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SUEZ E PANAMA: DUE CANALI A CONFRONTO INDICE Introduzione 2 CAPITOLO 1 Cenni storici 5 1.1 Il Canale di Suez 5 1.2 La costruzione del Canale di Panama: dai francesi agli americani 12 CAPITOLO 2 22 Rotte commerciali e risparmi di tempo 2.1 Il transito nei Canali e lo scambio di merci: dalle origini fino alla crisi energetica del ’73 22 2.2 Dagli anni Settanta ai nostri giorni 38 CAPITOLO 3 L’avvenire dei Canali 51 3.1 XXI secolo: cosa succede se si chiudono i Canali 51 3.2 Le rotte concorrenti 59 3.3 La pirateria marittima 83 3.4 Progetti di ampliamento 106 Conclusioni 120 INDICE BIBLIOGRAFICO 123 1 Suez e Panama: due Canali a confronto Introduzione Sin dall’antichità, una delle esigenze umane più pressanti, è stata quella di muoversi nello spazio nel più breve tempo possibile. Grazie alla costruzione del Canale di Suez e successivamente del Canale di Panama, l’uomo ha trasformato una traversata di parecchi giorni rispettivamente in 15 e 8 ore. Nel primo caso ciò è stato possibile realizzando un canale navigabile posto a livello del mare, nel secondo, grazie a un sistema di navigazione costituito da chiuse che consente alle imbarcazioni di navigare sopra il livello del mare. Il presente lavoro vuole essere un’analisi delle rotte di Suez e Panama, due itinerari ancora oggi di primaria importanza per il traffico mercantile oceanico. Fin dalle loro origini questi due passaggi marittimi hanno assunto grande rilevanza geopolitica e, al tempo stesso, si sono dimostrati fondamentali per i trasporti ad alto valore aggiunto. Il Canale di Suez, inaugurato nel 1869, mise in relazione due spazi marittimi come il Mediterraneo e i mari costieri dell’Africa e dell’Asia. Questi ultimi, già intensamente trafficati, necessitavano di un collegamento diretto e breve in luogo della circumnavigazione della massa continentale africana. L’apertura di Panama andava a completare lo scacchiere delle rotte mercantili oceaniche che in tal modo poteva offrire due passaggi: uno a Ovest, tra gli Oceani Indiano e Atlantico, attraversando Mar Rosso e Mediterraneo, l’altro a Est, tra gli Oceani Indiano e Pacifico, attraversando il Mare dei Caraibi. Questo studio mira a dimostrare come il transito attraverso i due Canali risulti conveniente per gli operatori del trasporto, nonostante la presenza di altre opzioni rappresentate sia da rotte marittime, che da itinerari terrestri. Inoltre, la chiusura di queste vie d’acqua, causando gravi rallentamenti negli scambi tra i 2 Paesi, comporterebbe il ripensamento della moderna architettura del commercio internazionale e dei sui flussi. Il metodo di indagine utilizzato nelle presente ricerca ha fatto riferimento a studiosi che in passato hanno trattato l’argomento. Meritano una menzione particolare: André Siegfried, fondatore della geopolitica interna, che ha analizzato il transito nei Canali di Suez e Panama dalle origini fino al secondo dopoguerra; André Vigarié, geografo francese, che ha approfondito il ruolo delle due rotte fino alla fine degli anni Sessanta; Adalberto Vallega, per le funzioni che hanno esercitato i Canali anche fino ai nostri giorni, nonché per il contributo sull’evoluzione della cantieristica navale fino alla seconda metà degli anni Novanta. Tali studi, hanno costituito le fondamenta su cui impostare e ampliare il progetto di ricerca. Senza un’accurata conoscenza delle caratteristiche delle principali navi che solcano gli oceani, l’analisi non poteva essere portata a compimento. Altrettanto importante era una conoscenza approfondita di come avviene la navigazione marittima e di quali rotte vengono maggiormente battute dai mercantili impegnati nel trasporto di differenti tipi di merci. La ricerca si è avvalsa dell’ausilio di quotidiani economici, delle principali riviste di geopolitica, come pure dell’ormai indispensabile strumento informatico. Per quanto riguarda la consultazione in rete, occorre ricordare i siti internet delle autorità che si occupano della gestione dei Canali cioè l’Autorità del Canale di Suez (SCA) e l’Autorità del Canale di Panama (ACP), rispettivamente per Suez e Panama. Inoltre, le informazioni messe a disposizione dalle maggiori riviste marittime specializzate oltre che, dalle più grandi compagnie marittime. Il presente lavoro inizia con un breve excursus storico che, partendo dalla costruzione dei due Canali, ne mette in luce le differenze dato che, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, le due vie di comunicazione hanno ben poco in comune, distinguendosi per dimensioni, accessibilità e metodo di attraversamento. Il primo capitolo fornisce, inoltre, una disamina sul ruolo esercitato dagli Stati coinvolti nella realizzazione e successivamente nella gestione dei Canali, la Francia e l’Inghilterra nel caso di Suez, gli Stati Uniti in quello di Panama. Nel secondo capitolo viene descritto il trasferimento di merci che ha interessato i Canali e la nazionalità delle navi che maggiormente vi hanno transitato 3 dall’apertura fino ai nostri giorni. Si espone, inoltre, la distanza tra i porti più trafficati, nonché i risparmi di tempo consentiti dall’attraversamento dei Canali. Nel corso dell’esposizione si da conto anche dell’evoluzione che ha contraddistinto il trasporto marittimo. In particolare, vengono tracciati gli sviluppi della cantieristica navale, fornendo puntuali informazioni sulle caratteristiche delle navi adibite al trasporto sia di container, sia di rinfuse. Il terzo capitolo evidenzia quale può essere l’avvenire di Panama e di Suez, analizzando le “sfide” che attendono le due vie di comunicazione all’alba del XXI secolo. Pertanto, si affronta il tema di un’eventuale chiusura dei Canali e di cosa essa potrebbe comportare. A tal proposito, vengono formulate delle ipotesi anche alla luce delle recente crisi politica egiziana e dei sui futuri sviluppi. In tale contesto vengono altresì analizzate: le rotte alternative che si pongono in competizione con i Canali; il fenomeno della pirateria marittima che rischia di provocare tensioni e insicurezze nei trasporti marittimi. In complesso, si tenta di dare una risposta al quesito che un numero sempre maggiore di esperti e analisti si pone e cioè se le rotte di Suez e Panama riusciranno a mantenere invariata la loro valenza geoeconomica anche in futuro. Tale ricerca si conclude descrivendo i piani di ampliamento che hanno riguardato i due Canali dalla loro apertura fino ai nostri giorni. Anche sotto questo aspetto persistono differenze tra le due rotte. Il Canale di Suez è stato più volte oggetto di programmi di sviluppo con l’obiettivo di attrarre flussi di traffico serviti da navi di portata elevata. La via marittima egiziana ha dunque dimostrato sempre una certa adattabilità alle mutevoli esigenze del commercio internazionale. Al contrario, il Canale di Panama non era mai stato ampliato fino al progetto attualmente in corso che sarà ultimato nel 2014 e che ne incrementerà l’accessibilità. Pertanto nel caso di Panama è stata la cantieristica navale a doversi adattare alle dimensioni del Canale con la costruzione di unità naviganti di una certa stazza progettate per transitare lungo questa via. 4 CAPITOLO 1 Cenni storici 1.1 Il Canale di Suez Nel corso del XVIII secolo erano emersi i frutti della stagione della colonizzazione dei territori d’oltre mare e delle scoperte geografiche verificatasi nei secoli precedenti. La conoscenza dell’ambiente fisico degli oceani aveva raggiunto buoni livelli e le rotte attorno al Capo di Buona Speranza e a Capo Horn1 erano state collaudate. Lo sviluppo della navigazione e del trasporto aveva convogliato ingenti quantità di beni e risorse verso le potenze marittime europee, come la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra e l’Olanda. La maggior parte di questa ricchezza proveniva dal commercio coloniale e “avrebbe provocato ripercussioni sull’economia e sui costumi sociali, sia nei Paesi dominanti, sia nei territori assoggettati”. Tale ricchezza avrebbe posto le basi per quella “grande stagione di cambiamenti che prese il nome di rivoluzione industriale”2. In questa fase di espansione produttiva, dovuta sostanzialmente all’impiego delle macchine e ai cambiamenti intervenuti nell’organizzazione del lavoro, la localizzazione delle industrie divenne un fattore fondamentale per lo sviluppo dell’economia. Le sedi produttive “risentivano dell’attrazione verso i giacimenti delle materie prime” date le difficoltà nel trasportare ingenti quantità di merce povera che alimentavano le fabbriche, “in punti di trasformazione ubicati in prossimità dei centri della domanda o dei porti d’imbarco.”3 1 Il Capo di Buona Speranza, scoperto nel 1498 da Vasco de Gama, segnò la nascita di una nuova via verso le Indie aprendo di fatto una lotta durata quattro secoli tra due gruppi di potenze, i beneficiari della rotta del Capo (Inghilterra Olanda e Portogallo) e le sue “vittime” (Venezia, Marsiglia, cioè Francia ed Egitto). Capo Horn, il punto più meridionale del Sudamerica, venne invece, doppiato per la prima volta il 26 gennaio 1616. L'impresa riuscì alla spedizione olandese di Willem Schouten e Jacob Le Maire che lo battezzarono Kaap Hoorn in onore della città di Hoorn, luogo di nascita di Schouten. 2 VALLEGA A., Geografia delle strategie marittime, Mursia, Milano 1997, p. 31. 3 Ivi p.75. 5 Tuttavia la presenza di vie di comunicazioni, come i canali, che consentivano il trasporto dei minerali e del carbone a costi più bassi rispetto alle strade o alle ferrovie, potevano influenzare le strategie localizzative delle industrie. Inoltre i canali, potevano essere utilizzati come strumenti per la produzione di energia idraulica fornendo in tal modo, un valido apporto a importanti settori manifatturieri come le industrie tessili. In numerose regioni, dalla Gran Bretagna ai territori renani, molte imprese produttive nacquero nei pressi delle vie navigabili (fiumi e canali) in modo che le merci potessero essere facilmente trasportate verso i porti per essere imbarcate. L’evoluzione dei canali, dopo lo scoppio della rivoluzione industriale, fu quindi rapida ma altrettanto rapido fu il loro declino. La loro era, secondo alcuni autori finì nel 1830, mentre altri studiosi sostengono che i canali raggiunsero il loro massimo successo verso il 18384, poi la decadenza fu inesorabile e presto vennero rimpiazzati dalle ferrovie. Tuttavia, due dei più importanti canali al mondo, che avrebbero avuto un ruolo di primo piano nella navigazione internazionale, non erano ancora stati costruiti: il Canale di Suez e quello di Panama. Entrambi i Canali permettono l’attraversamento di oceani e risparmiano spesso alle navi migliaia di miglia di viaggio. Il Canale di Suez fu realizzato nel 1869 mentre quello di Panama nel 1914. Il Canale di Suez è situato in Egitto, ad ovest della penisola del Sinai, tra Porto Said sul Mar Mediterraneo e Suez sul Mar Rosso per una lunghezza di 161 km5 (Fig. 1.1). Il suo compimento nella seconda metà del XIX secolo coincise con l’espansione dell’Europa moderna che doveva la sua fortuna al commercio marittimo e coloniale. Per questi traffici il vecchio continente si era sempre servito (verso est) della rotta del Capo o di rotte terrestri che, a partire dal 1453 con la presa di Costantinopoli ad opera dei Turchi, diventavano sempre meno sicure. Attraversare il deserto significava passare per grandi spazi vuoti, 4 Cfr. BOGART E.L., Economic History of Europe 1760-1939, Longmans Green, Londra 1942; ed. It. Storia economica dell’Europa 1760-1939, UTET, Torino 1953. 5 Le dimensioni attuali del Canale sono: 161 km di lunghezza; 286-365 metri di larghezza a livello dell’acqua, 121 metri sul fondo; 23 metri di profondità massima per un pescaggio di 20 metri. 6 Fig. 1.1 – Il Canale di Suez dove i rifornimenti d’acqua erano rari e la pirateria agguato. dei nomadi sempre in 6 L’Europa ormai reclamava trasporti più efficienti e rapidi dato che i suoi scambi non riguardavano più prodotti leggeri come le spezie e i beni di lusso provenienti dall’India, ma le materie prime che mal si adattavano al trasbordo. Occorreva una via marittima che, consentendo alle navi di attraversare l’istmo, non ne avrebbe interrotto la navigazione. La costruzione di un canale attraverso il deserto del Sinai era stata tentata diverse volte nel corso della storia senza mai essere stata compiuta. “Seguendo un’antica tradizione” – scrive Wilson- “tramandata dai sacerdoti egiziani, il Mar Rosso e il Mediterraneo formerebbero un solo mare. Erodoto, nel suo Euterpe, è il primo a parlare di un canale iniziato da Sesostris (2000 a.c.) e continuato da Neco (600 a.c.), che doveva collegare il ramo più orientale del Nilo con l’estremo settentrionale del Mar Rosso. Fonte: Magellan Geographix, 1997 6 SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, A. Colin, Parigi 1948, p. 28. 7 Nell’esecuzione di quest’opera morirono non meno di diecimila egiziani e alla fine Neco abbandonò l’impresa. Anche Dario il persiano continuò l’impresa, ma non la condusse a termine perché ritenne, erroneamente, il Mar Rosso più alto dell’Egitto, scavando lo stretto, avrebbe quindi inondato il Paese”7. Le proposte di aprire una via marittima si susseguirono con il passare degli anni: nel XVI secolo, fu la volta di Venezia che aveva subito una forte riduzione dei suoi traffici commerciali dopo la scoperta della rotta del Capo, poi fu la monarchia francese a rendersi attiva, prima sotto il regno di Luigi XIV, in pieno colbertismo8, poi sotto quello di Luigi XVI, durante il quale vennero svolti numerosi studi di fattibilità. Anche la presenza inglese nell’Oceano Indiano si fece costante nell’istmo dato che ormai per Suez passava un commercio particolarmente intenso. Per capire l’importanza che l’area stava assumendo, occorre delineare il quadro internazionale. A partire dal XVII secolo, gli stati europei più dinamici nell’espandere i propri traffici e nell’aumentare il loro prestigio economico “si esibirono in una spietata lotta per il predominio sui mari”9. Questo tipo di politica fu perseguita grazie alla creazione delle Compagnie delle Indie che le potenze marittime del vecchio continente istituirono per conquistare posizioni lungo le rotte oceaniche e controllare i territori coloniali assoggettati. Esse sorsero dapprima in Spagna e in Portogallo poi, decaduti questi due Stati, si svilupparono in Olanda e soprattutto in Francia e in Inghilterra. In questo modo, le potenze di mare potevano ricercare materie prime in territori “nuovi” (America, Asia) e trasportarle in patria, mentre i Paesi continentali, come l’Austria e la Russia, partecipavano solo marginalmente a questo tipo di commercio. Quello che serviva agli imperi coloniali erano una flotta mercantile ben organizzata e delle rotte e siccome raggiungere le Indie circumnavigando il Capo 7 WILSON A.T., The Suez Canal: its Past, Present and Future, Oxford University press, Oxford 1933; ed. it. Il canale di Suez : il suo passato, presente e futuro / Arnoldo T. Wilson; prefazione di Luigi Villari ; traduzione e note di Mario Monterisi, F.lli Bocca, Milano 1939, p. 18. 8 Jean-Baptiste Colbert (1619-1683) ministro di Luigi XIV si distinse, sia nella politica economica grazie al miglioramento della burocrazia, alla semplificazione del sistema fiscale e all’applicazione di bassi tassi d’interesse per accelerare la circolazione dei capitali, sia nella politica marittima per la creazione della Compagnia delle Indie Occidentali e delle indie Orientali nel 1664, del Nord nel 1669-1684 e del Levante nel 1670-1690. Attraverso le Compagnie commerciali si attuava una più efficiente organizzazione della navigazione e dei commerci. 9 VALLEGA A., Geografia delle strategie marittime, op. cit., p. 35. 8 di Buona Speranza implicava parecchi giorni di viaggio, il problema del transito attraverso l’Egitto, cominciò a porsi con una certa insistenza. La nuova via aveva ormai un’importanza cruciale e gli attori regionali più rilevanti, oltre all’Egitto, erano la Francia e la Gran Bretagna, entrambe potenze di mare. Le frizioni fra le due entità geopolitiche si svilupparono proprio in questo contesto. Parigi era per la realizzazione di una via acquatica, Londra, che nel canale vedeva la perdita dei suoi privilegi nell’Oceano Indiano, si batteva per la costruzione di una linea ferroviaria, onde evitare il collegamento diretto tra il Mediterraneo e il Mar Rosso. All’inizio dell’ottocento fu Napoleone a organizzare una spedizione in Egitto accompagnato da una squadra di tecnici tra i quali spiccava il nome dell’ingegnere Le Père (1763-1841), il quale fu il primo a redigere un progetto che poggiava su solide basi tecniche che verrà esaminato da Ferdinand de Lesseps, l’uomo che porterà a termine la costruzione del canale di Suez10. Per la riuscita di una simile impresa era necessario un clima politico favorevole alla sua realizzazione, oltre a uno sforzo economico non indifferente. Queste condizioni si ebbero solo nel XIX secolo quando l’Egitto intraprese una politica di opere pubbliche volta alla modernizzazione del Paese. La via di comunicazione tra i due mari rientrava in tale prospettiva e lo stesso Mehmet ‘Ali11 era favorevole alla sua realizzazione anche se non voleva assolutamente che l’istmo divenisse un secondo Bosforo12, lo stretto, sulle cui sponde è nata è si è sviluppata la città di Istanbul, ancora oggi al centro di numerose tensioni geopolitiche13. A tal proposito, può essere utile ricordare la dichiarazione che lo stesso ‘Ali aveva pronunciato nel 1833 e cioè che avrebbe dato la concessione per la realizzazione del canale di Suez solo “a condizione che si rispettassero 10 SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 40. Mehmet ‘Ali (Kavala, 1769 – Alessandria d'Egitto, 2 agosto 1849) regnò in Egitto dal 1805 fino alla sua morte nel 1849. 12 SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 35. 13 Lo stretto del Bosforo unisce il Mar Nero al Mar di Marmara e segna, assieme allo stretto dei Dardanelli, il confine meridionale tra il continente asiatico e il continente europeo. Nella storia, il Bosforo ha sempre avuto una notevole importanza commerciale e strategica ed è stato quindi al centro di diversi conflitti come la guerra russo-turca (1877-1878) e l'attacco da parte delle potenze alleate ai Dardanelli nel 1915 durante la prima guerra mondiale. Le acque del Bosforo, sono classificate come dominio marittimo internazionale e sono ad accesso libero. Il traffico commerciale, che comprende le petroliere provenienti dal Mar Nero, è tra i più intensi al mondo. Vi transitano anche navi con carichi di petrolio e gas liquido. Ha una lunghezza di 30 km per una larghezza che va dai 550 ai 3000 metri. 11 9 universalmente i diritti di fare uso del Canale sia in tempo di guerra che di pace senza distinzioni di bandiera”. Egli aggiunse poi che temeva che “una volta costruito il Canale l’Inghilterra metterà delle porte a ciascuna estremità di esso e ne terrà le chiavi nella propria tasca”14. Verso la fine del suo regno, nella seconda metà dell’Ottocento, Suez divenne uno snodo intercontinentale molto importante per la sua posizione strategica. Furono queste le premesse alla costruzione del canale. Nel 1854, in pieno clima di Restaurazione, fu il progetto di Ferdinand de Lesseps ad essere approvato e i tratti essenziali dell’impresa furono scritti in una concessione che gli conferiva il potere esclusivo di costituire una compagnia (Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez) per il taglio dell’istmo e la sfruttamento della linea acquatica tra il Mar Rosso e il Mediterraneo. La stipulazione aveva una durata di 99 anni, a decorrere dalla data di inaugurazione del passaggio, trascorsi i quali il governo egiziano sarebbe subentrato alla società nella gestione della via marittima. Costituita la compagnia, le grand français, si mise subito all’opera. Le prime spese furono affrontate per gli studi iniziali: la durata dei lavori fu stimata in 6 anni, i costi valutati in 200 milioni di franchi. Riprendendo il progetto di Luigi Negrelli15, noto ingegnere italiano, de Lesseps realizzò un canale a livello del mare, privo di chiuse e il più possibile in linea con la natura del terreno. Le difficoltà tecniche incontrate nell’esecuzione dell’impresa ne fecero aumentare i costi e i tempi; occorreranno 10 anni per portare a termine il canale, durante i quali verranno rimossi 75 milioni di metri cubi di terra, verranno fatte esplodere delle pareti di roccia e verrà introdotto l’uso della carriola, che, importata dai francesi, incontrerà una certa resistenza da parte degli egiziani16. 14 WILSON A.T., The Suez Canal: its Past, Present and Future; ed. It. Il canale di Suez : il suo passato, presente e futuro, op. cit., p. 1. 15 Luigi Negrelli (1799-1858) fu un ingegnere austro-ungarico. Pioniere della ferrovia e ingegnere civile di levatura mondiale, è noto soprattutto per aver steso il progetto per la realizzazione del Canale di Suez. Negrelli aveva ottenuto dal viceré d’Egitto, Said Pascià, la direzione generale dei lavori ma, nel 1858 mentre stava per recarsi in Egitto per formare la società di esecuzione del progetto, la sua salute, già minata da tempo, peggiorò costringendolo ad abbandonare il viaggio. 16 Nathalie Montel parla di “ostacoli culturali al trasferimento di tecnica” in: MONTEL N., Le chantier du canal de Suez (1859-1869). Une histoire des pratiques techniques, Presses de l’École nationale des Ponts et Chaussées, Paris 1998, p. 33. 10 Il 17 novembre del 1869 la nuova via venne inaugurata. Il canale si apriva la strada tra un istmo sabbioso, su un percorso di 161 km, mantenendosi sempre sul livello del mare (essendo trascurabile la marea del Mediterraneo e di soli 1,5 metri quella del Mar Rosso). Il suo pescaggio era di 7 metri17. Ferdinand de Lesseps fu accolto da trionfatore in tutta Europa. Una statua che lo raffigura, venne eretta all’ingresso del canale, a Port Said, col braccio teso verso l’istmo tagliato18 recante il motto “Aperta terram gentibus”. Tale monumento fu rimosso nel 1956 allorché Nasser, allora primo ministro egiziano, decise la nazionalizzazione del canale, come simbolo della fine del possesso della via acquatica da parte degli europei. Dopo averne avversato la costruzione la Gran Bretagna, approfittando delle difficoltà finanziarie in cui versava la Società del Canale, ne acquistò parte delle azioni (1873). Fu da quel momento che ebbe inizio il controllo misto francoinglese19. Nel 1888 fu stipulato un trattato, la Convenzione di Costantinopoli, che stabiliva i principi sui quali era regolata la gestione del canale e ne proclamava la neutralità20. Tale accordo permise inoltre di attenuare le tensioni geopolitiche tra Londra e Parigi21. Gli effetti della realizzazione del Canale di Suez furono enormi e si ripercossero sulla diffusione della nave a vapore, essendo il passaggio artificiale intransitabile dalle navi a vela. L’espansione delle relazioni commerciali internazionali, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, avevano portato ad un aumento dei traffici in particolare di quelli marittimi su rotte lunghe. 17 Per la cerimonia d’apertura Giuseppe Verdi scrisse l’Aida, mentre Johann Strauss jr. compose la Egyptischer-Marsh (Marcia Egizia), 80 battelli, di cui 50 da guerra, partirono da Port Said e sbarcarono nel Mar Rosso. 18 Il gesto del de Lesseps, secondo alcuni, stava ad indicare il luogo della cassa dove pagare il pedaggio per il transito. 19 Il 96% delle azioni della Società apparteneva ai due Paesi. La Francia ne possedeva oltre il 50% mentre il governo Inglese con il 46% del totale, era il maggiore azionista singolo della Compagnia. L’acquisto del 1873, era da considerarsi come atto politico oltre che finanziario. 20 La Convenzione di Costantinopoli stabiliva infatti all’art.1 che “ il Canale deve essere sempre aperto in tempo di guerra come di pace a qualsiasi nave di commercio o militare senza distinzioni di bandiera”, ciò equivaleva alle parole pronunciate 50 anni prima da Mehmet Ali. 21 Come scrisse l"'Economist" nel 1869, il canale era stato «tagliato dall'energia francese e dal denaro egiziano per il vantaggio britannico», in: Wilson A.T., The Suez Canal: its Past, Present and Future; ed. It. Il canale di Suez : il suo passato, presente e futuro, op. cit., p. 29. 11 All’evoluzione della domanda di trasporto la navigazione mercantile rispose con delle innovazioni che in un primo momento consistettero nel miglioramento dei vettori a vela, mentre solo successivamente si sarebbero costruite navi a vapore. Le modifiche erano volte ad aumentarne la portata22 e ad accrescerne la velocità, anche se era evidente che il trasporto mercantile, azionato a vela e con strutture in legno, difficilmente avrebbe potuto superare la soglia delle tre mila tonnellate. Tuttavia i vascelli a vapore, almeno nella prima metà del secolo, facevano fatica a decollare. All’imporsi del vapore si frappose la mancanza di stazioni di rifornimento. Lungo le rotte oceaniche occorreva, anche a causa del ridotto rendimento delle prime macchine, una quantità di carbone così elevata che non poteva essere accolta sulla nave e d’altronde i porti capaci di rifornire le navi con combustibile non erano ancora numerosi. Inoltre, sempre nello stesso periodo il trasporto a vela si sviluppò con i clipper, vascelli dotati di uno scafo leggero e allungato capace di rendere minimo l’attrito con l’acqua. Essi erano capaci di trasportare da tremila a cinquemila tonnellate di merci alla velocità di 15 nodi23. La concorrenza che questi vettori esercitarono sulla nascente navigazione a vapore fu molto forte, almeno fino al completamento del Canale di Suez. Nel 1870, l’anno successivo all’apertura dell’istmo egiziano, i vettori a vapore circolanti superarono i velieri per numero, e nel 1875 solo tre Paesi, Norvegia, Canada e Italia, costruivano ancora navi a vela. 22 La portata è il peso massimo delle scorte, del carburante e del carico che può portare una nave. Viene espressa in tpl (tonnellata di portata lorda). 23 Il nodo è un’unità di misura impiegata per esprimere la velocità delle navi equivalente a un miglio marino (1,852 km) per ora. 12 1.2 La costruzione del Canale di Panama: dai francesi agli americani La realizzazione del Canale di Suez, offrendo una rotta alternativa al periplo del Capo di Buona Speranza, ebbe un’influenza diretta sulla costruzione del Canale di Panama (Fig. 1.2) che, a sua volta, avrebbe consentito di evitare la circumnavigazione del continente sudamericano attraverso le acque agitate di Capo Horn. Fig. 1.2 – Il Canale di Panama Fonte: La Documentation photographique Fin dall’origine, questi due passaggi marittimi assunsero una grande rilevanza geopolitica e, allo stesso tempo, si rivelarono fondamentali per gli spostamenti di merci ad alto valore aggiunto, cioè di quei prodotti che nel corso del processo di trasformazione aumentano considerevolmente il loro valore. 13 L’apertura di Panama andava, infatti, a completare lo scacchiere delle rotte del trasporto oceanico perché, insieme a Suez, «offriva la possibilità di utilizzare due passaggi: l’uno a ovest, tra gli oceani Indiano e Atlantico, attraversando il Mar Rosso e il Mediterraneo, l’altro a est, tra gli oceani Atlantico e Pacifico, attraversando il Mar Caraibico »24 (tab. 1.1). Il Canale di Panama fu costruito in un sito molto meno favorevole rispetto a quello in cui fu tracciato Suez e fin dal suo debutto esercitò funzioni molto diverse. «Mentre Suez – scrive Vallega – era teso tra spazi marittimi (il Mediterraneo e i mari costieri africani e asiatici) piuttosto limitati ma con intensa vita di relazione, Panama metteva in collegamento due grandi spazi oceanici di cui uno, quello del Pacifico, era allora caratterizzato da un commercio marittimo piuttosto debole»25. Nonostante ciò, anche Panama aveva una considerevole funzione geostrategica offrendo vantaggi sia alle rotte tra il versante orientale e quello occidentale degli Stati Uniti e del Canada, sia a quelle tra l’Europa e le coste occidentali del Nord e Sud America. Tabella 1.1 – Il Canale di Suez e il Canale di Panama: un confronto CARATTERISTICHE CANALE DI SUEZ CANALE DI PANAMA lunghezza 81 km apertura al transito tra Port Said e Port Tewfik 162,5 km; Tot. 193,30 km 1869 Larghezza 190 m da 90 a 300 m lunghezza chiusa - 305 m larghezza chiusa - 33 m profondità attuale 21 m da 12,4 m a 13,7m durata della traversata 11-16 ore 8 ore numero di navi transitate 17.993 12.582 obbligatorio obbligatorio 1914 nel 2010 Pilotaggio 24 25 VALLEGA A., Geografia delle strategie marittime, op. cit., p. 154. Ibidem. 14 Situata tra l’America del Nord (Messico) e quella del Sud (Colombia), l’America centrale è il Paese degli istmi. In termini strettamente geologici, essa è delimitata a Nord dall'istmo di Tehuantepec, nel Messico meridionale, e a Sud dallo spartiacque dei fiumi Atrato e Tuiria. La Regione situata nell'emisfero occidentale ha una superficie di circa 523.000 km2 e comprende i seguenti paesi: Guatemala, Belize, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama. Caratteristica unica di questa regione è il fatto di essere una sorta di “ponte” tra le due Americhe e, contemporaneamente, un’area di passaggio tra i due oceani, l’Atlantico e il Pacifico, grazie appunto, alla presenza della via acquatica panamense. Nel momento in cui si decise l’esecuzione del canale, Suez si trovava all’incrocio di tre continenti da sempre appartenenti alla storia della civilizzazione europea, a Panama, invece, l’ambiente era invece strettamente americano. Una prima riflessione da fare è che non si può comprendere l’America del sud senza l’America del nord e nemmeno quest’ultima senza la prima. Ed ancora: Le due Americhe, seppur diverse dal punto di vista culturale, si rassomigliano da quello geografico. Ripiegando, per ipotesi, la carta geografica su se stessa, si disegnano delle singolari concordanze: le Ande corrispondono alle Montagne Rocciose, la Pampa alle praterie, il Brasile alle Antille e anche alla Luisiana26. Analoghe somiglianze si riscontrano nella vita economica, sociale e politica, ma non nella storia in quanto gli uomini sono di origine differente: cattolici e latini al sud, protestanti e anglosassoni al nord27. Agli inizi del XX secolo la costruzione del Canale di Panama realizzò un sogno che aveva occupato per più di 400 anni lo spirito di uomini politici, finanzieri e conquistatori. Cristoforo Colombo cercò invano una via d’acqua per l’Asia e morì senza conoscerla. Egli aveva appena scoperto l’America e già cercava questo passaggio verso l’India, vera e propria ossessione per i suoi contemporanei28. Durante la conquista spagnola furono numerose le ricerche della tratta marittima che avrebbe dovuto congiungere l’oceano Atlantico e Pacifico, ma dopo 26 SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 153- 154 Ibidem. 28 I nativi americani gli avevano parlato di uno stretto tra l’Oceano Atlantico e Pacifico. 27 15 Cortés29 sparì la credenza di un canale naturale e nel XVI secolo fu il re Carlo V di Spagna, sotto l’impulso di commercianti e politici, a commissionare uno studio di fattibilità per la costruzione di un canale artificiale. Tuttavia, tali disposizioni cedettero ben presto di fronte al timore di favorire, con la realizzazione di una rotta che attraversasse l’istmo americano, nazioni concorrenti della Spagna come l’Inghilterra e l’Olanda che stavano allargando la loro zona d’influenza nel Nuovo continente. Il tentativo della Spagna quindi si spense e dopo tre secoli finì anche il suo dominio sul territorio panamense che, nel 1821 si dichiarò indipendente annettendosi volontariamente alla Colombia. A partire dall’Ottocento, si manifestarono nuovi scenari geopolitici nei quali gli Stati Uniti assunsero un ruolo di primo piano. Dopo la liberazione delle colonie spagnole, Washington spostò il suo interesse verso l’Ovest con l’annessione, prima dell’Oregon nel 1846, poi della California nel 1848 in cui, nello stesso anno, furono scoperte le miniere d’oro nella valle del Sacramento. A quei tempi non era ancora stata costruita una ferrovia transcontinentale (l’Union Pacific fu inaugurata nel 1870), e i cercatori d’oro necessitavano di una rotta verso l’Ovest che rendesse il trasporto del metallo prezioso più economico. Sebbene il taglio dell’istmo era di primario interesse per gli americani, essi temevano che, compiuta l’opera, l’Europa ne avrebbe assunto il controllo. A tal proposito la dottrina Monroe30, escludendo l’ingerenza dei popoli europei negli affari d’Oltreatlantico, doveva condurre gli Stati Uniti a prendere in mano il compimento dell’impresa. A complicare i piani di Washington ci fu l’Inghilterra, unica tra gli Stati europei a opporsi al monopolio americano sull’esecuzione e lo sfruttamento a proprio vantaggio di una via acquatica nell’istmo. Londra fece, infatti, naufragare il trattato Hise-Silva (1840) tra gli Stati Uniti e il Nicaragua e indusse lo Stato Nord-Americano alla firma di quello Clayton-Bulwer (1850). La convenzione stabilì la neutralità del passaggio, il fatto che una volta ultimato, il canale dovesse 29 Hernán Cortés (1485-1547) è stato un condottiero spagnolo che durante l’impero di Carlo V conquistò il Messico divenendone governatore. 30 La Dottrina Monroe sintetizzata nella frase "L'America agli americani", fu elaborata nel 1823 dal Presidente americano James Monroe. Essa esprime l'idea che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato alcuna interferenza o intromissione nel continente americano da parte delle potenze europee. Sanciva inoltre, la volontà degli Stati Uniti di non intromettersi nelle dispute fra le potenze europee, e fra una potenza europea e le rispettive colonie. 16 essere posto sotto il patrocinio delle potenze contraenti le quali si impegnavano infine, a non esercitare alcuna forma di dominio sull’America centrale. Tale accordo si applicava a tutti i possibili canali artificiali, ed era volto a ridurre le frizioni tra le due entità geopolitiche. In quel periodo i progetti di tagliare l’istmo sorsero numerosi, (da Tehuantepec al nord, a Darien Gap al sud31), ma ne vennero presi seriamente in considerazione soltanto due: quello nella futura Repubblica panamense e quello nel Nicaragua. La costruzione di un canale artificiale che attraversasse il Nicaragua, trovava molti sostenitori, specialmente tra i senatori americani. Seppur più lunga, una via marittima nicaraguense sarebbe di più facile esecuzione grazie alla vicinanza tra l’oceano Pacifico e il lago di Nicaragua (soli 19 km di distanza) a sua volta emissario del fiume San Juan. Navigabile lungo tutto il suo percorso, questo corso d’acqua veniva utilizzato nel XIX secolo per il trasbordo dall'oceano Atlantico al Pacifico: dai Caraibi le navi risalivano il fiume e poi il lago di Nicaragua fino all'istmo di Rivas, i passeggeri e le merci quindi passavano l'istmo via terra, per poi imbarcarsi nuovamente sulle coste del Pacifico, proseguendo il loro viaggio. Durante la fine del XIX secolo vennero avanzati dei progetti per tagliare l'istmo di Rivas, poi accantonati con la costruzione del Canale di Panama. Questi progetti sono stati recentemente ripresi, poiché il Canale di Panama, allo stato attuale, risulta essere inadeguato all'ingente traffico tra i due oceani. Nel 1880, sulla base di un progetto di Ferdinand de Lesseps che si era posto a capo di una società con capitale francese (Compagnie Universelle du Canal Interoceanique du Panama), fu la Francia a tentare la costruzione di un canale a livello tra Colon e Panama, ma in seguito dovette desistere a causa degli elevati costi. Le ragioni dell’insuccesso furono di diverso ordine, anzitutto geologico. Il Centro America infatti, costituisce una delle aree più instabili della crosta terrestre e occupa il margine meridionale della placca caraibica. Circa 25 milioni di anni fa, lo sprofondamento della crosta oceanica sotto questo margine determinò il sollevamento e l'emersione di parte della placca formando inizialmente una penisola e un arcipelago che, in epoche successive, si unirono 31 Il Darien Gap, parte meridionale dello stato del Darien, interrompe la panamericana al confine tra centro e sudamerica e rappresenta un ecosistema di cinque milioni di ettari di foresta pluviale oltre che un rifugio inavvicinabile per la guerriglia del narcotraffico. 17 formando l’istmo. Nello stesso periodo si verificarono violente eruzioni vulcaniche e fenomeni sismici che interessano tuttora la regione e che hanno reso la composizione del suolo disomogenea. Per questi motivi, l’esecuzione di un canale a livello, avrebbe richiesto la rimozione di una notevole quantità di terra e dunque uno sforzo economico non indifferente. Alle difficoltà tecniche e finanziarie bisogna aggiungere l’ostilità delle condizioni ambientali. Compresa tra il Tropico del Cancro e l’Equatore, l’area dell’istmo è caratterizzata da un clima tropicale che dà al territorio il tipico aspetto paludoso della giungla che, durante l’esecuzione dei lavori, favorì l’insorgere di malaria, tifo e febbre gialla. Tali malattie causarono la morte di 22 mila lavoratori dato che all’epoca, le conoscenze sanitarie per ciò che riguardava le malattie tropicali erano insufficienti e sarebbero migliorate solo all’inizio del Novecento quando il cantiere passò agli americani32. De Lesseps si vide costretto ad affidare la direzione a Gustave Eiffel (Digione, 1832 – Parigi, 1923) che continuò i lavori fino alla liquidazione e al fallimento della società francese nel 1889. Fu “la fine dell’avventura francese a Panama e l’inizio della fortuna degli americani nell’istmo”33 Come altre potenze economiche, anche gli Stati Uniti avevano spostato la loro sfera d’influenza nell’America centrale realizzando, tra il 1848 il 1855, la “Transcontinental railroad of the Americas”. I vantaggi, politici ed economici, derivanti dell’apertura di un canale sotto il proprio esclusivo controllo erano ormai evidenti. A questo ideale si opponeva il trattato Clayton-Bulwer, concluso con la Gran Bretagna, il quale fu sostituto da quello Hay-Pauncefote (1901). Con tale accordo Washington ottenne la piena facoltà di costruzione, sfruttamento e amministrazione del Canale di Panama senza cha alcuna potenza potesse intervenire, impegnandosi però, ad assicurare la neutralità in virtù di una serie di stipulazioni e tra esse: 32 A tal proposito, scriveva Siegfried: si ignorava ad esempio, che la causa della febbre gialla è la zanzara stegomiya, mentre della malaria è la zanzara anofele… Nelle finestre degli alloggi non c’erano né vetri, né reti a maglie strette, e per impedire l’invasione delle formiche, i piedi dei letti venivano immersi dentro recipienti pieni d’acqua. Ciò equivaleva a praticare l’allevamento delle zanzare! in: SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 188. 33 COSSU C., “Canale di Panamá, un ascensore tra due oceani” in Solevela, n°62 2007, p. 150. 18 “1° Il Canale resterà liberamente aperto alle navi mercantili da guerra di tutte le nazioni che osservino queste regole, sul piede di eguaglianza assoluta, in modo che non possano essere stabilite distinzioni rispetto ad alcuna di queste Nazioni o dei suoi cittadini circa le condizioni del traffico. 2° Il Canale non potrà essere bloccato né potranno essere compiuti atti di ostilità nelle sue acque mentre è affidata agli Stati Uniti la polizia militare del territorio del Canale”34. Redatta la nuova convenzione, il governo americano rilevò il cantiere francese abbandonato acquisendone i diritti per 200 milioni di lire. Nel 1903, gli Usa stipularono con la Colombia il trattato Hay-Herran che li autorizzava alla costruzione e alla gestione del Canale per cento anni, ma tale accordo non fu ratificato dal Senato colombiano. Solo dopo la separazione di Panama dalla Colombia (3 novembre 1903) fu siglato un nuovo trattato tra la nascente Repubblica panamense e gli Usa, che dal nome dei suoi negoziatori prese il nome di Hay-Banau Varilla (18 novembre)35 per mezzo del quale Washington ottenne in concessione perpetua il canale e il territorio adiacente, detto Zona del Canale, che si estendeva 16 km intorno al canale stesso (8 km per ogni lato), con tutti i diritti, le autorità e i poteri che il governo americano avrebbe esercitato se avesse ottenuto la piena sovranità sul territorio. In cambio gli Stati Uniti garantirono l’indipendenza della Repubblica di Panama, che ricevette un’indennità di 10 milioni di dollari e un versamento annuale di 250 mila dollari. Il trattato Carter-Torrijos del 1977 ha però abrogato tale accordo prevedendo il passaggio del Canale sotto la sovranità panamense, avvenuto alle ore 12.00 del 31 dicembre 1999. Il cantiere riaprì nel 1904, in un primo tempo si lavorò sulla traccia della costruzione di un canale a livello, come previsto dal progetto originario francese, 34 BIANCONI A., Il Canale di Panama: studio riassuntivo della sua importanza nel commercio e nella politica del mondo, in BIANCONI, Francesco Alfonso M., Bollettino del Ministero degli Affari Esteri. Direzione Generale degli affari commerciali, Cartiere centrali, Roma 1915, p. 132. 35 Già ingegnere durante la direzione dei lavori da parte di Ferdinand de Lesseps, Phillippe Banau Varilla, ha un ruolo fondamentale nel far cadere la scelta del taglio dell’istmo (votata dal Senato americano) a Panama piuttosto che nel Nicaragua. 19 ma le difficoltà a condurre scavi tanto profondi invitarono il nuovo direttore dei lavori, il colonnello George W. Goethals (1858-1928), a escogitare un’altra soluzione ingegneristica: una via d’acqua sopra il livello del mare gestita da un sistema di chiuse36. La realizzazione di una tale impresa richiese il reclutamento massiccio sia di manodopera che di personale qualificato. Si distinsero due categorie di lavoratori: la golden force, operai specializzati pagati in dollari; la silver force, operai non specializzati regolati con la moneta locale. I primi, provenienti principalmente dagli Stati Uniti, furono attratti dai trattamenti economici particolarmente vantaggiosi37 loro riservati. Più difficile fu invece l’ingaggio della silver force, anche perché bisognava assumere personale in grado di resistere al clima sub-equatoriale dell’istmo. Nonostante ciò, durante il periodo attivo della costruzione del Canale, si raggiunse una forza lavoro di circa 50 mila unità, formata da europei (spagnoli, greci, italiani e francesi) e da giamaicani38, dunque una manodopera più composita rispetto alla golden force. L’ultimo problema che il cantiere statunitense doveva risolvere riguardava l’attrezzatura. Quella ereditata dalla Compagnia del de Lesseps, ancora in buono stato, comprendeva una collezione di carte e piani che alla fine si rivelarono utili. Tuttavia, dalla cessazione dei lavori da parte della società francese erano passati 15 anni durante i quali erano stati compiuti ulteriori progressi tecnici. Rispetto ai francesi che si erano affidati a macchinari leggeri, adatti all’instabilità del terreno, gli americani preferirono puntare su materiali pesanti, in grado di moltiplicare il rendimento per operaio. La realizzazione del Canale comprese tre periodi: il primo, durante il quale i lavori furono avviati in maniera decisa per convincere l’opinione pubblica che questa volta la via marittima sarebbe stata portata a termine; il secondo, coincise 36 Gli inventori delle chiuse furono gli architetti ducali Filippo da Modena e Fioravante da Bologna. La prima conca costruita è, infatti, quella del 1439 in via Conca dei Navigli a Milano su ordine di Filippo Maria Visconti. 37 Essi ricevevano un trattamento retributivo superiore del 25% rispetto a quello degli Stati Uniti, alloggio gratuito, congedo annuale pagato di sei settimane e un regime fiscale estremamente favorevole. 38 I giamaicani furono assunti perché giudicati particolarmente resistenti al clima subequatoriale dell’istmo. 20 con la gestione dei lavori da parte Stevens39 l’ingegnere che si occupò dell’organizzazione dell’attrezzatura e del materiale; infine il terzo periodo nel quale l’impresa fu ultimata sotto la direzione del colonnello Goethals. Il compimento della via acquatica panamense, da parte degli Stati Uniti, richiese 10 anni e il 15 agosto 1914 fu aperta al transito. Ancón, cargo statunitense, fu la prima nave che attraversò il tracciato inaugurando così la nuova rotta oceanica. L’apertura ufficiale del Canale di Panama avvenne in assenza di celebrazioni, neanche due mesi, infatti, separano quest’evento dall’attentato di Sarajevo all’arciduca Francesco Ferdinando d’Este, passato alla storia come la miccia esplosiva della Grande Guerra. Una coincidenza simbolica visto che da quel momento sarebbe mutato radicalmente l’equilibrio dei continenti. Una cerimonia ci fu nel 1920, quando attraverso le chiuse erano già transitate migliaia di navi e tonnellate merci di ogni sorta. 39 John Frank Stevens (1853-1943) capo ingegnere a Panama dal 1906 al 1908, ha anche costruito la Great Northen Railway, la linea transcontinentale che partendo da St. Paul (Minnesota) arrivava a Seattle (Washington). 21 CAPITOLO 2 Rotte commerciali e risparmi di tempo 2.1 Il transito nei Canali e lo scambio di merci: dalle origini fino alla crisi energetica del ’73. Il trasporto via mare ha origini molto antiche; i Fenici, gli Egiziani e i Romani utilizzavano tale mezzo per comunicare con gli altri popoli. L’avvento del motore a scoppio ha dato un nuovo impulso al trasporto marittimo grazie alla creazione di vettori più veloci e più resistenti1. Nel tempo si è evoluta la navigazione consentendo un notevole sviluppo dei flussi commerciali. I vantaggi procurati dai traffici mercantili lungo le rotte aperte dai grandi navigatori hanno spinto le potenze di mare a cercare nuove vie marittime da percorrere con le proprie flotte. Grazie all’impiego della tecnologia2 e a una migliore conoscenza dell’ambiente fisico dell’oceano, la circolazione marittima ha raggiunto un elevato standard di velocità e sicurezza. Oggi, una grossa fetta del traffico di merci viene movimentata grazie al trasporto marittimo. “Più del 90% del commercio con l’estero e il 43% circa degli scambi all’interno dell’UE avvengono via mare: nel complesso, oltre un miliardo di tonnellate di merci viene imbarcato e sbarcato ogni anno nei porti europei.”3 Le rotte marittime costituiscono fasce di superficie di mare larghe alcuni chilometri, le cosiddette fasce di rotte, che collegano i porti su scala globale, regionale e locale. Esse sono caratterizzate da barriere fisiche e da punti di passaggio obbligati, rappresentati da venti, correnti marine, coste, ghiacciai 1 Per quanto riguarda il materiale utilizzato per la costruzione, le prime imbarcazioni erano in legno, in seguito furono costruite in ferro e poi in acciaio. 2 Oltre agli strumenti di bordo che facilitano la navigazione, ha avuto un ruolo importante la pubblicazione nel 1848 dell’opera di Matthew Fontaine Maury sui venti e le correnti e, dal 1853, la regolare pubblicazione delle Pilots’ Charts: la conoscenza dettagliata dei venti e delle loro variazione permetteva di scegliere le rotte più rapide anche quando queste non coincidevano con i percorsi più brevi. 3 FORTE E., Trasporti, logistica, economia, Cedam, Padova 2008, p. 180-181. 22 perenni, stretti, profondità dei fondali ecc., oltre che confini politici. Le rotte rappresentano dei “corridoi che disegnano archi per il trasporto marittimo intercontinentale cercando di percorrere minori distanze possibili compatibilmente con i vincoli tecnici, fisici e politici a livello mondiale.”4 In genere, la circolazione marittima si svolge lungo le coste, ma in alcune aree geografiche si sono sviluppate delle importanti reti di navigazione interna grazie alla presenza di fiumi e canali navigabili5. Ne sono esempi l’Europa centrale e settentrionale, l’America settentrionale e la Cina. L’importanza e la distribuzione delle rotte è cambiata nel tempo a seguito del progresso tecnologico e dello sviluppo economico. La realizzazione del Canale di Suez e di quello di Panama, ha ridotto notevolmente l’utilizzo delle rotte pericolose attorno al Capo di Buona Speranza e Capo Horn. Il Canale di Suez, attraversa l’istmo egiziano ed è stato aperto nel 1869. Il transito delle navi è organizzato in tre convogli alternati al giorno, da Nord a Sud, da Sud a Nord e ancora da Nord a Sud secondo il seguente schema (tab. 2.1.1). Tabella 2.1.1 – Il transito nel Canale di Suez N1 (Southbound Convoy 1) From Port Said at hr 00.00 N2 (Southbound Convoy 2) From Port Said at hr 07.00 S1 (Northbound Convoy 1) From Suez at hr 06.00 Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011. I convogli si incrociano nel Grande Lago Amaro e al by-pass di al-Balla. Le navi si susseguono a una distanza di circa un miglio marino, e la velocità è limitata a 11-16 chilometri all’ora. L’intervallo tra i vettori in un convoglio è di circa 10-16 minuti che corrispondono a una distanza di 2-3 chilometri. Il pilotaggio è obbligatorio per qualsiasi tipo di imbarcazione. 4 Ivi p. 328-329. Il Canale di Kiel ad esempio, lungo 98 chilometri, collega il Mar del Nord al Mar Baltico. Il canale, tramite il quale si evita la circumnavigazione della penisola dello Jutland permettendo un risparmio di 280 miglia nautiche (519 km), è la via d'acqua più utilizzata al mondo. Anche il Golfo di San Lorenzo, situato nell’Oceano Atlantico in corrispondenza delle coste del Canada, mette in comunicazione l’Atlantico con la regione dei Grandi Laghi tramite il fiume San Lorenzo che sfocia nel golfo. 5 23 Fino al 1840, la rotta del Capo era considerata la via “classica”, l’unica interamente navigabile, il traffico merci dal Mar Rosso al Mediterraneo poteva essere effettuato solo tramite trasbordo mare-terra. Nella seconda metà del XIX secolo, l’inaugurazione del Canale di Suez cambiò la geografia di una parte delle rotte. I flussi commerciali dell’Europa, dell’Africa e dell’Australia furono organizzati secondo nuovi criteri: i mercati e le borse portuali dovettero adattarsi a nuove tipologie di noli e la costruzione delle imbarcazioni fu pianificata secondo le nuove esigenze. Il passaggio per il Canale era, infatti, più semplice per le navi a vapore dato che quelle a vela non riuscivano a bordeggiare. Questo sarebbe stato un imprevisto trascurabile se da Port Said a Suez fossero transitate poche decine di unità al giorno: ma presto la via d’acqua divenne molto trafficata. Inoltre, la navigazione a vela continuava a preferire la rotta tradizionale del Capo per altre due ragioni: le notevoli spese di transito e di rimorchio alle quali dovevano necessariamente sottostare i vascelli, anche se scarichi; le difficoltà che le imbarcazioni incontravano durante i viaggi nel Mar Rosso, soprattutto per la forte instabilità dei venti. L’apertura di una via diretta attraverso il Mar Rosso, secondo l’opinione allora diffusa, avrebbe dovuto favorire il Mar Mediterraneo a danno del Mar del Nord e, in misura minore, dell’Atlantico. Un ruolo di primo piano lo avrebbe potuto giocare la città di Trieste. Nel porto triestino, infatti, sarebbero affluite le merci provenienti dalla Cina e dall’India, un tempo destinate al Nord Europa attraverso gli scali di Amsterdam e Londra. In realtà, tale scenario non si verificò e i mari europei occidentali e settentrionali continuarono la loro espansione nello scacchiere del trasporto oceanico senza risentire negativamente dell’apertura della nuova rotta. I loro porti, già protagonisti del commercio marittimo internazionale, non incontrarono difficoltà nell’adeguarsi alle nuove condizioni imposte dalla via breve di Suez e proseguirono nell’incremento dei loro commerci. In ciò, furono avvantaggiati dagli investimenti nella costruzione dei vettori, compiuti per accelerare la sostituzione dei velieri con le navi a vapore, in grado ormai di effettuare trasporti dalle Indie agli scali marittimi tedeschi e olandesi nel giro di un mese. I porti mediterranei, invece, non furono capaci di adeguarsi alle mutate esigenze della navigazione oceanica e, soprattutto nel breve periodo, non 24 riuscirono a sfruttare i vantaggi offerti dalla nuova via marittima. I motivi furono diversi: in primo luogo, il deludente avvio dei transiti attraverso il Canale di Suez; in secondo luogo, la generale crisi della marina italiana e degli altri Paesi mediterranei; infine, l’incertezza della politica governativa austriaca, nonché l’incapacità dei ceti mercantili locali di seguire le grandi trasformazioni che si andavano attuando in campo internazionale6. Sin dai primi anni dell’apertura del Canale di Suez, furono in molti a rimarcare la modesta entità dei transiti, soprattutto a fronte di quanto era stato detto negli anni precedenti. Se dal 1870 al 1874, la crescita dei transiti era stata indubbia, tra il 1885 e il 1887 si registrò una notevole flessione del traffico attraverso la via marittima (tab. 2.1.2). Tabella 2.1.2 – Transiti attraverso il Canale di Suez dal 1870 al 1889 distribuiti per nazionalità. (in migliaia di tonnellate). Anni Navi 486 Regno Unito 289 1870 Francia 85 1871 765 546 89 1872 1.082 1.060 1874 1.264 1879 Germania AustriaUngheria 19 Italia Totale 6 436 2 39 27 761 163 12 53 48 1.439 1.797 223 40 84 63 2.424 1.447 2.506 262 22 71 94 3.237 1885 3.624 4.864 574 199 120 159 6.336 1886 3.100 4.437 476 210 137 125 5.768 1888 3.440 5.223 387 238 123 267 6.641 1889 3.425 5.353 362 289 117 187 6.783 _ Fonte: LO GIUDICE G., I riflessi economici del taglio dell’istmo di Suez sui traffici marittimi triestini, in LEONARDI A., Atti del Convegno internazionale: Luigi Negrelli ingegnere e il Canale di Suez, Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, Trento 1990, 329-368, p. 331 (modificata) Al di là della stasi del traffico navale nel primo ventennio di esercizio del Canale, i dati mostrano la netta prevalenza del tonnellaggio inglese, che si mantenne su una media del 65/78%. Questi dati smentivano, quindi, le previsioni 6 Queste inadeguatezze riguardavano tanto il porto di Trieste quanto quello di Fiume, città che appartenevano all’Impero austro-ungarico. Le due città scontavano anche il fatto di non essere ben collegate, tramite ferrovie, con altri centri di smercio. 25 di quanti avevano ipotizzato sia un impatto negativo per le flotte dell’Europa centrale e settentrionale, sia uno scarso interesse da parte di Londra alla nuova rotta. La tabella mostra anche, come l’influenza della marina austriaca diminuì costantemente, scendendo dal 4% nel 1870, al 3,7% nel 1875, per giungere all’1,8% nel 1889. Tale anno rappresentò il punto di partenza di uno sviluppo di grande portata nelle relazioni internazionali, le statistiche relative al periodo che va dall’ultimo decennio del 1800 al Secondo Conflitto Mondiale dimostrano chiaramente la portata del traffico merci nel Canale. (tab. 2.1.3). Tabella 2.1.3 – Traffico nel Canale di Suez: dall’ultimo decennio del XIX secolo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale (tonnellate nette). Anno Tonnellate 1889 2.263.332 1908 13.633.283 1912 20.275.120 1914 19.409.495 1917 8.368.918 1919 16.013.802 1929 33.466.014 1932 28.340.290 1937 36.491.332 1938 34.418.187 Fonte: SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 92 (modificata). Il tonnellaggio netto indica la quantità di merci transitate e, allo stesso tempo, la “prosperità” del Canale dato che i pedaggi venivano calcolati sulla base della quantità di merci che passavano per Suez. Un’analisi dei dati più accorta mostra, tuttavia, come i traffici abbiano risentito negativamente delle tre grandi crisi che hanno scosso la prima metà del Novecento. La prima, provocata dalla Grande Guerra, causò un calo dei flussi mercantili da 1914 al 1917. La seconda, 26 verificatasi in seguito al crollo di Wall Street del 1929, raggiunse l’apice nel 1932 quando furono trasferite attraverso il Canale solo 28.340.290 tonnellate di merci. Da quell’anno iniziò un netto incremento degli scambi commerciali interrotto nuovamente alla vigilia del secondo Conflitto Mondiale. L’anno in cui la crisi fu più acuta fu il 1942, poi cominciò una lenta ripresa a partire dal 1943. Nel 1946 fu ristabilito il livello dei transiti della fine degli anni trenta. In complesso, le statistiche rivelano una tendenza evolutiva dei traffici via Suez nonostante alcune flessioni dovute a crisi di una certa gravità. Le navi e le merci transitate per la via marittima egiziana negli anni immediatamente successivi alla sua apertura, aumentarono considerevolmente. Per conoscere la ripartizione geografica dei traffici mercantili che riguardano il Canale di Suez, può essere utile un confronto tra i periodi che hanno preceduto le due guerre mondiali (tab. 2.1.4). Le statistiche si riferiscono agli scambi commerciali intrattenuti dall’Europa con le altri parti del mondo. I dati più interessanti riguardano: la diminuzione relativa dei flussi mercantili provenienti e diretti in India e in Estremo-Oriente; l’aumento del traffico del Golfo Persico, di ben diciannove volte, e del Mar Rosso, di nove, incrementi dovuti rispettivamente, al trasporto del greggio dall’area araba verso l’Europa7, e all’attività militare italiana dovuta alla Guerra d’Etiopia nel 1935-36; la bassa percentuale degli scambi commerciali con Australasia dato che in queste rotte in Canale di Suez entrava in concorrenza con la rotta del Capo. Riguardo al tipo delle merci scambiate, occorre distinguere tra il traffico Nord-Sud e quello nella direzione opposta, ovvero Sud-Nord. In generale si trattava di un interscambio di tipo complementare visto che l’Europa esportava prodotti finiti o semilavorati, mentre importava materie prime. Nello specifico, le principali merci della direttrice Nord-Sud si presentavano in un ordine assai differente alla vigilia delle due guerre. Nel 1913, infatti, le voci più importanti erano costituite da metalli e materiali per la costruzione di ferrovie, mentre il carbone il petrolio, il sale e il cemento erano presenti in misura inferiore. Nel 1938, se i metalli continuano a mantenere il primo posto, le esportazioni europee 7 Il Canale di Suez, almeno fino agli anni Sessanta del Novecento, sarà considerato la via imperiale del petrolio. 27 di petrolio e carbone subiscono un forte decremento. Aumenta, invece, l’export di cemento e di altri materiali per da costruzione di fabbriche. Tabella 2.1.4 – Ripartizione del traffico attraverso il Canale di Suez secondo la destinazione e la provenienza delle merci. 1913 1938 Da o verso l’India e l’Estremo-Oriente 79,7% 61,2% Da o verso il Mar Rosso, il Golfo Persico e l’Africa 7,8% 31,1% Golfo Persico 1,4% 16,6% Mar Rosso e Golfo di Aden 1,3% 7,6% Africa Orientale e isole 5,1% 6,9% Da o verso l’Australasia 9,9% 6,5% Da o verso la costa americana del Pacifico etc.. 2,6% 1,2% Fonte: SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 102 (modificata). Con la crescita industriale di Paesi fino ad allora in ritardo di sviluppo cresceva l’esigenza di importare materie prime da impiegare nelle fabbriche. Completamente diversa la composizione della direttrice Sud-Nord. Tra i beni acquistati dall’Europa nel 1913 al primo posto figuravano cereali, legumi e altri prodotti alimentari8, seguiti da prodotti tessili e, in misura minore, minerali e metalli. Nel 1938, la componente principale delle esportazioni verso il Vecchio Continente era rappresentata dal petrolio che costituiva il 24,8% del traffico SudNord. Seguivano i prodotti alimentari e le altre materie prime. L’Europa non importava più spezie, pietre preziose e altri articoli di lusso come nei secoli precedenti. I flussi in direzione Sud-Nord prevalevano nettamente su quelli in direzione opposta, e il divario crebbe a partire dagli anni Trenta, quando, come si è detto, le correnti di petrolio dal Golfo Persico all’Europa si affiancarono al tradizionale trasporto di spezie e ad alcuni minerali. A questo proposito, ne fa fede, l’indice di carico lordo, cioè il rapporto tra le merci trasportate e la stazza delle navi, 8 Riso, arachidi, the, caffè, frutta, carne etc.. 28 calcolato da Vigarié9. Per i flussi in direzione Sud-Nord l’indice variava tra 900 e 1.300 chilogrammi trasportatati per ogni tonnellata di stazza, mentre in direzione opposta tra 300 e 800 chilogrammi per ogni tonnellata di stazza. La differenza si doveva al fatto che le navi cisterne oltre ad avere portate superiori rispetto a quella delle altre navi, transitavano vuote durante i viaggi di ritorno. Dopo la fine della prima guerra mondiale, quindi, l’importanza strategica di Suez aumentò notevolmente, poiché, attraverso questa via d’acqua, pervenivano i rifornimenti di greggio dal Medio Oriente. Nel 1936, Gran Bretagna ed Egitto firmarono il Trattato Anglo-Egiziano che, modificando la Convenzione di Costantinopoli del 1888, permise l’installazione di basi militari inglesi sulle rive del Canale. Alla fine degli anni Trenta, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, il trasporto di merci attraverso la via marittima diminuì sensibilmente. La fine del conflitto segnò una netta ripresa dei transiti che aumentarono costantemente per tutto il decennio successivo. L’esercizio del Canale di Suez fu bruscamente interrotto nel 1956 allorché Nasser, decise la nazionalizzazione della compagnia che gestiva il Canale. Le truppe militari francesi e britanniche intervennero in concomitanza con il secondo conflitto arabo-israeliano10. A seguito delle pressioni di Unione Sovietica e Stati Uniti e dell’intervento dell’ONU, Francia e Regno Unito si rassegnarono a riconoscere la sovranità egiziana sulla via d’acqua. Il Canale fu riaperto nell’aprile del 1957 anche se perdurò il divieto di transito per le navi israeliane, deciso in seguito al primo conflitto arabo-israeliano del 1948. La breve chiusura del Canale di Suez ebbe ripercussioni anche sulla cantieristica navale. A partire dagli anni Cinquanta cominciò una sorta di gara alla costruzione di navi sempre più grandi. Nel 1956 entrò in esercizio la Universal Leader, che con le sue 85 mila tpl rappresentava una petroliera di dimensioni enormi per quei tempi. Nell’anno successivo, con il varo della Universal Apollo fu superata la soglia delle 100 mila tpl. Ciò diede inizio a una corsa che prese il nome di “gigantismo navale” le cui motivazioni andavano ricercate nel timore che 9 VIGARIE A., Géographie de la circulation maritime, II, La circulation maritime, op. cit., p. 228-242, 252-259. 10 Nell’ottobre del 1956 Israele aveva invaso la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza facendo rapidi progressi verso la zona del Canale. 29 il Canale di Suez, ormai via fondamentale per il trasporto del petrolio arabo, potesse nuovamente e durevolmente essere chiuso. Tuttavia, le vicende del 1956 non fecero altro che accelerare un processo iniziato già negli anni precedenti, quando i miglioramenti tecnologici che consentivano la costruzione di navi di crescente portata11, insieme all’aumento della domanda di idrocarburi, avevano fatto intravedere la prospettiva di ridurre il costo unitario del trasporto. Nel decennio successivo alla prima crisi di Suez si procedette alla realizzazione di una classe di navi che, in seguito, sarebbe stata denominata MSCCs (Medium Size Crude Carriers) che comprendeva i vettori tra le 60 e le 150 mila tpl. Nella seconda metà degli anni Sessanta la propensione alla costruzione di navi sempre più grandi ebbe un tale incremento da indurre le compagnie armatrici alla realizzazione di una nuova classe di vettori che prese il nome di VLCCs (Very Large Crude Carriers) con portate comprese tra le 150 mila e le 350 mila tpl. Navi particolarmente famose che appartengono a questa classe sono: la Tokyo Maru, 151 mila tpl, varata nel 1965; la Idemitsu Maru, 206 mila tpl, nel 1966; la Universe Ireland, 227 mila tpl, nel 1968. Negli anni Settanta furono costruiti i primi vettori della classe ULCCs (Ultra Large Crude Carriers), che comprendeva una tipologia di navi con portata superiore alle 350 mila tonnellate. Ne costituirono esempi la Nisseky Maru (372 mila tpl) e la Globtik Tokyo (484 mila tpl), realizzata nel 1973. Alla stessa classe appartengono la Batillus da 540 mila tpl, la Prairal da 542 mila tpl e la Sea Wise Giant12, da 564.500 tpl (tab. 2.1.5). Tabella 2.1.5 – Classi dimensionali delle petroliere TIPO PETROLIERA Medium Size Crude Carrier, MSCC Very Large Crude Carrier, VLCC secondo la Drewry Shipping Consultant 60-150 secondo l’OCSE 150-350 100-350 non definite 11 La messa a punto di nuove tecnologie nella cantieristica navale portarono a un incremento della portata e a un accrescimento della velocità dei vettori. 12 La Sea Wise Giant varata nel 1975 e posta in esercizio dal 1979, è tutt’ora la nave più grande al mondo. Nel 1980 fu sottoposta a jumboisatation, cioè ad ampliamento, dai norvegesi. 30 Ultra Large Crude Carrier, ULCC oltre 350 350-550 Intervallo di portata in migliaia di tpl Fonte: VALLEGA A., Geografia delle strategie marittime, op. cit., p. 119. Dopo la riapertura del Canale i flussi commerciali continuarono ad aumentare di anno in anno fino alla seconda chiusura, questa volta duratura, della via marittima egiziana. Nel 1965, transitarono nella direzione Nord-Sud complessivamente, 42.001.000 tonnellate di merci13 ripartiti in: - 7.908.000 tonnellate di prodotti petroliferi raffinati, la maggior parte provenienti dal Mar Nero e destinati per la metà in Giappone; - 8.042.000 tonnellate di prodotti costituiti per la maggior parte da cereali, provenienti dal Continente Americano e destinati all’India al Pakistan e alla Cina; - 4.727.000 tonnellate di prodotti metallurgici esportati principalmente dagli Usa e dall’U.R.S.S. Tali prodotti erano destinati a diversi Paesi del litorale asiatico; - 5.168.000 tonnellate di fertilizzanti provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti, destinati ai Paesi asiatici più popolati; - altri prodotti e materiali da costruzione come il cemento (1.125.000 tonnellate), genericamente ripartiti. Nello stesso anno, in direzione Sud-Nord, il petrolio rappresentò di gran lunga il flusso commerciale principale. Nel 1965, infatti, transitarono circa 155 milioni di tonnellate di greggio, ovvero l’84,5% del traffico verso il Mediterraneo. In pratica, più di un terzo della produzione petrolifera del Medio Oriente, attraversò il Canale per giungere in Europa, negli Stati Uniti (5.771.000 t), e nel resto dell’America. I dati confermano come Suez fosse ormai diventata una rotta fondamentale per il rifornimento di petrolio. Le altre merci che transitarono verso 13 VIGARIE A., Géographie de la circulation maritime, II, La circulation maritime, op. cit., p. 234. 31 Nord ammontarono a 28.355.000 tonnellate, una quota decisamente inferiore rispetto alla corrente opposta. Le merci si dividevano in: - 7.116.000 tonnellate di minerali di ferro e altri prodotti metallurgici destinati principalmente al Nord America; - 2.665.000 tonnellate di cerali; - 1.816.000 tonnellate di prodotti tessili grezzi; - altri prodotti. Le statistiche mostrano come la rotta di Suez, fosse diventata una via fondamentale del commercio internazionale, paragonabile per importanza al track14 Atlantico. Nel 1965 vi transitavano le flotte più grandi: quella della Liberia, con il 19,6% del tonnellaggio, quella inglese (16,7%), e quella norvegese (15,1%). In pratica, queste tre bandiere rappresentavano circa la metà del traffico. Seguivano la Francia (6,5%), l’Italia (5,1%), la Grecia (3,9%), l’Unione Sovietica, la Repubblica Federale Tedesca, Panama e gli Stati Uniti. La presenza massiccia della flotta liberiana trae origine dal fenomeno delle bandiere ombra (flags of convenience) che consiste nella immatricolazione di navi in Paesi compiacenti, diversi da quelli in cui risiede l’effettivo proprietario. Tale espediente offre la possibilità di godere di un trattamento fiscale praticamente simbolico per quanto concerne i tributi relativi alla navigazione, e di occultare i redditi derivanti dall’attività armatoriale. Terminata la seconda guerra mondiale, la Liberia divenne una delle più importanti bandiere di “comodo”15. 14 Il temine track nella letteratura marittima è utilizzato per indicare sia la rotta, sia un fascio di rotte, un itinerario intensamente marittimo frequentato. 15 Nel 1922 la Universal American Line registrò a Panama alcune navi da crociera per sottrarle alla legislazione antiproibizionista. Si trattò di un episodio in apparenza irrilevante, ma che in realtà diede il via al fenomeno delle bandiere di comodo. Negli anni cinquanta diversi Stati si offrirono come registro per immatricolare navi e a Panama si aggiunsero l’Honduras, la Liberia e la Costa Rica. Si formò così il complesso PanLibHonCo (dalle iniziali degli Stati). 32 Nel 1967, l’Egitto decise di chiudere nuovamente il Canale di Suez come reazione alla Guerra dei sei giorni16 che si era conclusa con il successo dell’esercito di Israele. I Paesi industrializzati, come gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone, capirono che quella chiusura sarebbe durata a lungo17 e che, quindi, era necessario studiare un’altra strategia per il trasporto del petrolio dai Paesi produttori del Golfo Persico ai Paesi consumatori. Ciò equivaleva a prendere in considerazione la rotta del Capo di Buona Speranza con l’inevitabile conseguenza di un aumento dei costi per la maggiore distanza da percorrere. Occorreva, dunque, varare petroliere di dimensioni elevate, capaci di offrire costi di trasporto sufficientemente bassi. La chiusura del Canale di Suez, durata ben otto anni, finì per alimentare la corsa al gigantismo che si era innescata nel decennio precedente. All’inizio degli anni Settanta si stavano progettando vettori di 700 mila tpl e si era pensato perfino di raggiungere la soglia di un milione di tonnellate. Proprio in quegli anni, la Francia cominciò a costruire il terminale petrolifero di HavreAntifer. Il porto, situato sulle rive dell’Atlantico, poco a Sud della foce della Senna, vanta fondali tanto profondi da poter accogliere petroliere da un milione di tpl e da provvedere alla loro manutenzione. Tale scalo marittimo è frequentato dalla Prairal e dalla Jahre Viking (Sea Wise Giant). Il caso del Canale di Panama è molto diverso. Suez si trova su un istmo sabbioso e in una zona desertica. Il territorio è completamente pianeggiante e il clima è secco. La via marittima panamense, al contrario, attraversa una regione montagnosa e geologicamente eterogenea, dove le piogge sono molto frequenti. Suez è un Canale a livello, Panama è una via d’acqua sopra il livello del mare gestita da un sistema di chiuse. Per attraversare il Canale, infatti, le navi devono superare tre laghi artificiali e sei conche, munite chiuse, create apposta per superare forti dislivelli. Ogni chiusa è delimitata da una coppia di porte ed è compresa tra due muri longitudinali in cui sono collocate le bocche di scarico e 16 La Guerra dei sei giorni rappresenta la terza Guerra arabo-israeliana. Essa scoppiò il 5 giugno del 1967 quando le forze aree di Tel Aviv attaccarono con successo Egitto, Siria e Giordania. Con questa vittoria Israele occupava l'intera penisola del Sinai e la striscia di Gaza che fino ad allora era rimasta sotto amministrazione militare egiziana, oltre all'intera Cisgiordania (Gerusalemme compresa) e le alture del Golan a nord-est, sottratte invece alla Siria. Sono questi (tranne il Sinai poi restituito all'Egitto in seguito agli accordi di Camp David del 1978) i cosiddetti "Territori Occupati". 17 Il Canale fu riaperto infatti il 5 giugno del 1975. 33 d’adduzione che aumentano e diminuiscono il livello dell’acqua. Quando una nave varca la prima porta, questa subito si chiude alle sue spalle per permettere il pompaggio o lo svuotamento dell’acqua necessaria a raggiungere il livello del tratto successivo da attraversare. Il modo più semplice per comprendere il funzionamento del Canale è immaginare di percorrerlo (Fig. 2.1). Nell’intraprendere questo viaggio, il problema principale è rappresentato dal superamento dell’altopiano interno. Partendo dall’Oceano Atlantico, occorre salire di quota rispetto al livello del mare. Percorsi ventitré chilometri dal Mar delle Antille, si arriva al bacino artificiale di Gatún che si trova 25,9 metri sopra il livello del mare. Qui entra in gioco il primo sistema di chiuse, quello di Gatún appunto, che consente alla imbarcazioni di salire fino al livello del lago. Proseguendo verso Sud-Est si arriva alla “Trincea della Culebra”18, che costituisce il punto più stretto del Canale. Al temine di questo tratto, si incontra il secondo sistema di chiuse, quello di Pedro Miguel. Esso abbassa il livello dell’acqua di oltre nove metri, quel tanto che basta per adeguarsi al Lago Miraflores, 16,5 metri. Le chiuse di Miraflores conducono le navi direttamente nell’Oceano Pacifico19. Il Canale di Panama, inaugurato nel 1914, rimase chiuso l’anno successivo a causa di una frana nel Culebra Cut20. Conobbe invece un rapido sviluppo dopo la prima la prima guerra mondiale. Tuttavia, anche nella via acquatica americana i transiti risentirono negativamente della crisi del ’29 e, dello scoppio della seconda guerra mondiale. Anche a Panama occorreva distinguere due direttrici di flussi commerciali. La corrente Ovest-Est, o Pacifico-Atlantico, e quella nella direzione opposta. La prima direttrice, nel 1929, rappresentava la quota di traffici più consistente: all’alba degli anni trenta essa corrispondeva al 68% del totale, mentre nel 1938 al 65%. In sostanza, su un flusso commerciale di 27.386.000 tonnellate, la corrente 18 La Trincea della Culebra è conosciuta anche come “Taglio di Gaillard” dal nome di uno dei suoi costruttori. 19 Il livello dell’Oceano Pacifico dovrebbe superare di venti centimetri quello dell’Oceano Atlantico. 20 IL Canale fu riaperto al transito dopo sette mesi. 34 Ovest-Est muoveva 17.697.000 tonnellate di merci. Si trattava principalmente di materie prime pesanti importate dai Paesi industrializzati (tab. 2.1.6). Fig. 2.1 – La rappresentazione del Canale dalle chiuse di Gatún a quelle di Miraflores. Fonte: www.solevela.net Tabella 2.1.6 – Il Traffico mercantile a Panama nella direzione Ovest-Est (1924-1938). 1924 1938 Petrolio 50% Petrolio 16% Legna 9% Legna 16% Nitrati 9% Minerali 12% Grano 7% Zucchero 8% Metalli 5% Nitrati 8% Fonte: SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 258 (modificata). Il dato più interessante è rappresentato dal declino del trasporto di petrolio nella seconda metà degli anni trenta. Il trasporto del greggio aveva dato un forte impulso ai traffici attraverso il Canale ma dopo un’intensa attività estrattiva nella California, i giacimenti di idrocarburi si andavano esaurendo. Nello stesso tempo, la produzione del Texas e del Venezuela, subiva un forte incremento. Nel 1938, il petrolio proveniva per il 55% dalla costa Pacifica del Nord America e per il 45% dalla costa Sudamericana: esso era diretto per il 52% negli Stati Uniti e per il 48% in Europa e nel Canada. I trasporti di merci lungo la direttrice Est-Ovest riguardavano prodotti manifatturieri esportati nei Paesi meno evoluti. La direttrice Est-Ovest, che corrispondeva alla corrente Nord-Sud del Canale di Suez, nel 1938 era costituita da 9.689.000 tonnellate di merci (tab. 2.1.7). 35 Tabella 2.7 – Il Traffico mercantile a Panama nella direzione Est-Ovest (19241938). 1924 Prodotti metallurgici Petrolio 1938 21% Minerali e metalli 20% 12% Prodotti metallurgici Petrolio 19% Materiali per la costruzione di ferrovie Altri prodotti 3% Materiali per la costruzione di ferrovie Cemento 5% 4% Altri prodotti 1% 9% 3% Fonte: SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 260 (modificata) Come risulta dalla tabella, lungo questa direttrice la fetta maggiore dei traffici è costituita dai prodotti manifatturieri (57%). I Paesi industrializzati (Europa e Stati Uniti), esportavano semilavorati o prodotti finiti verso le regioni relativamente nuove del Pacifico. Questa situazione sembrava riprodurre gli scambi tra l’Europa e l’Asia che passavano per Suez. Un’analisi più approfondita, tuttavia, mostrava delle eccezioni: in primo luogo, la California esportava numerosi prodotti manifatturieri verso l’Atlantico; in secondo luogo, il Giappone importava sia cotone grezzo del Mississippi, sia prodotti metallurgici, ovvero materie prime. Nel 1938, 5.524 navi passavano per il Canale, così divise: 32,2%, Stati Uniti; 23,1%, Inghilterra; 12%, Norvegia; Germania, 6,4%; Giappone, 5,4%. Questi dati, già allora, mostravano come l’aspetto locale fosse poco rilevante sia nei transiti attraverso il Canale di Panama sia in quelli per Suez21. In generale, si trattava di scambi internazionali il cui livello era influenzato dall’andamento dell’economia mondiale. Lo scoppio della seconda guerra mondiale comportò una diminuzione dei transiti anche nell’istmo panamense. Tuttavia gli effetti del conflitto si fecero 21 Tuttavia, a Panama, il traffico intercostiero tra i due versanti oceanici degli Stati Uniti giocava un ruolo non indifferente. In tal caso, non si trattava di scambi internazionali ma di commercio interno. Tale flusso ha una grande valenza anche oggi. 36 sentire solo a partire dal 1941 con l’entrata in guerra degli Stati Uniti22. A partire dal 1946, i transiti attraverso il Canale si ristabilirono, raggiungendo e superando il livello ante-guerra. Nel 1966, 12.601 navi transitarono per Panama trasportando circa 83 milioni di tonnellate di merci23. Date le sue dimensioni, il Canale non subì alcun beneficio dalla propensione al gigantismo che in quegli anni caratterizzava la flotta mondiale. All’alba degli anni Sessanta, la circolazione verso Ovest diventò di gran lunga la più importante dato che comprendeva una grande quantità di prodotti finiti. Nella direzione opposta, invece, venivano trasferite principalmente materie prime e prodotti alimentari; in particolare: zucchero proveniente dalle Hawaii e dalle Filippine; legna e minerali provenienti dall’America Latina; cereali e frutta. Le rotte marittime più importanti erano costituite dal flusso coast to coast statunitense e canadese. Esso rappresentava circa l’8% del traffico totale. Si trattava, ovviamente di cabotaggio24 nazionale intercostiero. Per quanto riguarda il commercio estero, i transiti più rilevanti avvenivano tra la costa Atlantica e l’Estremo Oriente. Molto interessante, da questo punto di vista, la percentuale delle merci trasportate tra New York e il Giappone, pari al 30,3 %. In sostanza, tale rotta forniva i tre quarti delle merci in senso Est-Ovest. Nel complesso, i due terzi del traffico, tra quello interno e quello internazionale, riguardava gli Stati Uniti. Tuttavia, molti altri Paesi utilizzavano il Canale per i loro commerci, per esempio, i Paesi europei utilizzavano le rotte Londra-Wellington o LondraAuckland per raggiungere l’America del Sud e l’Oceania. Si trattava delle rotte commerciali più lunghe al mondo. Alla fine degli anni Sessanta, l’importanza di Panama da un punto di vista economico era minore rispetto a Suez. Ciò è dimostrato anche dal fatto che in quegli anni il Canale di Panama aveva abbassato il proprio indice di carico, che nel corso del decennio precedente scese da 1.600 a 1.000 chilogrammi per 22 23 A Panama gli effetti della guerra non furono cos’ marcati come a Suez. Gli Stati Uniti, in quel periodo, trasportavano il petrolio dell’Alaska verso la costa orientale. 24 Con il termine cabotaggio si intende un viaggio per mare generalmente non lontano dalle coste. 37 tonnellata di stazza lorda25. Gli effetti, sarebbero stati più ancora più sensibili se non fossero stati attenuati dall’aumento del trasporto di petrolio e dall’espansione dei flussi di merce varia in direzione Est-Ovest. Un ulteriore fattore intervenne a sostegno dei commerci via Panama, la nascita della containerizzazione26, “l’evento più innovativo della storia del trasporto marittimo” (Vallega, 1997, p. 124). Questa nuova concezione, basata sulla standardizzazione del carico, comportava l’adattamento delle navi. Oltre ai vettori, nave, autotreno e carro ferroviario, anche i mezzi di movimentazione come le gru e i carrelli dovevano essere standardizzati. Nel 1956, Malcom MacLean, autore dell’invenzione, progettò la conversione di alcune petroliere in navi cellulari adibite al trasporto di contenitori. Nel 1958 le navi, le prime portacontainer della storia, cominciavano il loro servizio tra New York e Portorico. Il trasporto containerizzato all’inizio stentò a decollare, ma poi si diffuse negli anni successivi. Nel 1962 venne attivata una linea tra New York e la California attraverso il Canale di Panama e due anni dopo una linea per l’Alaska. In seguito il servizio si sarebbe esteso anche sulle rotte oceaniche. In conclusione, il Canale di Suez aveva una valenza strategica maggiore rispetto a quello di Panama, anche la via marittima Centroamericana giocava un ruolo importante per il commercio internazionale essendo il collettore di rotte fondamentali: tra l’Oceano Atlantico e i mari dell’Estremo Oriente, tra il versante atlantico del Nord America e quello occidentale dell’America del Sud, tra la California, il Canada e il Vecchio Continente, infine tra l’Europa e le coste americane del Pacifico e tra lì Europa e l’Oceania. 25 VIGARIE A., Géographie de la circulation maritime, II, La circulation maritime, op. cit., p.253. 26 Il container fu inventato da Malcom MacLean, nel 1956. Egli concepì l’idea di rinchiudere le merci in scatoloni e di adeguare la nave alla merce non più imballata in una pluralità di modi e cioè scatole, casse e sacchi, ma racchiusa in parallelepipedi tutti uguali. 38 2.2 Dagli anni Settanta ai nostri giorni. L’apertura del Canale di Suez e di Panama ha rivoluzionato lo scacchiere del trasporto oceanico offrendo alle compagnie navali due vie che consentono notevoli risparmi di tempo ed evitano di circumnavigare il continente africano e sudamericano. Dal punto di vista delle distanze, il vantaggio di entrambi i Canali sulle rotte attorno al Capo di Buona Speranza e Capo Horn è incontestabile quale che sia il percorso intrapreso; tuttavia esso non è lo stesso per tutti i tragitti. Per quanto riguarda il Canale di Suez, in sintesi, si possono distinguere tre tipi di tragitti a seconda del beneficio consentito: I.Beneficio maggiore: Liverpool-Mumbai. a) via Capo di Buona Speranza b) via Suez (risparmio: 42%). II. Beneficio medio: Liverpool-Yokohama. a) via Capo b) via Suez (risparmio: 24%). III. 10.680 miglia 6.223 miglia 14.436 miglia 11.113 miglia Benefico minimo: Liverpool-Melbourne. a) via Capo b) via Suez (risparmio: 8%). 11.890 miglia 11.018 miglia Gli esempi mostrano con chiarezza che l’India si trova più “vicina” rispetto all’Estremo Oriente e, a maggior ragione, rispetto all’Australia. Per la stessa ragione, sono i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo a beneficiare delle più forti economie nei percorsi, ad esempio, Istanbul-Mumbai 70%, Genova-Mumbai 58%, contro il 42% della rotta Liverpool-Mumbai. Con una riduzione dell’88% rispetto al tragitto via Capo, la rotta Jeddah-Atene (Piraeus) via Suez permette il risparmio massimo (tab. 2.2.1). 39 Tabella 2.2.1 - Risparmi in miglia nautiche via Suez From Ras Tanura To Distance (nautical miles) SC Cape Saving Miles % Constanza 4.144 12.094 7.950 66 Lavera 4.684 10.783 6.099 57 Rotterdam 6.436 11.619 4.733 42 New York 8.281 11.794 3.513 30 Piraeus 1.320 11.207 9.887 88 Rotterdam 6.337 10.743 4.406 41 Tokyo Rotterdam 11.192 14.507 3.315 23 Singapore Rotterdam 8.288 11.755 3.647 29 Jeddah Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011 Fig. 2.2 Rotta: Jeddah–Atene (Piraeus). Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011 40 Fig. 2.3 Rotta Tokio–Rotterdam. Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011 L’area dell’Europa Sud-orientale sembrerebbe, a prima vista, quella che più ha tratto beneficio dalla costruzione del Canale di Suez, a danno dell’Europa occidentale e settentrionale. Come si vedrà in seguito, oltre alle distanze, altri fattori entrano in gioco determinando la scelta degli itinerari più convenienti. Anche l’apertura del Canale di Panama ha permesso di accorciare enormemente alcune rotte commerciali. Prima del 1914 le comunicazioni tra l’Atlantico e il Pacifico del Nord, passando per Capo Horn o per lo Stretto di Magellano, erano nei fatti quasi impraticabili. (tab. 2.2.2). Tabella 2.2.2 – Distanze: rotte via Panama e rotte via Stretto di Magellano From To Distance (nautical miles) Panama Magellanic Canal Strait 6.049 13.935 Saving % New York Vancouver 57 New York San Francisco 5.262 13.135 60 New York Hong Kong 11.539 16.579 30 New York Sydney 9.932 13.000 28 Liverpool San Francisco 7.836 13.502 42 Liverpool Valparaiso 7.207 8.747 28 Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011 41 Come emerge dai dati della tabella, l’itinerario che collega la costa orientale e la costa occidentale degli Stati Uniti è quello che beneficia dei risparmi più consistenti. Ad esempio, nella tratta New York – San Francisco il passaggio attraverso il Canale riduce il percorso di oltre 7.800 miglia nautiche. Nelle altre rotte, il tragitto via Panama è sempre preferibile rispetto al periplo dell’America meridionale; ma spostandosi verso Ovest, si trova un limite al di là del quale può rivelarsi più vantaggiosa la rotta di Suez (tab. 2.2.3). Tabella - 2.2.3 Distanze: rotte via Panama e rotte via Suez. From To Distance (nautical miles) Saving Panama Canal Suez Canal % New York Singapore 12.633 10.141 20 Liverpool Yokohama 12.272 11.113 10 Liverpool Singapore 15.193 8.221 46 Liverpool Sydney 12.262 11.501 7 Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011 Pertanto, l’apertura del Canale di Panama ha completato il quadro delle rotte del trasporto oceanico. Assieme a Suez, Panama ha un grande ruolo di influenza nei traffici commerciali internazionali. A causa della loro localizzazione geografica sono solitamente descritti come “les sillons de l’or bleu”27. Suez e Panama offrono la possibilità di utilizzare due itinerari: uno ad Ovest, tra gli Oceani Atlantico e Indiano attraversando Mar Mediterraneo e Mar Rosso, l’altro a Est, tra gli Oceani Indiano e Pacifico. Da questo punto di vista tra i due Canali c’è piena integrazione, anche se potrebbe esserci competizione per alcune relazioni marittime che prospettano rotte alternative basate sull’uno o sull’altro passaggio. Secondo Siegfried28, nel periodo intercorso tra le due guerre mondiali si delinearono due fronti concorrenziali che conducevano a una divisione dello spazio oceanico. Partendo dall’Europa Occidentale, l’area di influenza del Canale 27 CMA CGM, “Suez et Panama. Les sillons de l’or bleu”, in CMA CGM Group Magazine, No. 30 2006, pp. 8- 11 28 SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 251. 42 di Suez si spingeva dal Mar Giallo al Mar di Tasmania, lasciando la Nuova Zelanda e il Giappone nell’area di influenza del Canale di Panama. Il litorale asiatico, da Shanghai all’Australia rientrava nell’area di Suez. Partendo dalle grandi città della costa Nordorientale statunitense, il fronte della concorrenza esercitata da Panama si estendeva fino all’asse tracciato da Hong Kong alle coste occidentali australiane, attraverso il Mar di Celebes. Quella ripartizione in aree di influenza non era rigida: la periferia delle aree di gravitazione variava in ragione della dinamica dei costi unitari di trasporto. Tale divisione dello spazio marittimo in aree di influenza si è riproposta nel tempo e mantiene una sua valenza fino ad oggi. La chiusura del Canale di Suez, tra il 1967 e il 1975, aveva contribuito alla corsa al gigantismo navale. Nel 1973, tuttavia, lo scoppio della quarta guerra arabo-israeliana29 arrestò tale tendenza. In quest’occasione i Paesi arabi provocarono una crisi profonda nel mercato del petrolio per costringere il mondo occidentale non solo a osteggiare Israele, ma anche ad offrire all’area araba vantaggi economici maggiori rispetto al passato. La crisi che si sviluppò nel biennio 1973-74, che passò alla storia come OPEC30 I, colse alla sprovvista l’area industrializzata che dovette subire serie ripercussioni economiche, causate da un aumento generalizzato dei costi di produzione dell’energia. Nel 1979, al sopraggiungere della seconda analoga crisi, che prese il nome di OPEC II, i Paesi consumatori reagirono con più compostezza, perseguendo una politica di differenziazione delle aree di approvvigionamento, così da ridurre la dipendenza dall’area araba e il rischio di ricatto politico da parte dei Paesi fornitori (Fig. 2.4). 29 In questo conflitto, detto anche “del Kippur” dal nome di una festività religiosa ebraica, furono gli eserciti dell'Egitto e della Siria a lanciare un attacco a sorpresa Israele. Tuttavia, Tel Aviv si dimostrò in grado di reagire con efficacia, organizzando un'abile controffensiva con le sue unità corazzate. L'intervento dei "caschi blu" dell'ONU giunse a evitare ulteriori radicalizzazioni del conflitto e l'alterazione dei già precari equilibri regionali. Gli accordi fra Egitto e Israele avviarono una nuova fase politica, tendenzialmente meno incline al confronto armato come strumento di risoluzione delle controversie. 30 L'OPEC, Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Organization of the Petroleum Exporting Countries), fondata nel 1960, comprende dodici Paesi che si sono associati, formando un cartello economico, per negoziare con le compagnie petrolifere aspetti relativi alla produzione di petrolio, prezzi e concessioni. 43 Fig. 2.4 - I principali flussi di petrolio nel mondo nel 2005 Fonte: Questions internationales n° 24, 2007 Tale strategia richiedeva l’impiego di un numero maggiore di navi che quindi dovevano essere di minori dimensioni. In secondo luogo, la rotta breve tra il Golfo Persico e l’Oceano Atlantico, rappresentata dal Canale di Suez, non poteva accogliere le superpetroliere dato che nel 1967 la sua soglia di accessibilità era di 60 mila tpl. Infine, l’aumento del prezzo del greggio mediorientale aveva provocato l’avvio e la successiva intensificazione dello sfruttamento di giacimenti offshore di idrocarburi in vari mari del mondo come il Golfo del Messico, il Mar Caraibico, il Mar del Nord, il Mediterraneo e i mari del Sudest asiatico. Per esigenze di sicurezza, il trasporto del petrolio estratto dai fondali marini doveva essere affidato a vettori di media portata (MSCCs). La diffusione di impianti per la raffinazione del petrolio provocò la costruzione di navi, adibite al trasporto di prodotti petroliferi semilavorati. Quando, a partire dagli anni Settanta e ancor più nel decennio successivo, si profilò la tendenza a localizzare le raffinerie sul territorio dei Paesi produttori, la costruzione di vettori del genere subì un considerevole impulso, così come si 44 accentuò la propensione ad elevarne la portata31. In seguito, la specializzazione delle navi riguardò anche i prodotti gassosi con la realizzazione di vettori adatti al trasporto sia di gas naturale liquefatto, sia di gas da petrolio liquefatto, le cosiddette Liquified Gas Carriers (LGCs), e le Liquified Petroleum Gas Carriers (LPGCs)32. In questi casi il commercio marittimo avviene portando il gas allo stato liquido; sono necessarie stazioni di liquefazione presso i porti di imbarco e stazioni di gassificazione presso gli scali di sbarco. Nello stesso periodo si sviluppò anche la flotta delle portarinfuse solide adibite al trasporto di materie prime per l’industria siderurgica. Dapprima si trattò di navi specializzate per il trasporto di ferro e carbone con portata di 120 mila tpl, in seguito, vennero alla ribalta anche vettori da 250 mila tpl. Questi ultimi trovarono impiego nel trasporto di minerali dalle grandi aree estrattive come l’Australia, verso il porto di Rotterdam e il Giappone. Oltre alle grandi mineraliere si svilupparono navi adibite ad impieghi multipli, bivalenti e polivalenti, capaci di trasportare vari tipi di merci. Questi vettori, che andavano a costituire la classe delle cosiddette combined carriers, si ripartivano in: Ore Oil Carrier (OOC), nave bivalente per il trasporto di petrolio e minerali; Ore Bulk Carrier (OBC), nave bivalente per il trasporto di ferro e altra rinfusa; Ore Bulk Ore Carrier (OBOC), che trasportava minerali di ferro, petrolio e altri minerali. Un’unità navale del genere offriva diversi vantaggi: si adattava alle merci che, in un determinato momento, erano più richieste dal mercato; riduceva al minimo i percorsi in cui viaggiava vuota; poteva essere impiegata in itinerari triangolari, trasportando rinfuse diverse a seconda dei segmenti. Ad esempio, prima ferro, poi carbone, infine bauxite e cemento. Accanto alle fonte energetiche ed ai minerali più importanti per le industrie, l’elemento che impresse maggiori impulsi al commercio marittimo fu costituito dal trasporto tramite container che, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta si diffuse in tutti gli spazi marittimi su cui si affacciavano i Paesi industrializzati, dai mari dell’Estremo Oriente alle coste australiane e al Mediterraneo. La riapertura del Canale di Suez provocò un’evoluzione delle rotte delle navi cellulari 31 In quel periodo furono varate navi della classe Very Large Product Carriers (VLPCs), da 80 mila tpl, nonché della classe Ultra Large Product Carriers (ULPCs), da 150 mila tpl. 32 Si tratta di vettori ad alta tecnologia, la maggior parte costituita da metaniere di 125 mila mc. 45 che fino al 1975 erano costrette a cortocircuitare il Continente africano. Dallo scacchiere Sudatlantico, infatti, una rotta percorsa da portacontainer di elevata portata costeggiava le rive europee e africane per doppiare il Capo di Buona Speranza, da dove si bipartiva lungo due direttrici: la prima, verso Nord-Est, facendo scalo a Singapore per arrivare in Giappone; la seconda verso Est, collegando Australia e Nuova Zelanda, lungo latitudini percosse dai forti venti Occidentali, i roaring forties33. Riaperto nel 1975, il Canale di Suez è stato sottoposto a un programma di ampliamento, sviluppato nel corso degli anni con l’obiettivo di accogliere, oltre a navi portarinfuse, una quota sempre più consistente di trasporti containerizzati. Anche in tale settore c’è stata una forte evoluzione che si è tradotta nell’aumento della velocità dei vettori nonché nella crescita delle loro dimensioni34. L’ampliamento del Canale di Suez, permettendo l’accesso a navi sempre più grandi, si è tradotto in un incremento del numero dei transiti (Fig. 2.5). Fig. 2.5 – Il transito nel Canale di Suez (1991-2011) Fonte: www.informare.it, 2011 33 Letteralmente “quaranta ruggenti”, sono venti di forte intensità che si incontrano attorno ai 40° S. 34 Già negli anni Novanta le navi cellulari operavano a una velocità di 27-28 nodi ed erano in grado di trasportare oltre 5.000 TEU. Si trattava della generazione delle Very Large Container Carriers (VLCCs) 46 Ciò ha anche fatto aumentare gli introiti egiziani legati al Canale, che costituiscono la terza risorsa economica per la Repubblica Araba d’Egitto dopo il turismo e gli investimenti esteri. Dalla fine degli anni Novanta a oggi il Canale di Suez ha continuato a rappresentare una rotta fondamentale per il trasporto di idrocarburi, in particolare del petrolio del Medio Oriente, (tab. 2.2.3), nonché per il trasferimento verso il mercato europeo di merci prodotte dai Paesi asiatici. In conclusione, Suez è passata da una funzione di primo piano nel trasporto del greggio a una funzione più generica, dove i carichi liquidi costituiti da semilavorati e soprattutto le merci containerizzate hanno assunto sempre maggiore rilevanza. Oggi, il livello dei traffici marittimi che vi transitano costituisce il 16% del totale mondiale35. 35 Cfr. STOPFORD M., Maritime Economics, 3rd Edition, Routledge, New York 2009. 47 Tabella 2.2.4 – Il traffico di idrocarburi Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011 La crisi economica del biennio 2008-09 ha inciso sui proventi egiziani provenienti dai traffici nel Canale, così come ha causato un calo dei flussi di merci a livello globale. A preoccupare ulteriormente l’Autorità di amministrazione del Canale di Suez è stata la recente crisi politica scoppiata in Egitto; tuttavia, i dati dei primi mesi di quest’anno mostrano come i traffici non sembrano avere accusato l’impatto delle proteste contro il governo. Lo scorso gennaio, infatti, si sono registrati i transiti di 1.485 navi, con un incremento del 4,7% rispetto a 1.418 transiti nel gennaio 2010. 48 Contrariamente al Canale di Suez, quello di Panama non è mai stato chiuso, e di conseguenza non ha mai dato luogo a forti contraccolpi nel trasporto marittimo. Inoltre, prima dell’attuale piano di ampliamento, le dimensioni delle chiuse sono rimaste le stesse del 1914 pertanto, la sua accessibilità si è limitata a navi della classe MSCCs. A partire dagli anni Settanta, la maggior parte dei prodotti finiti industriali e alimentari, dai cerali alla carne e alla frutta tropicale, veniva trasferita mediante container (Fig. 2.6). Fig. 2.6 - Il Traffico mondiale di container Fonte: Les Études de La Documentation française n° 5255, 2005 L’espansione del trasporto, affidato a navi cellulari produsse in tutti i più importanti scacchieri del commercio marittimo una rete di rotte che oltre a coinvolgere i Paesi industrializzati, includeva anche i Paesi dell’Asia del Sud e quelli dell’Estremo Oriente. Questi ultimi, da lì a poco, sarebbero diventati i nuovi protagonisti dell’economia mondiale36. Le rotte di container più importanti 36 Singapore, Hong Kong, Taiwan e Corea del Sud. 49 passavano per il Nord Atlantico. Al track tra il Mar del Nord e le megalopoli Statunitensi della Est Coast si affiancava la rotta diretta alla foce del San Lorenzo. In questo scenario marittimo, anche il Canale di Panama giocò un ruolo di primo piano nelle rotte che partivano sempre dal Northern Range37 e si dirigevano o verso i grandi porti atlantici degli Stati Uniti, o verso SudEst, attraversando il Canale e procedendo nel Pacifico, con diramazioni verso l’Australia e il Giappone. Negli anni Novanta, quando sono state varate navi cellulari troppo grandi per passare per Panama, si è venuta a creare una sorta di barriera tra l’Atlantico e il Pacifico38 per quanto riguarda il trasporto di container. Questa barriera “sembra materializzare la circostanza che, nello stadio transindustriale, il cuore oceanico ormai consolidato è il Pacifico e che l’Atlantico si avvia a diventare un cuore oceanico relittuale”39. La flotta portacontainer, anche se costituita da navi di ultima generazione, poteva invece, transitare per Suez. Le questioni fin qui esposte potrebbero indurre a pensare a un declino della funzione del Canale di Panama all’alba del XX secolo. In realtà, questa arteria vitale ha incrementato il suo ruolo negli scambi interoceanici. Attraverso la via d’acqua transita annualmente una quota compresa tra il 5 e il 7% del traffico mondiale, per un totale di 40 navi al giorno40. Gli scambi tra l’Asia e la costa orientale degli Stati Uniti sono passati dal 11% nel 1999, al 39% nel 200641. L’import-export degli Usa rappresenta quasi la metà dell’intero volume del traffico mercantile trasportato lungo il Canale, mentre la Cina è il secondo maggiore utilizzatore e il Giappone il terzo con quote che si attestavano rispettivamente al 8 e al 7% nel 2006. Anche per la Repubblica di Panama, il Canale costituisce un’importante fonte di introiti. Secondo i dati dell’Autorità del Canale di Panama (ACP), l’80% dei ricavi totali provenienti dai vari segmenti di mercato (rinfuse, container, pallet, 37 Con l’espressione Norther Range ci si riferisce ai porti dell’arco costiero compreso tra gli estuari della Senna e dell’Elba. Rotterdam ne costituisce lo scalo marittimo leader, gli altri più importanti sono: il porto di Anversa, Amburgo e Le Havre. 38 L’area del Pacific Rim (bordo pacifico) riveste da più di un decennio, una rilevante importanza economica. 39 VALLEGA A., Geografia delle strategie marittime, op. cit., p. 231. 40 Attraverso il Canale di Panama transitano all’anno circa 14 mila navi. 41 CMA CGM, “Suez et Panama. Les sillons de l’or bleu”, in CMA CGM Group Magazine, No. 30 2006, pp. 8- 11, p. 10. 50 ecc.) serviti dal Canale deriva dalle tariffe di transito, mentre la rimanente parte di reddito proviene da servizi supplementari, quali ad esempio, il rimorchio il pilotaggio e così via. A titolo illustrativo, può essere utile riportare i costi di pedaggio dei Canali di Suez e Panama rilevati nel 2006 dalla compagnia marittima francese CMA-CGM, per alcune classi di navi cellulari (tab. 2.2.5). Dal mese di giugno 2005, l’Autorità del Canale di Panama ha predisposto un sistema ad asta che offre delle chance supplementari alle imbarcazioni che non hanno prenotato in anticipo il passaggio attraverso il Canale. L’offerta parte da 25 mila dollari americani ma può arrivare anche a 50 mila dollari42. Tabella 2.2.5 – Tariffe di transito per i Canali di Panama e Suez nel 2006 Navi Suez Panama 4,250 TEU $246,000 $245,000 5,100 TEU $297,000 $290,000 5,700 TEU $345,000 6,500 TEU $382,000 8,200 TEU $453,000 Fonte: CMA-CGM, 2006 42 Il 24 agosto 2005 una società armatrice ha pagato la cifra record di 220.300 dollari per il passaggio di una petroliera. 51 CAPITOLO 3 L’avvenire dei Canali 3.1 XXI secolo: cosa succede se si chiudono i Canali La chiusura dei Canali di Suez e Panama comporterebbe un ripensamento dell’architettura del commercio internazionale e dei suoi flussi. Il successo delle imprese dipende sempre più dalla puntualità e dalla velocità nei tempi di consegna dei beni. Dato il ruolo fondamentale che ricoprono i Canali lungo l’arteria EstOvest del commercio marittimo, per il comandante di un mercantile è indispensabile presentarsi in tempo all’ingresso di queste vie d’acqua. L’arrivo in ritardo all’imbocco del Canale fa saltare tutta la catena logistica causando un’attesa di circa ventiquattro ore a Suez, e di sei o sette giorni a Panama La recente crisi politica egiziana ha fatto temere l’interruzione del transito attraverso il Canale di Suez. L’ipotesi è stata ventilata da diversi quotidiani internazionali1 nonché dagli investitori interessati al traffico merci anche a fronte del fatto che il sito internet dell’Autorità del Canale di Suez (SCA) è risultato offline per più di una settimana. Dopo le dimissioni di Hosni Mubarak2, il potere è stato trasferito al Consiglio Supremo delle forze armate, a cui è stato demandato il compito di traghettare il paese verso la democrazia3. Per il momento, il rischio di una chiusura del Canale non appare imminente; tuttavia il futuro dell’Egitto sembra essere legato alle elezioni parlamentari e presidenziali che si svolgeranno nei prossimi mesi. Chi verrà democraticamente eletto avrà l’onere di condurre i 1 Cfr. http://online.wsj.com/itp (consultato il 28 gennaio 2011). Hosni Mubarak ( 4 maggio 1928), è un politico egiziano, è stato il quarto Presidente dell'Egitto, carica che ha ricoperto per quasi trent'anni, a partire dal 14 ottobre 1981 fino all'11 febbraio 2011, giorno in cui, a seguito delle sommosse popolari (note anche come Rivoluzione del Nilo) contro il suo regime, ha rassegnato le dimissioni. 3 Inoltre, è stata decisa l'istituzione di un comitato che si occuperà di emendare la carta costituzionale. Il referendum sugli emendamenti alla Costituzione della Repubblica araba d'Egitto si tenuto il 19 marzo. La consultazione, caratterizzata da una forte affluenza alle urne, ha registrato il 77,2% dei sì, consentendo in tal modo l'implementazione di elezioni parlamentari e presidenziali entro la fine dell'anno. 2 52 cambiamenti nel Paese e, probabilmente, di redigere una nuova Costituzione. Si prevede una stagione di frenetica campagna elettorale nella quale chi ha guidato le sommosse popolari teme che i Fratelli Musulmani4 possano godere di qualche vantaggio elettorale. Il Canale di Suez è rimasto chiuso per ben due volte nel corso della sua storia causando notevoli traumi nel trasporto marittimo. Questa via d’acqua rappresenta un punto chiave di transito per le spedizioni di petrolio e carburante dal Golfo Persico all'emisfero occidentale; la sua chiusura avrebbe un impatto economico rilevante poiché le navi dovrebbero viaggiare intorno alla punta meridionale dell'Africa, con un sostanziale aumento dei costi e dei tempi di consegna. Se la rotta del Capo diventasse l’unica praticabile, gli effetti negativi dell’allungamento del tragitto avrebbero un impatto maggiore sulle economie di terra piuttosto che su quelle marittime. Un aggravio dei costi di trasporto, derivante dalla necessità di coprire una maggiore distanza, sarebbe infatti traslato soprattutto sui consumatori europei, visto che i tre quarti del traffico mercantile che passa per Suez ha come origine e destinazione l’Europa. I Paesi più colpiti da un’eventuale modifica delle rotte sarebbero quelli che si affacciano sul Mediterraneo perché verrebbero esclusi dagli scambi con l’Oriente e i prodotti dovrebbero transitare attraverso i porti del Northern Range europeo, con un incremento sui prezzi finali dei beni. Questo avvantaggerebbe le regioni e i porti del Nord Europa che rivelano livelli di efficienza di gran lunga superiori. Alla base di questa maggiore competitività vi sono due fattori: in primo luogo, gli scali marittimi del Northern Range sono ubicati lungo la foce di fiumi navigabili che possono essere utilizzati come vie di comunicazione verso l’interno; in secondo luogo, essi hanno beneficiato di un clima di collaborazione tra organizzazione portuale e industria armatoriale. In Italia, invece, “si registrano ritardi sul piano 4 I Fratelli Musulmani rappresentano una delle più importanti organizzazioni islamiche con un approccio di tipo politico all'Islam. Furono fondati nel 1928 da al-Hasan al-Bannā il cui intento era quello di promuovere il riscatto e la dignità dei lavoratori arabi egiziani, nella zona del Canale di Suez e di seguire l'etica e la concezione civica proposta dall'Islam. L'organizzazione crebbe velocemente fino a diventare un soggetto politico dal largo seguito ma dovette subire la dura repressione di Nasser. Dal 1984, i Fratelli Musulmani partecipano alle elezioni. L’esito del recente referendum sull’emendamento della Costituzione ha posto il partito dei Fratelli musulmani al centro della scena politica egiziana. 53 organizzativo e tecnologico nei processi di adeguamento delle fasi portuali”5. In particolare, risulta di primaria importanza investire sul potenziamento di tre centri portuali, Cagliari, Gioia Tauro e Taranto, che costituiscono tre dei sei hub di transhipment presenti nel bacino Mediterraneo6. Si tratta di infrastrutture complesse dove ha luogo il trasferimento di merci da porto a porto e la successiva distribuzione dei beni verso i relativi mercati. Questi porti si differenziano da quelli feeder che sono interessati principalmente dalla movimentazione mareterra. Nel Mediterraneo, sono più di venti i porti che fanno parte di questa tipologia e la concorrenza risulta più agguerrita. Ciononostante, in alcune strutture portuali, ad esempio, Livorno e La Spezia, sono stati compiuti considerevoli progressi negli ultimi anni. Una nuova chiusura della via marittima egiziana comporterebbe rilevanti conseguenze anche nella cantieristica navale. Per ammortizzare i costi derivanti da un allungamento del tragitto, le società armatrici dovrebbero utilizzare vettori di tonnellaggio elevato in modo da ridurre il costo unitario del trasporto. Non sarebbe da escludere una nuova corsa alla costruzione di navi di grande stazza paragonabile a quella innescatasi negli anni Sessanta. In quegli anni, furono costruite superpetroliere da oltre 500 mila tonnellate e se ne progettarono anche di più grandi. Tuttavia, il fatto che questi giganti continuano a solcare gli oceani non deve ingannare, essi oggi navigano quasi esclusivamente a carico parziale. Un ulteriore problema è costituito dall’accessibilità marittima dei porti. Aumentando la portata lorda delle navi adibite al trasporto di greggio e altre materie prime anche il fondale dei porti deve essere incrementato. Le superpetroliere di oltre 250 mila tpl richiedono attracchi su fondali di venti metri: valore che, tra l’altro, costituisce anche la soglia di transitabilità del Canale di Dover e dello Stretto di Malacca7, due passaggi marittimi su cui transita una parte consistente del traffico 5 FORTE E., Trasporti, logistica, economia, op. cit. p. 180. Gli altri sono situati a Malta, a Damietta e a Port Said. 7 Lo Stretto di Malacca è un passaggio marino dell'Oceano Indiano che separa l'isola indonesiana di Sumatra dalla costa occidentale della penisola malese e che mette in comunicazione il Mare delle Andamane a Nord con il Mar Cinese Meridionale a sud. Ha una lunghezza di circa 800 chilometri e una ampiezza che va dai 50 ai 180 chilometri. Più di 50 mila navi attraversano ogni anno lo Stretto che rappresenta un’arteria fondamentale per il trasporto marittimo. Lo Stretto di Malacca è diventato oggetto di interesse di diversi Paesi tra i quali il Giappone, l’India, che ha una flotta nel Mare delle Andamane, gli Stati Uniti e la Cina. Pechino, sta anche tentando di andare alla ricerca di rotte alternative. L’ipotesi più suggestiva è quella del Canale di Kola, 6 54 mondiale di petrolio. Tale strategia, che risulta proficua soltanto quando i prezzi del carburante sono bassi, presenta degli inconvenienti: in primo luogo, si rischierebbe di collocare in condizione di sottoimpiego le unità navali di portata media cioè quelle intorno alle 150 mila tpl; in secondo luogo, si dovrebbe risolvere l’interrogativo sulla “stazza ottima” da impiegare lungo la rotta del Capo, visto che portate elevate permettono di incrementare la produttività del vettore, pur causando allo stesso tempo dei problemi. Ciò è dovuto, al fatto che il traffico petrolifero ha luogo nella direzione Sud-Nord, cioè dal Golfo Persico verso i Paesi Occidentali. Il tragitto tipico di una nave cisterna si svolge a pieno carico all’andata, cioè in direzione Nord, ma in zavorra al ritorno, nella direzione opposta. Una strategia ottimale potrebbe essere rappresentata dal compimento del viaggio di andata a pieno carico usufruendo della rotta del Capo, e di effettuare il viaggio di ritorno in zavorra passando per il Canale8. La chiusura di Suez imporrebbe invece, un itinerario di oltre sei mila miglia anche alle navi a carico parziale o con le stive vuote che si dirigono verso l’area araba . Il trasporto di petrolio è di gran lunga il più pericoloso sia per la sicurezza umana che per l’ambiente. Se effettuato tramite navi della classe ULCCs è ancora più problematico poiché fa aumentare il rischio di collisioni. Da qui la decisione di trasformare la struttura della petroliera adottando un doppio scafo, in modo tale che l’intercapedine tra la struttura esterna e interna riduca il rischio di perdite di greggio in caso di naufragio o collisione. Questo tipo di tecnologia è stata proposta per primo dagli Stati Uniti. Un’altra soluzione consiste nella suddivisone degli spazi della stiva in compartimenti, in modo che l’eventuale incidente coinvolga solo una parte del carico di petrolio. A introdurre questa tecnologia è stato il Giappone che, com’è noto vanta una lunga tradizione nella costruzione di petroliere9. soprannominato anche “Panama Asiatico”, attraverso l’istmo di Kra, in Tailandia; questo progetto potrebbe vedere la collaborazione tra Cina, Giappone e Sud Corea. Il Canale di Kola rimane ad oggi ad uno stadio di verifica della fattibilità, anche se è già da qualche secolo che la sua realizzazione è stata promossa da re e costruttori . Nel 1882 lo stesso Ferdinand de Lesseps visitò l’istmo. Il Canale, se eseguito, potrebbe ridurre il ruolo del di Singapore attualmente tra i primi cinque porti più attivi e trafficati del mondo. 8 Il pescaggio richiesto dalla nave a pieno carico sarebbe maggiore di quello dell’istmo. 9 I giapponesi hanno anche promosso lo sviluppo della cantieristica sudcoreana, oggi tra le più competitive a livello internazionale. 55 In sintesi, l’aumento dei costi di viaggio causati da un’eventuale chiusura del Canale di Suez si tradurrebbe in un aumento dei prezzi dei beni di consumo. Più direttamente, una diversione del traffico navale potrebbe avere conseguenze sull’economie dei porti e delle regioni che si trovano lungo la direttrice di Suez, in particolare nel Mediterraneo. Il Canale di Panama non è mai stato chiuso10 ed è attualmente oggetto di un programma di ampliamento, che sarà ultimato nel 2014, volto ad incrementarne l’accessibilità e a far fronte ai problemi di congestione che lo caratterizzano da alcuni anni a questa parte. Per il momento, l’ipotesi di una sospensione del transito attraverso l’istmo appare improbabile; nonostante ciò, in attesa che il piano di ampliamento si concretizzi, sono in cantiere diverse soluzioni alternative, in particolare, il Canale del Nicaragua e il “Dry Canal” attraverso la Colombia. L’idea di un Canale che attraversa il Nicaragua risale a molti anni fa. Il primo studio di fattibilità fu richiesto da Filippo II, re di Spagna, nel 1567. Il progetto venne poi ripreso nell’Ottocento, quando diversi esponenti del Congresso americano si dimostrarono favorevoli al taglio dell’istmo nello Stato nicaraguense piuttosto che a Panama. Queste idee sono state recentemente riprese, poiché la via acquatica panamense risulta essere inadeguata all’attuale traffico che si svolge tra i due oceani. Alla realizzazione del “Gran Canal Interoceanico di Nicaragua” si sta lavorando, secondo quanto dichiarato dal portavoce del Consorzio Canale Interoceanico del Nicaragua (CINN), dal 1994. Il canale lungo 284 chilometri dovrebbe sfruttare in parte il Lago Nicaragua, il secondo per estensione dell’America Latina11. Il progetto prevede la realizzazione di una corsia di acqua larga sessanta metri e profonda ventidue. Questo permetterebbe il transito anche a navi di 250 mila tonnellate di stazza. Il Canale dovrebbe essere completato nel 2018. 10 Il Canale di Panama, infatti, è stato chiuso soltanto per brevissimi periodi e ciò non ha causato traumi nella navigazione marittima. Dall’anno della sua realizzazione è stato chiuso quattro volte e precisamente: nel 1915, per sette mesi, a causa di una frana del Culebra Cut, e l’anno successivo, sempre per motivi geologici; nel 1989, in seguito all’invasione da parte degli Stati Uniti (operazione Just Cause) che ha portato alla deposizione dell’allora dittatore di Panama, Manuel Noriega, nel dicembre 1989; l’8 dicembre 2010 a causa delle forti piogge. 11 Il Lago Nicaragua si estende per 8.642 chilometri quadrati. 56 L’annuncio ufficiale della futura via di comunicazione è stato dato dall’ex Presidente della Repubblica Enrique José Bolaños, nel corso della XVI Conferenza dei ministri della difesa delle Americhe12 con l’intento di dare il maggior risalto possibile al progetto. Secondo i sostenitori del Gran Canal, tra cui l’attuale Presidente Daniel Ortega, l’esecuzione della via d’acqua rappresenta per il Nicaragua una grande opportunità di sviluppo economico e di creazione di posti di lavoro13. Inoltre, la via d’acqua potrebbe avere una grande valenza geostrategica dato che accorcerebbe la via tra New York e la California di circa ottocento chilometri rispetto a Panama. L’unico problema sembra essere rappresentato dai costi del progetto, stimati in 20 miliardi di dollari. Si tratta di cifre che ovviamente uno tra i più poveri Paesi centroamericani non potrebbe sostenere senza un aiuto esterno. Del Canale di Nicaragua si era parlato già negli anni Settanta quando Panama iniziava ad avere problemi di sovraffollamento. Tuttavia, in quel periodo gli Stati Uniti non erano favorevoli alla sua realizzazione. Quarant’anni dopo, sembrano voler investire nel progetto il Venezuela, l’Iran e, più di recente la Russia. La realizzazione del Canale permetterebbe a Caracas di esportare il petrolio in Cina anziché negli Stati Uniti, mentre l’Iran avrebbe una base strategica nella regione. Per quanto riguarda la Russia, il suo interesse deriva dalla scoperta di nuovi giacimenti di petrolio a Cuba. Il Canale dovrebbe passare per il fiume San Juan che si trova al confine tra il Nicaragua e Costa Rica. L’8 Novembre del 2010 le truppe nicaraguensi hanno invaso il Paese occupando un isolotto al centro del fiume issandovi la bandiera del Nicaragua. San Josè, che non possiede un esercito14, ha subito chiesto l’intervento dell’Organizzazione degli Stati Americani e ha rivendicato il suo confine che le cartine di Google map avevano erroneamente spostato. Managua, dal canto suo, ha scaricato la responsabilità sul sito web. 12 Alla Conferenza ha partecipato anche l’ex Segretario della Difesa degli Stati Uniti Donald Rumsflield. 13 Secondo la Fundación Gran Canal de Nicaragua (Fgcn) ci saranno 40 mila nuovi occupati nella costruzione del Canale più alti 200 mila nell’indotto. 14 Il Costa Rica ha abolito il suo esercito sin dalla rivoluzione del 1948 e dispone solo di poliziotti. 57 Pertanto, il progetto del Gran Canal del Nicaragua convolge numerosi attori internazionali interessati a contenere il ruolo degli Stati Uniti nel Centroamerica e che vedono nella realizzazione della via di comunicazione il mezzo per riuscirvi. Se il progetto di un canale artificiale attraverso il Nicaragua è stato proposto più volte nel corso degli anni, l’idea del “Dry Canal” che passa per la Colombia è del tutto nuova dato risale al mese scorso. Ad annunciarlo è stato il presidente colombiano Juan Manuel Santos in un’intervista al Financial Times. “È una proposta vera ed è in uno stadio avanzato”, ha dichiarato il presidente. “Gli studi che hanno fatto i cinesi sul costo dei trasporti per tonnellata, sulle spese per gli investimenti. Tutto torna”15. In questo caso non si tratterebbe di una via d’acqua, bensì di una ferrovia lunga 220 chilometri dalla costa del Pacifico a quella atlantica del Paese sudamericano. A realizzarla dovrebbe essere la Cina. Il progetto, il cui valore si aggira intorno ai 7,6 miliardi di dollari, sarà, infatti, finanziato dalla Chinese Development Bank e verrà realizzato dal China Railway Group. La Cina è il secondo partner commerciale di Bogotà dopo gli Stati Uniti. Il progetto, tuttavia, lascia aperte alcune questioni. La domanda che gli analisti si pongono è se la ferrovia sarà più veloce e più conveniente rispetto alla rotta di Panama. Un altro fattore che Pechino dovrà considerare è il degrado della rete ferroviaria già esistente, che collega la Colombia alla costa caraibica e alla parte orientale del Paese. Inoltre, il progetto cinese, secondo i documenti raccolti dal Financial Times, attraverserebbe tre catene montuose e passerebbe per aree piuttosto remote controllate sia dai ribelli al governo centrale sia dalle milizie legate al narcotraffico. Infine, la questione più importante da sottolineare è legata allo status di Bogotà, che rappresenta un alleato storico per gli Stati Uniti. Al di là dei vantaggi commerciali che la Colombia potrebbe ottenere dalla costruzione del Dry Canal, l’accordo con Pechino ha importanti risvolti geopolitici. L’alleanza con la Cina per la realizzazione di un’opera che di fatto entrerebbe in competizione con il Canale di Panama, consente a Bogotà di compiere pressioni indirette su Washington affinché il trattato di libero commercio siglato dai due Paesi nel 2007 venga finalmente ratificato dal congresso statunitense. 15 FinancialTimeshttp://www.ft.com/cms/s/0/7e14756c-37a9-11e0-b91a-00144feabdc0.html (consultato il 15 febbraio 2011). 58 In conclusione, la chiusura del Canale di Panama sembra oggi un’eventualità remota. Questa via d’acqua sembra piuttosto rischiare l’interruzione del suo servizio per cause esterne dovute all’annuncio di opzioni alternative che, se realizzate, entrerebbero in competizione con essa. Per il momento si tratta solo di progetti16, ma questi ultimi potrebbero subire un’accelerazione qualora la via marittima panamense dovesse realmente essere chiusa. La chiusura dei Canali di Suez e Panama, comporterebbe una riorganizzazione dei sistemi di rotte che si sono affermate nel corso degli anni. Verso la fine degli anni Ottanta le società armatrici specializzate nel trasporto di container hanno messo a punto un nuovo tipo di rotta detta pendolare (pedulum route). Nello specifico, si tratta di servizi tra due o al massimo tre versanti portuali, esercitati da navi che fanno scalo in un solo porto per versante, richiamando, in tal modo, l’immagine del pendolo. Questi servizi, che stanno progressivamente sostituendo le rotte round-the-world, si muovono lungo tre rotte fondamentali: Europa – Nord America: rotta Transatlantica; Asia – Europa: Transindiana (Mar Rosso – Mediterraneo – Mar del Nord); Asia – Nord America (West Coast): rotta Transpacifica. Facendo riferimento al Mediterraneo, nelle due correnti opposte di traffico: Asia – Europa (Westbound) e Europa - Asia (Eastbound), gli scambi mercantili rivelano un progressivo sbilanciamento dei flussi: la direttrice Westbound, infatti, presenta volumi di scambi anche tre volte superiori a quelli della corrente inversa (tab. 3.1.1). 16 Specialmente nel caso del Nicaragua, all’annuncio del progetto, non è seguita una reale volontà di compimento dell’opera. Il caso del Dry Canal potrebbe essere diverso dato che vede il coinvolgimento della Cina. 59 Tabella – 3.1.1 Previsioni volumi di traffico containerizzato sulla rotta Mediterraneo- Far East (000 TEU) Eastbound Westbound Ratio (W/E) 2009 1.334 3.802 2,85 2010 1.435 4.121 2,87 Fonte: Cnel su dati Drewry Shipping Consultants Ltd, 2006 (modificata) I dati, evidenziano due fattori: il fatto che il saldo finale del rapporto importexport sia negativo, e che quindi l’Europa importa più di quanto è capace di esportare; l’importanza per il Vecchio Continente della rotta di Suez. In sintesi, si può affermare che l’assetto di rotte marittime specializzate che si è venuto a creare negli ultimi anni, dovrebbe essere completamente ripensato nel caso in cui i Canali dovessero essere chiusi. 3.2 Le rotte concorrenti Suez e Panama, pur ricoprendo un ruolo di primo piano nello scacchiere delle rotte oceaniche, non conservano il monopolio della comunicazioni nelle rispettive aree di competenza. Entrambi i canali, infatti, sono soggetti alla concorrenza di altre rotte che ampliano il campo delle opzioni cui possono ricorrere gli operatori del trasporto. Tra le possibili alternative che contribuiscono a rendere più articolati i flussi commerciali, negli ultimi anni stanno acquisendo sempre maggiore importanza il Passaggio a Nord-Est e il famoso Passaggio a Nord-Ovest. Entrambe le rotte però, si renderanno praticabili solo in seguito allo scioglimento dei ghiacci della calotta polare artica (Fig. 3.1). 60 Fig.3.1 – IL Passaggio a Nord Est e il Passaggio a Nord Ovest Fonte: Limes Quaderno Speciale n°3, 2009 Il Passaggio a Nord-Est o Northern Sea Route è una rotta che, partendo dal Mar del Nord, prosegue nel Mar Glaciale Artico lungo la Siberia raggiungendo 61 l’Oceano Pacifico dopo aver attraversato lo stretto di Bering e il Mar di Bering. L’esistenza di questa via marittima fu ipotizzata da Sebastiano Caboto, figlio di Giovanni Caboto17, che effettuò una spedizione scientifica per trovare il passaggio. Il primo a tentare di percorrere la tratta fu l’esploratore inglese Hugh Willoughby che nel 1553 raggiunse la Lapponia18 senza tuttavia riuscire a proseguire: la sua nave rimase incagliata fra i ghiacci per mesi e tutti i membri dell’equipaggio morirono. Il primo a conquistare il passaggio fu Adolf Erik Nordenskiöld, esploratore svedese che, partito da Göteborg il 4 luglio del 1878 a bordo della baleniera Vega, raggiunse il porto di Yokohama dopo essere anche lui rimasto bloccato nella morsa dei ghiacci nei pressi dello stretto di Bering. La Northern Sea Route, una volta agibile, permetterà risparmi consistenti. Ad esempio la tratta Rotterdam – Yokohama, evitando il Canale di Suez risulterà più breve del 60%. Il Passaggio a Nord-Ovest rappresenta, invece, una rotta di navigazione che, passando attraverso l’arcipelago canadese e proseguendo attraverso lo Stretto di Bering, collega l’Oceano Atlantico al Pacifico. Tra la fine del XV e il XX secolo, gli europei hanno cercato di stabilire una via marittima che passasse a Nord e ad Ovest del Vecchio continente. Gli spagnoli chiamarono questa rotta Stretto di Anian mentre gli inglesi Passaggio a NordOvest. Nel 1539 Hernán Cortés, supponendo l’esistenza di uno Stretto che dall’odierna Baja California doveva condurre al Golfo di San Lorenzo, incaricò Francisco de Ulloa della spedizione di ricerca. Nel 1609 fu Henry Hudson a guidare una missione alla ricerca del “Pno”. Hudson, dapprima navigò lungo il fiume che porta il suo nome, successivamente, esplorando l’Artico canadese, scoprì anche la Baia che prese il suo nome. Un ulteriore tentativo fu effettuato nel 1845, quando una spedizione composta da due navi cercò di forzare il passaggio dalla Baia di Baffin al Mare di Beaufort. La 17 Giovanni Caboto (1450 circa – 1498) è stato un esploratore ed un navigatore italiano, famoso per aver continuato l'opera di Cristoforo Colombo iniziando la serie dei grandi viaggi di scoperte verso il Nord-Ovest, in particolare, è conosciuto per aver scoperto il Canada il 24 giugno 1497. Il figlio, Sebastiano Caboto, divenne cittadino inglese. 18 La Lapponia, è la regione geografico-culturale abitata dalla popolazione Sami. Si trova nell'Europa del nord, distribuita nelle regioni settentrionali di Norvegia, Svezia, Finlandia e della penisola di Kola, in Russia. 62 missione seppur ben rifornita, non riuscì a rientrare e tutti i membri dell’equipaggio morirono nonostante i diversi tentativi di ricerca effettuati dalle squadre di soccorso inviate nella zona19. Il celebre passaggio venne conquistato nel 1906 dall’esploratore norvegese Roal Amundsen dopo un viaggio di tre anni20 a bordo di un natante per la pesca di aringhe convertito con una stazza di appena 47 tonnellate. Tuttavia questa rotta era poco pratica dal punto di vista commerciale: oltre al tempo che occorreva per percorrerla, risultava inoltre non sufficientemente profonda. Il Passaggio a Nord-Ovest, se navigabile, permetterà di cortocircuitare il Canale di Panama con un risparmio del 25% sulla tratta Rotterdam - San Francisco. Attualmente questa rotta, a causa della densità del ghiaccio, non può essere attraversata da navi tradizionali senza l’assistenza di un rompighiaccio, ma la situazione sta mutando rapidamente e tutti Paesi prospicienti l’Oceano Artico si stanno preparando a sfruttare a pieno tanto questa tratta quanto il Passaggio a Nord-Est. E’ evidente che lo scioglimento dei ghiacci tuttavia, non porterà solo vantaggi. “Negli ultimi anni il surriscaldamento globale in atto sta avendo delle conseguenze negative sul clima del nostro Pianeta”21. Un rapporto22, presentato a Londra dal professore Peter Wadhams il 16 ottobre del 2009, ha mostrato che l’Artico23 sarà completamente navigabile entro il 2020. Lo studio dallo scienziato inglese, è basato su una serie di rilevamenti effettuati durante una spedizione al nord del Canada nella primavera del 2009 da tre esploratori britannici: Ann Daniels, Martin Hartley e Pen Hadow, che hanno percorso a piedi 435 chilometri 19 Del viaggio furono trovate solo poche tracce che indicano come le navi rimasero bloccate nel ghiaccio nei pressi dell’Isola di Re William, a circa metà del passaggio. 20 Nel 1944 la St. Roch, un veliero della Reale Polizia canadese, effettuò per la prima volta, il passaggio in una sola stagione. 21 PERRONE A., Arktika – La sfida dell’Artico. Il Polo Nord tra geopolitica e risorse energetiche, Fuoco Edizioni, Roma 2010, p. 17. 22 Il Catlin Arctic Survey, presentato a Londra alla Royal Society of Arts dal professore Peter Wadhams del Polar Ocean Physics Group dell’Università di Cambridge. Lo scienziato inglese è un esperto di fama mondiale che sta studiando i ghiacci del Polo Nord dagli Anni ‘60. 23 L’Artico o Artide è l’area del Globo che circonda il Polo Nord il cui confine è tracciato convenzionalmente dall’Isoterma di 10° C di luglio. Esso include l’Oceano Artico e tocca le aree esterne dell’America del Nord e del Continente euro-asiatico, investendo direttamente, Russia, Norvegia (Isole Svalbard), Canada, Stati Uniti (Alaska), Danimarca (Groenlandia, la quale nel 2008 ha acquisito maggiore autonomia da Copenaghen in seguito a un referendum), Finlandia, Islanda e Svezia. 63 di ghiacci artici ed hanno eseguito 1.500 misurazioni perforando la banchisa ghiacciata allo scopo di misurarne l’altezza. I risultati della spedizione dimostrano che in questo momento lo spessore del ghiaccio è molto più sottile rispetto a pochi anni fa. Nei ghiacci più esterni è stata osservata una consistenza pari a 1,8 metri, ovvero particolarmente suscettibile allo scioglimento, mentre lo spessore verso l’interno è di 4,8 metri. “Ciò significa che entro i prossimi vent’anni l’Artico dovrebbe essere privo di ghiacci nel periodo estivo, dunque completamente navigabile”24. Il progressivo assottigliamento dei ghiacci, secondo Wadhams, accelerando il riscaldamento globale, avrà conseguenze non prevedibili sugli ecosistemi. Sempre secondo gli esperti, la banchisa artica ogni 10 anni va incontro a una riduzione dell'8-10%. “Senza il ghiaccio che riflette i raggi solari l’Oceano Artico si scalderà ancora più velocemente e i gas imprigionati nel permafrost25 verranno rilasciati nell’atmosfera. Inoltre il livello del mare si alzerà e potrebbe provocare inondazioni, affliggendo un quarto della popolazione mondiale”, ha spiegato Martin Sommerkorn26. Un altro rapporto, l’Arctic report card 27, ha rilevato che i cambiamenti climatici del Polo Nord sono più evidenti che in ogni altra parte del Pianeta. Le maggiori conseguenze del surriscaldamento globale si sono verificate infatti, nell’emisfero settentrionale. L’ecosistema artico è quindi particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, molto più dell’Antartide. Secondo molti scienziati, ciò è dovuto al fatto che la calotta polare antartica si trova sul Continente dove le temperature raramente superano lo zero termico, e non direttamente sull’Oceano. Dal 1980 al 2000, la calotta artica era estesa 7,7 milioni di chilometri quadrati, ma nel 2007 si è abbassata a soli 5,8 milioni. Tutto questo comporta importanti implicazioni di natura economica e geopolitica. Se finora l’Artico ha 24 PERRONE A., Arktika – La sfida dell’Artico. Il Polo Nord tra geopolitica e risorse energetiche, op. cit., p. 17. 25 ll permafrost, o permagelo, corrisponde a quella parte del terreno ove il suolo è perennemente congelato. Convenzionalmente con questo termine si indica un terreno ghiacciato da almeno due anni. Esso è presente primariamente nelle regioni artiche, in prossimità dei poli, ma anche in alta montagna. 26 Martin Sommerkorn è consulente del Wwf Arctic Pogramme. 27 L’Arcitc report card è stato pubblicato dal National Oceanic and Atmosheric Administration (NOAA) del Dipartimento USA del Commercio nel mese di ottobre del 2009. 64 rappresentato una sorta di barriera naturale tra il continente euroasiatico e quello americano (attraversabile solo mediante sommergibili e navi rompighiaccio), la regressione dei ghiacciai, rendendo navigabile l’area, aprirà un nuovo fronte che dovrà essere difeso e presidiato. Da un punto di vista strettamente economico sono due gli effetti più rilevanti dovuti al cambiamento climatico nella regione: in primo luogo la possibilità di nuovi flussi commerciali grazie all’apertura delle rotte navali; in secondo luogo, l’accesso alle risorse nascoste sotto i ghiacci dell’Emisfero Nord. Per ciò che concerne il primo effetto, le previsioni indicano che nel 2015 i traffici marittimi nell’area raggiungeranno un ammontare di 14 milioni di tonnellate contro le tre tonnellate del 2005. Le nuove rotte, come accennato, comporteranno notevoli risparmi di tempo. La Northern Sea Route, rispetto alle rotte tradizionali, attraverso il Canale di Panama e quello di Suez, offre infatti una notevole riduzione della distanza da percorrere (il 40% circa) nei viaggi dall’Europa verso la costa occidentale degli Stati Uniti e quella Nord-Orientale dell’Asia e dell’Estremo Oriente28. Dalla Corea del Sud all’Olanda, il Passaggio a Nord-Est permette un risparmio di 5 mila miglia marine rispetto alla tratta che passa per il Canale di Panama e di 3 mila, rispetto a quella attraverso il Canale di Suez. Mentre il Passaggio a Nord-Ovest, collegando l’Oceano Atlantico e il Pacifico attraverso il nord del Canada e lo stretto di Bering, accorcia tale rotta di sei o sette giorni rispetto a quella che oltrepassa il Canale di Panama, riducendo di migliaia di chilometri il passaggio dal Giappone all’Europa. In pratica tale via marittima consente di tagliare di ben 4 mila miglia nautiche il percorso tra l’Asia e il Vecchio Continente. Tutto ciò potrebbe anche avere effetti positivi sull’ambiente grazie a un generale risparmio energetico e a minori emissioni di CO2. Come detto precedentemente da un punto di vista economico, lo scioglimento dei ghiacci dovuti al cambiamento climatico potrebbe facilitare lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nella regione. La pesca subirà un notevole incremento come anche l’attività estrattiva di idrocarburi e risorse minerarie. 28 La Northern Sea Route riduce la distanza tra Amburgo e Yokohama a 6.900 miglia, rispetto alle 11.430 della tradizionale rotta meridionale che passa per il Canale di Suez. 65 Secondo una valutazione dello United States Geological Survey World Assessment 2000, un quarto delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale non ancora scoperte sono situate proprio sotto l’Oceano Artico. Ciò equivarrebbe a circa 375 miliardi di barili di greggio e a 47,3 triliardi di metri cubi di gas. Questi giacimenti sino ad oggi sono completamente inaccessibili a causa delle enormi masse di ghiaccio che ne impediscono l’estrazione. Tutti questi elementi stanno scatenando una vera e propria corsa tra le nazioni subartiche, cioè Norvegia, Canada, Russia, Stati Uniti e Danimarca29 (tramite la Groenlandia, sua provincia autonoma). Di fronte a tale prospettive, dalle forti valenze geo-economiche, appare verosimile il riaccendersi dei contrasti tra i Paesi rivieraschi, soprattutto considerando che la questione della determinazione delle sovranità nazionali nella regione, rimane ancora aperta. Il terreno del contendere concerne sia il dominio sulle risorse presenti nel territorio, sia i diritti di proprietà delle singole nazioni. Tali problematiche sono state risolte solo parzialmente dalle disposizioni contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 198230. Fin dai primi viaggi nell’Artico, tutti gli Stati prospicienti il Polo Nord cercarono di elaborare delle teorie che consentissero di estendere la loro sovranità sia sulle numerose isole del Mar Glaciale Artico, sia sulla distesa di ghiaccio che copre la maggior parte della sua superficie. Nel 1907, fu Pascal Poirier, senatore canadese, a formulare una teoria definita Arctic Sectoral Concept, la quale prevedeva che «qualunque Stato, i cui possedimenti territoriali si affaccino sull’Oceano Artico, ha diritto a estendere la sua sovranità su tutti i territori che si trovano nelle acque comprese tra le linee che congiungono rispettivamente l’estremo nord-orientale e quello occidentale dello 29 La Danimarca, a seguito del referendum del novembre 2008, ha accordato alla Groenlandia un’ampia autonomia in ambito giudiziario e legislativo, nonché nella gestione delle risorse naturali. Tale fatto potrebbe, in futuro, privare l’Unione Europea della possibilità di rivendicare diritti nella regione Artica. 30 La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, o UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea), è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei mari e degli oceani, definendo le linee guida che regolano le trattative, l'ambiente e la gestione delle risorse naturali. La Convenzione aperta alla firma a Montego Bay in Giamaica, il 10 dicembre 1982 , è entrata in vigore il 16 novembre 1994, un anno dopo la firma della Guyana quale sessantesimo Stato contraente. 66 Stato con il Polo Nord»31. Queste aree sono infatti definite settori. Tale teoria si proponeva di favorire le rivendicazioni del Canada rispetto agli altri Stati influenzando la politica di Ottawa per tutti gli anni Venti. A partire dalla Prima Guerra mondiale, iniziò invece, la militarizzazione dell’Artico con le nazioni dell’Intesa32 che inviarono rifornimenti e materiale bellico all’esercito russo in difficoltà attraverso i porti di Murmansk e Arkhangelsk che si affacciano sul Mar di Barents. Successivamente, il Canada e l’Unione Sovietica fondarono la loro legislazione sulla “Arctic Sectoral Concept” dichiarando la loro sovranità territoriale all’interno dei rispettivi settori. Gli scienziati russi diedero il massimo sostegno a questa teoria ed alcuni di essi arrivarono a considerare le distese ghiacciate alla stregua del suolo, sostenendo che la sovranità doveva essere estesa anche a queste se comprese all’interno del settore. Durante la Seconda Guerra mondiale ebbe luogo un’ulteriore militarizzazione del Polo Nord, dapprima con la Germania nazista che attaccò e conquistò la Norvegia e la Danimarca per aprire il cosiddetto “fronte artico”, in seguito con l’entrata in guerra degli Stati Uniti alla fine del 1941. L’Artico divenne, infatti, un avamposto del controllo dell’Atlantico del Nord attraverso il quale passavano le rotte marittime per l’invio di materiale strategico alla Gran Bretagna, nonché i soldati americani che avrebbero liberato l’Europa dalla morsa di Hitler. Le navi in partenza dal Canada e dagli Stati Uniti e dirette verso l’Inghilterra e l’Unione Sovietica, potevano viaggiare in sicurezza grazie alle stazioni meteorologiche di Spitzberg e dell’isola di Jan-Mayen. Alla fine del conflitto, sia Washington che Mosca erano consapevoli del valore geostrategico che aveva assunto la regione. L’URSS, non solo non abbandonò la contea di Finmark, estrema regione a nord della Norvegia che l’Armata Rossa era riuscita a conquistare nell’ottobre del 1944, ma nello stesso 31 PERRONE A., Arktika – La sfida dell’Artico. Il Polo Nord tra geopolitica e risorse energetiche, op. cit., p. 31. 32 La Triplice Intesa fu un accordo politico raggiunto da tre grandi potenze, cioè Impero britannico, Impero russo e Terza repubblica francese venutosi a creare a seguito dell'accordo anglo-russo del 1907. Alla fine del 1918, dopo la firma della pace della Russia, le nazioni che si trovarono a far parte dell’Intesa furono cinque: Francia, Regno Unito, Regno d’Italia, Stati Uniti d’America e Giappone. 67 tempo cercò di ottenere l’isola di Jan-Mayen33 a titolo di compenso, con il pretesto di cooperare con la Norvegia per un controllo congiunto dell’Arcipelago di Spitzberg. Dal canto loro gli USA nel 1949 caldeggiarono l’ingresso nella NATO della Norvegia e della Danimarca. Con l’adesione danese al Patto Atlantico, Washington ottenne il diritto di stoccare armi nucleari in Groenlandia. Nel 1951, Stati Uniti e Danimarca firmarono un ulteriore accordo bilaterale in materia di cooperazione difensiva, che consentì al governo americano il controllo dell’isola verde senza alcun corrispettivo. Tale convenzione prevedeva, fra l’altro, la completa sovranità statunitense su tre basi situate in territorio danese: Kangerlussuaq nella parte occidentale della Groenlandia, Narsarsuaq a Sud e Thule34 nel Nord-Est. Il controllo strategico dell’Oceano Artico continuò per tutto il periodo della Guerra Fredda durante la quale, Russia e Stati Uniti avevano fatto del Polo Nord un territorio di confronto per le rispettive flotte di sommergibili nucleari35. Per determinare la spartizione dell’area, vennero elaborate diverse teorie, tra le quali la “Arctic Sectoral Concept”, da cui però, si distanziarono tutti i maggiori esperti del settore. Nello stesso tempo venne riconosciuto a livello globale il fatto che la regione artica sia essenzialmente un mare, dunque da sottoporre al diritto internazionale marittimo. Era questo un nodo fondamentale perché in virtù di tale principio, fu possibile assoggettare l’Artico al regime giuridico previsto dalla Convenzione di Montego Bay. Secondo tale Convenzione, gli Stati costieri detengono piena sovranità nelle acque territoriali, cioè in quella porzione di mare compresa tra la costa e la linea delle dodici miglia. In quest’area si garantisce il 33 L'isola di Jan Mayen è un territorio appartenente alla Norvegia situato al limite tra l'Oceano Atlantico e il Mar Glaciale Artico a nord del parallelo 66°33'39" (circolo polare artico). Nell’isola, la cui dimensione è di 377 km2, la NATO ha costruito una stazione per la radionavigazione nel 1959. 34 La Thule Air Base anche nota come Thule Air Base/Pituffik Airport, è la base aerea più a nord gestita dalla United States Air Force, situata a 1.118 km a Nord del Circolo polare artico e a 1.524 km a Sud del Polo Nord. 35 Durante la Guerra fredda infatti, si svolsero senza sosta, operazioni navali di pattugliamento con sommergibili atomici, dapprima da parte dei due colossi mondiali (USA e URSS), in seguito anche dai britannici e dai francesi. 68 passaggio inoffensivo delle navi straniere36 e lo stesso avviene nella zona contigua, cioè quell’area marittima che si estende nelle successive dodici miglia, in cui lo Stato costiero esercita i propri controlli doganali, fiscali, di immigrazione e sanitari. La situazione muta invece nella zona economica esclusiva (ZEE), la porzione di mare che si estende tra la costa e la linea delle duecento miglia, su cui lo Stato costiero conserva diritti esclusivi ai fini dello sfruttamento delle risorse ittiche e minerarie. In quest’area, infatti, non esiste alcun pregiudizio alla libertà di navigazione e lo stesso limite vale per la piattaforma continentale che costituisce il prolungamento geologico sottomarino del continente. La piattaforma continentale di un Paese se ha un’ampiezza superiore alle duecento miglia, può essere estesa fino a trecentocinquanta miglia, se è scientificamente dimostrato che le centocinquanta miglia aggiuntive rappresentino effettivamente il prolungamento naturale della piattaforma continentale. La sfida è dunque quella di poter provare la legittimità delle proprie pretese su un’area marittima più ampia possibile. La Commissione per i Limiti della Piattaforma Continentale, istituzione creata dalla UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea), ha il compito di decidere sulla fondatezza dei diritti rivendicati dagli Stati37. Le acque non rientranti nelle aree appena esposte sono dette “internazionali” e costituiscono di fatto l’unica zona in cui si esplica la libertà dei mari e l’eguale diritto delle nazioni. Il principio della libertà dei mari38 sancisce che nessuno Stato può intralciare l’utilizzazione degli spazi marittimi da parte di altri Stati, nel limite del rispetto delle pari liberà altrui. Presupposto che vale per la pesca e per le risorse minerarie, essendo entrambe esauribili, e anche per gli spazi marittimi. Quindi, secondo quanto stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, i ghiacci artici, escludendo gli spazi compresi nelle zone economiche esclusive o nelle piattaforme continentali delle nazioni circostanti, sono acque internazionali a tutti gli effetti. La Convenzione rappresenta il corpus normativo 36 Per ragioni di sicurezza nella navigazione, nel 1965 la legislazione sovietica, ha imposto il pilotaggio obbligatorio negli stretti dove il mare è perennemente ghiacciato, nonché l’assistenza di unità rompighiaccio. 37 Gli Stati possono depositare le loro rivendicazioni concernenti l’estensione della loro piattaforma continentale entro 10 anni dalla ratifica della Convenzione di Montego Bay. 38 Fu Ugo Grozio (1583-1645) a formulare il principio innovativo secondo il quale il mare è da considerarsi alla stregua di territorio internazionale e tutte le nazioni sono libere di commerciare attraverso rotte marittime. Il giurista olandese espresse la sua posizione nell’opera Mare liberum del 1609. 69 da adottare anche nella regione artica e buona parte delle norme in essa contenute sono entrate a far parte del diritto consuetudinario. Alcuni Paesi però, tra cui gli Stati Uniti, non l’hanno ancora ratificata, sostenendo che essa limiti eccessivamente la loro libertà d’azione nelle acque internazionali. Al momento 155 Stati l’hanno firmata, ma in ogni caso la questione artica rimane in sospeso. Persistono numerose situazioni d’incertezza dove gli Stati interpretano le norme della Convenzione secondo le loro esigenze o dove essa non funziona correttamente. Tutti questi elementi dimostrano che nessuno dei contendenti sembra disposto a rinunciare alle prospettive economiche offerte dal controllo sulla regione. La spedizione russa del 2 agosto 2007 (Arktika 2007), culminata nella posa di una bandiera al titanio a 4261 metri sul fondo del Mar Artico ha avuto un’importante valenza in ambito geopolitico poiché ha fatto ritornare di immediata attualità il tema dei confini marittimi nella regione polare che oltre al governo di Mosca, coinvolge Stati Uniti, Canada, Danimarca e Norvegia. L’Istituto Russo di Ricerche sull’Artico e l’Antartico di San Pietroburgo, che ha organizzato la missione, si proponeva due obiettivi: uno scientifico, volto allo studio dei fondali artici; l’altro geopolitico, per dimostrare che la “Dorsale Lomonosov”, è un prolungamento della piattaforma continentale asiatica. La dorsale, scoperta dai russi nel 1948, è una catena montuosa sottomarina che si estende per 1700 chilometri sotto il Mare Artico e che passa per il Polo Nord. Sostenere che l’area costituisca un’estensione geologica della Federazione, consente al Cremlino di rivendicare un settore consistente di ghiacci39 ricchi di risorse naturali. Dal 2007, infatti, Mosca sta rafforzando la sua presenza militare nell’area tramite operazioni di pattugliamento strategici aerei e marittimi. Nel 2009 il Consiglio per la Sicurezza russo ha inoltre annunciato una nuova strategia che stabilisce lo sviluppo delle risorse della regione artica come priorità entro il 2020. Contemporaneamente la Russia si prepara a disciplinare il Passaggio a Nord-Est con delle normative ad hoc. “E che Mosca sia pronta a metter in atto i suoi progetti è dimostrato dalla notizia resa nota il 26 dicembre 2009 che, la più grande compagnia di spedizioni russa la Sovcomflot, inizierà ad inviare per mare, 39 L’area rivendicata dalla Russia si estende per circa 1.200 km². 70 nel periodo estivo il petrolio e il gas della Federazione verso l’Oriente.”40 Tuttavia per mettere in pratica tale disegno, il Cremlino dovrà prima modernizzare la sua flotta di rompighiaccio41 e i suoi porti artici. Nello specifico dovrà fare in modo che i suoi scali marittimi siano collegati ai centri di produzione42. Le risorse presenti nella regione polare, sono naturalmente ambite anche dagli altri attori locali. Il Canada è stato il primo Paese dell’area a reagire alla spedizione russa inviando nella zona un gruppo di reparti speciale e alcune navi, prima di annunciare due progetti militari volti a sostenere le proprie rivendicazioni di sovranità: la costruzione di un centro di addestramento a Resolute Bay, e un porto d’altura a Nanisivik. In seguito, il Primo Ministro Stephen Harper, ha proclamato un grande progetto di geo-mappatura della regione polare, dal costo di 100 milioni di dollari, che permetterebbe al Canada di ampliare i propri confini marittimi. Per lo Stato Nordamericano, l’Artico rappresenta una questione strategica di primaria importanza. Ottawa considera il Passaggio a Nord-Ovest come acque interne, in virtù dell’uso fattone dalle popolazioni autoctone. «Non stupisce quindi che, alla missione russa nell’Artico, le autorità canadesi abbiano risposto in maniera decisa ed energica. Il Ministro degli Esteri. Peter Mackay, ha commentato infatti la spedizione Arktika 2007 con queste parole: «Non c’è questione riguardo alla sovranità canadese sull’Artico. Noi abbiamo chiarito molto tempo fa che queste sono acque canadesi e questa è 40 PERRONE A., Arktika – La sfida dell’Artico. Il Polo Nord tra geopolitica e risorse energetiche, op. cit., p. 81. 41 Un rompighiaccio è una nave studiata appositamente per la navigazione in mari la cui superficie sia coperta di ghiaccio, come è nel caso della banchisa. Per essere in grado di fare questo una nave deve avere tre caratteristiche: una forma dello scafo capace di aprire lo strato di ghiaccio; uno scafo capace di resistere al ghiaccio; una potenza di propulsione sufficiente per spingere la nave. Un nave rompighiaccio non frantuma le lastre di ghiaccio direttamente con la prua, bensì sfrutta la sua inerzia e la spinta propulsiva per sollevare la prua sopra il ghiaccio. Il peso provoca la rottura del ghiaccio che si apre lasciando tornare la prua in mare. I frammenti di ghiaccio vengono fatti passare al di sotto dello scafo oppure spinti lateralmente. Da fori sotto la linea di galleggiamento viene espulsa aria per favorire il distacco del ghiaccio. In generale una rompighiaccio avanza con maggiore rapidità su una superficie completamente ghiacciata rispetto ad un mare coperto da frammenti di ghiaccio. La parte della nave più esposta rimane il sistema di propulsione. Le moderne navi rompighiaccio hanno eliche protette sia a poppa che a prua, ed anche propulsori laterali per facilitarne le manovre. La costruzione di una nave con simili caratteristiche richiede dagli otto ai dieci anni. 42 Attualmente, ad eccezione dei porti di Murmansk, Slekhard e Pecenga, gli altri scali marittimi non sono collegati tramite condotta petrolifera o via treno con altri porti o con il resto del Paese. 71 nostra proprietà. Non si può al giorno d’oggi andare in giro a piantare bandiere. Questo non è il quattordicesimo o il quindicesimo secolo» Ed ancora: «La questione della sovranità sull’Artico non esiste. E’ chiaro. E’ il nostro paese. Sono le nostre acque. Loro si sbagliano, se credono che piantare una bandiera sul fondo dell’oceano cambi qualcosa»43. Al di là delle reazioni alla spedizione russa, può essere utile ricordare che per il Canada, la difesa dell’Artico, rientra nell’ambito della cooperazione con gli Stati Uniti in seno alla NATO. Inoltre, nel maggio 2006, Ottawa ha rinnovato l’accordo NORAD (North American Aerospace Defence Command) che gli consente di usufruire sia della difesa aerospaziale, sia dell’allerta marittima americana. Tale intesa però rivela anche l’incapacità del Canada di difendere le proprie frontiere e la dipendenza strategica dagli USA. Neanche la risposta degli Stati Uniti ad Arktika 2007 si è fatta attendere, infatti, il 6 agosto 2007, il rompighiaccio USS Healy, è salpato da Seattle diretto verso il Mare di Bering per effettuare degli studi sul surriscaldamento globale. La Healy è l’unica, tra le unità rompighiaccio statunitensi in grado di svolgere missioni di questo tipo. Secondo gli esperti militari americani, gli armamenti della marina statunitense non sono adatti ad affrontare l’ambiente polare e si trovano in una condizione di profondo ritardo rispetto a quelli della Federazione Russa. Il gap tecnologico è dimostrato anche dal fatto che la flotta americana ha in forza solo quattro unità rompighiaccio, mentre Mosca ne possiede diciotto44 e soprattutto può contare su una maggiore esperienza operativa nella regione polare. La Russia, inoltre è la sola nazione al mondo a produrre rompighiaccio a propulsione nucleare45. Considerando che la costruzione di un rompighiaccio 43 PERRONE A., Arktika – La sfida dell’Artico. Il Polo Nord tra geopolitica e risorse energetiche, op. cit., p. 40. 44 Ivi, p. 45. 45 I rompighiaccio a propulsione nucleare hanno un'autonomia molto superiore rispetto a quelli convenzionali, poiché sono alimentati dall'energia atomica. Essi però presentano maggiori problemi dal punto di vista della sicurezza e richiedono notevoli costi di costruzione. I motivi principali che hanno spinto l'Unione Sovietica e poi la Russia ad immettere e tenere in servizio tali unità, sono due. Il primo è di ordine pratico. In Russia vi sono città, anche di grandi dimensioni, che si trovano in zone caratterizzate da climi estremi. Questo ha portato alla necessità di costruire navi rompighiaccio in grado di tenere aperti i collegamenti con queste città in ogni stagione, e quindi in grado di affrontare strati di ghiaccio il cui spessore varia tra gli 1,2 metri ed i 2 metri. A ciò si aggiunge la necessità di tenere aperte le rotte commerciali passanti per l'Artico. Il secondo motivo va ricondotto al prestigio nazionale: nel 1957 quando fu varato, il Lenin, era la prima nave di superficie a propulsione nucleare al mondo, oltre ad essere anche la prima unità civile con 72 avviene in otto/dieci anni, risulta evidente che a Washington manca una politica globale per l’Artico da parecchio tempo. Va aggiunto, che per quanto riguarda il regime giuridico delle acque dell’Estremo Nord, il Senato USA non ha ancora ratificato la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare. L’ex Amministrazione del repubblicano George W. Bush46 pur essendo favorevole alla ratifica, non è riuscita a farla votare a causa dell’opposizione di alcuni esponenti conservatori. L’adesione al trattato consentirebbe al governo americano di estendere la sovranità al di la delle coste dell’Alaska e di esercitare pressioni diplomatiche in seno alla Commissione per i limiti della piattaforma continentale. Per i sostenitori della Convenzione, la ratifica è necessaria al fine di evitare che Mosca si veda attribuire le proprie rivendicazioni territoriali senza che l’America prenda parte alle trattative. L’adesione all’accordo, inoltre, garantisce a Washington un posto al tavolo per la risoluzione delle dispute che potrebbero nascere con l’apertura delle nuove rotte navali nell’Artico. Particolarmente controversa risulta, infatti, una sezione del Passaggio a Nord-Ovest. Gli Stati Uniti, insieme alla maggior parte delle nazioni marittime, chiedono che esso venga regolato alla stregua degli altri Stretti internazionali, permettendo alle navi straniere il cosiddetto “passaggio in transito”47. Il Canada invece, riaffermandone la propria sovranità, ha varato nel 2009 un progetto di sorveglianza tramite satelliti che permette il controllo delle acque territoriali. Nonostante il passaggio si trovi oltre la linea delle dodici miglia che delimita il mare territoriale, Ottawa lo considera parte delle sue acque interne. Nel corso degli anni tuttavia, numerose navi appartenenti alla flotta americana hanno attraversato il Passaggio a Nord- questo tipo di propulsione. Si trattò un grosso successo di immagine per la tecnologia sovietica dell'epoca. 46 Il 12 gennaio 2009, George W. Bush, allora Presidente USA, ha approvato una direttiva presidenziale per la sicurezza nazionale, aggiornando di fatto, la politica artica americana. Nel documento infatti viene affermato che gli Stati Uniti sono una nazione artica, con forti e variegati interessi nella regione, compresi ampi e fondamentali interessi di sicurezza nazionale che richiamano: le risorse, la libertà navale, la sicurezza marittima, l’allerta missilistica e la dissuasione strategica. Sotto la calotta polare, infatti, un sottomarino rimane invisibile ai rilevamenti satellitari fino all’ultimo momento rendendo un attacco, o una risposta ad un attacco nucleare, inevitabile oltre che improvviso. Il Polo Nord rimane, in tal modo, l’unico punto del Globo dove la Russia è meno vulnerabile a un controllo preventivo, e dove può mantenere la deterrenza e la sua capacità di ritorsione anche in caso di conflitto nucleare. 47 Il cosiddetto passaggio in transito consente il passaggio alle navi civili e militari e agli aeromobili, permette inoltre ai sommergibili di restare in immersione durante il transito. 73 Ovest senza richiederne l’autorizzazione, violando, quanto stabilito dalle autorità canadesi. Dopo le azioni russe, canadesi e statunitensi, non si è fatta attendere nemmeno la risposta del governo danese. Il 12 agosto 2007 anche Copenaghen ha inviato nel Polo Nord una squadra composta da quaranta scienziati. La spedizione, partita dalle Isole Svalbard48 a bordo del rompighiaccio Oden, aveva l’obiettivo di dimostrare che la Dorsale Lomonosov è un’estensione geologica della Groenlandia (territorio di fatto danese) e non russo come affermato dal Cremlino. La Danimarca ha tempo fino al 2014 per depositare tale rivendicazione di fronte al comitato delle Nazioni Uniti incaricato della delimitazione delle piattaforme continentali. Uno Stato, dopo la ratifica della Convenzione sul Diritto del Mare, ha infatti dieci anni di tempo per fare delle richieste circa l’estensione della propria piattaforma. Finora quasi tutti i Paesi che si affacciano sull’Oceano Artico hanno riconosciuto la Convenzione, la Norvegia nel 1996, la Russia nel 1997, il Canada nel 2003 e la Danimarca nel 2004. Ognuno di questi Stati ha avanzato delle richieste per ottenere il controllo di un’area dei fondali marini polari. A tutto ciò, bisogna aggiungere che nuovi attori cercano di inserirsi nella partita. La Cina, protagonista recente degli scenari internazionali, ha ottenuto lo status di osservatore presso il Consiglio dell’Artico49. Anche se le sue coste non sono bagnate dall’Oceano Artico, Pechino non vuole farsi sfuggire le opportunità economiche e strategiche offerte dalle nuove rotte marittime e dalle risorse energetiche nascoste nel Polo. Per questi motivi ha già inviato tre spedizioni esplorative nell’Estremo Nord, la prima nel 1999, l’ultima nel 2008. Un altro fattore, inoltre, contribuisce a spostare l’influenza cinese verso il Polo: 48 Le isole Svalbard appartengono alla Norvegia. Il Consiglio dell’Artico è stato istituito ufficialmente dalla dichiarazione di Ottawa del 1996. Esso è un forum intergovernativo che discute dei problemi dei governi artici e della popolazione indigena dell'Artico. Gli Stati membri sono: il Canada (che rappresenta i Territori del Nord-Ovest, il Nunavut e lo Yukon), la Danimarca (con la Groenlandia e le Isole Fær Øer), la Finlandia, l'Islanda, la Norvegia, la Russia, gli Stati Uniti (che rappresentano l'Alaska) e la Svezia. Lo status di osservatori è aperto anche a Stati non artici oltre che alle organizzazioni mondiali intergovernative ed interparlamentari e alle ONG. 49 74 «Non va dimenticato che da anni è in atto una silenziosa ma forte spinta migratoria dalla sovrappopolata Cina verso la spopolata Siberia. In virtù di questo flusso migratorio e in funzione del fatto che i Cinesi emigrati in Siberia non sono vincolati alla politica - valida in Cina - dell’unico figlio per famiglia, ormai già diverse province siberiane sono a maggioranza cinese. Se questo trend continuerà invariato, entro due o tre lustri la Siberia avrà una maggioranza etnica cinese. Cosa accadrà se i cino-siberiani dovessero chiedere l’autodeterminazione? Accadrà che la Cina sarà una potenza artica»50. Anche la Corea del Sud, importante potenza mercantile, interessata all’apertura di potenziali rotte, si sta muovendo a sua volta per acquisire lo statuto di osservatore nel Consiglio dell’Artico e allo stesso status ambisce il Giappone. La NATO ha auspicato la costituzione di una presenza militare permanente, mentre la Commissione Europea ha adottato nel novembre del 2008 una Comunicazione dal titolo “L’Unione Europea e la Regione Artica”, con la quale invita alla protezione dell’Artico e della sua popolazione e all’uso sostenibile delle sue risorse. L’insieme di questi fattori mostra come la militarizzazione della regione sia ormai un dato di effettivo e molti analisti sono concordi nel ritenere che i rischi di un conflitto per il controllo delle risorse energetiche e delle rotte marittime si facciano sempre più evidenti. Il Consiglio dell’Artico sta agendo come organo di gestione delle discordie al fine di evitare che la soluzione di questi variegati problemi, venga lasciata agli Stati nazionali. Si profila dunque un periodo caratterizzato da responsabilità notevoli per le Organizzazioni internazionali51, regionali e sub-regionali, presenti nell’area. Il Consiglio dell’Artico sta portando avanti negoziati tra gli attori internazionali al fine di prevenire tensioni e stemperare quelle già in atto. Nonostante il clima teso però occorre ricordare che la possibilità di fruizione concreta delle risorse energetiche sepolte sotto i ghiacciai appare abbastanza virtuale nel breve periodo52. I risultati 50 MARIZZA G. Passaggio a Nordest, le conseguenze della sua (prossima) apertura. «loccidentale.it», 9 gennaio 2010. 51 In particolare, il Consiglio degli Stati del Mar Baltico (CBSS) e il Consiglio Euro-Artico di Barents (BEAC). 52 Secondo l’U.S. Geolocical Survey, l’84% di tutte queste risorse si troverebbe in mare aperto. 75 di un sondaggio condotto tra il 2007 e il 2008 da Fréderic Lassere, professore di geografia all’Université Laval, non a caso, hanno mostrato che su 125 compagnie marittime di varie regioni, soltanto 11 sarebbero effettivamente interessate ad usufruire del Passaggio a Nord-Ovest. A ciò va aggiunto che i rischi ecologici del suo utilizzo, come di tutte le altre rotte artiche, sarebbero enormi. Come ha dimostrato l’incidente della Exxon Valdez a largo delle coste dell’Alaska nel 1989, l’intervento in caso di emergenza in acque con presenza di ghiaccio rimane estremamente problematico. La Northern Sea Route, avrebbe anch’essa le potenzialità di divenire un’opzione importante nei traffici marittimi, specialmente se si considera la congestione che contraddistingue i Canali di Suez e Panama. Tuttavia, la Russia, sebbene abbia aperto la tratta alle imbarcazioni straniere, deve ancora risolvere diverse questioni fondamentali per renderla competitiva e richiamare l’interesse delle principali compagnie marittime mondiali. Inoltre, i problemi di intasamento che caratterizzano attualmente il Canale di Suez e ancor più quello di Panama, saranno superati dai progetti di ampliamento in corso. Al di la delle rotte marittime concorrenti, anche determinati itinerari terrestri possono costituire delle valide opzioni rispetto ai canali. In alcuni casi la ferrovia ha infatti assunto funzioni alternative rispetto alla nave rendendo, la rotta terrestre molto competitiva. Queste funzioni si delinearono negli Stati Uniti durante gli anni Sessanta, quando vennero allestiti treni di container da costa a costa, che offrivano un trasporto terrestre alternativo a quello marittimo attraverso il Canale di Panama. Quei percorsi ferroviari furono denominati landbridge (ponte terrestre) ed erano costituiti da linee ferroviarie attraversate da particolari convogli caricati con container e operativi su lunghe tratte. Negli anni successivi, il traffico terrestre effettuato tramite landbridges, non ha interessato solo il trasporto containerizzato ma anche quello delle rinfuse: i ponti terrestri nord-americani hanno incrementato la loro capacità competitiva nei confronti della via navale. A tal proposito, un fattore determinante, è stato l’impiego di treni53 rapidi, in grado di percorrere ad alta velocità e senza soste intermedie il percorso tra New York e 53 I cosiddetti “treni blocco”, cioè quei convogli costituiti da un unico carico e che viaggiano a velocità sostenuta dal porto di sbarco al nodo interno e, viceversa, dal nodo interno allo scalo d’imbarco. 76 gli altri principali porti delle città del versante Pacifico come Los Angeles, Seattle e Oakland. La realizzazione del landbridge statunitense, capace di collegare Los Angeles a New York in 4/5 giorni, ha infatti deviato quote di traffico evitando il passaggio delle navi attraverso il Canale di Panama. Inoltre, il landbridge americano ha una valenza che si esplica su scala planetaria oltre che continentale. Esso, infatti, opera sulle relazioni Europa - Estremo Oriente come ad esempio nella rotta tra il Northern Range europeo e i porti del Giappone. Le navi salpando dal Nord Europa, giungono a New York, da qui un treno blocco trasferisce i container a Seattle (o altro porto), da dove una nave li trasferisce al porto giapponese di destinazione. Questo schema di connessione tra le rotte navali e quelle ferroviarie consiste in un percorso a tre segmenti “mare-terra-mare” e costituisce il ponte terrestre “puro” (landbridge). Accanto a questo modello, si è sviluppato parallelamente anche il cosiddetto ponte terrestre “parziale” (minibridge) nel cui caso una rotta marittima viene invece sostituita da un percorso a due segmenti “mare-terra”. Un esempio tipico è rappresentato dai trasporti tra il Northern Range europeo e i porti della West Coast statunitense. In questi casi alla tratta che attraversa Panama, viene preferito un percorso misto: una nave trasporta i container in un porto degli Stati Uniti sull’Atlantico, ad es. New York o New Orleans; da qui un treno blocco li trasferisce in un porto sulla costa Pacifica (ad es. Seattle o Los Angeles). Il ponte terrestre nord-americano consentendo di bypassare l’istmo panamense, entra in competizione con esso in una delle rotte commerciali che ormai da anni caratterizza gli scambi mondiali, cioè quella tra la costa orientale degli Stati Uniti e il Sud-Est asiatico. Anche il Canale di Suez si trova nella tratta appena descritta nel caso in cui le compagnie navali scelgano di collegare le due macroregioni attraverso la rotta esclusivamente marittima Suez-Mediteraneo, piuttosto che attraverso la rotta mare-terra-mare offerta dall’utilizzo del landbridge statunitense. Tuttavia, recenti analisi hanno dimostrato come, in termini di tempi e costi, il collegamento via Suez e Gibilterra sia più vantaggioso. Durante gli anni Settanta e Ottanta anche l’Unione Sovietica aveva previsto la realizzazione di un ponte terrestre per il trasporto containerizzato. Il progetto prevedeva l’utilizzo della ferrovia transiberiana per il trasferimento di container 77 dall’Europa al Pacifico in luogo della tradizionale via marittima che passava attraverso l’Oceano Indiano, sia doppiando il Capo, sia soprattutto attraverso il Canale di Suez54. Mosca ambiva a guadagnare posizioni negli scacchieri delle rotte containerizzate, ma nonostante gli sforzi compiuti per ammodernare la linea, che in alcuni tratti fu raddoppiata, non è riuscita a vincere la concorrenza prodotta dalle compagnie marittime operanti tra il vecchio continente e il Pacifico occidentale. La crisi politica che portò alla dissoluzione dell’impero sovietico e del blocco comunista, contribuì al fallimento dei piani del Cremlino. Attualmente attraverso la ferrovia Transiberiana giungono in Europa circa 20 mila container all'anno. Sebbene costituiscano ancora una minima parte del trasporto di merci che ha luogo nell'arcipelago asiatico, la Russia si sta adoperando per cercare di aumentare il numero di contenitori instradati via ferrovia mettendo in servizio anche 120 treni merci al giorno. Dopo la completa elettrificazione della linea, completata nel 2002, si sta lavorando al raddoppio totale della stessa. Il programma di ammodernamento della strada ferrata transiberiana si inserisce in un quadro più ampio che prevede la ricostruzione tecnologica delle regioni della Siberia. Il piano è stato presentato personalmente dal primo ministro, Vladimir Putin, secondo cui il principale blocco di problemi da risolvere in Siberia è legato alla scarsità delle reti di trasporti e infrastrutture connesse. Dalla Siberia, in caso di successo, le innovazioni verranno estese a tutto il territorio russo. La celebre ferrovia richiede una ricostruzione urgente: questa via di trasporto di importanza strategica per la Russia, oltre al già accennato problema del binario unico in certi tratti, presenta numerose complicazioni legate ai sistemi informatici. Nelle intenzioni del ministro dei Trasporti russo, il piano di modernizzazione dovrà creare in Siberia un sistema integrale di reti di trasporto ferroviario ad alta velocità. Il progetto TAV è infatti particolarmente richiesto in Siberia date le notevoli distanze tra i maggiori centri abitati. Tuttavia, i costi per la realizzazione delle reti ad alta velocità per tutta la Russia sono decisamente 54 Nei viaggi dall’Europa al Giappone, il landbridge Transiberiano permette dei risparmi consistenti rispetto alle altre rotte marittime. Partendo da Rotterdam per raggiungere Kobe bisogna percorrere 20.100 km via Suez, 23.800 km attraverso Panama e ben 26.300 km circumnavigando il Capo di Buona Speranza. Tali distanze vengono ridotte a 14.700 km se si sceglie la strada ferrata Transiberiana. 78 elevati. Secondo le stime del ministero dei Trasporti il progetto TAV richiederà investimenti per 30 miliardi di dollari e oltre. Considerevoli sono, infatti, le difficoltà di ammodernare adeguatamente alcune tratte della linea ferrata, soprattutto nell’attraversamento degli Urali e nel percorso compreso tra la regione dell’Amur e il Lago Bajkal, da dove inizia il tratto di avvicinamento a Vladivostok (Fig. 3.2). Fig. 3.2 – Le rotte del Trans Eurasia Express nel 2009 Fonte: La Documentation photographique n° 8072, 2009 Lo Stato utilizzerà sia crediti interni sia quelli ottenuti sui mercati internazionali per sovvenzionare lo sviluppo della rete trasportuale. Sarà utilizzata l’esperienza italiana e internazionale per trasformare la ferrovia Transiberiana in una linea ad alta velocità55. A tal proposito, gli esperti e gli specialisti russi stanno analizzando l’esperienza accumulata dall’Italia nello sviluppo del TAV, nonché del treno Sapsan (Siemens) che è iniziato a circolare tra Mosca e San Pietroburgo. Il primo tratto della Transiberiana sul quale sarà sperimentato il traffico ad alta velocità è quello compreso tra Omsk e Novosibirsk56. Tali lavori dovrebbero 55 Un elemento fondamentale dello sviluppo del TAV è legato all’incremento del tasso di mobilità, ancora molto basso, degli abitanti della Siberia. 56 All’inizio la velocità sarà aumentata fino a 160 chilometri orari. 79 permettere di quadruplicare l’attuale capacità della linea facendone uno dei punti nodali nella rete di infrastrutture dei trasporti della Russia. Sempre per far fonte all’arretratezza dell’intero sistema dei trasporti della regione, il governo russo ha in cantiere un altro progetto globale per la Siberia e cioè la costruzione di un’autostrada a “traforo” che dovrà collegare Mosca a Vladivostok. Nelle intenzioni del Cremlino, tale realizzazione dovrebbe deviare una parte consistente del traffico cargo tra l’Asia e l’Europa nel territorio russo. Se i landbridge esercitano una certa concorrenza alle rotte che passano per Suez e per Panama nel campo del trasporto containerizzato, altre forme di trasporto possono invece entrare in competizione con i Canali in quello delle rinfuse. A esserne coinvolti sono soprattutto i trasporti di idrocarburi per effetto dello sviluppo di condotte terrestri la cui realizzazione, sia nell’area che va dal Mar Rosso al Mediterraneo, sia in quella compresa tra la costa Pacifica e quella Atlantica della Repubblica panamense, ha assunto un notevole significato geostrategico. La prima opera risale al 1977 quando entrò in esercizio la SUMED Pipeline (Suez-Mediterranean pipeline) che collega il terminale d’imbarco del greggio di Ain Sukhna, a Sud di Suez sulla sponda Est del Mar Rosso, con il terminale d’imbarco Sidi Keri, sulle rive del Mediterraneo, presso Alessandria. Il progetto di un oleodotto dal Mar Rosso al Mar Mediterraneo fu concepito subito dopo la chiusura del Canale di Suez nel giugno del 1967. Lunga 200 miglia (320 km) e costituita da due condotte parallele dal diametro di circa un metro, questa direttrice energetica può trasportare 2,5 milioni di barili di petrolio al giorno57 rappresentando un’alternativa concreta al Canale. Essa è di proprietà della Arab Petroleum Pipeline Co., una joint venture tra ADNOC (Abu Dhabi), Saudi ArAmCo (Arabia Saudita)58, EGPC (Egitto) ed alcune società del Kuwait. Opera generalmente nella direzione Sud-Nord. 57 Nel 2009 la SUMED Pipeline ha trasportato soltanto 1,1 milioni di barili di petrolio al giorno. 58 La multinazionale governativa saudita ArAmCo (Arabian American Oil Company) ha sede a Dhahran, nell'est del paese. Possiede la maggior parte delle risorse di idrocarburi del reame e, dal punto di vista sia della produzione che delle riserve, è di gran lunga la prima compagnia petrolifera mondiale. 80 “Questa condotta - scrive Vallega – esercitò competizione rispetto a due itinerari marittimi. In primo luogo, competizione nei riguardi del canale di Suez. […] In secondo luogo il Sumed ha esercitato competizione nei riguardi della rotta del Capo ”59. Per ciò che concerne il primo itinerario, se sul terminale mediterraneo operano navi di grande portata, dell’ordine di 300.000 tpl, e che quindi non possono attraversare il Canale a pieno carico, il costo unitario del trasporto del greggio mediante l’oleodotto è inferiore a quello che si dovrebbe sostenere passando per il Canale con petroliere meno grandi. In questo modo si è venuta a creare una sorta di complementarità tra la pipeline e il Canale. Nei confronti della rotta del Capo di Buona Speranza invece, la condotta ha esercitato una notevole concorrenza poiché dal momento in cui è stata realizzata non è stato più necessario far fare il periplo del continente africano alle grandi navi adibite al trasporto di greggio dirette in Europa o negli Usa, dato che esse potevano partire direttamente dal porto di Sidi Keri nel Mediterraneo. La seconda opera, l’oleodotto Trans-Panama, è entrata in esercizio nel 1982. Si tratta di una condotta terrestre, che da Puerto Armuellas, nella costa pacifica, carica il petrolio e lo trasporta fino a Bocas del Toro60, nella costa caraibica, da dove viene distribuito a tutta la costa Est degli Usa. La sua realizzazione fu decisa alle fine degli anni Settanta mentre a Panama regnava la dittatura di Omar Torrijos61 e gli Stati Uniti vivevano una forte crisi petrolifera in seguito alla decisione dei Paesi arabi di bloccare le esportazioni di petrolio ai Paesi occidentali. Tale situazione era dovuta al fatto che sia l’America che i Paesi Europei, avevano appoggiato Israele nel conflitto contro l’Egitto e la Siria del 1973. Per far fronte alle proprie esigenze energetiche il governo statunitense doveva escogitare un sistema relativamente conveniente per il trasferimento del petrolio sudamericano e soprattutto quello estratto nei giacimenti dell’Alaska, fino ai porti e alle raffinerie della costa est. 59 VALLEGA A., Geografia delle strategie marittime, op. cit., p. 243. La Trans-Panama parte esattamente dal porto di Charco Azul 8°16’ N / 82º 52’ W, per arrivare al porto di Chiriqui Grande 8° 56’ N/ 82° 07’ W. 61 Omar Torrijos (1929-1981) è stato un militare e politico panamense che ha guidato il Paese americano dal 1968 al 1981. E’ ricordato in particolare per i trattati Torrijos-Carter del 1977 fra la Repubblica di Panama e Stati Uniti che hanno sancito il diritto di controllo della Repubblica di Panama sull’omonimo Canale a partire dal 2000. 60 81 Nel mese di settembre del 1977 gli imprenditori newyorkesi Harold e Raymond Bernstein, proprietari dell’impresa Petroterminal de Panama SA (PTP), proposero al governo panamense la costruzione dell’oleodotto trans-istmico. Il dittatore Omar Torrijos, accettò l’offerta consapevole del fatto che essa rappresentava un investimento sicuro per il Paese in virtù delle opportunità d’impiego che si sarebbero create durante l’esecuzione dell’opera. I lavori iniziarono nell’aprile del 1979 e furono conclusi in tre anni. Nel mese di ottobre del 1982 la condotta fu percorsa per la prima volta dal petrolio che dal terminale pacifico giunse a quello Atlantico. La pipeline misura 81 miglia (130 chilometri), ha una capacità massima di 860 mila barili al giorno e corre lungo un percorso situato interamente nel territorio della Repubblica di Panama. Dalla sua apertura fino al 1996, questa condotta ha trasportato 2,7 milioni di barili di petrolio provenienti da Valdez, in Alaska, e diretti nelle raffinerie della East Coast statunitense rappresentando un’alternativa concreta sia al passaggio attraverso il Canale di Panama, sia alla circumnavigazione di Capo Horn. Le grandi navi della classe VLCCs (Very large Crude Carriers), adibite al trasporto del greggio, non possono passare attraverso il Canale, mentre scegliendo di doppiare il Capo, impiegherebbero circa 40 giorni per raggiungere i porti della costa del Golfo statunitense partendo dall’Alaska. Nell’aprile del 1996, le valvole dell’oleodotto sono rimaste chiuse per una serie di fattori: il crollo della produzione del greggio dell’Alaska62; l’aumento del consumo di idrocarburi nella costa occidentale degli Stati Uniti, soprattutto in California; e la decisione di permetterne l’esportazione fuori dagli Usa. La TransPanama ha ripreso regolarmente il suo funzionamento, trasportando 70 mila barili di petrolio al giorno, nel 2003 quando Petroterminal de Panama ne ha annunciato la riapertura63. Da allora la condotta trasporta principalmente greggio proveniente dall’Ecuador. Il 42% delle azioni dell’oleodotto sono detenute dal governo panamense e il restante 58% è in mano a diverse compagnie nordamericane. Le società petrolifere stanno progettando un’ulteriore espansione della pipeline, ma 62 Attualmente l’Alaskan North Slope Crude Oil (ANSCO) produce circa 996 mila barili di petrolio al giorno. 63 La riapertura dell’oleodotto trans-istmico è stata annunciata nel giugno del 2003 dopo che la Petroteminal ha raggiunto un accordo con la NIC Holding Corporation and Taurus Petroleum. La pipeline ha ripreso a funzionare nel novembre dello stesso anno. 82 questo potrebbe inasprire ulteriormente i rapporti con le comunità costiere che vivono nei pressi della condotta. La costruzione dell’infrastruttura ha infatti comportato diversi danni ambientali, economici e sociali alla popolazione residente nella area. L’impatto è stato notevole e ha avuto notevoli conseguenze negative: in primo luogo la deforestazione e la contaminazione ambientale nelle aree costiere da cui parte e in cui arriva l’oleodotto, e nelle aree interne che attraversa; in secondo luogo l’espropriazione di terre alle famiglie e ai contadini che abitavano nei lotti in cui era previsto il passaggio della condotta; inoltre gli incidenti dovuti al versamento del greggio hanno causato ingenti danni all’ecosistema contaminando le acque e i terreni e danneggiando la flora e la fauna della regione. In particolare, il 4 febbraio 2007 una grossa perdita di petrolio, avvenuta durante la fase di trasbordo del greggio da una nave alle tubature dell’oleodotto, ha contaminato circa 7.400 km² di mare. L’evento ha spinto le 54 comunità costiere a costituire il “Coordinamento delle Comunità Danneggiate dal Versamento di Petrolio di Chiriquì Grande”, per chiedere tramite azioni legali e manifestazioni, che la Petroterminal risarcisca i cittadini per gli ingenti danni derivati dall’incidente64. L’impresa ha in parte provveduto al risarcimento della popolazione, ma ha anche ribadito la necessità di rinnovamento e di ampliamento dell’oleodotto. Secondo la Petroterminal infatti, il disastro è avvenuto a causa dell’obsolescenza della struttura. Nel maggio 2008 la Petroterminal de Panama S.A. si è accordata con la BP65 per la modernizzazione della condotta oltre che per il suo utilizzo, da parte della società inglese, nel trasporto del greggio dall’Angola alle raffinerie della costa ovest. Infine, il 15 ottobre del 2009, la Petroterminal ha firmato un contratto con la CB&I (Chicago Bridge & Iron Company), una multinazionale specializzata nella 64 Il Coordinamento, ha anche redatto un documento di analisi dove vengono riportate le conseguenze del disastro: “le comunità hanno riportato danni alla salute causati dal consumo di pesce contaminato. Asma, vomito, infezioni alla pelle e dolori di stomaco sono tra gli effetti più comuni; l’attività della pesca, principale fonte di sostentamento della popolazione, è diminuita drasticamente a causa dell’inquinamento delle acque ed in alcune località del distretto di Chiriqui Grande è stata sospesa del tutto”. (Centro Documentazione Conflitti Ambientali, http://www.cdca.it). 65 La BP plc (originariamente British Petroleum), è una società inglese che opera nel settore energetico e soprattutto in quello del petrolio e del gas naturale, settori in cui è uno dei quattro maggiori attori a livello mondiale (assieme a Royal Dutch Shell, ExxonMobil e Total). La sua sede si trova a Londra. 83 costruzione di oleodotti e gasdotti, per la progettazione e l’esecuzione di una seconda fase di espansione della pipeline. 3.3 La pirateria marittima Nell’attuale contesto globalizzato la navigazione marittima rimane la via di trasporto più vantaggiosa per il suo basso costo, rendendo il mare, da un punto di vista economico, un bene insostituibile sia sotto il profilo commerciale, sia in relazione alle possibilità di sfruttamento delle sue risorse energetiche ed alimentari. Assicurare il libero e pacifico utilizzo delle rotte navali è una necessità economica, visto che buona parte del commercio marittimo è costituito da minerali e prodotti petroliferi66. Data l’importanza della fluidità degli scambi transfrontalieri, la Comunità internazionale, sta focalizzando la sua attenzione sulle nuove minacce e le molteplici sfide da affrontare nell’ambiente marittimo. Il Canale di Suez e quello di Panama rappresentano oggi due rotte fondamentali per il trasporto intercontinentale. Uno dei problemi che potrebbe attentare alla stabilità delle due rotte è rappresentato dagli attacchi dei pirati che si verificano nelle acque adiacenti i due Canali. Negli ultimi anni la pirateria marittima ha registrato una crescita esponenziale. Tra il 2007 e il 2008 gli attacchi pirateschi nel mondo sono aumentati dell’11%67. Nel 2009, secondo il rapporto della Camera di Commercio Internazionale e dell’International Maritime Bureau68, sono state attaccate 204 navi nella sola zona del Golfo di Aden e dell’Oceano Indiano, mentre nel 2010 i tentativi d’abbordaggio sono stati 445 in tutto il mondo. L’incremento di queste attività illegali ha fatto registrare una rinnovata attenzione verso la problematica della sicurezza degli approvvigionamenti marittimi lungo le rotte mercantili più trafficate. Un rapporto delle Nazioni Unite ha evidenziato che circa il 75% dei 5,89 miliardi di tonnellate di merce varia scambiata ogni anno sia movimentata via mare attraverso i 66 A ciò va aggiunta la grande importanza che il mare riveste per il turismo Dal 2007 al 2008 ci sono stati nel mondo 293 incidenti nel corso dei quali 11 membri di equipaggi sono stati uccisi, 32 feriti e 21 sono risultati dispersi. 68 http://www.icc-ccs.org. 67 84 cosiddetti choke points69 che, oltre al Canale di Panama e a quello di Suez, comprendono lo Stretto di Malacca, lo Stretto di Hormuz e lo Stretto di Gibilterra. L’ambiente marittimo si presta ad azioni terroristiche di carattere asimmetrico a causa della presenza di rotte “fisse”, caratterizzate appunto dalla presenza dei choke points appena descritti, che presentano un alto grado di criticità dovuta alle loro caratteristiche geografiche che li rendono vulnerabili, facilmente bloccabili e ideali per attacchi terroristici o di pirateria. Il fenomeno della pirateria ha origini antiche ed ha notevolmente influenzato la vita politica degli Stati. Intorno al 100 a.C., la Cilicia Trachea70 divenne un covo di pirati. Essi furono sottomessi da Gneo Pompeo Magno in seguito alla battaglia di Korakesion (la moderna Alanya). Nel 67 a.C., il console romano, forte di un solido mandato politico e di un’armata composta da 500 navi, 5 mila cavalieri, 120 mila fanti e 24 legati, salpò alla volta delle coste orientali del Mediterraneo per porre fine alle scorribande dei pirati cilici attaccandone con risolutezza basi e naviglio. Nel XVII secolo, l’attività piratesca subì un nuovo impulso nel mare delle Antille grazie a una serie di fattori che ne permisero la diffusione, e che sono in parte sovrapponibili rispetto a quanto accade oggi nel Corno d’Africa. Grande quantità di navi da assaltare, appoggi sicuri sulla terraferma, vastità della regione di intervento da parte dei pirati e quindi dell’area da proteggere per le flotte che danno loro la caccia, forti e variegati interessi geopolitici: tutto ciò costituiva allora come oggi il comune denominatore nel quale scorgere le somiglianze tra la realtà storica degli eventi di pirateria tra la fine del XVII secolo e i primi decenni del XVIII, ed i giorni nostri. Molto interessante, la scelta di combattere queste attività illegali inviando in mare navi ed equipaggi corsari71 incaricati di assalire 69 Il termine inglese choke point indica uno stretto particolarmente insidioso, una sorta di collo di bottiglia che rallenta la navigazione e che, in un eventuale contesto bellico, favorirebbe il prevalere di una delle forze coinvolte. 70 Nella geografia antica, la Cilicia formava un distretto sulla costa sudorientale dell'Asia Minore (Turchia), a Nord di Cipro. Essa era divisa in Cilicia Trachea (Cilicia aspra) e Cilicia Pedias. 71 I corsari, il cui nome deriva probabilmente dal fatto che portassero con loro una lettera di corsa prodotta dal governo dal quale erano stati reclutati, godevano di uno status che li metteva in condizione di poter usufruire se fatti prigionieri, dei medesimi diritti di un soldato combattente sotto la bandiera di uno Stato. I corsari erano dei mercenari ingaggiati dallo Stato per assaltare, e depredare le navi, ostacolando, in questo modo, i commerci e i rifornimenti marittimi delle nazioni nemiche. A differenza dei pirati che agivano autonomamente assalendo qualsiasi nave ritenuta 85 tutte le navi nemiche incrociate. Tale strategia consentiva di contrastare gli attacchi dei pirati in modo più efficace rispetto all’impiego delle regolari forze governative. L’impiego di questa sorta di “proto military & security contractors”, secondo diversi esperti del settore, potrebbe rappresentare un precedente utile per le Privat & Security Company impegnate nella lotta alla moderna pirateria72. Oggi gli atti di pirateria si verificano non soltanto a largo delle coste somale, divenute ormai terra privilegiata per questo tipo di attività, ma hanno luogo anche nel Sudest asiatico, nei Caraibi e lungo le coste pacifiche dell’America latina. Il Golfo di Aden è l’area del mondo maggiormente colpita da queste azioni illecite, seguita dalle coste della Nigeria e da quelle dell’Indonesia. In definitiva, le aree più a rischio sono quelle che, data la loro conformazione, costituiscono degli stretti particolarmente insidiosi che rallentano la navigazione e offrono, in tal modo, le condizioni favorevoli all’abbordaggio delle navi. Si tratta dunque di un problema globale che riguarda numerose regioni del pianeta. Tuttavia nel corso degli ultimi anni, il quadrante del Corno d’Africa è diventato il punto cruciale delle azioni piratesche nel mondo facendo salire agli onori della cronaca la pirateria somala. Le ragioni per cui le acque del Golfo di Aden e dell’Oceano Indiano sono infestate dai moderni bucanieri sono molteplici e includono fattori di natura politica, sociale, ambientale e giuridica. Anzitutto, di natura politica. Manca infatti, una concreta attività di contrasto da parte del Paese ove il fenomeno ha origine. La Somalia, secondo la graduatoria del Fund for Peace che considera gli aspetti economici, politici e sociali dei Paesi, è l’unico “failed state“ nel mondo. I somali costituiscono un unico popolo, ma essi sono suddivisi in numerosi clan e sotto-clan che non hanno mai formato una unità statale. Le istituzioni statali sono estranee alla loro cultura tradizionale e la storia del Paese è piena di conflitti inter-clanici per il possesso delle scarse risorse che offre una terra in gran parte desertica o semi desertica con solo due zone agricole redditizia, i corsari dovevano attenersi a delle rigide regole d’ingaggio che elencavano in maniera inequivocabile la nazionalità delle navi che potevano essere abbordate. Se catturati, ai corsari spettava la galera e un regolare processo, mentre ai pirati l’impiccagione. 72 Cfr. ALBERIZZI M., BIFFANI C., OLIMPO G., Bandits – La lotta alla pirateria somale del XXI secolo, Fuoco Edizione, Roma 2009. 86 lungo i fiumi Giuba e Shebeli. Il periodo della prima Repubblica, tra il 1960 e il 1969, vide la nascita di numerosi partiti quasi tutti a base clanica dove lo Stato veniva considerato come qualcosa di cui impossessarsi per la spartizione dei beni a livello familiare. Il periodo socialista, dal 1969 al 1991, terminò con la guerra civile, perché Siad Barre, per non perdere il potere e continuare a governare, si appoggiò sempre più a certi clan e in particolare al suo, seminando divisioni. Con il crollo del regime, le fazioni più forti si sono spartite nella violenza quello che rimaneva dello Stato: armi, costruzioni, porti, aeroporti, zone agricole, ponti, scuole, ospedali, ecc. Dunque si tratterebbe di uno Stato solamente dal punto di vista dei confini geografici visto che, di fatto, un’autorità centrale in grado di controllare in maniera efficace il territorio è assente dal 199173. Da allora, il Paese è stato frammentato in diverse zone poste sotto l’autorità dei cosiddetti “Signori della guerra” i quali hanno sfruttato le risorse presenti nel territorio senza assolvere i più elementari compiti di sicurezza e di stabilità tradizionalmente attribuite allo Stato. Tutti gli sforzi, regionali e internazionali, volti a favorire la stabilità sono stati sviati creando così una situazione favorevole allo svolgimento di attività criminali. Tuttavia, la situazione all’interno del Paese è tutt’altro che uniforme: alcune aree, come il Puntland del Nord-Est e la regione Nord-occidentale del Somaliland, sono state in grado di assicurare un livello di stabilità accettabile; il Sud del Paese rimane troppo insicuro perché i predoni decidano di stabilirvi una base effettiva74; il Puntland e la Somalia centrale offrono invece una perfetta combinazione tra un debole controllo del governo sulle acque e la lontananza dai 73 Dopo la dissoluzione del regime autoritario di Siad Barre (1969-91) si è avviata una lunga guerra civile fra fazioni contrapposte che nemmeno l’intervento delle Nazioni Unite, tra il 1992 e il 1995, è riuscito a sedare. Ne è derivata una divisione in diverse “repubbliche” ciascuna con proprie istituzioni. Nel 1991 si è dichiarato indipendente il Somaliland, nel Nord del Paese. Nel 1998, il Puntland, e in seguito altre regioni soggette ai Signori della guerra locali. Solo nel periodo delle Corti Islamiche si è registrata una riduzione della pirateria. Queste ultime, grazie ad azioni repressive, sono riuscite a contrastarla dichiarandola illegale. Alla Conferenza di Gibuti, il 5 agosto del 2000, sono state create delle istituzioni transitorie che hanno ristabilito un ordine e un controllo parziale del territorio solo alla fine del 2006, in seguito all’intervento militare etiope. Le truppe etiope, supportate dalle forze armate statunitensi, sono riuscite ad allontanare le Corti islamiche e a stanziare il Governo Federale di Transizione (GFT) nominato dall’ONU. Al ritiro dell’esercito di Addis Abeba, sono ripresi gli scontri fra le varie fazioni e al momento il governo non ha il controllo del Paese che resta i balia di bande dedite alla pirateria e al contrabbando. 74 Nel Sud del Paese le possibilità di rimanere coinvolti in un conflitto sono molto alte e, inoltre, ci sarebbero molte fazioni da corrompere, la pirateria non sarebbe quindi un’opzione possibile. 87 combattimenti che hanno luogo più a Sud. Qui la mancanza di un monopolio legittimo della coercizione fisica ha generato effetti negativi soprattutto sul mare il cui controllo è generalmente più controverso specialmente in un Paese le cui coste si estendono per più di 3 mila chilometri. Le forze di polizia che normalmente presidiano le acque territoriali sono ormai assenti. Il personale inquadrato in questi corpi non è più attivo a causa del mancato pagamento degli stipendi da parte delle autorità a ciò preposte. A questo si aggiunge, l’assenza sul territorio di apparati capaci di contrastare le attività criminali, nonché la mancanza di tribunali dai quali essere giudicati in caso di cattura. Riguardo i fattori di natura sociale, va sottolineato che l’estrema povertà della popolazione somala spinge gli abitanti delle regioni costiere ad attaccare le numerose navi che transitano nella zona. In un Paese dove il reddito pro-capite è stimato intorno ai 650 dollari annui, dunque fra i più bassi al mondo, la pirateria diventa una risorsa accettabile anche da un punto di vista etico. In tale contesto, le operazioni piratesche rappresentano un mezzo di sostentamento immediato, a basso rischio ed altamente remunerativo. Il riscatto medio pagato dagli armatori o dalle compagnie assicurative per il rilascio di mezzi ed equipaggi oscilla tra un milione e un milione e mezzo di dollari. A fronte di tutto ciò, il finanziamento di un’operazione di pirateria prevede costi irrisori. L’instabilità del Paese e l’inedia in cui versa la maggior parte della popolazione, fanno sì che i pericoli connessi alla pirateria vengano considerati poco peggiori rispetto a quelli cui si va incontro quotidianamente. Le organizzazioni dedite alla pirateria, infatti, non hanno alcun problema a reclutare nelle loro fila, uomini e anche donne. Non bisogna dimenticare i problemi di natura ambientale che caratterizzano le coste somale. A causa dell’assenza di controlli efficaci, ha preso piede lo smaltimento, nelle acque territoriali, di rifiuti tossici la cui movimentazione è regolata dalla Convenzione di Basilea e quella di Bamako75 nelle acque territoriali. Il traffico di rifiuti pericolosi costituisce oggi una delle attività 75 La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e della loro movimentazione firmata il 22 marzo del 1989 ed entrata in vigore nel 1992 rappresenta l’unico e importante atto internazionale adottato per il controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi. La Convenzione di Bamako, adottata nel 1991, è stata concepita per regolare il movimento di rifiuti nei Paesi Africani. Essa dispone un vero e proprio veto all’importazione di rifiuti pericolosi. 88 criminali più remunerative: lo smaltimento in sicurezza di una tonnellata di materiale inservibile costa circa cinquanta dollari, mentre per la stessa quantità versata fraudolentemente in mare l’esborso non oltrepassa i due dollari. Nel 2004, in seguito allo tsunami, è stata rivenuta sulle coste del Puntland una notevole quantità di rifiuti tossici di natura eterogenea capace di provocare danni irreversibili all’ambiente e alla salute umana. Questo fenomeno, insieme alla pesca di frodo nelle acque somale76 da parte di pescherecci battenti bandiera straniera, ha fornito un motivo di ritorsione, ma anche un pretesto alle attività di pirateria. Tali azioni illegali infatti, secondo gli abitanti delle zone litoranee, sono iniziate come semplici operazioni di vigilanza del mare territoriale, volte a scongiurare il fenomeno della pesca illecita. Inoltre, molti esponenti somali ritengono che i pirati non fanno altro che proteggere le coste difendendo gli interessi nazionali che riguarderebbero appunto la tutela dell’ambiente marino dall’immissione di rifiuti e la protezione del patrimonio ittico dal saccheggio messo in atto dalle imbarcazioni occidentali e asiatiche. In un territorio altrimenti privo di beni di prima necessità la pesca rappresenta una delle principali risorse per il sostentamento della popolazione. Una norma internazionale di jus cogens77 stabilisce che ogni Stato, in quanto soggetto sovrano nella comunità internazionale, ha il diritto di sfruttamento delle proprie risorse naturali alle condizioni da esso stesso imposte. Ora è chiaro che la mancanza di un’autorità centrale in grado di controllare il rispetto delle leggi ha favorito il fiorire della pesca illegale da parte di battelli da pesca stranieri. In realtà, tra le file dei pirati molti non sono ex-pescatori e sono mossi più dal desiderio di enormi guadagni che da una preoccupazione per l’habitat marino. Per quanto riguarda la questione giuridica, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 198278, costituiscono pirateria gli atti di 76 Le acque della Somalia sono considerate tra le più pescose al mondo. La locuzione latina jus cogens indica le norme di diritto internazionale poste a tutela di valori che la comunità internazionale ritiene fondamentali. Si tratta di un insieme di norme che incorporano valori supremi dell’ordinamento giuridico internazionale nel suo complesso e che quindi non possono essere derogate dagli Stati. Tali norme costituiscono il cosiddetto jus cogens internazionale, il cui primo riconoscimento si è avuto nel 1969 con l’adozione della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati. 78 L’internazionalizzazione del contrasto al fenomeno della pirateria è iniziato con la Convenzione di Washington del 1922, a cui hanno fatto seguito il progetto della Società delle 77 89 sequestro, depredazione o di violenza, compiuti in alto mare o in zone non soggette alla giurisdizione di alcuno Stato per fini privati ad opera di una nave ai danni di un’altra nave privata. Se tali azioni illecite avvengono in acque territoriale e non in alto mare, sono da considerarsi “rapina a mano armata”. Attualmente almeno l’80% degli attacchi avviene in acque territoriali, e questo incide sulla risoluzione del problema perché la Convenzione di Montego Bay non autorizza a combattere la pirateria nel mare territoriale di Stati esteri. La repressione della pirateria costiera è un obbligo dello Stato rivierasco. Come si è visto, le forze di polizia somale non sono in grado di contrastare il fenomeno piratesco, mentre la possibilità di intervento da parte di altri attori internazionali è vincolata da caveat di natura giuridica nonché dal timore di creare un pericoloso precedente poi applicabile in situazioni differenti. Per ovviare a tali criticità sono stati siglati una serie di trattati che consentono alle navi che operano nel quadro dell’Operazione Atlanta di penetrare nelle acque territoriali somale79. Inoltre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato, nel 2008 le Risoluzioni 1816 (2 giugno 2008), 1838 (7 ottobre) e 1851 (16 dicembre) che in pratica autorizzano qualunque Stato interessato a intervenire per contrastare la pirateria e proteggere le rotte commerciali. Un altro fattore che ha contribuito in maniera decisiva all’incremento della pirateria nel Golfo di Aden è collegato all’enorme quantità di “obiettivi” che attraversano quel tratto di mare. Il petrolio del Medio Oriente80 transita di fronte alle coste della Somalia per raggiungere il Canale di Suez. Inoltre, buona parte delle merci prodotte dalle economie più dinamiche del continente asiatico (Cina, India, Giappone, Malaysia, Indonesia, Vietnam) dirette verso l’Europa e la costa orientale degli Stati Uniti attraversano questo punto di snodo. Attualmente, passano per questi mari circa venti mila navi all’anno, di cui due mila legate ad interessi italiani e seicento battenti bandiera italiana. Tale numero è destinato ad Nazioni del 1924, la Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958 e, infine la Convenzione di Montego Bay del 1982. 79 Il problema è stato superato con la previsione del consenso del Governo transitorio somalo all’intervento delle flotte navali delle marine straniere. L’adozione di questo regime ha consentito la salvaguardia della sovranità somala precisando che lo stesso ha una valenza solo riguardo al contesto particolare in cui versa lo Stato africano, e non po’ diventare un precedente per l’affermarsi di una nuova consuetudine internazionale. 80 Si tratta approssimativamente di 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno. 90 aumentare in seguito ai progetti di ampliamento del Canale di Suez che sono in corso di attuazione. Le acque tra lo Yemen e la Somalia in direzione dell’istmo egiziano sono dunque tra le più trafficate al mondo81. Il Canale artificiale nel XXI secolo rappresenta ancora le via di comunicazione più economica anche tra quadranti molto lontani, ma rischia di non essere più la più sicura. In risposta all’incremento della pirateria, la Comunità Internazionale si è mobilitata con diverse iniziative finalizzate al dispiegamento di una forza navale destinata al controllo dei corridoi di traffico più importanti. L’Unione Europea dirige, dal 13 dicembre 2008, l’Operazione Atlanta che vede impegnati diversi Paesi che hanno dato un contributo nello stanziamento di uomini e mezzi per la scorta delle navi del World Food Programme82. L’Italia in questo contesto svolge un importante ruolo sia da un punto di vista storico che operativo. Storico, dato che lo status politico della Somalia dipende anche dall’esperienza coloniale italiana, dalla sua gestione del Paese dal secondo dopoguerra fino all’indipendenza di Mogadiscio, nel 1960, alle missioni svolte negli anni Novanta sul territorio. Operativo, perché potrà contribuire sia al pattugliamento dell’area, sia inviando uomini per un supporto al raggiungimento dell’ordine e allo stabilimento delle normali attività politico-amministrative. Gli Stati Uniti hanno creato la Combined Task Force 151 e la NATO ha lanciato l’operazione Ocean Shield. Altri Paesi, tra cui Cina, Russia, Iran, Arabia Saudita, Giappone e Malaysia, hanno inviato delle navi a pattugliare le acque intorno alla Somalia. Queste missioni, pur se indipendenti da un punto di vista operativo, hanno creato un meccanismo di coordinamento detto SHADE. (Shared Awareness and Deconfliction Exercise). La massiccia presenza militare internazionale nel Golfo di Aden è indice dell’interesse, da parte degli Stati, nel tutelare la rotta che collega il Golfo di Aden al Mar Mediterraneo e all’Oceano Indiano, nonché dell’importanza geopolitica di questo quadrante. Il coinvolgimento militare della Cina risponde a una logica parzialmente diversa rispetto a quella degli altri attori internazionali; Pechino non è tanto 81 Di fronte alle coste della Somalia e dello Yemen passa circa il 20% del traffico commerciale navale mondiale. Se il mare non fosse così battuto, la pirateria non sarebbe così ricca. 82 Il World Food Programme è stato istituito nel 1963 ed ha sede in Italia. La sua missione è quella di provvedere ai bisogni nelle situazioni di emergenza e sostenere lo sviluppo economico e sociale garantendo aiuti alimentari. 91 interessata a Suez, quanto alla sicurezza dei traffici da e per l’Africa Orientale e per il Sudafrica. L’azione di sorveglianza83, svolta dalle flotte militari, ha avuto come conseguenza lo spostamento delle scorribande più a Est, verso l’Oceano Indiano, in una zona più difficile da pattugliare. Ciò ha dimostrato quanto sia flessibile l’operato dei pirati e di quanto sia difficile contrastarne le attività. L’aumento del raggio di azione è stato reso possibile grazie all’uso del GPS e all’impiego delle cosiddette “navi madre”, imbarcazioni più grandi rifornite di acqua e carburante, da cui partono i barchini incaricati di dare l’assalto84. Una descrizione del modus operandi e degli strumenti utilizzati dai nuovi bucanieri del mare può essere utile a spiegare l’importanza che il fenomeno della pirateria ha assunto negli ultimi anni. Alle origini della loro attività piratesca, da inquadrarsi intorno agli anni Novanta, e fino a circa il 2006, il sistema messo in atto dagli aggressori era relativamente semplice. Gli arrembaggi venivano condotti da squadre di predoni a bordo di barchini spinti da uno o due motori: mezzi che consentivano di assaltare solo i cargo che si trovavano vicino alla costa o che erano diretti in un porto della zona. Con l’intensificarsi degli attacchi, le navi si sono allontanate, mentre i banditi si sono spinti sempre più a largo. Proiettando i loro interventi in alto mare, questi ultimi avevano bisogno di mezzi più stabili e affidabili; da ciò si spiega l’utilizzo delle navi-madre. Riguardo gli altri strumenti utilizzati dai nuovi pirati, il primo nodo da risolvere è costituito dal reperimento del personale. Si è già visto come questo rappresenti l’ultimo dei problemi data l’estrema povertà in cui versa la maggior parte della popolazione; il ricorso alla violenza in mare rappresenta spesso l’unica possibilità di salvezza da una morte di stenti. Anzi, alla luce dei proventi che i sequestri di navi ed 83 L’azione di sorveglianza è stata realizzata anche grazie alla creazione di un corridoio di transito internazionalmente riconosciuto. 84 Le navi-madre possono essere di diverse categorie. “I pescherecci, battelli che hanno una doppia bandiera. Normalmente servono per attività perfettamente legali, ma al momento opportuno innalzano, idealmente, il vessillo nero. Con i pescatori che depongono le reti e imbracciano il kalashnikov. Le navi. Prima dell’arrivo della flotta internazionale i pirati si sono appoggiati a diverse unità. Come l’Athena e la Burun, le cui immagini, sfocate, sono state diffuse dall’Ufficio Marittimo. Gli ostaggi, yacht, rimorchiatori e battelli sequestrati sono stati riconvertiti per missioni temporanee. Suscitano meno sospetti, a volte sono più veloci delle vecchie carrette, permettono di organizzare trappole.” in: ALBERIZZI M., BIFFANI C., OLIMPO G., Bandits – La lotta alla pirateria somale del XXI secolo, op. cit., pp. 73-74. 92 equipaggi hanno portato fra le comunità dei villaggi della costa somala, il vero problema di chi gestisce tali traffici potrebbe essere quello di tenere a bada i potenziali candidati pronti a entrare in azione. Per ciò che consta il capitolo armi, in quell’area sono sempre stati fiorenti i traffici di munizioni da e verso i Paesi confinanti con la Somalia stessa. Nonostante l’embargo, Mogadiscio è sempre stato il centro delle forniture e della commercializzazione di armi85. Anche l’addestramento rappresenta un problema di poco conto. “Trovare sul mercato dei mercenari qualcuno capace di insegnare i rudimenti di un abbordaggio a un mercantile armi alla mano, è cosa non impossibile, come anche l’affinamento delle capacità di attacco e di proiezione”86. La pirateria in Somalia si basa sull’assalto e il sequestro delle imbarcazioni commerciali che navigano in quel tratto di mare per poi esigere un riscatto, trattando direttamente con gli amatori o addirittura con gli stessi governi dei Paesi da cui le navi provengono. Come si è visto, questo modus operandi, che si distingue da quello praticato in Africa Occidentale e nel Sud-est asiatico, si è rivelato un sistema molto redditizio. I pirati, navigando al largo delle coste somale e nelle vicinanze dello Stretto di Bab el Mandeb87, si sono dimostrati abili tanto nel tagliare la rotta alle navi cadute nella loro rete quanto nell’assunzione del loro controllo. La loro capacità di raggiungere bersagli che transitano a una notevole distanza dalla fascia costiera ha fatto ipotizzare la presenza di spie nei principali porti internazionali e soprattutto in Gran Bretagna, Paese che ospita società di brokeraggio, compagnie 85 In Somalia sono facilmente reperibili armi quali: mortai, lanciagranate RPG sia nella versione 6 che 7, armi controcarro, il celebre AK-47 e anche ami più letali e sofisticate. 86 ALBERIZZI M., BIFFANI C., OLIMPO G., Bandits – La lotta alla pirateria somale del XXI secolo, op. cit., p. 18. 87 Lo Stretto di Bab el Mandeb congiunge il Mar Rosso al Golfo di Aden. Il nome dello Stratto deriva, secondo una leggenda araba, dalle lacrime versate per la separazione dell'Africa dall'Asia. Secondo altre fonti invece esso è dovuto alla pericolosità delle acque per la navigazione. Nel tratto più stretto misura trenta chilometri (da Ras Menheli in Yemen a Ras Siyan in Gibuti). Le due sponde sono lo Yemen e il Gibuti. All’interno di questo corridoio si trova un’isola vulcanica (l’Isola di Perim) che appartiene allo Yemen e che divide lo Stretto in due segmenti. Il versante Orientale è noto come Bāb Iskandar (Porta di Alessandro) ed è largo tre chilometri ed è profondo trenta metri al massimo, dunque quasi inutilizzabile per la navigazione. Ad Ovest della piccola isola si trova invece il canale Daqqat al-Māyyūn, largo trenta chilometri e profondo 310 metri, quindi navigabile. Attraverso queste vie transita una buona parte del petrolio Mediorientale. 93 assicurative e altre istituzioni legate al mondo marittimo. Tali ipotesi, tuttavia, non hanno ancora trovato conferme probanti. Dopo un’attenta osservazione, gli ufficiali della NATO hanno rilevato che, dal momento in cui i corsari avvistano l’obiettivo al momento in cui terminano la fase di abbordaggio entrando in possesso dell’unità, trascorrono appena 15-20 minuti. Dalla nave-madre si lanciano due o tre scialuppe che inseguono e affiancano la preda facendo attenzione al mare e al vento, visto che accostarsi ad un mercantile può essere rischioso, come anche salirvi a bordo. A questo punto si ricorre alle armi da fuoco per intimidire il capitano e i marittimi. I pirati usano i loro fucili solo per tenere sotto minaccia gli equipaggi e solo raramente per uccidere. Essi hanno vietato il ricorso a metodi violenti alle proprie milizie88 e si sono preoccupati dell’incolumità degli ostaggi. I banditi sanno bene che l’equipaggio rappresenta una preziosa moneta di scambio senza la quale non arriverebbe il riscatto. Esistono almeno due gruppi principali di pirati. Il primo di essi opera a Nord, nel Puntland e ha come base primaria la città di Eyl, anche se altre bande agiscono dai porti di Bosaso, Ras Alula, Bayala, Garad, Bargal. Il secondo gruppo opera più a Sud fino a Chisimaio e ha come base Harardere89. A Eyl l’organizzazione criminale è formata dall’unità di sicurezza che difende le basi a terra, composta da 28 uomini e dotata di pick up con mitragliatrice, più due unità d’attacco che operano ad almeno 150 miglia dalla costa. Ognuna di esse può restare in mare al massimo quindici ore, ricevendo il cambio dall’altra imbarcazione. Ad Harardhere operano invece quattro unità ciascuna con la propria specializzazione, localizzatori che individuano le navi da attaccare, ex pescatori che conoscono il mare e sanno come abbordare i mercantili 88 Sembra che tra le milizie dei pirati esita una sorta di “codice di buona condotta”. Una copia di esso è stata rinvenuta a bordo del Ponant, lo yacht francese liberato nell’aprile del 2008. Il codice si applica nei confronti di tutti i membri dell’equipaggio e vieta qualsiasi aggressione sessuale contro le donne. Inoltre, prevede un premio (saami sare) per gli atti di coraggio. Il primo pirata che riesce a salire a bordo di una nave catturata può pretendere una sposa, una casa o un’auto di lusso. Può anche convertire questo bonus in contanti. 89 In un articolo della rivista militare Jane, Bruno Schiemsky ex coordinatore del gruppo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che monitora l’embargo sulle forniture di armi alla Somalia, sostiene l’esistenza di un covo di pirati anche a Chisimaio. Tuttavia tale informazione è stata smentita da Matt Briden, che ha preso il posto di Schiemsky come coordinatore del gruppo. La parte meridionale del Paese è infatti controllata da gruppi islamici che hanno combattuto e vinto la pirateria. 94 che transitano per quelle acque, negoziatori che lavorano per ottenere il bottino più alto. In sintesi un ciclo tipico di un’azione piratesca prevede: la notizia dell’attacco, l’instaurazione di un contatto, la negoziazione, l’accordo e il pagamento del riscatto seguito dal rilascio dell’equipaggio e della nave. I riscatti sono pagati in contanti, consegnati o attraverso una barca o con un lancio aereo90. Finora è stato molto difficile seguire le tracce di questi riscatti, perché il sistema di trasferimento dei fondi in vigore in Somalia, noto con il nome di hawala, fa sì che solo una parte del denaro lasci fisicamente il Paese. Attraverso lo svolgimento di un numero sempre maggiore di azioni, ogni unità combattente ha innalzato le sue capacità operative. Più azioni, infatti, consentono di percepire più riscatti, che si traducono nella possibilità di maggiori investimenti in termini di intelligence, addestramento e dotazioni. Parlando dell’abbordaggio vero e proprio, in questi anni sono stati attaccati bersagli di diversa tipologia che vanno da pescherecci di dimensioni alquanto ridotte, alle navi crociera con murate alte come edifici e alle superpetroliere. Alcuni esempi di navi sequestrate mostrano come sia aumentata la capacità di proiezione dei “fratelli della costa” somali e soprattutto come la vecchia indicazione di mantenersi a una distanza di almeno cinquanta miglia dalla costa sia diventata insufficiente91. Il 24 settembre 2008 è stato sequestrato il Faina, una nave da guerra ucraina di 2.320 tonnellate. Il cargo stava trasportando un vero e proprio arsenale costituito, tra l’altro, da 33 carri armati di concezione sovietica T-72, 36 lanciarazzi, sei cannoni antiaerei e sei lanciamissili. 90 Il riscatto, nella maggior parte dei casi, viene paracadutato sulla tolda della nave sequestrata. In Kenya c’è una piccola compagnia aerea, la Tropic Air, specializzata in questo tipo di missioni. Da Nanyuki, una città trecento chilometri a Nord da Nairobi, parte un bimotore che trasporta il denaro sistemato in sacchi. L’aereo arriva sulla nave e compie un paio di giri di ricognizione per controllare che tutti i membri dell’equipaggio siano presenti. Se è tutto in regola scende a spirale fino a cento metri di altezza. In quel momento i sacchi vengono lanciati sul ponte della nave. Non si tratta di un’operazione semplice tant’è che nel caso della petroliera Sirius Star un sacco è finito in acqua, ma è stato prontamente recuperato dai pirati che avevano circondato la nave con le loro scialuppe. 91 Oltre a un intensificazione nel numero degli attacchi messi a segno, si è registrato, infatti, un affinamento nelle tecniche di esecuzione (con arrembaggi compiuti anche nelle ore notturne) e in quelle di proiezione (passando dalle iniziali cento miglia nautiche alle attuali seicento/ottocento). 95 Il 15 novembre dello stesso anno è stata presa la Sirius Star, una delle diciannove petroliere gestita dalla Vela International Marine92 che ha sede a Dubai. La Sirius Star è lunga 330 metri ed ha una stazza di 318 mila tonnellate. Essa è costata 150 milioni di dollari e al momento della sua cattura trasportava ben due milioni di barili di greggio93 per un valore di almeno cento milioni di dollari. Tuttavia a sorprendere gli osservatori non è stato solo la ricchezza del bottino ma anche il fatto che la cattura della nave sia avvenuta a 450 miglia nautiche (830 chilometri) al largo del Kenya. Quelle acque, fino a quel momento, erano considerate sicure perché distanti ben 1400 chilometri dalla costa somala. Per il rilascio della nave, avvenuto il 9 gennaio del 2009, sono stati necessari tre milioni di dollari. Il 1° maggio del 2009, con il sequestro dell’Ariana, un mercantile greco battente bandiera maltese, i bucanieri del mare hanno raggiunto il record di distanza dalla Somalia. La cattura dell’imbarcazione è avvenuta, infatti, a largo delle coste del Madagascar. Anche diverse navi italiane sono cadute in mano ai banditi. L’ultimo caso risale all’8 febbraio scorso, quando la petroliera Savina Caylin è stata sequestrata al largo dell’Oceano Indiano. La nave è stata abbordata e presa da un gruppo di pirati composto da cinque uomini a bordo di un barchino, alle 6.57. I predoni sono riusciti a salire a bordo e ad assumere il controllo dell'unità grazie all'utilizzo di lanciarazzi e mitra, dirigendo successivamente la motonave verso le coste somale. I pirati somali non fanno differenza di sorta per i colori delle bandiere che sventolano sulle navi. Un aspetto rilevante è che nessun vascello somalo sia entrato nel mirino dei pirati. Inoltre, fonti del porto di Mogadiscio hanno rivelato che anche le navi commerciali battenti bandiera non somala, ma con carico di proprietà di uomini d’affari somali, possono viaggiare tranquilli nelle acque del Golfo di Aden e dell’Oceano Indiano. Andrew Mwangura, che controlla i traffici marittimi nell’Oceano Indiano con l’organizzazione East African Seafarers’ Assistance Programme, sottolinea: “Nel mese di novembre 2008, proveniente da 92 La Vela International Marine rappresenta il braccio marittimo della compagnia nazionale saudita Saudi ArAmCo (Arabian American Oil Company), la multinazionale legata a doppio filo alle società petrolifere americane. 93 Si tratta del 25% della produzione giornaliera dell’Arabia Saudita. 96 Dubai, è arrivato regolarmente in tutta sicurezza a Mogadiscio un mercantile con 186 Suv nuovi di zecca, e poi zucchero, olio, carburante e altri generi da vendere al mercato. Altre navi continuano quotidianamente ad attraccare”94. L’escalation del fenomeno della pirateria ha provocato, come si è visto, una risposta da parte della Comunità Internazionale, la quale ha mobilitato flotte militari di diversi Paesi a presidio del teatro somalo e più in generale dello scacchiere dell’Oceano Indiano. La superficie di mare infestata dalle azioni dei nuovi bucanieri è particolarmente estesa; inoltre, le missioni delle Marine Militari non possono essere finanziate in eterno. Diversi esperti del settore, pur sostenendo che un’ampia rete di mezzi navali sia necessaria per continuare a presidiare l’area e per monitorare l’intelligence dei pirati, ritengono che tale dispiegamento di forze non sia adatto a dare la caccia ai corsari somali. Significativo è, in proposito, il commento dell’Ammiraglio Giovanni Gumiero, al rientro della sua missione NATO nel Golfo di Aden: “.. è come rincorrere con un tir un ladro che scappa in bicicletta nei vicoli della città..”95. Questo stato di cose ha posto l’attenzione sulla necessità di affrontare il discorso delle contromisure. Un capitolo delicato e per certi versi controverso dato che sia gli organismi internazionali deputati al controllo dell’organizzazione della navigazione commerciale, sia i comandi delle marine militari impegnate nelle azioni di contrasto, hanno sinora scoraggiato qualsiasi manifestazione diretta all’esercizio del diritto di legittima difesa, invitando gli armatori a incentivare la presenza a bordo di sistemi di difesa passiva96. L’incremento delle scorribande, verificatosi negli ultimi anni, dimostra come l’applicazione di tali protocolli non sia stata particolarmente efficace. Una soluzione, prospettata da molti analisti del settore, potrebbe essere rappresentata dall’impiego di compagnie di sicurezza 94 ALBERIZZI M. 2009 “Somalia: il tesoro dei nuovi pirati”. Corriere della Sera [online]. Disponibile su http://www.corriere.it/esteri/09gennaio28/focusalberizzipiratisomaliahtml [Consultato il 28/02/2011]. 95 ALBERIZZI M., BIFFANI C., OLIMPO G., Bandits – La lotta alla pirateria somale del XXI secolo, op. cit., p. 8. 96 Esempi di sistemi difensivi consigliati dalle massime autorità preposte al contrasto della pirateria sono: la navigazione in un determinato corridoio; la comunicazione tempestiva ai comandi militari di qualsiasi tentativo di abbordaggio; la chiusura ermetica degli accessi alle zone di comando dell’imbarcazione non appena attaccati; l’effettuazione di manovre elusive (da porre in essere con navi che nella maggior parte dei casi hanno limitatissimi margini di manovra). Tali provvedimenti, il più delle volte si sono dimostrati inefficaci, e non hanno certo scoraggiato i banditi nei loro abbordaggi. 97 private. Dunque gli armatori, piuttosto che essere dissuasi dall’utilizzare strumenti di autodifesa, dovrebbero invece essere incoraggiati all’impiego di team di protezione a difesa delle proprie imbarcazioni. Alla luce di una problematica nuova come quella della pirateria, sarebbe opportuna l’emanazione, da parte di organismi tecnici internazionali, di chiare ed inequivocabili regole di ingaggio, la cui osservanza da parte delle squadre di protezione private dovrebbe essere verificabile. L’azione di contrasto si baserebbe in tal modo sull’esaltazione del principio di deterrenza. I soggetti incaricati della scorta alle imbarcazioni potrebbero agire seguendo il protocollo già sperimentato dai team di commandos marine della Marine Nationale, la marina militare francese. Tali commandos sono stati dislocati sulle navi che il Governo di Parigi intende proteggere, e che in molte occasioni hanno messo in fuga i predoni97. Tale modalità operativa prevede che, in seguito a un tentativo di abbordaggio, la squadra di protezione spari in prossimità del natante che attacca. Quest’ultimo non verrebbe, però, colpito, in quanto si tratta di una strategia di avvertimento: qualora i pirati intendessero proseguire nella loro azione sarebbero fatti direttamente oggetto di azione a fuoco. In Italia, il dibattito sulle misure anti-pirati è stato riaperto in occasione del sequestro della petroliera Savina Caylyn quando il ministro della Difesa Ignazio La Russa si è detto favorevole a mettere a bordo delle navi i vigilantes98. Alcune fonti suggeriscono che attualmente solo il 10% delle navi si appoggia a squadre di protezione armata, dato che questi servizi possono arrivare a costare anche 20 mila dollari a tratta99. In generale, l’industria navale preferisce non appoggiarsi a team privati, premunendosi con una fortificazione delle imbarcazioni e con l’aggiunta di casseforti a bordo. Altre opzioni adottate dai mercantili che solcano le rotte commerciali più importanti sono rappresentate da strumenti di deterrenza come congegni acustici che mandano onde sonore insopportabili per l’udito umano e dal filo spinato. 97 A differenza di molti altri Paesi, la Francia, insieme all’India e agli Stati Uniti, hanno mostrato un atteggiamento più risoluto nei confronti dei pirati, sparando, ove necessario, ai barchini dei predoni che tentavano il sequestro delle proprie navi. 98 Contrariamente agli amatori, che sarebbero invece favorevoli a portare a bordo direttamente i militari. 99 Si tratta, comunque, di una spesa irrisoria se paragonata ai costi che un armatore deve affrontare in caso di rapimento della nave. 98 Tutti gli attori interessati e la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale concordano ormai sul fatto che il problema pirateria possa essere risolto solo agendo su più fronti: in primo luogo, sarebbe necessario dare stabilità alla regione, cosa certo non facile; in secondo luogo, occorrerebbe attaccare e distruggere le basi a terra e le navi-madre: ciò sarebbe fattibile, ma il prezzo da pagare in termini di morti e feriti per “danni collaterali” sarebbe talmente elevato che l’opinione pubblica mondiale si ritroverebbe a favore dei pirati; inoltre, sarebbe opportuno incentivare l’autodifesa degli armatori con l’interazione di strumenti di difesa attiva e passiva100 e l’impiego di squadre di sicurezza private; infine, occorre continuare a monitorare l’area interessata con l’ausilio delle marine militari. Tuttavia, le settanta navi dispiegate nel teatro somalo non potranno rimanervi ancora per molto, vista la difficoltà di rifinanziare operazioni di pattugliamento così onerose, soprattutto in un momento di crisi economica globale che perdura fino ad oggi. I costi di gestione di una nave militare costituiscono un capitolo di spesa particolarmente oneroso per qualsiasi Stato. L’International Bureau Maritime, ha calcolato che per un solo anno di operatività della Missione Atlanta dell’Unione Europea occorrono 450 milioni di euro. Dunque la pirateria rappresenta un costo elevato per la comunità internazionale. I riscatti pagati dagli armatori o dai governi per riavere le navi hanno contribuito a modificare il mercato delle assicurazioni per il trasporto mercantile via mare. Per i vettori più vulnerabili, ossia le imbarcazioni più lente o con le fiancate più basse, le compagnie di assicurazione generalmente esigono il pagamento di un premio extra se questi attraversano mari infestati dai nuovi corsari. In realtà il costo reale di un rapimento per una compagnia marittima è molto più alto dei due milioni di dollari (in media) pagati per il riscatto. Infatti, bisogna tenere conto delle spese per gli avvocati, i negoziatori e le penali per le consegne in ritardo. 100 Tra le misure di difesa passiva, oltre a quelle precedentemente elencate, si possono aggiungere le raccomandazioni della US Coast Guard. Le imbarcazioni che navigano nella regione devono procedere a una velocità superiore ai sedici nodi, specialmente se hanno i bordi bassi. Determinante può essere cambiare sovente percorso e transitare durante la notte. Altrettanto importante è che i marittimi predispongano degli ostacoli che rendano la vita difficile ai predoni durante l’abbordaggio e che, nello stesso tempo, diano il tempo all’equipaggio di barricarsi in un luogo sicuro. Ulteriori strumenti che si sono rivelati utili sono, gli idranti e le reti elettrificate. Al contrario, il fatto di cospargere le murate di grasso è servito a poco. 99 Il potenziale rischio di pirateria comporta delle conseguenze sui traffici marittimi se vi è in più un aumento dei costi per il pagamento dei riscatti, un incremento dei premi assicurativi e il dispiegamento delle flotte militari internazionali e degli altri strumenti di deterrenza. Una diversione del commercio marittimo dal Golfo di Aden e dal Canale di Suez verso rotte che prevedono la circumnavigazione della massa continentale Africana potrebbe avere conseguenze economiche non indifferenti. In particolare, l’aumento dei costi dei viaggi, resi più lunghi dall’utilizzo della rotta del Capo, potrebbe tradursi in un aumento dei prezzi dei beni di consumo. Ciò andrebbe a colpire, in primo luogo, le economie dei porti e delle regioni che si trovano lungo la direttrice Bab El Mandeb – Suez – Mediterraneo, avvantaggiando altri porti e altre regioni101. Da ciò si spiega l’importanza di un‘analisi volta a comprendere se la pirateria marittima stia influenzando il flusso dei traffici nel Mar Mediterraneo. Secondo fonti ufficiali come la Confederazione Italiana Armatori102 (Confitarma) e il Comando generale delle Capitanerie di Porto, non si riscontrano dati consolidati che possano collegare chiaramente l’intensificazione del fenomeno piratesco con una diminuzione dei transiti attraverso il Canale di Suez. La misurazione di questa relazione, infatti, risulta problematica per una serie di motivi: - Non è semplice distinguere gli effetti della crisi e gli effetti della pirateria: La recente crisi economica internazionale ha inciso sul comparto dei trasporti marittimi che hanno mostrato segni di forte vulnerabilità, dovuta alle limitate disponibilità di finanziamento per investimenti. Alcune compagnie navali, per risparmiare sulle tariffe di transito del Canale di Suez, hanno preferito circumnavigare l’Africa. All’inizio del 2009, la Grand Alliance103, un consorzio 101 Ancora una volta, i porti del Northern Range potrebbero trarre vantaggio da questo scenario. 102 La Confederazione Italiana Armatori, erede di una tradizione associativa proprietaria di navi e armatori che risale al 1901, costituisce la principale espressione associativa dell'Industria Italiana della Navigazione. CONFITARMA, raggruppa Imprese di Navigazione e Gruppi Armatoriali che operano in tutti i settori del trasporto passeggeri e merci, nelle crociere e nei servizi ausiliari dei traffici. Rappresenta i nove/decimi della flotta mercantile italiana. 103 La Grand Alliance nata nel 1998, è un consorzio formato da quattro grandi compagnie di navigazione, e precisamente la Hapag-Lloyd, Germania, MISC Berhad, Malaysia, Nippon Yusen Kaisha NYK, Giappone e Orient Overseas Container Line (OOCL), Hong Kong. 100 di quattro grandi compagnie marittime, ha annunciato la scelta di rotte che doppiano il Capo di Buona Speranza a causa dei dazi doganali del canale artificiale considerati troppo alti in un momento di crisi economica. Tale stato di cose ha indotto Ahemed Fadel, Presidente dell’Autorità di Amministrazione del Canale, a mantenere invariate le tariffe per il passaggio delle navi, sia nel 2009, che nel 2010. - Il vantaggio economico di un cambio di rotta dipende da fattori dinamici, tra cui il prezzo del carburante. Quindi, il percorso via Suez potrebbe continuare ad essere più conveniente, nonostante i costi supplementari derivanti dalla pirateria, quando il prezzo del combustibile è più alto. Invece, in corrispondenza di periodi in cui il prezzo del greggio è basso, l’allungamento del viaggio e il maggior consumo di carburante riuscirebbe comunque a bilanciare i costi che si pagherebbero per il transito attraverso il Canale e ancor più per la polizza assicurativa antipirateria. - A causa delle differenze tra i mercati assicurativi negli Usa e in Gran Bretagna i costi della pirateria potrebbero essere maggiori per i trasportatori americani perché le loro polizze non coprono i costi derivanti dai sequestri dei vascelli e dal pagamento dei riscatti. Le polizze emesse a Londra invece assicurano automaticamente i contro rischi derivanti dalla pirateria, anche se ultimamente sono aumentate, arrivando a costare anche 30 mila euro a tratta, per le imbarcazioni che transitano in acque somale. Alcune compagnie marittime hanno condotto simulazioni volte a comparare i costi di un viaggio via Suez con il doppiaggio del Capo. Le stime della società armatrice italiana D’Amico Ship che fanno riferimento a variabili del maggio 2010, hanno mostrato che non c’è ragione di convenienza economica che sostenga il riorientamento del traffico dal Canale di Suez. Tuttavia, è stato accertato che le compagnie che effettuano crociere da diporto con navi con le fiancate basse hanno annunciato che avrebbero soppresso i loro servizi nel Golfo di Aden. Si tratta, in ogni caso, di un numero limitato di navi. Inoltre, tre compagnie, la CMA GGM, la A.P. Moller-Maersk e la Compagnia petrolifera nazionale del Kuwait hanno reso 101 noto che tra il 2008 e il 2009 hanno trasferito, in parte, il loro traffico verso la circumnavigazione del continente Africano. Tale decisione sembra riguardare cinquanta navi, dunque una proporzione trascurabile del traffico del Mediterraneo. Le opinioni e i dati raccolti suggeriscono che i danni inflitti dalla pirateria al commercio marittimo non abbiano ripercussioni significative sull’economia mondiale. Anche la maggior parte degli economisti sembra essere concorde nel considerare il riorientamento del traffico un’ipotesi remota. Se le compagnie marittime hanno ridotto i loro transiti attraverso il Canale di Suez, lo si deve più alle ripercussioni della crisi internazionale che agli effetti della pirateria somala. Ciò non toglie che l’allerta contro il fenomeno piratesco deve essere tenuta alta soprattutto in considerazione della valenza strategica delle merci trasportate su queste rotte104. Se la pirateria dovesse comportare una riduzione dei passaggi attraverso il Canale artificiale, non solo ci sarebbero ripercussioni negative in Egitto105, ma ne risentirebbero anche i mercati europei e tutti gli scambi commerciali che transitano per i porti del Mediterraneo. La pirateria è indubbiamente il più noto dei problemi della Somalia, quello che fa più notizia ma non il più importante. Per quanto riguarda lo spazio marittimo, i commerci illegali di persone, armi e droga causano molta più miseria e morte dell’attività dei predoni. Oggi gli equipaggi sanno come reagire per impedire l’attacco dei pirati, la situazione, però, cambia radicalmente se chi tenta l’abbordaggio ha anche in mente di danneggiare o distruggere la nave. Si tratta di scenari che in passato si sono già verificati. Nel 2000 un attentatore suicida si è lanciato a bordo di un battello contro la nave da guerra statunitense Cole nel porto di Aden. L’episodio ha causato ingenti danni all’unità e soprattutto la morte di diciassette persone. Nel 2002 i terroristi si sono ripetuti assaltando la petroliera francese Limbourg. In questi ultimi anni è poi emerso come esista un legame tra la Somalia e lo Yemen, Paese vittima di terrorismo e indebolito da conflitti tribali. L’instabilità yemenita e l’inesistenza dello Stato in Somalia pongono sia problemi di sicurezza 104 Si tratta di circa il 12% del petrolio mondiale più altri idrocarburi fonti di energia come gas naturale liquefatto, carbone, ecc. Il Golfo di Aden è attraversato da oltre 20 mila navi all’anno e tale numero è destinato ad aumentare non appena il Canale di Suez verrà ampliato. 105 Gli introiti egiziani legati al Canale di Suez rappresentano la terza risorsa economica del Paese dopo il turismo e gli investimenti esteri. 102 per i cargo in transito che possono essere soggetti ad attacchi pirateschi, sia condizioni prospere per le organizzazioni terroristiche e per traffici illegali di ogni tipo. Il breve tratto di mare che separa i due Stati è l’ideale per favorire i passaggi di droga, armi e immigrati clandestini. Si profila uno scenario che vede da un lato, il corsaro che sfida le onde e le flotte militari per andare a segno nelle sue incursioni, dall’altro, il potenziale “traghettatore-trafficante” (Alberizzi, Biffani, Olimpo, 2009, p. 87), che in cambio di denaro muove essere umani e cose tra le due sponde. Invece, non sembrano esserci segnali che mostrino l’esistenza di un collegamento sistematico e continuativo tra i pirati e i movimenti islamisti presenti in Somalia, come ad esempio gli “Shabaab”, un gruppo armato considerato vicino al-Qaeda. È importante sottolineare “che la pirateria in Somalia è intesa come attività criminale e non politica. I pirati sanno bene che se dovessero essere identificati come un gruppo che fa attività politica si scontrerebbero con una risposta molto più decisa da parte della comunità internazionale”106. In questi anni, i bucanieri, andando a caccia di navi, hanno alzato il velo su situazioni ambigue, come spedizioni di sostanze non definite, trasporti di materiale bellico verso aree o Paesi soggetti a embargo o, ancora, la presenza di navi mercantili in tratti di mare inusuali. Una realtà nascosta dietro una cortina fumogena dove il confine tra lecito e illecito diventa molto sottile. Può essere utile, a questo riguardo, raccontare alcuni episodi concreti che lo dimostrano. Il 21 agosto 2008 il Deynant, un mercantile battente bandiera iraniana, di proprietà della IRISL, la Iranian Republic Shipping Lines, stava navigando verso lo Stretto di Bab-El-Mandeb con destinazione Rotterdam quando è stato intercettato dai pirati che lo hanno portano in una delle loro basi. Dopo alcuni giorni si sono diffuse voci sulla presenza di armi a bordo della nave destinate all’Eritrea. Tuttavia i sospetti non sono stati suffragati da prove consistenti, mentre i documenti ufficiali parlavano di non meglio precisati “materiali industriali”. Alcune testimonianze hanno raccontato anche di strane esalazioni che 106 MIDDLETON R., QUARTAPELLE L., “Le conseguenze della pirateria nel Corno D’Africa” in Osservatorio di Politica Internazionale, Coordinamento redazionale a cura di: Camera dei deputati SERVIZIO DIPARTIMENTO AFFARI ESTERI, n°11 2010, p. 5. 103 pare abbiano colpito i banditi non appena sono scesi nelle stive. La propaganda anti-iraniana si è spinta al punto di rivelare che la compagnia marittima proprietaria della nave era coinvolta nel traffico di tecnologia in favore della Repubblica islamica. Teheran ha reagito con vigore, si è lamentata della scarsa sicurezza di un quadrante così importante come il Golfo di Aden e ha mobilitato la propria flotta militare a presidio dell’area. Il caso si è chiuso il 10 ottobre, quando la Deyanat è stata rilasciata, presumibilmente dopo il pagamento di un riscatto. Da quel momento la presenza della marina militare iraniana nelle acque somale si è fatta costante. Ciò ha messo in stato d’allerta le intelligence occidentali per una serie di motivi. Le unità militari iraniane operano in modo autonomo, evitando qualsiasi tipo di coordinamento con le altre forze presenti nella regione. Studiano i movimenti dei mezzi del Patto Atlantico, ne osservano le tattiche, effettuando una vera e propria azione di spionaggio. In diverse occasioni sono state osservate navi iraniane precedere di qualche miglio dei cargo carichi di materiale militare in modo da evitare abbordaggi o altri imprevisti. Si sospetta, quindi, che le unità di Teheran, oltre a contribuire allo scudo anti-predoni, assistano le imbarcazioni impegnate nel traffico di armi destinato a “clienti amici” del Medio Oriente, come Hezbollah107 in Libano e Hamas108 a Gaza. L’Iran sa bene che i suoi mercantili, oltre a essere catturati dai pirati, potrebbero essere fermati da unità israeliane o americane. Anche la posizione di due imbarcazioni della Corea del Nord, in seguito attaccate dai banditi, ha destato sospetti. Secondo alcuni osservatori esse si trovavano troppo vicine alla costa e dunque in una zona non sicura. Ciò ha sollevato il dubbio di un loro coinvolgimento in qualche trasbordo illecito: sospetti non cancellati dalle spiegazioni dei comandanti che hanno dichiarato come la posizione delle navi fosse dovuta a problemi tecnici. 107 Hezbollah (Partito di Dio) è un partito politico sciita libanese fondato nel 1982, dotato di un’ala militare e appoggiato dall’Iran e anche dalla Siria, per fronteggiare l’invasione e occupazione di Israele. Da più parti è accusato di essere un movimento terrorista, (con riserva da parte dell’Unione Europea e dall’ONU). Il programma politico ed economico di Hezbollah è vicino a quello del Partito Comunista Libanese. Il movimento ha avuto un ruolo positivo nella ricostruzione del Sud del Libano. 108 Hamas è un’organizzazione palestinese di ispirazione islamica, di carattere politico e paramilitare. E’ stata fondata nel 1987 per combattere l’occupazione israeliane della Palestina storica. Lo Statuto di Hamas richiede la distruzione dello Stato di Israele e la sua sostituzione con un Stato islamico palestinese nella zona che ora è Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Nelle ultime elezioni ha conseguito la maggioranza in seno all’ANP. 104 Il problema della pirateria e dei traffici illegali, lungi dal riguardare solo le acque antistanti il Canale di Suez, interessa da vicino anche il Mar dei Caraibi e l’istmo di Panama. Le differenze tra i due Canali permangono anche per il tipo di pirateria praticata nelle rispettive aree di influenza. Nel Corno d’Africa, come si è visto, i corsari operano su un modello di rapimento e riscatto essendo interessati a catturare l’equipaggio e tenerlo in ostaggio. Nel Mar dei Caraibi, come anche nel Sud-Est asiatico e in Africa Occidentale, i pirati, nella maggior parte dei casi si sono “limitati” a rubare i beni o il carico della nave abbordata. Tuttavia, il modus operandi dei fratelli della costa somala si è rivelato molto più proficuo e potrebbe quindi diffondersi anche in altre parti del mondo. In America Latina, dove la pirateria ha vissuto la sua età aurea nel XVI e XVII secolo, il fenomeno è diventato marginale ma nuovi scenari vengono aperti dalle scoperte petrolifere al largo del Brasile109 e dall’allargamento del Canale di Panama, due fattori che in futuro potrebbero dar luogo alla nascita di un nuovo asse energetico. Anche le navi che attraversano l’istmo panamense, quindi, corrono il rischio di essere abbordate o dirottate. La Repubblica di Panama rappresenta oggi il registro navale più grande al mondo con circa 8 mila vettori battenti bandiera panamense (tab. 3.3.1). Parte dei problemi, relativi alla sicurezza nei porti panamensi è dovuta alle regolamentazioni che amministrano ogni singolo vettore, visto che è il Paese di immatricolazione a determinare le leggi in base alle quali è richiesto alle navi di operare. Oggi, più della metà imbarcazioni mercantili del mondo (misurata dalla stazza) è registrata nell’ambito di bandiere ombra110, che oscurano o nascondono la vera nazionalità della bandiera. Sempre più spesso si hanno notizie di tali vascelli comprese quelli battenti bandiera panamense che, all’interno delle coste di Panama, si arenano o vengono dirottati dai predoni, talvolta anche con il sequestro dei passeggeri. Oltre alla pirateria, l’illegalità 109 Nel 2008, a largo delle coste brasiliane, sono stati scoperti ingenti giacimenti di petrolio. Gran parte del greggio brasiliano scoperto si trova sepolto sotto enormi depositi di sale il cui spessore arriva anche a due mila metri. Le quantità esatte dei barili di petrolio che si potranno estrarre non sono ancora state stimate con precisione, anche se sono trapelate notizie della possibile presenza di circa trentatré miliardi di barili. 110 Le navi battenti bandiera ombra o di comodo sono quelle registrate in un Paese straniero a fini di riduzione dei costi operativi o ai fini di evitare regolamentazioni governative. 105 sembra essere connessa al transito di merci scottanti, quali droga111, armi, opere d’arti trafugate. L’ingente flusso di denaro nel Paese, dovuto al narcotraffico, favorisce la corruzione dei funzionari del governo locale che in genere ricevono stipendi molto bassi. Questo stato di cose è aggravato dall’assenza di un’efficace verifica doganale che presidi il transito delle navi nell’istmo; un sistema, questo, sostenuto anche dall’interesse degli Stati Uniti al libero commercio. Nonostante ciò, sembra che la politica recente voglia porre le basi per la diffusione di un maggiore senso di legalità e per una gestione più responsabile dell’interesse pubblico112. La pirateria, il terrorismo e il traffico illecito, minacciando la stabilità dello spazio marittimo, generano insicurezza nelle rotte commerciali coinvolte da tali fenomeni. Questi ultimi provocano non solo un danno emergente, dovuto ai problemi arrecati alla fluidità del commercio internazionale, ma anche un lucro cessante: le condizioni di instabilità di un’area portano, infatti, ad una scarsa propensione agli investimenti esteri. 111 In particolare, eroina, cocaina e marijuana. Nel 2004 il presidente della Repubblica di Panama, Martin Torrijos, è stato eletto attraverso una campagna di “corruzione zero”. La sua amministrazione ha compiuto sforzi notevoli nella lotta contro la corruzione della burocrazia locale. Una vistosa scritta, visibile nell’aeroporto di Panama, recita: “La corrupción genera pobreza” (la corruzione genera povertà). 112 106 3.4 Progetti di ampliamento Nel corso degli anni, per far fronte all’evoluzione del commercio marittimo, si è pensato di costruire navi di dimensioni sempre maggiori. Nello stesso tempo, per aumentare la quantità di merci trasportate, è cresciuto il numero dei vettori che solcano le rotte oceaniche. Questa situazione ha posto dei problemi di congestione che hanno riguardato sia il Canale di Suez, sia quello di Panama. Il Canale di Suez è stato più volte oggetto di piani di ampliamento che ne hanno incrementato profondità e larghezza. Fig. 3.3 - L’ampliamento del Canale di Suez Fonte: Autorità del Canale di Suez (SCA), 2011 107 Nel 1869, anno dell’apertura, il suo pescaggio era di sette metri e potevano transitarvi navi da cinquemila tpl, stazza tipica delle imbarcazioni della seconda metà dell’Ottocento. Man mano che le dimensioni delle navi crescevano, anche l’ampiezza del Canale aumentava progressivamente. Nell’ottobre del 1956 Nasser decise la nazionalizzazione del Canale. Alla fine dello stesso anno la via acquatica raggiunse una profondità di trentacinque piedi113 (circa dieci metri). Un ulteriore sviluppo si ebbe nel 1962, quando i fondali dell’istmo toccarono i trentotto piedi (11,5 metri) di altezza. Tali dimensioni consentivano il transito a petroliere fino a 60 mila tpl se a pieno carico e a navi da 150 mila tpl, se zavorrate. A partire dal 1966 furono annunciati dei progetti di estensione che avrebbero permesso al Canale di accogliere vettori con un pescaggio di diciassette metri: in pratica tutte le navi che appartenevano alla classe delle VLCCs (Very Large Crude Carriers). Questo programma, seppur iniziato, fu bruscamente interrotto dallo scoppio della Guerra dei sei giorni (5 giugno 1966). Per un lungo periodo l’istmo egiziano rimase chiuso (1967-1975) e una quota consistente di trasporti fu dirottata lungo la rotta del Capo. Quando il Canale fu riaperto, le società marittime che gestivano petroliere e navi portarinfuse, seppur con qualche esitazione iniziale, inserirono nuovamente Suez tra le loro rotte. Questo spinse il governo del Cairo a mettere in cantiere un programma per potenziare l’accessibilità del passaggio. Nel corso del decennio suddetto fu ultimata la prima fase del progetto; all’inizio degli anni Ottanta poterono attraversare il Canale navi cisterna di 150 mila tpl a pieno carico e di 300 mila tpl in zavorra. La seconda fase di ampliamento, ancora più ambiziosa, avrebbe permesso il transito di petroliere a pieno carico fino a 260 mila tpl. Inoltre, il Canale sarebbe stato accessibile a navi zavorrate che superavano le 400 mila tpl, appartenenti alla classe delle ULCCS (Ultra Large Crude Carriers). La strategia messa a punto dall’amministrazione egiziana era volta a far sì che quasi l’intero spettro dei tipi di vettori, cui era affidato il trasporto di greggio in quel periodo, potesse rientrare nell’offerta del Canale. Una serie di fattori, tuttavia, provocarono un mutamento radicale nelle funzioni di Suez: anzitutto, si arrestò la propensione a costruire superpetroliere e 113 Il piede è un’unità di misura di lunghezza che, nella sua versione più usata, “International Foot”, corrisponde a 30,48 centimetri. 108 per il trasporto del greggio furono generalmente usati vettori da 200 mila tpl; in secondo luogo, aumentò il traffico di navi portacontainer, Ro-Ro e porta auto; infine, la costruzione di raffinerie petrolifere nell’area del Golfo Persico e del Mar Rosso provocò un incremento del trasporto di semilavorati a scapito della materia prima, con il conseguente aumento della domanda dei trasporti eseguiti dalle navi portarinfuse liquide di piccola e media grandezza. In seguito a queste vicende il Canale di Suez, utilizzato fino a metà degli anni settanta prevalentemente per il trasporto di petrolio, ha cominciato a esercitare una funzione polivalente: sia i carichi liquidi costituiti da semilavorati, sia le merci trasportate tramite container hanno assunto una valenza sempre maggiore. Da qui l’inopportunità di effettuare grandi investimenti per realizzare la seconda fase di sviluppo del Canale. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, l’intensificazione dei traffici marittimi e la conseguente necessità di costruire vettori di portata crescente hanno dato un ulteriore impulso ai piani di espansione del Canale. Un progetto completato nel 2001 ha reso l’istmo profondo quasi diciannove metri114, permettendo, in tal modo, il passaggio anche alle unità navali con peso superiore alle 210 mila tonnellate. Un’ulteriore opera di ampliamento e dragaggio115 della via acquatica egiziana è stata avviata nel 2008 e ha reso il letto del Canale profondo venti metri (66 piedi) e largo diciannove (62 piedi) consentendo il transito a vettori da 240 mila tpl a pieno carico. In pratica, il 100% delle navi container116 e il 60% delle petroliere possono ormai solcare le acque dell’istmo, così come tutte le tipologie di imbarcazioni da guerra. Quest’investimento, costato 250 milioni di dollari, è stato completato nel mese di gennaio del 2010. 114 La profondità del Canale di Suez in seguito ai programmi di espansione ultimati nel 2001 era di sessantadue piedi. 115 Il dragaggio consiste in un'operazione di scavo eseguita da una imbarcazione (battellodraga) che, mediante macchine scavatrici, dette appunto draghe, asportano sabbia, ghiaia e detriti da un fondo subacqueo. Tale operazione può aver luogo sia in acque marine poco profonde, sia in zone di acqua dolce. Il materiale di scarto prodotto viene di solito portato via dall’area dragata e rilocato altrove. Può essere usato per scopi edilizi o impiegato nell’estrazione dell’oro. 116 Attualmente, anche i vascelli da 11 mila contenitori transitano tranquillamente attraverso il Canale di Suez. La compagnia marittima Maersk Line, tuttavia, ha deciso di integrare la propria flotta varando dieci portacontainer in grado di trasportare 18 mila container. Questa nuova generazione di navi cellulari, chiamate “Triple-E”, saranno costruite nel biennio 2013-2015. Esse raggiungeranno 400 metri di lunghezza e 59 metri di larghezza. Concepite per limitare l’emanazione di sostanze inquinanti, tali imbarcazioni, secondo la Maersk LIne, ridurranno l’emissione di CO2 di più del 50% per container trasportato, rispetto alla media industriale. 109 Per rispondere all’esigenza di mercantili sempre più grandi, la profondità dei fondali del Canale di Suez verrà incrementata fino a ventitré metri entro il 2012, consentendo il passaggio anche alle superpetroliere con una portata lorda di più di 250 mila tonnellate117. In estrema sintesi, si può dire che tutti i programmi di ampliamento di cui è stato oggetto l’istmo egiziano sono stati realizzati per assecondare l’andamento del commercio internazionale. E’ l’economia mondiale a dettare i tempi del traffico mercantile, incrementando o diminuendo la movimentazione delle merci. I dati forniti dall’Autorità di Amministrazione del Canale mostrano come in generale i transiti delle navi siano sempre aumentati nel corso degli anni. Le statistiche, tuttavia, rivelano anche un’inversione di tendenza verificatasi nel biennio 2008/2009 in corrispondenza della crisi economica. Nel 2009 Ahmed Fadel, Presidente dell’Autorità di Amministrazione del Canale, ha dichiarato che gli introiti egiziani legati ai passaggi navali sono stati di 4 miliardi e 291 milioni di dollari, un miliardo di dollari in meno rispetto all’anno precedente, mentre il traffico marittimo ha subìto un calo del 20%. In particolare il numero delle imbarcazioni che hanno solcato la via marittima è passato da 21.415 nel 2008, a 17.228 nel 2009. La perdita economica ha indotto Fadel sia a promuovere sconti del 50% per i battelli turistici, per i vascelli a basso impatto ambientale e per le imbarcazioni adibite al trasporto di gas naturale, sia a mantenere invariate le tariffe di transito per il passaggio delle navi. I provvedimenti presi, però, non hanno sortito gli effetti sperati. I dati del 2010 lo dimostrano chiaramente: se a marzo il traffico marittimo ha registrato una crescita pari all’1,9% rispetto al marzo 2009, a febbraio è diminuito dell’1,3% e nel mese di aprile ha rilevato una flessione del 1,1%, con una diminuzione delle petroliere transitate del 2,6% (in tutto 259 unità) e delle altre imbarcazioni dello 0.7% (1.207), rispettivamente ai mesi di febbraio e aprile del 2009. Il traffico commerciale nel Canale di Suez, nonostante i provvedimenti di politica gestionale di Ahmed Fadel, si è attestato su questi valori per quasi tutto il 2010 segnando una lieve ripresa soltanto negli ultimi mesi dell’anno. 117 L’Autorità di Amministrazione del Canale di Suez sta anche vagliando alcune opzioni che consentirebbero una riduzione della durata del transito. 110 Avranno, invece, un effetto positivo, a medio e lungo termine, i lavori di dragaggio e di ampliamento del Canale in corso d’opera. Attualmente, il livello dei traffici marittimi che passano per Suez rappresenta circa il 17% del totale mondiale. I dati dei primi mesi di quest’anno mostrano come la circolazione delle navi non sembra avere accusato l’impatto delle proteste contro il governo egiziano. Lo scorso gennaio, infatti, si sono registrati i transiti di 1.485 navi, con un incremento del 4,7% rispetto a 1.418 transiti nel gennaio 2010. Secondo alcuni esperti, non appena i programmi di sviluppo saranno completati, il numero delle unità navali che attraverseranno la via acquatica egiziana è destinato a raddoppiare passando dalle circa 18.200 imbarcazioni ad un numero prossimo alle 40.000. Il caso del Canale di Panama è molto diverso. Prima dell’attuale programma di ampliamento, questa via marittima non era mai stata fatta oggetto di piani di sviluppo con l’obiettivo di attrarre traffici serviti da vettori di grande portata. Gli Stati Uniti, prima dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, avevano pianificato l’ampliamento del Canale, visto che già allora le dimensioni di alcuni transatlantici, come il Normandie118 e la Queen Mary119, nonché quelle delle grandi portaerei della classe Midway120, superavano l’ampiezza delle chiuse. Per ovviare a questa insufficienza, e per rispondere alle crescenti preoccupazioni belliche, il governo di Washington aveva deciso la realizzazione di un terzo sistema di chiuse, più lunghe e più larghe delle precedenti, il cui uso doveva essere riservato alla marina militare. Esse, infatti, sarebbero state collocate a una certa distanza da quelle esistenti in modo da ridurre il rischio di un bombardamento in grado di bloccare la navigazione. L’inizio dei lavori, annunciato ufficialmente il 9 agosto 1939 da Harry Hines Woodring, Segretario 118 Il Normandie è stato un transatlantico francese di 83.400 tonnellate, della Compagne Générale Transatlantique. Al momento del varo, nel 1932, era il più grande transatlantico mai costruito. Si distingueva per la ricchezza delle sue decorazioni, per la usa velocità (29 nodi) e per le sue dimensioni (312, 81 x 36,4 metri). 119 La RMS Queen Mary fu un transatlantico che prestò servizio sulla rotta SouthamptonCherbourg-New York dal 1936 al 1967. Vinse il Nastro Azzurro nel 1936 con una velocità di 30,14 nodi e di nuovo nel 1938 con una velocità di 30,99 nodi. 120 Le portaerei della classe Midway, insieme alla F.D. Roosevelt e Coral Sea, Furono le portaerei di maggior dislocamento costruite durante la seconda Guerra Mondiale. 111 alla Guerra degli Stati Uniti d’America121, fu interrotto a causa dello scatenarsi del secondo conflitto mondiale. In conclusione, fino ad oggi, l’accessibilità della via d’acqua panamense si è limitata a vettori con portata massima di 35 mila tpl, se convenzionali, e fino a 80 mila tpl per navi Panamax, cioè progettate appositamente per transitare lungo questa via. Nei primi cinquant’anni di servizio le limitate dimensioni del Canale non hanno causato ripercussioni negative sui flussi mercantili. All’alba degli anni Sessanta il trasporto di merci avveniva ancora con navi di media portata e quindi non si registravano rallentamenti eccessivi negli scambi commerciali. Da quel momento, però, la situazione mutò radicalmente. La messa a punto di tecnologie che consentivano la costruzione di vettori di crescente portata, insieme all’aumento della domanda di idrocarburi aveva fatto intravedere la prospettiva di ridurre considerevolmente il costo unitario del trasporto. Inoltre, la breve chiusura del Canale di Suez122 e più in generale l’instabilità politica del Medio Oriente, avevano suscitato il timore che il transito lungo la via marittima egiziana potesse nuovamente e durevolmente essere interrotto. Questi fattori diedero l’impulso alla costruzione di navi di grande portata che avrebbero ben presto superato la soglia delle 80 mila tpl. La crescita dimensionale dei vettori, nota come “gigantismo navale” si sarebbe protratta per gli anni a venire. Negli anni Novanta la flotta di trasporti, sia di container, sia soprattutto di rinfuse, era divisa in comparti ben consolidati. Per ciò che concerne i trasporti di minerali e fonti di energia si possono distinguere diversi tipi di imbarcazioni. In primo luogo, vettori, costituiti da un numero non elevato di superpetroliere che, date le dimensioni, non potevano passare né per Suez né tantomeno per Panama. Si trattava di unità navali concepite per seguire la rotta del Capo, le cosiddette Cape Sized Carriers. In secondo luogo, navi che, non potendo passare per Panama, erano in grado di passare per il Canale di Suez, le cosiddette Suezmax. In terzo luogo, le navi Panamax, vettori progettati appositamente per attraversare 121 Il Segretario alla Guerra era il capo del Dipartimento di Guerra degli Stati Uniti. Tale struttura tra il 1789 e il 1947, amministrò la difesa nazionale insieme al Dipartimento della Marina. Nel 1947, sotto la Presidenza di Harry S. Truman, il Dipartimento della Guerra fu sostituito dall'attuale Dipartimento della Difesa che incorporò anche il Dipartimento della Marina. 122 Il Canale di Suez rimase chiuso dal mese di novembre 1956 fino al 29 marzo dell’anno successivo in seguito alla Guerra Arabo-Israeliana 112 Panama e che quindi potevano passare anche per Suez. Infine, i vettori piccoli, detti Porta-prodotti123 (Product Carriers), con una portata compresa tra le 20 mila e le 40 mila tpl. Essi sono adatti a transitare per qualsiasi passaggio e trasportano soprattutto prodotti di raffineria e non più petrolio greggio. Per quanto riguarda il settore container Suez poteva accogliere qualsiasi tipo di nave, ma si andava profilando una categoria di vettori troppo grandi per poter passare attraverso il Canale di Panama. Per i grandi trasporti di container, questo ha comportato una sorta di divisione tra gli spazi marittimi: da un lato, l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano collegati dal Canale di Suez; dall’altro, gli Oceani Indiano e Pacifico, serviti da qualunque portacontainer sempre via Suez. Gli attuali sistemi di chiuse del Canale di Panama non consentono il transito dei vettori di ultima generazione, ovvero le navi cellulari da 12.500 TEU124 e le unità da crociera da oltre tremila passeggeri. Questa situazione, escludendo Panama dal novero delle grandi rotte oceaniche, ha determinato la necessita di potenziare il Canale stesso, che ha anche raggiunto un fase di saturazione in termini di numero di imbarcazioni che possono attraversarlo in una data unità di tempo. Il 22 ottobre 2006 la Repubblica di Panama ha approvato, con il voto favorevole della maggior parte della popolazione avente diritto125, il referendum indetto dall’Autorità del Canale di Panama (ACP) per il progetto di ampliamento del Canale. Il piano di ampliamento è giustificato non solo dai problemi di congestione che caratterizzano i porti della West Coast statunitense, ma anche dall’attuale obsolescenza e inadeguatezza della via d’acqua rispetto alle tendenze evolutive dei flussi commerciali marittimi. In molte occasioni, diversi operatori logistici, come ad esempio le compagnie armatoriali COSCO China Ocean Shipping (Group) Company e NYK line Nippon Yusen Kaisha, insieme a grandi imprese 123 Questo tipo di vettori vengono anche chiamati Handy sized. Inoltre, sono ancora in uso i termini LR (Long Range), e MR (Medium Range) a seconda delle dimensioni delle navi. 124 Attualmente il passaggio è consentito soltanto alle navi Panamax da 4.400 TEU. 125 Il referendum sul programma di ampliamento del Canale è stato approvato con il 75% dei voti favorevoli, ma la percentuale dei votanti rispetto agli aventi diritto è stata solo del 43%. 113 del settore retail, come Wal-Mart126, hanno evidenziato l’esigenza di estensione del Canale per far fronte all’incremento dei traffici. La principale fonte di reddito del Paese è strettamente legata alle attività che si svolgono sul Canale127. L’indotto non deriva solo dai transiti delle navi, ma anche dal fatto che il Canale rappresenta un’attraente meta turistica. Tuttavia, l’efficienza stessa della via marittima è legata alla preservazione dell’ambiente e all’attenzione verso fattori di natura ecologica. Le chiuse consumano ingenti quantità di acqua, circa 200 milioni di litri per ogni transito, che provengono dal Lago di Gatùn. Questo bacino artificiale è a sua volta alimentato dal fiume Chagres: se l’ecosistema dovesse subire variazioni tali da ridurre la frequenza delle piogge, compromettendo quindi l’approvvigionamento idrico, il Canale potrebbe scomparire facendo riaffiorare l’istmo. La questione era già stata rilevata da Siegfried: «Le lac perd, à chaque éclusage, un certain cube d’eau, que l’apport des riviere remplace aisément pendant la saison des pluies, mais qui, sans parler de l’évaporation, ne se reconstitue pas en saison sèche: on calcule que les dépenses et pertes d’eau s’élèvent annuellement à 292 millions de pieds cubes, dont 22 millions par evaporation, 41 par éclusages, 31 du fait de l’énergie électrique utilisée, 194 du fait de la vidange du barrage de Gatun. Dans ces conditions, l’opération des écluses était nécessairement limitée, tant que la question d’un barrage de reserve n’était pas résolue: le Madden Dam, achevé en 1935 à l’endroit même qu’avaient déterminé autrefois les ingégnieurs français, répond à la triple préoccupation d’accumuler une réserve d’eau pour la saison sèche, de fournit l’énergie électrique requise pour le fonctionnement des écluses, de contrôler les crues du Chagres.»128 126 La Wal-Mart Stores Inc, fondata da Sam Walton nel 1962, è una società americana, proprietaria della catena di negozi al dettaglio Wal-Mart. È il più grande rivenditore al dettaglio nel mondo, prima multinazionale al mondo nel 2010 per numero di dipendenti e fatturato. 127 Nel Canale, che negli ultimi anni ha registrato un considerevole aumento del proprio giro d’affari, lavorano più di dieci mila persone. 128 SIEGFRIED A., Suez, Panama et les routes maritimes mondiales, op. cit., p. 236-237. 114 Pertanto, già nel 1935, la realizzazione del Madden Dam129 aveva risolto il problema della perdita d’acqua utilizzata dalle chiuse durante i transiti; ma il passaggio delle navi in costante aumento nel corso degli anni, ha riproposto la questione dell’approvvigionamento idrico del Lago di Gatùn. Il progetto di ampliamento del Canale di Panama, prevede di far fronte anche a questo problema. Più specificatamente, le componenti principali del programma di ampliamento sono: - la realizzazione di due nuove chiuse, una sul versante atlantico e l’altra sul versante pacifico, ognuna di tre livelli, con dimensioni di 427 x 55 metri e profondità pari a 18 metri. Tali chiuse, molto più grandi di quelle esistenti, che hanno dimensioni di 305 x 33 metri, permetteranno il passaggio delle navi di grande portata alle quali è oggi impedito il transito lungo il Canale (fig. 3.4); - la costruzione, per ogni chiusa, di un sistema di 18 vasche per il parziale recupero dell’acqua utilizzata dalle chiuse, che come si è visto, ammonta a circa 200 milioni litri per ogni transito; - il dragaggio e lo scavo dei canali di accesso alle nuove chiuse sia sul lato atlantico che su quello pacifico, per una lunghezza totale di 11,2 chilometri ed una larghezza di 218 metri; - il dragaggio del Canale in tutta la sua complessiva lughezza, 80 chilometri circa, compresi gli accessi marittimi sull’Atlantico e sul Pacifico. I lavori di dragaggio del Canale risultano indispensabili per incrementare la profondità del Canale e renderlo compatibile con il maggior pescaggio delle navi Post-panamax. In questo modo si potrà garantire il passaggio di vettori in grado di trasportare fino a 12.000 TEU, contro i 4.400 TEU attualmente consentiti dalle navi Panamax. In un tempo massimo di dieci ore potranno transitare navi di lunghezza massima di 399 metri e 49 metri di larghezza. 129 In seguito ribattezzato Lago Alajuela. 115 Fig. 3.4 – Il terzo sistema di chiuse Fonte: http://www.latinbusinesschronicle.com. Per la fase di realizzazione del terzo sistema di chiuse, che rappresenta circa il 55% del valore dell’intero progetto, è stata indetta una gara internazionale nell’ambito della quale l’Autorità del Canale di Panama ha preso contatti con diverse imprese: Consorzio C.A.N.A.L; Bechelt, Taisei, Mitsubishi Corporation; Consorzio Atlántico–Pacífico de Panama; Grupo Unidos por el Canal130. Nel corso di una cerimonia pubblica avvenuta il 3 marzo del 2009, alla presenza del Presidente della Repubblica di Panama, il Governo e le più alte cariche dello Stato, tre dei quattro consorzi131 presentarono le rispettive proposte. 130 I vari gruppi sono così formati: Consorzio C.A.N.A.L.: ACS Servicios, Comunicaciones y Energia (Spagna), Fomento de Construcciones y Contratos (Spagna), Hochtief Construction AG (Alemania) e Constructora ICA (Messico); Bechelt, Taisei, Mitsubishi Corporation: Bechelt Internacional (Stati Uniti), Taisei Corporation (Giappone) e Mitsubishi Corporation (Giappone), Wuchang Shipyard (Cina); Consorzio Atlántico–Pacífico de Panama: Bouygues Travaux Publics (Francia), Bifinger Berger (Germania), Vinci (Francia), Construçoes e Comercio Camargo Correa (Brasile), Constructora Andrade Gutierrez (Brasile), Alstom (Francia) e Bardella (Brasile); Grupo Unidos por el Canal: Sacyr Vallehermoso (Spagna), Impregilo (Italia), Jan de Nul (Belgio) e Constructora Urbana S.A. (Panama). 131 Il consorzio costituito da capitale francese pur essendo qualificato, alla fine decise di non presentare la propria offerta. 116 Dopo un’accurata valutazione, l’ACP decise che l’offerta migliore era quella presentata dal consorzio Grupo Unidos por el Canal. L’opera è stata ufficialmente inaugurata il 30 giugno 2010, in occasione della visita del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dovrebbe terminare alla scadenza dei successivi 1.883 giorni, ovvero entro il 15 novembre 2014. Eventuali ritardi nella consegna dei lavori costeranno al GUPC un importo di 300 mila dollari per ogni giorno di ritardo, sino ad un massimo di 54,6 milioni di dollari. Il consorzio avrà diritto ad una compensazione da parte dell’Autorità del Canale di Panama pari a 215 mila dollari al giorno, sino a un massimo di 50 milioni di dollari, nel caso in cui riuscisse a consegnare le chiuse prima del termine concordato. Oltre al completamento delle nuove chiuse, sono previsti anche altre opere che riguardano: lo scavo a secco e la rimozione di materiale su entrambi i versanti oceanici del Canale132; lo sviluppo di un modello fisico del sistema idraulico del terzo sistema di chiuse a tre livelli sui versanti pacifico e atlantico; lavori di allargamento e soprattutto di dragaggio su ampie parti del Canale; lo studio sull’impatto ambientale dell’opera di ampliamento. Il costo totale del “mega-progetto”133, il cui ammontare previsto è di 5,25 miliardi di dollari, sarà finanziato quasi interamente con un aumento dei pedaggi di transito, in media del 3,5% ogni anno, per i prossimi vent’anni, e con un accesso a una linea di credito di 2,3 miliardi di dollari, con un contributo della Banca Europea per gli investimenti (BEI). Tale pre-finanziamento, utilizzato per far fronte al picco dei lavori (biennio 2009-2011), verrà ripagato in soli otto anni grazie all’aumento dei traffici. Il progetto di ampliamento del Canale di Panama avrà un forte impatto sul sistema economico e logistico del Paese. Da questo imponente investimento, infatti, il governo panamense si aspetta una ricaduta sul PIL nazionale in grado di contribuire a rimuovere il Paese dal gruppo dei PVS. 132 Tali scavi prevedono la rimozione di 7,5 metri cubi di materiale sul versante Pacifico e 7,4 su quello Atlantico. 133 Si tratta dell’appalto più importante attualmente in fase di realizzazione nell’intero continente americano. 117 A livello più strettamente portuale e marittimo, Panama sta già manifestando un ruolo di primo piano come piattaforma hub del trasbordo che interessa il continente. I tre maggiori terminal container della Repubblica centroamericana, Manzanillo (Manzanillo International Terminal), i terminal di Panama Ports Company a Balboa e Cristobal e il Colón Container Terminal di Evergreen a Coco Solo, si stanno attrezzando per ricevere le navi da 12.500 TEU investendo circa 1,5 miliardi nel potenziamento portuale. Il progetto di ampliamento del Canale ha determinato l’approvazione di un programma di oltre un miliardo di dollari per lo sviluppo di una seconda infrastruttura portuale di trasbordo sulla costa Pacifica. Inoltre, un nuovo terminal container sarà realizzato nella zona di Farfán, dove oggi opera solo il porto di Balboa. Infine, nei pressi dell’ex base militare americana di Rodman è prevista la costruzione di una nuova infrastruttura portuale da parte dell’Autorità Portuale di Singapore (PSA). Tale progetto scaturisce anche dall’implementazione del Trattato di Libero Commercio siglato dalla Repubblica di Panama con quella di Singapore nel 2006. L’ampliamento del Canale panamense dovrebbe dare un impulso alla rotte di tipo Round the World (RTW) cioè quei servizi che prevedono un trasferimento di merci “tuttomare” con navi che completano la circumnavigazione terrestre. Più precisamente, i nuovi itinerari andrebbero a collegare Asia, Usa, Europa e Mediterraneo utilizzando i Canali di Suez e Panama. Il servizio, dovrebbe essere esercitato dalle navi più grandi ed efficienti che dovrebbero scalare un numero limitato di porti di transhipment134 localizzati all’intersezione della rotta “giramondo” con le principali rotte Nord-Sud. I terminal container caraibici, data la loro posizione, dovrebbero essere avvantaggiati da questo scenario. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, saranno i traffici commerciali diretti verso i porti atlantici a trarre vantaggio dal rinnovato Canale panamense. Gli scali marittimi della Costa orientale attraggono sempre più flussi di merci provenienti dall’Asia, anche per il fatto che i grandi produttori di beni a basso valore si sono 134 Il transhipment, o trasbordo, è uno "schema di trasporto" che consiste in un complesso di procedure relative al trasferimento (sbarco/reimbarco) di container dalle grandi navi cellulari che effettuano trasporti transoceanici su imbarcazioni di dimensioni minori, dette navi feeder, che operano su rotte locali. 118 indirizzati verso i servizi tutto-mare in luogo di quelli terrestri che fanno giungere le merci tramite il landbridge ferroviario dalla West Coast alla East Coast statunitense. Il costo di tali servizi ha subito infatti un incremento a seguito degli aumenti tariffari imposti dagli operatori ferroviari. Gli effetti di lungo periodo dell’ampliamento del Canale di Panama sui traffici via Suez sono invece più complessi, in quanto si presentano in un quadro di riferimento dove si intersecano gli interessi e le esigenze di più mercati, che condizionano le strategie delle compagnie marittime. Tuttavia, si può ragionevolmente ipotizzare che a seguito dell’ampliamento della via d’acqua centro-americana la quota di traffici che dai porti asiatici giunge a quelli atlantici degli Stati Uniti passando per il Canale di Suez, subirà un notevole ridimensionamento a favore della rotta via Panama. Per quanto riguarda invece, gli scambi di merci tra l’Asia e il Nord Europa, l’itinerario Suez-Mediterraneo continuerà ad essere più competitivo rispetto a quello che prevede il passaggio per Panama. L’ampliamento del Canale panamense produrrà conseguenze anche sul mercato delle crociere135. I cruise operators, infatti, potrebbero offrire una nuova gamma di sevizi integrati che prevedono l’attraversamento del nuovo Canale, ad esempio nell’itinerario California - Caraibi, o California e Florida. Inoltre anche Panama, nonostante l’intervento dell’uomo, può essere considerata una destinazione turistica136. In complesso, si può affermare che il Canale di Suez, sottoposto nel corso degli anni a numerosi programmi di ampliamento, ha mostrato una certa adattabilità ai cambiamenti intervenuti nella costruzione delle navi. Man mano che la tecnologia ha permesso la realizzazione di vettori sempre più grandi, anche le dimensioni del Canale sono progressivamente aumentate. Il caso di Panama è differente. Come si è visto, questa via d’acqua non è era mai stata fatta oggetto di piani di ampliamento fino al progetto in corso 135 Le crociere rappresentano le forme più importanti d’integrazione tra il turismo e il trasporto marittimo. Nel caso della crociera, infatti, il trasporto è il mezzo e il fine della vacanza, sia per le escursioni previste nei porti di scalo, sia perché durante la navigazione è prevista a bordo un’ intensa attività di loisir. 136 Nella Repubblica centro-americana esistono inoltre territori incontaminati su cui vivono comunità ancora dedite all’agricoltura tradizionale. L’arcipelago di San Blas conta 350 isole abitate da popolazioni di questo tipo. 119 d’attuazione che sarà completato nel 2014, cioè a distanza di cento anni dall’apertura del Canale avvenuta nel 1914. Dunque, al contrario di Suez, a Panama, è stata la cantieristica navale a doversi adattare alle caratteristiche del Canale con la costruzione di navi (Panamax) realizzate apposta per il transito dell’istmo. Tuttavia, negli ultimi anni i problemi di saturazione e di inadeguatezza della rotta rispetto alle tendenze evolutive dei flussi commerciali marittimi si sono fatti ancora più evidenti, determinando quindi la necessità di incrementare la capacità del Canale. 120 Conclusioni Al termine di questo studio può essere utile ricordarne brevemente i punti salienti. Nel corso dell’analisi, è stata evidenziata l’importanza che i Canali di Suez e Panama ricoprono nella navigazione marittima. Inoltre, si sono poste in luce le notevoli differenze che contraddistinguono le due rotte e la circostanza che queste vie d’acqua hanno in comune soltanto una caratteristica: il fatto di mettere in relazione spazi marittimi come, l’Oceano Indiano e Atlantico nel caso di Suez e l’Oceano Atlantico e Pacifico nel caso di Panama, altrimenti separati dalla terraferma. Il transito attraverso i due passaggi artificiali permettendo di bypassare le rotte attorno al Capo di Buona Speranza e Capo Horn, consente di risparmiare rispettivamente seimila e ottomila miglia nautiche. Alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, ciò ha rappresentato una sorta di rivoluzione del trasporto marittimo. La navigazione a vapore, ad esempio, ha subìto un notevole impulso dopo la costruzione del Canale di Suez rimpiazzando il ruolo ricoperto fino a quel momento dalle imbarcazioni a vela. A distanza di tempo dalla realizzazione la valenza strategica ed economica dei Canali di Suez e di Panama non accenna a diminuire. Lo dimostrano le statistiche sui transiti che anno dopo anno segnalano un trend positivo. Al fine di eseguire una ricerca esaustiva, si è dato conto delle dinamiche e dei fattori che rischiano di deviare altrove i traffici mercantili. In primo luogo, sono state analizzate le rotte concorrenti rappresentate sia da nuovi itinerari marittimi sia da percorsi e condotte terrestri. In particolare, si è fatto riferimento alle rotte commerciali che si renderanno praticabili a causa dello scioglimento dei ghiacci nell’Emisfero Nord, nonché ai landbridge ferroviari e alle pipelines. Queste alternative, ampliando lo spettro delle opzioni cui possono ricorrere gli operatori del trasporto, possono entrare in competizione con il servizio offerto dai Canali. Tuttavia, anche per le vie di comunicazione concorrenti subentrano delle complicazioni che le rendono meno attrattive. Le rotte Artiche non sono pienamente accessibili alla navigazione commerciale per due motivi: i vettori tradizionali possono transitarvi per dodici mesi all’anno soltanto con l’assistenza 121 di navi rompighiaccio; permangono numerose situazioni di incertezza sullo status giuridico del Polo Nord. I landbridge o “ponti terrestri” possono fare concorrenza ai Canali soltanto nei traffici containerizzati. Inoltre, il costo di questi ultimi servizi è lievitato a causa degli aumenti tariffari imposti dagli operatori ferroviari. Per quanto concerne le pipelines, piuttosto che entrare in competizione con le rotte di Suez e Panama, svolgono una funzione complementare nel trasporto di idrocarburi. In secondo luogo, è stato analizzato il fenomeno della pirateria marittima sottolineando i problemi che essa può provocare ai transiti navali nelle acque antistanti i Canali. Nel corso dell’indagine è emerso come i costi per la protezione dei traffici marittimi, pur costituendo un onere non indifferente per la comunità internazionale, siano comunque minori rispetto alla scelta di tragitti alternativi che comportano un allungamento del percorso. Ciò è dimostrato dal fatto che le più grandi compagnie armatrici continuano a preferire le rotte di Suez e Panama. Inoltre, anche la maggior parte degli analisti è concorde nel sostenere che i danni inflitti dalla pirateria ai flussi commerciali non abbiano ripercussioni considerevoli sull’economia mondiale. In terzo luogo sono stati descritti i progetti di ampliamento che hanno riguardato le due rotte. Il Canale di Suez è stato potenziato diverse volte nel corso degli anni, adattandosi ai cambiamenti intervenuti nel trasporto marittimo sempre più indirizzato all’utilizzo di navi di elevata portata. Il caso si Panama, invece, è molto diverso. La sua accessibilità si è limitata a vettori con portata fino a 35 mila tonnellate di stazza lorda, per navi convenzionali, e fino a quasi 80 mila tpl per navi Panamax, cioè progettate per passare lungo questa rotta. In questo caso, è stata la navigazione commerciale a doversi adeguare alle dimensioni della via acquatica. Tuttavia, le tendenze evolutive dei traffici marittimi hanno determinato la necessità di incrementare la capacità del Canale che ha anche raggiunto una fase di saturazione in termini di numero di imbarcazioni che possono attraversalo in una determinata unità di tempo. Pertanto, nel 2006, la Repubblica di Panama ha approvato il referendum indetto dall’Autorità del Canale di Panama per il progetto di ampliamento del Canale, da realizzarsi nel periodo 2007-2014. Tutto ciò 122 evidenzia come le rotte di Suez e Panama hanno saputo fronteggiare problemi e dinamiche che rischiavano di affievolirne l’importanza. L’analisi è stata arricchita dall’inserimento di uno scenario futuro volto a immaginare cosa succederebbe se chiudessero i Canali. Si tratta di semplici ipotesi che non hanno alcuna presunzione di esattezza visto l’elevato numero delle variabili in gioco che possono imprimere alla condizione attuale corsi improvvisi e svolte inaspettate. Questo argomento ha preso le mosse dalle proteste popolari nel Nord Africa e nel Medio Oriente tutt’ora in corso e che hanno coinvolto anche l’Egitto, la cui situazione politica sembra essere legata alle elezioni parlamentari e presidenziali che avranno luogo nei prossimi mesi. L’indagine, tuttavia, per quanto dettagliata e ben documentata, avrebbe richiesto un approfondimento direttamente sui luoghi oggetto di ricerca. Si propone, inoltre, come spunto per un’eventuale ricerca futura che si ponga in linea di sostanziale continuità con il presente lavoro, lo studio degli altri choke points maggiormente coinvolti nel traffico navale mondiale137. In conclusione, si può affermare che i Canali di Suez e Panama rappresentano ancora oggi due rotte mercantili fondamentali per gli scambi di beni che avvengono ogni giorno tra gli spazi marittimi più disparati. La situazione commerciale delle aree localizzate nei pressi dei Canali può essere osservata a partire dalle statistiche e dai dati che riguardano le due vie d’acqua, una sorta di “cartina tornasole” della situazione economica internazionale. 137 Si fa riferimento, in particolare, allo Stretto di Malacca e a quello di Hormuz. 123 Bibliografia: ALBERIZZI M., BIFFANI C., OLIMPO G., Bandits – La lotta alla pirateria somale del XXI secolo, Fuoco Edizione, Roma 2009. ASHTON T.S., The Industrial Revolution 1760-1830, Oxford University Press, Londra 1948; ed. it. La rivoluzione industriale 1760-1830, a cura di Barbone D. e Sihna B.N., Laterza, Bari 1953. BIANCONI A., Il Canale di Panama: studio riassuntivo della sua importanza nel commercio e nella politica del mondo, in BIANCONI, Francesco Alfonso M., Bollettino del Ministero degli Affari Esteri. Direzione Generale degli affari commerciali, Cartiere centrali, Roma 1915, 129-142. 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