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decidere 5 2009 - CG Edizioni Medico Scientifiche
Bimestrale. Anno IX Ottobre. Prezzo di copertina € 14,16. Poste Italiane. Spedizione in A.p. D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Torino n. 5/09. - ISSN 1720-0695 n. 5 ottobre 2009 Decidere in Medicina Dal caso clinico all’evidenza Editoriale 2 La professione medica tra etica e normativa Rodolfo Cavaliere 27 Decisione e responsabilità “The monday morning quarterback phenomenon”, ovvero un altro errore nella valutazione degli errori Claudio Bianchin Casi clinici 4 Problematiche respiratorie in un malato di interesse neurologico 32 Prima e dopo La profilassi anti-tetanica in Pronto Soccorso Fabrizio Elia, Alessandro Ubertalli Ape, Elena Tonel, Enrica Duc, Franco Aprà Marco Ricca, Massimo Rega, Carolina Prevaldi 14 Depressione post-partum: attenti alla tiroidite! 41 Francesca D’Agostino, Maria Rosa Pizzo, Luigino Bellizzi, Giovanni Giugliano, Luigi Pizza Argomento dell’anno: Medicina di genere Malattie polmonari e gender Giovanna Esposito, Rosalba Ferrante, Luciano Iovino, Salvatore Sforza, Antonietta Sica, Ferdinando De Falco Direttore responsabile: B. Tartaglino Responsabile redazione scientifica: C. Prevaldi Gruppo fondatore: I. Casagranda, C. Locatelli, C. Prevaldi, G. Re, R. Sbrojavacca, B. Tartaglino Comitato scientifico: F. Bottasso, I. Casagranda, G.A. Cibinel, D. Coen, V. Demicheli, C. Locatelli, G.C. Morabito, F. Olliveri, M. Plebani, C. Prevaldi, G. Re, R. Sbrojavacca, U. Sturlese, B. Tartaglino, P. Vineis Editore C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l. Via Candido Viberti, 7 - 10141 Torino, Italia Tel. 011.33.85.07 r.a. - Fax 011.385.27.50 E-mail: [email protected] www.decidereinmedicina.it - Sito Web: www.cgems.it Stampa: Ages arti grafiche - Torino Finito di stampare il 15/10/2009 Vendita esclusiva in abbonamento per l’anno 2009: Rinnovo/abbonamento (carta + online) Decidere in Medicina + Emergency Care Journal € 95,00 Decidere in Medicina € 85,00 Rinnovo/abbonamento (online) Decidere in Medicina + Emergency Care Journal € 90,00 Decidere in Medicina € 80,00 Versamento sul c/c postale n. 339101 oppure tramite assegno bancario non trasferibile intestato a C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Torino, n. 5549 delI’11 ottobre 2001. Poste Italiane. Spedizione in A.p. DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Torino. AVVERTENZE: si fa presente che l’IVA è assolta all’origine dall’Editore a norma dell’art. 74 comma 1/C - DPR 633/1972. Inoltre gli articoli 1 e 5 del DM 29 dicembre 1989 esonerano gli Editori dall’emissione di fatture per la cessione di pubblicazioni per le quali è stato scelto il regime forfettario. © Copyright by C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l. Torino. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati, compreso quello di traduzione. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti, senza permesso scritto dell’Editore. Decidere in Medicina non è affiliata con nessuna Industria Farmaceutica o con Produttori di strumenti medicali Fotocopie per uso personale del Lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della Legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS, e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’Editore. Per ricevere senza alcun impegno maggiori chiarimenti, è a disposizione il Servizio Assistenza Clienti attivo dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 12,30 e dalle 13,30 alle 17,30 Decidere in Medicina Dal caso clinico all’evidenza 2 Editoriale La professione medica tra etica e normativa Rodolfo Cavaliere 4 Caso clinico Problematiche respiratorie in un malato di interesse neurologico Fabrizio Elia, Alessandro Ubertalli Ape, Elena Tonel, Enrica Duc, Franco Aprà 14 Caso clinico Depressione post-partum: attenti alla tiroidite! Francesca D’Agostino, Maria Rosa Pizzo, Luigino Bellizzi, Giovanni Giugliano, Luigi Pizza 27 Decisione e responsabilità “The monday morning quarterback phenomenon”, ovvero un altro errore nella valutazione degli errori Claudio Bianchin 32 Prima e dopo La profilassi anti-tetanica in Pronto Soccorso Marco Ricca, Massimo Rega, Carolina Prevaldi 41 Argomento dell’anno: Medicina di genere Malattie polmonari e gender Giovanna Esposito, Rosalba Ferrante, Luciano Iovino, Salvatore Sforza, Antonietta Sica, Ferdinando De Falco EDITORIALE La professione medica tra etica e normativa Rodolfo Cavaliere MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Dipartimento di Medicina, Ospedale Mauriziano Umberto I,Torino La professione medica nasce convenzionalmente con il cosiddetto “giuramento di Ippocrate”. Fino ad allora, in quasi tutte le società di cui abbiamo notizia, la malattia era in qualche modo collegabile al soprannaturale e quindi la via della guarigione era legata al volere del Dio o degli Dei, comunque sottratta alle capacità dell’uomo. Nel documento ippocratico compare in modo esplicito il concetto di una competenza specifica a curare secondo le proprie capacità, l’ottica della cura è il bene del malato ed è presente un impegno solenne al segreto e a non utilizzare l’arte medica “contro” il malato. Non vi è traccia di una libera scelta del malato nell’accettazione delle cure e l’atteggiamento è quello che noi oggi definiamo paternalistico, utilizzando il termine con un sottofondo dispregiativo, anche se, nella sua accezione corretta, il prendersi cura del malato come di un figlio dovrebbe indicare una valenza globalmente positiva. Non è possibile analizzare la lunga storia della medicina, ma vorrei ricordare che il primo Codice Deontologico Medico apparso in Italia, a Sassari, nel 1903 (la legge istitutiva degli Ordini dei Medici sarà successiva, del 1910), riprendeva, in modo pressoché totale, i principi presenti nel giuramento di Ippocrate. Sembrerebbe tutto uguale a 2000 anni di distanza, ma in realtà molto era cambiato e continuava a cambiare. Nel corso dei secoli la medicina, con molte difficoltà e vincendo molte resistenze, si era indirizzata ad una visione sempre più biologica e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche portavano a un aumento notevole delle conoscenze in ambito medico anche perché altre scienze come la fisica, la chimica, la biologia ecc. contribuivano enormemente allo sviluppo della medicina. Coerentemente con l’aumento delle conoscenze e delle capacità tecniche la medicina ha subito una profonda trasformazione: è diventata molto più potente nella capacità di diagnosticare e curare, ha la capacità di vicariare organi non più funzionanti con macchine o con nuovi organi (trapianti), ha ideato la capacità di tenere in vita organismi privi di funzione di uno o più organi e ha chiamato questa capacità “rianimazione”. La medicina è diventata più potente e, a tratti, ha voluto dare di sé l’idea dell’onnipotenza. In questo lungo cammino ha perso una parte di sé. In una ideale bilancia in cui l’agire medico era il frutto di un equilibrio tra tecnè ed humanitas la medicina ha progressivamente perso, almeno in parte, le componenti sociologiche, psicologiche, antropologiche, eco- 2 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 nomiche ecc. ed è diventata sempre più strettamente organicista. Mentre la medicina proseguiva il suo cammino, nascevano correnti di pensiero che propugnavano l’autonomia di scelta degli individui in ogni campo e, quindi, anche in quello della salute. Nell’Ottocento in Inghilterra, Iohn Stuart Mill, il maggiore rappresentante del liberalismo, propugnava la libertà di scelta degli individui e poneva come limite l’altrui libertà. Scriveva infatti: ● «tutti gli individui hanno il diritto di dar forma alla propria esistenza e progetto di vita, e di scegliere, ove non danneggino gli altri, il bene per sé»; ● «il solo scopo per cui il potere può essere esercitato su un cittadino contro la sua volontà è di impedire che egli rechi danno agli altri. Il suo bene fisico o morale non è una giustificazione sufficiente». Venivano poste così le basi filosofiche dell’autonomia della persona prevalente sulle scelte dello Stato. Da queste idee derivano legislazioni in cui, come nella nostra Costituzione, un cittadino non può essere curato, anche se per il proprio bene, se non con il suo consenso. Le ricadute in ambito medico non sono state immediate ma questi principi sono cresciuti progressivamente cambiando il rapporto medico-paziente. Nel 1971 il filosofo statunitense Van Potter lanciò un manifesto per la nascita di una nuova visione etica: la Bioetica. Van Potter indicò come obiettivi di questa nuova corrente di pensiero l’autonomia del paziente e il miglioramento della qualità di vita; quest’ultima concepita come valore individuale e non universale. La Bioetica poneva come principi fondamentali la beneficialità, la non maleficialità, l’autonomia e il diritto di giustizia, e si confrontava con le normative esistenti e con i codici deontologici, modificando i “confini” dell’attività medica. Questa impostazione è stata ampiamente condivisa da specifiche e univoche prese di posizione delle Istituzioni internazionali favorevoli all’impostazione data dalla Bioetica (AMA1980UE 1987-Convenzione Oviedo 1997-ONU 2005). Secondo la normativa vigente in Italia, l’attività medica, quand’anche si sostanzi in atti invasivi, è direttamente giustificata in quanto volta a consentire il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della comunità»). Il secondo comma dell’articolo 32 stabilisce tuttavia che «nessuno può essere obbligato ad un determinato Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 3 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE professione, alla volontà liberamente espressa dalla persona e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia della stessa», inoltre, «se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, (il medico) deve tenere conto… di quanto precedentemente manifestato in modo certo e documentato» (art. 38). Nella concezione bioetica moderna, la persona è dunque libera nel definire la qualità di vita e nel collocare la qualità di cura in quello che è il suo progetto di vita. La Bioetica dovrebbe spingere i cittadini a procedere verso un ideale di convivenza pacifica che implichi la rinuncia alla repressione (estensioni legislative) e l’apertura al dialogo. Va sottolineato come tale apertura abbia un inevitabile prezzo: la necessità di tollerare la diversità delle scelte individuali. Le persone, nella loro libertà, potranno compiere scelte che una parte dei cittadini considererà errate o addirittura autolesive. Numerosi sono i problemi aperti con i quali ci si dovrà confrontare in futuro, come il rapporto tra diritto e bioetica, tra etica procedurale (chi decide) ed etica sostantiva (come decide), e tra queste e l’etica dell’organizzazione (distribuzione delle risorse). Un’altra questione di spicco è se si creerà una legislazione comune europea con principi etici condivisi, oppure se, invece, scelte diverse dei singoli Paesi porteranno al fenomeno del “turismo” procreativo, abortivo o eutanasico. Concluderei con le parole di Engelhardt, un importante sostenitore della Bioetica: la legge da sola non rende morali i cittadini ma influenza il comportamento morale. Senza leggi regna l’anarchia e certamente è meglio una legge insufficiente che l’abolizione di ogni responsabilità. Ma la legge può seguire l’evoluzione dell’etica condivisa? La legge è lo strumento idoneo di mediazione tra “stranieri morali” dove gli stranieri morali sono persone che esprimono diversità di opinioni? Saremo in grado di accettare scelte che non facciano solo riferimento al sentire comune, ma che si confrontino con la realtà della vita di un preciso individuo, la cui storia personale è unica? EDITORIALE trattamento sanitario, se non per disposizioni di legge». Inoltre, l’articolo 13 afferma che «la libertà personale è inviolabile»; in tale libertà è compresa quella di operare scelte concernenti la propria salute. In Italia, le leggi direttamente correlate ad aspetti della pratica medica sono sette, e più precisamente la L. 833/78 (Servizio Sanitario Nazionale), la L. 180/78 (Assistenza psichiatrica), la L. 107/80 (Attività trasfusionali), la L. 194/78 (Aborto), la L. 135/80 (Prevenzione AIDS), la L. 91/99 (Trapianti d’organo) e la L. 40/04 (Procreazione assistita). Ciò che non era regolato dalla normativa era regolato dai Codici Deontologici che sono stati preferiti a una normativa dettagliata perché strumento più agile. Oggi, in Italia, risulta forse prevalente la convinzione che i comportamenti debbano essere uniformati per legge, così si è legiferato sulla procreazione medicalmente assistita, già citata, e si stanno portando avanti normative su argomenti di grande importanza dal punto di vista bioetico, come la ricerca genetica, la bioingegneria e le questioni di fine vita. Fondamentale nel rapporto tra normativa e etica è il cosiddetto “consenso informato”, che sposta l’asse portante del Codice Deontologico dei medici verso l’autonomia della persona. Tale soluzione, assolutamente congrua con i principi della Bioetica e della nostra Costituzione, viene percepita spesso in modo restrittivo dai medici, con una focalizzazione sull’aspetto medico-legale ed una conseguente grande quantità di documenti scritti e minuziosamente dettagliati relativi al consenso informato, ma con la perdita del significato vero di questa profonda modificazione che è nella relazione paritaria, nell’alleanza, tra medico e malato. Il Codice Deontologico dell’Ordine dei Medici è un corpus di regole di autodisciplina della professione;nel testo del 2006 recepisce i principi della Bioetica e sancisce che nessun trattamento medico è consentito contro la volontà della persona (art. 35) che «il medico deve attenersi, nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la CASO CLINICO Problematiche respiratorie in un malato di interesse neurologico Fabrizio Elia*, Alessandro Ubertalli Ape*, Elena Tonel*, Enrica Duc**, Franco Aprà* *S.C. Medicina d’Urgenza, Ospedale San Giovanni Bosco,Torino **S.C. Neurologia, Ospedale San Giovanni Bosco,Torino MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE IL CASO CLINICO Un uomo di 72 anni si reca in Pronto Soccorso per episodi ripetuti di caduta a terra senza perdita di coscienza né trauma cranico. Riferisce inoltre debolezza e dolorabilità agli arti inferiori comparse da alcuni giorni. Il paziente non ha precedenti anamnestici di rilievo tranne una lieve ipertensione non trattata farmacologicamente. Assume saltuariamente gastroprotettori. Al di là della debolezza agli arti inferiori non descrive altri sintomi; è stato bene nel periodo precedente la comparsa della sintomatologia; nega episodi febbrili, recenti vaccinazioni, abuso alcolico, assunzione di nuovi farmaci o altre sostanze. Le cadute a terra sembrano essere correlate alla difficoltà nel mantenere la stazione eretta e non sono mai associate a perdita di coscienza, angor, dispnea o cardiopalmo. All’ingresso in Pronto Soccorso i parametri vitali sono stabili ed il paziente è afebbrile. Obiettività cardiaca, polmonare ed addominale sono nella norma. A livello neurologico è evidenziabile un deficit di forza bilaterale di grado lieve, localizzato agli arti inferiori con riflessi osteo-tendinei e sensibilità conservati; non sono presenti livelli sensitivi. Il radiogramma del torace non rileva alterazioni patologiche. All’ECG è presente un ritmo sinusale. Lo stick sulle urine dimostra la presenza di globuli bianchi e rossi in notevole quantità. Viene effettuata una TC dell’encefalo senza mezzo di contrasto che non evidenzia lesioni ischemiche, né emorragiche. Quali ipotesi diagnostiche possono essere avanzate? In considerazione del quadro clinico non chiaro e del rischio di nuove cadute il paziente viene ricoverato in Medicina Interna. Durante il ricovero in Medicina il quadro clinico peggiora. Nel giro di pochi giorni si assiste alla comparsa di tetraparesi ingravescente con disturbi di tipo sfinteriale e scomparsa dei riflessi. Vengono effettuate una puntura lombare ed una RM della colonna. L’analisi del liquor non dimostra alterazioni della conta cellulare né del contenuto proteico. Alla RM non si rilevano segni di sofferenza midollare. 4 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 È stato seguito un iter diagnostico corretto? In considerazione della rapida evoluzione clinica e della comparsa di dispnea si effettua il trasferimento in Medicina d’Urgenza. All’ingresso in reparto il paziente è in respiro spontaneo, tachipnoico, con parametri emodinamici stabili. All’esame neurologico è presente un deficit di forza ai quattro arti con riflessi assenti, sensibilità ed oculomozione conservate, marcata disfonia e disartria con difficoltà nei movimenti linguali. Nel sospetto di sindrome di Guillain-Barré viene allertato il Centro Trasfusionale per la preparazione di una seduta di plasmaferesi. Viene eseguita una valutazione fibroscopica delle vie aeree superiori che rileva una spiccata ipostenia cordale bilaterale in presenza di uno spazio glottico conservato. Si effettua inoltre un esame elettromiografico al letto del malato che conferma il sospetto diagnostico con riscontro di una neuropatia sensitivo-motoria assonale acuta. Nella stessa giornata si assiste ad un peggioramento degli scambi respiratori con incremento della frequenza respiratoria. Viene pertanto iniziata la ventilazione non invasiva con supporto pressorio. Nonostante l’assistenza ventilatoria il quadro clinico non migliora. Nell’arco di poche ore la tosse diventa inefficace con necessità di frequenti aspirazioni ed i valori di CO2 iniziano a salire. Il paziente viene pertanto sottoposto ad intubazione oro-tracheale e trasferito in Terapia Intensiva. Viene effettuato un ciclo di 6 sedute di plasmaferesi seguito da un ciclo di immunoglobuline per via endovenosa. In quarta giornata, in considerazione del lento recupero clinico, viene confezionata una tracheotomia. Condizioni emodinamiche e scambi respiratori si mantengono stabilmente buoni. Il paziente non è tuttavia svezzabile dal supporto ventilatorio. Dal punto di vista neurologico si assiste ad un lieve recupero della motilità a livello del cingolo scapoloomerale e della deglutizione. È stata effettuata una terapia adeguata? In quindicesima giornata il paziente viene nuovamente trasferito in Medicina d’Urgenza per svezzamento respi- CASO CLINICO Fig. 2 TC torace: atelectasia del polmone sinistro. ratorio. Il paziente è vigile ed orientato con deficit di forza persistente ai 4 arti. Mantiene la tracheotomia ed è ventilato con supporto pressorio dal quale è difficilmente svezzabile a causa della scarsa motilità diaframmatica. È nutrito per via enterale tramite sondino nasogastrico. Durante il ricovero le condizioni emodinamiche si mantengono stabili. L’accumulo di secrezioni e l’intensa scialorrea provocano atelectasie recidivanti a carico del polmone sinistro (Figg. 1 e 2) con necessità di numerose broncoscopie di pulizia. Compare inoltre una diarrea secretoria a risoluzione spontanea. In caso di localizzazione centrale, a livello della corteccia, del tronco encefalico o del midollo, è danneggiato il primo motoneurone. Nel caso invece in cui la lesione sia periferica, sarà danneggiato il secondo motoneurone (a livello del corno anteriore o a livello del nervo) o saremo in presenza di una malattia della giunzione neuro-muscolare o del muscolo. Nell’approccio al paziente è necessario innanzitutto distinguere tra astenia monolaterale e bilaterale; l’anamnesi e soprattutto l’esame obiettivo neurologico permetteranno poi di focalizzarsi sulla subunità neuro-anatomica sede del danno 3, identificando, come prima cosa, la presenza di segni di lesione del primo motoneurone o del secondo, o segni di miopatia (Tab. 1). L’ictus e le sindromi da intrappolamento delle radici e dei nervi periferici costituiscono, insieme, la maggior parte delle cause di astenia con paralisi flaccida acuta4. Le lesioni corticali, sottocorticali e del tronco, le radicolopatie, le plessopatie e le sindromi da intrappolamento dei nervi periferici determinano un’astenia unilaterale; una lesione centrale che causi un’astenia bilaterale generalmente si presenterà con una riduzione dello stato di coscienza3. Decisamente più complesso rispetto al deficit di forza unilaterale è l’approccio diagnostico al deficit bilaterale. La sindrome di Guillain-Barré (SGB) rappresenta la principale causa di astenia bilaterale acuta e progressiva. Essa va tuttavia differenziata da altre patologie (spesso rare) che coinvolgono il secondo motoneurone, la giunzione neuro-muscolare o il muscolo (Tab. 2)5. Quali altre complicanze potrebbero verificarsi in un malato di questo genere? In venticinquesima giornata, nonostante il parziale recupero neurologico, il paziente non è ancora in grado di respirare autonomamente né di alimentarsi. Continua la riabilitazione fisiatrica ed il supporto respiratorio ed alimentare. L’EVIDENZA Approccio al paziente con astenia L’astenia acuta costituisce un sintomo di frequente riscontro in Pronto Soccorso. L’astenia (weakness) è l’incapacità ad eseguire normalmente un movimento volontario a causa della riduzione della forza muscolare1. Essa va distinta dall’affaticamento (fatigue), cioè la difficoltà ad iniziare o sostenere un’attività volontaria, motoria o cognitiva, come si os-serva in numerose malattie croniche neurologiche (cerebrovascolari, Morbo di Parkinson, sclerosi multipla) e non neurologiche (scompenso cardiaco, ipotiroidismo, disturbi del sonno, disturbi d’ansia e depressivi, sindrome da affaticamento cronico, fibromialgia)2. Le cause di astenia acuta, neurologiche o neuromuscolari, possono essere centrali o periferiche, a seconda della localizzazione della lesione anatomica. Sindrome di Guillain-Barré È la polineuropatia acuta più frequente nei Paesi occidentali. Segue in genere un episodio infettivo ed è caratterizzata da una paralisi progressiva ascendente associata ad iporeflessia e possibile evoluzione in insufficienza respiratoria. Fu descritta ormai più di un secolo fa da due neurologi francesi che osservarono una paralisi acuta a Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 5 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Fig. 1 Rx torace: atelectasia del polmone sinistro. CASO CLINICO Tab. 1 Esame obiettivo neurologico nella valutazione del deficit di forza. Segno Primo motoneurone Secondo motoneurone Miopatia Atrofia Fascicolazioni Tono Assente Assenti Aumentato (diminuito in acuto) Iperattivi Presente Grave e precoce Frequenti Diminuito Lieve Assenti Normale/diminuito Ridotti o assenti Assente Normali o ridotti Assente Riflessi tendinei Segno di Babinski Tab. 2 Diagnosi differenziale del deficit di forza bilaterale in base alla sede anatomica coinvolta. MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Motoneurone centrale • Patologie con interessamento encefalico: encefalite, meningite carcinomatosa • Patologie con interessamento del midollo spinale: mielite traversa, infarto midollare, compressione midollare (emorragia, neoplasia, erniazione) Motoneurone periferico • Patologie con interessamento del corno anteriore: poliomielite, West Nile virus, sclerosi laterale amiotrofica • Polineuropatie: polineuropatia del paziente critico, sindrome di Guillain-Barré, vasculiti (in particolare sindrome di Churg-Strauss), porfiria intermittente acuta, deficit di vitamina B1, uso di farmaci (amiodarone, citarabina, streptochinasi), infezioni (difterite, malattia di Lyme, CMV, HIV), intossicazione da metalli pesanti (arsenico, oro e tallio), intossicazione da pesci e molluschi (Ciguatera Fish Poisoning da ciguatossina; Paralytic Shellfish Poisoning da saxitossina; Neurotoxic Shellfish Poisoning da brevetossina; Tetrodotoxin Poisoning da tetrodotossina), paralisi da zecche Patologie della giunzione neuromuscolare • Miastenia gravis, sindrome di Lambert-Eaton, botulismo, avvelenamento da organo-fosfati Miopatie • Polimiosite, ipofosfatemia, paralisi periodica ipo-iperpotassiemica, alterazioni endocrinologiche (ipotiroidismo) regressione spontanea in giovani soldati. Ancora oggi rappresenta un notevole problema diagnostico a causa della frequente assenza di segni clinici caratteristici all’esordio e della mancanza di test diagnostici 6 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 specifici. Essendo caratterizzata da un’evoluzione rapida e da sequele gravi è fondamentale che i medici di Pronto Soccorso e di Medicina Generale (che per primi vengono a contatto col malato) mantengano un alto sospetto diagnostico per la malattia. Epidemiologia L’incidenza annuale è di 0,6-4 casi su 100 mila abitanti con una distribuzione mondiale6,7. Colpisce più frequentemente gli uomini rispetto alle donne. L’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età; anche i bambini tuttavia possono esserne affetti. Generalmente la malattia compare in maniera sporadica anche se piccoli clusters si sono osservati in concomitanza con alcune epidemie di gastroenterite. Nel decennio scorso un incremento di nuovi casi è stato segnalato in Cina e nei Carabi8,9. La maggior parte degli studi epidemiologici ha comunque dimostrato una stabilità nell’incidenza della sindrome nel corso degli ultimi anni. Dati italiani, tratti dal registro di Piemonte e Valle d’Aosta sulla SGB, sono stati pubblicati nel 200510. L’incidenza calcolata, valutata sul biennio 1995-1996, è risultata pari a 1,36 casi/100 mila abitanti. In circa due terzi dei casi la malattia è preceduta da un evento infettivo di lieve entità, coinvolgente il tratto gastroenterico o le vie aeree superiori (entro 36 settimane). I sintomi più spesso descritti sono febbre, tosse e faringodinia11. Il microrganismo più strettamente associato alla malattia è il Campylobacter jejuni. Un terzo dei pazienti ha un riscontro sierologico di tale agente infettivo12. Studi osservazionali hanno dimostrato la possibile associazione anche con altri microorganismi: virus di Epstein-Barr, Cytomegalovirus, HIV, Mycoplasma pneumoniae 13 . Nella maggior parte dei casi comunque l’agente infettivo non viene identificato. Non solo le infezioni ma anche altri eventi sono stati chiamati in causa per spiegare l’origine della patologia. Già dagli anni settanta è emersa la possibile correlazione tra vaccinazione anti-influenzale e SGB14. In realtà tale argomento è ancora fonte di discussione e privo di ferme evidenze cliniche. Studi caso-controllo effettuati su malati con SGB non hanno osservato un incremento del rischio di malattia dopo vaccinazione anti-influenzale15,16. Al contrario altri lavori, effettuati analizzando ampie casistiche durante campagne di vaccinazione, hanno messo in luce un aumento del rischio dopo vaccinazione anti-influenzale e anti-epatite17,18. Alcuni • Poliradiculoneuropatia infiammatoria demielinizzante acuta (AIDP) • Neuropatia assonale acuta sensitivo-motoria (ASMAN) • Neuropatia assonale acuta motoria (AMAN) • Sindrome di Miller-Fisher ed altre varianti regionali • Sindromi overlap Autori hanno suggerito particolare attenzione nella vaccinazione di soggetti con pregressa SGB per il rischio di una riattivazione della malattia19. Oltre che in occasione di vaccinazioni anche in corso di altri stress fisici, quali per esempio gli interventi chirurgici, è possibile la comparsa della patologia. Alcuni case reports hanno segnalato l’associazione tra SGB ed altre patologie quali linfomi, malattie autoimmuni ecc. In realtà, la rarità di queste segnalazioni mette in dubbio la possibilità di una reale relazione tra queste differenti entità cliniche. Presentazione clinica e diagnosi La presentazione clinica più caratteristica è costituita da una debolezza muscolare a partenza dalle estremità, relativamente simmetrica, con evoluzione progressiva ascendente24,25. L’ipostenia può esordire a livello degli arti inferiori ed estendersi successivamente in senso craniale o, più frequentemente, può coinvolgere sin dall’inizio la muscolatura degli arti superiori ed inferiori. I sintomi iniziali possono essere caratterizzati da parestesie e dolore agli arti. Sintomi legati ad alterata sensibilità possono essere frequenti anche se segni di ridotta sensibilità sono scarsamente obiettivabili. La comparsa tardiva di un deficit della sensibilità termica e dolorifica è indice di un importante danno assonale. Normalmente si assiste a una perdita dei riflessi già nelle prime fasi di malattia. Ciò può non avvenire nelle forme assonali dove la perdita dei riflessi è un evento tardivo. I nervi cranici sono spesso coinvolti. Le manifestazioni cliniche più frequenti sono i disturbi della motilità facciale (una paralisi dei muscoli facciali si evidenzia nel 70% dei casi), segni di paralisi bulbare (disfagia, disartria) ed alterata motilità oculare. Alterazioni disautonomiche compaiono in circa due terzi dei pazienti. Possono essere dovute ad iper o ipoattivazione simpatica o parasimpatica. In genere si manifestano con fluttuazioni pressorie, aritmie, disfunzione intestinale o vescicale e risposte anomale alla somministrazione di farmaci26. La diagnosi può essere particolarmente difficile in soggetti con presentazione atipica: disturbi neurologici asimmetrici, debolezza muscolare limitata agli arti superiori, prevalenza di sintomatologia dolorosa, disfunzione respiratoria o disautonomica. L’esame del liquor è uno strumento utile alla diagnosi. Nei casi in cui il liquor non sia diagnostico esso consente comunque di escludere altre patologie. L’aspetto caratteristico del liquor in corso di SGB è rappresentato da un aumento del contenuto proteico in presenza di una conta cellulare nei limiti di norma (dissociazione albumino-citologica). Purtroppo tale esame è spesso normale nella prima settimana dall’esordio dei sintomi. Durante la seconda settimana circa il 90% dei pazienti presenta un incremento della quantità di proteine27. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 7 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Classificazione e patogenesi La SGB si manifesta nella maggior parte dei casi come una poliradiculoneuropatia acuta a carattere demielinizzante (AIDP). Con minor frequenza la malattia può caratterizzarsi per un interessamento assonale sia di tipo esclusivamente motorio (AMAN) che contemporaneamente motorio e sensitivo (ASMAN). Nei Paesi occidentali solo il 5% dei pazienti presenta una SGB di tipo assonale20. Soggetti colpiti da AMAN hanno una prognosi migliore rispetto a quelli colpiti da ADIP. Soggetti con ASMAN rispondono scarsamente alla terapia con immunoglobuline o plasmaferesi. La sindrome di Miller-Fisher è una variante della SGB e si caratterizza per la presenza di oftalmoplegia, atassia ed areflessia, con minor interessamento delle estremità. In genere il decorso è benigno e non è richiesta immuno-terapia (Tab. 3). In circa metà dei pazienti affetti da SGB sono stati identificati anticorpi contro diversi gangliosidi, che hanno una specifica distribuzione nei nervi periferici21. C. jejuni esprime lipo-oligosaccaridi che mimamo i carboidrati dei gangliosidi e che possono scatenare una cross-reattività verso le strutture nervose del paziente. C. jejuni isolati da pazienti con AMAN e AMSAN esprimono lipo-oligosaccaridi differenti rispetto a quelli isolati da pazienti con oftalmoplegia o sindrome di Fisher. Poiché meno di 1 paziente su 1000 con infezione da C. jejuni sviluppa la SGB, è verosimile che fattori legati all’ospite possano influenzare la suscettibilità alla neuropatia, l’estensione del danno nervoso e la prognosi22. Tuttavia non sono state individuate associazioni tra alleli HLA e SGB. Il quadro patologico tipico della AIDP è l’infiltrazione multifocale di cellule infiammatorie, che invadono il rivestimento mielinico e alterano l’isolamento assonale20. Un’ipotesi è che i macrofagi presentino antigeni batterici ai linfociti T, che, una volta attivati, superano l’endotelio e riconoscono antigeni cross-reattivi a livello del sistema nervoso, rilasciando citochine in grado di attivare i macrofagi locali; questi ultimi producono NO ed enzimi ed invadono la mielina. Inoltre i linfociti T attivati rilasciano citochine che favoriscono la produzione, da parte di linfociti B, di anticorpi che superano la barriera emato-nervosa danneggiata e legano epitopi cross-reattivi sulla superficie delle cellule di Schwann, fissano il complemento, danneggiano le cellule di Schwann e causano la dissoluzione vescicolare della mielina. Nella AMAN e nella AMSAN il rivestimento mielinico è preservato, mentre i nodi di Ranvier vengono invasi da macrofagi, che legano il frammento Fc degli anticorpi diretti contro gli antigeni dei gangliosidi23. CASO CLINICO Tab. 3 Sindrome di Guillain-Barré. Classificazione nei principali sottotipi clinici. CASO CLINICO MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE L’elettromiografia consente di confermare la diagnosi e classificare la malattia nei vari sottotipi clinici. È necessario comunque sottolineare che anche l’elettromiografia può essere non dirimente nelle forme lievi ed in quelle iniziali. In questi casi si ritiene utile ripetere l’esame a una settimana di distanza. Lo studio elettrofisiologico ha inoltre un valore prognostico, dal momento che il riscontro di forme demielinizzanti suggerisce un peggior andamento clinico28. Decorso clinico La malattia ha un decorso progressivo. L’acme viene raggiunto entro un mese, anche se la maggior parte dei pazienti arriva al culmine della sintomatologia già dopo 2 settimane. Segue poi una fase di stabilizzazione clinica di durata variabile da alcuni giorni fino a settimane o mesi. Il recupero ha in genere una durata superiore rispetto a quella delle prime due fasi. Tra l’8 e il 16% dei malati ha uno o più episodi di peggioramento clinico dopo un iniziale miglioramento. Circa il 25% dei pazienti presenta nel corso della malattia un’insufficienza respiratoria tale da richiedere la ventilazione meccanica20. La mortalità è pari al 10% nei Paesi occidentali30. Le cause più frequenti di morte sono le complicanze infettive (in particolare respiratorie), emboliche o disautonomiche. Fino al 20% dei pazienti presenta disabilità importanti (incapacità a camminare) 6 mesi dopo la comparsa della malattia31. Tra il 25 e l’85% dei malati conserva qualche segno residuo di neuropatia ad anni di distanza dall’esordio10,32. La fatica è un sintomo che persiste per anni nell’80% dei casi33. Diversi studi hanno identificato alcuni fattori in grado di influenzare la prognosi. L’età avanzata è il principale fattore prognostico negativo34. Al contrario, l’evoluzione della malattia in età infantile è quasi sempre benigna e la morte un evento eccezionale35. La rapidità dell’evoluzione clinica ed una precedente infezione da C. jejuni36 costituiscono ulteriori fattori prognostici negativi. Al contrario, un quadro elettromiografico di tipo assonale motorio è caratterizzato da una prognosi favorevole37. Complicanze respiratorie Come già detto, l’insufficienza respiratoria rappresenta una complicanza grave e frequente. Rispetto ai malati con miastenia gravis (patologia che coinvolge la placca neuro-muscolare ma con un’evoluzione per alcuni aspetti simile), i soggetti con SGB hanno un rischio maggiore di essere sottoposti ad intubazione oro-tracheale (25-50% vs 15-27%)29,38. Anche la durata della ventilazione meccanica risulta essere superiore (18-29 giorni vs 14 giorni)39. Le cause di insufficienza respiratoria sono molteplici40. La debolezza della muscolatura facciale, orofaringea e laringea può interferire con la deglutizione e l’eliminazione delle secrezioni, aumentando il rischio di aspirazione. È inoltre aumentato il rischio di ostruzione meccanica delle vie aeree superiori. La debolezza dei muscoli inspiratori (diaframma, intercostali e muscoli accessori) non consente un’adeguata espansione polmonare e favorisce la comparsa di atelectasie, alterazioni del rapporto ventilazione-perfusione e 8 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 successiva ipossiemia. Piccoli volumi correnti associati alla tachipnea incrementano la quota atelectasica e riducono la compliance polmonare. Infine, la debolezza dei muscoli espiratori rende inefficace il meccanismo della tosse con possibile comparsa di aspirazione e infezioni polmonari. La comparsa di distress respiratorio può rappresentare un evento acuto e spesso inaspettato. Il 16% delle intubazioni oro-tracheali avviene per arresto cardiorespiratorio o per severa insufficienza respiratoria acuta. Nel 48% dei casi l’intubazione avviene tra le 6 e le 8 del mattino (probabilmente a causa dell’associazione tra la debolezza dei muscoli respiratori ed il decubito supino)41. Risulta quindi evidente l’importanza di definire parametri clinici in grado di prevedere il peggioramento della funzionalità respiratoria prima che questo avvenga. Alcuni lavori hanno posto la loro attenzione su questo aspetto. In uno studio retrospettivo sono stati valutati 114 soggetti con SGB, 60 dei quali sottoposti a ventilazione meccanica41. Con analisi multivariata sono stati definiti i parametri maggiormente associati ad intubazione oro-tracheale ed alla necessità di ventilazione meccanica. Una rapida progressione del quadro neurologico – oltre alla presenza di disfunzione bulbare, deficit della muscolatura facciale bilaterale e disautonomia – costituivano parametri non respiratori di importanza significativa. Rientravano invece tra i parametri respiratori in grado di prevedere il peggioramento clinico una capacità vitale inferiore a 20 ml/kg (o una sua riduzione di almeno il 30%), una pressione inspiratoria massima superiore a –30 cmH2O ed una pressione espiratoria massima inferiore a 40 cmH 2 O. Presenza di disfunzione bulbare (Odds ratio 17,5) e capacità vitale inferiore a 20 ml/kg (Odds ratio 15) erano i maggiori predittori della necessità di ventilazione meccanica. Sulla base di questi dati alcuni autori hanno suggerito la regola del “20-30-40” (capacità vitale, pressione inspiratoria massima e pressione espiratoria massima) come guida per la gestione di questi malati (Fig. 3). Un secondo lavoro ha analizzato retrospettivamente 722 soggetti arruolati all’interno di due grandi trials finalizzati alla valutazione della plasmaferesi nella terapia della SGB. Il 43% dei pazienti era stato sottoposto a ventilazione meccanica42. Con analisi multivariata venivano identificati 6 predittori di ventilazione meccanica: un tempo inferiore a 7 giorni dalla comparsa dei sintomi al ricovero (Odds ratio 2,5), tosse inefficace (Odds ratio 9), incapacità a mantenere la posizione eretta (Odds ratio 2,5), incapacità ad alzare i gomiti o la testa (Odds ratio rispettivamente 2,9 e 4,3) ed incremento degli enzimi epatici (Odds ratio 2). La ventilazione meccanica era necessaria nell’85% dei pazienti con almeno 4 di queste caratteristiche cliniche. I pazienti sottoposti a ventilazione meccanica sono soggetti a numerose complicanze respiratorie. Atelectasie si manifestano nel 49% dei casi, una acute lung injury compare nel 13% dei malati43. La complicanza più frequente è comunque la polmonite (56-78% dei pazienti)43,44. Quest’ultima è nella maggior parte dei casi dovuta ad aspirazione e rappresenta la principale Score di Hughes > 3 o in progressione Disautonomia Monitoraggio in ambiente intensivo Score di Hughes < 3 Disfunzione bulbare No disfunzione bulbare Aspirazione Sì CASO CLINICO Sindrome di Guillain-Barré CV < 20 ml/kg MIP > 30 cm/H2O MEP < 40 cm/H2O CV > 20 ml/kg MIP < 30 cm/H2O MEP > 40 cm/H2O Monitoraggio in ambiente intensivo eventuale intubazione Ricovero ospedaliero No Intubazione oro-tracheale CV: capacità vitale; MIP: pressione massima inspiratoria; MEP: pressione massima respiratoria. causa di morte. Il ritardo nel confezionamento della tracheotomia è uno dei più importanti fattori di rischio per lo sviluppo di polmonite43. Non esistono studi sistematici sull’utilizzo della ventilazione non invasiva nella SGB. Tuttavia l’instabilità emodinamica, la presenza di secrezioni oro-faringee, la debolezza della muscolatura diaframmatica e la conseguente difficoltà nel triggering rendono probabilmente tale tecnica di ventilazione inadeguata in questi malati. Solo alcuni case reports hanno riportato l’applicazione della ventilazione non invasiva in malati con SGB, descrivendo risultati quasi sempre scadenti45. Trattamento Il trattamento eziologico della SGB è immunoterapico con utilizzo della plasmaferesi e delle immunoglobuline (Ig) per via endovenosa. La plasmaferesi è la separazione e rimozione del plasma dalla componente cellulare del sangue attraverso centrifugazione o filtrazione. Diversi trials randomizzati hanno dimostrato l’efficacia della plasmaferesi oltre ad aver valutato il numero di sedute ideale46. La plasmaferesi si è dimostrata efficace sia nel migliorare i tempi di recupero della deambulazione, sia nel modificare la necessità della ventilazione assistita. È stato dimostrato che il numero di sedute di trattamento deve essere valutato in base alla severità di malattia e che anche i pazienti con sintomi lievi, ovvero in grado di deambulare autonomamente o con assistenza, possono trarre beneficio da questo tipo di terapia. In pazienti con sintomi lievi, due sedute di plasmaferesi sono significativamente superiori alla sola terapia di supporto, in pazienti con patologia moderata quattro sedute risultano più efficaci di due, in pazienti che necessitano di ventilazione, un numero di sedute superiore a quattro non incrementa gli effetti della terapia. L’attuale schema terapeutico standard è di cinque sedute in due settimane. La plasmaferesi è efficace nelle prime 4 settimane, ma il beneficio è tanto maggiore quanto prima viene avviato il trattamento47. Pur trattandosi di una terapia dispendiosa, accelerando il recupero motorio dei pazienti e riducendo l’ospedalizzazione, in definitiva permette una diminuzione dei costi complessivi di trattamento48. L’utilizzo delle immunoglobuline per via endovenosa è stato introdotto nel 1988 (Tab. 4). Il razionale di questa terapia si basa sull’interferenza con il sistema immunitario a diversi livelli: neutralizzazione del complemento attivato, inattivazione di citochine pro-infiammatorie, riduzione della proliferazio- Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 9 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Fig. 3 Gestione delle complicanze respiratorie nella sindrome di Guillain-Barré (tratta da Lawn. Arch Neurol 2001; 58: 897). Uno score di Hughes inferiore a 3 indica la capacità del malato di comunicare. CASO CLINICO Tab. 4 Terapia con immunoglobuline nella sindrome di Guillain-Barré. • Le immunoglobuline per via endovenosa e la plasmaferesi sono egualmente efficaci come trattamento di prima linea (livello A) • Le Ig devono essere somministrate al dosaggio di 0,4 g/kg/die per 5 giorni (livello A) • Le Ig hanno minori effetti collaterali rispetto alla plasmaferesi e per tale motivo potrebbero essere preferite (livello B) • Le Ig, somministrate dopo plasmaferesi, non offrono benefici aggiuntivi e pertanto non possono essere raccomandate (livello B) • Pazienti responsivi a terapia con Ig e successiva recidiva possono beneficiare di un secondo trattamento con Ig (raccomandazione priva di evidenze cliniche) • In pazienti non responsivi ad un primo ciclo di Ig un secondo ciclo di terapia potrebbe essere tentato (raccomandazione priva di evidenze cliniche) • Nei pazienti con malattia di lieve entità e sindrome di Miller-Fisher non possono essere date raccomandazioni certe sul trattamento MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Raccomandazioni tratte dalle linee guida dell’European Federation of Neurological Societies (EFNS) sull’uso delle Ig nelle patologie neurologiche50. ne di linfociti T, induzione dell’apoptosi di linfociti e monociti, possibile blocco dei recettori Fc, aumento del catabolismo di IgG, neutralizzazione degli autoanticorpi48. Nessuno studio clinico randomizzato ha testato l’uso delle immunoglobuline contro la sola terapia di supporto. Al contrario i trials effettuati, confrontando immunoglobuline e plasmaferesi, non hanno osservato differenze significative tra i due trattamenti nel miglioramento della funzione motoria a 4 settimane 49. Il dosaggio di Ig normalmente utilizzato, basato sulle evidenze acquisite in altre patologie autoimmuni, è quello di 0,4 g/kg/die per 5 giorni. Un piccolo studio ha paragonato due trattamenti, rispettivamente di 3 e 6 giorni, evidenziando un miglioramento maggiore della disabilità dopo 4 settimane nel caso della terapia più prolungata, tuttavia la differenza non è statisticamente significativa. Vi sono alcune indicazioni che un trattamento di 2 g/kg in 2 giorni porterebbe a una maggiore percentuale di recidiva50. Ci sono ancora molti interrogativi riguardo la terapia con Ig, in particolare circa i casi di mancata risposta o recidiva e le modalità di avvio del trattamento50. Alcuni pazienti continuano a peggiorare nonostante la terapia e questo potrebbe essere spiegato da un attacco immunitario grave e prolungato, per cui il trattamento standard non sarebbe sufficiente. Sebbene non ci siano evidenze a riguardo, un piccolo studio suggerisce che la ripetizione del ciclo di Ig potrebbe essere efficace51. Ci sono poi alcuni pazienti che, dopo un iniziale miglioramento o stabilizzazione a seguito della terapia, hanno un nuovo peggioramento; la pratica comune, in questi casi, prevede un secondo ciclo di Ig, con dosaggio di 2 g/kg in 2-5 giorni, dal momento che questi pazienti spesso migliorano dopo la ripresa del trattamento. Anche in questo caso non ci sono studi randomizzati controllati. Se i pazienti hanno più epi- 10 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 sodi di peggioramento occorre considerare come diagnosi alternativa l’esordio acuto di un’altra neuropatia, la poliradicoloneuropatia demielinizzante infiammatoria cronica. Un altro interrogativo aperto è quello che riguarda l’efficacia di una terapia con Ig iniziata più di 2 settimane dopo l’inizio dei sintomi, dal momento che tutti i pazienti dei trials hanno iniziato la terapia entro questo tempo. Inoltre, per le Ig, a differenza che per la plasmaferesi, non esistono dati relativi ai pazienti con disturbi lievi e all’opportunità di avviare comunque un trattamento attivo. Ugualmente non esistono studi nei pazienti con sindrome di Miller-Fisher. Uno studio osservazionale ha evidenziato come la terapia con Ig o plasmaferesi non acceleri i tempi di risoluzione dei sintomi52, tuttavia, nel caso di severi sintomi autonomici o disturbi respiratori, il trattamento con Ig può essere indicato. Alcuni reports suggeriscono che, nel caso di pazienti con precedente infezione da C. jejuni o anticorpi contro i gangliosidi GM1 o GM1b, la terapia con Ig sarebbe superiore alla plasmaferesi; tuttavia si tratta di dati da confermare e i test per gli anticorpi anti gangliosidi e la possibile precedente infezione possono non essere a disposizione nella valutazione clinica53. Sebbene plasmaferesi e Ig endovena siano sovrapponibili in termini di efficacia, gli effetti collaterali sembrano essere minori con l’utilizzo delle Ig. Sono stati condotti anche studi di confronto di costo-efficacia, che tuttavia non sono conclusivi. È invece dimostrato che la combinazione routinaria delle due strategie terapeutiche non mostra benefici aggiuntivi54. Un’altra strategia possibile è l’immunoassorbimento selettivo, che permette di rimuovere una grande quantità di proteine plasmatiche, senza necessità di ripristino di liquidi. Dati preliminari indicano che potrebbe avere la stessa efficacia di plasmaferesi e Il caso descritto mette in evidenza le difficoltà nell’approccio diagnostico e gestionale ai pazienti con sindrome di Guillain-Barré e, più in generale, ai malati con patologia neuromuscolare acuta. Il ritardo nella diagnosi, frequente nella pratica clinica, in questo caso è imputabile all’assenza di segni caratteristici all’esordio (in particolare l’assenza dei riflessi osteo-tendinei) ed alla negatività dell’esame liquorale. L’esame elettromiografico, non sempre effettuabile in tempi rapidi, ha consentito di ottenere una diagnosi definitiva. Una volta posto il sospetto diagnostico è stato tempestivamente allertato il Centro Trasfusionale per l’avvio della plasmaferesi (una delle due modalità terapeutiche consigliate dalle linee guida). Non esistono invece indicazioni certe sull’utilità della somministrazione di immunoglobuline dopo trattamento con plasmaferesi. Il decorso clinico è stato particolarmente grave. Il ricovero in ambiente protetto e monitorizzato ha consentito un riconoscimento precoce della perdita di funzionalità respiratoria ed una precoce intubazione orotracheale. La debolezza muscolare protratta ha reso lo svezzamento respiratorio particolarmente complesso. Alla debolezza si è aggiunta inoltre la presenza di voluminose atelectasie con riduzione ulteriore degli scambi respiratori. Non si sono verificate complicanze disautonomiche di tipo cardiovascolare mentre si è manifestata la comparsa di intensa scialorrea e di diarrea secretoria. Entrambe queste evenienze, pur meno pericolose rispetto ad eventi cardiovascolari, hanno interferito sul quadro respiratorio e sullo stato nutrizionale e volemico del nostro malato. 1. Goetz C. Textbook of Clinical Neurology. WB Saunders, Philadelphia; 1999. 2. Chaudhuri A, Behan PO. Fatigue in neurological disorders. Lancet 2004; 363: 978-988. 3. Asimos A. 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Oltre alla terapia eziologica, devono essere considerate le strategie per il controllo dei sintomi. Il dolore è presente nel 89% dei pazienti affetti da SGB e, a seconda delle fasi di malattia, si può trattare di parestesie, disestesie, dolore radicolare, dolore muscolare, articolare o viscerale. Studi su un numero limitato di pazienti indicano che oppioidi, gabapentin e carbamazepina possono essere utili. Le alterazioni autonomiche possono provocare aritmie, fluttuazioni pressorie, risposte emodinamiche anomale a farmaci, anomalie pupillari, alterazioni vescicali e intestinali. Occorre considerare l’utilizzo, in casi selezionati, del pacemaker transcutaneo o di atropina; devono essere evitati i farmaci vasoattivi e i derivati della morfina devono essere usati con cautela. I pazienti con compromissione della deambulazione devono essere sottoposti a profilassi antitrombotica. CASO CLINICO MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE 25. Van der Meché FG, Van Doorn PA, Meulstee J. Diagnostic and classification criteria for the Guillain-Barré syndrome. Eur Neurol 2001; 45: 133-139. 26. Zochodne DW. Autonomic involvement in Guillain-Barè syndrome: a review. Muscle Nerve 1994; 17: 1145-1155. 27. van der Meché FG, van Doorn PA. Guillain-Barré syndrome and chronic inflammatory demyelinating polyneuropathy: immune mechanisms and update on current therapies. Ann Neurol 1995;37(Suppl 1):S14-531. 28. Durand MC, Porcher R, Orlikowski D. Clinical and electrophysiological predictors of respiratory failure in GuillainBarrè syndrome: a prospective study. Lancet Neurol 2006; 5: 1021-1028. 29. Orlikowski D, Prigent H, Sharshar T. Respiratory dysfunction in Guillain-Barré Syndrome. Neurocrit Care 2004; 1: 415-422. 30. Rees JH, Thompson RD, Smeeton NC. 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Le parestesie possono precedere le alterazioni motorie; parestesie insorte acutamente dopo un episodio infettivo richiedono un attento esame neurologico. La scomparsa dei riflessi, sebbene caratteristica, può avvenire solo negli stadi più avanzati di malattia. Un deficit di forza asimmetrico o limitato agli arti superiori, una disfunzione prevalentemente respiratoria o disautonomica potrebbero rappresentare presentazioni atipiche della malattia. Nelle prime fasi di malattia l’esame del liquor è spesso negativo. Non ritardare l’inizio della terapia con immunoglobuline o plasmaferesi. Gli steroidi in monoterapia possono peggiorare il decorso clinico. Prevenire e trattare le complicanze legate a disfunzione autonomica: aritmie, alterazioni pressorie, ileo paralitico. Identificare i malati con segni di disfunzione bulbare (disartria, disfagia) ed interessamento dei nervi cranici in quanto maggiormente esposti al rischio di insufficienza respiratoria. Riconoscere precocemente la progressione verso l’insufficienza respiratoria, valutando frequenza respiratoria, esaurimento muscolare, efficacia della tosse. Non ritardare l’intubazione oro-tracheale ed il trasferimento in Terapia Intensiva quando richiesto. CASO CLINICO LA PRATICA CASO CLINICO Depressione post-partum: attenti alla tiroidite! Francesca D’Agostino, Maria Rosa Pizzo*, Luigino Bellizzi**, Giovanni Giugliano***, Luigi Pizza**** UO Salute Mentale DSB Sapri-Camerota, ASL SA/3 *UO Medicina Interna, PO dell’Immacolata, Sapri, ASL SA/3 **Servizio di Ecografia Diagnostica e Interventistica, UO Chirurgia Generale, Ospedale dell’Immacolata, Sapri,ASL SA/3 ***UOC Medicina Interna PO dell’Immacolata, Sapri, ASL SA/3 ****UOC Salute Mentale DSB Sapri-Camerota, ASL SA/3 IL CASO CLINICO MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Caso clinico n. 1 La signora M. F. di anni 35, commessa, giunge nell’ambulatorio di endocrinologia, inviata dal suo medico curante col sospetto diagnostico di tireotossicosi in post-partum (il parto è avvenuto 2 mesi addietro non seguito da allattamento al seno materno). La paziente, da circa una settimana, riferisce comparsa di cardiopalmo, stato ansioso ed insonnia non accompagnati da perdita di peso. L’esame obiettivo non evidenzia segni clinici di ipertiroidismo; sono assenti segni oculari e soffio tiroideo. Gli esami riguardanti la funzione tiroidea evidenziano un TSH basso e un fT4 ed fT3 lievemente elevati, Tireoglobulina alta ed elevati Anticorpi anti-TPO e antitireoglobulina. L’esame ecografico evidenzia la presenza di aree ipoecogene in entrambi i lobi, mentre la scintigrafia con 99mTC e la curva di captazione con 131Iodio dimostrano ridotta captazione tiroidea. Si potrebbe pensare ad un esordio tireotossico? Si pone diagnosi di tiroidite post-partum ad esordio tireotossico e si prescrive blande dosi di betabloccante (propranololo alla dose di 10 mg 3 volte al giorno). Ritorna a controllo a cadenza mensile in ambulatorio e, al terzo controllo (dopo 4 mesi dal parto), riferisce miglioramento della sintomatologia precedentemente riferita; l’assetto ormonale evidenzia fT3 ed fT4 rientrati nel range con TSH ai limiti bassi della norma. La paziente sospende la terapia con betabloccanti. Quella descritta è effettivamente una fase ipotiroidea? A 3 mesi dall’esordio tiroiditico (quindi a 5 mesi dal parto) comparsa di una fase di ipotiroidismo subclini- 14 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 co con TSH elevato, fT4 e fT3 nella norma TG normale; la paziente presenta lieve aumento di peso e tono dell’umore depresso, peraltro costantemente associato alla fase ipotiroidea delle tiroidite post-partum (a volte unico sintomo osservabile). Inizia terapia con levotiroxina per un mese, essendo poi rientrata in una fase di eutiroidismo. Viene effettuato follow up a cadenza semestrale. Perché persiste lo stato depressivo nonostante la condizione di eutiroidismo? Ai controlli successivi, contrariamente a quanto previsto, il quadro clinico non correla con quello ormonale ed autoanticorpale (completamente rientrati nella norma), persistendo la depressione del tono dell’umore. La paziente appare sempre più apatica, anergica e rallentata sul piano psichico. La consulenza psichiatrica evidenzia altresì perdita di interessi da più di 15 giorni, umore depresso da più di 15 giorni ed, in associazione, altri sintomi evidenziati con la somministrazione della HAM-D, ponendo diagnosi di Depressione Mascherata. Caso clinico n. 2 La paziente, già madre di un bambino di 5 anni, è andata incontro, immediatamente dopo il parto della sua seconda figlia, ad un grave episodio depressivo. La madre descrive la paziente come una bambina molto emotiva, che ha presentato episodi di enuresi notturna fino ai 12 anni di età e riferisce inoltre che 4 anni or sono, dopo la prima gravidanza, la paziente aveva manifestato una sintomatologia depressiva, sia pur di più lieve entità, risoltasi poi spontaneamente senza l’intervento di specialisti. La madre riferisce anche che in occasione della seconda gravidanza, alcuni giorni prima del parto, la figlia appariva più chiusa e meno partecipe ai dialoghi. La paziente viene da noi visitata 15 giorni dopo il parto e alla prima visita manifesta una sintomatologia ingravescente carat- quadro attuale dal precedente episodio depressivo. Non si sono evidenziati tratti ciclotimici. Pertanto la paziente continua il trattamento antidepressivo con venlafaxina al dosaggio di 150 mg/die, che purtroppo presenta un effetto collaterale intenso (sudorazione profusa) con conseguente sospensione del farmaco. Si instaura nuova terapia con: fluvoxamina (100 mg/die); amisulpride (50 mg/die) e lamotrigina (100 mg/die). La scarsa capacità introspettiva della paziente e la scarsa collaboratività del nucleo familiare impediscono un trattamento psicoterapico individuale e/o familiare. La paziente migliora lentamente, ma dopo 7 mesi si verifica una nuova riacutizzazione del quadro depressivo. Avreste anche voi sospeso il trattamento omeopatico? Avreste anche voi interrotto l’allattamento al seno? In effetti ripetendo lo screening tiroideo completo (TSH, FT3, FT4, tireoglobulina; TPO Ab; AbTg; ecografia tiroidea) si è evidenziato un franco ipotiroidismo. La terapia sostitutiva con levo-tiroxina da sola basta a far rientrare anche la sintomatologia psichica. Concordate col sospetto di ipotiroidismo? Gli esami effettuati previa consulenza endocrinologiva risultano nella norma (TSH 1,46 mcUI/ml, FT3 4,33 pmol/i FT4 8,57 pmol/l, tireoglobulina 5,64 ng/ml; negativa anche l’ecografia tiroidea. Avreste ritenuto opportuno in questa fase approfondire ulteriormente lo screening tiroideo richiedendo anche TPO Ab ed AbTg? Esclusa l’ipotesi di una origine organica della sintomatologia depressiva si vanno ad indagare altri fattori che potrebbero aver contribuito alla recidiva, magari sfuggiti ad una indagine iniziale, si ritiene opportuno valutare le variabili personologiche, le dinamiche familiari, ed approfondire l’anamnesi psicopatologica remota alla ricerca di episodi ipomaniacali. Si evidenziano: un disturbo istrionico di personalità, intrusività della famiglia che mina la privacy della coppia; si apprende inoltre di una relazione extraconiugale del marito con annessa richiesta di separazione. Tali cofattori “da soli” sembravano giustificare la ripresa della sintomatologia depressiva e la sua refrattarietà al trattamento; nonché la sostanziale diversità del Ripetereste a questo punto lo screening tiroideo per sospetto ipotiroidismo? L’EVIDENZA Quadri psicopatologici peri-partum Il puerperio è una fase in cui si assiste ad una crisi funzionale evolutiva e transitoria. Nella maggior parte dei casi si tratta di un normale periodo di labilità affettiva che si manifesta subito dopo il parto. La puerpera può trovarsi infatti a fronteggiare sentimenti e stati d’animo che non trovano spazio all’interno dei propri abituali riferimenti: dalla “paura” di inadeguatezza fino a sentimenti di estraneità e a volte addirittura di negatività nei confronti del neonato. Questi fenomeni sono stati considerati un argomento di interesse medico fin dal IV secolo a.C., quando Ippocrate per primo ne fece menzione nelle sue opere. Mentre nel Medioevo le puerpere che soffrivano di depressione post-partum venivano considerate streghe o vittime di malefici, e purtroppo trattate di conseguenza! Di fatto, ogni società riconosce con modalità diverse l’evento nascita. Nei Paesi più sviluppati vengono chiamate in causa, per spiegare tali evenienze epifenomeniche, alcune peculiarità tipiche della civiltà postindustriale, quali: l’eccessiva medicalizzazione del parto e le tecniche invasive da ridotta fertilità, la confusione circa il ruolo della donna nella società, la perdita del concetto di comunità del villaggio e di famiglia allargata; concetti questi strettamente connessi con l’industrializzazione e l’urbanizzazione. Si tratta infatti di profondi mutamenti sociali che inevitabilmente hanno condizionato anche i vissuti individuali connessi alla maternità. Ad ogni modo, quali che siano le concause che possono contribuire, l’emersione della fenomenica postpartum è particolarmente rilevante, con evidente incremento della sua incidenza epidemiologica. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 15 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Si inizia un trattamento con venlafaxina al dosaggio di 150 mg/die e la paziente dopo 15 giorni appare molto migliorata. Otto mesi dopo si verifica la prima ricaduta. In questo secondo episodio il quadro clinico appare meno ricco. Prevalgono lamentosità, ansia, insonnia. L’umore non appare francamente depresso e la paziente non sembra aver abbandonato le proprie abitudini. Crisi di pianto eclatanti avvengono solo in presenza di terzi. Pur ripristinando la terapia antidepressiva, non si ottiene con la stessa rapidità antecedente il miglioramento psicoclinico atteso. Pertanto si sospetta una tiroidite postpartum, inizialmente misconosciuta con cronicizzazione in ipotiroidismo. CASO CLINICO terizzata da grave depressione del tono dell’umore, ideazione suicidaria, idee di morte, idee di rovina, idee d’abbandono, apatia, anedonia ed una notevole componente d’ansia libera e somatizzata. Notevole la labilità affettiva. L’ideazione, coartata ed iterativa, appariva comunque congrua al tono dell’umore. La paziente nega fenomeni dispercettivi e, a conferma, non si evidenziano comportamenti da allucinata. Inizialmente vista da un’omeopata, le veniva prescritto Sepia. In concomitanza con l’introduzione della terapia antidepressiva ed ansiolitica, tale rimedio omeopatico veniva sospeso. Veniamo contattati dall’omeopata in questione che ribatte che il repentino peggioramento osservato dopo l’introduzione di Sepia in terapia, era un segnale della sua efficacia, provocando tali rimedi, quando efficaci una recrudescenza sintomatologia prima del miglioramento. CASO CLINICO MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Di fatto, sempre più frequentemente, nella pratica clinica, lo psichiatra viene consultato specialmente nei mesi alti di gravidanza e nel peri-partum. E i quadri clinici che si osservano vanno dal post-partum “blues”, alla depressione puerperale, fino alla più grave psicosi post-partum. Mentre alcuni sintomi dello spettro depressivo (disturbi del sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale, riduzione dei livelli di energia) sono presenti anche nelle gravide e nelle puerpere non depresse. Trattandosi invero di vissuti, atteggiamenti e sentimenti, che entro certi limiti, sono strettamente correlati alla specifica dinamica esperenziale. È ormai un dato epidemiologicamente acquisito che la psicopatologia del post-partum, in prevalenza la depressione, colpisce circa il 10-15% delle puerpere. Con conseguenze preoccupanti per il coinvolgimento dei nuovi nati, giacché il 25% dei casi non trattati si protrae per oltre un anno, con rischio di cronicizzazione. Maternity blues Con questa intraducibile definizione americana, il cui corrispettivo in italiano è “malinconia dei quattro giorni” o “febbre da latte”, ci si riferisce ad una serie di disturbi spesso lievi e transitori, attribuiti per lo più alla “stanchezza materna” post-gravidanza, e alle difficoltà psicologiche e pratiche che la cura del neonato all’inizio comportano. Un quadro subsindromico e subclinico sostenuto dalle nuove dinamiche di coppia, conseguenti alla perdita di intimità o all’evidenziarsi di conflitti irrisolti, che determinano un complessivo rimaneggiamento dello stile di vita e pertanto dei vissuti individuali. In seguito alla nascita di un figlio molte coppie sono costrette inoltre a rivedere la loro intesa sessuale: innanzitutto per paura di riconcepire, e poi anche per un naturale calo del desiderio sessuale, che tra l’altro non riguarda solo la donna. Anche la libido dell’uomo si modifica, in misura più spiccata se ha assistito al parto. Tale perdita di desiderio può pertanto far affiorare in entrambi i partner la paura del rifiuto o dell’abbandono. Nel caso poi di una gravidanza difficile o di un travaglio lungo, l’evento parto assume di fatto le caratteristiche di uno stress acuto che può anche condurre allo sviluppo di un disturbo d’ansia correlato. Questa condizione è presente in particolare nelle primipare attempate, attualmente molto aumentate, giacché fortemente abituate ad avere il controllo della propria esistenza, con il rischio incombente di esperire un maggior grado di sofferenza personale nel dover mediare tra i propri bisogni ed i bisogni del neonato. Infine, un ulteriore elemento da prendere in considerazione è quello dell’immagine corporea della puerpera. La fattualità della “perfezione” perduta può slatentizzare anche un disturbo del comportamento alimentare. Ed in ogni caso induce la puerpera a sentimenti autosvalutativi, con un maggior ritiro sociale e ad una minor ricerca di intimità col partner. Il quadro di maternity blues, non adeguatamente trattato, può portare ad uno stato francamente depressivo. 16 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 Tab. 1 Criteri diagnostici per episodio depressivo secondo il DSM IV-TR. • Cinque o più dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di due settimane, in presenza di umore depresso o di perdita di interesse o di piacere: – umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno – marcata diminuzione di piacere per tutte le attività per la maggior parte del giorno – significativa perdita di peso (senza dieta) o incremento ponderale – insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno – agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno – faticabilità o anergia quasi ogni giorno – sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati – ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno – pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l’ideazione di un piano specifico per commettere un suicidio • Il malfunzionamento è clinicamente significativo Depressione puerperale La depressione post-partum clinicamente è una condizione di media gravità. Si caratterizza come un vero e proprio episodio depressivo non psicotico che si slatentizza nel peri-partum: dalle 4 settimane che precedono il parto alle 30 che lo seguono. I criteri diagnostici per l’episodio depressivo sono riportati in Tabella 1. Generalmente si pone diagnosi di depressione postpartum quando sono presenti, per la durata di almeno una settimana, sintomi quali: spossatezza, disturbi psicomotori, disturbi dell’appetito, disturbi del sonno, in concomitanza con umore depresso: angoscia, tristezza, sensi di colpa immotivati e talvolta anche idee di morte. Peculiari sono inoltre i pensieri di timore per il neonato e per ipotetici rischi che questi possa correre nell’immediato: anche da parte di persone vicine ed appartenenti al contesto familiare. Tali timori, per lo più di tipo nevrotico, sono caratterizzati da marcata ansia, e non appaiono giustificabili dalle reali circostanze: sebbene la mancanza di aderenza alla realtà non è così grave come quella che si osserva nella psicosi post-partum. Esistono tuttora una certa confusione e incertezza circa la natura della depressione post-partum, e circa le concause che giocano un ruolo importante nel suo determinismo. Altre condizioni psicopatologiche che possono slatentizzarsi nel post-partum Numerosi sono gli studi che nella letteratura internazionale fanno riferimento ad altri disturbi psichici che possono slatentizzarsi dopo il parto. In particolare disturbi del comportamento alimentare, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo post-traumatico da stress. Spesso in questi casi è possibile riscontrare anamnesticamente le tracce di una personalità premorbosa specifica. Diversamente va considerato il caso di riacutizzazione di disturbi psichici già precedentemente diagnosticati, quale il disturbo bipolare, nella cui recidiva gioca un ruolo fondamentale il fatto che i trattamenti preventivi stabilizzanti dell’umore sono controindicati in gravidanza ed allattamento, con comprensibile incremento del rischio di nuovi episodi tanto maniacali quanto depressivi. In tali circostanze è opportuno limitare il più possibile il periodo dell’allattamento ed istituire quanto prima la terapia stabilizzante dell’umore necessaria. Costi sociali dei disturbi psichici del peri-partum Non sono infrequenti i casi di puerpere che al termine dei previsti mesi di congedo per maternità non se la sentono di riprendere a lavorare: vivono intensamente il conflitto tra la necessità di riprendere i propri impegni professionali e il senso di colpa nei confronti del figlio ancora bisognoso di cure ed attenzioni particolari. Nei casi di depressione franca il rientro al lavoro è di fatto impedito dalla malattia in atto e l’assenza giustificata dal lavoro può protrarsi per diversi mesi. In realtà, anche in assenza di conflittualità manifeste o di depressione franca la maternità finisce spesso per cambiare in maniera profonda ed imprevedibile l’atteggiamento della donna nei confronti dell’impiego. In alcune madri interviene un fenomeno di negazione di questo mutamento con conseguenti tentativi, spesso ansiogeni, di dimostrare che interessi ed efficienza non sono cambiati. Spesso tali lavoratrici diventano vulnerabili ed eccessivamente bisognose di rassicurazioni, creando dinamiche disfunzionali negli ambienti di lavoro. Con la nascita di un figlio anche i padri sono costretti a ridefinire il proprio rapporto col lavoro. La stanchezza dovuta alla comprensibile riduzione del sonno può infatti compromettere concentrazione e performance. La tiroidite post-partum La tiroidite post-partum è una tiroidite subacuta (durata di 6 mesi) senza sintomatologia dolorosa che si manifesta da 2 a 12 mesi dopo il parto. Rappresenta la stessa entità clinica della tiroidite silente, da cui si differenzia per la mancanza della correlazione temporale con il parto. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 17 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE La psicosi post-partum Si tratta di una condizione clinica più grave e molto meno frequente della depressione post-partum (1-2 parti ogni 1000). Si verifica 2-3 giorni dopo il parto con insonnia, irrequietezza e labilità affettiva, ma rapidamente progredisce con la comparsa di confusione, irrazionalità, allucinazioni, deliri (sostenuti da pensieri negativi rivolti verso il bambino o verso se stesse) ed eccessive preoccupazioni relative al neonato: sfociando in un vero e proprio delirio, accompagnato o meno da fenomeni allucinatori. Talvolta tale condizione si manifesta nell’ambito di un disturbo dell’umore o di un disturbo psicotico già diagnosticati in precedenza; in tali casi viene considerata secondaria al sottostante disturbo psichiatrico. Negli altri casi potrebbe essere favorita tanto dall’improvviso cambiamento dei livelli ormonali dopo il parto, quanto da conflitti psicodinamici connessi alla maternità (gravidanza indesiderata, rapporto di coppia instabile o conflittuale, paura della maternità). La psicosi post-partum è più frequente nelle primipare. La prognosi è favorevole nei casi in cui venga istituito un trattamento adeguato e tempestivo. Fattori prognostici favorevoli sono inoltre una personalità premorbosa equilibrata ed una struttura familiare in grado di offrire un adeguato sostegno. Il rischio di suicidio o infanticidio sono invece elevati nelle donne non trattate. CASO CLINICO Da un lato vengono tenute in grossa considerazione le situazioni sociali sfavorevoli: puerpere sole o con un partner poco solidale affrontano con maggiore difficoltà tanto la gravidanz quanto il post-partum; d’altro canto tale sindrome depressiva non viene considerata affatto un problema di natura squisitamente psicologica, quanto piuttosto influenzata e determinata da cause principalmente biologiche. Sembrano infatti giocare un ruolo importante le modificazioni ormonali che si verificano nel peri-partum, con particolare riferimento alla brusca caduta dei livelli plasmatici di progesterone, estrogeni, cortisolo, prolattina ed ormoni tiroidei. Tali modificazioni ormonali sono da considerarsi parafisiologiche, ma in alcune donne possono essere troppo rapide, determinando un alterato riassetto del profilo ormonale. Numerosi lavori endocrinologici sottolineano un parallelismo tra le alterazioni ormonali riscontrabili nella sindrome premestruale e quelle caratteristiche del post-partum (calo del progesterone). Anche eventuali complicanze di natura ostetrica (parti distocici) si associano, senza poter invocare un rapporto stretto di causalità, con l’insorgere della depressione post-partum. È evidente come la ripresa fisica dopo un parto cesareo sia peggiore, per le prevedibili conseguenze dell’anestesia, anche in assenza di specifiche complicanze: quali ad esempio un risentimento radicolare conseguente ad anestesia spinale. Maggiore impatto ha il cesareo quando si decide di praticarlo a travaglio iniziato, o per l’insorgere di complicanze impreviste che mettono a rischio la vita della madre o del neonato: si tratta di eventi particolarmente stressanti che possono preludere allo sviluppo di un vero e proprio “disturbo post-traumatico da stress”. Enfatizzare gli aspetti biologici che sottendono l’insorgenza della condizione depressiva non deve sminuire a nostro parere l’effettiva portata della dimensione psicodinamica della nascita. CASO CLINICO Fig. 1. Andamento clinico della tiroidite post-partum, con caratteristico andamento bifasico (Modificata da Monaco). Tireotossicosi persistente Incremento Tireotossicosi transitoria Ormoni tiroidei 2 4 (mesi) 6 Ipotiroidismo transitorio Parto MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Riduzione Dal punto di vista anatomopatologico, il quadro tipico di questa forma è la presenza di un infiltrato linfocitario con lesione delle strutture follicolari causante tireotossicosi iniziale. L’andamento clinico ha un tipico andamento “bi-fasico” con esordio tireotossico transitorio, ipotiroidismo (presente nella metà dei casi) e ripristino dell’eutiroidismo in assenza dei segni dell’infiammazione (FIg. 1). Fase di tireotossicosi È transitoria, durando da 1 a 4 mesi, e si manifesta con sintomi sfumati: tachicardia, tremore, insonnia, eretismo psichico in assenza di dimagrimento ed iperfagia. La tiroide può essere lievemente ingrandita con assenza di “soffio” tiroideo tipico delle forme di ipertiroidismo vero. Dal punto di vista anatomopatologico si osserva presenza, contemporanea, di un infiltrato linfocitario con lesione delle strutture follicolari. Il quadro bioumorale è caratterizzato da elevati valori di fT3 e fT4 e bassi valori di TSH, tireoglobulina elevata, abTG e TPO-ab elevati con TBI-ab non dosabili. L’ecografia evidenzia un tipico quadro di tiroidite con presenza di aree ipoecogene, la scintigrafia con 99TC e la curva di captazione con 131Iodio evidenziano ridotta captazione. La terapia è sintomatica, avvalendosi di beta bloccanti a basse dosi. I tireostatici (MMZ e PTU) non sono indicati trattandosi di tireotossicosi e non di ipertiroidismo vero. L’impiego di steroidi glicoattivi può accelerare il processo di guarigione. Fase ipotiroidea In quasi la metà dei casi di tiroidite post-partum si osserva, dopo la fase di tireotossicosi, una breve fase, della durata di non più di 2 mesi, caratterizzata da ipofunzione tiroidea a volte sub-clinica (TSH elevato con fT4 e fT3 bassi o normali) e TG, abTG, TPO-ab elevati o normali. 18 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 Ipotiroidismo permanente Dal punto di vista clinico, di solito non si osservano i segni dell’ipotiroidismo se non in forma attenuata. Unico sintomo costantemente presente è la depressione del tono dell’umore. Ecografia B-Mode ed ecocolordoppler nelle tiroiditi Il quadro ultrasonografico ed ecocolordoppler delle tiroiditi dipende dalle differenti forme cliniche (Tab. 2). Nelle forme acute e subacute (caratteristiche del post-partum) il quadro ecografico è caratterizzato da un incremento volumetrico diffuso o segmentario della ghiandola che tende a presentari ipoecogena (espressione dell’edema parenchimale). L’ecocolordoppler in questa fase (Fig. 2) può evidenziare, anche se incostantemente, un aumento della vascolarizzazione intraparenchimale che è in relazione allo stato infiammatorio, nonostante l’edema parenchimale tenda a determinare una possibile compressione delle strutture vascolari intraghiandolari. Nelle Tab. 2 Forme cliniche delle tiroiditi. A) Forme acute suppurate (rare) B) Forme Subacute • Granulomatosa (di De Quaervain) • Pain-less • Post-partum C) Forme Croniche • Linfocitaria autoimmune (di Hashimoto) • Fibrosa (di Riedel) • Tubercolare • Post-attinica (da radioterapia esterna, o metabolica) CASO CLINICO Fig. 2 Ecocolordoppler della tiroidite. Tiroide e depressione Le prime conoscenze sui rapporti tra tiroide e disturbi psichici risalgono alle descrizioni “storiche” degli effetti clinici delle tiroidectomie e dell’ipertiroidismo. Successivamente, nei pazienti psichiatrici sono state frequentemente segnalate alterazioni dei valori tiroidei laboratoristici; spesso reversibili senza una specifica terapia. Essendo le strutture talamiche ed ipotalamiche da sempre ritenute la sede dell’affettività, gli assi neuroendocrini a partenza ipotalamica hanno suscitato l’interesse dei ricercatori e sono stati indagati allo scopo di evidenziare eventuali correlati neurobiologici. Il coivolgimento tiroideo evidenziabile nel corso di malattia depressiva (ed in particolare una bassa risposta del TSH al TRH) correla con propositi suicidari, tentativi di suicidio violenti e con una maggiore letalità del tentativo suicidario. È stato altresì evidenziato che i pazienti depressi con concomitante ipotiroidismo siano maggiormente a rischio di compromissione cognitiva e di accidenti cerebrovascolari. Tale correlazione è stata supportata da studi di neuroimaging funzionale (SPECT e PET) che hanno potuto dimostrare, nei soggetti depressi ipotiroidei, una riduzione sia globale che regionale del flusso e del metabolismo cerebrale, con maggiore coinvolgimento delle regioni che mediano l’attenzione, la velocità motoria ed i processi visuospaziali. Si ritiene di fatto che i circuiti coinvolti nella demenza ipotiroidea siano diversi da quelli compromessi nei pazienti depressi non ipotiroidei, con analogo calo della performance cognitiva. Ulteriori valutazioni sono state effettuate esaminando se determinati livelli plasmatici di ormone tiroideo, rientranti nel range normale, potessero evidenziare popolazioni a rischio per disturbi depressivi; i risultati suggeriscono che tale aumentato rischio possa correlare con livelli di tiroxina ai limiti alti della norma. Nella pratica clinica, sulla scorta del dato neurobiologico della soppressione della risposta al TRH, sono stati sperimentati inoltre protocolli di potenziamento Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 19 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE forme subacute e croniche, in cui non si manifesta clinicamente l’ipotiroidismo, il segnale colore si incrementa notevolmente, risultando simile a quadri tipici dell’ipertiroidismo. Questo incremento è in relazione con l’aumentata concentrazione di TSH, infatti la normalizzazione di questo parametro con la terapia farmacologica o con il ripristino della funzionalità ghiandolare, determina un graduale decremento del segnale colore. Lo stimolo tireotropo provocato dall’aumento in circolo del TSH sulla ghiandola, determina un incremento della vascolarizzazione e del flusso ematico intraparenchimale, che può accompagnarsi a variabile incremento della velocità sistolica in sede intraghiandolare. L’analisi flussimetrica mediante il Doppler pulsato integra lo studio qualitativo del color-doppler, però nel caso specifico delle tireopatie non fornisce elementi utili alla loro caratterizzazione. Nella iperplasia e nello struma sia a carattere diffuso che nodulare, non iperfunzionanti, la velocità massima di picco sistolico non supera 50 cm/s, la velocità media è inferiore a 40 cm/s, IR non supera 0,75. Nelle iperfunzioni ghiandolari diffuse il picco sistolico è sempre superiore a 50 cm/s. Qualche informazione aggiuntiva si può estrapolare dall’analisi flussimetrica condotta a livello delle arterie tiroidee afferenti, ed in particolare dell’arteria tiroidea inferiore, più facilmente reperibile rispetto al ramo superiore. In presenza di tireopatie diffuse, ed in particolare nelle iperfunzioni diffuse (morbo di Basedow) si registrano valori di velocità sistolica anche superiori a 150 cm/s. In tutte le altre tireopatie diffuse non correlate ad iperfunzione, il flusso sistolico dell’arteria tiroidea inferiore non supera i 65 cm/s. Tale rilievo semeiologico è di notevole aiuto nella diagnostica delle forme caratterizzate da intensa vascolarizzazione intraghiandolare e di quelle di incerto inquadramento. Il controllo a distanza di tempo dell’evoluzione di tali parametri risulta inoltre particolarmente utile nell’obbiettivazione e nella valutazione dell’efficacia dei trattamenti farmacologici posti in essere nelle varie tireopatie. CASO CLINICO MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE degli effetti della terapia con antidepressivi, mediante la concomitante somministrazione di ormoni tiroidei nei pazienti affetti da depressione resistente al trattamento. Occorre precisare, allo stato, che tale tipo di protocolli sono da considerarsi dei tentativi empirici; giacché mancano dati certi circa l’efficacia dell’aggiunta di levotiroxina nei casi si pazienti con ipotiroidismo subclinico. Particolare attenzione viene altresì data alla valutazione tiroidea in gravidanza; per le possibili conseguenze negative dell’ipotiroidismo sullo sviluppo neuronale intrauterino. La presenza di autoanticorpi tiroidei o di alti livelli di TSH nel peri-partum sono stati rilevati e messi in relazione con sintomi depressivi ed umore disforico nelle puerpere: anche in assenza di una diagnosi clinica di depressione. D’altra parte, anche tra i pazienti ipertiroidei si registra un aumento dell’incidenza di turbe psichiche. A livello aneddotico vale la pena di ricordare che lo stesso Sigmund Freud fu tratto in inganno dall’espressività psicopatologica della sintomatologia basedowiana. Infatti, in un famoso caso clinico tale sintomatologia fu confusa con uno stato di allarme psicotico, e, purtroppo, con conseguente exitus del paziente, giacché non riconosciuta la primaria patologia clinica. Ad onor del vero la diagnosi differenziale deve prescindere dai sintomi psichici dell’ipertiroidismo, perché comprendono agitazione, irritabilità, turbe dell’umore, iperattività, ansia ed attacchi di panico; e per quanto rari, similmente al caso trattato da Freud, possono verificarsi anche stati psicotici ad espressività allucinatoria e francamente maniacali. Per completezza è opportuno riportare che lo scompenso psichico acuto si associa spesso con incrementi del T4 e dell’FT4, e meno frequentemente con una riduzione della tiroxina. Pertanto il rilievo di livelli di TSH soppressi o elevati può indurre in tali pazienti a valutazioni diagnostiche errate. Allo stato, l’unico dato di una notevole evidenza clinica conferma che, sebbene la depressione non sia caratterizzata da una chiara disfunzione tiroidea, un sottogruppo di pazienti depressi può presentare sfumate alterazioni nel pattern ormonale o un’attivazione di processi autoimmuni, con compromissione della funzionalità tiroidea. Però i dati della letteratura internazionale non sono evidentemente conclusivi. Bibliografia di riferimento Abalovich M, Amino N, Barbour LA et al. Management of thyroid dysfunction during pregnancy and postpartum: an Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endocrinol Metab 2007; 92(8 Suppl): S1-47. Abrams LS, Curran L. 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Solo in rari casi sfocia in una tiroidite cronica con tireotossicosi persistente o ipofunzione tiroidea persistente (0,2% dei casi) ponendo problemi di diagnosi differenziale col morbo di Graves e con la tiroidite cronica autoimmune (nel primo caso abbiamo gli anticorpi antirecettore anti TSH positivi, il quadro scintigrafico che evidenziano aumentata captazione e nel secondo caso basterà monitorare TSH , fT4, fT3, abTG e TPO-ab ogni 6 mesi nei primi 2 anni e successivamente a cadenza annuale). La tiroidite post-partum si differenzia da quella sub-acuta di De Quaervain per l’assenza della sintomatologia dolorosa, della febbre e dell’elevazione degli indici di flogosi. Diagnosi e gestione dei disturbi psichici del peri-partum La depressione nel post-partum è una realtà clinica spesso sottostimata che, se non diagnosticata e trattata adeguatamente, può essere causa di un’inadeguata relazione madre-neonato, scarsa cura del bambino, problemi coniugali, disturbi affettivi cronici, abuso di sostanze, suicidio, infanticidio. Anche senza paventare conseguenze drammatiche si è visto che il funzionamento della diade madre-bambino all’età di tre mesi è compromessa se la madre è depressa. È noto infatti che i figli di madri depresse mostrano minori interazioni con la madre, espressioni del viso non serene, minori comportamenti positivi, minori sorrisi e minori vocalizzazioni: con conseguenze evidenti sullo sviluppo psicoaffettivo e cognitivo successivo. In genere questi bambini sono più irritabili, meno attivi e piangono più a lungo. Proprio per preservare il rapporto tra madre e bambino, necessario alla strutturazione di un adeguato pattern di attaccamento del bambino, è importante sospettare la condizione depressiva nella madre, non sottovalutando quadri clinici potenzialmente evolutivi. Ciò è tra l’altro propedeutico all’istituzione di cure adeguate commisurate alla gravità della condizione depressiva, che possono andare dal semplice sostegno psicologico (ascolto partecipato, counseling, psicoterapia di sostegno) a un trattamento psicofarmacologico laddove si renda necessario, fino al ricovero in ambiente protetto nei casi di psicosi gravi. 22 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 Claudio Bianchin Medico legale, Agenzia Socio-Sanitaria del Veneto IL CASO L’EVIDENZA The monday morning quarterback phenomenon Il caso, benché sviluppatosi nel contesto di un diverso sistema legale e sanitario, risulta ugualmente didattico per argomentare su uno dei tanti errori sistematici di valutazione che talora possono ridurre l’affidabilità della valutazioni medico-legali su pretesi casi di malpractice. Ovviamente, non si fa riferimento alle valutazioni scontatamente contrastanti dei due “expert witness” (consulenti tecnici delle parti) che sono stati scelti Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 27 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Un bambino di tre settimane viene portato dalla mamma al medico di famiglia in quanto manifesta febbre e forte irritabilità. Il pediatra, sentita la mamma e visitato il bambino, ritiene i disturbi suggestivi per meningite e prescrivere l’immediata consulenza specialistica ospedaliera. Poco dopo il bambino accede all’ambulatorio specialistico ospedaliero dove viene visitato dal medico pediatra di turno. Confermato il forte sospetto di meningite, dopo il prelievo di liquor e di sangue per gli accertamenti, il bambino viene preparato per la somministrazione endovena di ampicillina che viene praticata dall’infermiera. Purtroppo la terapia non è stata sufficiente ad evitare degli esiti rilevanti della malattia. I familiari decidono di denunciare il medico per malpractice. Il loro consulente sostiene che i danni sono attribuibili ad un ritardo nella somministrazione della terapia in quanto dall’accesso all’ambulatorio alla somministrazione di antibiotico sono passate ben due ore e che lo standard per questo tipo di intervento è intorno alla mezz’ora. Il consulente di fiducia che difende il medico, invece, ritiene che le due ore rientrino in uno standard accettabile, cioè all’interno dei tempi di trattamento assicurati nella prassi in situazioni simili. Come spiegare tanta differenza? Le contrastanti affermazioni dei due esperti furono di stimolo per una ricerca1 finalizzata a misurare empiricamente le effettive performances assicurate dal personale sanitario e dalle loro strutture ospedaliere di appartenenza in situazioni simili. In particolare vennero determinati, attraverso la revisone retrospettiva delle cartelle cliniche, i tempi che andavano dall’accesso al Dipartimento di Emergenza alla somministrazione parenterale di antibioticoterapia (“AB time”) di 93 casi di meningite batterica accolti, dal 1987 al 1989, presso due Ospedali pediatrici universitari statunitensi. Contestualmente lo studio prevedeva la richiesta a subspecialisti della Medicina d’Urgenza Pediatrica (ER) e delle Malattie Infettive Pediatriche (ID) di una valutazione sui i tempi corrispondenti secondo la loro esperienza, come simulazione di potenziali pareri “obiettivi” come “esperti”. Lo studio porta al relativamente sorprendente risultato che invero i tempi medi sono proprio intorno alle due ore (interquartile range da 1,25 a 3,33 ore) mentre gli specialisti affermarono che nella loro esperienza i tempi di latenza si aggiravano rispettivamente intorno ai 45’ e 80’, con stime quindi significativamente diverse tra i due reparti e soprattutto da quanto riscontrabile obiettivamente dall’esame della documentazione sanitaria. Solo in un caso la terapia era stata somministrata entro i pretesi 30 minuti. Di rilievo il fatto che non emerse nessuna significativa correlazione tra l’AB time e la mortalità (2%)/morbilità (20%) nel corso dell’ospedalizzazione. Dalla revisione della letteratura è stato inoltre possibile individuare altri due precedenti studi pubblicati su questa problematica. Bryan et. al.2, in uno studio su 121 bambini con meningite, trovò un tempo medio di poco superiore: 2,1 ore (SD ± 1,7). Di poco inferiore invece quello registrato da Talan et. al.3 che descrissero una serie di 100 bambini, di cui il 55% ricevette la terapia prima dei risultati delle analisi del liquor, con un AB time medio di 1,9 ore. DECISIONE E RESPONSABILITÀ “The monday morning quarterback phenomenon”, ovvero un altro errore nella valutazione degli errori DECISIONE E RESPONSABILITÀ MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE dagli avvocati in gioco nel contenzioso proprio perché disponibili a sostenere delle posizioni strumentalmente favorevoli alle loro parti, spesso disinvoltamente con argomentazioni scientifiche poco rigorose (finantial bias). L’attesa, poi, che dal metodo del confronto (cross-examination) delle opposte posizioni emerga la realtà delle cose è una questione di cui manca ogni evidenza. Presumo che il parere in merito dei medici italiani non sia molto distante da quello dei neonatologi americani che in un studio4 hanno fatto emergere tutta la loro disillusione rispetto alla qualità di tali “esperti” e delle loro testimonianze, spesso irrispettose di ogni dimostrabile standard. La maggior parte di questi consulenti di parte viene vista più come charlatans piuttosto che come veri esperti. Questo punto di vista è stato espresso sia da quelli a cui è stata contestata la malpractice che dagli altri. Qui rileva invece la richiesta di un parere “obiettivo” a dei potenziali “esperti” da considerare come una simulazione di parere tecnico utilizzabile ai fini di giustizia. In teoria questi professionisti potrebbero essere nominati da un magistrato in qualità di periti e di consulenti tecnici per una valutazione su un caso di possibile responsabilità professionale di loro competenza. Nel caso in questione abbiamo visto come gli specialisti di due ospedali universitari pediatrici, seppur sicuramente competenti, abbiano comunque sbagliato delle valutazioni, anche se in modo sincero ed intenzionalmente imparziale, per eccessivo ottimismo circa le performances assicurate da loro stessi e dalle loro strutture. L’attenuante che le reali intenzioni fossero di fornire un parere sinceramente “obiettivo” non sminuisce il fatto che ciò comunque avrebbe messo ingiustamente in grave difficoltà il medico accusato che, in mancanza di dati empirici a sostegno della sua difesa, si sarebbe trovato probabilmente a soccombere nel contenzioso. Questo bias valutativo è stato denominato “il fenomeno del lunedì mattina del quarterback”, che tradotto in termini cestistici a me molto più familiari del fooball americano, potrebbe indicare la tendenza del giocatore dopo la partita a ricordarsi più dei canestri entrati che di quelli falliti con una falsa e migliore rappresentazione della percentuale di realizzazione. Il ritorno alla cruda realtà viene qui assicurato dall’obiettivo confronto con lo “scout” ed il “referto”, cioè dalla sistematica registrazione dei dati prestazionali più rilevanti di ogni giocatore nel corso della partita, una specie di “cartella clinica” di gioco. Ma pure i golfisti professionisti credono di essere più bravi di quello che in realtà sono. Anch’essi, infatti, non sembrano immuni da questo difetto mnesico visto che da uno studio emerge un analogo ingiustificato ottimismo sulle loro abilità: a fronte di un ritenuto 75% di 6foot putts (colpi ravvicinati in buca) l’attuale osservazione diretta ne indica solo il 55%. Nello stesso modo uno studio ha dimostrato come i medici di famiglia sovrastimano significativamente il tempo dedicato ad educare i loro pazienti a migliori stili di vita ed alla medicina preventiva5. Mentre i laboratoristi sottostimano il tempo necessario a fornire al Dipartimento di Emergenza il risultato dei markers di lesione miocardica richiesti per i pazienti che si pre- 28 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 sentano con sospetto infarto. I clinici ritengono necessario un TAT (order-to-report Turn Around Time) entro 45’, i laboratoristi sostengono come “ragionevole” un tempo di 60’, ma una verifica sul campo evidenzia che purtroppo nel 90% dei casi non si va sotto i 90’6. Ne deriva che la descrizione della propria condotta risulta poco accurata rappresentando non tanto quello che attualmente i medici fanno ma piuttosto quello che vorrebbero fare. Quindi, anche dei qualificati medici hanno la tendenza a ricordarsi più i casi in cui le prestazioni rientravano in uno standard ritenuto di riferimento o comunque accettabile mentre tendono a dimenticare e rimuovere le volte in cui tale standard non è stato rispettato. Nel complesso si trovano ad avere, come i giocatori, una rappresentazione dei propri livelli prestazionali superiori a quelli concretamente assicurati. Questi studi non portano certo a concludere che giocatori e medici sono deliberatamente falsi, ma piuttosto che tutti noi siamo affetti da un vizio di memoria che tende a selezionare più i ricordi dei successi rispetto agli insuccessi con una distorsione migliorativa della realtà. Tale inconsapevole meccanismo psicologico, posto a difesa del nostro livello di autostima, può diventare evidentemente un problema quando un medico viene chiamato ad esprimere un parere sull’operato di un altro collega. Invero, i trattamenti medici non sono classificabili come singoli comportamenti che si conformano o si scostano da uno standard, spesso non documentabile, costruito retrospettivamente dal perito di turno, ma piuttosto sono rappresentabili da una distribuzione di comportamenti in risposta ad una varietà di circostanze mediche. Per lo scenario del caso descritto, ad ogni possibile risposta può essere attribuita una frequenza relativa sulla base di dati empirici, con la conseguenza che la totalità dei comportamenti potrà essere rappresentata da una curva normale (Fig. 1). I comportamenti inusuali e verosimilmente inadeguati cadono al di fuori della larga maggioranza della casistica studiata. E il quesito sulla negligenza dovrebbe rispondere alla domanda: il comportamento sotto giudizio cade entro o al di fuori della distribuzione dei trattamenti medici che sono ordinariamente usati in casi simili, cioè della majority practice? Il 5° percentile cade fuori? Mah! Certamente non il 50° percentile! Va però detto che non sempre abbiamo dei dati empirici di confronto che rappresentano “quello che abitualmente si fa”, e non tanto “quello che si dovrebbe fare”. Nella maggior parte dei sistemi legali il medico è obbligato ad usare l’esperienza, la conoscenza e la diligenza ordinariamente usate in simili circostanze. Quindi, il parametro di riferimento per la valutazione della malpractice non dovrebbe essere l’ “optimal care”, ma la “usual care”, cioè quel livello di performances realmente assicurato dai professionisti e dalle strutture sanitarie in condizioni simili, concetto che più si avvicina alla nostra “diligenza media”: lo “standard medio di riferimento” come scriminante tra la prestazione diligente e quella al contrario indiligente. Anche se è la “norma” e non la “media” il riferimento per stabilire lo standard delle cure, altrimenti si potrebbe ingenerare confusione suggerendo che metà dei casi sono trattati in modo negligente. Evidenza empirica 2h 2,1 1,9 80’ Consenso globale 45’ 30 Tempo di soministrazione dell’AB Negligenza D1 D2 D3 Fig. 2 Diversa distribuzione dei comportamenti medici rispetto ad uno standard. Nel caso presentato, la ricerca di letteratura specifica aveva ugualmente individuato due lavori sull’argomento condotti presso centri universitari e che confortavano il dato empirico trovato con una tempistica media più o meno sovrapponibile. Ma spesso tale ricerca può essere infruttuosa oppure poco utilizzabile in quanto frequentemente si fa riferimento a strutture accademiche che abitualmente si possono permettere degli stardard non alla portata di chi opera in condizioni ordinarie, magari in strutture periferiche. Pertanto, vi è il concreto rischio che, in mancanza di studi empirici che vadano a rappresentare l’usual care o il c.d. “customery standard” o “community standard”, il riferimento legale si orienti al gold standard o comunque verso requisiti molto più restrittivi. L’American Academy of Pediatrics, comprendendo tale pericolo, propone di prendere in esame i motivi più ricorrenti di lite legale per malpractice per condurre degli studi osservazionali in modo che gli eventuali expert witness, giudici e giurie, possano far riferimento a dei dati oggettivi predisposti dalla comunità scientifica e ricavati dalla registrazione reale dei livelli prestazionali. La finalità è quella di adottare una procedura che eviti che comportamenti prevalenti nella prassi medica possano esser considerati substandard ed i relativi medici outliers. Ritornando al nostro pediatra del caso in discussione, visti i dati empirici e della letteratura, lo possiamo mandare tranquillamente assolto in quanto il suo comportamento rientrava comunque nell’ambito dello standard of care. Anche se ha concretamente rischiato di vedere il suo operato censurato da “sapienti” colleghi che invero non sono verosimilmente in grado di assicurare prestazioni migliori di lui. Risolto questo problema, ora ne dobbiamo risolvere un altro. Se immaginiamo dei tempi di trattamento che si allontanano progressivamente oltre la media (2 ore), quando potremmo dire che i ritardi non sono più accettabili e che vanno censurati? È infatti controverso di quanto la procedura possa variare rispetto alla media o all’ideale. La Joint Commission, organizzazione americana di accreditamento delle strutture sanitarie, utilizza la process variation come spia di qualcosa che non va, cioè as a proxy for error. Ma non è facile stabilire se lo scostamento, rispetto a quanto indicato, sia ancora compatibile con lo standard delle cure o sia sconfinato nell’errore. In definitiva, qual è la variazione di processo ammessa? Per situazioni estreme è evidente che risulterà facile parlare di inaccettabile ritardo o di colpevoli omissioni, ma prima ci troveremo ad attraversare un’ampia fascia di grigi senza un preciso cut off (Fig. 1). In questo ambito è verosimile che, chiunque sia chiamato ad esprimersi (consulente tecnico, giudice, valutatore in generale ecc.), possa orientarsi sia un senso che nell’altro secondo criteri soggettivi non proprio rigorosi. Diversa sarà poi la condizione non solo a seconda della media ma anche dell’ampiezza della distribuzione, cioè della variazione intorno alla media. Quanto più ristretta sarà, cioè quanto più i comportamenti dei sanitari si conformeranno a dei riferimenti o comunque saranno omogenei, tanto più rischiosa ed incerta sarà la situazione del medico (D2 e D3 di Fig. 2) che oltrepassa tale media7. Siamo passati quindi a rappresentare un altro aspetto critico della valutazione dei trattamenti sanitari rispetto ad uno standard delle cure che ne riduce ulteriormente l’affidabilità. Ciò è probabilmente una delle cause dello scarso accordo agreement tra i revisori8 che, nei principali studi sugli eventi avversi in corso di ospedalizzazione, si sono trovati a dover esprimere un giudizio circa la dipendenza di questi più da errori nei trattamenti medici (eventi avversi evitabili) piuttosto che dalle malattie sottostanti. Le liti legali incentrate su un preteso ritardo nella diagnosi e/o terapia sono ricorrenti. Nella nostra casistica ricordo la contestazione del ritardo in occasione della rottura di un aneurisma dell’aorta, della trombosi di un’arteria poplitea, di una rottura splenica, di un’erniazione compressiva di un disco cervicale ecc. … solo per riportare alcuni esempi. Tale impostazione vale per qualsiasi concetto quantificabile come appunto il tempo (es. tempi di trasporto di un paziente) o altro dato quantitativo numerico Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 29 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Fig. 1 Tempi medi di latenza prima della somministrazione di ampicillina nella diagnosi di meningite. DECISIONE E RESPONSABILITÀ The Monday morning quarterback phenomenon DECISIONE E RESPONSABILITÀ MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE (es. PCO 2 richiedente l’intubazione oppure valore della bilirubina richiedente la exsanguino trasfusione). Ma si prestano ad essere rappresentati e sottoposti allo stesso tipo di analisi anche aspetti qualitativi dei comportamenti dei medici, come ad es. la somministrazione prenatale di corticosteroidi. In un’altro lavoro di L. Meadow9 dall’esplicativo titolo Statistics, non memories, le effettive determinazioni della frequenza dell’uso prenatale di corticosteroidi sulle madri a rischio di parto pretermine, come risulta dalla letteratura specifica nel corso degli 1985-2000, sono state comparate con una un’inchiesta sul riferito uso degli stessi da parte di 302 ostetrici operanti nel medesimo periodo sulla base della loro esperienza. Lo studio è stato deliberatamente disegnato per chiedere agli ostetrici circa il loro comportamento in un singolo idealizzato caso, analogamente all’opinione che verrebbe richiesta ad un perito per un caso di allegata negligenza. Anche in questo caso la ricerca era stata sollecitata dalla contestazione dell’operato di un ostetrico che negli anni ’90 non aveva somministrato i corticosteroidi ad una donna di 28 settimane di gestazione che partorì un bambino di 0,9 kg con importanti sequele della sindrome da distress respiratorio (RDS). Il consulente dell’accusa sosteneva, probabilmente basandosi sulla propria esperienza e memoria, che la somministrazione era dovuta in quanto rappresentava lo standard of care, mentre quello della difesa affermava che solo una minoranza li usava “ordinariamente in simili circostanze”. Quest’ultimo, però, poteva contare, a rinforzo di quanto sostenuto, su articoli pubblicati che descrivevano l’esperienza di migliaia di donne nei primi anni ’90 che si trovarono in simili condizioni. Ebbene, la percentuale complessiva di queste che ricevettero i corticosteroidi si aggirava intorno al 20%. Dallo studio emerse che tale pratica negli anni è andata costantemente aumentando (8-75%) ma che l’opinione degli ostetrici sovrastimava di molto, in ogni periodo, il loro reale uso, proprio e dei loro colleghi. Ancora, la discrepanza viene spiegata con il fatto che i ricordi in via retrospettiva spesso sono inesatti, falsificati però da errori che non si distribuiscono in modo random, in un senso o nell’altro, ma sistematicamente in modo asimmetrico verso risultati che, ex-post, sono considerati più appropriati. Quando vengono richiesti eventi relativi al passato la tendenza è di sovrastimare piccoli numeri, nella specie le poche volte in cui è stato rispettato lo standard desiderabile, e di sottostimare ampi numeri, cioè tutte le altre volte in cui ciò non è avvenuto. Tale fenomeno, ampiamente noto da decenni altrove (psicologia, scienze sociali ecc.) e supportato da una vasta letteratura relativa alle ricerche sulla memoria, non sembra sufficientemente riconosciuto come problema nell’attuale sistema legale. Poiché ostetrici come questi sono anche potenzialmente nominabili come consulenti tecnici per esprimere un parere “obiettivo” in casi simili, appare verosimile che la loro testimonianza circa “la prassi ordinaria in simili circostanze”, se basata sui ricordi della propria personale esperienza e non su una fedele documentazione della pratica medica, possa condurre a rilevanti errori valutativi. 30 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 Evidenza empirica Caos completo D1 120 m D2 D3 Fig. 3 Diversa distribuzione dei comportamenti medici rispetto ad uno standard. Ovviamente, non tutte le liti legali vengono alimentate da controversie che, basandosi sulla deviazione da uno standard, potrebbero essere risolte dalla proattiva disponibilità di data-base per la determinazione dei comportamenti dei medici. Nessun contributo metodologico, infatti, potrebbe essere fornito in caso di problematiche relative alla mancata diagnosi o al nesso di causalità tra danno ed errore. Inoltre, quando gli studi pubblicati riportano dati da centri multipli spesso descrivono un ampio spettro di comportamenti intorno ad un valore medio, in particolare se mancano standard condivisi; ne deriva un eccessivo margine di incertezza attorno ad ogni punto stimato che rende problematico determinare dall’analisi statistica lo standard delle cure per un singolo caso (Fig. 3). Cosa ne pensano gli avvocati di questo? La maggior parte non ha competenze di analisi dei dati e sono particolarmente sospettosi circa le loro fonti e le modalità in cui vengono ricavati. Per loro natura non si mostrano particolarmente entusiasti, anzi manifestano un certo scetticismo verso qualcosa che comunque contribuirebbe a dare una certa rigidità alle loro mutevoli valutazioni. Tutto ciò che è “statistica” risulta poco flessibile e quindi meno manipolabile per le loro esigenze fisiologicamente strumentali alla parte che servono. Se in un caso questo potrebbe dare un contributo a sostenere la loro tesi difensiva/accusatoria, cosa succederebbe al “cliente” del prossimo caso se si dovesse trovare in una situazione difficile rispetto a questi dati obiettivi? Il giudice, salvo casi particolari, come l’amputazione dell’arto sbagliato o la dimenticanza di garze in addome, non può sapere qual è il livello prestazionale ordinariamente assicurato dai medici e di conseguenza per questa valutazione deve fare affidamento sul consulente tecnico nominato. Il consulente tecnico, a sua volta, tende a rappresentare lo standard della pratica medica sulla base del riflesso della propria esperienza. Ad esso non vengono date istruzioni aggiuntive riguardo a specifiche modalità con cui deve tradurre la sua esperienza, conoscenza e preparazione in un parere. Pertanto, può anche presumere che gli venga richiesto di ricordare come lui o i suoi qualificati e diligenti colleghi abitualmente si compor- reali performances dei medici piuttosto che sulle soggettive opinioni di esperti. La fallace memoria di singoli esperti rappresenta una fonte di gran lunga meno attendibile di tali dati per quanto approssimativi. La diffusione di tale modo di vedere delle organizzazioni medico-scientifiche, integrata con la proattiva pubblicazione di studi sulla reale distribuzione della pratica medica nei potenziali scenari delle più ricorrenti problematiche cliniche in tema di malpractice, potrà sensibilmente migliorare la razionalità e l’attendibilità dei pareri resi dai consulenti tecnici a fini di giustizia. Bibliografia LA PRATICA Valutare lo standard delle cure ● La “normale” pratica medica, cioè la prassi ordinaria in condizioni simili, risulta spesso decisiva per stabilire lo standard delle cure di rilevanza giuridica. ● Nella determinazione dello standard of care, il sistema legale deve contare su dati statistici relativi alle reali performances dei medici e non sui personali ricordi dell’ “esperto” di turno. ● Le memorie di un singolo esperto sono sicuramente più fallaci della descrizione statistica della prassi medica. ● La diffusione dell’uso di dati statistici, quando disponibili, può sicuramente migliorare l’affidabilità e la razionalità delle valutazioni dei consulenti tecnici nell’ambito della responsabilità professionale. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 31 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE 1. Meadow WJ, Lanthos J, Tanz RR, Mendez D et al. Ought “standard care” be the “standard of care”? A Study of the time to administration of antibiotics in children with meningitis. Am J Deas Chil 1993; 147: 40-44. 2. Bryan CS, Reynolds KL, Crout L. Promptness of antibiotic therapy in acute bacterial meningitis. Ann Emerg Med 1986; 15: 544-557. 3. Talan DA, Guterman JJ, Overturf GD, Singer C et al. Analysis of Emergency Department managment of suspected bacterial meningitis. Ann Emerg Med 1989; 18: 856-682. 4. Meadow W, Bell A, Lanthos J. Physicians’ experiences with allegations of medical malpractice in the neonatal intensive care unit. Pediatrics 19977; 99: 5-10. 5. Tracy Orleans C. et al. Health Promotion in Primary Care: a survey of U.S. Family Practitioners, Preventative Med 1985; 14 (5): 636-642. 6. David A, Novi S et al. Biochemical Markers of Myocardial injury test turnaround Time. Arch Pathol Lab Med 2004; 128: 158-164. 7. Peters PG. Empirical evidence and malpractice litigation. Wake Forest Law Review 2002; 37: 757. 8 Localio AR et. al. Identifying adverse events caused by medical care: degree of physical agreement in a retrospective chart review. Ann Intern Med 1996; 125: 457-464. 9. Meadow WL, Bell A, Sunstein CR. Statistics, not memories: what was the standard of care for administering antenatal steroids to women in preterm labor between 1985 and 2000? Obstet Gynecol 2003; 102: 356-362. DECISIONE E RESPONSABILITÀ tavano in simili circostanze, e concordemente testimoniare. Indubbiamente, i dati ricavati dalla letteratura medica sono spesso disordinati e la metanalisi è complicata, per cui risulta difficile importare questi strumenti di valutazione all’interno delle aule di giustizia per la scarsa comprensibilità ad avvocati e giudici. Va comunque fatto ogni ragionevole sforzo per spiegare con entusiasmo come tali dati vengono ricavati ed il loro reale valore e significato, ma anche i loro riconosciuti limiti, la loro relativa accuratezza ed i loro margini di incertezza. E questo perché l’alternativa risulta semplicemente inaccettabile: affidarsi ai ricordi sicuramente inaccurati di singoli “esperti” in assenza di alcun rigore metodologico richiesto per le analisi scientifiche. Rimane il problema se i medici hanno l’obbligo giuridico di fornire prestazioni che sono “ordinariamente” assicurate nelle “stesse o simili circostanze” oppure se devono conformarsi a più desiderabili standard, cioè a livelli prestazionali che si ritiene “devono” essere forniti in tali circostanze, indipendentemente dalla reale prassi: rilevando quindi non cosa i medici abitualmente fanno, ma cosa un medico diligente avrebbe dovuto fare. In questa seconda visione la “normale” pratica medica non risulterebbe certo decisiva per stabilire lo standard delle cure di rilevanza giuridica. Nella diverse realtà l’autorità legale oscilla più o meno consapevolmente tra questi due orientamenti, anche se prevale come standard di riferimento l’usual care. Tuttavia, anche qualora ritenesse di discostarsi, come criterio valutativo, dallo standard della pratica ordinaria, è indubbiamente desiderabile che lo faccia sulla base di una accurata e non fantasiosa conoscenza di cosa realmente la pratica ordinaria è. Per cui si ritiene che, nel determinare lo standard delle cure che il medico deve assicurare nell’erogazione delle proprie prestazioni, il sistema legale debba sempre contare, quando possibile e comunque molto di più di quanto attualmente fa, su dati statistici delle PRIMA E DOPO La profilassi anti-tetanica in Pronto Soccorso Marco Ricca*°, Massimo Rega°, Carolina Prevaldi▲ MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE *I Scuola di Specializzazione in Medicina Interna, Università di Torino °SC medicina d’Urgenza e DEA, ASO Santa Croce e Carle, Cuneo ▲U.O. Pronto Soccorso/Accettazione San Donà di Piave - Jesolo (VE), AULSS 10 - Veneto Orientale Il tetano è una grave malattia conosciuta sin dall’antichità. Venne descritto per la prima volta da Ippocrate, si dovette comunque aspettare la fine del XIX secolo per lo sviluppo di un modello sperimentale, grazie agli studi di Carle, e l’identificazione del suo agente eziologico, ad opera di Kitasato. Come noto il tetano è accompagnato da elevata mortalità ed è responsabile di circa un milione di morti all’anno in tutto il mondo (colpendo prevalentemente i Paesi in via di sviluppo). Tuttavia, grazie all’ampia disponibilità (ed efficacia) della vaccinazione, la sua attuale incidenza nei Paesi “occidentali” è per fortuna bassa (secondo i dati forniti dal Ministero della Salute in Italia 0,2 casi/100.000 abitanti negli anni ‘90, con una mortalità complessiva del 39%; nel 2006 in totale si sono verificati 64 casi di tetano in tutto il territorio nazionale), tanto da rendere molto difficile (ma non impossibile) per un medico “l’incontro” durante la sua vita lavorativa con un paziente affetto da questa patologia. Tale rarità è alla base di frequenti atteggiamenti diagnostico-terapeutici errati da parte del medico, dettati forse da una falsa sensazione di conoscenza (e “familiarità”) della malattia: basti pensare che, secondo uno studio del 20041, solamente il 57% dei pazienti che si reca in Pronto Soccorso per una ferita riceve una profilassi verso il tetano adeguata (nel 35% dei casi viene omessa la somministrazione di vaccino e/o immunoglobuline, mentre nell’8% dei pazienti vengono praticate misure profilattiche in eccesso). Infatti, l’incontro da parte dei medici (in particolare coloro che operano nei servizi di Emergenza ed Accettazione) con il tetano è pressoché quotidiano, in quanto essi affrontano spesso situazioni potenzialmente evolutive (ad esempio le ferite) trovandosi in questo modo a rivestire una duplice funzione: sia quella “clinica” (profilassi del tetano in paziente infortunato) che “preventiva” (adeguata diffusione della vaccinazione in soggetti a rischio)2. un bacillo Gram positivo, anaerobio obbligato, il Clostridium tetani. Questo germe tuttavia, è presente sotto forma di spora (resistente al caldo, alla normale tensione atmosferica di ossigeno, ai comuni antisettici) in maniera ubiquitaria nel suolo e nelle feci di molti animali (uomo compreso). Qualora la spora venga a trovarsi nelle condizioni idonee (calore, assenza di ossigeno, come ad esempio in caso di contaminazione di una ferita con terriccio) essa germina determinando quindi la crescita batterica e la conseguente produzione di tossine (tetanolisina, i cui effetti non sono noti, e tetanospasmina). Quest’ultima si lega ai nervi periferici e sfruttando il trasporto assonale raggiunge per via retrograda il sistema nervoso centrale (SNC) e si localizza principalmente a livello pre-sinaptico, ove interferisce (con un legame irreversibile) principalmente con il rilascio del GABA. Il blocco del rilascio del GABA, importante neurotrasmettitore inibitorio, e la conseguente disinibizione dei neuroni motori (e di alcuni neuroni del sistema nervoso autonomo) determina quindi importanti spasmi muscolari ed instabilità autonomica, cioè le più importanti manifestazioni cliniche del tetano2,3. Va ricordato come la gravità della patologia correli in maniera inversamente proporzionale con la durata del periodo di incubazione (che va da 1-2 giorni sino ad oltre un mese; nella maggior parte dei casi oscilla dai 7 ai 14 giorni). L’irreversibilità del legame della tetanospasmina con le proteine sinaptiche rende conto del fatto che la guarigione implica la sintesi di nuove proteine, e pertanto i primi miglioramenti nei pazienti affetti da tetano iniziano a manifestarsi solamente a due-tre settimane di distanza dall’esordio. Fisiopatologia Il tetano è una malattia infettiva (non contagiosa) causata da una tossina (tetanospasmina) prodotta da ● 32 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 PRIMA Caso n. 1: donna di 79 anni; in anamnesi ipertensione arteriosa in terapia con ACE-inibitori e diabete mellito tipo 2 in terapia insulinica multi-inietti- LA LETTERATURA Ricorrendo alle linee guida internazionali ed alle raccomandazioni più autorevoli presenti in letteratura4-8, secondo lo schema ormai abituale, cerchiamo di affrontare le problematiche relative a tale argomento secondo le domande che più frequentemente ci poniamo di fronte ai pazienti. Esistono delle condizioni cliniche che “mimano” il tetano e con il quale devono entrare in diagnosi differenziale? Sono poche le patologie che entrano nella diagnostica differenziale con il tetano. Il trisma può presentarsi in caso di ascessi peritonsillari od odontogeni, condizioni prontamente identificabili grazie all’anamnesi e l’obiettività. L’avvelenamento da stricnina può determinare una sintomatologia del tutto sovrapponibile al tetano. L’ipocalcemia è una causa di tetania; i test di laboratorio ne permettono un rapido riconoscimento. Altre condizioni cliniche che spesso si accompagnano a spasmi muscolari diffusi (comizialità, encefalopatie ecc.) sono accompagnate da alterazioni dello stato di coscienza, come avviene anche nella sindrome maligna da neurolettici (spesso associata anche a febbre). Qualche problema può insorgere nelle fasi iniziali del tetano cefalico. Esso, infatti, avendo una predilezione per il VII nervo cranico spesso viene scambiato con la paralisi di Bell; tuttavia la comparsa di spasmi muscolari e trisma nel decorso rendono più agevole il corretto inquadramento diagnostico. Allo stesso modo è difficile riconoscere il tetano neonatale nelle sue fasi iniziali, in cui prevalgono sintomi aspecifici (sonnolenza, irritabilità, perdita dell’appetito), comuni a molte altre patologie frequenti durante l’età evolutiva; anche in questo caso la comparsa di spasmi muscolari generalizzati rende chiara la diagnosi. Quale iter diagnostico-terapeutico va impostato nei pazienti con tetano? La diagnosi di tetano è squisitamente clinica, non essendo disponibili al momento attuale test di laboratorio o altre metodiche in grado di confermare od escludere tale ipotesi. La ricerca del C. tetani mediante coltura di materiale proveniente da ferite risulta positiva in appena il 30% dei casi. A livello laboratoristico, è possibile determinare il titolo degli anticorpi rivolti contro la tossina tetanica (con la metodica ELISA): un valore pari a 0,01 U/ml (in vivo) o 0,15 U/ml (in vitro) viene considerato protettivo, rendendo poco probabile (ma non impossibile) la diagnosi di tetano (vedi anche punto l). Tuttavia, i tempi tecnici necessari per ottenere gli esiti di tali esami (titolo anticorpale ed esame colturale) sono comunque incompatibili con la necessità di un rapido avvio delle manovre terapeutiche. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 33 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Qual è la presentazione clinica del tetano? Quali complicanze caratterizzano il decorso della malattia? Classicamente il tetano si suddivide in quattro forme cliniche, che dipendono dalla localizzazione e dall’estensione dei neuroni colpiti: ● generalizzato; ● localizzato; ● cefalico; ● neonatale. Il tetano GENERALIZZATO rappresenta di gran lunga la forma più comune (80% dei casi); esso (come si intuisce dalla sua etimologia) è principalmente caratterizzato dalla comparsa, dopo un periodo di incubazione variabile (in media 8 giorni), di violente contratture muscolari, assai dolorose, cui si associano una spiccata instabilità autonomica (ipertensione/ ipotensione, diaforesi, aritmie cardiache, ipertermia). La coscienza non viene mai intaccata. Di norma sono interessati, soprattutto all’esordio della malattia, i muscoli cervicali e del viso, con successiva estensione “discendente”. Pertanto di solito il paziente giunge all’attenzione del medico lamentando inizialmente rigor nucale, trisma o disfagia. Le principali complicanze che insorgono durante il decorso della malattia sono di due ordini: derivanti dalle contratture (fratture, vertebrali e di ossa lunghe; insufficienza respiratoria da laringospasmo o ridotta compliance della parete toracica) o dall’instabilità autonomica (ipertensione labile, aritmie, infarto miocardico). Non vanno dimenticate le complicanze generali legate all’allettamento, tromboembolia polmonare in primis. Usualmente la sintomatologia raggiunge il picco durante la seconda settimana, per poi regredire gradatamente; tuttavia, una rigidità muscolare può persistere mesi dopo la risoluzione clinica della malattia. Il tetano LOCALIZZATO è più raro (13% dei casi); in tal caso vi è unicamente l’interessamento dei gruppi muscolari prossimi alla lesione infetta. Il tetano CEFALICO (6%) è una variante localizzata a carico dei nervi cranici. Il tetano NEONATALE colpisce i neonati intorno alla prima settimana di vita; l’infezione deriva principalmente dal taglio del cordone ombelicale con strumenti non sterili e colpisce unicamente bambini nati da madri non immunizzate (poiché l’immunizzazione passiva per passaggio transplacentare delle immunoglobuline è efficace). Dati questi presupposti si capisce come esso sia una piaga che affligge pressoché unicamente Paesi in via di sviluppo (basti pensare che l’80% dei casi è raggruppato in 12 Paesi). PRIMA E DOPO ● va. Si presenta in DEA con una ferita da morso di gatto alla gamba. Al medico che indaga lo stato vaccinale riguardo al tetano riferisce che le pare di essere stata sottoposta a vaccinazione circa 10 anni prima, in concomitanza di evento che non ricorda. Il medico opta per una somministrazione di tossoide tetanico e di immunoglobuline tetaniche. Caso n. 2: uomo di 39 anni, senza precedenti patologici di rilievo, giunge in DEA per una ferita lacero-contusa alla mano occorsa sul lavoro (falegname). Ricorda di aver effettuato un “richiamo” della vaccinazione antitetanica (già effettuata regolarmente nell’età dello sviluppo) all’età di 32 anni, in occasione di un incidente stradale. Il medico decide di non praticare il richiamo vaccinale né tantomeno somministrare le immunoglobuline tetaniche. PRIMA E DOPO MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Qual è il trattamento Il trattamento è basato su alcuni punti: ● neutralizzazione della tetanospasmina circolante, ad opera delle immunoglobuline tetaniche; ● rimozione dell’infezione e della conseguente produzione di tossina; ● antibiotici: di scelta metronidazolo (buona penetrazione in tessuti poco vascolarizzati/ascessi); ● attenta toeletta della ferita, con rimozione di eventuali corpi estranei e di tessuti necrotici; ● interventi di supporto; ● benzodiazepine per il trattamento degli spasmi (possono essere necessari dosaggi molto elevati: in letteratura riportate somministrazioni di diazepam sino a 3400 mg/die); ● dantrolene e baclofen (intratecale) se inefficacia benzodiazepine; ● nei casi più gravi: miorilassanti (la succinilcolina va impiegata solo nei primi giorni di malattia; in seguito si rischia iperkaliemia, anche fatale) associati a ventilazione meccanica (preferibile tracheotomia); ● l’instabilità autonomica è molto difficile da trattare; la morfina ed il fentanil hanno dimostrato discreta efficacia nel controllo dell’ipertensione e della tachicardia; il magnesio può essere utile nel controllo degli spasmi muscolari e dell’instabilità autonomica; ● mantenere il paziente in luogo tranquillo e scuro, minimizzando la mobilizzazione e le manovre (anche i prelievi possono scatenare gli spasmi). Non dimenticare in questi pazienti di avviare il ciclo vaccinale, in quanto il tetano non conferisce immunità (infatti la quantità di tossina in grado di determinare la patologia è talmente piccola da non generare di per sé la risposta del sistema immunitario e la produzione di anticorpi). Trattandosi di malattia infettiva, non va dimenticato l’obbligo di notifica all’autorità competente (D.M. 15 dicembre 1990, Classe I, Circolare n° 36 del 17 dicembre 1990). Data la gravità della patologia e, soprattutto, la possibilità di una valida prevenzione mediante adeguate manovre di profilassi (vaccino ed immunoglobuline tetaniche, vedi oltre) appare chiaro come tutti gli sforzi del medico debbano andare in quest’ultima direzione. Che tipo di vaccino è disponibile? Come va utilizzato? Il primo vaccino, costituito dal tossoide tetanico (cioè la tossina inattivata), data 1924. Il primo utilizzo “sistematico” (con ottimi risultati) fu tra i militari che presero parte alla seconda guerra mondiale, mentre nel dopoguerra la vaccinazione venne estesa anche alla popolazione civile. Il vaccino attualmente in uso è costituito da un tossoide (ottenuto tramite in-attivazione della tossina mediante trattamento con formaldeide) adsorbito (precipitazione con sali di alluminio). Spesso i preparati contengono anche altri antigeni: tossoide difterico e vaccino acellulare della pertosse. Generalmente i preparati somministrati nel DEA sono combinazioni di vaccino antitetano e difterite, per adulti (Td) o per utilizzo 34 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 pediatrico (DT, contenente all’incirca la stessa quantità di tossoide tetanico ma 3-4 volte in più la quantità di tossoide difterico). Nei soggetti di età superiore ai 7 anni andrebbe somministrata sempre la formulazione da adulti (Td). In un soggetto mai vaccinato (si ricorda che in Italia dal 1968 vige l’obbligo di vaccinare per il tetano i nuovi nati) un ciclo vaccinale completo (costituito da 4 somministrazioni di vaccino se avviato prima dei 7 anni di età, o 3 somministrazioni se cominciato nei soggetti di età superiore) conferisce un’immunità che raggiunge praticamente il 100%. Vanno ricordate due cose: ● poiché il tasso anticorpale tende a ridursi con il passare del tempo, è opportuno effettuare un “richiamo” (somministrazione di dose booster) del vaccino antitetanico (Td) ogni 10 anni; nel caso di ciclo vaccinale in nuovo nato la prima dose booster viene somministrata tra gli 11 ed i 15 anni; ● in caso di ferite a rischio (vedi oltre), per maggiore sicurezza, viene consigliato un richiamo anche nei soggetti vaccinati più di 5 anni prima. La somministrazione di vaccino può determinare degli effetti collaterali? Le reazioni avverse più frequenti sono di minima importanza e senza conseguenze (eritema, edema, dolenzia in sede di iniezione). Meno frequentemente si può avere la persistenza per mesi di un nodulo in sede di inoculazione. Raramente si manifestano sintomi sistemici quali febbricola, malessere, inappetenza. Occasionalmente può aversi una reazione da ipersensibilità locale (tipo Arthus) caratterizzata da esteso edema dolente della zona interessata dalla puntura (insorgenza a 2-8 ore dalla vaccinazione). Verosimilmente tale reazione dipende da livelli molto elevati di anticorpi anti-tossina tetanica, e nei soggetti nei quali si è manifestata la dose booster andrebbe somministrata ad intervalli non inferiori di 10 anni. Solo eccezionalmente si manifestano reazioni gravi quali anafilassi o complicanze neurologiche (encefalopatia, sindrome di Guillain-Barré). Esistono delle controindicazioni all’utilizzo del vaccino? Le uniche controindicazioni assolute sono rappresentate da precedenti episodi di anafilassi (o complicanze neurologiche) conseguenti alla somministrazione di vaccino antitetanico. Nel sospetto di anafilassi è opportuno ricorrere a valutazione allergologica mediante test cutanei. La presenza di febbre o di una patologia acuta di lieve entità non rappresenta invece controindicazione alla vaccinazione con tossoide tetanico (e difterico). Il primo trimestre di gravidanza veniva considerato come controindicazione relativa all’utilizzo di vaccino (potenzialmente teratogeno); tuttavia, in letteratura non vi è nessuna evidenza di danno fetale in donne che hanno ricevuto il vaccino durante i primi tre mesi di età gestazionale. Esistono dei pazienti che devo considerare a rischio aumentato di tetano? L’analisi dei dati epidemiologici disponibili in letteratura dimostra che il principale fattore di rischio è l’as- Che ruolo rivestono le immunoglobuline tetaniche? Con che modalità vanno somministrate? Come noto, la profilassi antitetanica si avvale sia del tossoide tetanico che delle immunoglobuline (IG) Tab. 1 Schema per la profilassi per il tetano da seguire nei pazienti con ferita. Modificato da: Hsu SS, The Journal of Emerg Med 20012. Ciclo vaccinale primario Non completato Completato, data ultimo booster Ferita “pulita” < 5 anni > 5 anni > 10 anni Ferita a rischio di tetano Td Td TIG SI SI SI NO NO SI NO SI SI NO NO NO * Td: tossoide tetanico (DTP o DT se età inferiore a 7 anni). TIG: immunoglobuline tetaniche. *Secondo le indicazioni ministeriali italiane (vedi testo) nel caso di ferite a rischio le IG vanno sempre somministrate qualora l’ultima vaccinazione risalga ad oltre 10 anni prima. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 35 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Tutte le ferite sono a rischio di tetano? Possiamo identificare quelle a maggior rischio? Sempre secondo i dati statunitensi del biennio 19982000, nel 73% dei casi di tetano è stato possibile riconoscere con esattezza un precedente trauma (od una ferita). Comunque, in una percentuale di malati che, a seconda delle casistiche, raggiunge l’8% non si riesce ad identificare la “porta d’ingresso” della patologia. Di gran lunga le ferite più frequentemente chiamate in causa sono: ● da punta (50%); tra queste morsi di animali, punture di insetto, piercing, tatuaggi; ● lacere (33%). Occasionalmente il tetano può insorgere da ulcere croniche (diabete mellito), utilizzo endovenoso di sostanze di abuso, ustioni, aborto, corpi estranei, otite media, cure odontoiatriche. Per quanto riguarda i luoghi, il 45% delle infezioni avviene in casa (o comunque in strutture coperte), mentre le attività di giardinaggio/agricoltura sono responsabili del 31% dei casi. Abitualmente, le ferite vengono classificate in base alle loro caratteristiche e modalità di presentazione, in ferite a rischio di tetano o non a rischio (pulite). Ferite non a rischio: ● recenti (meno di 6 ore); ● superficiali (meno di 1 cm); ● pulite; ● lineari, con margini netti; ● senza lesioni vascolo-nervose; ● senza segni di infezione. Ferite a rischio: ● non recenti (oltre 6 ore); ● profonde (oltre 1 cm); ● contaminate; ● lacere; ● margini necrotici/contusi; ● denervate e/o ischemiche; ● infette. Secondo le direttive del Center for Disease Control di Atlanta (CDC) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) questa classificazione, insieme allo stato vaccinale del soggetto, fa da guida nella profilassi antitetanica e nell’applicazione dei vari presidi (utilizzo del vaccino e delle immunoglobuline) nel paziente con ferita. In realtà, secondo le indicazioni di alcuni Autori, sarebbe più proficuo un approccio semplificato alla profilassi in cui tutte le ferite vengono considerate a rischio tetano. Il razionale risiederebbe nel fatto che anche le ferite chirurgiche (le ferite in assoluto più pulite) possono causare tetano. Tale approccio renderebbe più agevole l’utilizzo delle immunoglobuline tetaniche, che andrebbero somministrate in tutti i pazienti che non hanno completato il ciclo vaccinale, e del tossoide tetanico, da praticare nei soggetti con l’ultimo booster eseguito oltre i 5 anni precedenti (Tab. 1). PRIMA E DOPO senza di immunizzazione: infatti il 72% delle vittime di tetano (tra quelle con stato vaccinale noto) non ha mai completato il ciclo di immunizzazione “primaria” (o comunque non ha più ricevuto regolari booster dopo aver completato il primo ciclo). Per questo motivo a rischio sono soprattutto gli anziani, in particolare se di sesso femminile (non avendo compiuto il servizio militare). Secondo i dati relativi alla realtà statunitense, nel 1998 la percentuale di soggetti di età tra 6 e 11 anni immune nei confronti del tetano si attestava al 91%, per crollare drasticamente al 31% nei soggetti di età superiore a 70 anni. Se analizziamo i dati riguardo al sesso femminile, vediamo che fino a 39 anni di età i soggetti immuni superano l’80%, per scendere al 23% oltre i 60 anni di età. Basti ricordare che il 70% dei casi di tetano (avvenuti tra il 1998 ed il 2000 negli USA) hanno riguardato soggetti ultraquarantenni. Altre categorie a rischio sono rappresentate dai soggetti immunodepressi (infezioni da HIV, ipogammaglobulinemia, terapie con steroidi o farmaci immunomodulanti) e da coloro i quali fanno uso di sostanze di abuso per via endovenosa. PRIMA E DOPO MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE tetaniche. Nel soggetto non immune nei confronti del tetano, il tossoide da solo non è sufficiente in quanto la produzione di anticorpi richiede un tempo variabile (comunque al minimo di alcuni giorni) incompatibile con le esigenze cliniche; in tal caso è fondamentale ricorrere all’immunizzazione passiva tramite l’impiego di IG, che sono in grado di neutralizzare immediatamente l’eventuale tossina circolante. Le IG, essendo derivate dal plasma umano, presentano un potenziale rischio di trasmissione di malattie infettive (la FDA statunitense non riporta nessun contagio noto di HBV, HCV od HIV attraverso IG) e la loro somministrazione deve avvenire solo dopo raccolta di consenso informato (cfr. D.M. 15 gennaio 1991, art. 19, DM 1° settembre 1995, art. 4). I principali effetti collaterali sono di scarsa importanza: dolenzia in sede di iniezione ed eventuale minimo rialzo termico; complicanze gravi quali la malattia da siero o l’anafilassi sono molto rare, e venivano essenzialmente osservate solamente in caso di utilizzo di IG di derivazione equina. Per conoscenza, nei Paesi in via di sviluppo le IG utilizzate di norma sono a tutt’oggi di origine equina (maggior disponibilità e minori costi). L’utilizzo delle IG è indicato nei soggetti con ferita (non necessariamente con caratteristiche “di rischio”) che non hanno completato il ciclo vaccinale ed in caso di tetano conclamato, con i seguenti dosaggi: ● profilassi: adulti 250 UI i.m. in singola somministrazione (500 UI in caso di ustioni estese od intervento ritardato oltre le 24 ore); età pediatrica 250 UI; ● tetano conclamato: la dose ottimale non è definita; abitualmente si utilizzano dosi tra le 3000 e le 5000 UI in singola somministrazione, sebbene alcuni Autori (anche sulla base di uno studio clinico retrospettivo del 1976) considerino efficace una dose di 500 UI (va ricordato come ogni iniezione sia uno stimolo potenziale per gli spasmi del paziente, e che ogni siringa contiene 250 UI). Data la potenza delle IG, esse vanno somministrate con siringa e sede differenti (di solito arto controlaterale) rispetto al tossoide. In assenza di IG eventualmente è possibile utilizzare immunoglobuline endovenose (IG vena), che in parte contengono anticorpi antitossina tetanica. Controversa l’infiltrazione locale con IG a livello della ferita, consigliata da alcune raccomandazioni. Infatti, secondo alcuni Autori, la somministrazione intradermica di IG è irritante per i tessuti e va quindi evitata. Sebbene non esistano chiare linee guida in merito, in alcune categorie di soggetti “a rischio” (anziani, immunodepressi), è consigliato da molti Autori un approccio più “liberale” ad un maggiore utilizzo delle IG. Occorre sottolineare una discrepanza importante riguardante l’utilizzo profilattico di IG tetaniche tra le raccomandazioni statunitensi (CDC e principali associazioni mediche) e le indicazioni ministeriali italiane (in particolare la “circolare Bindi” del 199616, a cui dovremmo fare riferimento nella pratica quotidiana e più in generale europee in Francia in primis). Infatti, secondo queste ultime, le IG andrebbero comunque sempre somministrate qualora il soggetto infortunato abbia ricevuto l’ultima dose di vaccino oltre 10 anni, indipendentemente dal fatto che abbia completato o meno il ciclo vaccinale primario. Inoltre, nelle indica- 36 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 zioni italiane, è quantomeno “fumosa” la distinzione tra ferite “a rischio” o “pulite”. Come ci si deve comportare in caso di donna gravida? Nel trattare la donna in gravidanza l’obiettivo del medico è quello di proteggere la donna dal tetano, ma anche di prevenire il tetano neonatale e, soprattutto, di evitare trattamenti potenzialmente lesivi per il feto. Fortunatamente, come detto in precedenza, il vaccino Td è considerato sicuro per il feto. Non emergono infatti dalla letteratura dati riguardanti una teratogenicità del tossoide tetanico (somministrato in qualsiasi trimestre della gravidanza)9. L’ACIP (Advisory Committee on Immunization Practice) e l’OMS stessi, al fine di ampliare la copertura vaccinale nella popolazione e di ridurre il rischio di tetano neonatale, raccomandano la somministrazione di una dose di tossoide tetanico in tutte le donne in gravidanza che hanno ricevuto la dose booster oltre 10 anni prima. Viceversa, l’utilizzo delle immunoglobuline tetaniche non è così ben documentato; essendo di origine umana, in via teorica non dovrebbero danneggiare il feto. Il loro utilizzo andrebbe quindi preso in considerazione nei casi previsti. Ovviamente non esiste alcuna riserva sulla loro somministrazione a pazienti gravide affette da tetano conclamato. In estrema sintesi, come mi devo comportare di fronte ad un paziente che si presenta per una ferita? Sinteticamente le raccomandazioni per il management di una ferita sono: ● adeguata pulizia/disinfezione della stessa ed eventuale allontanamento di corpi estranei o rimozione di tessuti necrotici; ● cercare nella maniera più approfondita possibile di conoscere lo stato vaccinale dell’infortunato; ● se la dose booster data oltre 10 anni (5 nel caso di ferite “a rischio”) o non è nota l’anamnesi vaccinale somministrare una dose di tossoide tetanico; ● se il soggetto non ha eseguito un ciclo vaccinale completo (3 somministrazioni) o lo stato vaccinale è incerto andrebbero somministrate le IG (in teoria indipendentemente dal tipo di ferita). Come faccio a determinare con esattezza lo stato vaccinale di un paziente? Esistono delle metodiche che mi permettono di determinare lo stato anticorpale di un individuo nei confronti del tetano? Dalla lettura dei paragrafi precedenti si evince come il punto nodale della profilassi antitetanica nel paziente con ferita sia quello relativo allo stato vaccinale, da cui dipende la somministrazione di tossoide ma soprattutto di IG. La somministrazione di queste ultime è infatti quella che ci preoccupa di più, vuoi per i potenziali rischi infettivi vuoi per la “scomodità” di dover ottenere un consenso informato. Infine, last but not least, occorre non dimenticare che uno degli obiettivi del medico deve essere quello di evitare trattamenti inutili al paziente (oltre che costosi sia in termini economici per il Sistema Sanitario Nazionale che di tempo per gli operatori). dose 1° 2° 3° 4° 5° Età 3° mese (DTP) 5°mese (DTP) 11°-13°mese (DTP) 5°-6°anno (DTP) 11°-15°anno (Tdap) PRIMA E DOPO Tab. 2 Ciclo vaccinale nei nuovi nati. Tratto da: Piano Nazionale Vaccini 2005-2007, Ministero della Salute10. DTP: vaccino difto-tetanico-pertossico acellulare. Tdap: vaccino difto-tetanico-pertossico acellulare per adulti. Un approfondimento…il test La metodica in questione si chiama Tetanos Quick Stick® (TQS) ed è un test immunocromatografico per la determinazione rapida degli anticorpi anti-tetano in campioni di siero, plasma o sangue intero umano. Si basa sull’utilizzo di un coniugato di tossoide tetanico ed oro in fase liquida e di tossoide tetanico fissato su una base solida. Il presidio diagnostico è una piastrina contenente un pozzetto, una zona di controllo (C) ed una zona test (T). Tre gocce di sangue o siero devono essere deposte nel pozzetto, durante la corsa il diluente diluisce i complessi tossoide-oro che, in presenza di anticorpi anti-tetano nel campione, formano immunocomplessi. Questi reagiscono in seguito con i tossoidi fissati sulla base determinando la colorazione di una riga rosa. (Figg. 1 e 2). Il test funziona in modo binario: un test positivo corrisponde ad un titolo anticorpale > 0,1 UI/ml nel siero, considerato protettivo nei confronti di una ferita “a rischio”, mentre il test è negativo quando il titolo anticorpale è < 0,1 UI/ml. Vari lavori, sia mono che multicentrici, effettuati nel setting dell’emergenza hanno valutato l’affidabilità del test, intesa come concordanza dei risultati rispetto al gold standard Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA). Tutti hanno dimostrato una elevata concordanza con il test di riferimento e caratteristiche ottimali sia in termini di sensibilità che di specificità, che si attestano rispettivamente intorno all’80% ed al 100%10,14. L’elevata performance del test e la sua rapidità di esecuzione rendono ragione dell’interesse che esso può avere in caso di profilassi non programmata, permettendo di superare i limiti diagnostici ben noti connessi all’anamnesi del paziente ed alla impossibilità, in urgenza, di effettuare test di laboratorio che richiedono più tempo. DOPO L’esistenza di un test rapido consente alcuni importanti cambiamenti nella gestione della profilassi del tetano. Nel caso di ferite a rischio (vedi sopra), quando il paziente non sia in grado di produrre un certificato di vaccinazione che dimostri che la vaccinazione è completa e aggiornata (nei nati prima del 1968), è auspicabile effettuare il test rapido TQS. Precedentemente a questi pazienti, considerati ad elevato rischio di contrarre il tetano, si sarebbero dovute somministrare, oltre ad una dose di vaccino, anche le immunoglobuline. L’effettuazione del test consente di discriminare i pazienti con test positivo, per i quali la somministrazione di IG tetaniche non è indicata. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 37 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Al fine di valutare l’eventuale immunizzazione di un paziente nei confronti del tetano si potrebbe ricorrere alla determinazione del titolo anticorpale, procedura costosa e lunga, quindi completamente inutile ai fini della gestione pratica del paziente che si presenta con una ferita in Pronto Soccorso (profilassi antitetanca non programmata). Si ricorre pertanto all’altra “arma” disponibile, cioè quella dell’anamnesi. Tuttavia, la raccolta anamnestica, anche approfondita, non è sempre in grado di fugare tutti i dubbi. Infatti, mentre per la popolazione italiana di giovane età è relativamente facile, poiché la vaccinazione per il tetano in età infantile è obbligatoria dal 1968 e solitamente l’anamnesi è abbastanza puntuale, ciò non è altrettanto vero per altre fasce di popolazione, come per gli anziani (in particolare di sesso femminile). Altro problema crescente è rappresentato dagli stranieri immigrati nel nostro Paese, dove alla mancata conoscenza delle pratiche vaccinali locali spesso si sommano difficoltà linguistiche e di interpretazione. Da uno studio multicentrico effettuato in Italia risulta che solo la metà dei medici (54%) riporta i dati sullo stato vaccinale del paziente e che una percentuale di gran lunga inferiore aderisce alle linee guida ministeriali (1,5%, quasi solamente nel caso dei pazienti più giovani)15. Alcune linee guida basate sulle caratteristiche della ferita e sui dati demografici del paziente (età, Paese di nascita, ed età in cui il paziente è immigrato) sembrano avere una migliore correlazione con lo stato immunitario del paziente rispetto al ricordo del paziente stesso1,14. A questo proposito occorre descrivere una interessante metodica che permettendoci di conoscere in pochi minuti (meno di 10), con un semplice prelievo di sangue capillare, lo stato di immunizzazione di un soggetto nei confronti del tetano, è in grado di cambiare significativamente il nostro modo di operare. L’applicazione in urgenza e l’efficacia di tale metodica, già oggetto di studi clinici11,12, ha addirittura portato alla proposta di inserimento ufficiale della stessa all’interno del protocollo del Ministero della Sanità Francese per la profilassi antitetanica della ferita13, al fine di implementarne l’utilizzo, nonostante il testo sia già disponibile ed utilizzato in oltre il 40% del loro DEA. PRIMA E DOPO a Correct blood volume b Dispense the total volume of sample in the sample well Add 3 drops of diluent in the sample well MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Fig. 1 Esecuzione del test: il sangue è lasciato cadere nel pozzetto (1) dove poi viene aggiunto il diluente (2). (Per gentile concessione di Diatest srl). Un esempio di algoritmo operativo per l’utilizzo del test è illustrato in tabella 3. L’adozione del test consente infatti di integrare le informazioni ottenute con l’intervista e di ottimizzare l’offerta della profilassi antitetanica nei Pronto Soccorso in caso di ferita. Per valutare il ruolo del test TQS nella scelta della profilassi antitetanica anche dal punto di vista di una valutazione di costo-efficacia, alcuni Autori belgi hanno effettuato un lavoro di verifica di efficacia, mediante l’applicazione di un algoritmo decisionale modificato. L’applicazione dell’algoritmo è stata valutata in uno studio randomizzato in doppio cieco multicentrico, che ha incluso 611 pazienti con ferite. Il test veniva effettuato da personale infermieristico prima della raccolta anamnestica e della conseguente effettuazione della profilassi (basata sull’applicazione della tabella ufficiale del ministero della salute belga - Belgian Superior Health Council). Il medico che prescriveva la profilassi era ignaro del risultato del test. Da questo studio emerge una prevalenza di pazienti immuni del 74,1% ma con percentuali inferiori fra i più anziani e le donne. Il test avrebbe migliorato la gestione del 56,9% dei pazienti, evitando trattamenti non necessari, portando alla riduzione del costo medio per paziente da 11,34 euro/paziente, senza il test, a 10,58 euro. Il maggiore vantaggio si sarebbe ottenuto effettuando il test a pazienti di età inferiore a 61 anni, portando ad evitare trattamenti non necessari nel 76,9% dei casi, con un costo medio per paziente di 8,31 euro. L’integrazione di pochi dati demografici, facilmente e rapidamente ottenibili, con l’effettuazione del test consente di migliorare la valutazione dello stato immunitario del paziente, evitando misure inadeguate e riducendo i costi. 38 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 Fig. 2 Principio TQS. Il diluente migra attraverso il supporto trascinando il tossoide coniugato lungo la striscia cromatografica che forma un complesso con le IgG presenti nel campione. Se la reazione è positiva il complesso reagisce con il tossoide immobilizzato ed appare una linea rosa nel settore T (a). Se gli anticorpi non sono presenti la zona T rimane bianca (b). Il resto del coniugato si lega al reagente di controllo nella zona C e la comparsa di una riga rosa in questa zona assicura la corretta esecuzione della procedura. (Per gentile concessione di Diatest srl). Tornando ai casi clinici… ● ● Caso n. 1: nel caso in questione, l’utilizzo del Tetanus Quick Stick avrebbe permesso di testare con precisione l’eventuale immunizzazione della paziente nei confronti del tetano. In caso di positività del test sarebbe stato opportuno praticare unicamente una dose di tossoide tetanico, evitando una somministrazione inutile (in questo caso) di IG. Caso n. 2: il paziente ha eseguito un regolare ciclo vaccinale primario, con successivi richiami, l’ultimo circa 7 anni prima. Pertanto, trattandosi di ferita “a rischio”, sarebbe stato indicato praticare dose booster di tossoide tetanico (ultima praticata più di 5 anni prima), tralasciando comunque la somministrazione di IG. Conclusioni Attualmente l’unica prova accettata di immunità individuale verso il tetano è un titolo sierico di anticorpi antitetano superiore a 0,1 UI /ml (misurato con meto- Completare per ogni ferita SI NO Ha il certificato di vaccinazione?* Dati demografici:** – nato in Paese in via di sviluppo ed emigrato dopo i 15 anni – età > 65 anni ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ Sussiste il rischio tetano?*** 1 MECCANISMO DI LESIONE Morso di cane o animale, graffio Ustione Ferita cronica Ferita da giardinaggio Ferita da punta profonda Corpo estraneo, difficoltà per la pulizia Meccanismo ignoto, o impossibile da valutare Altro (nel dettaglio...):………………………………………….. 2. DA CONTATTO CON TERRA, FECI 3. DANNO AVVENUTO PIU’ DI 6 ORE PRIMA ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ ❑ PRIMA E DOPO Tab. 3 Protocollo che incorpora il risultato del test rapido per valutare la sieroprotezione dei pazienti (Modificato da: Elkharrat D, Médecine et maladies infectieuses 200512). Se viene barrato un quadretto rosso → procedi con test rapido Se il test risulta positivo. Il paziente è immune. No TIG, valutare Td Modalità somministrazione: TIG: IG tetaniche: 250 IU, im. Non dimenticare consenso informato (emoderivato) Td: vaccinazione antitetanica (1 dose), im * Se “SI” e vaccinazione in regola, no profilassi antitetanica, se “NO” continua ** Se “SI” ad almeno una delle 2 domande e nessun certificato di vaccinazione, considerare il paziente non immune *** Classificazione delle ferite: a) ferite pulite, lineari, in contesto domestico, senza contatto con suolo non comportano rischio di tetano. b) tutte le altre ferite, incluse (ma non solo) quelle contaminate da feci, suolo, saliva; i morsi di animali e le punture di insetto; le lacerazioni; le ferite causate da armi da fuoco, incidenti stradali, ustioni o congelamenti. In tutte queste il rischio di tetano è presente (la distinzione in moderato ed alto rischio è artificiosa). do ELISA). Il test rapido è un metodo altamente specifico per valutare se il paziente a rischio possiede o meno l’immunità. L’integrazione del test con le linee guida vigenti consente di migliorare l’appropriatezza nella profilassi antitetanica non programmata, ed è risultato essere cost-effective. Bibliografia 1. Talan DA et al. Tetanus Immunity and Physician Compliance With Tetanus Prophylaxis Practices Among Emergency Department Patients Presenting With Wounds. Ann Emerg Med 2004; 43: 305-314. 2. Hsu SS et al. Tetanus In The Emergency Department: A Current Review. The Journal of Emerg Med 2001; 20 (4): 357-365. 3. Epidemiology and Prevention of Vaccine-Preventable Diseases, 11th Edition (2009). Tetanus. Published by the National Immunization Program, Centers for Disease Control and Prevention. 4. Centers for Disease Control and Prevention. Preventing Tetanus, Diphtheria, and Pertussis Among Adults: Use of Tetanus Toxoid, Reduced Diphtheria Toxoid and Acellular Pertussis Vaccine. 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Tratto da “Novità in Urgenza analisi della letteratura, divulgazione scientifica e organizzazione”; SIMEU Emilia-Romagna e Marche, 64/2007. 9. Prevention of Pertussis, Tetanus, and Diphtheria Among Pregnant and Postpartum Women and Their Infants. MMWR 2008; 57(Early Release): 1-47. 9. Ministero della Salute. Piano Nazionale Vaccini 2005-2007. 10. Colombet I et al. Diagnosis of Tetanus Immunization Status: Multicenter Assessment of a Rapid Biological Test. Clin and Diagn Lab Imm 2005, pp. 1057-1062. 11. Stubbe M et al. Improving tetanus prophylaxis in the emergency department: a prospective, double-blind cost-effectiveness study. Emerg Med J 2007; 24(9): 648-653. 40 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 12. Elkharrat D et al. Intégration d’un test rapide dans l’algorithme ministériel actuel pour affiner la prophylaxie antitétanique proposée aux blessés vus dans les services d’urgences. Médecine et maladies infectieuses 2005; 35: 323-328. 14. Elkharrat D et al. 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Nell’adolescenza, sotto l’azione del testosterone, l’apparato respiratorio maschile continua a crescere nella componente muscolare e delle vie aeree, anche quando l’altezza è stabile, diventando un determinante dei volumi che da questa età e a crescita stabilizzata sono più grandi nell’uomo (CVF e CPT maggiori rispetto alle donne e quindi VR/CPT più basso rispetto alle donne). Durante l’età fertile, nella donna l’estradiolo determina fluttuazioni cicliche della secrezione mucosale, della produzione di prostaglandine e della densità di β1 e β2 recettori nel polmone, mentre il progesterone stimola l’iperventilazione. Nell’età adulta e durante l’invecchiamento si realizza una diminuzione della forza di retrazione elastica e dei flussi massimi espiratori con una chiusura delle vie aeree a volumi polmonari maggiori, modificazioni che cominciano già all’età di trenta anni ed accelerano dopo i 50 anni, più tardivamente e più lentamente nella donna. In gravidanza, l’utero spinge in alto il diaframma, aumenta il diametro traverso del torace, con polmoni più accorciati e più slargati; diminuisce il volume residuo e il volume di riserva espiratoria e quindi la capacità funzionale residua; il volume corrente aumenta invece considerevolmente (30%) come risultato di un aumento del drive ventilatorio sotto l’azione del progesterone; i flussi al contrario non cambiano. Ancora in gravidanza gli estrogeni sostengono i cambiamenti mucosali: aumento di acqua nei tessuti, edema per aumento di acido ialuronico, congestione dei capillari, iperplasia/ ipertrofia delle ghiandole; il progesterone altera la propriocezione dei muscoli della gabbia toracica, provocando una sensazione di dispnea anche quando i test di funzionalità sono nella norma3,4. Gli studi sulle differenze legate al sesso per le allergie IgE mediate segnalano livelli più bassi di IgE totali nella donna rispetto all’uomo, le differenze per le IgE allergene-specifiche sono invece meno evidenti e legate alle variazioni ambientali5; le donne hanno rispetto agli uomini una maggiore prevalenza in iperreattività bronchiale6. Dall’interazione tra gender e sesso vedremo scaturire di volta in volta la diversità nelle malattie dell’apparato respiratorio fino alla maggiore suscettibilità nella donna agli agenti cancerogeni. Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 41 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE Il gender inteso come ruolo sociale (lavoro, famiglia, politica, religione, abitudini, attitudini e sentimenti) trova la massima espressione come determinante di salute proprio nell’ambito delle malattie respiratorie; lo dimostra l’aumento nell’incidenza del cancro del polmone e della BPCO che si è avuto nella popolazione femminile con l’industrializzazione e l’emancipazione. Cambia infatti il ruolo della donna nella società, esposta ora agli inquinanti industriali e alla dipendenza del fumo di sigaretta, invece che ai soli prodotti delle pulizie domestiche, alle muffe e ai gas delle cucine. Tuttavia, ancora oggi la problematica è sottovalutata, complici il pregiudizio radicato su vecchi dati epidemiologici (la donna non si ammala di BPCO) e le differenze di genere nella percezione ed interpretazione dei sintomi da parte del paziente e dei medici (dispercezione). La dispnea è più frequentemente riferita dalla donna ed è poco accettabile per l’uomo; d’altra parte, la tosse, l’espettorazione ed il russare sono riferiti più comunemente dall’uomo e sono meno accettabili per la donna1. Un recente studio sulle modalità di diagnosi della BPCO indica che i medici la diagnosticano più frequentemente negli uomini rispetto alle donne se si basano sull’analisi dei fattori di rischio (uomo = fumatore = BPCO) e sui dati clinici (BPCO = tosse ed espettorazione), mentre le differenze si annullano se si basano su uno screening spirometrico2. Infine, nei Paesi poveri, le donne aspettano per recarsi dal medico fino a quando la malattia non interferisce con la gestione della famiglia; il ritardo aumenta se alla malattia segue una condanna sociale come per la tubercolosi. Il sesso (cromosomi ed ormoni) comporta delle differenze nell’anatomia e nella funzione delle vie aeree, del sistema immunitario, dei citocromi nell’uomo e nella donna e nelle diverse età, risultando anch’esso determinante di salute. Alla nascita e fino all’età adulta, i polmoni della donna sono sempre più piccoli, le vie aeree per larghezza e lunghezza sono però proporzionali al parenchima, con minori resistenze e quindi tassi di flusso espiratorio forzato (FEF, FEV, VEMS) sempre più elevati rispetto all’uomo, che ha vie aeree più lunghe e più strette (disanapsi) per il parenchima fino alla pubertà. Inoltre, le vie aeree ARGOMENTO DELL’ANNO: MEDICINA DI GENERE Malattie polmonari e gender ARGOMENTO DELL’ANNO: MEDICINA DI GENERE MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE BPCO 5a La BPCO è la causa di morte nel mondo con una prevalenza variabile dal 5-6 al 10-11%, il che equivale a 600 milioni di persone colpite. Entro il 2015/2020 è atteso un incremento del 76% della prevalenza e verosimilmente la BPCO sarà la 3a causa di morte e di morbilità nel mondo, la 5a causa di DALYs (DisabilityAdjusted Life Years). In Italia le malattie dell’apparato respiratorio rappresentano già la 3a causa di morte e la BPCO è causa del 50% delle morti per malattie dell’apparato respiratorio. La prevalenza mondiale della BPCO è di 9,4/1000 per gli uomini e di 7,33/1000 nelle donne. Il Third National Health and Nutrition Examination Survey III conferma complessivamente i dati OMS, ma mette in evidenzia che le differenze in termini di prevalenza sono minime quando si analizzano sottoclassi di pazienti per abitudine al fumo. Attualmente la mortalità per BPCO è circa 2 volte superiore negli uomini rispetto alle donne, la sopravvivenza a 5 anni dopo ospedalizzazione è più alta per le donne (52%) che per gli uomini (36%): vi è comunque un incremento della mortalità complessiva in entrambi i sessi, ma stime prospettiche fanno ritenere che nelle prossime decadi la mortalità femminile prevarrà su quella maschile7-9. Le donne infatti hanno vie aeree più piccole e più alti livelli di IL-8, mediatore della risposta infiammatoria nei fumatori; ne deriverà quindi un maggiore danno rispetto agli uomini quando esposte alle particelle inalate e al fumo, fattori di rischio più importanti per la BPCO10. L’iperreattività bronchiale più frequente nelle donne rappresenterebbe poi il determinante in grado di indirizzare gli effetti del fumo e di una serie di fattori di rischio (infezioni, inquinamento, esposizione professionale e domestica) verso lo sviluppo di asma o BPCO, a seconda che coesista o no l’atopia. Le donne affette da BPCO, a parità di limitazione al flusso aereo, sono generalmente più giovani (di circa 8 anni), hanno minore comorbilità alla diagnosi ed hanno una storia di minore esposizione al fumo di sigaretta (packs/ year), a conferma della maggiore sensibilità ai tossici inalati. Le donne affette da BPCO sviluppano insufficienza respiratoria cronica più tardivamente, il BMI tende ad essere mediamente più basso ma più stabile nel tempo rispetto agli uomini, che nelle fasi terminali arrivano alla cachessia. La TC multichannel ha rilevato che le donne presentano più frequentemente il pattern radiologico definito come airway predominant phenotype, caratterizzato da assenza o scarse aree di enfisema con o senza ispessimento della parete bronchiale, mentre gli uomini mostrano più spesso il pattern di emphysema predominant phenotype o mixed phenotype11. Le donne non fumatrici presentano BPCO di grado lieve, che insorge tardivamente, spesso correlata al fumo passivo e/o all’esposizione ad inquinanti, mentre gli uomini non fumatori sviluppano più precocemente forme moderate o severe, che spesso rappresentano un’evoluzione di condizioni asmatiche. Il fumo e la BPCO sono fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di cancro del polmone; nelle donne risulta confermata la correlazione fumo/cancro del polmone, mentre non lo è quella BPCO/ cancro come accade più frequentemente nell’uomo12. 42 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 Per quanto riguarda la terapia, la disassuefazione dal fumo è l’intervento preventivo e terapeutico più efficace ed economicamente più vantaggioso per tutti ed in particolare per le donne che ne traggono un maggiore miglioramento clinico-funzionale. Tuttavia, esse smettono di fumare con maggiore difficoltà, perché meno responsive ai surrogati della nicotina (maggiore dipendenza per un maggior numero di recettori nicotinici), e presentano quindi più spesso i sintomi dell’astinenza (turbe dell’umore, bulimia o inappetenza, scarsa concentrazione, insonnia), richiedendo antidepressivi ed ansiolitici sin dalle fasi iniziali ed un più qualificato approccio psico-comportamentale. Le donne presentano profili di broncoreversibilità migliori quando trattate regolarmente con broncodilatatori (β2-stimolanti), piuttosto che con corticosteroidi per via inalatoria13, in relazione al fatto che la flow limitation è accompagna più spesso all’iperreattività bronchiale e all’airway predominant phenotype. Le donne necessitano più tardivamente di un approccio riabilitativo e manifestano i benefici in termini di tolleranza allo sforzo precocemente. Rimane controversa la questione della risposta all’ossigeno-terapia a lungo termine e le opzioni terapeutiche chirurgiche trovano prevalente indicazione nei maschi in rapporto al quadro di emphysema predominant phenotype. Asma Secondo stime della Global Iniziative for Asthma (GINA) ci sono nel mondo 300 milioni di persone che soffrono di asma, una ogni 20, con una prevalenza che varia tra l’1 e il 18%. La variabilità nella prevalenza rispecchia la suscettibilità genetica (atopia, iperreattività bronchiale, sesso, obesità) e la sovrapposizione significativa di fattori socio-economici ed ambientali. Una più alta prevalenza di asma nei Paesi industrializzati rispetto a quelli in via di sviluppo, con una più alta prevalenza nelle popolazioni più povere rispetto a quelle più ricche nelle nazioni sviluppate, e una più alta prevalenza nelle popolazioni più ricche rispetto a quelle più povere nei Paesi in via di sviluppo, riflettendo probabilmente differenze nello stile di vita, nella esposizione ad allergeni e nell’accesso alle cure. Una morte ogni 250 nel mondo è dovuta ad asma, 15 i milioni di anni di vita persi annualmente per asma (DALYs), l’1% del carico totale legato alle malattie. Trenta milioni di asmatici in Europa, 3 milioni in Italia14,15. Nella donna l’asma assume caratteristiche diverse a seconda della età, della fase del ciclo mestruale, dello stato di gravidanza o di menopausa, nonché del ruolo e dello stato sociale. La Figura 1 mostra la variazione della prevalenza dell’asma per fasce di età e sesso. Nell’infanzia e fino all’adolescenza la prevalenza e l’incidenza dell’asma è maggiore nei maschi, il sesso maschile costituisce fattore di rischio per le IgE sempre più elevate e per il fenomeno della disanapsi, che si annulla solo alla pubertà per l’azione del testosterone. Nella donna con la crescita si ha un’inversione del rapporto diametro vie aeree/volume polmonare che, insieme ad una maggiore prevalenza dell’iperre- 12% 10% 8% Malattie autoimmunitarie 6% 4% 85+ 75-84 65-74 55-64 45-54 25-44 18-24 18-44 5-9 10-17 0-4 0 5-17 2% Età Uomo Donna Fig. 1 Prevalenza dell’asma in base a età e sesso (Fonte: NHRS). Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 43 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE sponsività delle vie aeree e ad una maggiore prevalenza dell’obesità e della suscettibilità al fumo, rende conto dell’aumento nei tassi di prevalenza e di incidenza dell’asma, sempre più elevati nella donna adulta. Gli ormoni e le loro fluttuazioni possono spiegare altri aspetti dell’epidemiologia dell’asma. Dal 30 al 40% delle donne che soffrono di asma avverte un peggioramento dei sintomi durante il ciclo mestruale: 10% durante la fase premestruale, 16% durante la fase mestruale, 74% in tutte le fasi del ciclo. Nella donna fertile gli estrogeni amplificano le risposte cutanee agli allergeni, in particolare il 17-β-estradiolo comporta un aumento della prostaglandina F2-a ad azione broncocostrittiva e proinfiammatoria; il progesterone aumenta la responsività bronchiale e induce una risposta T helper tipo-2 con una produzione di interleuchina 4 in grado di attivare eosinofili e promuovere la produzione di IgE16. Un terzo delle donne con asma in gravidanza riferisce miglioramento dei sintomi, un terzo peggioramento dei sintomi, un terzo nessuna variazione. In gravidanza, il progesterone aumentato assicura una risposta T helper tipo-2 più frequentemente associata ad asma ma anche a parità e gravidanza a termine, a differenza della risposta T helper tipo-1, di tipo cellulare, tipica del rigetto e degli aborti17. In menopausa, il declino della funzione ovarica si associa ad un aumento spontaneo di citochine come l’interleuchina-1, interleuchina-6 e fattore di crescita tumoralealfa, tipiche di una risposta T helper-118 con una diminuzione dell’asma rispetto alle donne più giovani e nell’età avanzata rispetto ai maschi; tuttavia, non mancano studi in cui la menopausa si associa a riacutizzazioni asmatiche o asma nuovo. Nelle donne che non hanno storia di asma ma usano contraccettivi il rischio di manifestare asma aumenta del 60%, nelle donne asmatiche l’uso della pillola contraccettiva invece riduce la sintomatologia. A parità di picco di flusso le donne affette da asma hanno migliore PO 2, sono più vecchie, lamentano maggiore disabilità, hanno più accessi ai Dipartimenti di Emergenza rispetto agli uomini. Durante la menopausa, la carenza ormonale sposta il potenziale del sistema immunitario sul versante induttivo, complice anche il microchimerismo delle gravidanze, con un aumento della risposta anticorpale che può risultare patologica fino alla comparsa di malattie autoimmuni, appannaggio del sesso femminile. Alla stessa età nell’uomo si verifica invece un declino nel numero e nelle funzioni di tutte le cellule del sistema immunitario senza squilibri e/o con rari casi di malattia autoimmune (solo la fascite eosinofila e la policondrite sono più frequenti nell’uomo). Il polmone e la pleura sono frequentemente coinvolti nel corso delle connettiviti/vasculiti ed anche in questo campo possono essere uno “specchio” in grado di riflettere patologie instauratesi altrove o con diffusione sistemica o possono essere “organo faro” in grado di segnalare patologie prima ancora che siano state diagnosticate. Molti sono i quadri patologici a carico del polmone e della pleura, a volte con differenze di genere. Nell’artrite reumatoide l’interessamento polmonare può rendersi evidente come versamento pleurico, fibrosi interstiziale o noduli polmonari parenchimali con rapporto F/M a favore di questi: 0,1/10, 1/2 e 1/2 rispettivamente, senza correlazione tra sviluppo di interessamento polmonare e severità del quadro articolare che prevale invece nelle donne. Una malattia polmonare interstiziale diffusa può essere dimostrata radiologicamente in circa il 20% dei pazienti, la predominanza dei maschi con fibrosi polmonare in corso di AR è addiritura più alta dei maschi con forma idiopatica. I test di funzionalità polmonare rivelano in genere una sindrome disventilatoria di tipo restrittivo. Meno dell’1% dei pazienti con sclerosi sistemica presenta inizialmente sintomi respiratori mentre più del 60% dei pazienti con malattia stabilizzata lamenta dispnea. I test di funzionalità polmonare mostrano una riduzione della CV e della capacità di diffusione anche in assenza di segni radiologici o addirittura di sintomi di interessamento polmonare, senza differenze tra i sessi. La morte avviene frequentemente per causa respiratoria: ipertensione polmonare, infezioni ed insufficienza dovuta a fibrosi diffusa. L’incidenza della fibrosi polmonare interstiziale varia dal 25% al 90% a seconda dei criteri diagnostici adottati, nel 40% degli sclerodermici può essere presente alla radiografia del torace e si arriva al 100% nei preparati autoptici. Le manifestazioni pleuropolmonari nel LES sono più frequenti rispetto alle altre collagenopatie, 50-70% dei pazienti ne sono colpiti anche se alla prima visita solo il 5% dei pazienti presenta problemi respiratori. Il versamento pleurico è presente nel 50% dei casi. Un dolore toracico di tipo pleuritico può essere la manifestazione di esordio in circa il 40% dei casi. La malattia interstiziale ha una prevalenza del 3%, le polmoni- ARGOMENTO DELL’ANNO: MEDICINA DI GENERE La relazione tra ormoni ed asma non è ancora chiara in tutti i suoi aspetti; al momento i dati riguardano studi insufficienti a volte contradditori o su colture cellulari. 14% ARGOMENTO DELL’ANNO: MEDICINA DI GENERE MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE ti acute e croniche del 5%, le disfunzioni del diaframma hanno una prevalenza del 18%, non meno importante il “polmone uremico” in corso di nefrite da lupus. Le pleuropericarditi e la malattia polmonare interstiziale prevalgono nei maschi anziani e con scarse manifestazioni cutanee. La sindrome di Sjogren coinvolge regolarmente i polmoni; la prevalenza è del 30%, tenendo conto dei sintomi e dei segni radiologici. Frequente l’interessamento interstiziale con un’alveolite linfocitica (che rispecchia il processo linfocitico degli altri organi) e l’alveolite a cellularità mista (come nella FPI), non meno imporanti i versamenti pleurici, pseudolinfoma, linfoma e vasculite. È presente una sindrome restrittiva e un’alterazione della diffusione in entrambi i sessi. Le manifestazioni polmonari non mancano nella poliomiosite e dermatomiosite e rappresentano causa di morte nel 10% dei casi. Nelle vasculiti, dove tra l’altro si riduce il gap nella incidenza tra donne ed uomini, il polmone è l’organo protagonista, nella granulomatosi di Wegener i noduli e le emorragie sono più frequenti nell’uomo, il restringimento tracheale nelle donne19. La linfangioleiomiomatosi non è una malattia autoimmunitaria ma come queste è una patologia genderassociata, colpisce esclusivamente le donne in età fertile, 1-2,6 individui per milione di abitanti e il polmone è l’organo bersaglio. La proliferazione delle cellule muscolari lisce nel polmone comporta la perdita della funzione polmonare, frequente lo pneumotorace. Peggiora durante la gravidanza, la comparsa in menopausa è rara e quando osservata è legata a terapia sostitutiva estrogenica. La terapia si basa sulla totale soppressione dell’attività estrogenica (farmacologia o chirurgica) associata o no alla somministrazione di progesterone. Nelle paienti trapiantate da donatori maschi si sono verificate recidive, suggerendo l’esistenza di fattori circolanti (ormoni o sostanze mitogene prodotte sotto l’azione degli estrogeni)20. OSAS La prevalenza nella popolazione generale della Obstructive Sleep Apnea Sindrome (OSAS) varia dal 4 al 24% negli uomini e dal 2 al 9% nelle donne, a seconda delle modalità diagnostiche, indice apnea/ipopnea (AHI) > 5 con sintomo clinico di sonnolenza diurna o solo AHI > 521. Il rapporto M/F oggi risulta di 3/1, molto lontano dal valore di 60/1 dei tempi passati legato in parte al pregiudizio dei medici, che hanno sempre considerato l’OSAS malattia maschile indagandola poco, in parte alla scarsa attenzione dell’uomo alle modalità del sonno della compagna, in parte alla presentazione clinica sempre più sfumata nella donna. Le donne riportano infatti più frequentemente rispetto agli uomini ipoapnee legate ad ostruzioni parziali delle vie aeree superiori anziché apnee dovute ad ostruzione complete, soffrono meno di sonnolenza diurna, sono meno frequentemente russatrici. All’età di 30 anni i russatori cronici sono il 23% degli uomini e il 10% delle donne; a 40 anni salgono rispettivamente a 32 e 20%, a 60 anni l’incidenza dei roncopa- 44 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009 tici cronici (vale a dire chi russa abitualmente) supera abbondantemente il 50% della popolazione, con una percentuale delle donne (52%) che si avvicina sorprendentemente a quella degli uomini (56%). Le donne con OSAS soffrono più frequentemente, rispetto agli uomini, di insonnia, depressione, ipotiroidismo, sindrome delle gambe senza riposo, incubi, palpitazioni, sudorazioni notturne e allucinazioni22,23. L’OSAS è più frequente in menopausa, la terapia sostitutiva ormonale ne migliora i sintomi. Nell’età fertile è associata ad obesità, insulinoresistenza, diabete tipo2 e a policistosi ovarica24,25. In entrambi i sessi il principale fattore predisponente all’OSAS rimane l’obesità con BMI > 29 kg/m2, seguito dal collo corto e tozzo con circonferenza di 44 cm nei maschi e 42 nella donna, di minore importanza le riniti, le ipertrofie adenoidotonsillari, le deviazioni del setto e/o disostosi cranio facciali. L’OSAS è un problema di salute pubblica con un impatto socio-sanitario paragonabile a quello del tabagismo. Essa impegna una parte importante delle risorse finanziarie per la diagnosi e la terapia, che va dalla riduzione del peso (dieta, bendaggio gastrico, gastroplastica/bypass gastrico) alla ventilazione (CPAP, BiPAP), alla chirurgia (palatofaringoplastica, avanzamento maxillo-mandibolare). Oltre ad essere una sindrome già di per sé stessa grave, è poi fattore di rischio indipendente per malattie cardiache (aritmie, ipertensione ed ischemia) e cerebrali (ischemie, disturbi dell’attenzione e dell’umore), è causa di incidenti stradali, infortuni sul lavoro, scarsa produttività e compromissione della vita di relazione26. Nella donna gravida è fattore di rischio per ipertensione gestazionale, preeclampsia, basso peso alla nascita e basso APGAR score nel neonato27,28. Tutta la sintomatologia e le patologie associate all’OSAS sono riconducibili alla desaturazione dell’emoglobina che si viene a determinare con l’ostruzione al flusso delle vie aeree superiori. La sleep apnea ricorre anche nel 10-15% dei pazienti con BPCO, determinando la cosiddetta Overlap Syndrome (OSAS + BPCO), in cui vi è un’ipossiemia notturna più grave. L’OSAS aggrava gli effetti della BPCO e ne accelera l’evoluzione. Tumore del polmone Negli anni ‘30 negli USA il tasso di mortalità per tumore del polmone nella donna è di 2.5 casi per 100.000 donne, nel 1950 era di 5 per 100.000 donne, nel 1990 aumenta di dodici volte, 30 per 100.000 donne. Nel 1996 il tasso di mortalità per tumore del polmone supera quello del cancro della mammella (25% versus 16% ai nostri giorni). Nel periodo 19501991 l’incidenza di tumore polmonare aumenta del 550% nelle donne e del 200% nell’uomo, il rapporto maschi femmine passa da 7/1 a 2/1 (dati dell’American Cancer Society). Anche in alcuni paesi europei i tassi di mortalità raddoppiano, passando dal 7,7 per 100.000 alla fine degli anni ‘50 a 14,3 per 100.000 negli anni ‘90. In Italia 6000 decessi per cancro del polmone nel 1959, 30.955 nel 1994. Nel XXI secolo 35.000-40.000 casi ogni anno, con un 30% a carico delle donne, il rapporto maschi femmine passa da 5/1 a 2,5/1 (dati ISTAT). studi sulla misurazione dell’mRNA per il GRPR hanno messo in evidenza maggiore espressione nelle donne rispetto agli uomini in assenza di fumo e attivazione più precoce e per livelli più bassi di esposizione nelle donne fumatrici34. Bibliografia Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 45 MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE 1. Morice A, Kastelik JA, Thompson RH. Gender differences in airway behaviour. Thorax 2000; 55: 629. 2. Chapman KR, Tashkin DP, Pye DJ. Gender bias in the diagnosis of COPD. Chest 2001; 119: 1691-1695. 3. Hibbert H, Lannigan A, Raven J et al. Gender differences in lung growth. Pediatr Pulmonol 1995; 19: 129-134. 4. Hankinson JL, Odencrantz JR, Fedan KB. Spirometric reference values from a sample of the general U.S. population. 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Il fumo di sigaretta è la causa principale di tumore del polmone per entrambi i sessi, il rischio è associato con il numero di sigarette giornaliero e con la durata dell’abitudine, la relazione è più forte per le donne: per 40 pacchetti/anno OR 28 (95% CI, 15-52) contro OR 10 (95% CI, 6-16) per l’uomo29,30. I dati dell’OMS indicano anche che il fumo passivo è responsabile di 20.000 morti all’anno per patologie cardiovascolari e di un migliaio di morti all’anno per tumore del polmone in non fumatori esposti (principalmente donne) in 15 Paesi europei. Più del 90% dei tumori polmonari nell’uomo e l’85-90% di quelli nella donna sono dovuti al fumo; tuttavia, solo il 10% di tutti i fumatori sviluppa una neoplasia ed un ulteriore 10% di casi di tumore del polmone è riscontrato invece in non fumatori prevalentemente donne, suggerendo l’esistenza di una suscettibilità genetica influenzata dal gender. Il tumore del polmone quindi come risultato di un’interazione tra mutageni ambientali, endogeni (ormoni) e DNA. Il citocromo P450 CYP1A1 si trova nel polmone umano, è responsabile della trasformazione degli idrocarburi policiclici aromatici (benzopirene) a molecole cancerogene come ad esempio il benzo-pirene-7,8-diol9,10-epossido che si lega irreversibilmente al DNA con formazione di addotti, indicatori di esposizione a cancerogeni ma anche promotori di processi tumorali. L’espressione di CYP1A1 è maggiore nel tessuto polmonare non tumorale di fumatrici con tumore del polmone rispetto ai maschi31; questa maggiore espressione correla con un aumento degli addotti, i soggetti con livelli di addotti del DNA aumentati sviluppano tumore polmonare a dosi inferiori di fumo. Il glutatione-S-transferasi M1 è coinvolto nella detossificazione degli idrocarburi policiclici aromatici (stirene) e degli ossidi di etilene presenti nel fumo, una delezione omozigote per il suo gene comporta un aumento dell’incidenza degli addotti del DNA con gli idrocarburi e di mutagenicità. Nella donne non fumatrici esposte a fumo passivo, quelle che sviluppano il cancro del polmone sono più frequentemente deficitarie di GSTM1. Mutazioni a carico del proto-oncogene K-Ras (codone 12) sono coinvolte nello sviluppo di adenocarcinoma del polmone solo nei fumatori e più frequentemente nelle donne che nei maschi32. Una maggiore incidenza nelle mutazioni del gene oncosoppressore p53 ed una più elevata presenza di addotti sono stati trovati nelle donne fumatrici con adenocarcinoma, anche per livelli più bassi di sigarette rispetto agli uomini33. L’attivazione del recettore per il Gastrin-Releasing Peptide nei tessuti polmonari umani è accompagnata da una risposta proliferativa delle cellule bronchiali; il gene per il GRPR è localizzato sul cromosoma X. Alcuni ARGOMENTO DELL’ANNO: MEDICINA DI GENERE MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE 6, 2007. J Women’s Health (Larchmt). 2008; 17: 1191-1199. Review. 23. Wahner-Roedler DL, Olson EJ, Narayanan S, et al. Genderspecific differences in patient population with obstructive sleep apnea-hypopnea syndrome. Gend Med 2007; 4(4): 329-338. 24. Vgontzas AN. Does obesity a major role in the pathogenesis of sleep apnoea and its associated manifestations via inflammation, visceral adiposity, and insulin resistance? Arch Physiol Biochem 2008;114(4): 211-223. 25. Alexandros N, Vgontzas AN, Richard S et al. 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