valènu nu pporta giovamèntu
(Il veleno non porta giovamento. Arrabbiarsi non conviene, non
nulla).
si
acquista
È un detto antichissimo proprio delle popolazioni del Sud Salento, soggette ad incursioni
e saccheggi. La saggezza popolare invitava a mantenere la calma, a non reagire perché
nulla si poteva contro la soverchiante forza di armati corsari. Da questi convincimenti è
invalsa l’idea che le genti salentine siano rassegnate. Nulla di più falso. La posizione
assunta da quelle genti sfortunate era all’insegna del male minore. Farsi ammazzare non
giovava a nessuno. Da qui il detto che il veleno, l’arrabbiarsi non conviene. Bisognava
mantenere la calma, nella speranza di superare la prova, considerato che le truppe
spagnole, aragonesi, francesi, veneziane, a seconda di chi aveva il governo di
quest’estremo lembo di Salento, erano troppo lontane e non in grado di intervenire.
Non si trascuri, comunque, l’opera dei vari governanti che hanno sempre cercato di
tenere questa terra lontano dalle novità e, quindi, lontane da eventuali rivolgimenti.
Lavoro, poco pane e tanto sudore.
Ddo fiate se sforza |’0mmu: quannu fatica pe cuntu sou
mancia a spese de l’otri
e
quannu
(Due volte si sforza l’uom0: quando lavora per suo conto e quando mangia a spese
degli altri).
l'egoismo è innato nell’uomo. Lo sanno tutti e tutti hanno sperimentato questa verità a
proprie spese. Non a caso ricordo alcune immagini degli sposalizi di tanti anni or sono.
Alla cerimonia venivano invitate tante persone, centinaia e centinaia. Non si voleva
mancar di rispetto ad alcuno. E poi, si sa, che nei paesi si era tutti parenti, non foss'altro
per il fatto, specie nei paesini sperduti del sud e di montagna, che i giovani convolavano a
nozze con elementi dello stesso luogo. Tutti quanti facevano il regalo, quasi sempre in
denaro, una busta con dentro i soldi ed un bigliettino a testimoniare la provenienza.
Quanto regalato agli sposi, se si tien conto dei salari molto modesti dell’epoca, era una
fortuna, tanto che se qualcuno poteva esimersi dal partecipare, lo faceva di buon grado.
Chi andava alla cerimonia, però, diciamo degli uomini, cercava di profittarne al massimo
mangiando a iosa.
Tutti i piatti venivano graditi e ripetuti, grandi riserve di vino, pancia mia fatti capanna.
Le donne, invece, intervenivano armate di grandi borse capaci, all'interno delle quali
introducevano quanto più era possibile. Quando, ad esempio, venivano serviti i dolci, dal
vassoio sulla tavola, con una perizia incredibile, veniva tutto quanto versato nella borsa,
tanto che, in alcuni matrimoni, veniva dato ordine ai camerieri di servire direttamente gli
invitati. E questo era motivo di grande pettegolezzo, la famiglia veniva intitolata con
tutti gli epiteti di questo mondo, inneggianti all'avarizia ed alla tircheria. Per cui il
proverbio è calzante: l’uomo si sforza quando lavora per proprio conto, tanto sa che
qualsiasi beneficio ricadrà solo su se stesso; si sforza anche, ma in maniera molto diversa,
quando a pagare sono gli altri, quando il “ventre mia fatti capanna” non è a spese della
sua borsa.
Il proverbio è illuminante della condizione delle genti di un tempo.
La fame era veramente tanta e quando si poteva profittare, tutti erano invitati ”a nozze".
La carne la si assaggiava una due volte l’anno, leccornie di ogni genere si vedevano solo
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in giornate particolari. Un mondo diverso che oggi non riusciamo neppure a concepire
che, purtroppo, ha formato tante generazioni tra digiuni ed astinenze.
Se lu Padretèrnu nu pardùna Ii paccàtì, lu paradìsu rrumàne vacànte
(Se il Pudretemo rum perdona i peccati, il Paradiso resta
vuoto).
Riflessione che vuole gli uomini peccatori e deboli di fronte al peccato. Nessuno, tranne
la Vergine, nata senza il peccato originale per volere di Dio Padre Onnipotente, è nato
senza peccato.
La riflessione vale anche per la vita d’ogni giorno. Non ci si può
impuntare davanti alla debolezza di chi commette dei peccati. Ci si deve attivare perché
questo non accada, altrimenti il mondo non va più avanti. Saper perdonare, a volte, vale
molto di più della costrizione e della stessa applicazione della pena.
Senza santi nu sse va a mparadisu
(Senza l’aiuto di un santo non si va in paradiso).
Se non hai qualcuno a cui fare riferimento non potrai mai raggiungere l’obiettivo.
Da qui la famosa raccomandazione, tipica, soprattutto, delle popolazioni meridionali. Nel
Regno di Napoli ha sempre avuto una grande diffusione. Si cercava, e si cerca,
disperatamente qualcuno a cui affidare l’incarico di spianarci la strada per ottenere.
Iata a cchira casa a ddu ncei nna chìraca rasa
(Beata quella casa che, tra i suoi componenti, ha un prelato o,
uomo di Chiesa, che ha la tonsura, la chièrica).
comunque, un
”Chièrica” (nel dialetto chìraca) è il taglio dei capelli circolare che si
fa ad un uomo di chiesa, soprattutto a monaci e preti, in segno di rinuncia alle cose di
questo mondo.
Ma a cosa allude? Facilissimo. Dove c’è un uomo di Chiesa, in quella famiglia fortunata,
non mancherà mai il pane. Chi ricorda Don Abbondio? Non s’era certamente fatto prete
per vocazione.
Sono tanti, anzi troppi, i casi di religiosi che si sono "rifugiati" sotto l’abito. A parte il
fatto che l’abito costituiva una garanzia di intoccabilità che, da civile, non avrebbe mai
avuto, ma quello stesso abito avrebbe consentito una vita agiata, grazie alle prebende
che la Chiesa ha sempre incassato in grande quantità.
U rìstìanu bbonu lu futte u tronu, lu trìstu lu protegge Cristu
(La brava persona è distrutta dal tuono, dal male, la cattiva è protetta da
Cristo).
Triste e sconsolata ammissione che a questo mondo i buoni non fanno parte del mondo
della fortuna. Neppure la divinità, alla quale tutti assegnano bontà infinita, li protegge
dalle calamità che affliggono l'umanità.
Anzi, la disperazione fa anche ammettere che i buoni soffrono, mentre i cattivi vengono
protetti da Cristo. Non è raro assistere ad esternazioni del genere. Provate voi a
contrariare chi ha perduto una persona cara in maniera tragica, magari per mano di
persone cattive. Cosa mai avranno pensato i familiari delle persone ammazzate nei lager
e nelle foibe. Sono le imprecazioni dei primi momenti, poi l'abbraccio del Signore riesce a
consolare, ma mai chi è stato toccato da simile dolore capirà.
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Certe efferatezze, infatti, non possono trovar perdono nell’animo umano. Solo la fede in
Dio può lenire tanto dolore.
L'0ccasìone face I’ommu Iatru
(L'occasione fa l 'uomo ladro).
È un detto molto antico, riferito anche nel mondo latino. Ed è sicuramente così. Non
vengono certi desideri se non si ha la possibilità di averli sotto gli occhi. I nostri antenati
non sono mai stati attirati dalle macchine, dai cibi che oggi sono a disposizione di tutti.
Solo l’occasione, quindi, rende ladro l'uomo.
Il detto era molto attuale presso la classe imprenditoriale dei vari tempi. Erano del
parere che ai subordinati non si doveva mai dare la possibilità di gestire delle ricchezze
perché, alla lunga, il dipendente sarebbe stato tentato di appropriarsene.
Quannu I’amìcu lu vidi mute fiàte, lu perdi mprima
(Quando vedi attorno a te molto spesso un amico, è segna che
molto presto).
lo
perderai
Già, è molto triste commentare un tale proverbio ma è esattamente quello che accade
nella vita. Ne dava notizia anche Orazio quando nota va nel circolo di Mecenate alcuni
clientes che facevano i complimenti al padrone di casa, ma solo per ingraziarselo. Alla
prima avvisaglia di disgrazia loro se la sarebbero squagliata ben presto. E con l’amico
accade proprio questo. Se ti sta troppo vicino non è perché senza di te non potrebbe
vivere ma solo perché spera di avere qualche ritorno ed il giorno in cui si accorgerà che i
ritorni sono quantomeno improbabili, dimenticherà ogni tipo di amicizia, anzi potrebbe
diventare tuo nemico per non doverti dire grazie per quanto già ricevuto.
Ci sape Liggìre e scrivìre, cumànna
(Chi sa leggere e scrivere, comanda).
Prima della completa alfabetizzazione dell’Italia, che ancor oggi sembra non essere
arrivata alla fine, esisteva un mondo fatto di persone che non sapevano neppure
mettere la propria firma. Si comprenderà come, in un piccolo paesino e nei villaggi, chi
aveva avuto la fortuna d’essere andato a scuola, potesse spadroneggiare a proprio
piacimento.
Il prete, il medico, e comunque chi sapesse si e no leggere e scrivere, aveva un grande
ascendente sulla popolazione. Spesso, queste persone venivano chiamate per redimere
liti familiari e per consigli nelle famiglie. Scrivevano ai figli in guerra o semplicemente in
servizio di leva obbligatoria, e leggevano le lettere di risposta.
Erane comu nna crìsama santa (Erano persone di grande carisma).
Da qui l'onnipotenza di questa gente che aveva tutti a disposizione perché tutti
potevano averne bisogno. Una domanda, una postulazione, la lettera, la lettura della
posta.
Povera gente. E questa situazione e durata per molto tempo. Anche dopo la seconda
guerra mondiale. Quando il prete o il farmacista, il sindacalista 0 il semplice scrivano si
rivolgevano ad una famiglia in tempo di elezioni era richiesta al quale non venir meno.
Se scappu de stu cacchiu...
(Se riesco a venir via da questa situazionem).
Il resto del detto è lasciato alla libera interpretazione. Siamo propensi ad ipotizzare così:
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"non mi metterò più in una situazione di tal fatta".
In pratica è l'imprecazione ma anche un proponimento con forza di chi si viene a trovare
in una situazione di disagio e non sa come uscirne fuori. Il poveraccio propone a se
stesso, in caso di salvezza, di evitare a qualsiasi costo tutto ciò che potrebbe portarlo
ancora una volta a ripetere quanto gli sta accadendo.
Chi ce l’ha proposto aggiungeva a se scappa de stu cacchiu, non ci cacu cchiù de notte. La
traduzione: (se riesco a venir via da questa situazione non mi azzarderò a defecare di
notte).
Un poveraccio che viveva da solo, durante la notte, aveva avuto bisogno di andare al
bagno e si sa che allora il bagno era alla turca, una pozza coperta da una grande pietra,
lontana dalla casa, al di là del giardino. Quel poveraccio, assonnato quanto basta, non
aveva avuto l'accortezza di prendere la chiave ed appena uscito fuori, la porta, mossa dal
vento, si richiuse lasciandolo all’addiaccio. Da qui l’imprecazione Se scappa de stu
cacchiu, non ci cacu cchiù de notte.
0mmu sine picunia magu estu
(Latino maccheronico: uomo senza soldi è solo un'immagine, senza
concretezza).
alcuna
I nostri contadini, quando ascoltavano i preti profferir qualcosa di latino, sgranavano gli
occhi. C’era chi ripeteva a memoria tutta la messa in latino, ovviamente con le parole
storpiate sino all’incredibile. Il detto che abbiamo ora riferito era sulla bocca di persone
abituate ad andare in chiesa, specialmente alla funzione della sera.
Dopo la funzione il prete era solito fermarsi con i fedeli e parlare del più e del meno.
Al prete era scappata la frase in latino: homo sine pecunia imago est.
U tata era tantu bravu ca facìa de ogni corpu nn'asca
(Il papà era tanto bravo da fare ogni colpo un centro. Asca è un termine dialettale
per indicare quella parte piccola di legno che s'allontanava dal grande ceppo
allorquando arrivava il colpo d’ascia inferto dallo spaccalegna).
"Il mio papa è il più bravo ed il più bello del mondo". Beata infanzia. Chi non ha detto
queste parole intravvedendo nel proprio genitore un guerriero ed un campione.
Ovviamente, sino a dieci, dodici anni, poi il proprio papà comincia a non capire più nulla,
anzi spesso è bersaglio d’insopportabilità per acquistare, infine, la giusta luce
allorquando, vecchio e, spesso, malandato, è riamato e stimato.
A meno che non si tratti di gente a cui ”il vecchietto dove lo metto?"
non crea disagio.
L’arte de lu tata è mmenza mparàta
(ll mestiere del genitore è, per buona metà, conosciuto dal figlio).
Sin quasi alla fine degli armi 50, prima ancora del boom economico che fece dell’Italia
una delle nazioni più importanti del mondo, l’economia, specialmente nei paesi, fidava
sull’artigianato. Il falegname come il calzolaio portavano a bottega i propri figlioli perché
imparassero il mestiere. "Non si sa mai, - dicevano - conoscere un mestiere fa sempre
mangiare". Da qui la tradizione che voleva il figlio del contadino pronto a fare il mestiere
del padre e così via.
Sino al 1963, allorquando l’istruzione obbligatoria fece si che tutte le componenti della
società italiana prendessero coscienza della necessità di istruirsi. Fu così che il contadino
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volle che il figliolo lo superasse, che non andasse in campagna a prender freddo e
l’evoluzione fu improvvisa e preziosa. Non più un popolo di analfabeti ed ignoranti, ma
persone capaci di autodeterminazione. Con tutti i problemi che questo comportava.
L’Italia non era preparata ad affrontare la richiesta di una società acculturata. Ed i
mestieri più umili finirono per sparire. Un sarto, un falegname, un contadino,
specialmente nel sud, risultano ora individui preziosi e rari.
A pìcca prùvule se a porta u ièntu
(La poca polvere la porta via il vento; le cose che non hanno alcuna consistenza se
le porta il vento),
Le azioni che non sono accompagnate da una seria programmazione, da un chiaro
obiettivo da perseguire, che non riescono a far nascere un gran polverone che resista al
vento, sono destinate a sparire.
Non solo le cose ma anche le persone. L’uomo che nella sua vita non esprime alcuna
consistenza, non sa stare nella società, spesso è segno di contraddizioni, è destinato a
non aver alcun rispetto da parte degli altri ed è atteso da una vita grama, senza infamia e
senza lode.
Dicìvane Ii ntichi: mànciate a scorza e tègnate a muddica
(Mangia la crosta e tieni la mollica).
Più precisamente: Cerca di risolvere prima i problemi difficili perché quelli facili si
risolvono da soli. La crosta è dura e, quindi, difficile da masticare, la mollica la si può
mangiar dopo, quando le cose vanno per il meglio. E un po' l’esortazione ad affrontare i
problemi per tempo, nel momento in cui si ha la forza per farlo e non quando si è ormai
stanchi e senza forze. Per mangiare la mollica lo si potrà fare quando non c'è da faticar
molto.
A ccòjuru de l’otri, curìscia larga
(Se a pagare sono gli altri la cinghia s’allarga).
È un detto della zona di Tricase. Nella leggenda popolare a proferirlo per la prima volta
pare sia stato il principe Gallone di Tricase a proposito di una commissione ad un pittore
per un’opera da eseguire nella Chiesa Matrice. Il principe aveva dato mandato ad un suo
fidato il quale, aveva incontrato l’artista in quel periodo impegnato in un paese vicino.
L’inviato del principe, nell’incontro con l’artista, s’era permesso addirittura di contrattare
il prezzo del lavoro. Quando riferì al principe lo stesso sembrò talmente alto che il nobile,
peraltro molto riservato, si lasciò sfuggire: Caru Ntoni, a ccòjuru de l’otri curiscia larga.
Come dire quando a pagare sono gli altri non si va molto per il sottile, si accetta quasi
subito, Se, invece, ad essere toccata è la tua tasca, si fa tutto il possibile per ridurre
all’osso il prezzo.
Oggi il detto lo si usa spesso quando si da incarico a qualcuno di interessarsi delle
proprie cose, un architetto, un curatore dei nostri interessi ecc..
Più o meno con lo stesso significato i seguenti:
Se voi quarche cosa vane sulu, se nu II’a voi, manna
(Gli affari vanno sbrigati di persona).
Chi vuole sbrigare un affare deve farlo da solo, se non ha interesse a risolvere il
problema mandi pure altri.
È uguale a: Se te vusca, scàrdatela sulu
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(Se ti brucia, interessa, sbrigatela da solo).
Quando ad una persona urge sbrigare un affare andrà di persona a perfezionarlo.
Quando, invece, non gli interessa più di tanto o non se ne avvantaggia, è pronto ad
inviare degli intermediari i quali, in caso positivo, avranno la sua debole riconoscenza.
Peraltro, è indubbio che ci siano cose che vanno sbrigate soltanto dall'interessato, non si
può demandare ad altri quello che va fatto di persona.
Ed ancora : Se no tte ratti cu lli mani toi, no tte passa Iu prudìtu
(Se non ti gratti con le tue stesse mani, non passerà mai il prurito).
Solo chi sente la necessità di togliersi d’addosso un peso lo farà in maniera totale. Se
sono altri a doversi interessare dei propri affari, sicuramente lo faranno, se vogliono
bene a chi ne ha bisogno, ma non lo faranno mai come se ne avessero essi stessi la
necessità.
A notte chìù llonga è quannu stai a ddascìunu
(La notte più lunga è quella che ti sorprende a digiuno).
Non c’è spazio per il sonno quando lo stomaco reclama. Famosa la favola del leone che si
girava e rigirava su se stesso perché non poteva prender sonno a causa dello stomaco
reclamante. Dell’insonnia degli affamati è piena tutta una letteratura. C'è molta gente
che di notte si alza per mangiar qualcosa che permetta di dormire.
Occhiu no wide e core no scatta
(Se l’0cchio non vede, il cuore non scoppia).
Se una cosa non cade sotto i nostri occhi è difficile che si senta la necessità di averla. E la
filosofia di coloro i quali gestiscono la vita e le cose degli altri. Se gli amministrati non
conoscono le novità è meglio.
Non faranno richieste e tutto andrà avanti senza scossoni.
Acqua, jentu e ffocu alle carcàgne
(Acqua, vento e fuoco alle calcagna).
Espressione usata per ottenere l’allontanamento istantaneo di una persona non gradita,
alla quale si augurava una tempesta d’acqua e di vento e tanto fuoco alle calcagna. Si
trattava di un'imprecazione molto usata dai contadini. Nulla, infatti, per il contadino era
peggio della forte pioggia o della bufera e del vento. ll fuoco alle calcagna della persona
da far scomparire subito, serviva per velocizzare il miracolo.
Quannu u padùcchiu se vitte ntra a farina se cridiu ca è statu sempre
mulanàru
(Quando il pidocchio si vide nella farina pensò d'essere sempre stato mugnaio).
Spesso, pur non avendone i requisiti, l’ignorante si sorprende in una posizione di
prestigio e si auto-convince d’essere destinato ad occupare quel posto. Purtroppo,
queste situazioni esistono anche oggi. Chi va al avere quel poco pane. Non c’era molto
lavoro, infatti, e chi doveva trovare pane doveva darsi da fare, anche a costo di gravi umiliazioni. Si può anche intendere il
senso "accontentati del poco pane se non hai intenzione di intraprendere azioni che ti
potrebbero dare molte tribolazioni”.
A bbarba l’ane ffare u bbarbiéri, e scarpe Iu scarparu
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(La barba deve farla il barbiere, le scarpe il calzolaio).
Nulla di più ovvio. Ad ogni mestiere il suo specialista. Non si può accettare che ci sia una
persona, se pur versatile, che faccia più mestieri contemporaneamente. Per cui il
barbiere farà la barba ed il calzolaio le scarpe e non viceversa. Oggi, comunque, non sono
rare quelle persone che s’improvvisano in tutti i mestieri, per cui, spesso, ci si imbatte in
persone che non hanno alcuna specializzazione e, purtuttavia, riescono a sbarcare il
lunario con l'imbroglio e l'arroganza.
Ci face e corde vane reta pe ’rreta
(Chi costruisce le corde marcia all’indietro).
In dialetto questo mestiere è quello de lo zucaru, quello che fa le zucche, le corde, le funi
intrecciate Che servivano per tante occasioni. Lo zucuro lavorava la corda legata ad un
punto fermo arretrando, per consentire alla mani di intrecciarla. Questo mestiere è quasi
completamente sparito, cosi come gli impagliatori. Di questi ultimi ne resiste qualcuno
ad Acquarica del Capo. Altri nell’alto leccese. Gli zucari non esistono più.
‘Nu sse ozza mancu se lu spari e vane reta pe rreta comu lu
zzucaru
(Non si alza neppure se lo spari e va all’indietro come il costruttore di
corde).
Un proverbio dedicate a chi non ha voglia di lavorare. E un po’ il lamento dei genitori o
della moglie, comunque di una persona che gli vuole bene. Lui è tanto svogliato e
fannullone che non riesce ad alzarsi prima di una certa ora la mattina, malgrado i continui
richiami dei familiari. Ecco perché la sua attività economica non ha alcun successo e va
all’indietro, come fa il costruttore di corde Che per intrecciarle deve arretrare.
L’arbitru tene nna cosa sula ca no sse vide: Ie corne
(L’arbitro ha una sola cosa che non si vede: le corna).
La letteratura sugli arbitri di calcio è molto vasta, come quella sui carabinieri. L'aggettivo
più gettonato è quello delle coma. Un arbitro, specialmente quello di calcio, è
battezzato cornuto, anche quando porta in porto una gara irreprensibile. Come dire Che
è cornuto per vocazione.
Quannu s’annu ddare cunsj tutti su bboni
(Quando si devono dare consigli son tutti bravi).
Chissà perché l'uomo quando è chiamato a dar consigli, spesso molto gratuiti, è come se
venisse invitato a nozze. Di solito, comunque, lo fa chi non altri mezzi per essere al
centro dell'attenzione.
E' un mezzo molto efficace per essere protagonista, spesso inascoltato e, forse anche,
deriso. Sta di fatto che quando si tratta di dare dei consigli, la gente lo fa subito e
volentieri.
A ddhru c'é piacere nu nce pardénzia
(Quando si ha gusto fare qualcosa, non si perde mai).
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Quando a fare una cosa si prova un certo piacere, non si perde. Di solito è un proverbio
Che s'usa a mò di piaggeria nei confronti della persona alla quale s’è usata una cortesia. E
un po’ come dire: per me non ha comportato alcun aggravio farle questa cortesia anche
perché l'ho fatta con piacere.
Ognunu tira a corda de la vanna sua
(Ognuno tira la corda dalla sua parte. E come ”ognuno tira acqua al suo
mulino”).
Un detto riconosciuto universalmente e condito in tutte le salse.
Peraltro, non è condannabile chi, ad un certo punto, si trova a dover fare i propri
interessi. Nella stessa letteratura comunista dell'Unione Sovietica, è rimasta la
confessione del generale Qustnezov il quale, poco prima di morire, ammise di aver fatto
di tutto per favorire il proprio figliolo, allorquando questi fece domanda d'ingresso in
accademia.
E nei caratteri distintivi della nostra umanità che, ad un certo punto, ci si ritrae a difesa
del proprio io.
Nu ffare mai u passu cchiu llongu de l'anca tua
(Non fare il passo più lungo della tua gamba).
E il saggio consiglio di chi ci vuol bene. Non e opportuno ed anche rischioso
intraprendere qualcosa sbilanciandosi. A voler fare il passo più lungo della propria
gamba si rischia di scivolare e di avere inconvenienti notevoli. Affronta la vita per gradi,
senza rischi inutili. Andrai avanti sano e potrai arrivar lontano.
Nna capu senza a Iingua nu mbale nenti
(Una testa senza la lingua val poco).
Un detto ambivalente. Si può accettare sia ”una testa senza la lingua”; sia ”una lingua
senza la testa". Quest'ultima, comunque, è l’accezione più usata. Una lingua che parla a
vanvera non ha ragion d’essere. Se, invece, e suffragata dalla presenza di una testa
capace di discernere ciò Che è bene e ciò ch'è male, allora le due entità potranno
convivere.
U fierru va bbattutu quannu é ccovutu
(Il ferro va battuto quando è caldo).
Quando c’è qualcosa che abbisogna di interventi, è necessario che gli stessi vengano
fatti subito, finché l'accaduto è ancora "caldo", cioè fagogita l'attenzione dell'opinione
pubblica. Se invece passa il tempo, non si ha pùi l'esatta cognizione delle necessita e,
quindi, tutto scivola via, perdendosi nel tempo.
A purgissione camina e la cira se squaia
(La processione va avunti e la cem delle czmdele si scioglie, Iiquefu).
Un po’ simile al precedente. La processione va avanti, cammina e quanto più va avanti la
cera delle candele si liquefa. Come dire che quanto più passa il tempo più si perde il
valore di quel che si sta facendo ed alla fine le candele sono solo cera liquefatta, senza
alcun valore.
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Ci mmòscia gode, ci vide rraggia
(Chi mostra gode, chi guarda è preso dalla rabbia).
Espressione tipica delle donne di malaffare ma, perché no, anche della gente comune.
Chi evidenzia le proprie cose ha il piacere di farlo, chi invece è costretto ad assistere alla
evidenziazione, spesso, ne rimane turbato, perché non è in grado di fare altrettanto. La
donna di malaffare mostra le parti più attraenti del proprio corpo. Chi è costretto a
subirle schiatta, perché ne rimane infastidito, invidioso, attratto.
Ci tene, e dane, a mparadisu vane
(Chi ha del suo e ne dà agli altri, va in paradiso).
Una massima cristiana che predica di dare qualcosa di quello di cui si dispone. Un buon
Cristiano darà un po’ del suo pane a chi è digiuno. Che poi questo faccia guadagnare il
paradiso è tutto da vedersi.
Ci dona ’n vita, é ffessa finca campa
(Chi dona durante la vita è stupido finché vive).
Mai far dono dei propri averi finché si è in vita, si potrebbe rimanere scornati e non
rispettati. Quando nulla si spera più da un anziano, diventa un peso del quale
liberarsene. È accaduto tante volte in passato e, purtroppo, accade anche oggi.
”ll vecchietto dove lo metto?” recitava la canzone di Domenico Modugno il quale era
stato visibilmente impressionato dalla storia di un vecchietto che abitava nel suo palazzo
e che dai figli era stato abbandonato in un ospizio per anziani, sebbene quel vecchietto
avesse lasciato un bel po' di ricchezze che avrebbero permesso una sistemazione diversa.
Ccoj I’acqua quannu chiove
(Raccogli l’acqua quando piove),.
Profitta del momento opportuno, un po' il ”carpe diem" di oraziana memoria.
Non c’era l’acquedotto e l’acqua piovana veniva incanalata nelle cisterne che venivano
pulite ogni anno perché l’acqua da bere fosse sempre potabile. Il proverbio, però, vuol
dire che devi profittare del momento opportuno per fare qualcosa che t'interessa. Agisci
quand’è tempo, altrimenti potresti pentirtene per non averlo fatto.
U cane scovatàtu time l’acqua còvata
(II cane già scottato ha paura dell’acqua calda).
Su questo detto si potrebbero sprecare fiumi d’inchiostro. Chi, infatti, ha sofferto, ha
paura di quella sofferenza tanto che, spesso, ne rimane scosso. E non fa una vita
normale. Gli atleti, e comunque, chi ha avuto un forte dolore fisico ed e costretto a
rischiar di nuovo, spesso ha paura del dolore. Sebbene sia perfettamente guarito, non
rischia di rifarsi male.
È così che proprio tra gli atleti si registrano molte defezioni di elementi che potrebbero
arrivare in alto, proprio per via della paura del dolore.
Càvuli scarfati nnu ffòsera mai bboni
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(I cavoli riscaldati non furono mai buoni).
La minestra riscaldata, per buona che sia, non ha le stesse credenziali della nuova. Il
riferimento è, tra i contadini del Capo di Leuca, alla donna che ha già avuto altre
esperienze. È come una minestra riscaldata che gli uomini devono usare ma mai
prendere in considerazione per formare una nuova famiglia. Come dire che chi ha già
avuto esperienze con altri uomini non può pretendere di rifarsi una vita, almeno nei suoi
paesi. Ecco perché, molto spesso, le donne che avevano avuto queste debolezze
prendevano la via del nord, nel tentativo di trovare una condizione diversa, cambiando
aria.
E parole non nn’inchene panza
(Le parole non riempiono il ventre).
Fu l’esclamazione di un attento contadino intento ad ascoltare un comizio in periodo
elettorale. Bla, Bla, bla, le parole facevano intravedere il paradiso ed alla fine
l'esclamazione del contadino, peraltro subito fermato dai carabinieri per disturbo, fecero
terminare il comizio perché la gente cominciò a rumoreggiare. Quando la pancia è vuota
è inutile star li a promettere, prima o poi le fandonie vengono scoperte.
Quannu e furmiche nu wannu cchiùì una nnanti ’II’otra, s’ane
spicciàtu u manciàre
(Quando le formiche non vanno più una davanti all'altra non c'è più da
mangiare).
È il famoso proverbio che dipinge la condizione di chi per tanti anni, per eccesso di
prodigalità, ha permesso tanti ospiti alla sua mensa.
Quando non ci sarà più da mangiare non ci sarà più la ressa davanti alla sua casa.
A centesimi a centesimi se face nnu carlìnu
(Con i centesimi si fa un carlino, vecchia moneta napoletana).
Petra su ppetra ozza parìte
(Pietra su pietra fa alzare il muro).
Sono due detti di uguale significato. Pian piano si costruisce l’inimmaginabile. Molte
fortune, infatti, sono state costruite sul risparmio d'ogni giorno. Se in un recipiente metti
e non togli, ben presto quel recipiente si riempirà e ce ne sarà un altro a prendere il suo
posto.
Di significato opposto:
Se Ilevi e nno mmìnti u munnu vane a ffuttipùpe
(Se levi e non metti il mondo vu alla rovina).
Cerca u pane a ccì te lu pote dare
(Cerca il pane a chi te ne può dure).
Fai prima ad andare a chiedere del pane a chi te ne può dare. Se andrai a chiederlo a chi
deve faticare per dartene, sprecherai tempo.
U pane te lu dane ci te capisce a fame tua
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(Ti può dure del pane solo chi comprende la tua fame).
È un proverbio un po' in controtendenza col precedente. Già, il ricco, quello che non
conosce la fame, non immagina quale sia la tua condizione di affamato e, probabilmente,
non ti darà del pane. Chi, invece, ha già sentito i morsi della fame, sa come è umiliante
dar seguito allo stomaco e, forse, sarà più propenso a venirti incontro.
A panza de ci nu mmancia nu II’a crìde ciuvèddhri
(Il ventre di chi non mangia non lo crede nessuno).
Simile, pur se in negativo, al precedente. Spesso chi non mangia da tempo non è
facilmente creduto da chi sta bene. Racconteremo la storia di quel povero leccese il
quale, per strana sorte, fu prigioniero in un lager nazista. Quando arrivarono i russi per
liberare quei pochi disgraziati che erano rimasti in vita, tutti ossa e sguardo perduto nel
vuoto, dopo una prima rifocillata e qualche cura medica, li rimandarono nel paese
d’origine. Il nostro prese un treno che, tra mille peripezie, arrivò ad Andria. I viaggiatori
furono subito accolti dalla comunità con grande trasporto. Il nostro fu ricoverato nel
locale ospedale. A sera, una suora dalla voce convincente, un po' come quelle di Radio
Maria, passò per le camerate a dire a tutti quanti che, per ringraziamento, il giorno dopo,
tutti avrebbero osservato il digiuno per ringraziare la Vergine che li aveva fatti arrivare
sin lì sani e salvi.
Il nostro leccese pensò d’impazzire. L’unica cosa della quale non aveva bisogno in quel
momento era il digiuno.
Li dèbitì ca su stati pacàti, su pinzièri passati
(I debiti già pagati, sono passati, senza alcun valore).
I debiti del passato non devono far tribolare più di tanto, così come i dolori del passato.
Va subito dimenticato tutto quanto, per far si che si possa affrontare quel che viene. La
vita, infatti, propone tante occupazioni e non ci sta posto per quel che è passato e fa
parte del passato.
Pe lli dèbitì nu tte ccidane e nu te scàffane intru
(Per i debiti non ti ammazzano e non ti mettono in galera).
Oggi non è più vero quanto asserisce questo proverbio. Per i debiti si può andare
giustamente in galera e, perché no, si può anche essere ammazzati. Basta dare uno
sguardo ai giornali.
Mmale a cci ane bbire, povuru ci ane ddare
(Guai chi deve avere, povero chi deve dare).
Sia chi deve avere, sia chi deve dare hanno le loro tribolazioni, pur se per opposti motivi.
Chi deve dare s’arrovella il cervello per guadagnare i soldi da dare al creditore, chi deve
avere non dorme per capire quando e come potrà fare il debitore per restituirgli quel che
deve.
Se l’invidia era rugna ne scìvane tutti chini
(Se l’invidia fosse rogna ne andremmo pieni tutti quanti).
Il mondo soffre non poco a causa dell’invidia. Si perdono le amicizie, si originano lotte più
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o meno cruente, odi tremendi. Famosa la storia di quella coppia che aveva una figliola,
buona e brava ragazza, anche intelligente, la quale non riusciva a realizzarsi, I due
cominciarono ad odiare a morte, sino ad arrivare a conseguenze poco accettabili, i
genitori di un’amica sincera della ragazza che era riuscita a costruirsi una vita. Come dire
che l’invidia e una brutta bestia che se fosse rogna tutti quanti gli uomini di questo
mondo ne andrebbero pieni. Nessuno, infatti, è libero da questo malanno, fa parte
dell'umanità. Molto, comunque, contribuisce l'ignoranza.
Ignoranza ed invidia, spesso, vanno a braccetto.
Pulìtu e rrapazzàtu a mmènz’a chìàzza è sempre stimàtu
(Pulito e rammendato in piazza sarai sempre stimato).
Molto conosciuto presso le popolazioni meridionali. Il giorno della festa era un rito per il
contadino uscire da casa con l’abit0 dei giorni che contano. Celeberrima la macchia di
sugo sulla camicia per dimostrare a tutti quanti che nella sua casa, in quella giornata,
s'era mangiata la pasta col sugo rosso. Un gran giorno perché, abituati alle verdure,
legumi e minestre. La pasta col sugo era un evento, da ricordare, se con la presenza della
carne. I ragazzini, a scuola nel raccontare, facevano dei voli pindarici e tutti gli altri con
gli occhi spalancati ad ascoltare.
Ma diciamo del presente proverbio. Il riferimento è alla dignità della persona.
Importante era presentarsi sulla piazza dignitosamente, anche se le robe indossate
avevano subito interventi d’ago e filo. La pulizia connotava il contadino che mai si
sarebbe presentato in Chiesa in piazza con vestiti stracciati. Meglio consunti e
rattoppati, solo così si aveva la considerazione degli altri.
Cu lla guerra nc’ei ci se rricchisce
(Con la guerra c’è chi s'arriochisce).
Come non accettare questo detto! Anzi, c’è tanta gente che attende i rivolgimenti per
cercare di cambiare la propria condizione. In tempo di guerra può accadere tutto. Molta
gente si è arricchita col mercato nero, con delazioni, con omicidi mai pagati a causa della
contingenza che non rendeva possibile una condizione di vita accettabile.
U rìccu quannu vole e Iu povarèddhru quannu pote
(Il ricco fa una cosa quando vuole, il povero quando può).
Quello che per il ricco è nella normale vita d’ogni giorno, per il povero è un avvenimento
del quale profittare quando accade.
Specialmente mangiare: nei tempi andati, mentre sulla mensa del ricco si trovava ogni
ben di Dio, per il povero era una rarità.
N0 cunfunnìre mai a lana cu lla sita
(Non confonder mai la lana con la seta).
Nella vita d'ogni giorno, bisogna usare l’attenzione che conviene.
Spesso ci vengono proposti degli affari che sono dei bidoni, ci si presenta lana per seta.
Se non si sa riconoscere la seta, saranno guai.
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Nu nn’a cridire mai u cavaddu ca suda e la fimmana ca chiance
(Non credere mai al cavallo che suda ed alla donna che piange).
Per il nostro contadino parlare di questo era un grande spasso. Non poteva permettersi il
lusso di credere al cavallo che stava sudando perché ne avrebbe sofferto il lavoro. E poi,
non è vero che quando il cavallo suda è stanco. Neppure la donna può avere fiducia
alcuna, specialmente quando cerca di intenerirti col pianto.
Nu tte farmàre mai alla prima putèca
(Non ti fermare mai alla prima bottega).
Mai un detto fu più efficace. Se devi affrontare un lavoro, un impegno non puoi fermarti
al primo preventivo. Cerca di avere esperienza di altri, solo così potrai avere speranza di
fare un buon lavoro senza sorprese.
Benadìtta chira pasta ca de vennardia santu se mpasta, maledetta chira
fietta ca de vennardìa santu se nfietta
(Benedetta quella pasta che di venerdì santo s'impasta, maledetta quella
treccia che di venerdì santo s'intreccia).
Non e chiaro il significato. Alcuni propendono: impasta (lavora), non pensare ad abbellirti
di venerdì santo perché è il giorno della morte del Signore.
È meju pane tostu a ccasa tua, ca pane moddhre a ccasa aII’otri
(È meglio pan duro a casa tua che pane fresco in casa agli altri).
Tipica considerazione, soprattutto delle popolazioni meridionali, nostalgicamente legate
alla propria terra, che gradiscono poco pane duro nella propria casa che gli agi di una
casa altrui. Si lega al proverbio tricasino Picca pane e picca patarnosci, poco pane e
pochi paternostri, preghiere ma anche grattacapo, tribolazioni.
I nostri conoscevano Dante Alighieri? Avevano mai sentito ”quanto sa di sal lo pane
altrui" o quanto è faticoso salire e scendere l’altrui scale? Non ci sembra probabile pur se
neppure impossibile.
A ccasa vecchia nu mmàncane surgi
(Nella vecchia casa non mancano i topi).
Il riferimento è alla certezza che in una casa abitata ormai da tempo, arrivando da ospiti,
si ha la certezza di trovar da mangiare. Cercando nelle dispense vien fuori sempre
qualcosa da mettere sotto i denti.
Lu meju vuccùne è quìru ca se llassa ’ntra llu piattu
(Il miglior boccone è quello che si lascia nel piatto).
La famosa crianza. Il boccone più buono era sempre l’ultimo che la buona educazione dei
commensali di un tempo lasciava nel piatto nel quale, spesso, mangiavano tutti quanti.
Alla fine c’era sempre qualcuno che esclamava: A crianza nu lla vole ciuveddhri? - (La
crianza non la vuole nessuno?) e veniva invitato qualcuno a mangiarla. È un proverbio,
comunque, che sta ad evidenziare la buona educazione dei nostri antenati i quali
avevano rispetto degli altri, malgrado la fame fosse un'angustia insuperabile, In più c’era
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il rispetto dell’ospite che era sacro. Il padrone di casa non avrebbe mai profittato della
crianza.
Ci voi nu cunsju tè tocca alla cummare, ca iddhra è vecchia all’arte e tte lu sape dare
(Se vuoi un consiglio devi andare dalla comare perché, avendo l' esperienza, è
l’unica a potertelo dare).
Non era raro il caso di una donna, vestita di nero che si aggirava per le case del paese,
onorata e temuta da tutti. Spesso si trattava di una donna anziana, immancabile ai
funerali, nei quali faceva la prefica «tipica donna annata di velo nero che piangeva a
pagamento ricordando tutti i fatti più salienti della vita del defunto». Si interessava
anche di matrimoni ed un po' tutti la chiamavano a tramanzana, (la ruffiana, mezzana)
perché faceva da tramite tra le famiglie dei due giovani da sistemare: il pretendente, non
potendo contattare di persona la fanciulla, incaricava la vecchia di far presente il suo
desiderio. Da qui il grande rispetto e stima nei confronti de la tramanzana, perché
tenutaria dei segreti di gran parte del paese.
Imu dittu mìssa pe llu cazzu
(Abbiamo detto messa per il cazzo).
Il detto nacque allorquando al prete che aveva detto messa, le offerte dei fedeli erano
servite per pagare la prestazione di una donna di facili costumi. L’espressione ha valore
anche quando tanti sforzi non sono approdati a nulla, tanta fatica è andata sprecata.
U cchìu ffessa ceddhru se futte a meju fica
(L 'uccello meno dotato mangia il miglior fico).
Succede spesso che la persona meno idonea e dotata, riesca a perseguire un obiettivo
che non merita. Ma anche: succede che il ragazzo meno bello riesca a far sua la ragazza
più bella della comitiva.
Ci piscia se la scòtula
(Chi piscia è obbligato a sgrollare il pene con le sue stesse mani).
A parte la gustosa immagine prettamente popolana: chi fa qualcosa è obbligato a
subirne gli effetti perché nessuno lo aiuterà a superarli. Ci sono infatti delle situazioni
nella vita che non puoi demandare agli altri.
Sei obbligato a sbrigartela da solo, se vuoi venirne a capo.
Cu nno nn’aggi rumpìcàzzu dane sempre nu corpu allu cìrchiu e nu corpu
allu tampagnu
(Per non aver fastidi dai sempre un colpo al cerchio ed uno al coperchio).
Chi non intende avere fastidi deve sempre cercare il compromesso, mai sfidare di fronte
la situazione che s’è venuta a creare. Solo cosi potrà tenere lontane tribolazioni delle
quali pentirsene.
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Lì parìtì no ttènene ricchie ma sèntane
(I muri non hanno orecchie ma ascoltano).
Non bisogna mai parlare ad alta voce e se non si parla è meglio. Già, perché a parlare si fa
sempre male e se non è vero che i muri sentono, chi ascolta il nostro dire, può diventare
muro che sente.
U male ca no vvoi pe tie no llu fare all’otri
(Il male che non vuoi per te non lo fare agli altri).
Non bisogna mai fare del male agli altri, specialmente quello che non si vorrebbe per se
stessi.
Acqua passata no mmàcina cchiùi
(L’acqua che è passata non serve più per macinare).
Il mulino macinava con lo scorrere dell’acqua di un rigagnolo o di un fiume, ma nel Capo
di Leuca mulini del genere non ne esistevano perché l’acqua era un bene non presente. Il
proverbio, mutuato da altre regioni, da noi veniva adottato nel senso che non si doveva
tornare sul passato, perché a ripensarci non si otteneva proprio nulla. Il passato
aveva valore solo in quanto esperienza, da cui trarre forza per il futuro.
Se a Llèvìche no wei de vivu, veì de mortu
(Se a Leuca non vieni da vivo sarai costretto a venirci da morto).
È la famosa leggenda leucana attorno al santuario della Madonna.
Si dice che chi non viene a farLe visita da vivo ci verrà da morto. Vi sono anche altri
santuari al mondo che dettano necessità di tal fatta.
Sta, quindi, a dire come Leuca, anche a quei tempi, fosse meta di pellegrinaggi da tutto il
mondo che portavano qui certe usanze, che i nostri mutuarono ben presto.
A cuda è la cchiù fforte a scurciàre
(La coda è la più difficile da scorticare).
Il riferimento va alla difficoltà che s’incontra nel fare un lavoro che proprio nella parte
finale, quasi sempre, presenta difficoltà, anche a causa della fretta che si ha di finire.
Richiama anche un altro detto: Alla cuda ncei u valena (alla coda c’è il veleno).
Tromba de culu, sanità de corpu
(Tromba di culo, sanità di corpo).
Era convincimento comune che quando si produceva aria, si era in buona salute. Non
avevano tutti i torti, produrre aria significa che è in atto una buona digestione, Ma, non
sempre era cosi.
Se sapìvane le cose nanzivanìre nu ccappàvane mai nenti
(Se sapessimo le cose del futuro non capiteremmo alcun accidente).
Tutti vorremmo conoscere il futuro, non foss'altro per dribblare le cose cattive. Predire il
futuro era un’arte molto praticata, fondata sull'ignoranza della gente. Iliade, Eneide,
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Odissea e tanti testi dell’antichità fondano la loro storia sulle predizioni di maghi e
fattucchiere. Ma erano storie senza tempo. Quel che fa meraviglia e stizza sono i maghi
di oggi, che trovano un mercato molto fiorente anche presso gente colta, per portare a
termine le loro bugie e stupide invenzioni.
Dalli e ddalli puru a petra se spacca
(Dai e dai, anche la pietra si rompe).
La pazienza ha un limite. Non si può pretendere che la pazienza sia infinita. Alla fine c’è
qualcosa che si rompe, così come la pietra che, a furia di ricevere colpi, finisce per
spaccarsi.
De lu càrcìru e de l'ospedale tanìmu nna petra parùnu
(Del carcere e dell'ospedale ognuno di noi è proprietario di una pietra).
Siamo tutti proprietari di una pietra del carcere e dell’ospedale. Noi aggiungeremo
anche del cimitero. Anzi di quest’ultimo gli antichi dicevano che siamo proprietari di
sette ”palmi". Il palmo era una misura molto usata dai nostri, corrispondeva a 25
centimetri. In pratica, al cimitero ognuno aveva a disposizione metri 1,75, per quei tempi
misura accettabile, considerato che le persone più alte raramente superavano
quell’altezza. Palmo, perché riferito all’apertura media delle dita della mano che arrivava
quasi sempre a circa 25 cm.
Ccì mme ne futtu ìèu ca tie fusci, tantu t’ai ffarmàre
(Non me ne frega che tu scappi, un giorno ti fermerai).
Che tu corra non ha molta importanza, tanto un bel giorno ti fermerai. Era un pò la
consolazione di chi era costretto a vedere gli altri far progressi nella vita. Si consolavano
dicendo che un bel giorno, chi corre dovrà pur fermarsi. Ma a fermarci saremo tutti
quanti, anche chi sta fermo e non corre. Aver compagno al duo] scema la pena? Mah, non
è molto convincente, neppure come consolazione.
Se è ffrancu vùncìme tuttu
(Se è gratis ungimi tutto),
È facile indovinare lo spirito di questo detto. Quando qualcosa arrivava in maniera
gratuita alle persone, era facile che le stesse ne pretendessero molto di più.
U scherzu è bbellu nna vota sula, dopu rumpe u cazzu
(Lo scherzo è bello una volta sola, dopo rompe il cazzo),
È rivolto a quelle persone che non sanno dov’è il limite per i loro scherzi, Proprio così: lo
scherzo è bello ed anche apprezzato ed accettato, se fatto una sola volta.
A facce, mute vote, ssamìa all’anima
(La faccia, molte volte, assomiglia all'anima).
Si dice che l'abito non faccia il monaco però, a volte, la faccia dice tutto quanto intorno
alla vita di chi la possiede.
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Sutta a tigna a capu malata
(Sotto la tigna c'è la testa malata).
Di solito una disgrazia non arriva mai da sola. Se sulla testa hai la tigna (una malattia
molto comune in passato, addebitabile, soprattutto, alla mancanza di pulizia per assenza
d’acqua), spesso era in arrivo qualche altra malattia. Da cui il convincimento che una
malattia era la benvenuta, se non portava con sé altre disgrazie.
Bbascia u titulu e aumenta a paca
(Abbassa il titolo ed aumenta la mia paga).
Non ho alcun bisogno di titoli che lasciano il tempo che trovano. A me basta che aumenti
il mio stipendio. Era un detto molto in voga tra la povera gente abituata a fare i conti con
l'indigenza. E spesso si sentiva dire “n0n mi dare titoli, se proprio vuoi darmi qualcosa
aumenta di un pochino quello che mi tocca".
Cìùnca vanza sordi occa mme prea salute
(Chi avanza soldi da me, deve pregare per la mia salute).
E sì, era molto chiaro e logico. Se io avanzo dei soldini da qualcuno devo proprio pregare
perché non gli accada nulla, per avere speranza di ricevere quanto mi deve dare. Quindi,
chi ha dei debiti, ha a sua disposizione anche le preghiere di coloro i quali avanzano quei
soldini. E in una botte di ferro.
Lì sordi de l’avaru se Ii mancia lu scìampagnòne
(I soldi dell'avaro li spende chi è di manica larga).
I soldi di chi ha sudato tutta una vita per realizzarli, arriverà il memento nel quale
verranno spesi con molta facilità. Chi non li ha sudati, infatti, non riuscirà a sentire
l'importanza del denaro e la fatica fatta per acquisirlo. Il primo erede stupido li farà fuori
molto presto.
Li sordi ca no ssu ssudati nu ppòrtane mai bbonu
(I soldi che non sono stati sudati (facili) non portano bene).
Sullo stesso significato del precedente, con la variante che spesso i soldi non sudati non
portano molta fortuna a chi li ha acquisiti.
Sordi tirane sordi
(I soldi tirano gli altri soldi).
I soldi vanno dove ci stanno gli altri. Beh, si, accadeva e, purtroppo, accade che chi ha
soldi ne faccia molti altri. Chi ne ha pochi, infatti, non ha possibilità di mettersi nella
condizione di farne altri .
U cane ci secuta?: u strazzatu
(II cane corre dietro al povero disgraziato).
E una domanda ed una risposta insieme: chi segue il cane? Il povero disgraziato. Non è
raro, infatti, che un barbone si accompagni con un cane. Si fanno compagnia,
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specialmente nelle fredde notti all’addiaccio. Il nostro detto, comunque, spesso veniva
detto con altro senso per significare che il cane segue chi potrebbe dargli molto poco
cibo e tanto affetto.
Ciuveddi face nenti pe nnenti
(Nessuno fa nulla per nulla).
Quasi una regola fissa della vita. Nessuno si danna l'anima per non avere nulla. Se
qualcuno fa qualcosa deve pur avere un corrispettivo. Lo si diceva di coloro i quali
strombazzavano di aver fatto tanto per il bene degli altri ma, alla fine, si scopriva che
tante tribolazioni le avevano affrontate perché avevano un motivo valido.
Ognunu penza pe iddhru e Ddiu pe tutti
(Ognuno pensa per sé e Dio per tutti).
E la continuazione del precedente, con una piccola variante: ognuno pensa ai fatti suoi,
affronta tribolazioni e fatiche per se stesso e la propria famiglia. C'è solo il Signore a
pensare per tutti.
Se risparmi u Iunadia te trovi bbonu u sabbutu
(Se risparmi il lunedì, ti trovi bene il sabato).
Invito al risparmio che Va fatto a tempo debito per poter avere i benefici nel momento
pifi opportuno. Se risparmi il lunedì potrai avvantaggiartene il sabato.
Tutti tanimu u cannalire, ci Iu tene cchiu ranne e ci cchiu piccinnu
(Tutti abbiamo In gola, chi più grande, chi meno).
Gola, qui ha significato d'ingordigia. Tutti siamo golosi, chi ha una gola più grande, chi
meno . E' questo un vizio che hanno tutti gli uomini.
E meju sulu ca mmale ccumpagnétu
(E meglio andar solo che in cattiva compagnia).
Lo si dice a chi si accompagna con una persona non molto stimata.
Ci cumanna no ssuda
(Chi comanda non suda).
A chi è demandato il comando non si accompagna il sudore. Era un po' il pettegolezzo
dei poveri lavoratori ai quali era chiesto gran sudore.
Il loro commento: «già, lui Che comanda non sa quanto sudore ci vuole per fare un lavoro
del genere, perché chi comanda non suda».
Ccatta e cose quannu su mmarcate e winnale quannu su ccare
(Compra la merce quando va a buon prezzo e vendila quando il prezzo aumenta).
Per poter guadagnare, sicuramente bisogna essere molto intelligenti. Infatti, se si vuol
guadagnare, bisogna acquistare la merce quando costa poco e rivenderla quando Costa
molto.
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Ci ccatta a ccambiali paca nna vota e mmenza
(Chi compra a debito, con cambiali, paga il prezzo una volta e mezza).
Chi compra a cambiali paga le cose una Volta e mezzo. Infatti, le cambiali comportano
delle spese e degli interessi che portano la merce a costare molto di più che se si
comprasse in contanti.
Se rispetta u cane pe llu patrùnu
(Si rispetta il cane: per il padrone).
Attorno ad una persona di gran rispetto, in passato c'erano dei personaggi che
dettavano legge nei piccoli paesi. Cerano, infatti, sempre dei suoi amici, servitori ed
untuosi consiglieri, i quali venivano rispettati per il solo fatto d'essere amici del
personaggio. Da qui il detto se rispetta u cane pe llu patrunu.
Li purpi se còcene cu ll’acqua loro stessa
(I polipi si cucinano con la loro stessa acqua).
Ci sono dei casi in cui alcuni personaggi che hanno spadroneggiato per molto tempo
arrivino al redde rationem. E il classico case del polpo che si cuoce nella sua stessa acqua.
Il personaggio cade vittima delle trame che lui stesso ha ordito.
A buscia vane ’nnanzi, a verita vene de reta
(La bugia va avanti, la verità viene dietro).
La bugia trova sempre il modo per diventare popolare, Ia verità viene sempre molto
dopo.
A ci nu ssape e cose comu stannu, poti dire tuttu chiru ca voi
(A chi non sa come stanno le cose, puoi dir tutto quello che vuoi, perché non
capirà mai).
Chi vive di menzogne sa anche Che potrà raccontare 1e stesse a chi non conosce la verità.
Ecco perché quando il bugiardo vuol raccontare qualcosa non rispondente alla realtà va
in cerca di persone che non conoscono quello che è accaduto.
Ci sputa a ’ncelu, Ii cade ’nfacce
(Chi sputa in ciclo riceverà lo sputo in faccia).
Accade molto spesso. Chi non ha riguardi neppure per la divinità presto o tardi avrà lo
sputo rivolto al cielo sulla sua faccia.
A Iingua nu ttene osse ma le spezza
(La lingua non ha ossa, ma riesce a spezzarle).
La lingua è un organo senza ossa ma riesce ad essere talmente tagliente che riesce a
spezzare anche le ossa. Fa più male la lingua, infatti, che mille lanzichenecchi scesi a valle
per rubare e stuprare.
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Ci dice buscie ane ttanire bbona memoria
(Chi dice bugie deve avere buona memoria).
Alla lunga le dimenticherà e finirà per contraddirsi. Cosi come fanno tanti bugiardi che, a
furia di dire bugie, dimenticano quali sono verità e quali menzogne.
De sti tiempi l’ommu é stimatu pe cchiru ca tene, nno pe cchiru ca vale
(Di questi tempi l’uomo è spesso stimato per quello che ha, non per quel che
vale).
E sempre stato cosi, purtroppo. Chi ha dei soldi finisce per acquistare anche il privilegio
della parola e viene stimato non per quello che è ma per quello che possiede.
Quannu nna cosa nu nne cunviene, de nna ricchia trase e de l’otra esse
(Quando una cosa non conviene, entra da un orecchio ed esce dall'altro).
Spesso accade che non si voglia ascoltare qualcosa che non ci fa piacere ed e proprio
quello il caso in cui si fa lo ”gnorri”, persona che non sa, ignora, quindi assente. Per i
nostri quel che non si voleva ascoltare entrava da un orecchio e usciva dall’altro, per non
doversi poi pentire d’essersi messo in mezzo a problemi dei quali dolersi in futuro.
Quattro occhi videne meju de doi
(Quattro occhi vedono molto meglio di due),
Il classico detto che invita ad affrontare le cose a più occhi per non commettere errori.
Quannu a carta vene u sciocatore se vanta
(Quando la carta viene, il giocatore si vanta).
Tra i giocatori di carte, oltre a credere alla fortuna, si pensa anche d’essere migliori degli
altri, soprattutto quando si Vince. Da qui la prosopopea di qualcuno che vanta
un'intelligenza diversa finché la carta gli viene. Quando perde, invece, e colpa della
fortuna che ha aiutato gli altri.
A meju vutte ddaventa citu
(La miglior botte diventa aceto).
I migliori, spesso, sono dei falliti nella vita. Succede che proprio quelli che da giovani
evidenziano una grande sagacia, col passar degli anni, si perdono in un’anonima vita
senza sale. Non e raro che quei ragazzini ai quali non avresti dato una briciola d'avvenire
conquistino posti di rilievo. Da qui la necessita di non dare giudizi avventati,
specialmente sui giovani, colpa della quale spesso si macchiano gli educatori, quando
sono disperati perché la loro paziente opera non ha dato grandi risultati.
A vucca du furnu se chiude, chira di ristiani nno
(La bocca del forno si chiude, quella delle persone no).
E più facile chiudere la bocca del forno che quella delle persone abituate a gettar
sentenze ed a spettegolare. La battaglia contro i pettegoli non è facile, anche perché di
solito si tratta di gente che non fa nulla e che non ha molto da perdere.
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Mute vote vale cchiu a parola de nnu cuntrattu
(Molte volte vale più la parola che un contratto)
Chi ricorda i contratti in piazza S. Oronzo a Lecce? I compratori si trovavano davanti al bar
per un mercato fatto da galantuomini. Si pattuiva il prezzo della merce ed alla fine vi era
una stretta di mano alla quale non si veniva meno per tutto l’oro del mondo. Chi l’avesse
fatto, veniva messo all’indice sulla piazza e non avrebbe più avuto fiducia da parte degli
altri. Ecco perché la parola vale più di un contratto.
Curtu e mmali cavàtu
(Corto e mal uscito, riuscito).
Cavatu é un termine prettamente tricasino, non riportato neppure dal Rohlfs. Significa
mal riuscito, nato male, quasi un aborto. Non si è mai avuto grande stima del nanismo. I
nani sono stati sempre visti come persone non affidabili. La letteratura ne è piena. Ma, in
generale, la persona bassa non è stimata come non affidabile.
Pjate nna bbona numinata e winni lu citu pe mmieru
(Se prendi una buona nomina, cioè se la gente parla di te riconoscendoti una
certa qualità, riuscirai a vendere tutto, anche l’aceto per vino).
E un poco la verità sulla pubblicità di oggi. Se riesci a fare una buona pubblicità, anche se
il prodotto non vale più degli altri, riuscirai a vendere bene.
Quannu nna cosa é rricalata, é sempre bbona
(quando una cosa la si è avuta in regalo, è comunque buona).
Un po’ come "A caval donate non si guarda in bocca”. Per il semplice fatto che non costa
nulla è comunque buono quello che si è avuto in regalo.
A ragione se dane alli fessi cu lli faci stare citti
(Si dà ragione ai fessi per farli stare zitti).
Quando una persona poco attrezzata si mette a discutere di qual cosa non è facile farle
cambiare idea. E proprio a questo punto che vale la pena darle ragione, cosi non da più
fastidio.
Se no vvoi u fumu no ddumare u focu
(S non vuoi il fumo non accendere il fuoco).
Se non vuoi trovarti nel bel mezzo di un incendio non attizzar fuoco.
Se non si vuole trovarsi in mezzo ad un litigio o discussioni tremende, non si fa nulla per
far cominciare la discussione.
Ci se face Ii cazzi soi campa cent’anni
(Chi si fa i fatti suoi campa cento anni).
Si diceva proprio cosi: la conosci la storia del nonno mio? No? Beh lui visse cento anni
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perché si prendeva i fatti suoi. Tu, penso, ho paura che camperai molti di meno. Come
dire che se ci si fa i fatti propri si vivrà senza problemi.
Ci è: ffessa occa cu rrumane a ccasa sua
(chi è fesso è meglio che rimanga a casa).
Scherzosamente si diceva che il fesso doveva rimanere a casa perché fuori avrebbe finito
per far figuracce. Era, comunque, un detto scherzoso tra amici, allorquando a qualcuno
toccava subire qualche figuraccia non dipendente dalla sua volontà.
Ci tene a cuda de paja, tene paura du focu
(Chi ha la coda di paglia ha paura del fuoco).
Sicuramente ha paura del fuoco colui il quale ha qualcosa di infiammabile addosso.
Appunto, la coda di paglia. Si diceva ”hai la coda di paglia" alla persona Che aveva sul
groppone qualcosa da nascondere ed era costretta a mimetizzarla sino a quando qualche
evento eccezionale non la costringeva a venire alla luce con grande disagio.
Cancia paese ca é ccapace ca faci furtuna
(Cambia paese, è probabile che tu possa far fortuna).
Nessuno é profeta al suo paese. Se si vuol far fortuna bisogna cambiare aria. Quasi tutti i
grandi uomini han dovuto emigrare per far si che la propria grandezza esplodesse.
Ci é vigliaccu mina a petra e scunne a manu
(Chi è vigliacco butta la pietra e nasconde la mano).
Un classico il vigliacco mette fuoco, butta la pietra e nasconde la mano. Accadeva ed
accade e quando lo si riscontra è meglio cambiar aria per non venire insozzati.
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Cultura Contadina
Se pècura te faci u lupu te mancia
(Se sei inoffensivo come la pecora il lupo ti mangia)
Un detto contadino Che trae origine dal buio dei tempi. Un grido come un altro a non accettare
sempre con rassegnazione la cattiveria di chi profitta dei deboli. Ad un certo punto bisogna reagire.
Un po’ il contrario di quanto predicava il Cristianesimo sul convincimento che Volgere l’altra
guancia era meglio Che reagire, anche perché Violenza porta Violenza.
Chiove, chiove e nziddhraca e male tiempu face, ci sta fore de casa
pote rritirà
(Piove, piove e pioviggina e fa tempo cattivo per chi è fuori di casa e
tornarvi in fretta)
se
consigliabile
Lo ripeteva chi si rendeva conto che il tempo volgeva al brutto. A quei tempi non era consigliabile
star fuori di casa quando stava per scoppiare il temporale. Specialmente il contadino doveva
guadagnare la via di casa per non essere sorpreso dall’acquazzone e, peggio ancora, dalla tempesta
con fulmini e tuoni, sempre pericolosi per chi sta all’aperto ed in vicinanza degli alberi.
Quannu sona l’ave Maria o stai a ccasa o t’ai truvare pe vvia
(Quando suona l'Ave Maria se non sei a casa fai di tutto per metterti
sulla strada del ritorno).
A quei tempi, affrontare un viaggio di notte non era consigliabile. Spesso, le strade, specialmente
quelle di campagna, erano infestate da ladroni. Al suono dell’Ave il contadino prendeva la via di
casa. Le campane della Chiesa del borgo, infatti, avevano il compito di comunicare con chi stava
lavorando nella campagna. Quando suonavano a martello c’era un allarme generale. Qualche
pericolo incombeva sulla comunità:
generalmente l’arrivo di pirati e di malintenzionati. Nei Promessi Sposi le campane a martello
fecero correre tutto il paese.
U massàru chiuse a staddhra quannu i voi se n’érane fusciuti
(Il massaio, il capo di una: masseria, chiuse la stalla quando i buoi erano già
scappati).
Un buon conduttore di masseria deve stare attento che tutto vada secondo ordini ben precisi. Non
può lasciare la stalla aperta, si deve rendere conto di come i suoi aiutanti vivano e, soprattutto,
trascorrano le ore non impegnate nel lavoro. Non può dare fiducia ad alcuno, neppure ai familiari,
perché potrebbe avere delle sorprese. Inutile chiudere la stalla quando ormai i buoi hanno lasciato il
recinto, significa che certi accorgimenti vanno presi per tempo.
Apprendiamo cosi come nella masseria d'un tempo, ma anche nella famiglia, vigeva il sistema
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patriarcale. Tutto partiva dal capofamiglia, dall’uomo più: anziano o, comunque, di maggiore
credibilità.
E, spesso, dalla famiglia alla società il passo era breve. Non a caso esistevano esempi di interventi
delle persone più influenti nel villaggio per dirimere questioni, anche di tipo matrimoniale. Non era
solo il prete ad intervenire ma anche e, soprattutto, l’uomo più stimato del villaggio il quale, non
solo in casa propria, ma anche nella comunità, aveva il privilegio di indicare la via da seguire.
Se il massaio, però, non era all'altezza, i buoi scappavano e tutto andava all’aria.
Quannu vene u patrunu, mute anche se scancane
(Quando arriva il padrone malte gambe si allungano),
Spesso, all’arrivo del padrone, le donne intente ai lavori dei campi o alla raccolta delle olive, non
facevano mistero delle loro potenzialità femminili. Qualche gonna s’alzava più del dovuto e qualche
camicetta perdeva un bottone, nella speranza di attirare l'attenzione del padrone.
Non raramente la "fortunata” veniva convocata in un casolare per un rito da consumare. Come dire
che il padrone in campagna aveva tutto un harem nel quale e col quale sfogare le sue frustrazioni
familiari. Si sa che spesso i matrimoni venivano fatti con donne figlie di famiglie benestanti che non
sempre provenivano da concorsi di bellezza, anzi.
Da qui la ricerca quotidiana di altre ”cavalle" con le quali sfogare i bassi istinti che in casa non
potevano avere esito. E le donne chiamate a lavorare in campagna quasi sempre erano disposte ad
accettare. Infatti, erano donne abituate a subire e che, dalla prestazione speravano di trarre quanto
più profitto possibile. La fame in famiglia era proprio tanta e con gli ”straordinari" si cercava di
organizzare la dote per le figlie femmine.
Quando nel gruppo chiamato a lavorare in campagna arrivava qualche nuovo elemento da
”catechizzare”, c’era tutto un rito nel quale erano tutti coinvolti.
Una Volta adocchiata la preda non era facile sfuggire alle voglie del padrone. O era il padrone
stesso a farsi avanti oppure per terze persone, tramite il caporale di quei tempi, il fattore, l’uomo di
fiducia al quale il Signore demandava certi "umili” compiti. Infine, c’erano le stesse donne che già
avevano contribuito al soddisfacimento delle voglie del padrone che, con battute e ragionamenti
seri, facevano intendere alla ”novizia” come fosse consigliabile arrendersi. In caso contrario,
sarebbe stata licenziata e mai alcun altro padrone del paese avrebbe accettato di farla lavorare. In
più, i membri della sua famiglia avrebbero stentato non poco a trovar lavoro. Alla povera giovane,
all'inizio riluttante ed offesa, non rimaneva che accettare la profferta che avrebbe significato
qualche ora di
lavoro in meno, una certa protezione, garanzia di lavoro in future per lei e per i suoi familiari. Non
raramente, lo stesso compagno era obbligato ad accettare la situazione. Tutti sapevano, lui sapeva,
ma in giro c’era un’omertà senza pari. E durante la raccolta delle olive i discorsi delle femmine
erano incentrati soprattutto sulle "corna" che giravano in paese.
In pratica, alla fine dell’800 e per buona parte del ’900, sparito lo ius primae noctis che aveva
significato, soprattutto con l’Unita‘ d’ Italia, la rivincita del popolo sui ”Signori”, rimaneva questo
schifoso ricatto che, purtroppo, continua anche oggi, se vogliamo intender per tali i tanti casi di
padroncini che pretendono dalle impiegate certi servigi durante l’orario di lavoro ma anche al di
fuori. E per questo non c’è bisogno di scendere sin nelle campagne del profondo sud.
Quannu (se, sicunnu) cucuzza canta (o se scarfa)
(Quando la zucchina canta o si scalda).
Espressione in uso a Tricase i cui abitanti hanno la nciurita il soprannome cucuzzari (da cucuzze,
cioè zucchine). Nell’antichità questo detto ha avuto molti significati. Uno é certamente quello che
invita gli altri a pensare che quando la cucuzza non ne può più sarà bene guardarsi dalla sua
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reazione. Ed é propriamente il riferimento a se scarfa.
Il Canta, invece, ha altri significati. Quando é accompagnato da sicunnu ha significato ”da quel che
si dice in giro, questo fatto dovrebbe significare..." .
Quando, invece, e accompagnato da "se” introduce la bollatura nei confronti di qualcuno del quale
si sparla. Ad esempio: ”Se la cucuzza (cioè la gente) dice che i fatti sono andati in questo modo e
inutile star Ii a negate”. Una sorta di ”vox populi” che la dice lunga sulla conoscenza della vita da
parte dei contadini.
Quannu u ciucciu nu bbole bbive, avoja ffischi
(Quando il somaro non vuole bere, non ascolterà mai i fischi; per quanti
sforzi tu faccia, non si piegherà mai).
L’allusione e per quei testardi che non ascoltano mai i consigli degli altri e neppure Ie lezioni. Se
una persona e abituata ad agire in un certo modo non la smuoverà mai nessuno, a memo che un
intervento drastico non la costringa a farsi da parte.
Li guai de la pignàta Ii sape la cucchiara ca Ii vota
(I guai della pignatta li conosce il cucchiaio che li volta, li gira).
Gli uomini sono maestri quando devono dare giudizi sugli altri che, alla fine, non rispondono a
verità. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, l’egoismo tutto personale di evidenziare la loro
stupida sagacia, Ii porta ad inventare storie vere e proprie, delle quali, poi, gli autori, a lungo
andare, si convincono siano vere. Chi dice bugie, alla lunga, infatti, dimentica quali sono le bugie e
quali le verità e si autoconvince che alcune cose false siano Vere e viceversa.
Da qui il proverbio che sancisce una verità inoppugnabile. Infatti, i guai li conosce soltanto chi ne e
toccato. In una casa nella quale arriva il triste accadimento, chi è costretto a correre e il padrone, i
familiari, coloro i quali vengono toccati dalla novità. Gli altri sanno molto poco e spesso, quando ne
parlano, rischiano di far passare cose false per Vere. In questo caso la pignatta, recipiente di
terracotta del profondo sud d’Italia
che si usa per cuocere i legumi e altro al fuoco lento del focalire (caminetto), rappresenta la casa; la
cucchiara è: il cucchiaio, il mestolo che serve per girare il contenuto della pignatta in modo da
consentire un’idonea cottura.
Ogni massaru é patrunu de nna ricotta
(Ogni massaio é padrone (almeno) di una ricotta).
Antichissimo detto riferito al mondo Contadino e non solo. In pratica, nell'attività
dell'uomo, della sua professione, dei suoi incarichi, ogni individuo ha il suo spazio nel
quale muoversi. Il massaio, il contadino che conduceva vita di Campagna addetto
soprattutto al latte ed ai suoi derivati era, alla fine, proprietario di almeno una ricotta.
Per riferirla alla vita d'oggi ognuno dinoi avrà della quale sentirsi proprietario, della
quale decidere.
Spesso questo detto era (ed è) sulla bocca di chi andava a postulate un favore, a chiedere
una raccomandazione. "Sono convinto Che questa cortesia la puoi fare perché ogni
massaru é patrunu de nna ricotta, quindi anche tu nella gestione dei tuoi spazi puoi
trovare il modo per accontertarmi".
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A voja cu simmani a cuscenzia, se nu nn’é bbona nu nne nascene àrburi
(E inutile intestardirsi a seminare la coscienza perché se non è buona non
produrrà mai nulla).
Se la semenza è bacata non attendere frutti. E un po’ la traduzione dialettale
dell’insegnamento più noto in lingua italiana. Era molto in voga nel 600 allorquando s’era
Convinti Che da una spina non poteva nascere una rosa. Se la madre é tale, tale e la figlia.
Se una giovane fanciulla era vissuta nello stesso contesto in cui viveva la madre, aveva
certamente tratto insegnamenti d’immoralità. Come dire che da una madre poco di
buono nasce una figlia Che si porta nel dna il seme dell’immoralità.
Con lo stesso significato
Ci simmani fele nu ppoi ccujre ranu
(Se semini fiele (veleno) non puoi raccogliere grano).
A cavaddu castamàtu Ii llucida u pilu
(II Cavallo bestemmiato ha il pelo sempre lucido e pulito).
Un detto, spesso consolatorio, che si dice di un uomo che s’è venuto a trovare al centro
dell'invidia e della Cattiveria di un gruppo.
Combattere da soli contro tutti non è agevole e spesso si finisce Col soccombere. Chi gli
vuole bene gli sussurra questo detto consolatorio ma anche augurale. E cosi Che si
considera dal pelo lucido il ”cavallo” da tutti Combattuto e odiato.
Non era raro nel meridione trovare persone messe al bando dalla società nella quale
vivevano perché nel giro dei potenti erano da non considerare e, spesso, gli si rendeva
talmente difficile la vita da costringerli a cambiare aria. Non veniva fatta loro nessuna
violenza. Venivano solo ignorati. Se avevano un’attività commerciale veniva subito
abbandonata da tutti. Guai a chi si sognava di servirsi dei loro servigi. Mafia?
No, peggio. Era una maligna azione di mortificazione dell’anima che, spesso portava
anche alla pazzia.
A fronna nu sse mmove senza jentu
(La fronda non si muove senza vento).
Non c’è nulla a questo mondo che sia in condizione di muoversi da solo. Il detto vale per
spiegare alcune situazioni che non si originerebbero se non nascessero dalla volontà
altrui. Un pettegolezzo, ad esempio, non nasce da solo. C'è un Vento Che muove la
fronda. C’è sempre qualcuno Che lo ha ideato, a torto o a ragione. Non significa, pero,
Che quello Che si dice sia cosa vera, anzi spesso accade che il pettegolezzo si fondi
sulla cattiveria di chi lo ha prodotto. E questa Verità fuga il più noto vox populi (voce di
popolo). Il tam tam messo in giro ad arte serve solo per far male agli interessati. Rare
volte risponde a Verità.
Ci tene terra, sta sempre ’nguerra
(Chi é proprietario di un terreno non sta mai fermo, per quanti sono i lavori per
cui abbisogna).
Un detto molto antico della zona di Tricase. Chi possedeva una terreno era ricco per il
solo fatto di possederlo, perché assicurava da mangiare con i suoi frutti ma era anche
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causa di gran lavoro perché la terra spesso e matrigna.
C’erano più situazioni di disagio, Che prevedevano il dover affrontare le calamità
atmosferiche, sole, pioggia, grandine, gelo e neve i grandi nemici. E non era facile Con i
mezzi del tempo. Una guerra continua che rendeva il sonno degli agricoltori
problematico.
Gran fatica era quella di ararlo, magari col fido e paziente bove ma ancor più di
sterrarlo. Si sa, infatti, che le terre del sud Salento sono pietrose e per renderle
coltivabili i nostri antenati hanno sudato non poco.
Da qui sono nati i muri a secco che dividono fazzoletti di terreno e con quelle stesse
pietre che hanno sterrato hanno costruito le famose pajare, case di campagna che ora
servono per la custodia degli attrezzi di lavoro o come stalle. Anticamente hanno
ospitato gli uomini, specialmente d’estate, quando non conveniva tornare in paese a
Causa della raccolta e della lavorazione del tabacco .
A Ssantu Vitu, a fica vole u maritu
(Il 15 di giugno, giorno di San Vito, l’albero di fico vuole marito).
Nelle nostre Campagne a luglio C’è il matrimonio tra fico e caprifico.
Perché il fico dia buoni frutti ci deve essere la vicinanza del caprifico, una pianta similare
che serve come elemento maschile nel processo di fruttificazione.
A Ssantu Martinéddu se mbriàca u ranne e Iu piccinnèddu
(A San Martino s’ubriaca sia il grande Che il piccolo).
Come dire Che a S. Martino hanno tutti diritto ad un bicchiere di vino. Un buon bicchiere
di vino, infatti, non si nega a nessuno. E una tradizione Che si rispetta solo nel sud.
Quando al nord i nostri universitari ed i nostri lavoratori hanno rinnovato la tradizione
ritrovandosi per bere un buon bicchiere di vino, spesso, hanno coinvolto nell’insolita,
goliardica e simpatica festa anche gli amici del nord.
Ci simmana, ccoie
(Chi semina raccoglie).
Fa parte della tradizione contadina che vuole tutti intenti al duro lavoro dei campi, se si
vuol raccogliere il prodotto al momento opportuno. Come dire <<se lavori mangi>>.
L’erba ca no vvoi, te nasce a ’ntra ll’ortu tou
(L’erba che non vuoi spesso nasce nel tuo orto).
Il colmo della sfortuna. L’uomo che non vorrebbe mai aver a che fare con una disgrazia,
spesso deve assoggettarsi a subirla. E il caso di quel padre di famiglia che non ha mai
accettato la fuga del figlio o, peggio, della figlia. Quando accadeva che due giovani, e nei
tempi andati i giovani scappavano da casa insieme, accadeva perché le famiglie non
accettavano quell’unione, per i motivi più vari. Perché la famiglia dell’altro era poco di
buono o non all'altezza economica; perché della ragazza s’era già sentita qualche voce
poco seria; perché nella famiglia dell'altro spesso s’era presentata una certa malattia.
Insomma, chi più ne ha più ne metta.
Talvolta accadeva per motivi economici. Quando le due famiglie non erano nelle
condizioni economiche di affrontare il matrimonio, i due giovani pensavano bene di
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”scappare”. Cosi si evitavano tutte quelle spese che erano obbligatorie per una sposa di
riguardo. Pranzo di nozze, con invitato quasi tutto il paese, la dote (da mostrare alle
comari che dovevano giudicare e tante altre cose da cui era impossibile esentarsi per
non essere messi alla berlina da tutti quanti).
O chiove O face jentu, simmana quannu é ttiempu
(Semina quando è tempo, anche se piove o fa vento).
Quando arriva il tempo della semina non si può rimandare. Questa, infatti, pretende il
rispetto dei tempi, se non si vuol andar contro le stagioni. Quindi, la semina Va fatta sia
col bello che con il vento.
Nu tte llavare lu pastrànu se no rrive u padovanu (13 giugno S. Antonio)
(Non t'alleggerire se non arriva il 13 giugno, giorno della festa diSant'Antonio)
In pratica, prima del 13 giugno, accade spesso che il tempo non sia permanente. Spesso il
caldo è insopportabile ma ancor spesso la temperatura cala. Non ci si può far
sorprendere dal freddo levando il pastrano, una sorta di cappotto con cui i nostri
contadini si coprivano per non soffrire il freddo.
Quantu cchiu fforte chiove, cchiù mprima scampa
(Quanto più piove forte, prima viene il bel tempo).
Riferito soprattutto agli accadimenti della vita che registrano situazioni di grande
tensione. Quanto più gli avvenimenti sembrano insuperabili, prima viene il sereno.
Spesso si usa questo proverbio per dar forza a chi deve affrontare una brutta
situazione della vita.
Quannu u fruttu é maturu, ci nu llu ccoj cade sulu
(Quando il frutto è maturo se non lo cogli cade a terra da solo).
Il classico invito del contadino a non trascurar mai il lavoro che va fatto. Il frutto arrivato
a maturazione necessita della raccolta, altrimenti andrà perduto.
Simmana quannu è ttiempu e nnu spattare tiempu
(Semina quando è tempo e non attendere oltre).
I lavori di campagna vanno fatti al tempo opportuno: non si può né anticipate né
posticipare.
Allu tiempu de la raccolta nu sse pensa alla mamma morta
(Al tempo della raccolta non si pensa alla mamma morta).
Quando è in atto la raccolta (delle olive ma anche di altri prodotti della terra) non si può
perdere tempo alcuno. Va subito operata la raccolta se non si vuol perdere il frutto dei
propri sudori.
Finca a Natale nno ffriddu nno ffame, de Natale nnanti trèmene i muzzi
ca stannu vacanti
(Fino a Natale né freddo né fame, da Natale in poi tremano i recipienti che sono
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vuoti).
E il proverbio che fa intendere il Vero arrivo del freddo per il contadino. In pratica, da
Natale in poi sara Veramente inverno ed a gennaio e febbraio si potrà star poco in
campagna.
Aprile longu e suttile, se no mmanci tre vvote te llunghisce u cannalire
(Aprile, lungo e sottile se non mangi tre volte avrai sempre fame).
Il giorno, allungandosi, permette più lavoro. Necessariamente il lavoratore sarà
obbligato ad assumere più pasti per poter affrontare un lavoro che necessita di forza e
propone logorio fisico.
Nanu nanu u malatu porta u sanu
(Spesso il malato porta il sano).
Spesso si Verifica Che il malato, al quale dovrebbe essere portato aiuto, deve rimboccarsi
le maniche per dare aiuto a chi sta bene.
Ci prima |’ha ntisa de culu Ii scisa
(A chi l’ha sentita per prima, è venuta fuori dal culo).
Da ridere: spesso nel gruppo veniva fuori qualcuno con l’esclamazione mamma mia ci
puzza (mamma mia che puzza sto sentendo). Gli altri erano soliti accusarlo di essere lui
l'artefice della scorreggia puzzolente. E la descrizione di un sano mondo contadino nel
quale tutto assumeva una buona aria di scherzo bonario, improntato ad un’amicizia senza
rete.
U culu no ttene patrunu
(Il culo non ha padrone).
Uguale al precedente. Negli anni andati la scorreggia era quasi arte, un passatempo che
suscitava ilarità, specialmente durante il tempo libero sull’aia, nelle calde notti d’estate.
Al buio non sempre era facile distinguere l’artefice di una sonora scorreggia che i più si
sforzavano di produrre singolare. Si narra di uno che, allo scoccare della mezzanotte e
tre quarti, seguendo i rintocchi dell’orologio della piazza, riusci a stargli alla pari.
Ci te zziccu te fazzu tte ricordi l’ura e llu ggiurnu ca si nnatu e tte dou
tante mazzàte ca te fazzu fuscire cacannu scarpatélle
(Se riesco a prenderti ti faro ricordare l’ora ed il giorno della tua nascita e ti darò
tante botte da farti correre cacando piccole quantità di merda).
E solo un’imprecazione sentita a Tricase, spesso bonaria, rivolta a qualcuno al quale si
voleva dare avvertimenti forti perché cominciasse a comportarsi in maniera diversa. E
divertente la parte finale dell’imprecazione, distintiva dei contadini del Capo di Leuca.
A ’ntra ogni ccasa nc’é nna croce
(In ogni casa c’è qualche sofferenza).
Amara constatazione che garantisce la sofferenza in ogni casa. In pratica, e questa la
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magra consolazione di chi e obbligato ad affrontare qualche brutta situazione che la Vita
propone. Si consolerà sapendo che a questo mondo non è solo a dover tribolare. Tutto il
mondo lamenta qualcosa.
Nu nne bbeddu chiru ca è bbeddu ma è bbeddu chiru ca piace
(Non è bello quel che è bello ma : è bello quel che piace).
Alternativa contadina al concetto di bello. Ma questo convincimento ora ce l’hanno un pò
tutti quanti. Non c’è il bello, ma solo quel che piace, che diventa bello. Come dire che il
bello in assoluto non esiste.
Non c’é un quadro o un'opera d'arte bella ma è tale nel Convincimento di chi è chiamato
ad esprimere il proprio concetto.
Ci me dane u pane chiamu tata
(Chiamo padre chi mi dà il pane).
Se c'è qualcuno che ti permette di vivere, il tuo datore di lavoro, un benefattore, e giusto
che gli venga riconosciuta tutta la riconoscenza che merita. Cosi come viene data
riconoscenza al proprio genitore che ci ha cresciuti dandoci il frutto del suo lavoro.
Quannu zzappi e quannu puti, nu nn’é ttiempu de naputi, ma
quannu vene lu vinnamàre, sempre zziu te senti chiamare
(Quando zappi e poti gli alberi non vedi mai nipoti, quando è tempo di
vendemmia, spesso ti senti chiamare zio).
I parenti sono presenti solo quando c’è qualcosa di cui godere. La vendemmia nel mondo
contadino era un momento di grande gioia perché si raccoglieva il frutto del lavoro di
tutto un anno. I parenti erano tutti presenti, anche perché alla fine avrebbero portato a
casa qualche canestro del prodotto raccolto.
Pe llu catarru mieru cu llu carru
(Per il catarro vino con il carro).
Chiaramente il Vino era medicina e conforto per i nostri antenati. Si illudevano che quella
bevanda poteva lenire tutti i dolori. In realtà un raffreddore ed un buon bicchiere di vino
bollente potevano anche andar d’accordo.
Ci va chianu rriva sanu, ci fusce ttuppa e ccade
(Chi va piano arriva sano, chi corre inciampa e cade).
E' inevitabile: ”chi va piano, va sano e va lontano", chi corre rischia di rompersi l’osso del
collo e non solo. Il contadino non va mai di fretta, sa che ogni cosa va col suo tempo. La
corsa è permessa solo quando si devono salvare i lavori dall’inclemenza del tempo. Chi
ricorda i contadini che, all'arrivo del temporale, correvano per mettere in luogo coperto i
filari di tabacco stesi al sole?
Ci va chianu, va sanu, va Iuntanu e...rriva ùrtimu
(Chi va piano, va sano, va lontano ed arriva ultimo).
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Aggiunta scherzosa al più nobile proverbio.
Ci fusce fuscennu nu ccunta Ii passi
(Chi troppo Corre non Conta i passi).
Lo si diceva della persona intenta a finire un lavoro in tutta fretta. Di solito alla fine i
conti non tornavano perché con la fretta si era compiuto qualche errore.
Ci zzappa va all’acqua, ci futte va alla vutte
(Chi lavora beve acqua, chi non lavora beve vino).
Chi lavora e conosce quanto sia duro guadagnarsi la Vita risparmia bevendo acqua, chi
non lavora e, quindi, non é abituato al sacrificio, beve vino sperperando. C'e anche
un'altra interpretazione: chi zappa beve acqua, chi non zappa beve vino. E un po’ la
ripetizione del proverbio: a chi lavora tocca una sarda, a chi non lavora ne tocca una e
mezza.
La caqgina face l’ovu e allu caddu Ii vusca lu culu
(La gallina fa l'uovo ed al gallo brucia l’ano).
Spesso c’è chi, in situazioni di disagio, si lamenta senza aver fatto alcunché. Accade
quando qualcuno ha dovuto tribolare non poco per affrontare un certo lavoro. Chi gli sta
accanto comincia a lamentarsi, come se avesse dovuto affrontare lui il disagio. Proprio
come la gallina che fa l'uovo ed il gallo lamenta il bruciore all’ano.
Quannu a vurpe nu rria all’ua, dice ca è: resta
(Quando la volpe non arriva all’uva, dice Che è acerba).
L’antica, Cara favoletta di Fedro. É facile disprezzare, infatti, proprio quello che non si è
potuto far nostro. É la vendetta dei deboli, di quelli Che non sanno riconoscere la realtà
della vita. E cosi Che vengono inventate le più grandi bugie nell'intento di depauperare il
valore di chi si invidia.
Cane ca bbaja, nu mmòzzaca
(Il Cane Che abbaia, non morde).
Lo si diceva a proposito del solito brontolone il quale, ad una facciata burbera, non
faceva poi seguire altrettanta cattiveria caratteriale.
Quannu Iu cattu nu ncei, Ii surgi béllane
(Quando il gatto non c’è i topi ballano).
Quando Viene a mancare, temporaneamente, la figura di chi ha responsabilità, chi resta
si dà alla pazza gioia non rispettando l’ordine di sempre. Accade quando e, soprattutto,
chi ha responsabilità affida l’ordine ad un rigore estremo. Al primo raggio di cielo pulito
si profitta.
Ci Iu furèse tania a risposta pronta, era nnu calantommu
(Se il villano avesse la risposta pronta, sarebbe un galantuomo).
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Già, la differenza sta proprio lì, nella mancanza di cultura e, quindi, capacità di esternare
quello che si sente. Calantòmmu nel senso di uomo di riguardo, che nella società d’un
tempo aveva grande rispetto.
Comunque, il galantuomo era un uomo buono, pronto ad intervenire nel sociale,
timorato di Dio.
Spetta ciucciu meu ca masciu vene
(Aspetta ciuco mio che viene maggio).
Oppure:
Spetta pe’ quannu chiove fiche e ppàssele
(Aspetta il tempo in cui pioverà fichi e uva passita).
Proverbi con uguale significato, riferiti alle situazioni di attesa da parte di chi ha poca
volonta di impegnarsi nel proprio lavoro. Come dire che se uno non si dà da fare, non può
pretendere di fare una vita agiata ma dovrà dipendere sempre dagli altri.
Sparégna a farina quannu a mattra è cchina, ca quannu u funnu pare
picca te serve Iu sparagnàre
(Risparmia la farina quando il recipiente Che la contiene é pieno, perché a
poco serve risparmiare quando gifi appare il fondo).
Invito al risparmio delle popolazioni dell’estremo sud, sempre in lotta per la
sopravvivenza. Erano gli insegnamenti che davano siano i genitori che i maestri a scuola.
Inutile risparmiare, quando ormai non c’è nulla da preservare. Il risparmio e valido
quando lo si comincia all’inizio, quando la mattra è cchina.
A muttura no nne inche sterna
(La nebbiolina non riempie la cisterna)
Bisogna impegnarsi per perseguire un obiettivo. I guadagni di poco conto non portano
mai alla soddisfazione delle proprie esigenze. Sono solo pagliativi senza sostanza alcuna
che non permettono di sbarcare il lunario come si dovrebbe. Lo si diceva anche di quei
guadagni provenienti da affari che l’uomo esperto evitava perchè ne intravedeva la poca
validità
Quannu senti a cicala, fusci fusci alla culummàra; quannu senti u
cicalune, fusci fusci allu cippune
(Quando senti cantare la cicala è il tempo dei fichi (24 giugno, 5. Giovanni);
quando senti cantare la cicala ormai avanti nell’età (per aver passato tutta
un'estate) è il tempo dell’uva).
Uno dei tanti proverbi contadini sulle stagioni. Lu cippùne è la pianta dell’uva che si usa
nel meridione d’Italia, pianta bassa, completamente differente dalla vigna a tenda, che si
usa in altri posti. L’uva e prettamente da vino, chicchi piccoli e succosi.
De Pasca Bbifania tutte Ie feste pjane via. Rispunne santu Pati: e mmie
a cci me llassati, rispunne a Cannalora, nci su jeu e lu Biasi ’ncora
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É una filastrocca dei contadini del Capo di Leuca: (Dopo Pasqua Epifania tutte le feste
hanno termine. Risponde S. Ippazio: non ignorate proprio me. Gli fa eco la Candelora che
avverte d’esserci ancora lei e S. Biagio).
Sono queste, infatti, delle feste molto sentite a Specchia (la Candelora), a Tiggiano (S.
Ippazio), a Corsano (S. Biagio).
Amicizia
L’amici suntu comu lu mbrellu: quannu chiove nu lli trovi mai
(Gli amici sono come l’ombrello, quando ne hai bisogno non li trovi mai).
Un’amara constatazione che testimonia come a questo mondo non c’è spazio per un
sentimento come l’amicizia. Achille e Patroclo, Eurialo e Niso e tanti altri fulgidi esempi
d’amicizia sono destinati a rimanere nella leggenda. Quando più si ha bisogno dell’amico
si rimane senza il suo conforto, proprio come l’ombrello che, quando piove, si fa fatica a
rintracciare.
L’amicu, a ffiate, è ccomu In fungu: sapuritu alla ucca e murtale allu
stommucu
(L’amico, a volte è come il fungo, gradevole alla bocca e mortale per lo stomaco).
Ad un certo punto della vita ti ritrovi ad aver bisogno. L'amico dovrebbe essere qualcuno
a cui confidare le proprie ansie e le proprie gioie. Spesso, pero, proprio quella persona a
cui affideresti te stesso e la tua Vita, si rivela infida e traditrice. Mai confidare nulla a
nessuno, quindi, neppure a chi credi possa essere l'amico di sempre.
Ci trova nn’amicu trova nnu tesoru, ma ci trova nnu tesoru se ne futte
de l’amicu
(Chi trova un amico trova un tesoro ma chi trova un tesoro se ne frega dell’amico).
Spesso, chi riesce a fare fortuna, Volta le spalle al passato, alle amicizie di un tempo, alle
sofferenze. Anche perché gli amici di un tempo pretenderebbero di avere aiuti. Da qui
l’amara realtà di amicizie bellissime interrotte.
Vale cchiu nn’amicu cca ccentu parenti
(Vale più un amico che cento parenti).
Dovrebbe essere cosi. L’esperienza insegna, perb, che sia1’amico che i parenti sono
persone alle quali è bene non affidare le proprie speranze, in caso di necessità.
Se vo ssai l’amicu quantu vale, tocculu alla vursa e ttannu pare
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(Se vuoi sapere quanta vale un amico toccagli l’interesse e capirai).
Convincimento antico è non chiedere mai ad un amico per non compromettere l'amicizia.
spesso, accade, Che l’amico al quale sono stati chiesti soldi in prestito sparisca e
dell’amicizia non rimanga neppure il ricordo.
All’amicu no ddire quanto sai, ca vene u ggiurnu ca te ne pentirai
(Non confidare all’amico i tuoi segreti, potresti pentirtene).
Gli antichi consigliavano di non rivelare mai i propri segreti, neppure agli amici più fidati.
Si può cosi toccare con mano quanto i nostri antenati credevano all’amicizia. La gente
non confidava mai a nessuno le proprie ansie, i fatti della famiglia, le speranze. L'amicizia,
nel profondo sud, non era un sentimento praticato, pur essendo parola abusata.
Ci voi tte faci nemici mpresta turnìsi
(Se vuoi farti dei nemici presta loro del denaro).
Accade molto spesso Che la persona alla quale sono stati prestati dei soldi ti Volti le
spalle e faccia 1’offesa. E questo un modo molto gratuito di non restituire la somma a
nome di chissà quali torti ricevuti.
Amicu cu ttutti e fedele cu ciuveddi
(Amico con tutti e fedele con nessuno).
Quasi sul tema del precedente. Si pub essere amico con tutti quanti ma di un’amicizia che
con la fedeltà ha poco da dividere. In pratica, non si è amici ma solo conoscenti.
Amici e cumpari se cunta chiari
Tra amici e compari si parla chiaramente).
Il compare, di solito, diventava l’amico della famiglia. Non sempre però tutto andava per
il verso giusto, tant'è che arrivava la necessita di parlar chiaramente, di mettere le cose al
posto giusto, se non si voleva rovinare tutto quanto.
Paru cerca paru'e pparu pja
(Il simile s’accoppia sempre col simile).
Gli uomini hanno sempre cercato i propri simili, in latino aveva grande posto il pares cum
paribus congregantur. Il nostro detto, però, ha un senso leggermente dispregiativo. É
riferito a quegli accoppiamenti volti al male. Due malandrini, due persone poco per bene,
due ragazze poco serie, se andavano insieme Io facevano per interessi non sempre
d’amicizia.
Il seguente ha lo stesso significato:
Ci secuta lu zzoppu se mpara a zzoppacàre
(Chi segue lo zoppo impara presto a zoppicare).
Chi imita persone che hanno rivolto al male i loro interessi molto presto comincerà a
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comportarsi alla stessa maniera.
Quannu la vursa mia perse lu sonu tutti l’amici mei me ’bbandunara ma se la
vursa mia va sse rinnova, ci vole amici va sse Ii trova
E, forse, il proverbio più famoso del Capo di Leuca. Quando uno, dopo aver trascorso
un'intera vita tra gli agi cade in disgrazia, tutti gli amici, o meglio, pseudo amici,
spariscono nel nulla. Da qui la traduzione: ”Quando la mia borsa non ha più: prodotto il
suo bel suono del denaro, i miei amici mi abbandonarono, ma se quel suono dovesse
rinn0Varsi chi Vuole amici vada pure a trovarseli”.
Come dire Che gli amici per convenienza non hanno più spazio, dovranno andar
lontano per trovare altra gente disposta a dar loro credito.
Ci cunta de reta, cunta allu culu
(Chi parla dietro parla al culo).
Nel Capo di Leuca la gente non ha mai avuto il coraggio di affrontare la situazione di
fronte. C’erano anche delle motivazioni: storicamente, chi ha deciso di dire in faccia le
cose ha avuto la peggio perché questa è sempre stata una terra conquistata. E quando
non ci sono stati gli stranieri ci hanno pensato coloro i quali avevano possibilità di
imporsi sugli altri. Da qui la necessita di recriminare alle spalle e, quindi, il convincimento
che condanna quelli che parlan dietro e li bolla dicendo che parlando alle spalle si parla al
culo e non si è considerati.
Se voi l’amicizia cu mmantène nnu panàru vane e ll'otru vene
(Se vuoi mantenere l’amicizia, un paniere deve andare ed un paniere deve
tornare).
Se un’amicizia è fondata sull’interesse, è destinata a finire molto presto. Tra amici ci deve
sempre essere una grande stima con doni ricambiati, senza alcun interesse.
Il seguente ha gli stessi significati:
Se me dai e tte dou, l’amicizia dura
(Se mi dai e ti do, l’amicizia dura).
Quando l'amicizia non fonda le sue radici su interessi di sorta durerà eterna.
A ttiempu de bisognu se canuscene l’amici
(Gli amici si conoscono in tempo di bisogno).
Quando hai bisogno cerchi qualcuno che ti dia una mano a risollevarti. Solo in questi
momenti riuscirai a capire qual è il vero amico.
Quannu lu diaulu te ncarizza l’anima ne vole
(Quando il diavolo t’accarezza da te vuole l’anima).
Si tratta di quegli strani personaggi che ti blandiscono troppo e non per amicizia. Al
momento opportuno ti chiederanno qualcosa e tu capirai che la loro amicizia era fondata
solo sull’interesse
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La Donna
Quannu a fimmana se mparòu cu Iegge e cu scrive, u munnu ccuminciòu
a scire alla mmersa
(Quando la donna imparò a leggere e scrivere, il mondo comincio ad andare alla
rovescia).
Tanto per scherzare. Il solito lazzo nei confronti delle donne. va fatta, comunque, una
riflessione. Impararono a leggere e scrivere prima gli uomini, anche perché alle donne,
sino agli anni cinquanta, in alcuni ceti, non si usava mandarle a scuola, anche perché
sarebbe costato troppo. Le scuole, tranne le elementari, erano a Lecce e questo
significava far stare le ragazze in pensione o in collegio. Quindi, a scuola ci andava solo
chi poteva permetterselo. Nella stragrande maggioranza dei Casi le donne rimanevano in
paese per aiutare la mamma nei lavori di casa e per accudire i fratellini. La completa
alfabetizzazione delle donne, almeno nel profondo sud, e cominciata alla fine degli anni
cinquanta, in pratica dopo l’estensione del voto anche alle donne col referendum
Monarchia-Repubblica.
Da quel momento in poi il movimento femminile ne ha fatta di strada, pur se
ancora rimangono, specialmente qui al sud, delle sacche di resistenza che non
concedono molto alle donne. E una sorta di preclusione a priori, un convincimento strano
Che le donne non possano fare certi lavori. Le donne, pero, proprio in questi ultimi anni,
hanno dato ampia prova di quel che possono fare, grazie alla costanza d'impegno.
Se Iu desiderio è ccomu Iu mulu, nu tte rrimane ca cu tte tocchi
a nculu ‘
(Se il desiderio è come il mulo non devi fare altro che toccarti in culo).
Un proverbio inedito del quale non si avevano pi1‘1 notizie. Abbiamo avuto fortuna ad
incontrare una donna molto anziana di Tricase che Io aveva ereditato dalla tradizione
orale. L’argomento del quale si tratta e quello delle voglie delle donne incinta alle quale
spesso vengono dei desideri che niente e nessuno potrà mai soddisfare.
Almeno in quel tempo. Oggi, se nel periodo non idoneo, ad una donna incinta vien
voglia di qualcosa fuor di stagione, è facile reperirla. I tempi sono cambiati ma allora era
un problema. Diceria, infatti, avvertiva che in situazioni del genere non ci si doveva
toccar la faccia perché il nascituro avrebbe ereditato una bella macchia raffigurante la
fragola, la ciliegia etc. Da qui il consiglio alla gestante di toccarsi in parti che non
avrebbero condizionato la vita del nascituro. Una bella ciliegia sul culetto non avrebbe
dato fastidio a nessuno ma una macchia in fronte o sulla faccia sarebbe stato un bel
problema, pur se estetico.
Perché il desiderio come il mulo? E presto spiegato. Il mulo era un animale che non
era facile gestire: "sei duro come un mulo”, — si diceva agli irriducibili - il mulo spesso era
oggetto di trattamenti incredibili, botte da orbi, ma se non voleva far qualcosa era tutto
inutile. Quindi, il desiderio era come un mulo allorquando era difficile farlo sparire dalla
mente della gestante, magari dandole un’altra cosa.
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A fimmana cu Ila panza china, nu nna vvardare mancu a vicina
(La dorma con la pancia piena, incinta, non deve guardare neppure la vicina).
La donna incinta, infatti, riceveva da parte di tutta la famiglia, grandi attenzioni. I
pregiudizi erano tantissimi, tanti da limitare la gestante in maniera incredibile.
Quannu ncofana e fface pane, nunn’ a scire a ccasa alla cummare
(Quando fa il bucato o il pane non si deve andare in casa alla comare).
Perché la metterebbe in disagio in quanto non potrebbe darle ascolto. I maggiori e
gravosi impegni delle donne di una volta erano il bucato e la preparazione del pane alla
quale Veniva data grande importanza. Nella serata precedente c’era un gran da fare
nella casa, la farina veniva bagnata e lavorata (scanata) dopo averla fatta lievitare.
Nella notte non c’era posto per il sonno. Il fornaio girava casa per casa per
prendere la pasta lavorata e quindi procedere alla cottura. La famiglia al gran completo,
a volte anche ragazzini, s’avviavano al forno per attendere il turno di cottura.
A fimmana é ccomu a castagna, de fore pare bbona e de intra tene a
mafàgna
(La donna è come la castagna: di fuori sembra sana, dentro ha il guasto).
La castagna, per i contadini, è il frutto più ingannevole. Spesso, infatti, la scorza non
denuncia guasti ma, all'interno, si presenta il bruco, la famosa mafagna, il guasto,
appunto.
E uno dei soliti proverbi sulle donne, tutta una letteratura senza fine che, di solito,
si usava celiare nelle serate sotto le stelle sull’aia. Al centro vi era la donna e le sue
contraddizioni, ma solo per scherzare. Dalle nostre parti, infatti, la donna è sempre stata
la regina della casa, ha contribuito non poco alla conduzione della famiglia ed anche in
campagna ha avuto gran parte. Risate, indovinelli, proverbi, detti, qualche scorreggia che
contribuiva non poco a tenere allegra la comitiva, le friselle, canti, un buon bicchiere di
vino e la pizzica. Il tamburello la faceva da padrone, sino a quando il capo famiglia non
ordinava in maniera perentoria di andare a dormire, considerato Che il giorno dopo si era
attesi da un duro lavoro, sotto il sole cocente.
A fimmana è ccomu a carne, quantu cchiu la bbatti, cchitù ttennara
ddavènta
(La donna è come la carne, più la batti più diventa tenera).
Una doppia interpretazione per batti che nel proverbio assume il significato di dar botte,
molto lontano e differente da battere la carne per intenerirla. Ttennara è qui intesa nel
senso di ”arrendevole”. Quante più botte si danno alla donna, tanto più diventa
arrendevole.
Ma, fortunatamente, la donna aveva gran parte nella vita della famiglia. Il maschilismo
del Capo di Leuca era solo un atteggiamento, senza un preciso convincimento.
Quannu a mujere è cchiu erta, l’unicu modu cu Ila rrivi su lle corne
(Quando la moglie è più alta, l’unico modo per arrivare sino a lei sono le corna).
”Arbitro, sei già arrivato all'altezza di tua moglie". Era questo il grido Che si sentiva, e si
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sente tutt’ora allo stadio, nei confronti degli arbitri contestati. Tant’è che il buon Gianni
Brera, in una trasmissione televisiva, ebbe a dire Che quasi tutti gli arbitri sceglievano
donne più basse di loro.
Fateci caso, gli arbitri non sposano quasi mai delle donne più alte.
A mujère ca te bballa a ’nnanti te face fessa
(Lu moglie che ti balla davanti ti fa fessa).
La moglie doveva avere un contegno che rispecchiasse la sua posizione. Compostezza e
rigore. Quando una moglie si sperdeva in moine ed inutili fronzoli, finiva per non essere
considerata. Anzi, spesso ed a torto, veniva considerata una poco di buono, poco seria e
propensa ad ingannare il marito alla prima occasione. Da qui il contegno molto riservato
della donna salentina anche col marito, tutta dedita alla famiglia ed alle sue occupazioni.
Tira cchiu lu pilu cca lu nsartu
(Tira con più forza un pelo che la grossa corda).
Molto conosciuto. E riferito alla forza che ha una donna di attrarre un uomo. Pilu é il pelo
della donna, delicatissimo ma tanto forte da attrarre l’uomo. La grossa corda non può
competere col pilu.
A mujere de l’otri è sempre cchiu bedda
(La moglie degli altri é sempre più bella).
I significati di questo proverbio occupavano le chiaccere degli uomini all’osteria. Spesso,
alle verità si legavano vere e proprie invenzioni che finivano per diventare vox populi.
Già, certe invenzioni erano all’ordine del giorno ed una povera ragazza si trovava al
centro di pettegolezzi senza fine. Spesso, accadeva quando la ragazza aveva il coraggio
di respingere lo spasimante, soprattutto se avanti negli anni. Sta di fatto che del vicino è
tutto migliore, l'erba, la moglie, la cavalla ed il cane.
E su questo venivano imbastate storie che, talvolta, portavano guai.
A fimmana ne vole culu d’u diaulu
(La femmina vuol culo del diavolo, ne sa più del diavolo).
Anche questo detto faceva parte degli scherzi sull’aia o nelle lunghe serate d’inverno
davanti al focalire della famiglia. Il caminetto, un grande camino sotto il quale si
raccoglieva tutta la famiglia e qualche parete. Il pentolone sul fuoco a cuocere, dei
tronchi d’albero a far scanno su cui sedere. Scintille a iosa e ceppi scoppiettanti, delle
pigne davanti al fuoco a sciogliere la resina.
La donna è intesa come un essere molto intelligente e votata al male da saperne
una più del diavolo.
Talvolta, era tema di una conversazione sull’aia o davanti al focalire (camino),
talvolta l'invettiva era viva e palpitante. Non tutte le donne sono buone, morigerate,
regine della casa e dedite alla famiglia.
Mmara a chiru fore ca nu sse ara e nu sse simmana; povaredda
chira casa ca cumànna a fimmana
(Povera quella campagmz dove non si am e non si semina, povera quella
casa dove a comandare é la domm).
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Il maschilismo era imperante. In casa a comandare doveva essere il maschio, almeno per
quanto riguardava i grandi temi, 1e decisioni importanti. Il resto era appannaggio della
donna, la casa era il suo regno e, spesso, neppure il marito osava contraddirla per quei
lavori tutti femminili.
A fimmana é ccomu a scarpa, quannu te vane bbona, sane fatta
vecchia
(La donna è come la scarpa, quando ti va bene ormai è diventata vecchia).
Un'altra battuta per ridere e scherzare, magari all’osteria, tra un bicchiere di vino e
l’altro. Si, i nostri contadini erano grandi bevitori. Un buon bicchiere di vino non si negava
a nessuno - dicevano - e nel frattempo ne tracannavano a botti. Le osterie erano il loro
regno, soprattutto durante le giornate piovose d'inverno. L'oste apriva alla buon’ora:
pezzetti di carne di cavallo, trippa al sugo, moniceddi (lumachine di terra), fegato tirato
col vino. Erano tutte leccornie compensate da buon vino, tra una partita di briscola o
scopa, durante la quale usavano sbattere la carte sul tavolo puntando le nocche delle
mani. A gran voce, con qualche bestemmia senza cattiveria. Già la bestemmia: era un
brutto vizio dei nostri contadini che tiravano giù il calendario per un viziaccio trucido. Ma
sempre senza la volontà di bestemmiare, perché avevano cosi sentito dire dai loro padri,
uomini semplici, timorati di Dio ma pronti a bestemmiare perché veniva spontaneo.
Ed e in questo contesto che venivano proposti proverbi del genere. Solo che, a
differenza della donna, la scarpa, quando è vecchia, diventa più comoda
Mamma fortunata face fimmana a prima fiata
(La mamma fortunata concepisce femmina la prima volta).
Su questo tema sono stati sciupati fiumi d’inchiostro. In paese aver concepito maschio
per il padre era motivo d’orgoglio. C'era anche chi rimaneva molto male quando il
primogenito Veniva femmina. Si puntava al secondogenito.
E quando anche quest'a1tra prova falliva erano dolori. Nei confronti della povera
giovane, rea d'aver generato due femmine, spesso vi era una sorta di ostracismo da
parte della suocera e dei parenti del marito. Nelle famiglie nobili e ricche non era difficile
che venisse ripudiata.
Il detto era solo una sorta di consolazione per la povera giovane, rea d’aver
concepito femminina il primogenito.
La fimmana pe llu màsculu mpaccisce, lu màsculu pe la fimman‘a
nfessanìsce
(La donna per l’uomo diventa pazza; l’uomo per la donna diventa scemo).
La passione d’amore non accetta regola e porta a situazioni paradossali. Una differenza
tra l’uomo e la donna: l’uomo diventa scemo per la donna, non ragiona; la donna, invece,
quando é punta dalla gelosia, è anche capace di commettere tutto.
A fimmana è segreta comu l’aiu
( La donna è segreta come l’aglio)
Convincimento comune era che la donna non sapesse mantenere i segreti. Ovviamente,
oggi, questo Convincimento é fuor d’ogni ragione.
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La donna come l’uomo sa mantenere un segreto, tutto dipende dalla condizione
caratteriale.
Se me rriesce cu ttrou mujere Ia mannu zzappa e mme stou curcatu
(Se riesco a trovar moglie la mando a zappare e me ne sto coricato).
La Vita del contadino non è facile. Il suo sogno è trovare qualcuno che faccia il lavoro al
suo posto. La moglie verrà mandata in campagna per fare i lavori del maschio? No, solo
una consolazione tanto per ridere e scherzare, pur se, in alcuni casi limite, la moglie
segue in campagna il marito e ne affronta i lavori, tanto e come lui. Non sono pochi gli
esempi di donne capaci le quali in campagna hanno saputo sostituire il marito. Nei tempi
di guerra e quando il maschio é venuto a mancare, la donna non ha fatto rimpiangere la
sua assenza, pur se per quei tempi, il maschilismo rendeva tutto più difficile.
Va e bbei Maria du furnu
(Vai e vieni Maria dal forno)
Immagine amara di una donna senza domani e senza speranze, legata com’era al
matrimonio. Aveva solo il diritto di allevare i bambini ed accudire la casa. Un tran tran
fatto di sudore e fatica, tra consuetudini incrollabili che la relegavano in un ruolo
avvilente. Al forno doveva andarci per fare il pane, ogni settimana o nei periodi indicati:
lavorazione della pasta, attesa al forno, ritorno a casa con la fragranza del pane. Ma
sempre con gesti scontati che andavano avanti da generazioni. E cosi sino alla fine,
quando vecchia chiudeva gli occhi ad una Vita senza alcuna soddisfazione e, spesso,
senza interesse.
Focu ardi e pignàta fervi
(Fuoco brucia e pentola cuoci).
Era il classico consiglio della madre alla figliola in procinto di prendere marito. Dovrà
tenere sempre una pentola sul fuoco acceso, pronta per ogni evenienza. Il detto, pero,
poteva anche riferirsi alle massaie che, intente a spettegolare, non davano alla pentola
sul fuoco l’assistenza dovuta.
Una terza interpretazione vale: finchè c'è una pentola sul fuoco tutto va bene. Se
non c’è, qualcosa non gira per il verso giusto.
Ed ora qualche cattiveria sul matrimonio
Quannu u prèvete giovine se nfaccia su a porta de a chiesia, mute
fanésce ténene l’occhi
(Quando il giovane prete si affaccia alla porta della chiesa, molte finestre
hanno gli occhi).
Nei piccoli paesi le donne (le chiamiamo pizzonchere?), non avendo null’altro da fare,
avevano occhi solo per il prete, specialmente se giovane. Nei paesini del Capo di Leuca
non raramente s’è verificato (ne abbiamo contati negli ultimi 30 anni almeno 5 casi) che il
prete. .. convolasse con qualche fanciulla del luogo).
Quannu te nzuri mini a palla, comu va va
(Quando ti sposi sfidi la sorte, come va, va.
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II matrimonio e un’incognita. Quello che oggi ti sembra bello domani potrebbe rivelare
l’altra faccia della medaglia. Praticamente, il matrimonio e una sfida alla sorte. Quando
Va bene si e fortunati.
U matrimoniu, quannu lu mmesti, è nnu casticu de Diu
(Il matrimonio, quando lo indovini, è un castigo di Dio).
Gustosa definizione del matrimonio Che quando si rivela indovinato è un castigo di Dio,
immaginiamo quando lo si sbaglia. ..
U matrimoniu è comu nna torta, è duce finu a quannu te llicchi u
zùccuru de susu
(Il matrimonio é come la torta, é dolcefino a quando lecchi lo zuccherofilato che
la imbianca).
Già, dopo rimane il pane di spagna che, a lungo andare, risulta pesante, mal digeribile,
poco gustoso. E le risate si sprecavano in un’ingenua compagnia che aveva solo come
unico scopo quello di trascorrere in lieta allegria qualche ora prima di tornare al gravoso
lavoro.
U matrimoniu è ccomu a barca: quannu ccumincia a fare acqua, face
acqua de tutte le vanne
(Il matrimonio è come una barca che, quando comincia a fare acqua, fa
acqua da tutte le parti).
E una gustosa immagine che, però, porta non poche riflessioni. Come in tutte le cose,
quando qualcosa comincia ad incrinarsi, non si può pretendere che sia come... nuova. Se
tra marito e moglie si comincia a fare i distinguo, presto o tardi, qualche equilibrio si
romperà sino alla rottura completa. Si pub far qualcosa? Certamente si. Bisogna sradicare
il male alla radice, estirpare il bubbone, con la buona volontà da parte di tutti. Se si lascia
la mela bacata alla sua sorte arriverà il momento che bisognerà darla via.
Quistu è cazzùnculu, filu quannu te more a mujere
(Questo è grave a sopportare non quando ti muore la moglie).
Tipica espressione per ridere: quando a qualcuno toccava far qualcosa di sgradevole, che
doveva comunque fare, anche se non di suo gradimento, aveva sulle labbra
l'imprecazione: Quistu è cazzùnculu, filu quannu te more a mujere. Questo è grave a
sopportare e non quando hai la disgrazia di veder morire tua moglie. Con tutti gli
scongiuri del caso.
Quannu u maritu nu mbole a mujere, dice ca Ii puzza u fiétu
(Quando il marito non vuole pill la moglie dice Che ha l’alit0 cattivo).
Quando ci si stanca di qualcuno si cominciano a trovare le scuse più banali pur di
levarselo da torno. Accade molto spesso, purtroppo, Che s'inventino le più ripugnanti
bugie pur di caricare su qualcuno la Croce.
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Maritu e fj, comu Ddiu te Ii manna
(Marita e figli sono come Dio te li manda).
Il marito ed i figli sono un’incognita nelle mani di Dio: solo Lui potrà decidere se saranno
come le tue aspettative oppure all’opposto. Questo detto rimaneva gustoso se tutto
nella famiglia era nella normalità.
Quando invece vi erano dissapori tra i coniugi oppure i figli cominciavano a dare
dispiaceri le cose andavano in altro modo. Spesso nelle famiglie nascevano figli spastici o
deformi a causa della mancanza di prevenzione. La medicina non aveva fatto i passi da
gigante di oggi. Ecco, quindi, il detto, Che invita alla rassegnazione ed alla pazienza. Se è
venuto cosi lo ha voluto il Signore nella Sua Onniscenza. Un modo come un altro per non
far disperare la gente ed indurla a prendere il fatto come atto d’obbedienza a Dio.
Mmara a chira casa addu a caddina canta e lu caddu stane cittu
(Povera quella casa dove il gallo sta zitto e la gallina canta).
Di solito il gallo canta e la gallina sta zitta. Quando avviene il contrario, spesso si tratta di
una famiglia dove non tutto va per il verso giusto. E proprio cosi?. Comunque, non è
proprio bello vedere una gallinella, pur se giudiziosa, decidere anche cose importanti per
la famiglia mentre l’uomo sta in disparte come se la cosa non lo toccasse.
La carusa sta comu Ia sita: quantu cchiu chiusa la tei, cchiu ccara Ia vinni
(La giovane donna è come il melograno: se lo conservi al chiuso lo vendi a
maggior prezzo).
C’è una doppia interpretazione: ”seta e sita” stanno rispettivamente per seta e
melograno. Ma è più accettabile ”seta”. La seta acquista valore se la tieni ben stretta e
chiusa.
Calza a pennello la riflessione riferita a giovane donna: se la tieni ben stretta e
chiusa, potrai farla maritare bene perché certamente vergine. A quei tempi il problema
della verginità della donna era molto sentito. Se già si sapeva che una donna non lo era
più, poco facilmente un uomo la portava a nozze. Ecco, quindi, la decisione dei genitori di
tenerla ben stretta: doveva uscir di casa accompagnata dalla madre o dalle parenti più
affidabili. In chiesa ci andava accompagnata e doveva indossare vestiti molto morigerati.
L’unica scappatoia per la povera reclusa, talvolta, era l'uscita per prendere l’acqua alla
fonte comunale. Non sempre c’era una parente disposta a seguirla. Ed era proprio allora
che accadeva il pateracchio. Spesso l’uscita per prendere l’acqua poteva portare alla
fujtina. Gli innamorati sparivano per stare insieme Con la disperazione delle famiglie.
Grandi grida per tutto il quartiere. Poi dopo qualche giorno i giovani Cercavano
l'intermediazione di qualcuno che andasse dalle famiglie per il perdono. Il farmacista, il
medico, il prete, la pizzonchera, la prefica, un parente autorevole. Grandi ragionamenti,
la madre in lacrime ed all’arrivo dei giovani qualche ceffone, non troppo forte ma tale
che suonasse di punizione per il quartiere.
Ogni cuccuvàscia vanta Ii cuccuvàsci soi
(Ogni gufo vanta i suoi piccoli).
E la traduzione di ogni scarafone é bello a mmamma soia. E proprio cosi, ciò che ci
appartiene e il più bello del mondo ed accade sotto qualsiasi cielo. Fa parte dell’anima
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umana. Ciò che è nostro non ha eguali, è certamente il più bello, perché nostro.
Se u vagnone chiance e nno llu tei, dalli a pupatèlla e vva e bbei
(Se il bambino piange e non riesci a rasserenarlo, dagli la ”pupatella”, vai
dove devi andare ma torna subito).
Un proverbio inedito: Il bambino si dispera e tu non riesci a calmarlo? Forse ha fame, ha
bisogno di qualcosa che tu non riesci ad individuare ma hai anche un problema da
risolvere subito. Bene, figlia mia, fai una cosa: dai a lui la pupatella, vai dove devi andare
e torna subito perché l’effetto della pupatella non prende troppo tempo. Cos’era la
puputella? E l’antenato del succhiello che oggi si dà al bambino per farlo succhiare e star
zitto. Si prendeva una pezzolina pulita e si metteva all’interno un pochino di zucchero
avvolgendola. Dopo averla bagnata d'acqua, la si metteva in bocca al bambino che per
qualche tempo stava tranquillo succhiando. Non per molto, Io zucchero non durava
un’eternità.
Se nu bboi u fju cu tte rumpe Ii vacànti, mintulu a ntru stompu e wane a
nnanti
(Se non vuoi che il bimbo ti infastidisca, mettilo nello ”stompu” (in alcuni paesi
dell'alto leccese ”testa”; ”vacunti": nel senso non ti rompa le scatole) e mi avanti.
Proverbio inedito: Tipico della condizione e della tradizione contadina del sud Salento. La
puerpera doveva pur badare alle faccende di casa o, addirittura, badare ai lavori nel
giardino attorno a casa. Il bimbo, fasciato dal collo in giù era un continuo richiamo per
questa madre combattuta tra il bimbo ostinato nel pianto ed i doveri. La tradizione le
veniva in aiuto consigliandole di tenerlo nello stompu. Era un grosso blocco in pietra
leccese o altro materiale con una buca abilmente scavata alla sommità che veniva usata
per pestare il grano con una mazza pesante di legno. II bimbo, fasciatissimo, veniva
calato nella buca che non era più lunga del suo corpicino, per cui la testa era sempre
fuori, e non era soggetto cosi ad eventuali disgrazie.
Sponsor che hanno contribuito alla realizzazione dell' e-book
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I Giochi
Se scàzzichi perdi, se faci casa nova llassi
(Se scombini l’ordine perdi, se sei costretto a fare una nuova casetta devi’
lasciare la pasta).
I bambini di una volta dovevano inventarsi i giochi. Uno dei più praticati, soprattutto alla
fine dell’estate allorquando si era in vacanza, era quello delle noci. Si piantavano per
terra le noci su una filara di terriccio. Se scazzichi perdi era riferito all'eentualità che un
ragazzo volesse rendersi conto della bontà della noce piantata sulla filara da altri per
evitare che la stessa fosse bacata. A quel punto arrivava l’avvertimento del proprietario
della noce che gli intimava di stare molto attento perché se avesse scombinato la filara
avrebbe perduto la partita e se avesse dovuto ricorrere a ripiantare la noce in una nuova
casedda, avrebbe dovuto ricompensare con una noce. Tutto questo rappresentava tra i
giocatori la fonte di litigi interminabili con grida e schiamazzi, sempre preferibili al
silenzio scioccante dei giovani d’oggi su un muretto complice.
Per il gioco delle noci, a quei tempi, invece, c’era tutta una preparazione
incredibile, tra cui quella della padda, una noce più dura delle altre che poteva essere
scagliata senza che si rompesse. I ragazzi la chiamavano masculina per il fatto che non
era una Vera e propria noce ma un frutto più coriaceo e duro. Addirittura, i venditori di
noci, a Tricase erano famose la Vittoria e la Pascalina Pinta, vendevano Ie padde al doppio
delle altre noci. Il trattamento della padda aveva una cura particolare.
C’era chi la apriva con molta cura per metterci all’interno delle palline di piombo, quelle
dei fucili, altri ci mettevano delle pietruzze, spesso tenute insieme da catrame. La padda
serviva per essere scagliata, da una distanza prefissata, verso una filara di noci piantate
su terriccio, tra una e l’altra potevano esserci delle monetine ma anche le famose
figurine di calciatori alle quali era sfato dato un certo valore. Per cui il ragazzo che
non aveva Con se delle noci da giocare metteva i soldini o le figurine.
L’ordine del tiro era determinato in base alla conta o tocco (i ragazzi indicavano con la
mano un numero di dita che sommate a quelle messe fuori dagli altri ragazzi, davano un
numero secondo il quale sarebbe poi toccato al ragazzo corrispondente, secondo la
conta che era stata iniziata a partire da un ragazzo giocatore. Se la padda colpiva le noci,
questo dava possibilità, al ragazzo Che l’aveva scagliata, di entrare in possesso di tutte le
noci (o soldini o figurine) che erano uscite fuori dalla filara.
Quando aveva tirato anche l'ultimo giocatore, il ragazzo la Cui padda risultava più
lontana rispetto alla filara di noci che ancora non erano state colpite, ordinava il modo
col quale si dovesse scagliare la padda da quel momento in poi.
Qui entrava in ballo la bravura dei più esperti. Uno dei modi era suttacappugnulu:
si scagliava la padda facendola passare da sotto la gamba; occhi chiusi e suttacappugnulu,
si faceva passare la padda da sotto la gamba tenendo gli occhi chiusi; capi e reta: si
scagliava la padda Voltati all’inverso. C’era, comunque, e qui la bravura, chi riusciva a
piegarsi all'indietro sulla spalla, addirittura a poggiare la testa a terra e, quindi, scagliare
la padda verso la filara con notevole vantaggio rispetto agli altri.
Insomma, tutta una letteratura che fa sorridere, ma che per quei bambini rappresentava
azione di grande rilevanza, spesso causa di grandi risse e litigi, tanto da provocare notti
travagliate.
Già, perché attorno alla vicenda delle noci c’era tutta una serie di preparativi. Non
tutti avevano i soldini per acquistarle e, quindi, era necessario scovare in campagna gli
alberi per l'approvvigionamento, con il rischio di venire scoperti dal padrone. L'ultima
trovata era quella molto praticata da ragazzi molto, vicini alla micro-delinquenza o piu
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dotati fisicamente, anche per gli anni. Questi erano soliti praticare la sarma: giravano per
il paese in cerca dei ragazzi intenti a giocare a noci e, senza farsi scorgere, piombavano
sulla filara rubando le noci e dandosi alla fuga. Spesso i ragazzi intenti a giocare
mettevano a guardia delle sentinelle, alle quali poi sarebbe stata data una noce in
regalo, perché avvertissero dell’arrivo di malintenzionati. Vere battaglie e grandi guerre,
addirittura tra rioni con bande di ragazzi pronti a tutto, sulla stregua dei ”ragazzi della
Via Paal". Ma allora bastava che una persona più grandicella o un vigile urbano
intervenisse perché gli animi si calmassero.
Sciucamu a scunni scunni cummare Camilla ca te toccu lu pattale
(Giochiamo a nascondi, nascondi, commare Camilla, così potrò toccarti le
parti intime).
Un altro gioco era scunni scunni. Era un giochino che veniva svolto nelle serate d’estate o
di primavera inoltrata, cioè quando le famiglie, abitanti sulla stessa strada, solevano
sedere davanti all’uscio per prendere una boccata d’aria dopo il pesante lavoro della
giornata. I ragazzi non partecipavano ai discorsi dei grandi e, quindi, nelle vicinanze,
spesso con grida e schiamazzi da Sabato del Villaggio, si sfrenavano nei giochi del tempo.
Il gioco più amato era proprio Scunni, Scunni, che le ragazzine facevan finta di rifiutare
ma che poi accettavano di fare. In pratica consisteva nel far chiudere gli occhi sotto un
braccio davanti ad un albero o un muro ad un ragazzo o ragazza per il tempo che bastava
perché tutti trovassero un nascondiglio che, spesso, veniva occupato in due, maschietto
e femminuccia. Bacetti innocenti e carezze sino a quando non si veniva scoperti dal
ragazzo al quale era toccato di fare il cercatore. Quando lo scopritore arrivava a dar grida
di scoperta doveva tornare verso la base da cui era partito velocemente per non farsi
superare nella corsa da coloro che erano stati scoperti. Una volta individuati tutti
quanti, tra i perditori nella Corsa al punto di base, si faceva una conta che
assegnava ad uno solo il compito di fare lo scopritore. Ed il gioco ricominciava.
Litigi e grandi grida, componenti essenziali per un’età ingenua che stava per
passare nella storia della vita, nella quale tutto sarebbe stato più complicato.
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Dolore e Morte
Nna cosa sula ncei giusta allu munnu: a morte
(A questo mondo c’è una sola cosa giusta: la morte).
La magra e pur consolante giustificazione della vita a questo mondo. Ad un certo punto
si diventa tutti uguali, Re, Papi, Ricchi e Poveri. Ed è l'unica cosa giusta esistente a questo
mondo. La poesia ”A Livella”, Che consigliamo di leggere a chi non l’avesse mai fatto,
riesce ad illuminare questo detto Che risulta di una efficacia agghiacciante. Corri
Uomo, Corri. Un giorno ti fermerai e saremo uguali.
Famose le parole di Don Tonino Bello a Radio Capo: «Accetta la
morte, perché finalmente ci presenteremo uguali davanti a Dio».
A morte nu pporta rispettu pe ciuveddi
(La morte non rispetto nessuno).
E l'unica consolazione di fronte ad una certezza e ad un mistero che sconvolgono i
pensieri dell’umanità. Sono stati scritti fiumi d'inchiostro, notti insonni per tutti, dagli
scienziati alla gente incolta. Cosa sarà di me dopo la morte? E questo mio io si perderà
così. Le mie ansie, i miei segreti, gli amori, le paure. L'unica consolazione e che non
toccherà solo a me. Presto o tardi saremo tutti ingoiati dalla certezza della morte.
Tutti stamu a ssutta a stu cielu
(Siamo tutti sotto questo cielo, buoni e cattivi).
Un po' come dire Che potenti e uomini umili siamo tutti sotto lo stesso cielo. Un bel
giorno arriverà la morte a ghermire tutti quanti.
A morte prjéta nun ci vene mai
(La morte invocata non arriva mai).
Quando si prega perché arrivi la morte per qualcuno e il caso che questa non arriva.
Quando si vuole accada qualcosa di brutto per qualcuno che si odia, il tempo non passa
mai. Un po’ l’attendere del treno alla stazione o l'attesa per qualcosa che ci sta a cuore: il
tempo scandisce troppo lentamente i secondi.
Meglio non invocare che accada qualcosa a qualcuno. Non avremo da mangiarci il
fegato perché non arriva e vivremo più serenamente dimenticando i motivi del nostro
odio che fa male solo a noi stessi. Tanto, per quel nemico per il quale invochiamo la
morte, siamo sicuri che arriverà.
Quannu rrive a morte su chhiu e cose ca vasta ca cchire ca ggiusta
(Quando arriva la morte sono più le cose che rovina che quelle che aggiusta).
Come dire che la morte non porta mai cose buone. E sempre un momento traumatico
che scompagina la vita non solo del morto ma anche di coloro che gli sono vicini. C’è un
tale rivolgimento, che quasi sempre porta più cose cattive, che cose buone.
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Povareddu ci se ne va, ca ci resta face sciocu e festa
(Poveraccio chi muore perché chi resta fa solo festa).
Una gran santa Verità: chi muore ha tutti i danni, chi resta, dopo qualche giorno di
tribolazioni per il dolore, più o meno manifesto e sincero, continua la vita di sempre e del
morto scompare anche il ricordo.
Se u mortu nunn’é chiantu, é bbonu sulu pe lle prisunie (consulu)
(Se i parenti del morto non ne piangono la dipartita è segno evidente che
stanno li per convenienza e per le prisunie (consulu, in alcuni paesi dell’alto
leccese).
Quando moriva qualcuno, i parenti e gli amici, nel rispetto di usanza antica che andava
rispettata, se non si voleva incorrere nei pettegolezzi, usavano portare in casa del
defunto della roba da mangiare. Per la notte della veglia si usava mandare bevande
d’orzo e latte e delle buone paste fatte in casa. I dolenti avevano cosi possibilità di
staccarsi per qualche minuto dal defunto per rifocillare Io stomaco.
Per il giorno dei funerali ma, soprattutto, per i giorni seguenti si portavano tante
cose buone ed in abbondanza, tanto che la famiglia non aveva bisogno di cucinare per un
bel po’. Il parente più stretto cucinava per il giorno dei funerali, alla fine di tutto, quando
la famiglia prostrata tornava a casa e doveva affrontare la prima notte senza il caro
estinto. Di solito si torceva il collo alla gallina, quella che non faceva più le uova.
Polpettine in brodo e tante leccornie che sia la famiglia che i parenti più prossimi
consumavano tra pianti e ricordi del morto.
C’era anche il caso del morto indesiderato, magari troppo avanti negli anni. Tutti
sapevano che della sua morte non fregava nulla a nessuno ma nessuno osava dirlo. Da
qui la finzione di una lacrima per l'opinione pubblica e giù a mangiar le buone cose delle
prisunie che avevano riempito un’intera casa perché nessuno dei donatori voleva
sfigurare ed aveva ecceduto in roba da mangiare.
Se ta ffare ccidire fatte ccidire de nu vuccèri bbonu
(Se devi farti ammazzare fallo fare ad un buon mucellaio).
In qualsiasi campo scegli sempre il più bravo. Quando nella vita hai la necessita di
scegliere cerca il meglio, solo cosi non avrai a pentirtene. Se si tratta di una Cosa di
basilare importanza per la tua vita non risparmiare, chiedi decisamente il massimo.
E un po la storia di chi deve affrontare un’operazione chirurgica che potrebbe
costargli la vita e sceglie chi lo fa risparmiare. Non vale.
De Ii struduri, fore d’a porta...
(Dei grandi dolori, al di là della porta, acqua, vento e fuoco alle calcagna).
Chi ha delle mortificazioni sappia che agli altri non importa nulla una volta usciti fuori
dalla porta di casa. E un antico detto della zona del Capo di Leuca ma anche
dell’idruntino, che sta a significare come a questo mondo l’ipocrisia sia una delle note
dolenti di una società egoista.
Grandi pianti, spesso anche scene di disperazione accompagnavano l’intervento
degli amici in accadimenti tragici. Non sempre, pero, le scenate erano sincere, anzi quasi
mai. Spesso, dopo la visita, il pettegolezzo era di rito. Si passavano in rassegna tutti gli
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avvenimenti che avevano caratterizzato la vita del morto e dei suoi familiari. Venivan
fuori storie incredibili ed inverosimili, segreti che tutti conoscevano e che nessuno aveva
mai osato pubblicizzare se non nel chiuso omertoso delle genti del sud. Ma le scene di
disperazione e di dolore erano necessarie. Non solo quelle degli amici e conoscenti ma
anche e, soprattutto, quelle dei familiari. Guai a quella donna che, toccata da lutto, non
avesse pianto con tutto il fiato in corpo il morto. Le ‘Comari’, a funerale avvenuto,
l’avrebbero fatta a brandelli durante l’attesa del prete alla funzione serotina o in altre
occasioni. Già, il pettegolezzo delle Comari era cosa da evitarsi ad ogni costo, pur se nulla
avrebbe mai evitato il Veleno di alcuni giudizi.
Poi, l'osservanza di una condotta di vita dopo il lutto. La vedova non poteva uscire
di casa per un certo periodo, neppure per andare in chiesa per la comunione. Se Voleva
proprio andarci, era obbligata a farlo accompagnata da tutte le Comari più influenti del
villaggio che cosi la scortavano sino al sacramento. Sarebbe stato poi suo dovere
ripagarle in qualche modo. Quasi sempre erano le galline a far le spese oppure delle
rotonde forme di buon formaggio.
Durante il funerale, a piangere il morto, erano invitate le ’prefiche’ o
’chiancimorti', donne anziane vestite di nero, diventate nel villaggio indispensabili
quando si veniva toccati dalla morte. Le prefiche conoscevano la vita del morto e dei suoi
familiari, spesso anche cose che nessuno avrebbe mai sospettato. Distribuite attorno alla
bara, armate di un fazzoletto col quale si asciugavano il sudore ma anche come arma per
scacciare le mosche, a seconda delle stagioni, piangevano il morto cantilenando storie
della vita, azioni, comportamenti. Venivano fuori situazione Che, spesso, suscitavano
l'ilatità degli astanti, a stento contenuta dal velo per le donne, dalla coppula calata sugli
occhi per gli uomini.
La stessa vedova, sconsolata, si univa alla cantilena delle ’prefiche’ per ricordare
situazioni nelle quali il morto aveva grande parte:«E mmo, Vitu meu, ci me la minte?» (Ed
ora, Vito mio, chi me la mette?), disse una povera donna sul cadavere del marito
suscitando l'ilarità generale, neppure contenuta. E espressione entrata ormai nella
letteratura dei funerali d’un tempo. I più, con molta malizia, riferirono la cosa all’atto
sessuale. La povera vedova si riferiva, invece, al chiavistello d’un finestrello in alto sulla
scala che il defunto avrebbe sicuramente aggiustato se non fosse intervenuta la morte
ad impedirlo.
Tutto, comunque, concorre a mantenere 1e cose di sempre, con l’ipocrisia, la
mistificazione, il doppio senso, le situazioni acquisite.
Morse Iu sciuscettu e nno fomme cchiù cumpari
(E morto il figlio adottato e non fummo più compari).
Famosissimo detto che testimonia situazioni e considerazioni di particolare attualità
anche oggi.
A parte la traduzione letterale, che potrebbe avere nel testo anche suscettu, «e
morto il figlioccio (dal latino filius susceptus, figlio adottato», e non fummo più compari;
nel senso di amici intimi che trascorrono insieme gran parte del loro tempo e dei loro
interessi. I compari, infatti, erano e sono qualcosa in pi1‘1 degli amici. C’era un certo
legame tra le due famiglie, pronte a sorreggersi in caso di bisogno, anzi aver ”adottato" il
figlio dell’altro, in alcune zone, significava doversene far carico in caso uno dei coniugi
genitori del pargolo dovesse sparire. In quel caso il figlioccio entrava a far parte degli
interessi del compare che lo aveva adottato.
Ma Veniamo al proverbio <<Non fummo pi1‘1 compari»: Qualcosa, nel tempo, ha
interrotto l’amicizia sincera ed un silenzio incredibile tra i due, ha fatto intraprendere
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strade diverse. Accade spesso quando le amicizie non sono sincere o quando sono nate
all'insegna di interessi. Il mondo ne è pieno. Ti evidenzio la mia grande amicizia fino al
momento in cui mi servi poi, dopo, ognuno per conto suo. Inutile dire che la vittima di
questi disegni rimane male da morire e non a caso entrano a far parte della quotidianità
nei mass media.
Accade spesso nelle popolazioni meridionali, dove si e più inclini a confidare i
propri segreti a colui Che si crede amico. In altri posti non accade sia perché i rapporti
con gli altri assumono sfumature diverse sia perché non sempre s’identifica amico chi è a
contatto per lavoro o altro.
In alcune zone della Sicilia e della Calabria uno sgarbo del genere significava, ma
potrebbe ancora essere cosi, lavaggio di un’onta non sempre incruenta.
Ne ncurgimu ca nna cosa era bbona sulamente quannu nu ncei cchiui
(Ci accorgiamo Che una cosa era buona solo quando non c’é più).
Non solo le cose ma anche e, soprattutto, le persone. Solo quando una persona passa ad
altra Vita ci si accorge della sua mancanza e, magari; si apprezza il suo operato. Le
orazioni funebri sono sintomatiche, tutte le cose buone del trapassato vengono alla luce,
amplificate, mentre i difetti non compaiono, vengono taciuti. Da cui nasce un altro detto:
”Era nu bbonu ristiano moi ca e mortu” (era una brava persona ora Che e morto). Già, la
morte rende buoni tutti quanti, anche perché non possono più nuocere ad alcuno.
Nessuno dirà male di un morto, non sarebbe accettato, non foss’altro per una sorta di
buongusto.
Dopu tre giurni ciuvèddi cunta chhiui du mortu
(Dopo tre giorni nessuno parla più del morto).
Accade sempre cosi. E la triste realta di chi se ne va e per fortuna ne siamo soggetti tutti
quanti. Il dolore resiste sino a quando si ha il modo di sentirne i morsi, poi la vita ti
espone a tanti altri impegni e, quindi, la memoria del defunto e meno pungente per cui
pian piano e destinata ad essere limitata e, fors'anche cancellata, a seconda della
sensibilità del parente.
A chiancire stu mortu su llacrime perdute
(A piangere questo morto sono lacrime perse).
Quando ormai non c’è più nulla da fare, inutile star li a piangere il morto. Bisogna reagire
e guardare in faccia la vita. Come dire che una volta arrivata la morte non c’è più nulla da
fare. Non è una grande consolazione. L’espressione, comunque, era diretta, spesso, a
situazioni di disagio: mai fermarsi a lamentarsi, le lacrime sono solo perdute, meglio
impegnare le energie in cose più importanti. Meglio ancora se il disagio era determinato
da una situazione dovuta a carenze e non alla morte di qualcuno. Se una cosa non è
venuta bene, inutile lamentarsi, bisogna solo pensare al futuro.
Mmara a cci ccappa
(Povero chi capita).
Espressione usata per commiserare chi é stato colpito da un dolore molto pesante. La
morte di un familiare, un tumore, una grave situazione che finirà per cambiare
completamente la sua vita.
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Mortu nnu papa se ne face nnotru
(Morto un papa se ne fa un altro).
Tutti utili, nessuno indispensabile: è il Vecchio adagio che consiglia di non sentirsi
indispensabile nella vita o di non scoraggiarsi di fronte ad eventi importanti perché, col
tempo, tutto s’aggiusta. Nulla di meglio per la consolazione, a chi era toccato da un gran
dolore. Era venuta meno anche la Divina Provvidenza e, quindi, meglio consolarsi con la
certezza che "morto un Papa, se ne fa un altro". Tutto passa, tutto scorre, la vita
continua e dobbiamo avere la forza di continuare a Vivere.
Ci prea Ia morte all’otri, nu ssape ca la sua é vicina
(Chi prega perché gli altri muoiano, ignora che la sua morte è proprio vicina).
Mai pregare che il nostro nemico muoia. Questo detto raccomanda di abbandonare la
vendetta. Tanto non si ottiene mai nulla. Sta di fatto, pero, che chi prega perché il suo
nemico muoia, spesso finisce per andare all’altro mondo, a causa della bile, che ha
dovuto trangugiare. Volgi l'altra guancia? Non è proprio cosi, ma siamo nei dintorni.
Visitu e malatu cinque minuti vole statu
(Visite di condoglianze o ad un ammalato non devono superare i cinque minuti).
Quando vai in casa di qualcuno che ha i1 morto per casa oppure rendi la tua visita ad un
malato cerca di non superare mai i cinque minuti, perché finiresti per dar fastidio. Chi ha
in sé un grande dolore per la perdita di qualcuno o chi, peggio ancora, soffre i morsi della
malattia, non vuol gente attorno, perché ha bisogno di trovare in se stesso la forza per
reagire.
Chiru ca ggira sempre è-llu cum‘Itulu cchiu piccinnù
(Quello Che gira sempre è il gomitolo più piccolo).
E sempre il più debole ad essere sfruttato e deve darsi da fare per i più forti. Accade
sempre cosi: il potente sta tranquillo, attende che i suoi subalterni si dannino l'anima per
lui, affrontando situazioni anche vergognose.
Sulla stessa linea:
U cchiu ffessa monucu porta a croce
(Il monaco meno importante porta la croce).
Sulamente ci porta a croce sape quantu pisa
( Solo chi porta la croce sa quanta pesa).
Chi non ha cognizione del peso di qualcosa non pub neppure capire quali siano le
condizioni di chi deve sopportare lo stesso. Nessuno comprenderà la situazione di chi ha
fame, di chi ha perduto un figlio, la famiglia, le cose più care. Elisa Springler in una
conversazione in una scuola di Tricase ebbe a dire: «raccontare queste cose sembra una
fiaba o un romanzo raccapricciante, viverle di persona e ben diverso. Perdere la propria
identità, essere meno di niente in un lager, non ha eguali. Vorresti annullarti e saresti
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pronta a rinnegare tua madre e tuo padre per una crosta di pane». Si comprende, quindi,
perché un peso e insopportabile solo per chi lo ha sul groppone e ne sente i dolori.
Povaréddu chiru ca cade e ttocca cerca jùtu
(Povero chi cade ed è costretto a chiedere aiuto).
E la commiserazione di colui il quale é costretto a Chiedere aiuto perché caduto in
disgrazia. Chiedere non e facile, si fa violenza al proprio io, al proprio orgoglio. Ed è quasi
certo che quando uno cade in disgrazia, difficilmente trova gente disposta ad aiutarlo.
Sulu ci sente dolore dice patarnosci
(Chi accusa il dolore, prega. «Patarnosci = Padre Nostro, preghiere, più in
generale»).
E un’amara constatazione Che rispecchia esattamente la realtà. Non si può pensare che
gli altri sentano ugual dolore di chi e stato toccato da un grande dolore. Sicuramente
accusano un gran dispiacere, a seconda dell’amicizia che hanno con chi ne e stato toccato
ma quando il tempo dell'evidenziazione e finito ognuno torna alla sua vita ed alle sue
cose. Solo chi è stato toccato dal gran dolore stenta a riaversi e si tuffa nella preghiera,
unica consolazione.
La riflessione, Comunque, specialmente presso le comunità cristiane, e fatta per
pettegolezzo, nei confronti di coloro i quali si avvicinano a Dio solo in caso di bisogno. Ed
e la maggior parte. E proprio cosi: quando nella nostra vita accade qualcosa di
difficilmente superabile, o ci vediamo esposti ad un gran pericolo, siamo più; propensi ad
avvicinarci a Dio ed alla preghiera. Ma non bisogna vergognarsi per questa debolezza.
Dio si sente di più nel momento del dolore. E una debolezza degli uomini, non ci si mette
a pregare quando tutto va bene. Purtroppo!
Quindi, l’uomo prega quando maggiormente accusa il dolore. Prega perché ha
paura, perché cosi alimenta la speranza di fugarlo, prega perché è abituato a farlo
oppure è tanto vigliacco da farlo solo in caso di pericolo. Il dolore avvicina a Dio oppure
te ne fa staccare irrimediabilmente.
I nostri antenati pregavano, soprattutto quando c’era un pericolo. Non erano
diversi da noi, ma forse erano più: pronti a farlo.
Quante scene ci vengono alla mente. Ad esempio durante un funerale, in casa del
defunto. ”Sulu ci sente dolore dice patarnosci”. Solo chi è colpito dal lutto se ne duole. Gli
altri? Tutta una scena di pochi minuti. Si entra in casa del morto con lo sguardo
angosciato e perduto nel vuoto, c’è persino chi riesce a comandare una lacrima e più
d’una. L’abbraccio scioccante col titolare del dolore che alla nostra vista ricorda episodi
della vita e del defunto e scoppia in lacrime; le varie, strane, vuote richieste di notizie
dell’accaduto delle quali mai s'attende risposta perché affaccendati a dare uno sguardo
nella sala. La spasmodica attesa che arrivi qualche altro a dare le condoglianze in mode
da lasciar libera la sedia accanto al dolente e, quindi, uscir fuori dalla stanza come una
liberazione. Una visita nella sala accanto ci porta dai parenti prossimi al defunto, tutti
intenti a prendere un caffé, qualche maldicenza, la sottile ironia, il malcelato sorriso. che
diamine, di la c'è il morto.
Il massimo fuori dalla chiesa, in attesa che il prete spedisca quell’anima a Dio.
s’attardano a fumare e chiacchierare, quelli che in chiesa non entrerebbero neppure a
pagamento. Tutta una ridda di discorsi che vanno dalla storia del morto alle avventure
dei suoi parenti, pesanti maldicenze o esagerate apologie. Tutto in attesa che il prete la
finisca e faccia uscire il morto da avviarsi al cimitero.
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E di lui nessuno più s’occuperà, tranne la vedova o qualche figlio pietoso. Ma non
per molto. Purtroppo.
E meju cu tte ’nvidiane, ca cu tte chiéncene
(E meglio essere invidiato che commiserato).
Alla fin fine è molto meglio subire l’invidia che essere esposto all’ipocrita
commiserazione di coloro i quali non avrebbero mosso un dito per aiutarti.
É meju nna brutta vita cca nna bbona morte
(E meglio una brutta vita che una buona morte).
Achille ne11’ade diceva Che si sarebbe accontentato di essere ultimo degli uomini, ma
vivo. Già, non C’è alcun paragone. Molto meglio Vivere, anche in condizione di
menomazione che andarsene all’altro mondo. La stessa cultura Cristiana identifica la vita
Come il più grande dono che Dio ha fatto all'umanità. Da qui la necessita di difenderla
Con tutte le nostre forze. ”La vita prima di tutto. Dio ce l’ha data e tocca a noi difenderla.
Nna vota se nasce e nna vota se more
(Si nasce una sola volta e si muore una sola volta).
Non puoi star 11 a mendicare la Vita. Si nasce e si muore una sola volta. E un po’ la
versione dei versi del Magnifico ”Quanto è bella giovinezza che si fugge..." o ancora del
”carpe diem” di oraziana memoria.
Se sape a ddu se nasce nu sse sape a ddu se more
(Si sa dove si nasce, non si sa dove si muore).
L’uomo sa di sicuro dove è nato, non saprà mai dove e quando morirà. Questa una delle
poche certezze della vita. La morte può ghermirti in qualsiasi momento e tu nulla potrai
fare per difenderti. Eco perché il cristianesimo consiglia di tenersi sempre pronti con la
valigia in mano per la partenza, che può arrivare all’improvviso. E la valigia non è altro
che quel bagaglio di preghiera e di umiltà che apre la porta del cielo.
Li guai nu ssu nenti, sulu alla morte nu ncei rrimèdiu
(I guai di questo mondo sono poca cosa, solo alla morte mm c’è rimedio).
In questo mondo non c'è nulla di peggio al paragone della morte.
Quando nella tua vita ti troverai a doverti lamentare della sfortuna che ti perseguita,
oppure delle disgrazie che ti mortificano, sappi che a tutto c’è un rimedio, tranne che alla
morte.
A morte rriva quannu menu te |’aspetti
(La morte arriva quando meno l’aspetti).
A ognunu u tiempu sou e, quannu se ne va, su ccazzi soi
(Ad ognuno il suo tempo e quando muore i problemi sono solo suoi).
I tuoi problemi sono solo tuoi e te li devi sorbire e risolvere da te. Anche la morte è solo
cosa tua. Nessuno può risolverti il problema che è solo tuo. Una sola cosa è certa: quando
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uno muore è l’unico a dolersene, perché è un fatto che gli appartiene. Gli altri lo
commiserano, i figli e la moglie ed i parenti lo piangono. Il dolore, pero, è solo suo.
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Olio, Vino e Dintorni
Oju, ove e ffarina e la mattra è cchina
(Olio, uova e farina, basta Casi, la madia é piena).
Quando si hanno a disposizione olio, uova e farina, non si ha paura del domani. La madia
è piena di quel che basta per sopravvivere e la famiglia vive tranquilla. Spesso si diceva
Chira é nna casa ricca a ddu a ntra mattra nu mmancane oju, ove e farina (Quella e una
casa ricca dove nella madia non mancano olio, uova e farina), nel senso Che in quella casa
non mancavano Ie sostanze per una vita senza problemi.
Quannu unu pensa ca te ccatta cu nna fucàzza e nna croce
de oju, è meju cu tte ne fusci, ca porta a rugna
(Quando uno pensa di comprarti con un pezzo di pane, Ia fucazza, ”pane tipico,
morbido, adatto ad essere gustato con l'olio ed il sale” ed una croce d'olio, è
consigliabile che tu fugga perché rischi di prendere la rogna).
La Cultura dell’olio nel capo di Leuca è fortissima, anzi avere dell’olio e considerato vera
e propria ricchezza. Infatti, olio significava campagne, quindi potere. Il potere, spesso,
ubriacava chi lo aveva. Veniva attorniato da clientes in cerca d’essere sfamati e pronti a
perdere qualsiasi dignità. Questa e una tradizione che ancora si perpetua, i morti di fame
non ci stanno più ma i profittatori si. Tant'è Che il proprietario dell’olio e della fucazza
non tralascia di far pesare tutto il suo potere. Vengono costituiti dei veri e propri clan
che si incontrano specialmente durante il week end e le feste in genere. Si gioca, si
mangia, sembra tutto normale. Il primo giorno, però, in cui uno dei clientes alza la Cresta,
sono dolori. No, non ci sta la Iupara e neppure il coltello. Viene soltanto messo all’indice,
ignorato, nessuno più lo dovrà invitare. Tant’è che se qualcuno degli amici fa una festa, la
prima cosa che deve osservare e non invitare quel maledetto Cliens che ha osato alzare
la cresta al padrone dell'olio e della fucazza. Guai poi se l’onta è stata fatta alla femmina
del padrone della fucazza. L’odio è eterno. Non C’è possibilità di riparazione. É un’onta
troppo forte, aumentata, peraltro, dal pettegolezzo che I’augusta moglie fa con le sue
pari. Da qui, il Consiglio del proverbio: quando qualcuno Viene a donarti una fucazza Con
una Croce d’olio, scappa più forte che puoi, perché potresti prendere la rogna.
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Vunci l’assu ca Ia rota camina
Detto pregno di significati nel mondo meridionale. C’è chi, addirittura, vuol intravvedere
nel comportamento di Renzo che porta due capponi all’avvocato Azzeccagarbugli la
volontà di portar qualcosa di concreto perché il suo interessamento fosse più accurato.
Ma non ci pare che sia cosi. Nello specifico era la necessita di ricevere aiuto pagandolo in
natura con due capponi. In letteratura, invece, esistono tanti esempi che motivano la
visita a qualcuno, accompagnata da un regalo per ingraziarsi la volontà.
Vunci l’assu ca la rota camina significa ”ungi l’asse della ruota con olio e la stessa
Comincerà ad essere più leggera e potrai Camminare”. Sta qui il succo di tutta una
filosofia di vita che vuole gli uomini propensi ad essere più pronti a far il favore, se hanno
ricevuto qualcosa in cambio. Una vera e propria raccomandazione dei poveri, ma
non solo. ”Il dono apre tutte le porte”. Anche quelle che non dovrebbero e non
potrebbero venire aperte. Si sa, pero, ma è stato sempre cosi, che negli ultimi tempi, la
bustarella e stata sostituita dalla tangente. Come dire che se l’affare va in porto a chi si e
adoperato per far si che lo stesso divenisse realtà, Va una certa percentuale. Politici,
politicanti e mestatori ne hanno fatte di cotte e di crude e, purtroppo, ancora ne fanno,
malgrado i cicloni Mani Pulite, Tangentopoli e tant’altro, che hanno colpito tanti cattivi
ma anche tanti innocenti. E spesso, il suicidio e stato epilogo per chi non ha avuto il
coraggio di continuare, perché travolto da prove inconfutabili oppure da montature
ignominiose che hanno finito per piegare la sua volontà di vivere e di lottare.
U mieru bbonu nunn’à bbisognu d’a frasca
(Il vino buono non ha bisogno della frasca).
Quando sulla porta di un’osteria, con accanto una lampada ad olio, si trovava una
”frasca”, la foglia di Vite, significava che a11’interno vi era un’ottima mescita di vino. I
nostri contadini che a sera frequentavano le osterie era buoni intenditori. L'oste, pero,
era più furbo di loro. Nella prima parte della serata mesceva vino puro, quello nero, fatto
d’uva. Nella parte finale, quando ormai i fumi dell’alcol facevano sciarpisciare (quando
non si e più nella condizione di mettere una parola davanti all’altra e si finisce per
storpiarle) mesceva vino mischiato con l’acqua oppure vino che di uva aveva solo un
vago ricordo.
Manciate a carne e llassa stare Ii funci
(Mangia la carne e lascia stare i funghi).
Avvertimento che gli anziani davano ai più giovani grazie alla loro esperienza. La
micologia non aveva ancora fatto i passi da gigante di oggi. Spesso i funghi portavano a
morte ed erano uno spauracchio per tutti, anche per chi aveva tanta fame. Ed allora:
mangia meglio la carne (un genere che i contadini di allora si permettevano solo in
determinate occasioni, Natale, Pasqua e feste eccezionali). Di solito a fare le spese era il
pollaio. Quindi mangia la care, che e un lusso eccezionale, piuttosto che rischiare con i
funghi.
Ci sanu vo campare erba e frutta hai manciare
(Se vuoi vivere sano, mangia verdura e frutta).
I medici ed i dietologi di oggi non hanno poi inventato molto in questo campo. I nostri
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contadini hanno sempre raccomandato di mangiare frutta e verdura per vivere sani e
bene.
Ed ancora:
Frutta e verdura a ccena, nuttata cchiu serena
(Frutta e verdura a cena, consentono una serena nottata).
Ci vo ccampi felice a stu munnu, mieru de nn’annu e ppane d’ogni giurnu
(Se vuoi vivere felice a questo mondo bevi vino di un anno e mangia pane di
giornata).
Quannu manca a ulja, povaredda a casa mia
(Quando manca l'oliva la mia casa è povera).
Quando una famiglia aveva una scorta d’olio si considerava ricca perché da sempre l’olio
è considerato un alimento importante.
A verità è ccomu l’oju, vene sempre a ggalla
(La verità è' come l’olio, viene sempre a galla).
Magari fosse cosi. Purtroppo, la verità spesso rimane nel segreto dei tempi. Troppi
enigmi del passato, infatti, sono rimasti senza alcuna risoluzione.
Pane e oju ggiustane a tovala
(Pane ed olio aggiustano la tavola).
La parca mensa dei contadini di una Volta era considerata ricca se aveva pane ed olio,
essenziali per nutrire chi il giorno dopo doveva affrontare una dura giornata di lavoro..
Vinu vecchiu e oju mustu, ci oi cu mmanci cu ttantu gustu
(Vino vecchio ed olio macinato di fresco, ancora non limpido, se vuoi avere un
pranzo gustoso).
Olio nuovo e vino vecchio, dal mondo dei buongustai erano considerati una ricchezza di
eccezionale valore.
Scennu e vanénnu, ulje ccuiénnu
(Andando e venendo, raccogliendo olive).
Sembra di rivivere certe immagini del passato. Le raccoglitrici di olive intonavano queste
nenie che le mettevano al riparo da una vita grama e spesso umiliante. Me scurdai la
coppula, sutta allu lettu tou (ho dimenticato la coppula, il berretto del sud, sul tuo letto,
durante la mia furtiva visita) era la canzone che la faceva da padrona, gioiosa, con un
ritmo esaltante, pieno di una vitalità incredibile.
De Santu Vitu se gira |’ulivitu, cu una ca ne pare, entràta generale
(Di San Vito (15 giugno) si gira l’uliveto, se si vede una sola oliva, il raccolto sarà
abbondante).
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Era una delle tante credenze popolari che, a volte, azzeccavano. Si pensava che se al 15 di
giugno si fosse scoperta sull’albero pur una sola oliva, vi sarebbe stato un gran raccolto.
Cucuzza tira e ttuzza, ma se nu Ila cconzi bbona, nu ttira, nu ttuzza, nu
ccanta e nu ssona
(La zucca tira e batte, ma se non la condisci bene non tira, non batte, non canta e
non suona).
Si tratta di un proverbio di Tricase, i cui abitanti erano chiamati cucuzzari, per via della
grande coltivazione di zucchine. Convincimento comune era che fosse un alimento per le
povere mense e, soprattutto, se non ben condita, non incontrava il gradimento della
mensa. Sulla zucchina vi sono tanti detti. Ne proponiamo uno ascoltato di recente: A
cucuzza nu lla vole mancu a furcina. (La zucchina non è gradita neppure dalla forchetta).
Insomma, una sorta di non gradimento nei confronti di un alimento che i nostri erano
costretti a consumare volenti o nolenti.
A cucuzza votala comu voi, ma sempre cucuzza ei
(La zucchina la puoi girare come vuoi, sempre quella rimane).
Sempre sullo stesso filone, la zucchina alimento poco gradito sulla mensa dei nostri
contadini. La puoi condire come vuoi ma non cambia di molto. Stavolta, però, troviamo
anche un riferimento ed un significato diversi. Si allude alla persona testarda ed
ignorante, che non accetta consigli da parte di nessuno, che rimane sempre una gran
testa di... zucca.
Finca nc’é oju a ntra lla lampa nce speranza
(Fino a quando la lucerna ha olio per illuminare c’è speranza).
Bellissima immagine della lucerna che consuma l’olio e che, sino a quando non consuma
l’ultima goccia, mai perdere la speranza che qualcosa possa accadere. Come dire mai
rinunciare alla vita ed alla speranza, sino all'ultimo minuto.
Li pasuli ne li manciamu suli, li paseddi nu lli damu a ciuveddi
(I fagioli li mangiamo noi, i piselli non li diamo a nessuno).
Ritornello di una Canzone dialettale. Mangiamo tutto noi, non diamo nulla a nessuno,
anche se soltanto fagioli e piselli, ma sono anche garanzia di una Vita senza problemi.
Avoja mmanci mile e cirase, mmara a cchira ventre ca pane nu trase
(Tu mangi mele e ciliegie a sazietà, povero il tuo ventre che non mangia il pane).
Alimento principale per i nostri Contadini era il pane. A mangiare frutta, cosa non
difficile, Considerato Che era a disposizione nella campagna, era solo un pagliativo. Solo
il pane Consentiva un’a1imentazione Completa.
Ta fatta comu a muscia nchiàta (ma anche “nc’era nna fiata nna mùscia
nchiàta”)
Ca se bbinchiòu de simmulàta
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Ca pe quanta ne manciòu
Alla fine ne scattòu
(Ti sei fatta come una gatta gonfia, ma anche ”c’era una volta una gatta gonfia",
Che si è rimpinzata di semolino
E ne ha mangiato tanto da scoppiare).
Una Cantilena che si soleva cantare agli infanti ma era anche l’inizio di un racconto
inesistente. Quando, a sera, i fanciulli sostavano davanti al camino, la nonna o la zia,
comunque qualche anziano della famiglia, per tenerli buoni, raccontava loro i famosi
cunti, racconti tratti dalla tradizione orale e tramandati nel buio dei tempi, riattati e,
spesso, travisati.
Quando chi raccontava era ormai a corto di argomenti, cominciava la cantilena
ncera nnafiata nna muscia nchiata che significava non conosco altri racconti e, quindi, è
tempo di andare tutti a letto.
C'è chi ha voluto vedere anche un consiglio a non rimpinzarsi ma la cosa non è
proponibile perché a quei tempi rimpinzarsi non era possibile e, quindi, le diete non
erano ancora state inventate.
Sponsor
Nei pressi dell'Ospedale di Tricase
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