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dambone elementi di vittimologia
Università degli studi di Pavia Dipartimento di Psicologia Corso di Perfezionamento Psicologia Forense: La pratica dell’intervento psicologico in ambito giudiziario Elementi di Vittimologia Carmelo Dambone psicologo clinico forense – criminologo Responsabile Scientifico - Istituto di Psicologia Clinica Milano Dipartimento di Psicologia Giuridica e di Criminologia [email protected] Definizione di vittima Individuo o gruppo che, senza aver violato regole convenute, viene sottoposto ad angherie, maltrattamenti e sofferenze di ogni genere, spesso per effetto di quel meccanismo proiettivo che istituisce un capro espiatorio. La condizione di vittima può essere anche un vissuto ingiustificato sul piano di realtà, o una forma di simulazione per ottenere affetto o vantaggi di qualche genere. In questi casi si parla di condotte vittimistiche Altra definizione di vittima Nel rito sacrificale, animale o uomo, offerto, per uccisione, alla divinità; chi perde la vita o subisce gravi danni personali o patrimoniali in seguito a calamità, sventure, disastri, incidenti e simili; chi soggiace ad azioni ingiuste, a prepotenze, violenze, sopraffazioni e simili; chi subisce, anche senza averne piena coscienza, le conseguenze negative di errori, vizi, difetti propri o altrui La Vittimologia… Branca della criminologia che ha per oggetto lo studio della vittima del reato, della sua personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con l’autore del reato, e del ruolo che essa ha assunto nella criminogenesi (cerca di spiegare come è nata, dove è nata e perché è nata l'idea criminale) e nella criminodinamica (indica come si è sviluppata la sequenza cronologica delle azioni costituenti l’idea criminale e con quale modalità si è sviluppata) (G. Gulotta) La vittima in criminologia… Qualsiasi soggetto danneggiato o che ha subito un torto da altri, che percepisce se stesso come vittima, che condivide l’esperienza con altri cercando aiuto, assistenza e riparazione, che è riconosciuto come vittima e che presumibilmente è assistito da agenziestrutture pubbliche, private o collettive” (E. Viano) Definizione di vittimologia e di vittima La vittimologia si occupa a livello multidisciplinare degli aspetti biologici, psicologici, psichiatrici, sociologici, giuridici e politici della vittima. La vittima è un soggetto in sofferenza fisica e psichica, che ha subito un danno in seguito a eventi interpersonali, spesso devianti o antigiuridici, o catastrofi causate dall’uomo o dalla natura Altra definizione di vittimologia La vittimologia studia la sfera bio-psico-sociale della vittima, ma non solamente: essa studia il rapporto che la vittima ha avuto con il proprio aggressore (quindi anche il suo ruolo agito all’interno di quella particolare circostanza), studia il contesto ambientale (fisico e psicologico) di quello che è la realtà, la fenomenologia della vittima entro il quale è stata compiuta un’azione criminale e, nel caso di vittima sopravvissuta, studia le conseguenze fisiche (danni biologici), psicologiche (traumi a breve-medio-lungo termine), e sociali (reazioni del gruppo primario, come la famiglia, del gruppo secondario, come ad esempio gli amici, e delle agenzie di controllo, come le forze di polizia o i tribunali) La definizione più attuale di vittimologia La vittimologia è la scienza che studia la personalità della vittima, le sue caratteristiche fisiche, psicologiche, morali, sociali e culturali in funzione di una maggiore conoscenza della relazione vittima-reo per poter esercitare soprattutto un’attività preventiva ma anche, eventualmente, un’attività d’intervento in seguito alla commissione di reati Non confondere Vittimologia con Vittimalistica Branca della criminalistica applicata alla vittima del reato La Vittimalistica Approccio della criminalistica applicato alla vittima del reato. Si propone un ampliamento dell’oggetto di studio della criminalistica tradizionale (attraverso un ampliamento del concetto di “traccia del reato”) ricomprendendo in esso non solo la vittima non sopravvissuta al reato ma anche e soprattutto la vittima sopravvissuta attraverso l’esame della sua testimonianza, utile per un’esatta ricostruzione dei fatti oggetto di reato. Modello operativo di indagine della psicologia investigativa la quale ha, tra le sue finalità, oltre alla ricostruzione dei fatti oggetto di reato (attraverso la raccolta di tracce mnestiche dei fatti stessi nei testimoni e nella vittimatestimone) anche la comprensione delle motivazioni e delle dinamiche relazionali tra autore e vittima che hanno fatto sì che i due soggetti (o almeno uno di loro) abbiano deciso di risolvere un conflitto attraverso la commissione di un reato La vittimologia è tuttora considerata una scienza giovane anche se oramai è passato oltre mezzo secolo dai primi approcci “vittimologici” da parte di coloro che ne sono considerati i pionieri Comunque la vittimologia ha ottenuto un rapido successo, tanto da entrare anche a livello di linguaggio comune. Si riferisce alla vittima del reato o comunque della violazione di diritti La vittimologia, essendo interdisciplinare e multidisciplinare, nella suo sviluppo teorico e metodologico, ha subito gli influssi degli indirizzi sociologici e psichiatrici Gli scopi della Vittimologia Gli scopi della vittimologia. La vittimologia nasce come scienza autonoma all’interno di quello che può essere l’ambito della criminologia in generale: fino agli anni ’50 la criminologia aveva considerato la vittima, ma in modo marginale ovvero in funzione dello studio del criminale; solo dagli anni ’50 la vittimologia ha raggiunto una sua autonomia Gli scopi della vittimologia sono quelli diagnostici (lo studio della vittima può essere importante per la diagnosi della situazione e delle problematiche che emergono), preventivi rispetto al reato e riparativi perché si prende in considerazione la parte lesa in modo riparativo Questo cambiamento negli anni ’50 è avvenuto perché con la nascita della criminologia, quindi il centrare lo studio del fenomeno sull’autore di reato e sulle sue motivazioni, si era un po’ trascurata quella che in passato era vissuta come riparazione oppure come vendetta (nel codice arabo la pena di morte può essere sospesa dalla grazia dei familiari della persona o delle persone uccise; negli Stati Uniti possono partecipare all’esecuzione i familiari) Per quanto riguarda la storia attuale, solamente nel 1985 a livello internazionale si è affrontato il problema della vittima con la dichiarazione dell’ONU sui diritti della vittima. Prima tali diritti potevano essere sottointesi perché la vittima era comunque tutelata dalla giustizia, che difendeva la vittima andando a colpire il reato, però di fatto la vittima non veniva considerata e il tutto era imperniato su un discorso repressivo e sempre incentrato sul reo Fino agli anni 50, quindi, la criminologia era criminal-centrica e, tra l’altro, c’erano e probabilmente ci sono tuttora dei malintesi e dei modi scorretti di interpretare l’analisi della vittima: la vittimologia è una disciplina creata allo scopo essenziale di raffinare, perfezionare e aggravare le pene del reo. Molte critiche che sono state contrapposte alla vittimologia sostenevano la volontà di questa disciplina di enfatizzare il ruolo della vittima per tornare a un discorso di vendetta nei confronti del reo allontanandosi dal fine riparativo. Secondo alcuni, studiare la vittima o pensare dal punto di vista anche della vittima potrebbe essere pericoloso perché potrebbe indurci a non considerare le motivazioni del reo la vittimologia è una disciplina che si concreta nel trasferire la responsabilità del fatto dal reo alla vittima. Sostenere che la vittima ha giocato un ruolo attivo potrebbe significare che il reo non poteva fare altro la vittimologia è una disciplina per dare dignità scientifica alle lagnanze e alle querulomanie di persone che tendono ad associarsi sotto il vessillo dei crimini reali o presunti di cui avrebbero sofferto la vittimologia è l’equivalente scientifico del vittimismo Le tappe della vittimologia La vittimologia come scienza nacque nel 1948 in seguito a un articolo di Hans Von Hentig, che fu il primo a condurre uno studio organico sul tema della vittima, ma fu solo nel 1956 che Mendelsohn coniò il termine vittimologia intesa come autonoma scienza della vittimalità. Questi sono stati i primi passi fondamentali, seguiti negli anni ’60 da numerosi studi condotti da ricercatori ebrei che analizzavano le violenze e i traumi provocati dal dramma dell’olocausto e grazie a studiosi dell’Irlanda del nord Fino all’inizio degli anni ’60, di fatto, la vittimologia non esisteva come scienza ovvero era una parte della criminologia, c’era solo un interesse per l’autore del crimine e, solo successivamente, per l’analisi dell’ambiente e dei rapporti autore-vittima-ambiente Il primo Simposio Internazionale ha avuto luogo a Gerusalemme nel 1973, seguito del Convegno Internazionale di Bellagio del 1975 e dal secondo Simposio Internazionale di Boston nel 1976. Da allora si sono susseguiti vari congressi internazionali durante i quali si è andata definendo (utilizzando conoscenze di psicologia, di medicina e di giurisprudenza) questa nuova scienza della vittimologia Da un punto di vista storico, le tradizionali scuole di pensiero giuridico-criminologico, trascurarono sostanzialmente la vittima, infatti: Scuola Classica Non aveva alcun ruolo attivo in campo penale in quanto il reato era considerato come un evento diretto contro la società Il Positivismo Rivolge le attenzioni alle caratteristiche biologiche, psicologiche e sociali dei delinquenti ed alle possibilità di recupero tramite l’applicazione di misure riabilitative, con scarsa considerazione degli interessi e dei bisogni della vittima Il termine vittimologia venne creato per rappresentare un nuovo complesso di idee, una nuova prospettiva. La sia nascita si colloca nella prima metà del secolo scorso grazie al contributo di tre autori principali: Wertham (The show of violence, 1949) Hans Von Hentig Mendelsohn Wertham Il senso attribuito da quest’autore alla nuova scienza, era spiccatamente sociologico. Egli auspicava ad una “sociologia della vittima”. Si deve l’aver coniato per primo il termine vittimologia (1949) con l’intento di focalizzare l’attenzione sulla vittima del reato soprattutto nella genesi ed esecuzione di crimini violenti. Ripercorrendo alcuni famosi casi giudiziari individuò il legame indissolubile che lega il criminale alla sua vittima secondo il principio che ad ogni criminale la sua vittima Inoltre, mette in evidenza un altro concetto, quello della deumanizzazione della vittima deumanizzare e degradare la vittima facilita la commissione del reato, poiché consente all’autore di razionalizzare il suo operato e di neutralizzare il senso di colpa rendendo possibile l’esecuzione del reato Hans Von Hentig Quest’autore è considerato come il “padre” della disciplina. Egli diede avvio al nuovo settore d’indagine e di ricerche finalizzate al approfondire quali fattori, individuali e sociali, esponessero la vittima alla vittimizzazione e la possibile prevenzione (Bandini, 1993). Ha studiato per primo la vittima del reato in modo sistematico, cercando di tipizzarne le caratteristiche ed il contributo alla causa del crimine Hans von Hentig Nel suo libro “The Criminal and His Victim” elabora il concetto di coppia criminale, un paradigma che ribalta la centralizzazione sul reo e il ruolo passivo della vittima per la formulazione dell’ipotesi di coppia criminale: autore e vittima sono legati da una relazione indissolubile e significativa che li rende complementari. Tra vittima e autore di reato si strutturano segni, messaggi, gesti significativi che contribuiscono attivamente alla commissione del reato. Pur nella sua portata innovativa, l’intuizione dell’autore può creare un effetto perverso di colpevolizzazione della vittima e il rischio di confondere messaggi e segni impliciti con quello che è il concetto di provocazione come indicato nella prospettiva penalistica In sintesi, ha presentato i concetti di: criminale vittima: casi di persona prima vittima e poi delinquente; prima delinquente e poi vittima (il criminale assalta un negozio, il commerciante reagisce sparando e uccide il delinquente che diventa così vittima); a seconda delle circostanze oppure contemporaneamente, vittima e delinquente vittima latente: predisposizione a diventare vittima e ad attrarre il proprio aggressore (un portavalori, l’anziano che tiene i soldi in casa perché non si reca mai in banca...) rapporto vittima-delinquente Mendelsohn È stato il primo ad attribuire alla disciplina una sua autonomia (inversa rispetto alla criminologia). Avvocato, comincia a manifestare il suo interesse per la vittima del reato negli anni ’40. Focalizzò la sua attenzione ai crimini violenti (teorie sulla violenza carnale). Egli in una sua prima definizione considera impossibile nella sua esecuzione senza il consenso della donna. Successivamente rielaborò tale concetto, considerando che spesso tale consenso era del tutto fittizio e condizionato da relazioni di potere e situazioni sociali e familiari della vittima. Maggiormente a lui si deve l’aver sostenuto l’esigenza di uno studio della vittima dal punto di vista della sua tutela, nonché della prevenzione, evidenziando come tale interesse fosse, allo stato attuale, soprattutto destinato all’autore Mendelsohn Si pose domande che riguardavano il ruolo e lo status della vittima in rapporto al sistema sociale in generale e alla repressione penale. Sottolineò l’assenza di considerazione della vittima, il suo ruolo marginale nel processo penale e la mancanza di attenzione politica e sociale ai suoi bisogni (differenza con Hans von Hentig che aveva posto l’accento solo sulla necessità della prevenzione alla vittimizzazione, che poteva essere consentita dalla miglior conoscenza della vittima del crimine) In sintesi, Mendelsohn (1965) ha introdotto il concetto di “colpa” da verificare nella vittima, cioè quanta responsabilità attribuire alla vittima per l’accadimento dell’evento deviante (attenzione a non cadere nel malinteso di giustificare il criminale a favore della vittima, ovvero la colpa è anche della vittima) vittima “del tutto innocente”: la vittima che passa per strada e alla quale sparano dalla finestra vittima “con colpa lieve” e vittima “per ignoranza”: il passeggero che a bordo di un’auto distrae il guidatore e, causando una sbandata del veicolo, rimane ferito o ucciso vittima “colpevole quanto il delinquente” e vittima “volontaria”: il suicidio nella roulette russa, il suicidio per adesione o in coppia vittima “maggiormente colpevole del delinquente”: come nel caso della vittima provocatrice e della vittima imprudente vittima “con altissimo grado di colpa” e vittima “come unica colpevole”: ad esempio, il criminale che aggredisce una persona e viene da questa ucciso per legittima difesa Sparks (1982) ha esposto come un soggetto può contribuire alla propria vittimizzazione precipitazione: il comportamento della vittima può far precipitare l’evento (ad esempio, la provocazione fisica o verbale) facilitazione: la vittima, in maniera conscia o inconscia, si trova in contesti a rischio (ad esempio, una persona che attraversa di notte un quartiere particolarmente malfamato della città) vulnerabilità: la vittima è in pericolo per una sua particolare condotta o posizione sociale (ad esempio, una persona che viene mobbizzata sul posto di lavoro in quanto dipendente non gradito) opportunità: la vittima è in possesso di qualcosa che potrebbe richiamare l’interesse del criminale (ad esempio, una persona anziana che si reca da sola a ritirare la pensione) attrattività: la vittima è in possesso di qualcosa che potrebbe richiamare l’interesse del criminale (ad esempio, un rappresentante di gioielli) Elias (vittimologia radicale degli anni 80) La vittimologia e la criminologia seguono uno sviluppo parallelo, sono entrambe influenzate dal positivismo e dalla scuola di Chicago, soprattutto per quanto riguarda la prospettiva interazionista. Anche per quanto riguarda la vittimologia si supera la dimensione giuridica e penale, per una definizione più ampia di vittima, nella misura in cui, dallo studio del crimine in una prospettiva sociologica, si elabora il concetto di devianza Risoluzione Nazioni Unite n. 40/34 del 29.11.1985 (include due tipi di vittime) Vittime del crimine Vittime dell’abuso di potere Vittime del crimine “vittime significa persone che, individualmente o collettivamente, hanno sofferto una lesione, incluso un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva, perdita economica od una sostanziale compressione o lesione dei loro diritti fondamentali attraverso atti od omissioni che siano in violazione delle leggi penali operanti all’interno degli Stati membri, incluse le leggi che proibiscono l’abuso di potere criminale” Vittime dell’abuso di potere “vittime significa persone che, individualmente o collettivamente, hanno sofferto una lesione, incluso un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva, perdita economica od una sostanziale compressione o lesione dei loro diritti fondamentali attraverso atti od omissioni che non ancora costituiscono violazione delle leggi penali nazionali, ma delle norme internazionalmente riconosciute relative ai diritti umani” I Principi base della Giustizia per le Vittime di crimini e di abusi di potere Il diritto di essere trattati con rispetto e considerazione Il diritto di essere affidati a servizio di sostegno adeguati Il diritto di ricevere informazioni in merito ai progressi compiuti sul caso Il diritto a essere presenti ed esprimere il proprio parere nell'assunzione di decisioni Il diritto di avvalersi di consulenza legale Il diritto a ricevere un risarcimento, sia da parte di chi ha commesso il reato che da parte dello Stato Un effettivo strumento di tutela è stato approntato a livello dell’ordinamento giuridico internazionale: Corte Penale Internazionale Nella sua giurisdizione sono stati inclusi, oltre al crimine di genocidio, anche i crimini contro l’umanità, fra i quali è facile identificare i diversi casi denunciati, approfonditi e studiati dalla vittimologia. Lo Statuto è entrato in vigore il 1° luglio del 2002 La relazione vittima-criminale Gli studi interpersonali delle relazioni che si instaurano fra la vittima e il criminale possono dare notevoli apporti ai fini diagnostici al processo per esaminare la relazione vittima-criminale. Gli autori che hanno dato inizio allo studio della vittimologia considerano importante capire la relazione vittima-criminale, oltre che conoscere quelle che possono essere le motivazioni, le caratteristiche e la fenomenologia del criminale Le vittime privilegiate Ci sono vittime privilegiate, che sono quelle selezionate tra i più deboli e gli emarginati, le donne, i bambini e gli anziani (Gulotta 1981) Però le vittime possono essere molte: per esempio, la vittima può essere una persona che ha qualcosa che il reo intende rubare quindi può essere la persona che ha del denaro oppure la persona da truffare. Spesso diversi fattori di debolezza si sommano come nei confronti dell’anziano vittima delle truffe, fenomeno attualmente molto praticato nelle nostre città. Alcune debolezze in questi casi si sommano: il fatto di avere soldi in casa, la condizione di anziano, che si può riuscire ad influenzare o, comunque, non è aggiornato e non è pronto nelle sue reazioni rispetto magari a una richiesta di controllo sulle fughe di gas. In questo campo la criminalità ha organizzato vere e proprie associazioni a delinquere specializzate Dai dati di uno studio condotto a Milano nel 2003, su più di duemila anziani che frequentavano un centro ricreativo per anziani (quindi una popolazione socializzata, non chiusa in casa) emerge che l’anziano truffato è soprattutto la persona sopra gli 85 anni, che risulta più debole, a livello mentale, nelle capacità di reazione. Il numero delle truffe nelle quali cadono vittime gli anziani è impressionante: si parla di quattrocento truffe all’anno a Milano, ma probabilmente il numero reale è molto superiore (Codini 2004) Non si parla delle vittime Non si parla delle vittime se non al momento della conoscenza del fatto, ma l’orrore scompare presto: subito ci si concentra sull’autore del delitto piuttosto che su chi l’ha subito anche perché il reo è colui che deve essere fermato e sul quale deve intervenire la giustizia. In questa maniera si soddisfa la nostra privata e inespressa ferocia (Gulotta 1981), questa vendetta che forse non è mai stata annullata del tutto, “la legge del taglione” La visione tradizionale della vittima “L’offeso non pone alcun problema: basta seppellirlo”. Questa era la visione tradizionale fino agli anni ’50 per quanto riguarda un certo tipo di cultura (anglosassone e americana), mentre in Italia questa prospettiva si è mantenuta più a lungo (il primo libro sulla vittima fu scritto da Gulotta alla fine degli anni ’70) La classificazione delle vittime La classificazione classica delle vittime comprende: vittime passive, ovvero le vittime accidentali, professionali (per esempio, i tassisti che lavorano di notte), simboliche (per esempio, la suora uccisa a Chiavenna) e trasversali (per esempio, il familiare di un boss della mafia) vittime attive, ovvero le vittime aggressive (per esempio, il bandito ferito o ucciso dal commerciante che si difende), provocatrici, favorenti, disonoranti (per esempio, la moglie che tradisce il marito oppure la ragazza lapidata in Afghanistan dalla sua famiglia che si riteneva disonorata dal rifiuto della donna di tornare dal marito che le era stato scelto) e consenziente (per esempio, l’eutanasia attiva) Le modalità di vittimizzazione i sistemi attraverso cui un aggressore può sottomettere un’altra persona, ovvero i reati che riguardano la vittima, sono: abuso fisico abuso sessuale abuso verbale abuso emotivo o psicologico, come la denigrazione abuso spirituale, come costringere una persona a tradire la propria religione abuso economico, come la truffa e il furto abuso sociale, come gli scherzi esagerati (nonnismo militare), le critiche eccessive e continuate (mobbing), le accuse false e il controllo dei movimenti Da un punto di vista criminologicovittimologico, abbiamo più tipologie di violenza Violenza fisica (qualsiasi azione e comportamento che può provocare segni più o meno evidenti, dai lividi alle lesioni gravi fino alla morte) Violenza sessuale (qualsiasi forma di attività sessuale imposta contro la propria volontà) Violenza psicologica (qualsiasi atteggiamento verbale e non verbale, volto a ledere la libertà e l’identità personale) Violenza economica (tutto ciò che direttamente o indirettamente concorre a rendere la donna dipendente, fino al punto di non avere mezzi economici sufficienti a soddisfare i bisogni di sussistenza propri e/o dei figli) Comportamento persecutorio (Stalking) (tutti quei comportamenti persecutori messi spesso in atto quando la donna cerca di allontanarsi o ha interrotto una relazione) … e dunque più tipologie vittime (minori più a rischio – vittimologia minorile) Minori come vittime (a rischio di maltrattamento, maltrattato “anche la trascuratezza”, d’incesto, di pedofilia). Fattori: madre, coppia genitoriale, handicap, l’ambiente sociale Anziani come vittime (fattori legati all’anziano e/o all’entourage). Fattori: perdita della funzione sociale, isolamento, dipendenza Malati di mente come vittime Donne vittime di aggressioni sessuali (nei gruppi, pianificazione di violenze sessuali da parte dell’Autorità in un contesto di guerra, prostituzione) Vittime di maltrattamenti in famiglia (violenze coniugali, maltrattamenti dei minori in famiglia, maltrattamenti degli anziani in famiglia). Vittimologia indiretta: assistere a scene di violenza Vittime di violenza in età scolare e bullismo (tipologia del bullo, tipologia delle vittime) Vittime del molestatore sul luogo di lavoro (mobbing) Vittime del molestatore segugio assillante (possibili effetti sulla vittima di stalking) Vittime di sequestro di persona Vittime delle Sette (metodi fisici di condizionamento: isolamento, privazione del sonno, metodi psichici di condizionamento: cambiamento di nome, formule sacre, sette sataniche, danno sulle vittime) Vittime d’incidenti stradali (cause legate all’uomo, cause indipendenti dall’uomo) Vittime di reati penali (vittime della delinquenza organizzata) Vittime di catastrofi naturali (tipo di avvenimento responsabile, psicopatologia individuale, psicopatologia collettiva) Vittime di guerra Vittime della tortura (lesioni fisiche conseguenti, lesioni psicopatologiche conseguenti) Vittime di crimini contro l’umanità (vittime di genocidio) Vittime delle reazioni da lutto (lutto patologico) L’incontro della vittima e dell’autore del fatto criminoso Molti casi di violenze sui bambini e sulle donne avvengono in famiglia, quindi l’incontro avviene all’interno di una relazione affettiva che si è instaurata negli anni. È da sottolineare, però, come negli ultimi anni Internet è all’origine di incontri pericolosi, incontri che possono sfociare in crimini Porsi dalla parte della vittima Porsi dalla parte della vittima significa fare breccia attraverso secoli di accettazione e di rassegnazione. Le matrici di queste sono molto lontane: nella nostra cultura, per esempio, notevole peso ha avuto il Cristianesimo che ha beatificato la sofferenza (Gulotta). In passato vigeva la legge del taglione e la vittima esigeva la sua vendetta; nei secoli la vittima è stata messa da parte, non è stata più considerata e, quindi, è stata due volte vittimizzata I tre modelli per limitare l’incidenza del crimine Nel corso degli anni la criminologia ha individuato dei modelli che possono ridurre il numero di atti criminosi. Tali modelli sono stati sintetizzati da Gulotta in: repressione o punizione, che presenta dei limiti in quanto per essere efficace la pena: 1. non deve essere troppo severa, ma sufficiente contro il significato gratificante dell’azione, 2. deve essere certa, 3. deve essere contigua all’azione terapia, ovvero la cura del reo, che è limitata dal fatto che: 1. si può curare una nevrosi ma non si può fare nulla davanti a scelte esistenziali determinate dall’appartenenza a una sottocultura o dall’anomia ovvero dalla carenza di norme sociali, 2. vi è un’impreparazione del sistema terapeutico, 3. alcuni criminali simulano “la fuga nella virtù”, una buona condotta per poter uscire prevenzione: certamente rendendo più giusta la società (per esempio, evitando sacche di povertà come le “favelas”) le vittime diminuiranno, ma non dobbiamo attenderci da interventi parziali dei risultati utili completi. La prevenzione deve avvenire, oltre che nei confronti del delinquente, attraverso un intervento sull’ambiente, sulla personalità della vittima e sulle situazioni perché solo tali misure possono efficacemente influenzare il tasso di criminalità e di vittimizzazione È opportuno rammentare che… Prima vittimologia: ruolo della vittima nell’evento criminoso per capire dinamica e motivazioni del criminale Seconda vittimologia: aiuto e assistenza alla vittima, non solo di agiti criminali ma anche di catastrofi La ricerca in vittimologia Ricerche direttamente vittimologiche e ricerche indirettamente vittimologiche a seconda delle loro finalità (studio di vittime o di reati) Ricerche qualitative e ricerche quantitative Ricerche a scopo diagnostico Ricerche a scopo preventivo Ricerche a scopo riparativo Definizione e ambiti di ricerca Analisi Quantitativa Statistiche Analisi Qualitativa Caratteristiche biologiche-psicologiche -sociali Relazione vittimaautore di reato Fattori che predispongo no la vittimizzazione Le caratteristiche della vittima. La probabilità di divenire vittima di un crimine non è ugualmente distribuita fra tutti gli individui in quanto esistono delle circostanze (l’età, il sesso...), proprie di alcuni soggetti, che favoriscono certi tipi di condotta criminale; tali circostanze costituiscono una sorta di predisposizione specifica nei confronti di determinati reati Predisposizioni vittimogene specifiche (caratteristiche) BIO-FISIOLOGICHE condizione fisica) (età, sesso, SOCIALI (professione, status condizione sociale, stile di vita) razza, sociale, PSICOLOGICHE E PSICHIARTICHE (carattere e personalità, stati psicopatologici, deviazioni sessuali, tossicodipendenza) Interventi sulle vittime In ambito giudiziario Diritto da parte di chi ha subito un danno al risarcimento e alla costituzione di parte civile durante il processo penale Nel caso di soggetto incapace o minorenne, risponde chi esercita la tutela (genitori, tutore, insegnante, etc..) Interventi sulle vittime In ambito psicosociale Programmi di mediazione sociale e interculturale in ambito comunitario e istituzionale Interventi psicologici e psicoterapeutici da parte di agenzie specialistiche Programmi di riparazione e riconciliazione vittima/autore di reato attivati all’interno del processo e dell’esecuzione penale Interventi sulle vittime In ambito istituzionale Informazione Accoglienza Assistenza giudiziaria Assistenza psicologica Accoglienza dei minori in caso di violenza domestica Percezione della vittima sul piano psichiatrico forense, giuridico e psicosociale Evoluzione da vittima ignota a valorizzata Vittima sacralizzata (in un rituale sacrificale, viene offerta alla divinità) Vittima ignorata (per lungo la scissione tra ruolo di criminale e quello di vittima) Vittima criminalizzata (l’importanza della vittima nelle dinamiche delittuose. Non solo l’autore ma partecipa anche la vittima) Vittima tutelata (sotto il profilo fisico, emotivo e sociale, la parte più fragile. Vittima come soggetto debole) Vittima valorizzata (la vittima partecipa ai vari gradi del processo penale con possibilità di partecipare ed essere risarcita) La vittima nata come ci sono criminali che presentano la tendenza a a delinquere, ci sono anche individui che presentano una propensione ad assumere il ruolo di vittima Caratteristiche personologiche Il masochismo manifesto (es. insegnante che sminuisce il proprio lavoro agli occhi degli allievi) Il sadomasochismo (es. mi comporto in modo da farmi aggredire) L’autopunitività da successo sociale (sono convinte che il loro successo abbia attirato invidie, gelosie. Alcune volte provano sensi di colpa) L’incapacità a tutelarsi “Sindrome di Abele” (persona incapaci di tutelarsi, ad es. persone buone, ingenue) L’equivalente suicidario esistenziale (persone che in assenza di impedimenti, rinunziano a valorizzarsi come vorrebbero, finiscono per rinnegare la propria autenticità)) L’equivalente suicidario fisico (mettono in atto comportamenti suicidari a seguito es. di separazione, abbandono) Caratteristiche personologiche Il culto dell’eroe in negativo (persone che cercano di essere eroi in positivo ma senza risultati.. “da più bello a più brutto” La reattività controfobica (reagiscono a ciò che fa loro paura affrontando l’oggetto) La ricerca di superstimolazioni (ci sono individui che hanno bisogno di stimolazioni intellettuali, emotive e fisiche sopra la norma per raggiungere un loro apparente e soddisfacente equilibrio psichico) La provocatorietà ipomaniacale (atteggiamenti di contestazione, soprattutto all’Autorità, facilitano dinamiche vittimogene) La suggestionabilità patologica (soggetti utilizzati e che vengono manipolati, es. la madre che fa uccidere il padre dal figlio schizofrenico) Ruolo della vittima nell’evento criminale Vittima innocente (es. infanticidio) Sacrificale (individuo che va incontro alla sua sorte con atteggiamento psicologico di rassegnazione commisto ad uno spirito di sacrificio) Plurigenerazionale (il ruolo di vittima è tramandato da generazione in generazione) Precipitante (l’individuo che con il suo comportamento può, anche involontariamente, precipitare l’evento delittuoso) Ruolo della vittima nell’evento criminale Recidiva (individuo malato di tumore che dà il soldi ad una maga per toglierle il malocchio) Intermittente (Il caso dei pazienti affetti da disturbo bipolare) Bloccata (scomparsa di una persona cara e vivono situazione depressiva) Imprudente (individuo incapace di valutare il rischio) Consenziente (es. il suicidio-omicidio del consenziente) Ruolo della vittima nell’evento criminale Negligente (diviene vittima per negligenza) Volontaria (bisogno di assaporare le emozioni legate al rischio, es. guida dei giovani in contromano) Alternante (alcune volte sono vittime e altre volte aggressore) Futuro criminale (es. biografia di grandi criminali - da giovani maltrattati -) Selezionata (scegliere la vittima con determinate caratteristiche al fine di compiere il crimine con minor rischio) Ruolo della vittima nell’evento criminale Per sentimento di colpa (pensano di aver ricevuto dalla vita più di quanto sia stato offerto agli altri) Permanente (sebbene senza specifiche psicopatologiche, presentano tratti personologici che li predispongono verso situazioni vittimologiche) Occasionale (es. l’occasione fa l’uomo ladro) Eroica (es. Kamikaze) Da ansietà da vittimizzazione (dopo un evento negativo sviluppano ansietà e insicurezza) Immaginaria (si dichiarano in apparente buona fede, oggetto di soprusi, violenze, senza alcuna corrispondenza con la realtà) Interscambiabilità dei ruoli Da criminale a vittima (un soggetto che agisce e si comporta come un criminale può altresì divenire, in un tempo successivo, una vittima, es. criminali emarginati dalla società) Da vittima a criminale (esperienze frustranti e destabilizzanti nell’infanzia, es. abusato da piccolo) Criminale e vittima contemporaneamente Vittima o criminale per caso (es. dopo una lite ambedue cercano di uccidersi con un’arma Schemi comportamentali tra criminale e vittima Complementari Non complementari Schemi comportamentali non complementari tra criminale e vittima conosciuta (es. marito che uccide la moglie) tra criminale e vittima sconosciuta (persone sconosciute, incontratesi in modo del tutto occasionale, es. schizofrenico che uccide perché pensa che chi lo aveva aggredito aveva la barba rossa) Schemi comportamentali complementari Coppia reciprocamente maltrattante Coppia estorsore-estorto Coppia avvelenatore-avvelenato Coppia con l’alcolista violento Coppia prosseneta-prostituta Coppia con il tiranno familiare Coppia madre-figlio tossicodipendente Coppia genitore-figlio psicotico Coppia criminale dominante-succube (criminali: serial killer il dominante, succube il compagno che aiuta a sbarazzarsi dei cadavere) Reazioni emotive della vittima nei confronti dei criminale Meccanismi psicologici di difesa della vittima Minimizzazione (sottovalutare il pericolo) Negazione (pur riconoscendo e comprendendo la realtà nella sua reale dimensione, ci comporta come se non esistesse. Negare la realtà) Seduzione dell’aggressore Identificazione con l’eroe Scissione (consiste in una netta separazione: ottime qualità o crudele persona) Regressione (in situazioni frustranti tenta di tornare a precedenti fasi di sviluppo che offrivano maggior sicurezza Etc… Reazioni emotive dell’aggressore nei confronti della vittima Meccanismi psicologici dell’aggressore Disumanizzazione (priva la vittima dei suoi attributi di umanità) Svalorizzazione (sminuire le qualità della vittima) Intimidazione (costringere ad uno stato costante di paura) Identificazione proiettiva (trasferire su altri le reazioni aggressive e crudeli che sono sue proprie) Minimizzazione (permette di ridurre l’importanza che può avere un certo comportamento o atteggiamento) Negazione delle prove di colpevolezza (certezza dell’impunità) Negazione di responsabilità (“non sono stato io”, fino ad un vero e proprio delirio di innocenza) Etc… Conseguenze del trauma sull’equilibrio psichico della vittima (aspetti clinici) Disturbo acuto da stress (sintomi marcati d’ansia, etc.. . Dalle poche ore successive al trauma fino a 4/5 settimane) Disturbo post traumatico da stress (sintomi che persistono oltre i 30 giorni) Depressione (difficoltà di comprensione, diminuzione della iniziativa, perdita di appetito, etc..) Disturbo bipolare (questa condizione tende a presentare fasi depressive seguite da fasi maniacali) Conseguenze del trauma sull’equilibrio psichico della vittima (aspetti clinici) Distimia (è una forma di depressione minore nel senso che comporta una minore compromissione delle relazioni sociali e dell'attività lavorativa) Autolesionismo Suicidio Abuso di sostanze Disturbo del comportamento alimentare Disturbo d’ansia Sindrome del sopravvissuto (caratterizzata da tensione con ipervigilanza, iperattività, irritabilità, incubi notturni) Sindrome da privazione della libertà in istituzioni chiuse (es. carceri, ospedali psichiatrici, etc.. . Si presenta con turbe della memoria, difficoltà d’attenzione e concentrazione, irritabilità umore depresso, isolamento, etc.. Tappe del trattamento di psicoterapia Fasi fondamentali dell’intervento psicoterapico Valutazione dei sintomi post-traumatici Terapia specifica mirata sui sintomi Valutazione dei sintomi iniziali confrontati con i risultati terapeutici Valutazione clinica della sintomatologia e dei fattori associati Psicoeducazione sul disturbo post-traumatico da stress Trattamento dei sintomi affettivi e delle emozioni Trattamento dei sintomi cognitivi e del pensiero Conclusioni del processo terapeutico Facciamo qualche esempio La sindrome di Stoccolma La relazione autore – vittima Soltanto attraverso lo studio della relazione autore-vittima è possibile comprendere non solo il perché si è consumato un reato, ma anche e soprattutto perché un reato si è verificato proprio tra quei due soggetti e non tra altri, perché si è verificato proprio quel tipo di reato e non un altro, perché il reato si è verificato proprio in quel momento e non in un altro, perché si è verificato proprio con quelle particolari modalità e non con altre… La relazione autore – vittima Da quando la criminologia ha iniziato ad occuparsi della relazione autore-vittima lo ha fatto studiando detta relazione prima del reato in modo da comprendere perché quel determinato reato ha coinvolto proprio quelle due persone e con quelle particolari modalità e non con altre. Successivamente la criminologia ha iniziato a studiare detta relazione dopo il reato, ad esempio nei programmi di mediazione penale. Mai, prima d’ora, la criminologia aveva studiato detta relazione durante il reato L’evento Periodo: giovedì 22 agosto 1973, ore 10,15 Località: Stoccolma, Sveriges Kreditbank Durata dell’evento: 131 ore Numero ostaggi: 4 impiegati (tre donne e un uomo) Età: tra i 21 e i 31 anni Sequestratore: evaso di 32 anni con complice I fatti Le vittime temevano la polizia più di quanto non temessero i rapinatori “I ladri ci stanno proteggendo dalla polizia” Dopo il rilascio, alcuni degli ostaggi si chiesero: “Perché non odiavamo i sequestratori?” Per molte settimane dopo il rilascio: incubi di una possibile fuga dai sequestratori, pur non provando alcun odio per essi Sensazione che i criminali avessero ridato loro la vita, e quindi si sentivano emotivamente in debito verso i loro sequestratori per questa loro generosità Il fenomeno La Sindrome di Stoccolma sembra essere una risposta emotiva automatica, spesso inconscia, al trauma del divenire un ostaggio. Tale risposta non è una scelta razionale della vittima. Essa comprende un alto grado di stress Tale fenomeno coinvolge sia gli ostaggi che il sequestratore, i quali sviluppano la filosofia del “siamo noi contro di loro” (intendendo quel “loro” come le forze di polizia) Le fasi Sentimenti positivi degli ostaggi verso i loro sequestratori Sentimenti negativi degli ostaggi nei confronti della polizia Reciprocità dei sentimenti positivi da parte dei sequestratori Il tempo Il trascorrere del tempo può produrre un legame positivo o negativo, che dipende dalle interazioni degli ostaggi e dei sequestratori. Se costoro non abusano delle loro vittime le ore trascorse insieme produrranno, molto probabilmente, risultati positivi. “La Sindrome di Stoccolma non è un “fenomeno magico” ma una logica conseguenza di un’interazione umana positiva” (Strentz, 1976) Una testimonianza “Dopo che tutto era finito e che eravamo salvi ho realizzato che i sequestratori mi avevano fatto passare l’inferno, e avevano causato ai miei genitori ed alla mia fidanzata un forte trauma. Eppure io ero vivo. Ed ero vivo perché essi mi avevano lasciato vivere. Voi conoscete soltanto poche persone, o forse nessuna, che possa tenere la vostra vita nelle sue mani, e ridarvela quando vuole. Quando tutto fu finito, ed eravamo salvi e loro avevano le manette, io andai verso di loro e li baciai ad uno ad uno dicendo: “Grazie di avermi ridato la vita”. So bene che sembra ridicolo, ma è così che mi sentivo” La relazione autore-vittima è una terza creatura, unica e irripetibile, non confrontabile con nessuna altra relazione Si sono formate sostanzialmente 3 opinioni sull’eziologia della sindrome: Si deve ricondurre allo stato di dipendenza delle vittime dal carnefice Si deve ricondurre al meccanismo di difesa freudiano dell’”identificazione con l’aggressore” Si deve ricondurre ad un forte sentimento di gratitudine delle vittime per non essere state uccise È importante sapere che… Le ricerche svolte fino ad oggi in materia non hanno identificato un tipo di personalità che sembri più incline alla Sindrome di Stoccolma cosa significa ciò? Ciò significa che questo fenomeno è essenzialmente di tipo relazionale, che dipende dalla relazione instaurata tra sequestrato e sequestratore, e dalle condizioni esterne ed ambientali particolari Interazione sequestratore - sequestrato Nella vittima la necessità di sopravvivere è più forte del suo impulso ad odiare la persona che gli ha creato il trauma. Ad un livello inconscio l’Io ha messo in moto i propri meccanismi difensivi nella corretta sequenza di diniego, regressione, identificazione o introiezione, al fine di sopravvivere. “La Sindrome di Stoccolma è in fondo un altro esempio dell’abilità dell’Io sano a lottare e ad adattarsi di fronte alla tensione prodotta da un trauma” Conclusione Le vittime del caso originario di Stoccolma continuarono a visitare i loro sequestratori in carcere, ed una delle impiegate della banca si è fidanzata con uno di essi. In altri casi le vittime hanno stanziato fondi per la difesa legale dei loro sequestratori Esempio di intervento su una vittima di abuso sessuale Classificazione delle forme di abuso 1. 2. Maltrattamento: Fisico Psicologico 1. 2. 3. Patologia delle cure: Incuria Discuria Ipercura 1. 2. Abuso sessuale: Intrafamiliare Extrafamiliare Innanzitutto bisogna… 1. Sospendere le aspettative e il giudizio 2. Osservare quanto accade 3. Astenersi da forme immediate di intervento 4. Ascoltare le emozioni attivate da quanto osservato E’ necessario conoscere: 1. Gli stadi e le crisi evolutive 2. Ciò che differenzia la normalità dal disagio/patologia 3. Le caratteristiche del disagio correlato all’abuso 1° Stadio: Età 0 – 1 anno (Allattamento e suo termine) Segnali di disagio normali/transitori Inappetenza con riduzione dell’apporto alimentare e perdita di peso; Pianti prolungati, monotoni; Paura degli estranei; Temporanei disturbi del sonno. Segnali di disagio patologici/rigidi Ritiro marcato delle relazioni; Persistenza di pianti inconsolabili; Blocco oppure grave inibizione dell’attività motoria; Perdita di peso persistente per rifiuto del cibo; Gravi disturbi del sonno. 2° Stadio: Età 1 – 3 anni (La scoperta del mondo) Segnali di disagio normali/transitori Segnali di disagio patologici/rigidi Fino allora era buono e docile, diventa testardo e aggressivo; Oppure da prevalentemente attivo ora si chiude in se stesso, abbandona i giochi, evita le relazioni. Persistenza di comportamenti rigidamente oppositivi; Oppure chiusura e rifiuto sociale; Regressione delle recenti acquisizioni (es. linguaggio). 3° Stadio: Età 3 – 6 anni (La conoscenza del mondo) Segnali di disagio normali/transitori Ansia di separazione; Ritardo del controllo sfinterico; Imperfezioni del linguaggio; Sporadiche balbuzie; Regressione del linguaggio; Fobie verso gli animali divoratori; Ansia di danneggiamento fisico (ansia di castrazione); Masturbazione; Onicofagia (si mangia le unghie). Segnali di disagio patologici/rigidi Enuresi; Encopresi; Tic, balbuzie, fobia diurna e notturna; Rifiuto dell’inserimento nella scuola dell’infanzia; Si ammala frequentemente. 4° Stadio: Età 6 – 10 anni (La scolarizzazione) Segnali di disagio normali/transitori Temporaneo rifiuto scolastico; Difficoltà di apprendimento; Difficoltà di relazioni con adulti e coetanei; Tendenza all’isolamento; Scrupolosità per l’ordine o disordine; Tendenza all’iperattività; Crisi di opposizione a genitori e insegnanti. Segnali di disagio patologici/rigidi Marcata chiusura e isolamento dalle relazioni sociali; Comportamento oppositivoprovocatorio verso genitori e insegnanti; Rilevante iperattività; Comportamenti aggressivi; Caduta del rendimento scolastico; Depressione, ansia, fobie, ossessività. 5° Stadio: Età 11 – 17 anni (Prepuberale-puberale) Segnali di disagio normali/transitori Opposizioni differenziate rispetto ai genitori; Presenza di “critica”; Insoddisfazione dell’immagine corporea; Aumenta il “senso estetico”; Labilità emotive e dell’umore; Facilità di cortocircuito e agiti. Segnali di disagio patologici/rigidi Forte variabilità dell’umore; Eccessiva timidezza o rancore nei confronti del mondo; Persistente oppositività; Tendenza al comportamento deviante; Alternanza di ricerca e rifiuto della vicinanza corporea con l’adulto; Disturbi alimentari; Dismorfofobie; Uso di “sostanze”; Problematicità della sfera sessuale; Gravi depressioni; Tentativi di suicidi; Iperazionalismo freddo; Comportamenti ossessivi-compulsivi; Episodi allucinatori e deliranti. Cosa differenzia la “normalità” dalla “patologia” Ciò che le differenzia non è la presenza dei segnali di disagio (rintracciabili anche nelle crisi evolutive dello sviluppo “normale”), quanto piuttosto il loro persistere senza possibilità spontanea di remissione In ogni vittima sono rintracciabili degli indicatori (non specifici) Esempio: vittima di abuso sessuale I segni fisici I segnali comportamentali I segnali emotivi I segni fisici Non sempre sono presenti dei segni fisici, per lo più ai genitali ma non solo, e in assenza di essi non è possibile affermare che “sicuramente” l’abuso sessuale non si è realizzato. Nel caso di segni fisici, è necessaria la valutazione del danno da parte di un medico specialista (medico legale, ginecologo), che abbia una specifica competenza al fine di una diagnosi differenziale tra segni fisici di origine organica oppure accidentale o intenzionale. I segnali comportamentali Conoscenza precoce del comportamento sessuale e relative allusioni con parole, gesti, disegni; Masturbazione coatta; Introduzione di oggetti in vagina; Comportamento marcatamente seduttivo; Inibizione alla sfera sessuale; Distorsione della percezione corporea; Costante rifiuto a spogliarsi per visite mediche e a cambiarsi per l’attività sportiva; Disturbi psicosomatici della sfera alimentare e sfinterica; Atteggiamento remissivo; Aggressività verso adulti e coetanei o verso se stesso; Scarsa socializzazione; Tendenza all’adultomorfismo; Caduta del rendimento scolastico; Frequenti e/o prolungate assenze da scuola. I segnali emotivi Vissuto traumatico della sessualità; Senso di impotenza; Sensazione di essere tradito; Perdita di parametri affidabili di giudizio; Ostilità verso l’adulto non protettivo; Paura di essere rifiutati dall’adulto potenzialmente protettivo e della stigmatizzazione familiare; Incubi notturni; Crisi d’ansia; Sintomi fobico-ossessivi soprattutto connessi con l’intrusione e lo sporco; Depressione con tristezza, perdita di autostima. Non ho parlato di indicatori specifici, perché? SINTOMI DI ABUSO SINTOMI DA SEPARAZIONE DEI GENITORI Ansia, stress Ansia, stress Pianti, irascibilità, paura, disturbi del sonno e dell’alimentazione Pianti, irascibilità, paura, disturbi del sonno, incubi, crisi di pianto, comportamenti aggressivi Sensi di colpa per non essere riuscito ad evitare l’abuso Sensi di colpa per l’infelicità dei genitori Eccesso di masturbazione, spiccata erotizzazione nei giochi e nei comportamenti Eccesso di masturbazione, spiccata erotizzazione nei giochi e nei comportamenti Errori comuni da parte degli esperti i ragionamenti auto-immunizzanti 1. La bambina dunque è vero racconta: 1. La bambina non racconta o ritratta: ha paura, dunque è vero 2. La bambina non vuole rivedere il padre: teme che si ripeta l’abuso 2. La bambina vuole rivedere il padre: è erotizzata 3. La madre non dubita dell’abuso: le madri queste cose le sentono 3. La madre dubita dell’abuso: è una madre collusiva 4. La bambina racconta dell’abuso senza dettagli: sta cercando di rimuoverlo 4. La bambina racconta dell’abuso con dettagli: ne è rimasta impressionata 5. La bambina è attaccata al padre: si è creato un legame erotizzato 5. La bambina odia il padre: è rimasta traumatizzata Stralcio di relazioni • • • • • • • • Al colloquio, la sig.ra Maria, madre della minore Matilde, è apparsa alquanto dubbiosa circa la violenza subita dalla figlia. Le scriventi ritengono, pertanto, che la sig.ra Maria sia poco trasparente e protettiva, evidenziando una buona dose di segretezza La sig.ra Renata racconta dell’ottimo rapporto che ha con la figlia Roberta; infatti la stessa non dubita circa le dichiarazioni fornite dalla bambina. Gli operatori ritengono, vista la relazione tra madre e figlia, molto attendibile quando dichiarato dalla madre Non vi è dubbio circa il racconto della minore Federica, avendo la stessa narrato tranquillamente i fatti. Gli operatori ritengono attendibile e veritiera la narrazione La minore è apparsa alquanto frastornata….ritrattando quanto precedentemente verbalizzato. Non si esclude che possa aver paura Il racconto del minore è stato molto sommario e veloce, privo di indicazioni temporali, luoghi e modalità. Appare plausibile che lo stesso stia mettendo in atto un meccanismo di rimozione Il papà metteva….faceva….e poi un’altra volta mi ha detto che…. Nel colloquio la bambina ha raccontato l’abuso con straordinari dettagli, rimanendo nel contempo impressionata Gli operatori hanno constatato, nel tempo, un forte rapporto tra zio e nipote. Ampia letteratura al riguardo, ne cita tale relazione quale legame erotizzato La minore non vuole assolutamente vedere il genitore….si ritiene che sia rimasta, dal ripetersi degli atti di violenza, traumatizzata L’operatore di fronte al “racconto spontaneo” sull’abuso: Può fare Condividere lo stato emotivo e comunicare al bambino la comprensione per la situazione difficile; Eventuali domande aperte che permettano al bambino il racconto in modo libero; Comunicargli l’interesse ad aiutarlo; Confrontarsi con i colleghi e gli altri professionisti per attivare l’intervento; Valutare l’opportunità di colloquio con i genitori. Deve evitare Domande inquisitorie; Manifestare spavento, disgu sto, ansia eccessiva per quanto ascoltato; Commenti o giudizi negativi su chi ha compiuto il maltrattamento/abuso e/o su chi lo ha permesso; Prendere iniziative affrettate senza avere esaminato la situazione ed essersi consultati con i colleghi e gli altri professionisti. Rischio di vittimizzazione Vittimizzazione primaria (relazione con l’autore del fatto) Vittimizzazione secondaria (l’iter giudiziario e processuale) Vittimizzazione terziaria (l’autore rimane ignoto oppure viene assolto) La vittima in rapporto al Diritto Il percorso della vittima Indagini preliminari (acquisizione degli elementi di prova) G.I.P. Dibattimentale (formazione della prova) Post-dibattimentale (percorso sostegno psicologico, etc…) terapeutico, Il percorso della vittima nel contesto penale Fase delle Indagini Preliminari P.M. Richiesta di Rinvio a giudizio P.M. Richiesta di Archiviazione G.I.P. Udienza Preliminare Dibattimento Rito abbreviato, patteggiamento La gestione del conflitto Tipi di Mediazione La mediazione scolastica Basa i suoi principi sui conflitti tra studenti (es. bullismo, forme prevaricazione e violenza dei ragazzi nei confronti di altri sia fisica che psicologica); Disagi gravi possono causare anche il ritiro dalla scuola stessa; Il peggioramento scolastico. del rendimento La mediazione familiare È una procedura in cui un terzo, neutrale e qualificato, viene sollecitato dalle parti per fronteggiare la riorganizzazione resa necessaria dalla separazione Il ruolo del mediatore è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e reciprocamente accettabile, tenendo conto dei bisogni di ciascun componente familiare e soprattutto dei figli La mediazione penale E’ una procedura informale in cui la vittima e l’autore del reato aderiscono liberamente ad un incontro e tramite l’ausilio del mediatore esprimono opinioni, bisogni, emozioni Permette di trovare una soluzione comune al loro conflitto che preveda anche accordi per una riparazione materiale e/o simbolica del danno Riconciliazione tra autore del reato, vittima, società Attenzione particolare viene riservata alla vittima L’obiettivo è quello di trasformare la relazione tra antagonisti in relazione tra persone che si assumono una responsabilità La mediazione culturale e linguistica Interviene in presenza di conflitti tra persone di etnie o culture diverse, spesso originati dalla scarsa conoscenza dei reciproci usi e costumi assai diversi tra loro La mediazione ambientale Volta alla soluzione dei conflitti sorti nel rapporto fra i cittadini e le pubbliche amministrazioni L’obiettivo è quello di riaprire fra le parti il canale comunicativo e di porre ciascuna di esse in una situazione di comprensione delle esigenze dell’altro La mediazione nei luoghi di lavoro Gestire i conflitti che possono sorgere all’interno dei luoghi di lavoro Gestire i conflitti interpersonali dovuti ad episodi di mobbing Le difficoltà di convivenza dovute a diversità etniche, linguistiche o religiose Evitando di arrivare a costituire materia di competenza sindacale o giudiziaria La mediazione penitenziaria Mira a ridurre la conflittualità fra la popolazione carceraria La mediazione interculturale Interviene in quell’area dove è avvertita l’esigenza e la necessità di interventi in un territorio che si va sempre più connotando come multietnico, multiculturale, multirazziale (es. nella regione Puglia) Il concetto di mediazione si configura, quindi, come un vero e proprio spazio di educazione civica e sociale INTRODUZIONE ALLA MEDIAZIONE PENALE Linee guida per la Mediazione Penale 1. La necessità di sostenere una cultura positiva della mediazione e dei conflitti (oggi manca una cultura mediatoria “positiva”; c’è chi supporta un’ideologia di guerra, di prevaricazione e di rivalsa); 2. La coerenza dell’approccio sistemico nella prassi sia operativa che formativa della mediazione (l’ottica sistemica si propone come metodo di osservazione che ne amplia il campo pur riconoscendo l’esigenza di circoscrivere gli obiettivi dell’intervento di mediazione. La mediazione è un processo interattivo legato alla relazione ed al contesto); 3. L’applicabilità della mediazione in diversi contesti (la mediazione può applicarsi a diversi contesti). Obiettivi della Mediazione Penale 1. Stimolare l’autore del reato a confrontarsi con le conseguenze delle proprie azioni 2. Rivalutare la vittima anche attraverso l’atteggiamento di disponibilità e attenzione da parte dell’autore del reato 3. Promuovere nuovi valori sociali che superino la contrapposizione ideologica e morale fra reo e vittima La Mediazione Penale si colloca in un ambito per la quale reo e vittima, adeguatamente supportati, realizzano l’opportunità di prendere parte alla gestione del conflitto causato dal reo del fatto, anziché limitarsi a sottostare ad un giudizio pronunciato da altri Paradigmi di giustizia Retributiva Crimine definito come violazione dello Stato; Offesa definita in termini puramenti legali; Debito verso la società e lo Stato in modo astratto; No incoraggiamento per perdono e pentimento; Dipendenza da legali. Riparativa Crimine definito come violazione interpersonale; Offesa compresa nel contesto morale, sociale e politico; Debito verso la vittima; Possibilità di perdono e pentimento; Diretto coinvolgimento dei partecipanti. Retributiva Riparativa Sottolinea i valori individualistici e competitivi, mette lo Stato in linea diretta e simmetrica nei confronti dell’aggressore, mentre la vittima è ignorata e deve ritenersi soddisfatta dalla condanna che lo Stato infligge al colpevole. Offre maggiori possibilità di recupero del colpevole e riparazione della vittima, collocando l’offesa non in un contesto astratto, ma all’interno di luoghi reali, intesa nelle sue determinanti sociali, morali e politiche. Riconoscendo il debito verso la vittima e contemplando l’azione riparativa, permette di rendere mobile lo stigma, attraverso il perdono e il pentimento. Studio di Roberts (1995) sugli effetti della Mediazione Penale La vittima Si è sentita ascoltata; L’aggressore non esercita controllo su di loro; Vede nell’aggressore una persona e non più un mostro; Si affida maggiormente agli altri; Ha meno paura; Non è più preoccupato per l’ag gressore; Si sente in pace; Non ha più idee suicidarie; Non ha rabbia. L’aggressore Scopre le emozioni, i sentimenti d’empatia; Aumenta la consapevolezza dell’impatto delle sue azioni; Aumenta l’autocoscienza; Apre gli occhi sul mondo reale anziché su quello istituzionale; Ha buoni sentimenti sul proces so mediatorio; Acquisisce pace mentale nel riconoscere di aver aiutato una vittima del suo comportamento. G. Bateson, punto di riferimento di ogni pensatore sistemico, ci suggerisce alcune riflessioni. Nel suo saggio “Mente e Natura” egli afferma: “E’ interessante considerare la natura di un concetto quale “delinquenza”. Ci comportiamo come se la delinquenza si potesse eliminare con la punizione di alcune parti di quelle che consideriamo azioni criminose, come se “delinquenza” fosse il nome di una sorta di azione o di parte di una sorta di azione. Più corretto è dire che “delinquenza”, come “esplorazione”, è il nome di un modo di organizzare le azioni. E’ pertanto improbabile che punendo l’atto si elimini la delinquenza. In tutti questi millenni, la cosiddetta scienza della criminologia non è ancora riuscita a sfuggire a una grossolana confusione dei tipi logici. Comunque sia, vi è una differenza molto profonda tra un serio sforzo di modificare lo stato del carattere di un organismo e un tentativo di modificare le sue azioni particolari. Questo è relativamente facile, quello è profondamente difficile. Un cambiamento di paradigma è difficile quanto un cambiamento nell’epistemologia anzi è della stessa natura…. Sembra che un requisito quasi prioritario di questo addestramento in profondità sia che esso non si concentri principalmente sull’atto specifico per cui il reo si trova ad essere punito con la reclusione”. Questo ci porta a delle riflessioni: 1. Il rapporto esistente tra macro-contesto ed in contesto di vita del reo. Si omette di considerare che le regole che fanno parte del contesto del reo, e che sono state introiettate da lui, spesso si trovano in relazione simmetrica con quelle del macro-contesto e addirittura in relazionale paradossale con esso. Citiamo ad esempio il caso di una delinquenza che venga a radicarsi in zone di emarginazione: reati di mafia. Tale logica non può che portare ad una escalation della circolarità esistente tra colpa e punizione con l’effetto di un aumento progressivo e incontrollato del numero dei carcerati 2. Vi sono ambiti nei quali la mera logica della punizione è ulteriore inadeguata. Ad esempio i reati compiuti dai minori o sui minori, dove è più chiaro che può esservi la necessità di inquadrare quanto accaduto in un problema di rapporto o in un problema di crescita. In tali casi è maggiore il rischio di inserire il minore in un circuito penale che può ulteriormente indirizzare la sua vita verso una relazione simmetrica con la società piuttosto che redimerlo Per tal motivo: Bateson vuole chiarire come ogni cosa ha un senso nel suo sistema/contesto e a volte una cosa che può sembrare utile in un piccolo sistema (es. famiglia o comunità) se applicato a sistemi più ampi può dare luogo a dinamiche che cambiano le relazioni tra le parti. E’ proprio a ciò che vuole rispondere la Mediazione Penale, quale via alternativa nella soluzione dei conflitti La Mediazione nel sistema giuridico penale italiano Nel nostro ordinamento giuridico manca: Una compiuta definizione dell’intervento di mediazione penale Una precisa individuazione delle ipotesi in cui tale intervento risulti ammissibile Procedimento penale ordinario (1) Pochi spazi nel procedimento penale ordinario; Qualche apertura in fase di esecuzione della pena; Nella fase diretta all’accertamento della responsabilità, all’art. 555 comma 3 c.p.p., che disciplina l’udienza di comparazione a seguito di citazione diretta a giudizio (art. 550 c.p.p.), è previsto che: “Il Giudice, quando il reato e perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione”.; Analoga verifica è ritenuta possibile da parte del G.I.P., investito dei giudizi pre-dibattimentali, nonché da parte del G.U.P.; Sotto il profilo letterale, va osservato che la norma sembra prevedere un vero e proprio obbligo del Giudice dibattimentale di verificare la disponibilità del querelante alla remissione della querela. E’ ovvio che la sua veste di organo giudicante – terzo ed imparziale – esclude a priori la possibilità di trattazione diretta della vicenda in termini di mediazione. In questa sede potrebbe trovare spazio una sollecitazione alle parti, in ogni caso assolutamente informale, dal parte del Giudice all’avvio di un percorso di mediazione da parte di esperti esterni al procedimento penale; Procedimento penale ordinario (2) Rimane il fatto che in una fase del processo in cui la querela ha già ottenuto il risultato della citazione diretta da parte del P.M., appare assai improbabile che una eventuale sollecitazione di questo tipo possa trovare risposta positiva; L’art. 564 c.p.p., abrogato dall’art. 44 della Legge 16.12.1999 n.479, che prevedeva, per tutti i reati perseguibili a querela di parte, “facoltà per P.M. di citare querelante e querelato, che potevano essere assistiti dai propri difensori, per esperite il tentativo di conciliazione, mediante la verifica della possibilità di remissione della querela”.Tale iniziativa, che poteva di fatto definire il procedimento in una fase anteriore al processo vero e proprio, era facoltativa e non obbligatoria; Sulla scorta di ciò appare ancora molto difficile inserire nel procedimento penale ordinario una mediazione penale; Pare più verosimile che in sede di verifica di volontà di remissione di querela, il Giudice possa prendere atto dell’eventuale esito positivo di un percorso di mediazione avvenuto altrove; Procedimento penale ordinario (3) Appare più praticabile, al fine di un avvio di mediazione penale, l’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 della Legge 26.07.1975 n.354, recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, e successive modifiche”. Tale misura alternativa alla detenzione, il cui esito positivo della prova estingue la pena, può essere concessa dal Tribunale di Sorveglianza a condizione che: la pena inflitta o residua non supera i tre anni e dall’osservazione collegiale in istituto; In particolare l’art. 47 comma 7, dispone che nel verbale contenente le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire, deve anche stabilirsi che l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare. Di fatto tale non è stato oggetto di applicazione. L’iniziativa rimane incentrata sul reo mentre alla vittima rimane un risarcimento meramente economico. Procedimento penale a carico di minori (1) Il procedimento minorile mira alla tutela, recupero e sviluppo del minore (art.1 del d.p.r. n. 448 del 1988); È maggiore la sperimentazione di interventi di mediazione, aventi la finalità di garantire il recupero del minore imputato o condannato; Il processo è strutturato in un modo tale da garantire una veloce “uscita” del minore dal circuito penale in una prospettiva rieducativa; Procedimento penale a carico di minori (2) Il Giudice può: 1. emettere, già in sede di indagini preliminari, sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 del d.p.r. n. 448 del 1988), sul presupposto della tenuità del fatto e dell’occasionalità del comportamento, nonché del pregiudizio per le esigenze educative del minore. Il Giudice, infatti, procede dopo aver sentito, oltre al minore ed all’esercente la potestà dei genitori, anche la persone offesa dal reato; disporre, sentite le parti, la sospensione del processo con la relativa messa alla prova (art. 28 del d.p.r. n. 448 del 1988) quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova con conseguente rinuncia dell’esercizio dell’azione penale. Con ordinanze di sospensione, il Giudice affida il minore ai servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia, in collaborazione anche con i servizi locali, per le attività di osservazione, trattamento e sostegno nonché impartire prescrizioni per riparare le conseguenze del reato e promuovere la conciliazione del minore con la persona offesa dal reato (art. 27 del D.lgs. 28.07.1989 n. 272). (In ambito adulto, l’affidamento in prova al servizio sociale è disposto solo nella fase di esecuzione della pena). 2. Procedimento penale a carico di minori (3) Sul comportamento del minore e sull’evoluzione della sua personalità, i servizi devono presentare una relazione al Presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo, nonché al Pubblico Ministero. Procedimento penale davanti al Giudice di Pace (1) Riforma del procedimento penale davanti al Giudice di Pace è stata motivata dalla necessità di provvedere ad una concreta riduzione del carico processuale davanti al Tribunale Ordinario (D. lgs. 28.08.2000 n. 274) Rispetto al procedimento penale ordinario, la persona offesa ha un ruolo più significativo Procedimento penale davanti al Giudice di Pace (2) In particolare: 1. Per i reati perseguibili a querela, alla persona offesa è data la facoltà di esercitare direttamente la citazione in giudizio, col ministero del difensore (art. 21 del D. lgs. n. 274 del 2000); 2. Solo in caso di mancata opposizione della persona offesa, o del querelante, il Giudice di Pace può stabilire, in ordine alla irrilevanza di un comportamento, l’archiviazione per la particolare tenuità del fatto (art. 34 del D. lgs. n. 274 del 2000); 3. Sentita la persona offesa, può essere dichiarata l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie (art. 35 del D. lgs. n. 274 del 2000); Procedimento penale davanti al Giudice di Pace (3) Per la prima volta, in un testo legislativo penale, viene fatto riferimento alla “mediazione”. (l’art. 2 comma 2 del D. lgs. n. 274 del 2000 stabilisce che “nel corso del procedimento il Giudice di Pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti”); Ai sensi dell’art. 29 (Udienza di comparizione), è disposto che “Il Giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti”. Il Giudice può “rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi….”. Per finire, per lavorare nel campo vittimologico è necessario che … potenziare il livello di preparazione di tutti gli operatori (preparazione che può essere offerta da corsi di formazione e un certo livello di specializzazione) raggiungere un elevato livello di collaborazione multidisciplinare che coinvolga esperti in campo giuridico, medico, psichiatrico, psicologico e pedagogico sviluppare protocolli d’intesa tra le autorità coinvolte che stabiliscano metodi d’indagine comuni e soprattutto tecniche di ascolto e criteri di valutazione delle dichiarazioni rese dalle vittime Grazie per l’attenzione La violenza non è forza ma debolezza Benedetto Croce [email protected] Bibliografia Codini G. (2010), La vittimologia e le vittime fragili, Franco Angeli Dambone C. (2010), Il minore vittima violenza sessuale: il lavoro dell’équipe psico-socio-pedagogica e giudiziaria tra incompetenze, conflitti e lavoro sistematico, in Piero Crispiani (a cura di), Pedagogia Giuridica, Edizioni Junior Dambone C., Final Report “Stalking e rischio di violenza”, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia ed Università degli Studi di Milano, solo in lingua inglese Frison R. (2003), Mediazione Penale Sistemica, Edizioni Sapere Nivoli G.C., Lorettu L., Milia P., (2010), Vittimologia e psichiatria, Centro Scientifico Editore [email protected]