Tani-Lezioni del 26 e 27/09/2012 - Dipartimento di Comunicazione
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Tani-Lezioni del 26 e 27/09/2012 - Dipartimento di Comunicazione
Teoria e analisi del discorso giornalistico 2012-13 M. Loporcaro, Cattive notizie, Feltrinelli, 2004 A.M. Lorusso e P. Violi, Semiotica del testo giornalistico, Roma-Bari, Laterza, 2004 E. Calaresu, Testuali parole. La dimensione pragmatica e testuale del discorso riportato, FrancoAngeli, Milano 2004 (fino a p. 123) M. Sbisà, Detto non detto, Roma-Bari, Laterza, 2007 (Introduzione, capp. 2 e 4) P. Cantù, E qui casca l’asino, Torino, Bollati Boringhieri, 2011 Solo per i non frequentanti: U. Cardinale, Manuale di scrittura giornalistica, Utet, 2011 Campo specifico delle scienze linguistiche Interrogarsi non su cosa viene detto ma su come viene detto Sulle forme del dire più che sul detto Ad esempio forme del nominare (come viene nominato qualcuno, non chi viene nominato) Forme di citazione della parola altrui (non cosa qualcuno ha detto, ma come viene riportata la sua parola) Analisi linguistica del discorso Attenzione rivolta al funzionamento e al ruolo delle marche linguistiche nella produzione e nella interpretazione del discorso e più in generale delle pratiche semiotico-sociali dei media. Cioè ai dettagli linguistici,che non sono semplici riflessi del sociale ma lo costituiscono. Obiettivo Migliorare il grado di consapevolezza della pratica del discorso e perciò la qualità della produzione discorsiva (e testuale). I mestieri della parola e le scienze del linguaggio Stretto rapporto storico tra giornalismo e vicende della lingua italiana Difficile incontro tra la linguistica e la dimensione sociale e comunicativa del linguaggio Sapere e conoscere Sapere = capacità pratica, saper fare Conoscenza = sapere esplicito e proposizionale Non implica necessariamente conoscenze formalizzabili Implica la formalizzazione dei saperi Quine (1970): la scienza è «senso comune autoconsapevole» Continuità tra i processi del ragionamento scientifico e quelli utilizzati nella vita di tutti i giorni. I primi sono rallentati e pubblici (cioè analitici e articolati), i secondi sono per lo più rapidi e taciti. Fare scienza significa portare allo scoperto l’attività di giustificazione del senso comune, sottoporre a ingrandimento i nostri percorsi quotidiani di pensiero e conoscenza Gorz, L’immateriale, Boringhieri, 2003 Il rapporto tra le conoscenze e i saperi, tra le scienze e le pratiche influisce in modo decisivo sulla vitalità della società e della cultura, che dipende dalle possibilità di integrare le conoscenze nei saperi. Al contrario una mancata integrazione tra scienze e cultura comune determina il progressivo deperimento di quest’ultima. Il pericolo riguarda linguaggio. a maggior ragione la sfera del Sensibilità ecologica: Resistenza al divorzio tra conoscenze e saperi vissuti Sul piano linguistico: opposizione alla alienazione linguistica (ripetizione irriflessa di schemi linguistici altrui, stereotipi linguistici) Terapia: pensare nella lingua e pensare la lingua, le sue strutture, i suoi usi e le sue variazioni Epilinguistico e Metalinguistico Sapere epilinguistico Coscienza epilinguistica Conoscenza metalinguistica Sapere linguistico pratico Sapere riflessivo-pratico Sapere riflessivo-teorico • conoscenza implicita ed interna all’individuo •rapporto cosciente con • conoscenza esplicitamente certi contenuti del sapere rappresentata ed esterna epilinguistico all’individuo •Usi linguistici ordinari •Arti della parola •Scienze del linguaggio Arti della parola Ars o Téchne: indica originariamente una forma di conoscenza finalizzata alla produzione di fenomeni empirici. Retorica Dialettica Grammatica Il sapere riflessivo nasce dalle pratiche linguistiche, la cui elaborazione non può essere disgiunta da una qualche forma di speculazione: la tecnica procede congiuntamente alla scienza Rastier, Arti e scienze del testo, Meltemi, 2003 Le arti sono discipline pratiche o comunque empiriche: possono essere comprese solo nell ’ orizzonte della prassi e hanno bisogno di un’etica. Mestieri della parola Narrazione / poesia (accento sulla funzione espressiva) Attività giuridica / politica (accento sulla funzione argomentativa) Ricerca e narrazione storica / giornalismo (accento sulla funzione rappresentativa/informativa) Lavoro del linguista Sottoporre alla riflessione metalinguistica (filosofica e scientifica) le potenzialità e le modalità linguistiche espressive (studio dei rapporti del parlante con la lingua) informative (studio della capacità semantica e referenziale) argomentative (analisi dei modi in cui linguisticamente riusciamo ad agire sugli altri e, mediatamente, sul mondo). Linguistica e giornalismo Critiche ricorrenti sullo stato della lingua nel giornalismo. Eco, in Gli italiani e la lingua, a cura di Lo Piparo e Ruffino, Sellerio, 2005 “Perché se esiste la critica televisiva e cinematografica non può esistere la critica dello stile e del linguaggio giornalistico? Bisogna lasciare che la gente parli come vuole ma non permettere questo lusso ai giornali e alla radiotelevisione, a cui bisognerà imporre attraverso un controllo serrato che parlino come si mangia, ovvero usando coltello e forchetta”. Tranfaglia, La lingua dei giornali oggi, nello stesso volume: “..la cosa preoccupante è che della formazione linguistica nessuno si occupa per cui noi avremo dei giornalisti che, usciti dall’università, spesso conosceranno quello che io insegno, la storia contemporanea, ma non sapranno esprimersi in italiano”. “mi sembra che proprio questi mezzi di comunicazione in generale tendano a portare a una lingua più povera, a una lingua semplificata e più povera anche di quella che si parla, oltre che di quella che si scrive, e questo ha una serie di effetti, soprattutto se poi viene mescolata al linguaggio pubblicitario”. Che cos’è il linguaggio giornalistico? Esiste una specificità della comunicazione verbale giornalistica, un codice linguistico a cui in qualche modo i giornalisti fanno riferimento quando scrivono i loro articoli? (Marrone, Corpi sociali, 2001) De Mauro, Giornalismo e storia linguistica dell’Italia unita, in Castronovo e Tranfaglia (a cura di), La stampa italiana del neocapitalismo, 1976, pp. 457-510 : Non si può parlare del linguaggio giornalistico come di una lingua speciale: il giornale è un coacervo di lingue speciali (finalizzati a raggiungere una tipologia eterogena di lettori e a trattare diversi argomenti nelle diverse sezioni). Beccaria, I linguaggi settoriali in Italia, 1973, p. 64 sg.: Più che un linguaggio settoriale, quello giornalistico è lo specchio di molteplici linguaggi settoriali che sono presenti nella società, la cui risultante è ovviamente la lingua come codice più o meno condiviso. Anche dal punto di vista dell’analisi del discorso (vedi oltre) non è possibile pensare a un genere discorsivo compatto ma è opportuno pensare a una costellazione di generi (o sottogeneri) che comprendono forme e soprattutto situazioni molto diverse in cui si esplica l’attività giornalistica in senso lato. Possibili percorsi di analisi linguistica La prospettiva sociolinguistica, fondamentale, può mettere in luce soprattutto questioni di stile, differenti da epoca a epoca ma anche da giornale a giornale. Ad esempio, sono stati evidenziati nei giornali degli anni Settanta fenomeni apparentemente eterogenei come la contemporanea presenza di forestierismi, regionalismi, gerghi giovanili, forme colloquiali, neologismi, eufemismi, formule burocratiche, forme letterarie desuete e ampollose, tendenza alla economia linguistica (nominalizzazioni, abbreviazioni, ellissi, parole macedonia, ecc.). Queste ricerche sono alla base di una delle direttrici dello studio linguistico dei giornali: rapporto che il linguaggio giornalistico intrattiene con la lingua comune. Rilevanza in questo contesto degli studi di De Mauro, Giornalismo e storia linguistica dell’Italia unita, cit. Complicato intreccio tra vicende della società italiana e vicende linguistiche, tra conformazione della realtà linguistica italiana e modo di scrivere i giornali; Contributo della scrittura giornalistica alla trasformazione della lingua nazionale. Evidentemente questa varietà in diafasia, si interseca con le varietà diamesiche disponibili (ovvero con le numerose variazioni mediali entro cui il discorso giornalistico può avvenire, che polarizzano verso il basso o verso l’alto, a seconda dei casi, il registro di formalità) (vedi Cortelazzo e Paccagnella 1981). De Mauro, 1976: “ L ’ attenzione sempre più diffusa agli aspetti linguistici della comunicazione di massa deve tradursi nel riconoscimento analitico della grande varietà di tendenze di stile e usi della lingua nel vario mondo della stampa italiana”. Contributi della stampa alla lingua italiana Allargamento del lessico attraverso l’adozione di parole straniere nella forma di esotismi, adattamenti o calchi De Mauro registrava nel 1976: Boom, gap, sputnik, coupè, golpe, kibbutz, fellah Sveltimento della sintassi (diffusione della frase nominale) (ma anche tendenza all ’ appesantimento: se -> nella misura in cui; su -> relativo a Tecnicismi (ma anche inutili pseudotecnicismi): fare una scelta -> operare una scelta; rimandare -> dilazionare; politico -> politicizzato In questo contesto si collocano due linee di ricerca: 1. L’indagine storica intorno a quella parte del linguaggio giornalistico che coincide con la storia della lingua italiana (Bonomi, L'italiano giornalistico: dall'inizio del '900 ai quotidiani on line, Firenze, Cesati, 2002; Gualdo, L’italiano dei giornali, Carocci, 2007). 2. Una seconda linea di ricerca riguarda la comprensibilità del linguaggio giornalistico (Eco, De Mauro), a fronte di livelli di alfabetizzazione e scolarizzazione che tradizionalmente, nel caso italiano, sono stati tra i più bassi dell’Occidente. In questo caso lo spunto è stato dato da alcune pioneristiche indagini del Servizio Opinioni della Rai intorno alla reale comprensione, da parte di campioni di cittadini di svariata provenienza socio-culturale, di parole elementari dell’uso politico ed economico (dove compare la mitica casalinga di Voghera). Denuncia dell’oscurità del linguaggio giornalistico e interventi di semplificazione (es. Manuale di stile, 1997). La questione della semplificazione È uno dei grandi temi dell’analisi linguistica: il problema del giornalese. Nel 1971 Eco si chiedeva perché il giornale italiano fosse difficile da leggere: si trattava di una radicale incompetenza linguistica del pubblico o di una mancata attenzione delle redazioni alle esigenze dei loro lettori? Risposta di Eco: l’oscurità ha una funzione strategico-comunicativa molto precisa con esito ideologico-politico regressivo: “Il giornale è il bollettino di un gruppo di potere che fa un discorso ad altri gruppi di potere. E molte volte questo discorso deve passare sopra la testa del pubblico. Cioè il grosso pubblico non deve sapere quale sia il discorso che un quotidiano fa al governo o alla Fiat, o all’Iri, perché questo discorso lo turberebbe”(Eco, Guida all’interpretazione del linguaggio giornalistico, cit. in Marrone, Corpi sociali, 2001: 69) In tal modo la funzione informativa viene sostituita con una funzione fatica Dalla oscurità alla semplificazione Oggi l’oscurità della lingua dei giornali è stata sostituita da “un linguaggio alla portata di quella entità magmatica che si chiama ‘la gente’” (Eco, Cinque scritti morali, Bompiani, 1997, p. 54). Come nel linguaggio politico, anche in quello giornalistico si può parlare di approdo al “ gentese ” (Gualdo, La faconda repubblica, 2004): abuso di frasi fatte e luoghi comuni che non informano su nulla. Vedi anche Loporcaro, Cattive notizie, Feltrinelli 2005 per la critica alla semplificazione del linguaggio giornalistico Questione delle formule e dei luoghi comuni La formula è una frase breve, efficace, facile da ricordare, la cui funzione è condensare un pensiero complesso dandogli maggiore forza a partire da tale condensazione. Figura della chiusura. La parola non serve a fornire serie valutazioni dei fatti ma a riproporre proverbi e detti popolari (forza conservatrice, punto di vista dell’uomo qualunque) Es. (primi decenni del ‘900): Bastone nodoso, questione annosa, sentiero tortuoso Criticati da Mussolini giornalista, poi “insaziato violentatore semantico” (De Mauro, 1976): Figura maschia, sagoma romana, forgiato nel bronzo, dura vigilia, immancabili mete, democrazie agnostiche e imbecilli, invocazione incontenibile, grido oceanico Le formule più ricorrenti oggi Tirare per la giacchetta Mettere le mani nelle tasche del consumatore Anche le formiche nel loro piccolo.. La prima gallina a cantare ha fatto l’uovo Cantar vittoria Vedi anche le funzioni retoriche della ripetizione Dalla lingua al discorso Qualsiasi considerazione sulla lingua dei giornali deve prendere le mosse dalla loro forma testuale La notizia ha sempre un riferimento al contesto di enunciazione, dunque è un discorso. Che cos’è il discorso? Il problema del contesto Contesto interno Per Aristotele (Retorica 1358a 37-b 1) il discorso è l’insieme di tre fattori: colui che parla, ciò di cui si parla, colui a cui si parla. I parlantiascoltatori sono dentro e non fuori il discorso, sono suoi elementi costitutivi e non utenti esterni (contesto interno) (Piazza, L ’ arte retorica: antenata o sorella della pragmatica?, Esercizi filosofici, n. 6). Contesto esterno Il discorso, diversamente dal testo, comprende non solo il contesto interno ma anche le condizioni extralinguistiche della sua produzione (il contesto esterno) (Adam 1999). Maingueneau (1976) individua sei significati del termine discorso: 1. discorso come parole (linguistica strutturale): uso della lingua soggettivamente caratterizzato 2. discorso come enunciato, unità linguistica di dimensione superiore alla frase (dimensione transfrastica) 3. insieme di meccanismi di incatenamento della frase (simile al 2; utilizzato in particolare da Harris) 4. condizioni di produzione di un enunciato: riferimento alla ideologia e all’essere sociale di chi lo produce 5.discorso come enunciazione. L’enunciazione opera la conversione della lingua in discorso, attraverso questa conversione scatta l’interazione tra chi parla e chi ascolta. Ovviamente è di massimo rilievo l’intenzione del destinatore di fare del suo discorso uno strumento di influenza sul destinatario. Da questo punto di vista la teoria della enunciazione confina con quella degli atti linguistici (Benveniste) 6. discorso come luogo della creatività linguistica, che conferisce al testo un effetto contestuale inprevedibile. Analisi del discorso A partire dagli anni Ottanta si assiste a una proliferazione del termine discorso nelle scienze del linguaggio, tanto al singolare (dominio del discorso, analisi del discorso) quanto al plurale (i discorsi), a seconda che ci si riferisca alla attività verbale in generale oppure a particolari eventi discorsivi. La diffusione di questo termine è il sintomo di una modificazione nel modo di concepire il linguaggio. Parlando di discorso si prende posizione a favore di una particolare concezione del linguaggio e della semantica, che dipende dalla influenza di diverse correnti pragmatiche che hanno sottolineato un certo numero di idee forza. Il discorso assume una organizzazione transfrastica: mobilita strutture che appartengono a un ordine diverso da quello della frase. Il discorso è orientato, si costruisce in funzione di un fine: Ducrot radicalizza questa idea, iscrivendo un orientamento o una funzione argomentativa nelle unità stesse della lingua. Il discorso è una forma di azione (Austin). Ad un livello superiore gli atti linguistici si integrano nelle attività linguistiche di un genere determinato anche in relazione ad attività non verbali Il discorso è interattivo È contestualizzato È preso in carico: esiste solo se riferito a una istanza che al tempo stesso si pone come riferimento personale, temporale, spaziale e modalizzante: la riflessione sulle forme di soggettività che sottendono il discorso è uno dei grandi assi dell’analisi del discorso È regolato da norme È sempre preso in un interdiscorso. Discorso come enunciazione Autori di riferimento sono Benveniste, Greimas (ma anche Austin e Searle). Per Benveniste l’enunciazione è la “messa in funzione della lingua per mezzo di un atto individuale di utilizzazione”, “l’atto stesso di produrre un enunciato, e non il testo dell’enunciato” (L’apparato formale dell’enunciazione (1970), trad. it. in Benveniste, Essere di parola, 2009, p. 120). L’enunciazione “presuppone un parlante e un ascoltatore, e l’intenzione del primo di inflluenzare in qualche modo il secondo” (Le relazioni di tempo nel verbo francese”). L’enunciazione porta un messaggio e al tempo stesso è strumento di azione (Note sulla funzione del linguaggio nella scoperta freudiana, 1956). Per Bally l’enunciazione è interpretabile come la distanza più o meno grande, al limite nulla, tra il locutore e il suo enunciato (Bally, Linguistique générale e linguistique francaise, Paris, 1932):. Distanza/vicinanza Tratto comune a tutti i significati di enunciazione è il rapporto di coinvolgimento che nel testo si stabilisce tra il locutore e ciò che dice. Può essere più o meno individuale, perché l’enunciatore può coinvolgersi con maggiore o minore intensità nelle proposizioni dell ’ enunciato (affermazioni, negazioni, descrizioni), può conferire ad esse una marca soggettiva e produrre un discorso in senso proprio, o più o meno oggettiva, fino alla completa oggettività del racconto o recit. Cfr. con quanto afferma J. B. Thompson (1995), The Media and Modernity: A social theory of the media, Cambridge, Polity Press: la distanza spazio-temporale tra emittente e ricevente è condizione preliminare nella definizione di notizia (news) Teoria dell’enunciazione vs analisi sociologica Diversamente dall ’ analisi sociologica, che si rivolge ai soggetti empirici, la teoria della enunciazione si occupa di come si costruiscono i soggetti nel discorso. Distinzione tra piano dell ’ enunciato dell’enunciazione (struttura comunicativa) (contenuti) e piano Matrice filosofica Foucault (1926-1984) L’archeologia del sapere (1969) L’ordine del discorso (1971: 39) “Quale civiltà ha avuto più della nostra rispetto per il discorso? Dove lo si è meglio e più onorato? Dove lo si è, pare, più radicalmente liberato dalle sue costrizioni e più universalizzato? Ora mi sembra che dietro questa apparente venerazione del discorso, dietro questa apparente logofilia, si celi una sorta di timore […]. C’è sicuramente nella nostra società, e immagino in tutte le altre, per quanto con un profilo e scansioni diverse, una profonda logofobia, una sorta di sordo timore contro questi eventi, contro questa massa di cose dette, contro il sorgere di tutti questi enunciati, contro tutto ciò che ci può essere, in questo, di violento, di discontinuo, di battagliero, di disordinato e di periglioso, contro questo brusio incessante e confuso del discorso.” Prospettiva post-strutturalista Critica dell’idea denotativo-referenziale del linguaggio Critica dell’idea del soggetto parlante Il discorso è una costruzione della realtà (non è uno specchio di ideologie e conoscenze) Il linguaggio è l’insieme dei discorsi che vengono pronunciati e scritti in un determinato momento storico Legame tra discorso e potere: l’ordine del discorso, in quanto delimita lo spazio del dicibile, non è solo espressione del potere ma generatore di potere: “Come per la magia, le parole non hanno un senso, hanno un potere; un potere che è inversamente proporzionale al loro senso”. (Reboul, Langage et idéologie, 1980) La questione alla quale l’analisi del discorso deve rispondere è la seguente: in che modo, nelle società occidentali moderne, la produzione di discorsi cui si è attribuito un valore di verità è legata ai vari meccanismi e istituzioni di potere? (Foucault 1976, p. 8) Discorso e potere “Con potere non voglio dire il ‘Potere’, come insieme di istituzioni e di apparati che garantiscono la sottomissione dei cittadini in uno Stato determinato. Con potere non intendo nemmeno un tipo di assoggettamento, che in opposizione alla violenza avrebbe la forma della regola. […] Con il termine potere mi sembra si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraversa scontri e lotte incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di forza trovano gli uni negli altri […] le strategie infine in cui realizzano i loro effetti, ed il cui disegno generale o la cui cristallizzazione istituzionale prendono corpo negli apparati statali, nella formulazione della legge, nelle egemonie sociali […] il potere è dappertutto; non perché inglobi tutto ma perché viene da ogni dove” (Foucault, La volontà di sapere (1976), Feltrinelli, 1996:81-82) Esiti La lingua (il discorso) appare come un dispositivo coercitivo (Barthes: “la lingua è fascista”, è ciò in cui il potere si inscrive) che però non dipende dalla decisione individuale: la lingua è un prodotto sociale che “nasce come apparato costrittivo proprio a causa del consenso di tutti”. L’analisi critica del discorso Adotta il termine nell’accezione di uso del linguaggio in quanto parte della vita sociale Pone al centro della ricerca la relazione tra potere e discorso Si occupa del discorso pubblico e in particolare dei media: testi non letterari ma di rilevanza sociale Studia come i media costruiscono le espressioni, le argomentazioni, la gerarchia degli argomenti che vanno a costruire i giudizi diffusi sul mondo Analizza i rapporti tra le pratiche linguistiche (in particolare di categorizzazione) e le pratiche di esclusione all’opera nei Paesi occidentali: distribuzione non equa fra i diversi gruppi sociali delle opportunità di dare senso Scuola di Londra approccio socioculturale N. Fairclough rinvia al modello di Foucault. Ogni evento discorsivo è al tempo stesso testo (contenuto, struttura e significato), pratica discorsiva (forma di interazione discorsiva) e pratica sociale (contesto in cui l’evento discorsivo ha luogo). Le pratiche discorsive sono forme specifiche di pratica sociale, che si legano ad altre forme di attività sociali. Fairclough, N., Critical Discourse Analysis, London, 1995 Fairclough, Language and Power, London, 2001 Fairclough, Language and Globalization, London 2006 Esercizio del potere attraverso il discorso per Fairclough Fairclough 2001 riprende la distinzione tra il potere che agisce per via coercitiva (in maniera esplicita o subdola) e il potere che opera attraverso il consenso, cioè un ’ acquiescienza più o meno generalizzata. Nell’esercizio del potere attraverso il consenso i discorsi e il linguaggio sono determinanti I meccanismi di esercizio del potere sono essenzialmente tre: Adozione di pratiche e discorsi universalmente accettati e seguiti perché nessuna alternativa sembra possibile Imposizione di pratiche attraverso un esercizio del potere nascosto Adozione di pratiche veicolate attraverso un esercizio di comunicazione razionale Scuola di Amsterdam (Teo van Dijk) approccio sociocognitivo Il discorso giornalistico non è solo un testo ma anche un atto sociale dai risvolti pragmatici, la cui analisi richiede sia una descrizione delle strutture testuali della notizia, sia una descrizione dei processi di produzione e di selezione del discorso in situazioni comunicative e in contesti sociali (Cardinale, Manuale di scrittura giornalistica, 2011:150) Le interazioni tra individui all’interno delle strutture sociali si presentano in forma di testi-discorsi che ricevono una interpretazione da parte dei soggetti attraverso un sistema cognitivo individuale In ogni discorso si riflettono i modelli mentali dell’individuo (di qui la centralità assegnata al concetto di intenzionalità e alla teoria degli atti linguistici) e le rappresentazioni sociali (atteggiamenti e ideologie) del gruppo di riferimento. Ogni discorso è compenetrato dalla ideologia, intesa come struttura dei valori e degli interessi che danno forma alle nostre rappresentazioni della realtà. (T. A. van Dijk, Ideologie. Discorso e costruzione sociale del pregiudizio, Carocci, 2004) Forme di controllo nel discorso giornalistico Selezione delle notizie, scelta del topic Titolazione: pertinentizzazione della rilevanza Scelta degli intervistati (della voce) Spazi assegnati Posizione nel testo Scelta del genere: scegliere di trattare un tema di interesse pubblico in forma di spettacolo è già una decisione che limita la possibilità del ricevente di avere una informazione non viziata; puntare sul lato spettacolare o sulla vicenda umana di un evento è già un modo per mettere sullo sfondo le responsabilità; è trattare il cittadino come consumatore (Fairclough 1995, Loporcaro 2005) Scelte lessicali (es. terrorista/combattente per la libertà; uccisione/esecuzione) Uso di impliciti e di figure retoriche Scuola di Vienna (Ruth Wodak) approccio storico-discorsivo Sguardo illuminista sulle pratiche discorsive nelle società contemporanee Rifiuta esplicitamente “ le teorie foucaultiane e postmoderne del discorso e del potere, in quanto reificano o personificano la lingua e il discorso come attori autonomi, collusivi, che guidano i parlanti e tengono le redini ” (2003: 262). Rifiuta anche l ’ impostazione sociocognitivista di van Dijk, in quanto inconciliabile con l’impostazione ermeneutica. Il riferimento teorico è alla teoria critica della scuola di Francoforte e di Habermas. Altre matrici: tradizione della linguistica sistemica funzionale di Halliday, retorica classica e moderna, teoria dell’argomentazione (Toulmin e Perelman). Orientamento etico-pratico finalizzato alla formulazione di proposte di intervento concreto per il miglioramento della comunicazione istituzionale e pubblica. Presupposti epistemologici del modello storico-discorsivo a) Il linguaggio è il medium centrale della organizzazione democratica e il libero scambio discorsivo pubblico di interessi, desideri e punti di vista è vitale in una società democratica moderna a struttura decentrata; b) La qualità del potere legislativo e amministrativo è fortemente condizionata dal tipo di processi discorsivi e comunicativi pubblici, con cui si informa il cittadino e se ne creano o orientano le opinioni e la volontà (Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli 1998 (ed.or.1996)) c) Rilevanza della teoria dell ’ argomentazione razionale e della risoluzione discorsiva del conflitto (S. Benhabib), che si fonda sui concetti di deliberazione e di discorso.