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INTERVISTA A SILVIA RONCAGLIA

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INTERVISTA A SILVIA RONCAGLIA
INTERVISTA A ... SILVIA
RONCAGLIA
1– Tanti di noi hanno un’innata curiosità sulla biografia degli
autori. Forse è l’abitudine al capitolo su “La vita e le opere”
che dobbiamo studiare a scuola. Raccontaci qualcosa di te.
Non importa se completamente vero. Noi ti crederemo.
Racconterò qualcosa di vero, ma solo relativo all’infanzia. Per il
resto della vita mi appello al diritto alla privacy.
Ero un maschiaccio, mi ero costruita una casa sull’albero, come
rifugio anti-zia, ispirata da Qui, Quo, Qua. Giravo armata di arco,
frecce, fucile, pistola e coltellino a serramanico (quest’ultimo
procuratomi di nascosto dai genitori) e mi ero data un nome da
pellerossa, che è la cosa a cui sono più affezionata della mia
infanzia: “Scemo tra le stelle”. Molti anni dopo l’ho inserito nel mio
libro “Il tempo della collana”, cercando da adulta una spiegazione
psicologica a questo nome. Vi regalo il brano che ne parla:
Una notte, avevo accompagnato gli uomini alla pesca. E
quella notte, mentre tiravano in secca la barca e le reti,
sdraiata sulla spiaggia, avevo respirato il mare ad occhi
aperti, spalancati sulle stelle e sulla grande ciotola blu
dell’universo. E’ stato in quel momento che ho deciso il mio
nome indiano: “Scemo tra le stelle”. Non chiedermi perché.
Non so perché “scemo” e non “scema”, visto che ero una
bambina, e non so perché proprio “scemo”, che a nessuno
piace se gli dai dello scemo. Mi pareva un nome per volare,
volare lontano, volare in alto, volare attraverso i sogni.
Forse perché lo scemo del paese era sempre perso nei
suoi sogni e in un sorriso speciale da bambino. O forse
perché quando qualcuno si diverte proprio tanto, c’è
sempre qualcun altro che gli dice: “Dai, non fare lo scemo!”
2- Bisogna prendere speciali precauzioni contro la malattia
dello scrivere, perché è un male pericoloso e contagioso. Così,
almeno, la pensava Pietro Abelardo. Tu come sei stato
contagiato? E come hai fatto a superare lo sguardo di
disapprovazione dell’editore di fronte al tuo primo
manoscritto?
Credo che questo male pericoloso nel mio caso sia genetico, o per
lo meno assimilato insieme al latte materno: madre sorella del
giornalista e scrittore Arrigo Levi, padre grandissimo raccontastorie,
abilissimo forgiatore di filastrocche, fiabe, canzoni e giochi di parole.
Non ricordo sguardi di disapprovazione, ma lettere di rifiuto sì,
perché gli editori all’inizio non li vedi in faccia, ma li conosci per
lettera, quando si degnano di rispondere.
3– Ci si può conoscere in tanti modi. Con una stretta di mano,
con uno sguardo gentile, un paio di scarpe particolarmente
appariscenti. Fatti conoscere con una canzone, un film, un
piatto.
Qualsiasi cosa ti racconti. Libri esclusi.
Impresa ardua perché la musica è la colonna sonora della mia vita,
sono una divoratrice di film e, nonostante la magrezza, anche col
cibo non scherzo e, del mio viaggiare per l’Italia a fare incontri con
l’autore, apprezzo molto il valore aggiunto del poter esplorare le
diverse, ricche e prelibate cucine regionali italiane. Quindi faccio un
gioco, usando l’addizione:
Film + musica: “L’ultimo dei Mohicani”.
Film + cibo: “Chocolat” (ma per quanto riguarda il cibo, la cioccolata
deve essere rigorosamente e soltano molto amara, anche speziata
(cannella, peperoncino, zenzero…). Per me è una vera droga.
Musica + cibo: “Un gelato al limon” di Paolo Conte (ma che il limone
sia un sorbetto siciliano da assaporare con “la sensualità delle vite
disperate”!)
4– Lega con un filo i libri che sono stati importanti per te. Poi
parlaci del filo…
In ordine di apparizione: “Il mago di Oz”. Poi l’Iliade, che per anni è
stata sul mio comodino come una Bibbia. Ne sapevo a memoria dei
bei pezzi, mio padre mi aveva anche musicato al pianoforte il primo
canto. Quindi Wodehouse, ma solo i libri con Jeeves (monomania).
Decisamente più grande: “Il maestro e Margherita”, i libri di Garcia
Marquez e della Yourcenar, quelli di Kurt Vonnegut e di John Fante.
Un cult personale e poco conosciuto: “La principessa sposa” di
Goldman.
Il filo sono io e quello che ho scritto nel brano che vi ho regalato:
“volare, volare lontano, volare in alto, volare attraverso i sogni”.
Sarà dunque il filo di un aquilone…
5– Contattami. Viviamo in un’epoca in cui, almeno
apparentemente, tutto è visibile. Come facciamo a seguire le
tue vicende?
Le vicende personali, in un’epoca in cui tutto è visibile, ci tengo che
restino invisibili. Per uno sbaglio sono su facebook, mi irrita e non lo
uso quasi mai, ma non ne sono ancora uscita, e quindi sono la
dimostrazione del fatto che… crea dipendenza! A parte gli scherzi,
ci sono ancora solo in attesa che sia pronto, spero tra breve, il mio
sito www.silviaroncaglia.it E per ora si trovano mie notizie
professionali in www.filastrocche.it
6- “Non sei fregato veramente finchè hai da parte una buona
storia da raccontare e qualcuno a cui raccontarla”, dice
Novecento, il personaggio di Baricco. Scegli una delle tue
storie e spiegaci perché è valsa la pena affidarla ai lettori. In
fondo, ora hai una storia in meno da raccontare.
Se ho scritto storie è perché per me valeva la pena scriverle e
contavo che valesse la pena leggerle. Quindi tutte. Però mi hanno
regalato diversi tipi di soddisfazione.
Così è valsa la pena di scrivere libri come “Facciamo che eravamo”,
“Ma che razza di razza è?” e “Perché mai è diversa questa sera?”
per le tematiche impegnate e importanti che, negli ultimi due, si
mescolano alla mia eredità personale, come figlia di madre ebrea.
E’ valsa la pena di scrivere “Orco qua, orco là” per vederlo messo in
scena in teatro, e “Caro Johnny Depp” per il bagno di folla e
l’emozione della vincita del premio Bancarellino, per le tante lettere
ricevute dalle teenagers, fan mie e del famoso attore.
E’ valsa la pena scrivere per Einaudi tutti i libri a quattro mani con
Sebastiano Ruiz Mignone, perché era il mio compagno ed è stato
uno dei bei giochi che abbiamo fatto insieme.
E’ valsa la pena scrivere certe storie perché grandi illustratori come
Luzzati, Cristiana Cerretti, Arianna Papini, Antongionata Ferrari,
Alessandra Cimatoribus e tanti altri le illustrassero regalando a me
e ai lettori tavole meravigliose.
E’ valsa la pena scrivere il mio ultimo libro “Dentro di me, fuori di
me” perché il mio grande amico Tommy Togni lo musicasse e mio
figlio musicista lo mixasse e registrasse, e scrivere “La fonte” per
sentirla letta da Lella Costa.
Quindi ciò che vale la pena sono gli incontri, le contaminazioni, gli
scambi… e un libro ne offre tanti!
In quanto al fatto se valga la pena leggere queste storie, va chiesto
ai lettori. Loro sono i miei incontri costanti e mi sembrano soddisfatti
di leggermi e di conoscermi. E fosse anche solo per conoscere le
migliaia di bambini che ho incontrato in questi anni, per me vale la
pena scrivere.
7– Visto che siamo in clima di citazioni… “I veri scrittori
incontrano i propri personaggi solo dopo averli creati” (Elias
Canetti).
Quali dei tuoi personaggi ti piacerebbe incontrare? E,
soprattutto, perché?
La Principersa di “Principerse e filastrane”, ma forse la incontro già
tutti i giorni perché la Principersa sono io. E naturalmente Johnny
Depp perché non è un personaggio di fantasia, ma esiste in carne
ed ossa ben assemblate (cioè è bello!)
8– Queste domande sono le stesse per tutti i nostri autori.
Estrai dalle carte dei tuoi libri un personaggio numero due, un
cattivo, un comprimario. All’occorrenza, puoi anche riportare
una significativa riga scritta su un tovagliolo di carta.
Rigida Perfettini di “Greta che vola”, la maestra Salanetti di “Orco
qua, orco là”, Lola Boy Friend di “Intrighi, intralci, intrecci in viale
Washington”. I bambini mi chiedono: “Perché tanti adulti ingiusti e
cattivi, specialmente maestre, nei tuoi libri?” Non hanno conosciuto
la mia, di maestra! Poiché non seguivo le lezioni di religione, lei
ogni giorno esordiva così: “Bambini, abbiamo in classe una
pecorella nera che andrà all’inferno, preghiamo per lei!” Seguivano
un Padre Nostro e un’Ave Maria tutti per me. Ogni giorno, per anni!
E che dire di Lagazz Luguzzoni Junior di “Sporche storie”? In tanti
mi chiedono se faccio della satira su Berlusconi. Quando l’ho
scritto, Berlusconi non si era ancora affacciato alla politica. Quindi il
mio, si potrebbe dire che è un libro profetico. E rispondo: “Non è
colpa mia se la realtà supera la fantasia!”
Comunque ho notato una cosa: i cattivi, nei libri, sono quasi sempre
più simpatici dei buoni, e fa piacere conoscerli, mentre i cattivi nella
vita battono in perfidia i cattivi dei libri e si farebbe volentieri a meno
di incontrarli.
9– Libri per bambini, libri per grandi. Tu sei di passaggio o ti
trovi a casa nella cosiddetta narrativa per l’infanzia? E,
soprattutto, perché?
Ho scritto un solo libro per adulti: “Più dell’inchiostro il sangue” per
Falzea editore e a quattro mani con Roberto Cavalli. Invece ho
scritto più di 70 libri per bambini e ragazzi, quindi la letteratura per
l’infanzia è casa mia, e ci sto benone perché sono rimasta “bambina
dentro”.
10– Spazio libero. Dopo tante domande, questo spazio è a tua
disposizione. Per un saluto, un commento, una critica alle
domande… anche senza alcun perché!
Un complimento: è l’intervista più originale alla quale ho risposto.
E un doveroso saluto a chi mi ha fatto l’intervista e a tutti i lettori.
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