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LA FAMIGLIA GREMBO DI SPERANZArtf
LA FAMIGLIA GREMBO DI SPERANZA
Itinerario dei Gruppi Am.Or. 2007 – 2008
Presentazione
Come ogni anno, proponiamo un sussidio per il cammino di riflessione e di formazione. Abbiamo
sviluppato le schede tenendo conto della risonanza positiva avuta dal Convegno di aprile 2007, soprattutto
per la tematica riguardante la famiglia, dopo aver sentito anche il parere di molte amiche partecipanti ai
gruppi.
Le schede hanno come tema la vita di coppia e della famiglia. Più che soffermarci sui problemi, che
pure sono affrontati, il nostro interesse è quello di mettere in risalto il valore della famiglia, la ricchezza che
viene al matrimonio dal sacramento e dall’ispirazione cristiana. Spesso queste realtà sono affermate senza
conoscerne la profondità e la ricaduta vitale nell’esperienza; altre volte sono solo memorie di una dottrina
imparata ma che sembra troppo lontana dalla vita.
Abbiamo sempre tutti bisogno di rinnovare la fiducia nel dono che ci è dato e affidato del nostro
essere cristiani, negli orientamenti con i quali la chiesa cerca di sostenere il nostro cammino. Soprattutto, è
nostro desiderio aiutarci insieme a non fermarci ai luoghi comuni, circa la famiglia, a non adeguarci in modo
acritico alle affermazioni che i media propinano, a maturare una mentalità cristiana nelle lettura dei fatti di
cui veniamo a conoscenza per essere costruttori di storia cristiana.
La terza scheda n.3: “un modello alto” si presta per un momento di preghiera (ciascuna può adattarla
in lunghezza e contenuti). La scheda n. 7: “sentieri dell’amore” potrebbe essere uno strumento di
preparazione alla Pasqua e potrebbe essere utilizzata in più incontri.
Come sempre, la nostra è solo una proposta orientativa; molto è lasciato all’iniziativa e alla creatività
di chi anima il gruppo.
Suggeriamo di utilizzare, oltre alle schede, il fascicolo “Viviamo la famiglia, grembo di speranza”,
con la relazione di Don Giuseppe Pellizzaro, per una lettura complessiva e come riferimento di contenuto.
A tutte auguriamo un buon lavoro.
INDICE
La Famiglia, grembo di speranza
1. Il valore della famiglia
2. Questione di cuore
3. Un modello alto: la vita trinitaria
4. La preghiera in famiglia
5. Alla ricerca dell’amore vero
6. Comunicazione e violenza in famiglia
7. Sentieri dell’amore di coppia
8. Fedeli si diventa
9. Famiglie d’oggi: problemi e risorse
Bibliografia
Giancarlo Dianin , docente di morale sociale e familiare facoltà teologica triveneto, in Segno, n. 5 2007, pp. 14-15.
G. Mazzanti, Teologia sponsale e sacramento delle nozze,EDB, pp. 88-98.
F. Borsini, La sapienza del Vangelo, Ancora, p. 267.
Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 680a. Spazio gruppi famiglie, Arcidiocesi di Trento, Atti del Convegno ecclesiale di
Verona, 2007.
Egisto Gori, Equipe famiglia - La comunicazione nella coppia.
Renzo Caseri, 3D Tredimensioni n.2, 2007, pp. 174–181. Vincenzo Percassi, 3D, n.2, 2007 pp. 135-143.
Rosanna Virgigli, “Ti amerò per sempre”, Rocca, 15 luglio 2007, pp. 54-55.
Lilia Sebastiani, “Fedeli non si resta ma si diventa”, Rocca, op. cit, pp. 48-50.
Scheda n. 1
IL VALORE DELLA FAMIGLIA
Obiettivo
Comprendere la bellezza, la concretezza, la fedeltà del matrimonio fondato sul progetto di Dio per la coppia.
La sua esperienza è desiderabile e proponibile.
Per introdurre
Raccontare in poche righe che cosa è la famiglia per il Magistero della Chiesa non è impresa facile. Sono
state scritte montagne di pagine su questo tesoro prezioso che la Chiesa sente di dover custodire e
promuovere non solo come bene della persona, ma anche come Evangelo, cioè come buona notizia
consegnata a noi dal Signore.
Vorrei usare l’immagine di un ponte che rappresenta simbolicamente la vita stessa. Su quel ponte
transitiamo tutti noi, prima come figli, poi, per la maggior parte dei laici, come fidanzati, sposi, genitori,
nonni. Sperimentare affetti veri, essere amati e amare, vivere una buona esperienza di famiglia, tutto questo è
condizione essenziale per poter attraversare quel ponte con i piedi ben saldi, senza vertigini, ma sicuri di sé.
Quel ponte poggia su alcuni pilastri che lo sostengono e gli danno solidità; di questi pilastri ha parlato a
lungo il Magistero della Chiesa.
1° Pilastro Ce l’hanno consegnato i racconti della creazione. “Non è bene che l’ uomo sia solo, gli voglio
fare un aiuto che gli sia simile”. L’uomo è stato voluto da Dio come maschio e come femmina, ed è stato
chiamato a vivere nella comunione d’amore e ad assumersi la responsabilità di continuare la creazione. Il
Dio amore e creatore ha voluto l’uomo e la donna come esseri fatti per la comunione e la fecondità. Da
sempre la Chiesa ha riconosciuto nel legame d’amore un codice oggettivo dato dalla differenza sessuale e
specificato dal significato unitivo e procreativo, chiamando un uomo e una donna a diventare una carne sola
e continuare l’opera della creazione.
2° Pilastro Il secondo pilastro ce l’ha insegnato Gesù: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Il legame
coniugale assume dei tratti inediti con Gesù che lo propone a noi come vocazione, come segno che rimanda
ad un amore più grande, quello di Dio per il suo popolo e di Cristo per la sua Chiesa.
Il matrimonio cristiano è indissolubile perché chiamato a raccontare al mondo alcuni tratti dell’amore stesso
di Dio, un amore totale, fedele, fecondo, maschile e femminile, paterno e materno, geloso, ed esclusivo,
tenero e forte. Il matrimonio è il sacramento che ricorda e rende attuale, visibile ed efficace, l’alleanza stessa
di Dio con l’umanità e di Gesù sposo per la sua sposa la Chiesa.
3° Pilastro Il terzo pilastro è quello che colloca il matrimonio e la famiglia dentro la Chiesa con dei compiti
particolari. Per un cristiano il matrimonio non è solo una strada per la realizzazione personale, ma è dono per
la Chiesa. Non ci si sposa solo per se stessi ma per edificare la comunità cristiana. Agli sposi il compito di
testimoniare l’amore di Dio e di accogliere e custodire il dono della vita, di educare i figli e di accompagnarli
a conoscere e ad amare la vita e il Dio della vita. Il Magistero della Chiesa usa l’immagine della “Chiesa
Domestica” intendendo dire che la famiglia è la prima esperienza di Chiesa, luogo dove si impara a crescere,
ad amare, a sperare, a pregare. Su questo sfondo gli sposi sono i primi annunciatori del vangelo ai loro figli.
4° Pilastro Il quarto pilastro porta la Chiesa a considerare la famiglia come un “capitale sociale”, cioè una
risorsa insostituibile per l’edificazione della città terrena. La famiglia è la prima e vitale cellula della società,
grembo dove nasce e cresce ogni persona, luogo dove si vive l’esperienza fondamentale di essere amati e di
amare, apprendistato per la vita. Valori come la gratuità, l’accoglienza, l’ospitalità, il servizio, la solidarietà,
il rispetto della diversità, si apprendono tra le mura domestiche e sono anche la base di una società e di uno
stato a misura di persona umana. Ecco perché la Chiesa ha sempre affermato la priorità della famiglia sullo
Stato che è chiamato a riconoscerla, a proteggerla e promuoverla, in base al principio di sussidiarietà che
chiama lo Stato ad intervenire, qualora ce ne fosse bisogno, senza sostituirsi, ma aiutando la famiglia
perché possa esplicitare fino in fondo i suoi compiti.
5° Pilastro Il quinto pilastro è il volto laico della famiglia. Esso sintetizza e attraversa tutti quelli fino ad ora
evidenziati. Ciò che viene assunto per diventare segno sacramentale è il patto di amore di un uomo e di una
donna con tutte le sue caratteristiche affettive, relazionali, sessuali. Ciò che viene chiesto agli sposi è di
vivere questo amore tra le mura domestiche, dentro la vita di tutti i giorni.
Il cammino di santità degli sposi ha i tratti dell’impegno secolare nella relazione coniugale, nell’educazione
dei figli, nel lavoro, per essere nella Chiesa e nel mondo sale e lievito di una autentica umanità. La laicità ci
ricorda che il matrimonio e la famiglia si realizzano entro la storia. Non sono realtà solamente cristiane, ma
due istituzioni dell’uomo, dell’ordine della creazione, prima che di quello della redenzione. La laicità
diventa non un aspetto ma un contenuto, uno stile e un metodo per vivere l’esperienza familiare.
Nelle complessità della vita odierna, tra correnti impetuose che rendono difficile e precaria l’esistenza,
crediamo che vadano custoditi questi pilastri, perché ci sta a cuore la vita di ogni uomo, del bambino come
dell’adulto, di chi è fragile come di chi è forte.
Don Giancarlo Dianin docente di morale sociale e familiare facoltà teologica triveneto, in Segno 2007.
Parola di Dio (Ef. 5, 25 – 30)
“E voi mariti amate le vostre mogli , come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per Lei, per
renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’ acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi
comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia, né ruga o alcunché di simile, ma santa e
immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la
propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne, al contrario la nutre e
la cura, come fa Cristo con la Chiesa poiché siamo membra del suo corpo”.
Per approfondire
il mio corpo : curato con amore…mi amo…
il corpo dell’ altro: accolto nell’ amore…ti amo…
il Corpo di Cristo: sacrificato per amore…mi lascio amare…
il corpo della Chiesa: generato nell’ amore…amiamo
Nella Bibbia noi non troviamo un modello ideale di famiglia. Nella Bibbia non c’è una famiglia che
possiamo definire come modello una volta per sempre come “famiglia cristiana”. Allora ci preme la
domanda: “che cosa non deve mancare in una famiglia perché sia una famiglia cristiana?” “Quali sono i
valori costitutivi di una famiglia cristiana?”. “La famiglia cristiana ha uno specifico?”. Specifico vuol dire
un modo proprio di vivere quel valore, ma che non è esclusivo. Consideriamo ad esempio il perdono. Il
perdono non è un valore solamente cristiano: è un valore che vale per tutti. Lo specifico cristiano è perdonare
settanta volte sette.
Lo specifico cristiano è la vocazione della famiglia ad essere realtà dove si vive la comunione – carità, cioè
una unione affettiva fatta di accoglienza, benevolenza tra uomo e donna e con gli altri sullo stile di Dio e
delle relazioni che il Signore vive nel suo interno, nella Trinità e quelle che vive con noi.
Mettiamo in risalto tre caratteristiche dello specifico cristiano di essere famiglia:
Gratuità, missionarietà, ecclesialità.
Gratutità: va intesa come riflesso della gratuità di Dio. Nella società emergono l’avere e il possedere. Questo
non significa mettere in crisi la positività del benessere. Significa criticare il fare del benessere, dei valori
materiali, lo scopo e il fine di tutto. Questa preminenza di valori segna anche le relazioni. Provate a pensare:
l’altro vale tanto in quanto risponde ai miei desideri, ai miei gusti, alle mie idee, tanto quanto mi gratifica. Il
rapporto con l’altro può diventare anche un atteggiamento possessivo. L’altro può diventare corpo offerto al
mio piacere, non più relazione personale.
Missionarietà: nel vangelo la famiglia si apre a nuovi confini. Ce lo insegna Gesù quando si incontrò con i
suoi familiari e chiese: “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli”. Gesù propone un nuovo modo di stare
insieme, non solo per i legami di sangue. Essi se non sono vissuti alla luce della Parola di Dio, possono
diventare rischio di esclusione. Ciascuno merita rispetto in quanto figlio di Dio, in quanto persona, in quanto
creatura libera. L’amore della coppia va finalizzato ad un mondo dove si possa amarsi.
Ecclesialità: l’amore umano è il luogo dove si incarna Dio nella storia. Anche Dio si mostra dentro il limite.
Questo mistero è grande. Il matrimonio è sacramento dell’amore di Dio. E segno dell’amore di Cristo non
solo per la pratica religiosa. Come Cristo per amore dona tutto se stesso, tutto il suo corpo per salvare
l’umanità, così gli sposi possono donarsi totalmente l’uno all’altra per testimoniare l’amore di Cristo per la
Chiesa . L’amore di Cristo trova mediazione umana nella coppia e la coppia trova la sua dimensione divina
nel sacramento del matrimonio centrato in Cristo.
Impegno
Nel nostro essere coppia siamo ad immagine di Dio.
Quali sono le esperienza attraverso le quali si diventa consapevoli di amarsi in Cristo?
Amarsi, e amarsi in Cristo, quale è la differenza?
Preghiamo
Signore, Tu avvolgi la nostra esistenza con l’amore ineffabile del Tuo sguardo, che ci pervade ovunque, in
ogni istante e sempre.
Sii la luce di ogni nostro pensiero e desiderio e guidaci sulla via della vita.
Scheda n. 2
QUESTIONE DI CUORE
Obiettivo
Il Vangelo e la tradizione ci aiutano a scoprire che cosa ci allontana e che cosa ci avvicina al progetto
d’amore di Dio. È il “dentro” che “regge” il fuori.
Per introdurre
Per il mio compleanno alcune persone mi hanno presentato un pacchetto decisamente simpatico.
Confezionato in carta rossa con ricamature dorate, con il suo bel fiocco e con una coccinella come ferma
biglietto. Anche il biglietto augurale era di buon gusto e oltre agli auguri c’era l’elenco dei componenti; dagli
elementi che costruivano il regalo, compresi che era un capo d’abbigliamento. Aprii il pacchetto e c’era una
maglia bella a gusto loro ma non a gusto mio. Il bel pacchetto, il bel biglietto, le giuste spiegazioni … mi
hanno lascito delusa nel contenuto. È mai capitato a voi?
A volte l’apparenza inganna! Mi sono ripetuta. Sostanza e forma, contenuto e apparenza vanno spesso
insieme ma se dovessi scegliere quale ritengo più importante?
Nei casi in cui non si crea sintonia si introducono nelle relazioni sentimenti di disagio, distanze e
incomprensioni; pian piano si può arrivare all’indifferenza e alla durezza di cuore.
Il Vangelo è la potenza, è la forza, è la luce per la vita del cristiano! Ascoltiamo.
Parola di Dio (Mt 19, 3-9)
“Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “È lecito ad un uomo
ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? ”. Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da
principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie e i due saranno una carne sola. Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque
che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Gli obiettarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle
l’atto di ripudio e mandarla via”. Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso
di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria
moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio”.
Per approfondire
I farisei avvicinano Cristo per sapere il suo parere in fatto di «ripudio» della donna, atto avallato dalla
decisione e permissione di Mosè (Dt 24,1) esercitato dall'uomo contro la donna, si può credere (come
esplicita Matteo in rapporto a Marco), «per qualsiasi motivo» (Mt 19,3).
Il ripudio è un atto evidente, pubblico e Gesù afferma che nasce dal “dentro dell’uomo”.
“ Da principio non fu così…”
Il Dio creatore pone e avvia il “cominciamento”, l'inizio della coppia umana; ma un tale «inizio» lo fa
procedere «dall'archè», dal disegno e modello che Dio ha ed è in Sé. La coppia umana ha in e da Dio stesso
non solo il proprio inizio cronologico, ma anche il proprio modello fondante e strutturante. (Archè: principio
primo , origine di tutto)
Così Dio «creò e modellò» l'uomo e la donna pensandoli come espressione viva e partecipativa della propria
realtà e del proprio disegno, come immagine della sua vita e delle sue relazioni interne; creandoli, non si è
ispirato «a nulla»; li ha creati «dal nulla» ispirandosi al suo proprio abisso e dinamismo di vita. La vita
trinitaria è caratterizzata dalle relazioni delle tre persone.
“Per la durezza del vostro cuore…” Gesù denuncia una durezza di cuore che possiamo riscontrare
anche nella nostra vita.
1. Durezza di cuore è non vedere e non riconoscere la presenza di una realtà «divina» nella congiunzione del
maschio/uomo con la femmina/donna; nel non vedervi una realtà che viene da Dio stesso, che li ha tratti dal
suo proprio modo di essere. Si finisce allora col ritenere tale realtà come qualcosa che l'uomo e la donna
intendono gestire da soli e a proprio piacere, sganciati dal progetto di Dio.
“La durezza del cuore umano non vede o non vuole vedere la bontà originaria della congiunzione uomodonna né la considera partecipativa della vita e della realtà di Dio stesso. Non riconosce e non ammette la
bontà della relazione: né tra uomo e donna né tra loro in quanto coppia e con Dio. Ignora o vuole ignorare
la bontà costitutiva e progettuale della congiunzione tra l'essere coppia e l'essere in e con Dio che si è
comunicato all' uomo come origine e come suo destino e promessa infinita»! (dal testo di Mozzanti).
2. L'unione coniugale e l'unione con Dio si implicano e si sorreggono a vicenda.
A questo l'uomo dal cuore duro non crede e non cede. Non crede che l'umanità sia un essere d'alleanza:
quella con se stesso e in se stesso; quella con l'altra umana persona e quella con Dio. Non crede che queste
tre forme di alleanza «personale», «coniugale» e «mistica» siano strettamente congiunte, come aveva
predicato il profeta Malachia. A questa negazione è sottesa quella del legame tra sacro e profano; tendenza
non cristiana di separare i due mondi.
Considerare l'unione con Dio come minaccia, porta ogni coniuge a sentire anche l'unione con l'altro come
minaccia e come impedimento alla realizzazione di sé. Per cui, alla fin fine, durezza di cuore diviene, da
iniziale diffidenza, la scelta determinata a voler decidere autonomamente anche il criterio e la misura del
legame coniugale; la durezza del cuore si trasforma nel voler determinare da soli, o comunque a partire da sé,
la norma, il criterio e la durata dell'amore coniugale.
3. La durezza del cuore si radica in profondità, confermando e mettendo in luce il peccato originario di
Adamo ed Eva. L'attuale atteggiamento degli uomini verso le nozze è di fatto l'estrema conseguenza e
propaggine della scelta «dura di cuore» di Adamo ed Eva. In esso affiora ed emerge la durezza di cuore della
prima coppia che ha peccato nel «giudicare» Dio geloso e minaccioso e nella presuntuosa pretesa di voler
valutare ed edificare autonomamente la propria realtà di coppia, mancando della schietta fede fiduciosa in
Dio creatore, non creduto «Padre» ma sospettato rivale e «avversario geloso», così come insinua loro il
tentatore. La durezza del cuore coincide con la mancanza di fede, che ha caratterizzato l'atteggiamento e la
scelta di Adamo ed Eva. È abbastanza frequente che le persone prive di stima in se stessi non ne abbiano
verso gli altri e nemmeno verso Dio. Le relazioni allora sono pervase di diffusa diffidenza e di timore.
4. La durezza del cuore può diventare oblio di Dio, a tal punto che “col pretesto delle nozze” si può
rifiutare l’invito stesso di Dio, ragione ultima e intima della nuzialità umana.
Luca al riguardo è esplicito: non solo chi ha comperato un campo o cinque paia di buoi, ma anche chi ha
preso moglie si scusa per rifiutare l'invito alla cena offertagli da un uomo e rischia di venire escluso dalla cena
decisiva/escatologica: «Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia
cena» (Lc 14,15-24). Non è assente, nella relazione di coppia, in famiglia e altrove, la sottile fuga da
responsabilità dirette, apportando scuse generiche, esterne al proprio sentire. Sarebbe più costruttivo dire il
proprio limite, la resistenza, la paura di coinvolgersi. Ma questo è possibile solo ad un cuore libero.
5. La durezza può esprimersi anche in una «chiusura» affannata dentro l'esistenziale nuziale e
familiare, senza l'autentico abbandono in e a Dio. Quando Cristo invita alla fiducia nella provvidenza,
ricorda i tipici mestieri dell'uomo e della donna, il lavoro dei campi e quello casalingo. Il Signore ricorda che
gli uccelli del cielo «non seminano, né mietono né ammassano nei granai» e che i gigli del campo non si
preoccupano dei «vestiti» perché «non lavorano e non filano». Una esagerata preoccupazione per il cibo e
per il vestito può inquietare a tal punto da far perdere il riferimento fiducioso a Dio; può trasformare gli
sposi/famiglie in «gente di poca fede» (Mt 6,26-30). La preoccupazione eccessiva porta alla durezza di cuore
perché decentra dalle persone, dalle relazioni e orienta alle cose. Succede ogni volta che il lavoro, la casa
pulita e ordinata, la preoccupazione dell’immagine sociale… prendono il primo posto nel nostro pensiero e
nei nostri sentimenti.
Come l’adulterio, la durezza di cuore non è un atto isolato di una relazione, ma dalla coppia si propaga alla
relazione con gli altri e anche con Dio. Matteo, al capitolo 5,27 ci ricorda che il vero adulterio si consuma nel
cuore che viene adulterato; ed è proprio questo che adultera le successive, conseguenti relazioni. (Adulterare
= alterare, corrompere, snaturare).
Alcune immagini che ci possono aiutare a superare la durezza del cuore:
A questo brano evangelico si può associare l’immagine del Cuore di Gesù. Nell’immagine, descritta da
Santa Margherita Maria, Gesù ci mostra, ci dona il suo cuore con le mani. Le sue mani hanno i segni dei
chiodi e il suo cuore porta la corona di spine, l’espressione del suo volto è di offerta di dono. Nel suo “pacco
regalo” c’e il Suo cuore.
Oppure si può ricordare l’immagine del Gesù misericordioso di Sr. Faustina Kowalska. In questa immagine
dal cuore di Gesù partono i raggi luminosi e colorati della misericordia di Dio. Gesù raggiunge chi lo guarda
con la sua misericordia.
Due immagini della tradizione della cristianità legate alla preghiera come risposta al Suo dono d’amore che è
per tutti, per chiunque guardi a Lui.
Ma si può ricordare anche l’immagine del cuore degli innamorati, trafitto da una freccia. Sono cuori
toccati e “feriti” dall’amore; cuori aperti; cuori donati e condivisi…
Alle prime due immagini sono legate forme di devozioni importanti nella storia della Chiesa. Le preghiere
ripetitive al cuore di Gesù: “ Dolce cuore di Gesù, fa’ che io ti ami sempre più”
“ Per la Sua dolorosissima passione abbi misericordia di noi e del mondo intero.”
Sono queste semplici invocazioni che esprimono il desiderio del cuore e pian piano plasmano i sentimenti.
Un uso quotidiano aiuta a crescere nella bontà e a far nostra la misericordia che Gesù ha rivelato.
Essere cristiani è questione di cuore e anche di mente. La conoscenza fa nascere le ideologie il cuore apre
alla fede.
Osserva una persona in piedi: ciò che molto regge è nascosto: la spina dorsale. Osserva un cristiano ciò che
lo regge è dentro, è nel suo cuore.
A livello fisico quando il cuore diviene “duro” si rischia l’infarto e la perdita della vita. Allora ci si cura:
dieta, esercizio fisico, medicine, controlli medici, vita serena.
Anche la durezza di cuore va curata con la preghiera, il dialogo con l’Altro, con sé e con gli altri.
Nella fede avere un cuore duro significa fermarsi all’esteriorità, forse al rito, al “ da farsi”.
Da quanto abbiamo letto possiamo cogliere un passaggio che ci “pizzica di più”, c’interessa di più; lo
comunichiamo e a proviamo a tradurlo in un atteggiamento interiore e uno esteriore.
Preghiera e impegno
Chi sei Gesù per me? In questo mese, o per questa settimana rispondo a questo interrogativo, non solo
razionalmente ma con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza.
Espongo e contemplo un’immagine del Cuore di Gesù.
Sarà la mia preghiera al mattino e l’ultimo pensiero della sera.
Testi di riferimento
G. Mazzanti, Teologia sponsale e sacramento delle nozze, EDB da pag. 88 a pag. 98.
F. Borsini, La sapienza del Vangelo, Ancora, pag.267.
Scheda n. 3
UN MODELLO ALTO: LA VITA TRINITARIA
Questa scheda può essere usata per un momento di preghiera - contemplazione
Obiettivo
Fondare la comprensione dell’amore di coppia sulla fonte sorgiva, l’amore tra le tre persone divine, a
rettifica di distorsioni o comprensioni ridotte e povere, spesso diventate luoghi comuni.
Per introdurre
La vita di coppia, di coloro che si sposano nel Signore, cioè di chi comprende il matrimonio in senso
cristiano assume un particolare significato. In essa i valori umani sono vissuti in modo specifico.
Nella prima scheda si è ricordato che “lo specifico cristiano è la vocazione della famiglia ad essere una realtà
dove si vive la “comunione-carità”; cioè una unione affettiva fatta di accoglienza, benevolenza, tra un uomo
e una donna e con gli altri sullo stile di Dio e delle relazioni che il Signore vive nel suo interno nella Trinità e
delle relazioni che intesse con noi”.
Nello stare con l’altro, l’uomo e la donna stanno anche congiunti con Dio e dunque con la pienezza della
vita. È tale unione che assicura agli sposi la pienezza di vita e di amore.
È dal modello della sua realtà più intima e profonda (in quanto tri-unitas) che Dio ha creato l’uomo e la
donna pensandoli uniti nella distinzione, anzi in forza e in grazia della distinzione.
La “tri-unitas” si comunica “all’unitas” del maschio e della femmina aperti alla presenza del terzo, che è
insieme presenza dello Spirito e generazione del “figlio” (quello generato nella carne o quello spirituale).
Tale doppia congiunzione (tra loro e con Dio) è la vocazione e la missione della coppia: realizzare e rendere
vera, visibile l’unità di amore nella diversità dell’essere.
Il Dio creatore dà inizio alla vita di coppia umana a partire dal modello che ha in sé, dalla sua stessa realtà.
Proprio nel Figlio, uno della Trinità, in quanto uomo, si fa “una carne” con l’umanità, si dona e si mette
come fondamento della coppia umana. Ad essa comunica qualcosa del proprio esistere nella relazione
dell’uomo e della donna.
“Creando l’uomo Dio l’ha pensato a sua immagine, come realtà molteplice, plurale di persone, facendo
l’uomo maschio e femmina (indice di relazione) li ha concepiti come realtà trinitaria, perché fatti l’uno in
relazione con l’altro. Li ha posti, non staccati e indipendenti, ma come due realtà totalmente correlative da
costituire una sola carne. Tanto da essere l’uno definizione dell’altro. Maschio e femmina hanno la loro
identità nella loro inevitabile e inscindibile relazione, non sono due esseri separati, ma sim-bolici (congiunti)
tanto da essere e costituire una realtà unitaria che prevede e salvaguarda la loro specificità” (Cfr. G. Mazzanti,
pag. 92).
Genesi 1,27 contempla maschio e femmina come un “gioco”, un incastro” di singolare e di plurale: i due
costituiscono una realtà unica e unitaria proprio in forza della loro distinzione che va mantenuta e proprio per
questo relazionata. Maschio e femmina non sono distanti, ma distinti, e grazie a ciò, stanno in tensione
unitiva tra di loro, talmente unica da esaltare, nelle loro comunione, la loro propria distinzione.
Per questo essi possono costituire una realtà nuova, originale e originaria; sono in grado di staccarsi, non solo
dal cosmo o dal regno animale, ma anche dal precedente legame familiare e parentale che li ha portati e
gestiti. Il maschio e la femmina che si riconoscono nella loro profondità costitutiva, lasceranno perfino il
padre e la madre e diverranno “uomo” e “donna” strettamente congiunti, una sola carne. Il riconoscimento
dell’altro li fa uno.
Introduzione alla preghiera
- Disporre un’icona della Trinità, (abbastanza grande) a vista di tutte
- Chiedere di guardare in silenzio, per qualche minuto e di lasciare che l’immagine susciti sentimenti,
emozioni, idee, associazioni…
- Chi lo desidera può comunicare quanto ha osservato o vissuto.
Parola di Dio (Genesi 18,1-15)
Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più
calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide,
corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato
grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua,
lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e
rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro
servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e
disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». All'armento corse lui stesso, Abramo,
prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte
fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr'egli stava in piedi presso di
loro sotto l'albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov'è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Il Signore riprese: «Tornerò da te
fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare
all'ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a
Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono
dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara
ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C'è forse qualche cosa impossibile per il
Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò: «Non ho
riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso».
Commento
L’icona innanzitutto descrive una scena biblica molto nota: l’ospitalità di Abramo (Gn 18,1-15). Prima
interpretare l’icona occorre prendere in considerazione questo passo delle scritture che l’ha ispirata. Dietro a
questa raffigurazione della Trinità, tipica della tradizione orientale, sta l’idea che essa (Trinità) in quanto tale
non si possa raffigurare. È necessario ricorrere ad una “prefigurazione” del mistero trinitario. La tradizione
orientale non rappresenta Dio-Trinità direttamente con le figure del Padre, del Figlio e dello Spirito, ma
attraverso un evento biblico in cui è possibile intravedere qualcosa del mistero di Dio.
Il brano della Genesi narra l’episodio di tre uomini giunti inaspettatamente e misteriosamente presso la tenda
di Abramo. Li vediamo sotto un albero seduti intorno ad una tavola. Sono pellegrini hanno il bastone per il
viaggio in mano; sono inviati (angeli) hanno le ali… inviati per portare una notizia da tanto attesa… anzi
ormai insperata. Sono passati venticinque anni da quando una voce risuonava nella notte per Abramo: «lascia
il tuo paese, la tua famiglia, la casa di tuo padre; va’ nella terra che io ti mostrerò» (Gn 12, 1). Abramo partì
senza sapere dove andava percorrendo paesi stranieri come un pellegrino, un viandante. Alla promessa di una
terra si aggiunge la promessa di una discendenza: «Esci nella notte, solleva gli occhi verso il cielo, conta il
numero delle stelle: così numerosa sarà la tua discendenza… » (Gn 15,5). Terra promessa, ma mai donata;
discendenza promessa, ma mai avuta. Abramo continua a camminare nell’attesa del dono promesso,
cercando di scorgere la presenza di colui che lo aveva chiamato.
Ed ecco che nell’ora più calda del giorno tre uomini stanno in piedi davanti a lui. La promessa viene
confermata… si dà una scadenza: «tornerò a te alla fine della stagione ed ecco: Sara, tua moglie, avrà un
figlio».
Una vicenda strana, un episodio affascinante e misterioso… la storia di una “visita di Dio”. Ecco ciò che
l’icona raffigura: una visita di Dio. Dio visita Abramo e Sara, misteriosamente, nel momento in cui anche la
speranza più forte poteva vacillare. E una delle visite di Dio, forse la più emblematica e misteriosa, diventa
richiamo a tutte le visite di Dio nella storia, quando Dio si fa vicino e trasforma la promessa in dono; un
dono che supera sempre la promessa. L’icona coglie i sensi spirituali del brano biblico che raffigura… è
un’esegesi spirituale a colori.
La tradizione cristiana ha visto in quei tre uomini un riferimento dell’Antico Testamento alla Trinità: perché
ogni “visita di Dio” deriva dal suo essere Trinità… cioè “relazione in se stesso”… amore che è portato ad
uscire fuori di sé.
L’icona “della visita” di Dio è l’icona “delle visite di Dio”… l’icona per l’oggi di ogni credente che attende
nella sua realtà che Dio lo visiti per trasformare le promesse in dono. E’ l’icona che apre alla speranza della
“visita di Dio” per ogni uomo che vive in “terra straniera”.
Il ritmo della vita trinitaria: i tre angeli
Nell’icona i tre angeli nelle loro espressioni, nella loro posizione, nei colori esprimono il ritmo della vita
trinitaria.
Prima di vedere gli elementi che indicano questo ritmo vediamo quelli che richiamano all’unità:
Un elemento molto importante è il colore blu che è presente nelle vesti di tutte e tre le figure, mentre gli altri
colori variano figura per figura. Il blu è il colore della divinità che le tre persone divine condividono, gli altri
colori invece sottolineano le specificità di ogni persona.
Un atro tratto comune che caratterizza i tre angeli è la somiglianza del volto. Anche questo tratto richiama
l’unità della trinità. Ogni angelo presenta un volto giovanile, né maschile né femminile, per esprimere
l’eternità della divinità delle tre persone.
Anche fisicamente i tre angeli sono uguali. Il loro corpo è molto allungato rispetto alle proporzioni normali.
Questo è un elemento tipico dell’icona che esprime la diversa dimensione delle figure raffigurate. Non si
tratta infatti della raffigurazione di corpi materiali, ma del loro “spessore spirituale”. Questo aspetto è molto
rilevante nelle icone dei santi
Molto importante per sottolineare l’unità è il cerchio in cui i tre angeli possono essere inscritti (cfr. disegno):
il cerchio indica il tutto, l’unità della vita di Dio.
L’angelo al centro
L’angelo che sta al centro dell’icona è messo in risalto oltre che dalla posizione anche dalla vivacità dei
colori e dalle linee che sembrano attirare lo sguardo su di lui. Si potrebbe pensare che si tratti del Padre
proprio per questa sua posizione preminente sugli altri due. In realtà sembra preferibile ritenere che si tratti
del Figlio. Perché allora il Figlio nell’icona della Trinità è al centro e non il Padre, come ci si aspetterebbe?
I motivi sono due: il primo riguarda un spetto molto importante per la teologia della Trinità secondo la
sensibilità orientale: la Trinità si rivela nella storia della salvezza e soprattutto nell’opera fatta di parole e
opere del Figlio di Dio fatto uomo. Non si può parlare di Dio se non partendo da Gesù, il Figlio. Come
abbiamo già detto non si parla della Trinità in astratto, ma facendo riferimento al suo rivelarsi nella storia
della salvezza, nelle grandi opere che Dio compie in favore dell’uomo. Il secondo motivo che vedremo
meglio più avanti è legato al mistero pasquale, alla morte e risurrezione di Gesù, come il luogo dove l’azione
del Padre, per il Figlio, nello Spirito raggiunge la sua massima espressione e l’amore di Dio si rivela. L‘asse
centrale dell’icona è quella che presenta i richiami al mistero pasquale e alla croce di Gesù.
L’angelo al centro è rivolto verso quello di sinistra, il Padre. Lo sguardo dei due personaggi si incontra e
sembra si possa intuire un dialogo in quegli sguardi. In quello sguardo del Figlio verso il Padre e del Padre
verso il Figlio possiamo vedere la missione che il Figlio riceve dal Padre e che la teologia dell’evangelista
Giovanni esprime con un linguaggio molto denso e suggestivo:
«In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre;
quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5, 19).
«Io … ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da
compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato»
(Gv 5, 36).
«… io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa
devo dire e annunziare» (Gv 12, 49).
«… bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato»
(Gv 14, 31).
Anche un passo di Tertulliano esprime la realtà racchiusa nello sguardo che si scambiano il Padre e il Figlio:
Il Figlio ha mostrato il cuore del Padre, ha tutto udito e visto presso il Padre ed ha annunziato ciò che
il Padre ha comandato. Egli non ha adempiuto la sua volontà, ma quella del Padre che ha conosciuto
da vicino fin dalla sua origine (Ad Prax. III).
In quello sguardo che l’icona rappresenta sta tutto questo ricchissimo sfondo scritturistico e in particolare
giovanneo. Nello sguardo del Padre possiamo leggere una domanda simile a quella che risuona nella
vocazione del profeta Isaia: «Chi manderò? Chi andrà per noi?» (Is 6,8). Questa domanda è anche espressa
dalle dita del Padre che indicano il calice sulla mensa contenente l’agnello.
Nello sguardo che il Figlio rivolge al Padre potremmo udire la risposta che diede il profeta: «eccomi, manda
me!» (Is 6,8). L‘argomento del colloquio che si svolge più attraverso lo sguardo che le parole sembra essere
la coppa che sta al centro della tavola e che contiene un agnello. Le mani dei due angeli sembrano indicarla.
Certamente in primo luogo si tratta dell’agnello che Abramo offrì ai tre pellegrini, ma quell’agnello posto in
un calice è anche riferimento «all’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo».
Il rosso della tunica dell’angelo centrale richiama l’amore prontissimo della sua obbedienza “fino alla
morte”. In questa figura il blu è il colore del mantello: quel colore che nel Padre era velato e nascosto, qui è
manifesto e predominante per dire che è Gesù che ci ha rivelato il vero volto di Dio e il suo amore per noi:
egli è colui che ci narra il Padre, la sua misericordia, la sua volontà di salvezza…
Dio nessuno l’ha mai visto… il Figlio unigenito che sta nel seno del Padre egli ne ha fatto l’esegesi,
la spiegazione, egli ce lo ha narrato. (cfr. Gv 1, 18).
Questi due colori poi ci ricordano anche che Gesù è Dio (blu) e uomo (rosso), Dio che si è fatto vicino a noi,
è venuto a camminare con noi.
L’albero che sta alle spalle dell’angelo centrale richiama l’albero della vita nel paradiso e l’albero della
Croce. L’albero è curvo sulle spalle dell’angelo centrale come se egli stesse per caricarselo addosso… è la
croce, il nuovo albero delle vita. Cristo è il nuovo Adamo, l’uomo nuovo che ci rivela l’uomo vero, l’uomo
che sa amare. L’icona non può rappresentare il Figlio senza un albero, la croce che gli si sta caricando sulle
spalle, senza un calice che ricorda il suo dono di sé. Il “dono di sé” è la vocazione dell’uomo, perché è il
senso della vita di Cristo, quella vita che il Padre contemplava come modello perfetto quando plasmava
l’uomo. Adamo aveva allungato la mano verso l’albero per invidia e superbia, Gesù carica su di sé il legno
della croce per amarci fino in fondo. Non poteva mancare un riferimento esplicito alla croce, perché è lì sulla
croce che il Figlio nel modo più pieno rivela il cuore del Padre che ama in modo gratuito, unilaterale e folle.
Sulla medesima linea dell’albero troviamo la tenda di Abramo e il monte. La tenda sorge alle spalle del
Padre, dell’angelo di sinistra, è la casa del Padre alla quale tutti gli uomini sono invitati. E’ una casa in
costruzione della quale il «Figlio» è chiamato ad essere l’artefice chiamando un polo «dalle tenebre alla sua
ammirabile luce» (1 Pt 2, 9) per l’edificazione di «un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire
sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5) che è la pietra angolare. Porte e
finestre sono aperte perché è una casa accogliente come la tenda di Abramo e di Sara.
Il colle sembra offrirsi al Figlio per essere salito. E’ il colle del calvario sul quale il Figlio darà «la vita per le
pecore». Il Padre guarda verso quel colle come Abramo guardò il monte Moira quando saliva per offrire il
proprio figlio Isacco.
Il Figlio – l’angelo di centro – non guarda l’albero-croce e il colle ma volge loro le spalle… li vede riflessi
nello sguardo del Padre, sguardo che parla della nostra salvezza e del cuore di Dio misericordioso e fedele.
In questo sguardo sta il mistero della vita divina, il mistero della nostra salvezza, ma anche il mistero della
natura umana creata ad immagine di Dio, creata in Cristo. Possiamo pensare che quello sia lo sguardo che il
Padre posò sul Figlio mentre plasmava l’uomo fatto a sua immagine. Il Figlio, “prototipo dell’uomo”, vero
uomo, primogenito di ogni creatura per mezzo del quale tutto è stato fatto. Egli è la costante vocazione
dell’uomo, la sua forma sostanziale: l’uomo è chiamato a camminare verso la pienezza di Cristo,
trasformando la sua mente, la sua vita ad immagine di quella di Gesù. L’uomo deve tendere necessariamente
verso colui che custodisce la verità della sua natura. Scrive un teologo della chiesa orientale, quella stessa
chiesa nel seno della quale è nata l’icona della Trinità:
per conoscere Cristo abbiamo ricevuto il pensiero, per correre verso di lui il desiderio e la memoria
per portarlo in noi.
L’angelo di sinistra
Dell’angelo di sinistra abbiamo parlato parlando di quello centrale, ancora una volta comprendiamo che non
si può parlare del Padre senza passare attraverso il Figlio che ne è la rivelazione.
Il Padre qui a sinistra siede con solennità sul trono. Lo sguardo e il gesto della mano destra hanno qualcosa
di imperativo. Anche il vestito oro e rosa (trasparenza) proclama che lui è l’origine della divinità e la
sorgente della vita; il blu in questa figura è quasi totalmente nascosto dal mantello: egli è il Dio che nessuno
ha mai visto e che il Figlio ha rivelato e narrato con la sua parola e con le sue opere e massimamente nel suo
“mistero pasquale” dove il “cuore di Dio” si è mostrato in pienezza.
Abbiamo già notato l’importanze dello sguardo che egli rivolge all’angelo di centro e dei gesti delle sue
mani che indicano il calice che contiene l’agnello.
L’angelo di destra
L’angelo di destra è in atteggiamento di “infinita devozione”. Egli è, interamente, soltanto una “grande
inclinazione” verso gli altri; il suo corpo disegna un'ampia curva. Sembra ricevere tutto dagli altri e attendere
tutto da loro. E’ lo Spirito che nulla dice di suo, ma testimonia tutto ciò che Gesù ha fatto.
Il mantello verde richiama la sua azione: dare la vita, rinnovare continuamente il mondo. Spirito vivificante
– come diciamo nella professione di fede – che aleggiava sulle acque prima della creazione. La sua funzione
è quella di rendere gli uomini simili a Gesù per introdurli nella vita di Dio. Per questo il suo sguardo è
rivolto verso coloro che guardano l’icona, anzi precisamente verso l’apertura che si crea davanti alla tavolaaltare alla quale i tre sono seduti, il lato vuoto al quale ogni uomo è invitato. Come è importante lo sguardo
degli altri due angeli così è importante quello dell’angelo di destra. Quello sguardo indica la missione dello
Spirito che è donato nei cuori per plasmare in noi l’immagine del Figlio, per renderci conformi a Cristo e
così ricondurci alla nostra primitiva e originaria vocazione. Lo Spirito «è la faccia di Dio inclinata sul
mondo», i suoi occhi sembrano immergersi verso un abisso che si intuisce lontanissimo e vicinissimo.
Ma che rapporto c’è tra l’angelo di centro e l’angelo di destra, tra il Figlio e lo Spirito? Se guardiamo
l’angelo di centro, il Figlio, notiamo che egli ha i volto e lo sguardo rivolti verso il Padre per contemplare la
sua volontà, ma ha il petto rivolto verso l’angelo di destra come per “inviarlo”. Lo Spirito effuso è il
compimento del mistero pasquale, il compimento della salvezza perché egli ci rende Figli ad immagine del
Figlio e quindi in comunione con il Padre. E’ il dono dei tempi messianici annunciato dai profeti, il dono di
Dio per eccellenza, il dono che porta in sé ogni altro dono.
Una preghiera di un vescovo orientale al Concilio Vaticano II dice bene il modo in cui lo Spirito è inteso
dalle chiese d’oriente:
Vieni, Santo Spirito,
perché senza di te Dio è lontano, Gesù risorto resta nel passato,
il Vangelo appare una lettera morta la Chiesa una semplice organizzazione,
l'autorità un puro esercizio del potere,la missione una propaganda,
il culto un arcaismo, l'agire morale un agire da servi.
Con te, invece, o Spirito Santo,
il cosmo è mobilitato, il Risorto si fa presente, Dio è vicino,
il Vangelo è potenza di vita, la Chiesa diventa comunione,
l'autorità è un servizio gioioso e forte,
la liturgia è memoriale vivente,
l'agire umano etico e morale
è un cammino forte e costruttivo di libertà.
Per la vita
Dopo la contemplazione della Trinità, rifletto: come potrebbe essere la vita di coppia e di famiglia che si
ispira ad essa?
Scheda n. 4
LA PREGHIERA IN FAMIGLIA
Obiettivo
Nella nostra esperienza umana la relazione è possibile se c’è dialogo. Anche nel rapporto con Dio è possibile
se c’è spazio per parlare con Lui.
Per introdurre
In un momento di dialogo ci interroghiamo.
Quando si prega in famiglia? e come coppia?
Quali modalità si adottano? Formule usuali, lettura della parola di Dio, qualche sussidio moderno…
“…Stile della gratuità nei confronti di Dio…”
Per la Bibbia è molto interessante vedere come l’uomo trova la sua verità, la sua vita soltanto quando entra in
rapporto con il Signore. Quando si stacca da questo rapporto, come nella Genesi, l’uomo diventa morto,
perde la sua umanità. Non è più capace di percepire ciò che è il valore e di fare ciò che vale.
In particolare la famiglia, soltanto quando vive il rapporto con il Signore soltanto allora può trovare la verità
di se stessa.
In particolare la famiglia si scopre come comunità collegata e sostenuta da un amore con la A maiuscola. Un
amore che può diventare “volano” in tutti i momenti, quelli belli e anche quelli difficili della vita. C’è un
immagine molto bella nel Cantico dei Cantici dove si parla della vigna d’amore. Una vigna stupenda ma che
ad un certo punto viene saccheggiata da piccole volpi, si chiamano egoismo, superbia, orgoglio…dove
facilmente inciampiamo. Può aiutarci superare questi ostacoli solo aver la vita orientata a qualcosa che è più
grande, posta davanti a Dio. È in questa relazione con Dio che possiamo trovare quello che Giovanni Paolo
II indicava come “la strada del bell’amore”.
Quanto più pieghiamo le ginocchia davanti a Dio, credo, tanto meno avremo bisogno piegarli davanti agli
altri uomini, siamo liberi. Il Gesù che era il totalmente obbediente del Padre è l’uomo totalmente libero. Non
solo, ma quando t’inginocchi davanti a Dio riconosci di non essere tu Dio e quindi le tue ragioni non sono le
ragioni ultime e anche nel rapporto con l’altro tu potrai sempre ricominciare un’altra volta. Potrai sempre
riconoscere anche l’atteggiamento di umiltà che le tue ragioni non sono le ragioni ultime e che puoi
riprendere in quella relazione fondamentale la relazione con l’altro.
Questa gratuità nei confronti di Dio ha un nome ben preciso: si chiama preghiera. Non è possibile la
relazione se non c’è dialogo nella nostra esperienza umana. Anche nel rapporto con Dio non è possibile se
non c’è spazio per parlare con il Signore.
Di solito non c’è tempo per pregare. Lasciatemi dire una cosa a livello personale. Se riuscirete a trovare dieci
minuti per pregare troverete molto tempo perché riuscirete a dare ordine e senso alla vostra giornata. Provate
per trovare tempo nella vostra giornata a dare tempo alla preghiera, guadagnerete un sacco di tempo. Ma la
preghiera soprattutto quella fatta insieme “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome..” La preghiera è il
momento nel quale si può rendere grazie, chiedere aiuto, ricordo della vita dei propri cari, di chi ci ha
preceduti. È un momento in cui noi ci ricordiamo di Lui ma anche Dio si ricorda di noi. Noi rivolti a Lui e
Lui rivolto a noi. Il momento della preghiera è quando noi progressivamente guardiamo alla vita non con i
nostri occhi ma con gli occhi di Dio, con la speranza di Dio” (Dal Convegno Am.Or. 2007, don Giuseppe
Pellizzaro).
Parola di Dio (Luca 5, 15- 16)
“La sua fama si diffondeva ancora di più; folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro
infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare".
Per approfondire
La preghiera faceva parte sicuramente delle priorità di Gesù, ossia delle attività che lui personalmente
decideva di avere e che non lasciava al caso.
Il vangelo annota che Gesù e gli apostoli non avevano il tempo per mangiare, non dice mai che non avevano
il tempo per pregare.
Oggi noi diciamo viceversa che non ci resta tempo per la preghiera, è difficile che non troviamo il tempo per
mangiare.
Si tende quasi a giustificare la mancanza di preghiera appellandosi alla pratica della vita cristiana, soprattutto
alla pratica dell’amore: "quello che vale, si dice, è essere onesti, è aiutare il prossimo, dare una mano quando
si può, curare la propria famiglia".
La preghiera non è sentita come qualcosa di necessario.
L’insistenza di Gesù riguardo alla preghiera: “pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 11,1-13) non è passata
del tutto nella coscienza dei cristiani. Il comandamento dell’amore è conosciuto da tutti; anche se abbiamo
poi difficoltà a metterlo in pratica sul serio, così il perdono, ormai fa parte della consapevolezza di un
cristiano.
Quando si prega insieme:
si è nella condizione di riconoscere la propria vulnerabilità, i propri errori e limiti, di consegnarli a Dio e
di consegnarli agli altri, di fare esperienza di riconciliazione. C’è sempre qualcosa da chiedere, qualche
caso o qualche progetto da affidare al Signore, qualche problema da risolvere.
La preghiera ci offre uno spazio di libertà ed autenticità, non possiamo metterci la maschera davanti a Dio,
impariamo a riconoscere anche le nostre fatiche e i nostri errori, ad essere noi stessi, a credere che, come
Dio, anche i nostri familiari ci vogliono bene per quello che siamo.
Pregare insieme poi aiuta a rafforzare i legami di unità e di amore; ci si ricorda che la missione principale è
quella di costruire un ambiente di fiducia, di amicizia, di gratuità, di benevolenza.
Pregare vuol dire fare propri gli orizzonti di Dio, quindi acquistare una dimensione di universalità,
affacciarsi alla finestra, comprendere e vivere la propria implicazione con le storie di altre famiglie, di
altri popoli.
Certo, se diciamo il Padre Nostro e l’Ave Maria soltanto, questo non viene fuori ma se cerchiamo di
raccontare la giornata davanti al Signore, di capire come lui è stato presente e ci ha parlato, di dirgli
grazie e di chiedere il suo aiuto per quello che è capitato, allora ci è possibile anche vivere una forte
esperienza di sincerità e di fiduciosa libertà, di ricarica interiore e di appartenenza reciproca (Spazio
gruppi famiglie, Arcidiocesi di Trento).
Impegno
Se credere è solamente affermare un’opinione o una convinzione intellettuale, allora si fa presto; ma se
credere vuol dire affidarsi a Dio, perché si è scoperto che è lui il senso della nostra vita, colui che ci
garantisce libertà e pienezza, colui che è presente fin dall’inizio nel nostro cuore, colui che ci dà la vita e la
forza di andare avanti, allora non si può non cercare momenti per conoscerlo, per stare in amicizia davanti a
lui. La fede diventa preghiera e la preghiera alimenta la fede.
…. Ricordare le persone che abbiamo incontrato e raccomandarle al Signore, rileggere la giornata davanti a
Lui, ringraziare delle cose belle, chiedere e chiederci perdono, leggere qualche versetto del Vangelo,
scegliere un’invocazione dei salmi…
PREGHIERA DELLA FAMIGLIA
Padre, origine e fonte della vita,
che in principio hai creato l’uomo e la donna
perché fossero nel reciproco amore famiglia da te benedetta,
tua immagine e somiglianza:
tu quel giorno già pensavi alla gioia di Cana!
Benedici tutte le famiglie e guida la nostra Chiesa
perché siano custodi fedeli dell’eterno disegno d’amore.
Signore Gesù, sposo e amico, noi ti ringraziamo
perché siedi ancora e sempre alla tavola delle nostre famiglie
e riveli con Segni e Parole che l’amore di Dio è in mezzo a noi.
Benedici l’unione dell’uomo e della donna perché brilli tra loro
la bellezza del tuo amore e sia per la Chiesa e per ogni uomo
attesa e speranza del mondo risorto.
Spirito Santo, fuoco divino d’amore,
ospite segreto dei cuori e delle case,
colma le giare della nostra povertà
del vino traboccante della Pasqua:
amore di Dio effuso senza misura!
Apri i cuori all’ascolto
e all’accoglienza delle “parole delle famiglie”
e della parola di Dio perché a tutti sia annunciato
il “Vangelo della famiglia”.
Maria, donna di Cana e madre nostra, a te, con cuore di figli,
affidiamo il grido di tante famiglie: “non abbiamo più vino”.
Tu sai di che abbiamo bisogno
e conosci le ferite profonde del cuore:
prega per noi il tuo figlio Gesù; con vigore e dolcezza aiutaci
a fare ciò che il Signore dirà,
perché sia festa tra noi per la gioia del Regno.
Amen
(Dal Percorso pastorale diocesano 2006-09, Diocesi di Milano)
Scheda n. 5
ALLA RICERCA DELL’AMORE VERO
Obiettivo
Saper accogliere la persona nelle varie condizioni esistenziali, senza giudizi indebiti e condanne devastanti,
ricercando gli aspetti, o motivi da valorizzare, per creare relazioni che costruiscono l’amore vero.
Per introdurre
Per qualche momento dialoghiamo a partire dalle domande che seguono (e da altre che possono nascere
spontaneamente)
- Conosco situazioni di vita matrimoniale, familiare che non ri specchiano pienamente la proposta cristiana?
- Quando se ne parla, cerco di far emergere, prima di tutto la dignità della persona umana in ogni situazione
di vita?
- So riscoprire il primato dell’ascolto?
Quando si parla di “umano” normalmente si sottoscrive anche la “fragilità” ad esso correlata. In ogni
stagione della vita e in tutte le generazioni, si è fatta e si fa esperienza di fragilità. Finora essa non sembrava
presentare problema. Solo in questi tempi le fragilità coinvolgono ogni ambito vitale, così da costituire un
“serio problema culturale”, nel senso cioè, che incidono in modo e in grado decisivi sulla concezione che
ogni individuo ha della vita e dell’amore vero.
“ La persona umana non è soltanto ragione e intelligenza. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del
suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta” (Benedetto XVI), e noi sappiamo
quanta delicatezza riveste questo aspetto della personalità umana e quindi l’urgenza di indirizzarla alla verità
circa l’amore.
Oggi più che mai, il mondo degli affetti, è messo a dura prova a causa di situazioni difficili e cariche di
problematiche, come gli abbandoni, le crisi, i fallimenti e la solitudine. Tutto questo non solo provoca
profonde ferite, difficili a rimarginare e acute sofferenze, nella vita delle persone, ma tende anche ad inibire
la capacità progettuale della vita affettiva, rendendola chiusa e incapace a fare scelte impegnative e
responsabili. Tutto questo sottolinea un crescente relativismo etico pervasivo, che orienta a stili di vita, non
sempre rispettosi dei valori più autenticamente umani e cristiani.
Forse ci rendiamo conto che manca una formazione all’amore, alla vita affettiva di tipo antropologico,
rivolta non solo ai giovani, ai fidanzati, alle coppie alle famiglie, ma anche a persone consacrate, ordinate e
ai seminaristi, e soprattutto a tutte le età e in ogni ambito educativo, dove la dimensione affettiva non deve
ridursi ad un generale “voler bene” ma, come voler bene, facendo risaltare in primo luogo la priorità della
persona, qualunque essa sia, cercare il suo bene, senza egoismi oppressivi e senza ricatti indebiti.
Stiamo assistendo oggi, sempre più, ad un crescendo e vorticoso progresso culturale, tecnologico,
informatico, strutturale e ad una liberalizzazione dell’amore, cantato, proclamato, strombazzato, esibito in
ogni forma, e in ogni luogo, ma stiamo registrando anche, un analfabetismo affettivo inspiegabile, legato
forse ad una immaturità personale che rende difficile l’assunzione di responsabilità a lungo termine.
Sono da sottolineare soprattutto, quelle responsabilità che richiamano il “per sempre”. In nome della libertà
individuale, infatti, si tende a sacrificare il legame con l’altro e a ripiegare su scelte del “qui ed ora”
rischiando di storpiare l’amore vero. Al di là di questi aspetti, problematici, si avverte comunque un
profondo bisogno di relazioni autentiche, di relazioni “eticamente orientate”, che possono rispondere al
grande desiderio dell’amore, legato alla natura stessa della persona, desiderio di amore autentico.
Parola di Dio (Lc,10,38-42)
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa
aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece
era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha
lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti
agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le
sarà tolta».
Per approfondire
L’amore è sempre soggetto a crescita. Marta e Maria amavano Gesù, ma anche il loro amore era legato a
schemi di abitudine: per Marta, amare significava soprattutto servire, disporre un ambiente per fare festa,
offrire cose, aver cura del pranzo. Gesù indica altri modelli. Prima di offrire cose è necessario accogliere la
persona, imparare a conoscere le sue esigenze, la sua sensibilità; conoscere le sue attese, penetrare i suoi
desideri, aprirsi ai suoi ideali. Per far questo bisogna mettersi in ascolto attento di lei. Anche nella vita di
coppia e di famiglia, a volte, si resta delusi e frustrati perché si dà per scontata la conoscenza reciproca e dei
figli.
L’atteggiamento di Maria, ai piedi di Gesù, è atteggiamento di ascolto, che Gesù apprezza.
L’espressione “stare ai piedi” (anche nel linguaggio biblico in genere come “ascoltare”) è proprio la
definizione del discepolo che ascolta. È un atteggiamento squisitamente interiore.
Le due sorelle indicano due atteggiamenti interiori:
essere assorbiti dalle cose, dominati, conquistati fino a non avere più spazio;
avere sempre aperto un canale verso l’infinito, anche se si è presi con l’esteriorità delle cose.
Il monaco solitario può avere nell’interno una tempesta maggiore “essere tutto preso dalle faccende” molto
più della persona unita profondamente a Dio che è nel rumore di un lavoro, di una città.
Fare e ascoltare non si elidono a vicenda, non sono subordinati l’uno all’atro, ma sono sposati, associati. Se
questa attitudine è coltivata in famiglia, nella relazione di coppia, facilmente si estende anche alla
valutazione dei fatti ecclesiali e sociali, di ciò che si vede e si sente.
Il Vangelo è una scuola di amore. Un credente, uno che dovrebbe essere sorretto dalla speranza cristiana,
dovrebbe sentirsi proiettato e sollecitato a guardare oltre, a guardare in alto, a non giudicare, ad aprire il
cuore alla comprensione e all’accoglienza.
Come chiesa, siamo chiamati ad esprimere su questo argomento, una riflessione “alta” che sappia
“rendere ragione” della bellezza dell’esperienza cristiana nella vita affettiva. Qui va valorizzata, in maniera
tutta privilegiata, la vita della famiglia, fondata sul matrimonio, quale soggetto centrale della vita ecclesiale.
Famiglia, intesa come luogo per eccellenza, di affetti e di responsabilità, là dove si impara, anche attraverso
difficoltà e sbagli, a dare e ricevere amore.
In questa direzione, va l’auspicio per una maggior presenza educativa della donna, forte per il suo bagaglio
di femminilità e di attenzione alla vita. Privilegiare dunque, anche nelle nostre comunità parrocchiali, la vita
affettiva delle “relazioni” rispetto alle “funzioni”. Le parrocchie siano luoghi di vita affettiva, spazi aperti
dove valorizzare le diversità, realtà capaci di mettere in rete i diversi carismi e vocazioni, nel rispetto e nella
stima vicendevoli.
Nella logica che i rapporti affettivi sono indispensabili per vivere e testimoniare un’autentica comunione
ecclesiale, tutti i credenti, membri della chiesa, sono chiamati ad esprimere quel calore proveniente da
relazioni affettive profonde.
Se è così una pastorale unitaria, non separerà mai i contesti della vita, ma è capace di cogliere la persona
nelle varie condizioni esistenziali, senza giudizi indebiti e condanne devastanti.
E’ allora che la comunità ecclesiale diventerà missionaria: non rimane immobile ad attendere la gente, ma va
incontro alle persone là dove vivono, lavorano, soffrono, amano. Si auspica che la comunità ecclesiale si
faccia carico delle fragilità dei suoi membri, li sappia accompagnare, prendendosi cura di ognuno, verso la
realizzazione di un amore vero.
Al Convegno ecclesiale di Verona si è parlato di “locanda dell’accoglienza”, immagine biblica che esprime
il calore proveniente da relazioni affettive profonde, che sappiano farsi vicine, fasciare e prendersi cura, per
poi orientare.
Se Dio è amore, è attraverso l’amore che lo si deve annunciare e la speranza da testimoniare nella vita
affettiva, altro non è che il vangelo dell’amore.
Impegno
La chiave di volta per declinare oggi il vissuto del singolo e della comunità, è il mistero di Dio, rivelatosi in
Gesù Cristo. Esso ci aiuta ad accogliere e valorizzare le fragilità, come spazi di vita ed impegno pastorale in
cui aprire percorsi nuovi di relazione con chi è nella necessità.
Cerco di capire il bene presente in tali situazioni. Quando si creano occasioni di dialogo in famiglia, con
gruppi di amici, secondo la scelta cristiana, evito di giudicare o di condannare le persone. Ricordo, che ogni
tentativo di costruire o “ricostruire” amore, fa parte della ricerca ultima dell’amore vero.
Preghiera
Signore, rendici veritieri senza arroganza, umili senza finzione,
allegri senza leggerezza, seri senza disperazione,
severi senza cattiveria, forti senza crudeltà,
buoni senza mollezza, misericordiosi senza lasciar fare,
pacifici senza falsità, vigilanti senza ossessione,
sani senza torpore, sicuri senza follia,
poveri senza miseria, ricchi senza avarizia,
prudenti senza sospetto.
Fa che diventiamo anche dotti senza volerlo sembrare,
docili ma inclini alla saggezza, umani ma senza avidità,
ospitali ma sobri;
fa che lavoriamo con le nostre mani,
ma senza confidare tutto in noi stessi.
Fa che ti temiamo,
onoriamo e amiamo al di sopra di tutte le cose che hai creato.
Dio uno e trino, manda in noi ogni giorno una luce,
perché ti conosciamo e ti vediamo come sei veramente;
togli da noi le tenebre dell’ignoranza,
tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen
(Agostino d’Ippona)
Scheda n. 6
COMUNICAZIONE E VIOLENZA IN FAMIGLIA
Obiettivo
Giungere a comprendere perché una donna accetta di subire per anni percosse e violenze. Scoprire e aiutare
altri a capire che c’è una possibilità di uscire da quella situazione e superare l’atteggia-mento negativo e
rassegnato.
Per introdurre
Donne che sono rimaste vittime della rabbia omicida
dei loro partner.
Un esempio: Barbara e la piccola Elena non ancora nata, nel maggio 2007.
Per quale motivo la famiglia, che dovrebbe essere una scuola d’amore, spesso è il luogo in cui si manifesta la
violenza?
A volte si sente dire:
"Per andare d'accordo si tace, non si può dire quello che si pensa; non si racconta il proprio disagio, si
subisce e si va avanti."
Violenza fisica
L’aggressività è profondamente radicata nell’uomo e da sempre vale per l’uomo il detto: “mors tua vita mea”
e se non arriviamo a quel punto, è perché siamo esseri ragionevoli, tuttavia in tante situazioni questa
ragionevolezza scompare o viene messa da parte e prevale la spinta alla sopraffazione dell’altro.
Assistiamo a delitti all’apparenza inspiegabili, “drammi della follia”, ma che forse nascondono motivi
diversi, più sottili e inquietanti perché più “normali”.
Secondo lo psichiatra e criminologo Marco Cannavicci (Famiglia Cristiana, n. 23, 10/6/ 2007), nel violento in
famiglia i fattori dominanti sono l’impulsività e il cattivo controllo delle proprie emozioni. Inoltre vi è in lui
l’incapacità di rendersi conto di ciò che prova o sente l’altro per lui. Preso dai propri stati d’animo e dalle
proprie esigenze, fa del male, ma non se ne rende conto, non è coinvolto dalla sofferenza e dagli effetti che
provoca nell’altra persona.
Il partner violento agisce in modo tale da creare un clima di tensione e di isolamento che si realizza
attraverso minacce, divieti, colpevolizzazione e denigrazione della donna; è in questo clima che si inscrive
l'episodio di violenza. Solitamente la frequenza e la gravità degli episodi tendono ad aumentare col tempo,
sino a quando le donne, dopo vari tentativi di ricomposizione e recupero della relazione (tentativi che vedono
la messa in campo di varie strategie di sopravvivenza, quali la minimizzazione degli episodi di violenza e
l'autocolpevolizzazione), non decidono di sottrarre sé stesse e i propri figli a tale situazione di sopraffazione.
E’ da notare che la maggior parte – se non tutte - delle campagne di sensibilizzazione sulla violenza contro le
donne non sono – come molti sono portati a credere – unicamente rivolte a coloro che commettono tale
violenza. Esse sono anzi forse principalmente rivolte a quanti quella violenza, pur non commettendola, non
la riconoscono né la denunciano, né pertanto la combattono. Se la violenza non viene riconosciuta come tale
e condannata in quanto crimine, il senso di isolamento, di paura e di vergogna cresce, perpetuando quel
circolo vizioso che da sempre porta le vittime a colpevolizzare se stesse per il male che viene loro inflitto.
Infatti gli effetti più frequenti, sul piano psicologico, della violenza sono: la perdita di autostima, l'ansia e la
paura per la propria situazione e per quella dei propri figli, l'autocolpevolizzazione, un profondo senso di
impotenza, la depressione.
Si fa violenza fisica anche quando, per un eccesso di protezione, al figlio non permettiamo di fare un passo in
più, quando fisicamente non può allontanarsi e tagliare quel cordone ombelicale che lo lega a noi, per
egoismo o anche per timori più o meno fondati.
La violenza sessuale
Il “mostro” è spesso il padre padrone, ma possono essere anche lo zio, il padrino, i fratelli o altre persone che
frequentano la casa.
Quando in una famiglia si creano fenomeni di abuso, il gruppo famigliare, comunemente tende a chiudersi ed
a non far trapelare all’esterno quanto è avvenuto: “I panni sporchi si lavano in famiglia!” è un’ espressione
che trae origine proprio da questo fatto.
Spesso manca un’educazione a vivere bene la sessualità coniugale.
Anche la Chiesa a proposito della sessualità coniugale, in passato ha permesso prendesse campo e si
diffondesse fra i credenti, una certa mentalità negativa circa la sessualità e in particolare “contro” la donna
stessa, che da una parte sembrava obbligata a soddisfare il marito e dall’altra sentiva il peso di un giudizio
negativo circa il corpo, considerato strumento d’imperfezione.
Eppure la negatività del corpo non è presente nella Bibbia, e neppure nella Chiesa Apostolica dei primi
secoli.
Nella Scrittura il peccato viene solo dall’essere contro l’Alleanza di Dio con il suo popolo.
Violenza psicologica in famiglia
E’ una forma di violenza meno eclatante, della violenza fisica o della violenza sessuale; talvolta chi esercita
violenza psicologica neppure si rende conto.
Si tratta di parole, di gesti e di osservazioni, che a tutti capita di fare senza riflettere, magari per la fretta o
l’irritazione che ci portiamo dentro dall’esterno, ma anche per paure, ansie e problemi psicologici non risolti
e presenti dentro di noi fin dall’infanzia, ma possono essere gesti, espressioni capaci di ferire chi li riceve.
Possono essere certe espressioni verbali maldestre rivolte da uno dei coniugi all’altro che ridicolizzano o
umiliano.
Di fronte a un’espressione verbale maldestra, spesso ci si sente feriti e si reagisce con rabbia, risentimento,
rancore. Invece di fronte a un'uscita poco felice dell'altro, possiamo fermarci a riflettere ponendoci alcune
domande: "Perché questa uscita? Come si spiega questo comportamento? "Proviamo a metterci nei panni
dell'altro, per vedere con la sua ottica e così capire meglio le sue reazioni esasperate: questo è l’inizio di un
buon ascolto”.
(da Egisto Gori, Equipe famiglia - La comunicazione nella coppia)
C’è il rischio che la mancanza di dialogo porti a:
- lunghi silenzi durante i pasti,
- assenza o quasi di comportamenti positivi e affettuosi,
- poche attività comuni gioiose e ricreative,
- lunghi momenti in cui il televisore
ha il ruolo di neutro moderatore.
Parola di Dio (Colossesi 3,12-15)
“Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di
mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di
che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di
tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad
essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!”
Per approfondire
La carità si attua nella relazione con gli altri, ma parte dal proprio animo, da quello che vi abita. A detta di V.
Albisetti, “per instaurare un rapporto non è tanto importante l’altro come presenza fisica, anche se è un
elemento facilitante, quanto cercare una relazione con l’essere “altro” in noi stessi. Noi siamo quelli che
siamo per l’apporto che gli altri danno quotidianamente alla nostra crescita. In questo ambito si colloca la
differenza tra amore e sesso. L’amore è un atto di scelta, di selezione. È un riconoscere l’altro, quello
soltanto e per l’eternità, come unico e insostituibile. Nulla nel creato avviene senza rapporto. E per rapporto
non intendo solo un gioco di forze, di potere o di ruoli, ma soprattutto un atto di riconoscimento, di scambio
reciproco, di dono, di amore, di ascolto dell’altro”.
(Da: Guarire con la meditazione cristiana, Valerio Albisetti, Paoline, pag. 17-18).
Chi subisce violenza e non ha coraggio di reagire deve contattare il proprio valore di persona, superare
l’inferiorità o un falso senso di bontà, ricordando che tutti siamo chiamati a crescere. Anche chi fa violenza
deve crescere e per farlo deve prima ammettere i propri limiti.
Sicuramente, se portassimo nella vita di coppia quelle virtù cristiane comuni di cui Paolo parla nella lettera ai
Colossesi -"vestitevi di bontà, di umiltà, di mitezza, di longanimità, e perdonandovi a vicenda se avviene che
uno si lamenti di un altro…" sarebbe la via più certa, ma c'è in noi il peccato originale con tutte le
conseguenze: orgoglio, ira, lussuria, egoismo….. (Rossana Zamburlin)
Ma come cristiani abbiamo la consapevolezza che il “dono della carità” è già stato “riversato nei nostri
cuori”; abbiamo bisogno di crederci, di esercitarci nelle virtù indicate, di far brillare nella nostra vita la
bellezza e la forza del dono ricevuto e trovare vie di liberazione per sé e per gli altri.
Impegno
Rifletto sulla comunicazione nella mia vita di coppia e di famiglia. È scarsa o ricca? positiva oppure
aggressiva, passiva? Se mi accorgo che tacere alcune cose mi riempie di rabbia, significa che sto subendo la
situazione; cerco quindi qualche strategia o qualche aiuto per esprimermi.
Se invece sento di portare con serenità e con libertà alcuni limiti, con senso di accoglienza della diversità…
senza che questo crei oppressione in me, conservando la pace del cuore… allora forse metto in atto le virtù
suggerite da San Paolo.
Il dialogo è costruttivo quando è condotto con tono pacato, profondo, sincero…
Suggerisco atteggiamenti positivi ai figli, nei confronti degli amici, dei vicini, del padre, della scuola, della
comunità ecclesiale e sociale.
Preghiera
Dio, tu sei il Dio della vita.
Trasformaci, nel profondo del nostro cuore,
in persone che portino la tua Pace nel mondo.
Manda il tuo Spirito
nel cuore di coloro che sono
avvinti nella rete della violenza,
siano essi carnefici o vittime,
e non permettere che ci stanchiamo mai
di ricercare le occasioni
per incontrare questi fratelli e queste sorelle.
Scheda n. 7
SENTIERI DELL’AMORE DI COPPIA
Obiettivo
Scoprire nel quotidiano della vita il continuo riproporsi del mistero pasquale, che è incontro nuziale, percorso
sponsale e riguarda la coppia e la famiglia.
Per introdurre
C’è, nella vita di coppia e di famiglia, una continua maturazione, un processo di crescita interiore (non
intimistico) che coincide e procede con la crescita personale e coniugale degli sposi nello stesso tempo.
Anche se ogni vissuto umano è unico, originale, si possono tuttavia individuare alcuni elementi e momenti
che appartengono ad ogni cammino.
Illumineremo momenti di vita coniugale e familiare a partire dal tracciato del mistero pasquale; guardando
alle vicende pasquali come indicazione del cammino sponsale/coniugale; considerando il mistero pasquale
come criterio ispiratore di tale cammino.
1. Giovedì santo
È il luogo del dono del Cristo Sposo e dell’accoglienza da parte della comunità sposa. È il luogo del dono
che si esprime nella carne donata dal Cristo per realizzare “l’una carne” con la Chiesa Sposa, il “saranno una
carne sola” di Genesi. La cena eucaristica ricorda in modo forte che il farsi “una carne”, che è lo specifico
coniugale è evento e azione simbolica che si snoda nel tempo ed esige tempo fino al giorno del compimento
escatologico.
Nella “Cena”, la coppia – famiglia trova il fondamento e la ragione della vita coniugale e familiare: “farsi
dono”. La regola dell’amore, dell’alleanza nuziale – coniugale è la disponibilità al dono totale di sé: mettersi
in dono ma anche accogliere il dono che l’altra persona fa di sé. Con le stesse mani ci si dona e ci si accoglie:
a cominciare dal dono del perdono, quando le mani si chinano a lavare i piedi;
nel sapersi fare “pane” e “bevanda” per l’altro, concedendosi come cibo che sostenta e come vino che
rallegra; condividendo gioia e fatica del vivere.
Il pane mangiato, il vino assunto, nel pasto feriale, come nella mensa eucaristica, testimoniano il divenire
“una sola carne”. Conservando la “memoria” di ciò che Gesù ha fatto, nello Spirito, riceviamo la forza e il
criterio per orientarci al futuro.
Essere “una sola carne” è un evento che inizia nella storia, si sostanzia nel tempo, accompagna e impronta di
sé la vita di amore. Qui trova ragione il dono e la continuità del dono.
2. Venerdì santo
L’amore nuziale non evita la fatica del con-vivere e del crescere. Gli sposi sono chiamati
“obbligatoriamente” ad attraversare situazioni drammatiche, anche per cause che non dipendono da loro.
Può verificarsi l’esperienza del tradimento (come quella subita da Cristo dall’apostolo Giuda). Può irrompere
nella vita di coppia il dramma della infedeltà, che sconvolge l’intimità offerta e condivisa. Chi tradisce non è
solo l’amico, ma il tuo coniuge.
Possono darsi forme e momenti di “rinnegamento” (come quelli vissuti da Cristo a opera di Pietro e degli
altri apostoli), misconoscimenti e fughe. Ci possono essere ritardi nell’accogliere e rispondere all’amore,
ritardi più o meno colpevoli all’attesa del coniuge, per stanchezza, per non voglia.
C’è anche la possibilità di un dramma non colpevole. Un non ritrovarsi dovuto a null’altro che al limite della
condizione / natura umana.
Possono darsi un’infinità di vicende feriali in cui si fa fatica a intendersi e a capirsi, in cui sembra di non
incontrarsi, di muoversi su piani diversi.
Ci si può anche “crocifiggere” a vicenda; ognuno può divenire causa di sofferenza, a tratti anche acuta, per
l’altro. Questo, a volte, può verificarsi anche senza avvedersene, senza alcuna specifica intenzione cattiva di
nessuno dei due.
Queste piccole grandi morti: fatica, tradimento, rinnegamento, allontanamento non necessariamente operano
rotture definitive, possono anche provocare un amore più forte della morte.
Anche se l’altro ti fa “morire” non smetti di amarlo perché non ti preme di te ma dell’altro: “Ha dato se
stesso per…”!
3. Sabato santo
Tale fatica crocifiggente, che può contemplare anche una malattia che porta alla morte!”, può ingenerare un
senso di estraneità tra gli sposi. Può introdurre e condurre ad una autentica notte oscura. Si può pervenire
anche a qualcosa di simile a una “crisi di rigetto”; crisi da superare.
La favola ha sempre conosciuto le prove d’amore da superare, specie quelle in cui l’amata/o si presentano in
forme mostruose da amare, baciare, abbracciare comunque; perché solo questo scopre la vera bellezza
celata.
Il dramma si configura anche come un perdersi, come discesa in zone infernali. Nessun amore vero evita una
specie di discesa agli inferi. Gli sposi possono farne esperienza.
Ma tale perdersi può preparare un ritrovarsi ancor più in profondità e pienezza: se si riesce a superare la
delusione (come quella sperimentata dai due discepoli di Emmaus: “Speravamo!..”).
Grazie al dramma può darsi un amore più fondo e più alto. È accaduto così alla samaritana e alla Maddalena.
Anche il dramma dell’infedeltà e del tradimento chiama un amore ancora più grande, certo non a portata di
mano o a portata di istinto. Istintivamente uno lascerebbe perdere ogni cosa. Ma alla luce del Cristo che ci ha
amati quando eravamo ancora nel peccato (Rm 5,8) senza aspettare la nostra santità e nella forza del Risorto
tutto è possibile.
Tutta la vicenda del Cristo, unitamente agli incontri che egli vive con le varie figure femminili, sta a dire che
è possibile trasformare la notte dello smarrimento e anche del tradimento – rinnegamento in un’occasione di
un più grande amore come quello che scatta in chi è stato perdonato molto (Lc 7,47), come quello che il
Risorto chiede a Simon Pietro (Gv 21,15). Tale amore prelude alla più grande gioia che si trova in cielo anche
per un solo convertito.
Parola di Dio (Gv 20,1. 11-18)
“Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e
vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
Maria stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva si chinò verso il sepolcro e vide due
angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dai piedi, dove era stato posto il corpo di
Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro:” hanno portato via il mio Signore e non so
dove l’hanno posto”. Detto questo si voltò in dietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era
Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Essa, pensando che fosse il custode del
giardino, gli disse. “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le
disse: “Maria”! Essa allora, voltatasi verso di lui gli disse in ebraico: “Rabbunì” che significa: Maestro!
Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’
loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò subito ad
annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto”.
Per approfondire
Quando appare, il Risorto, ci sono sempre reazioni di sorpresa o di sconcerto, la sua maniera di proporsi
lascia spazio alla libertà e all’atto di fede della donna e dei discepoli. L’amore non schiaccia, libera, chiama
alla risposta.
L’attraversamento della crisi (crocifissione e morte) porta alla risurrezione, a più vita e “l’amato” si concede
in una nuova manifestazione all’amata redenta. Ricompone la situazione paradisiaca: riporta alla donna se
stesso e la riconduce a se stessa. Non tratta la donna come un dominatore, ma la onora con l’affetto del “consorte”, dello sposo che l’ha unita a sé con la forza dell’amore e in lei può incontrare e salutare se stesso.
La Maddalena, che prima era andata verso “il peccato”, ora corre verso l’amore, verso lo sposo e come prima
trovò la morte, ora trova la vita; come prima era schiacciata dalla seduzione, ora è risollevata dalla visione
della salvezza.
Qualcosa di analogo può accadere per gli sposi dopo la crisi. Riscoprono la propria identità, ritrovando il loro
momento sorgivo nuziale. In questo possono essere aiutati da persone amiche, da “angeli” che li mettono
sulla strada del rincontrarsi. Poi sono loro a ripercorrere il sentiero del loro amore, del loro incontro e della
loro scelta, rinnovandoli come al tempo della giovinezza e della loro promessa di amore; ritornando al tempo
della loro schiettezza e sincerità al loro attimo verginale –nuziale ancora intatto e carico di vita.
Allora sperimentano qualcosa di assolutamente nuovo che supera la precedente condizione e si presenta
come qualcosa di ben più grande. Pervengono alla forza dell’amore che vince ogni cosa; allo splendore
dell’essere oggetto di amore che ha sorgente divina, liberati da pastoie o strettoie umane. Così gli sposi
possono aprire e aprirsi alla vera vicenda “spirituale” che fa-crea nuovi i cuori”.
In dialogo
Si può lasciare qualche momento di silenzio in cui ciascuna ripercorre qualche punto significativo
Quale dei tre “momenti” indicati ti tocca particolarmente in questo tempo?
Ho trovato “angeli” nei momenti di difficoltà che mi hanno orientato verso un amore più grande …
Posso essere “angelo” per qualcuno…
Comunico la gioia di un amore cresciuto quando….
Preghiera
Espressioni libere alternate da un ritornello, oppure il padre nostro
Padre nostro che sei nei cieli
il tuo nome è santo
il tuo regno viene
la tua volontà si compie
come in cielo così in terra.
Tu ci doni il pane di ogni giorno
Tu rimetti a noi i nostri debiti
nell’istante in cui noi li rimettiamo ai nostri debitori
Tu non ci induci in tentazione
ma nella tentazione ci strappi dal maligno.
Perché tuo il regno, la potenza e la gloria
Ora e per sempre amen.
(traduzione dal greco in Matteo 6,9-13, con aggiunta di dossologia)
Scheda n. 8
FEDELI SI DIVENTA
Obiettivo
Scoprire nel quotidiano i piccoli gesti, le scelte, le parole e le attenzioni che possono far crescere la fedeltà e
individuare quelli che minano impercettibilmente la gioia della vita di coppia e di famiglia.
Per introdurre
Non è mai semplice, lineare e univoco parlare di fedeltà, perché riguarda l’intimo della persona; Dio solo
può vedere il cuore, e l’essere umano è qualcosa di infinito, di complesso, di misterioso. E la vita di coppia è
l’incontro di due “infiniti”, due misteri, due complessità!
La fedeltà ha molte dimensioni, che spesso, nella singola vicenda agiscono insieme, con diverso peso.
L’angolatura più frequente da cui si affronta questo tema è quella etica (spesso però, la dimensione etica è
confusa con quella giuridica).
“- Fedeltà significa osservanza del patto d’amore eterno che si è stabilito con il coniuge nella sua unità e
indissolubilità;
- fedeltà, in una comprensione più esistenziale, è comunione di vita ininterrotta e progredente;
- fedeltà, in un’ottica più teologico-biblica, è in primo luogo un attributo di Dio, una caratteristica del suo
modo di agire, una dimensione dell’alleanza”.
Quest’ultima interpretazione è la più illuminata, ma non trova facile applicazione dato che l’assoluto
dell’amore di Dio, che offre all’infinito alla sue creature l’occasione di crescere, di tornare, di ritrovarsi
(tornare a Dio, ritornare in sé, convertirsi agli altri...) è troppo diverso dalla situazione dei due esseri umani
di fronte all’infedeltà.
La riflessione sulla fedeltà, di solito si affronta nei momenti critici; spesso quando si delinea è già esplosa
una situazione pratica di infedeltà, un tradimento. Questa parola è ormai associata a malvagità, dramma,
distruzione; non sempre c’è una valutazione etica equilibrata.
Occorre dire che oggi, la questione della fedeltà si pone in modo diverso da una volta. Il tradimento resta di
solito un evento drammatico all’interno di una coppia che dia senso e importanza al proprio essere coppia. A
volte costituisce un potenziale fattore di dissoluzione del matrimonio o della famiglia.
Usiamo la parola tradimento nel senso più comune, quello che si verifica quando uno dei due, all’insaputa
dell’altro infrange il suo impegno di fedeltà in un incontro di amore con un’altra persona. Il cosiddetto
tradimento, almeno all’inizio viene percepito in modo catastrofico da chi lo subisce. Anche a livello
esistenziale e psicologico non è certo un fatto lieto o facile da portare.
Esso costituisce sempre una crisi. Tale parola, inflazionata e a volte usata impropriamente, in senso
personale, economico, ecclesiale… indica un rischio, la possibile fine di un equilibrio, apparentemente
consolidato; il termine crisi, però, porta con sé anche un appello a cambiare a rivedere le proprie posizioni.
Nel nostro contesto, a volte, sono erroneamente affermate teorie, da persone credenti o no, per cui l’infedeltà
della coppia non è sentita come una colpa e nemmeno come un incidente di percorso, ma semplicemente una
tappa nel cammino interiore, nella conoscenza di sé e degli altri. Quindi come un fatto inevitabile se non
proprio desiderabile, in un cammino di vita adulto.
C’è chi mette in dilemma fedeltà e libertà e pensa che assumere obblighi e legami significa imbrigliare se
stessi, impoverire la propria vita, chiudersi al futuro. È assai diffusa la massima (piuttosto disgustosa): “Il
matrimonio è la tomba dell’amore”.
L’impegno di fedeltà, è vero, interferisce con la libertà; è vero che chi intende essere fedele non può dire di
sì indiscriminatamente a qualunque impulso o turbamento. A volte, essere liberi, significa dire di no a se
stessi prima che agli altri.
Fedeltà è piuttosto il divenire, il farsi vero del consenso iniziale, nella sfida del quotidiano e nella storia
personale. È ovvio che scegliere per la vita una persona che si sente cara, preziosa, insostituibile, significa
rinunciare ad altre persone che si sarebbero potute amare, ad altre circostanze. Quando si ama davvero,
comunque, esclusioni di questo genere appaiono naturali e giuste, al punto che nemmeno vengono percepite
come esclusioni.; non vi si pensa.
L’infedeltà di solito scatena una crisi che è sentimentale ed esistenziale, la persona tradita pensa che “niente
potrà tornare come prima”. Quando un tradimento è avvenuto, è inutile rifiutarlo o ignorarlo. L’alternativa
che si presenta è di viverlo umanamente oppure in modo banale e distruttivo. Viverlo umanamente è
sinonimo di viverlo eticamente, con consapevolezza.
È importante interrogarsi sul perché un fatto del genere sia avvenuto; capire se questo fatto mostra un
cambiamento di strada o un rinnovamento da attuare all’interno della coppia “ferita”, nella prospettiva di un
risanamento.
Per un risanamento, ad interrogarsi non può essere solo uno dei due; l’infedeltà, anche quando materialmente
viene cunsumata anche da uno solo dei due è sempre una disfunzione della coppia.
Resta di fatto che l’infedeltà della coppia, anche quando potesse apparire inevitabile, evidenzia degli errori o
nella valutazione iniziale dei sentimenti o della personalità dell’altro o dei propri o nel modo di vivere il
rapporto di coppia. Tali eventi sono sempre causa di sofferenza e non sono mai ascrivibili ad uno solo.
Ogni infedeltà è una storia a sé, non comparabile con altre.
Parola di Dio (Ezechiele 16, 1-19)
Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell'uomo, fa' conoscere a Gerusalemme tutti i suoi
abomini. Dirai loro: Così dice il Signore Dio a Gerusalemme: Tu sei, per origine e nascita, del paese dei
Cananei; tuo padre era Amorreo e tua madre Hittita. Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu
tagliato l'ombelico e non fosti lavata con l'acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale, né fosti
avvolta in fasce. Occhio pietoso non si volse su di te per farti una sola di queste cose e usarti compassione,
ma come oggetto ripugnante fosti gettata via in piena campagna, il giorno della tua nascita. Passai vicino a
te e ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue e cresci come l'erba del campo.
Crescesti e ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza: il tuo petto divenne fiorente ed eri giunta
ormai alla pubertà; ma eri nuda e scoperta.
Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l'età dell'amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e
coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii
del sangue e ti unsi con olio; ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii
di seta; ti adornai di gioielli: ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo: misi al tuo naso un anello,
orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Così fosti adorna d'oro e d'argento; le tue vesti
eran di bisso, di seta e ricami; fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo; diventasti sempre più bella e
giungesti fino ad esser regina. La tua fama si diffuse fra le genti per la tua bellezza, che era perfetta, per la
gloria che io avevo posta in te, parola del Signore Dio. Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando
della tua fama, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori ad ogni passante. Prendesti i tuoi abiti per
adornare a vari colori le alture su cui ti prostituivi. Con i tuoi splendidi gioielli d'oro e d'argento, che io ti
avevo dati, facesti immagini umane e te ne servisti per peccare; poi tu le adornasti con le tue vesti ricamate
e davanti a quelle immagini presentasti il mio olio e i miei profumi. Il pane che io ti avevo dato, il fior di
farina, l'olio e il miele di cui ti nutrivo ponesti davanti ad esse come offerta di soave odore. Oracolo del
Signore Dio.
Risonanze libere su questo testo
Per approfondire
Ezechiele immette nel racconto il calore e il colore che è tipico di un rapporto di amore. È la storia di una
trovatella che diventa principessa, di una cenerentola che raggiunge il trono. Il motivo del racconto è quello
del simbolismo nuziale, un tema notissimo, elaborato all’inizio da Osea: l’amore tra un uomo e una donna
che diventa il paradigma perfetto per parlare di Dio. Non c’è immagine più luminosa per dire Dio che
l’amore tra uomo e donna.
Viene presentata una bambina, una trovatella abbandonata subito dopo il parto da una madre snaturata,
avvolta ancora nel sangue e nel cordone ombelicale, sul ciglio di una strada.
Nessuno le ha dato un piccolo segno di accoglienza, tagliandole almeno il cordone ombelicale e
frizionandola con il sale, come si usava nell’antico Vicino Oriente, per conferire vigore e come augurio di
prosperità. Nata da cananei, cioè “bastarda”, impura dalla nascita.
Ed ecco passare un principe su questa pista del deserto, che non solo vuole la sua vita, ma stende su di lei un
lembo del mantello. È il gesto rituale del contratto matrimoniale. La colma di tenerezza, di cure, di segni
d’amore. Ciò nonostante, da parte della fanciulla la risposta è il tradimento continuo e sistematico.
La storia finisce col sigillo della speranza: l’amore alla fine vincerà: “Io mi ricorderò dell’alleanza conclusa
con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna”.
Un filosofo francese, Garaudy disse: “La coscienza profetica ha il compito nella storia di risvegliare i morti e
le coscienze aride, ha il compito di aiutarci a prendere coscienza che ogni passato, comunque sia, ha sempre
un avvenire”. È l’avvenire che Dio spera e sogna.
Impegno
Sentieri che alimentano la fedeltà.
Quando pensiamo alla fedeltà ricordiamo che essa è anzitutto fedeltà a Dio e fedeltà di Dio; Dio che ama per
primo e si impegna a stare dalla parte dell’essere umano per sempre; Egli è il Dio che fa nuove tutte le cose.
La fedeltà non corrisponde a immobilità; “fedeli non si resta, si diventa”. È quindi capacità di avanzare in un
cammino condiviso, scegliendosi ogni giorno.
È uscire dall’illusione di restare sempre “come ai primi tempi”.
Non può essere uno solo dei due a crescere; se l’altro non è coinvolto o non si lascia coinvolgere, o anche se
la crescita segue due strade diverse, non solo l’amore è stanco o deformato, ma è quasi sicuro il fallimento.
Si crea una fase latente di pre-tradimento e non si può più parlare di fedeltà.
La fedeltà coniugale chiede coraggio e fantasia (è un po’ riduttivo parlare di pazienza) e una continua
conversione a cui tutti siamo chiamati.
Preghiera
La capacità di vivere e donare amore è strettamente legata al sentirsi amati.
Ascolta, ripeti qualcuna delle seguenti parole di Dio:
“Quando Israele era giovinetto io l’ho amato…
“Ero per loro come chi solleva un bimbo alla guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare”.
(Osea 11,1-4)
“Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di
salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema, come
una sposa che si adorna di gioielli”. (Ger 61,10)
“Perciò ecco, io l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là canterà come nei
giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto.” (Osea 2,16)
“Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e
nell’amore, e ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore.” (Osea 2,21)
(Altre da aggiungere dai profeti…)
Scheda n. 9
FAMIGLIE D’OGGI: PROBLEMI E RISORSE
Obiettivo
Riflettere sulle nuove forme di famiglia oggi. Osservare i limiti senza lasciarsi dominare dal pessimismo e
dallo scoraggiamento. Cogliere gli aspetti che ci invitano a crescere rispetto alle forme del passato e
diffondere messaggi di speranza.
Per introdurre
Uno sguardo alla realtà
Un figlio, uno come tanti, rimanda le nozze e intanto mette su casa con la ragazza. Si dice comunemente che
il tempo che prelude il matrimonio è Convivenza di prova. Nelle diocesi del nord Italia è ormai stile di vita
delle giovani coppie. Una recente ricerca effettuale dalle diocesi lombarde ha rivelato che una coppia su due
fra quelle che frequentano i percorsi di preparazione al matrimonio nelle parrocchie cittadine, già abita allo
stesso indirizzo.
Per alcune coppie tale scelta è spinta da necessità economica: vivere insieme in città dove ci si sposta per
lavoro, normalmente permette di ridurre le spese; altre coppie sono attratte dalla idea di libertà che permette
di provare a sperimentare gioie e dolori della vita a due senza sentirsi “prigionieri” di una condizione
definitiva, che non permette più di tornare indietro. Per altre ancora è il timore di sbagliare che le spinge ad
esorcizzare la paura del per sempre e le induce a “mettersi alla prova”. Spesso ciò di cui i giovani sembrano
avere più paura oggi, sono proprio i loro sentimenti.
La formazione di altri tempi e l’esperienza, ci fanno convinti che la convivenza è una soluzione a metà per il
futuro di coppia. Essa è frutto della cultura del provvisorio, tipica cultura della società in cui viviamo, che
scoraggia le scelte definitive e prolunga i tempi del passaggio dalla adolescenza all’ età matura fino a
mantenere in casa paterna i figli oltre i quaranta anni.
Un dato diffuso è quello dei giovani che tardano ad assumere le responsabilità della vita adulta e quindi a
uscire di casa per vivere da soli o per farsi una propria famiglia perché gli affitti sono troppo alti e le
retribuzioni troppo basse, la precarietà del lavoro troppo lunga.
Uno sguardo alle offerte per la famiglia
Le politiche pubbliche dovrebbero dar luogo a scelte concrete capaci di contenere almeno in parte le
difficoltà che i giovani incontrano nel fare famiglia. Un vero sostegno alla famiglia passa attraverso l’ aiuto
ai singoli componenti: una buona occupazione per le donne, mutui per l’ acquisto della casa e crediti per il
lavoro autonomo che non siano esosi, servizi sanitari ed educativi all’ altezza dei bisogni. Sul versante del
lavoro femminile e anche su quello maschile si dovrebbe favorire una maggior conciliabilità tra impegni
professionali e familiari. Non bastano incentivi di mettere al mondo più bambini, occorrono anche servizi di
maggior socializzazione della prima infanzia , asili nido e scuole materne di qualità città più amiche dove i
bambini possono tornare a giocare nei cortili e in spazi verdi.
Le osservazioni fatte non dicono tutta la problematica del tema. Le ricerche sul territorio italiano dicono di
più. Ci sono le unioni di fatto in cui i protagonisti sono convinti che per vivere in due non è necessario
formalizzare la scelta. Ci sono varie forme di unione prodotte da una società che rifiuta l’ impegno, che cerca
le strade più facili per tutto, che non permette di mettere radici, che si rivela in contrasto con i desideri più
profondi dell’ uomo. Ci sono le coppie gay che esigono di essere riconosciute come famiglia e difese nel
diritto di avere il figlio mettendo a rischio la natura stessa dell’ Istituto familiare, base irrinunciabile della
stabilità del genere umano.
Uno sguardo a noi
Molti genitori non comprendono, né approvano questo modo di gestire la vita di coppia e ne restano
sconvolti. Scendono allora all’ autocritica e si pongono la domanda: “ perché non siamo riusciti a
comunicare la buona notizia del matrimonio ai nostri figli?”. E iniziano i sensi di colpa, le amarezze, i
conflitti coniugali, gli ideali infranti, le attese deluse, gli affetti confusi e i pregiudizi.
Si osserva come la famiglia sia oggi condizionata dalla mentalità corrente, da fenomeni culturali, da esigenze
di benessere, da bisogni immediati, dal dominio del profitto e del denaro. Si conviene a dire che c’ erano
famiglie laiche e cristiane in passato come ci sono famiglie cristiane e laiche oggi.
I nuovi modelli di unione ci invitano a rivedere l’ esperienza di famiglia vissuta fino ad ora e verificare se
nel percorso quotidiano la famiglia è cresciuta nell’ amore o se ha dato tutto per scontato senza più nulla che
la potesse stupire.
Le scelte che i figli fanno: unione di fatto, matrimonio civile, convivenza di prova, ci costringono a riflettere
sulla nostra vita di coppia e sul di più che il matrimonio offre ai coniugi e alla società.
Una donna racconta: “Certo avrei desiderato il matrimonio religioso per mio figlio, ma non mi sarei accorta
di quante cose ho date per scontate nella mia vita di coppia se non avessi guardato con gli occhi di mio figlio
la mia realtà matrimoniale. Non avrei capito che il troppo scontato fa morire il desiderio. Che il desiderio si
spegne quando l’ altro non è più mistero per me. Che il rapporto desiderante deve anche essere patito. Che
desiderare è un’ arte raffinata e affina la capacità di attesa. E consolante capire che il punto di arrivo del
desiderio è mettere al primo posto l’ amore. Sento il bisogno di non spegnere il desiderio di Assoluto ma di
viverlo nella concretezza pur nel limite del quotidiano”.
Parola di Dio (Mt. 19,3-12)
Si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero:” E’ lecito ad un uomo
ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Ed Egli rispose:” Non avete letto che il Creatore da
principio li creò maschio e femmina e disse. Per questo l’ uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque
che Dio ha congiunto, l’ uomo non lo separi”. Gli obiettarono”Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’
atto di ripudio e mandarla via?”. Rispose Gesù:” Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di
ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria
moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’ altra commette adulterio”.
Gli dissero i discepoli”Se questa è la condizione dell’ uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”.
Egli rispose loro:” Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti
eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli
uomini, e vi sono altiche si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire capisca”.
Per approfondire
In principio – la creazione – il dono di essere coppia
Per la durezza del vostro cuore – peccato – l’ambiguità del fare coppia
Non tutti possono capirlo – grazia – la chiamata a vivere la coppia
Eunuchi per il Regno dei cieli – limite – la provocazione a non assolutizzare la coppia.
In principio…questa parola non si riferisce soltanto all’ inizio cronologico della vita umana, quanto
piuttosto ad un principio fondativo. Per il credente l’ amore viene da Dio; in Lui riconosce la realtà sorgiva
dell’ amore, non dalle mode ricorrenti …
Gesù di Nazaret è la fonte e il modello dell’ Amore.
L’ amore che propone Gesù supera la legge. Mosè ha concesso la legge del ripudio per la durezza del cuore
umano. Gesù rispetta oggi i nostri tempi di crescita.
Regno dei cieli: nessuno sia più escluso. La realtà dell’ amore è per tutti anche per le coppie con l’ etichetta
diversa divorziati, diversi, emarginati. Nella Chiesa ci saranno sempre gli eunuchi dal ventre della madre,
fatti dagli uomini o così come Gesù , perché anche gli emarginati abbiano una speranza.…..
I giovani cercano e desiderano la stabilità familiare, ma sono affettivamente disorientati.
Alle coppie cristiane il compito di offrire piste di crescita umana, affettiva e spirituale dove i giovani
imparano a conoscere se stessi le cose buone della vita, ad amarle e a realizzarle in coppia
Per amare
Quando il desiderio amoroso sboccia nel cuore dei giovani normalmente essi agiscono con spontaneità, con
entusiasmo, si lasciano trasportare da forte coinvolgimento emotivo, quasi un’estasi. Tendono invece ad
escludere ogni comportamento che si rifà a norme o a principi per non lasciarsi limitare dalla moralità. Nella
mente dei giovani desiderio e moralità sembrano respingersi.
In realtà il desiderio amoroso e l’intesa fra due persone contiene già una domanda di moralità, anche solo
per avere cura della bellezza di ciò che si sta scoprendo. L’indicazione morale non va pertanto intesa, né
presentata come un messaggio di limitazione e castrazione del desiderio amoroso, ma come aiuto a costruire
e sviluppare meglio la nuova forma di relazione che sta nascendo E lo fa in due modi: da una parte
riconoscere e valorizzare la ricchezza del desiderio e dall’ altra garantire la solidità e la durata. Il versante del
riconoscere e del valorizzare ciò che il cuore desidera contiene indicazioni più simpatiche e accettabili. Il
versante della solidità e durata di ciò che il cuore sente esige disciplina e perciò implica indicazioni più
esigenti e indigeste. Tuttavia è importante mostrare alle giovani generazioni il legame intrinseco tra
esperienza affettiva e comportamento morale, altrimenti viene rifiutato ogni suggerimento o aiuto perché
percepito come opposizione all’ amore. Le giovani generazioni hanno tanto bisogno di amore e hanno tanta
paura di essere amati perché hanno paura dei sentimenti. In ogni caso non è la corrispondenza o la non
corrispondenza alle indicazioni morali che garantisce la durata della relazione di coppia, quanto piuttosto
scegliere perché stare insieme e quali obiettivi raggiungere. In altre parole serve chiedersi: a quale modello di
amore di coppia, di famiglia, di società corrisponde il nostro comportamento?
Stiamo progettando il nostro amore o viviamo solo a giornata?
(Cfr Renzo Caseri, 3D, 2007, pag 174 )
Per crescere
Anche tra i giovani più impegnati c’è spesso un distinguo nella disponibilità ad accettare linee di
comportamento. Accettano la convergenza in poche cose essenziali e difendono la libertà di scelta nelle cose
relative. Sono tratti interessanti che aprono a sentieri della libertà. E’ necessario però decidere cosa sia
importante e cosa sia relativo, conoscere un metodo per arrivare alla chiarificazione di un valore.
L’antropologia cristiana sostiene che la persona umana è aperta alla verità e quindi all’ agire libero, e ha
diritto di ricevere il patrimonio etico e spirituale dei propri genitori; ma è anche ferita da limitazioni interne
ed esterne alla persona che ostacolano la sua libertà come ad esempio i rapidi cambiamenti socio-culturali
del nostro tempo. Allora come può un giovane cogliere in profondità la bellezza dell’ amore secondo il
progetto di Dio? Che cosa lo sostiene? Che cosa lo ostacola? Come educare a questo?
L’impegno per elaborare un metodo di aiuto che permetta alle giovani generazioni di appropriarsi dei valori
in modo convincente e profondo è una missione consegnata alla famiglia e alla comunità cristiana. Sono
chiamate a farlo offrendo proposte non troppo timide né moraliste, che permettano di apprezzare la bellezza
della proposta, la adesione libera e la gioia di sentirsi cresciuti in maturità nel realizzarla.
Di fronte alla fatica e alla rilevanza dell’ impresa c’è il rischio di accontentarsi del già realizzato o di
rassegnarsi all’apatia del sempre fatto così. Aiutare i giovani a divenire consapevoli della bellezza del
progetto a cui sono invitati attraverso la via dell’ amore di coppia è un grande passo verso la realizzazione
del Progetto di Dio nella storia secondo il Vangelo che siamo chiamati a vivere e a testimoniare. (cfr.
Vincenzo Percassi, 3D, 2007, pag 135)
Per la vita
I nuovi modelli di famiglia ci invitano a rivedere l’ esperienza di famiglia vissuta fino ad ora e verificare la
fedeltà al progetto cristiani di coppia.
La distanza che esiste tra l ‘immagine ideale di matrimonio e vita concreta è una incongruenza umana che
non va considerata solo come dato negativo. La speranza cristiana ci invita a viverla come spazio di crescita
e a porci in atteggiamento di responsabilità per ridurre la distanza tra ideale e realtà, perché la testimonianza
cristiana del matrimonio sia più credibile, convincente e autentica.
Impegno
Aiutare le giovani coppie a:
Capire se stanno sviluppando il dono della vita o se si lasciano trascinare dalla noia.
Stipulare un progetto a due senza subire passivamente l’influenza di schemi comuni dettati dalla
superficialità.
Ricordare loro che Gesù rispetta i tempi di crescita del cuore umano.Una corretta e costante relazione
con la Parola offre indicazioni piuttosto determinanti
Preghiera
Anche se la vita è stanca e non animata dalla speranza,
anche se la preghiera è lontana e il tempo appare vuoto,
anche se l’ apprensione lega il corpo e il cuore
e la stanchezza fa perdere di vista le motivazioni
bisogna volere la vita, proteggere la vita, curare la vita,
occuparsi per la vita, darsi tempo per la vita,
offrirsi Signore come un Atto di Vita.
Un atto minimo, quello delle piccole cose:
preparare i pasti, cenare, rigovernare tutto,
ma farlo con grande cura, farlo ancora, farlo per Te.
E il cuore rende grazie:
Tu sei Colui che in me continua a respirare,
a essere vita, a fare sì che io viva.
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