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decidere 5 2009 - CG Edizioni Medico Scientifiche
Bimestrale. Anno IX Ottobre. Prezzo di copertina € 14,16. Poste Italiane. Spedizione in A.p. D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Torino n. 5/09. - ISSN 1720-0695
n. 5 ottobre 2009
Decidere
in Medicina
Dal caso clinico all’evidenza
Editoriale 2
La professione medica tra etica e normativa
Rodolfo Cavaliere
27 Decisione e responsabilità
“The monday morning quarterback phenomenon”,
ovvero un altro errore nella valutazione degli errori
Claudio Bianchin
Casi clinici 4
Problematiche respiratorie in un malato
di interesse neurologico
32 Prima e dopo
La profilassi anti-tetanica in Pronto Soccorso
Fabrizio Elia, Alessandro Ubertalli Ape, Elena Tonel,
Enrica Duc, Franco Aprà
Marco Ricca, Massimo Rega, Carolina Prevaldi
14
Depressione post-partum: attenti alla tiroidite!
41
Francesca D’Agostino, Maria Rosa Pizzo,
Luigino Bellizzi, Giovanni Giugliano, Luigi Pizza
Argomento dell’anno: Medicina di genere
Malattie polmonari e gender
Giovanna Esposito, Rosalba Ferrante, Luciano Iovino,
Salvatore Sforza, Antonietta Sica, Ferdinando De Falco
Direttore responsabile:
B. Tartaglino
Responsabile redazione scientifica:
C. Prevaldi
Gruppo fondatore:
I. Casagranda, C. Locatelli, C. Prevaldi,
G. Re, R. Sbrojavacca, B. Tartaglino
Comitato scientifico:
F. Bottasso, I. Casagranda, G.A. Cibinel,
D. Coen, V. Demicheli, C. Locatelli, G.C. Morabito,
F. Olliveri, M. Plebani, C. Prevaldi, G. Re,
R. Sbrojavacca, U. Sturlese, B. Tartaglino, P. Vineis
Editore
C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l.
Via Candido Viberti, 7 - 10141 Torino, Italia
Tel. 011.33.85.07 r.a. - Fax 011.385.27.50
E-mail: [email protected]
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Stampa:
Ages arti grafiche - Torino
Finito di stampare il 15/10/2009
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Decidere in Medicina + Emergency Care Journal € 95,00
Decidere in Medicina € 85,00
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Decidere in Medicina + Emergency Care Journal € 90,00
Decidere in Medicina € 80,00
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bancario non trasferibile intestato a C.G. Edizioni Medico
Scientifiche s.r.l.
Autorizzazione del Tribunale di Torino, n. 5549
delI’11 ottobre 2001.
Poste Italiane. Spedizione in A.p. DL 353/2003 (conv. in
L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Torino.
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e dalle 13,30 alle 17,30
Decidere in Medicina
Dal caso clinico all’evidenza
2
Editoriale
La professione medica tra etica
e normativa
Rodolfo Cavaliere
4
Caso clinico
Problematiche respiratorie in un
malato di interesse neurologico
Fabrizio Elia, Alessandro Ubertalli Ape,
Elena Tonel, Enrica Duc, Franco Aprà
14
Caso clinico
Depressione post-partum:
attenti alla tiroidite!
Francesca D’Agostino, Maria Rosa Pizzo,
Luigino Bellizzi, Giovanni Giugliano, Luigi Pizza
27
Decisione e responsabilità
“The monday morning quarterback
phenomenon”, ovvero un altro errore
nella valutazione degli errori
Claudio Bianchin
32
Prima e dopo
La profilassi anti-tetanica in
Pronto Soccorso
Marco Ricca, Massimo Rega,
Carolina Prevaldi
41
Argomento dell’anno:
Medicina di genere
Malattie polmonari e gender
Giovanna Esposito, Rosalba Ferrante,
Luciano Iovino, Salvatore Sforza,
Antonietta Sica, Ferdinando De Falco
EDITORIALE
La professione medica
tra etica e normativa
Rodolfo Cavaliere
MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE
Dipartimento di Medicina, Ospedale Mauriziano Umberto I,Torino
La professione medica nasce convenzionalmente con
il cosiddetto “giuramento di Ippocrate”. Fino ad allora, in quasi tutte le società di cui abbiamo notizia, la
malattia era in qualche modo collegabile al soprannaturale e quindi la via della guarigione era legata al
volere del Dio o degli Dei, comunque sottratta alle
capacità dell’uomo. Nel documento ippocratico compare in modo esplicito il concetto di una competenza
specifica a curare secondo le proprie capacità, l’ottica
della cura è il bene del malato ed è presente un impegno solenne al segreto e a non utilizzare l’arte medica “contro” il malato. Non vi è traccia di una libera
scelta del malato nell’accettazione delle cure e l’atteggiamento è quello che noi oggi definiamo paternalistico, utilizzando il termine con un sottofondo
dispregiativo, anche se, nella sua accezione corretta, il
prendersi cura del malato come di un figlio dovrebbe
indicare una valenza globalmente positiva.
Non è possibile analizzare la lunga storia della medicina, ma vorrei ricordare che il primo Codice Deontologico Medico apparso in Italia, a Sassari, nel 1903 (la
legge istitutiva degli Ordini dei Medici sarà successiva,
del 1910), riprendeva, in modo pressoché totale, i
principi presenti nel giuramento di Ippocrate. Sembrerebbe tutto uguale a 2000 anni di distanza, ma in
realtà molto era cambiato e continuava a cambiare.
Nel corso dei secoli la medicina, con molte difficoltà e
vincendo molte resistenze, si era indirizzata ad una
visione sempre più biologica e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche portavano a un aumento notevole
delle conoscenze in ambito medico anche perché altre
scienze come la fisica, la chimica, la biologia ecc. contribuivano enormemente allo sviluppo della medicina.
Coerentemente con l’aumento delle conoscenze e
delle capacità tecniche la medicina ha subito una
profonda trasformazione: è diventata molto più
potente nella capacità di diagnosticare e curare, ha la
capacità di vicariare organi non più funzionanti con
macchine o con nuovi organi (trapianti), ha ideato la
capacità di tenere in vita organismi privi di funzione
di uno o più organi e ha chiamato questa capacità
“rianimazione”. La medicina è diventata più potente
e, a tratti, ha voluto dare di sé l’idea dell’onnipotenza. In questo lungo cammino ha perso una parte di sé.
In una ideale bilancia in cui l’agire medico era il frutto
di un equilibrio tra tecnè ed humanitas la medicina ha
progressivamente perso, almeno in parte, le componenti sociologiche, psicologiche, antropologiche, eco-
2 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
nomiche ecc. ed è diventata sempre più strettamente
organicista.
Mentre la medicina proseguiva il suo cammino, nascevano correnti di pensiero che propugnavano l’autonomia di scelta degli individui in ogni campo e, quindi,
anche in quello della salute. Nell’Ottocento in Inghilterra, Iohn Stuart Mill, il maggiore rappresentante del
liberalismo, propugnava la libertà di scelta degli individui e poneva come limite l’altrui libertà. Scriveva
infatti:
● «tutti gli individui hanno il diritto di dar forma alla
propria esistenza e progetto di vita, e di scegliere,
ove non danneggino gli altri, il bene per sé»;
● «il solo scopo per cui il potere può essere esercitato
su un cittadino contro la sua volontà è di impedire
che egli rechi danno agli altri. Il suo bene fisico o
morale non è una giustificazione sufficiente».
Venivano poste così le basi filosofiche dell’autonomia
della persona prevalente sulle scelte dello Stato. Da
queste idee derivano legislazioni in cui, come nella
nostra Costituzione, un cittadino non può essere curato, anche se per il proprio bene, se non con il suo consenso. Le ricadute in ambito medico non sono state
immediate ma questi principi sono cresciuti progressivamente cambiando il rapporto medico-paziente. Nel
1971 il filosofo statunitense Van Potter lanciò un
manifesto per la nascita di una nuova visione etica: la
Bioetica. Van Potter indicò come obiettivi di questa
nuova corrente di pensiero l’autonomia del paziente
e il miglioramento della qualità di vita; quest’ultima
concepita come valore individuale e non universale.
La Bioetica poneva come principi fondamentali la
beneficialità, la non maleficialità, l’autonomia e il
diritto di giustizia, e si confrontava con le normative
esistenti e con i codici deontologici, modificando i
“confini” dell’attività medica. Questa impostazione è
stata ampiamente condivisa da specifiche e univoche
prese di posizione delle Istituzioni internazionali favorevoli all’impostazione data dalla Bioetica (AMA1980UE 1987-Convenzione Oviedo 1997-ONU 2005).
Secondo la normativa vigente in Italia, l’attività medica, quand’anche si sostanzi in atti invasivi, è direttamente giustificata in quanto volta a consentire il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della comunità»). Il
secondo comma dell’articolo 32 stabilisce tuttavia che
«nessuno può essere obbligato ad un determinato
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 3
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professione, alla volontà liberamente espressa dalla
persona e deve agire nel rispetto della dignità, della
libertà e autonomia della stessa», inoltre, «se il
paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, (il medico) deve tenere conto… di quanto precedentemente manifestato in modo certo e documentato» (art. 38). Nella concezione bioetica moderna, la
persona è dunque libera nel definire la qualità di vita
e nel collocare la qualità di cura in quello che è il suo
progetto di vita.
La Bioetica dovrebbe spingere i cittadini a procedere
verso un ideale di convivenza pacifica che implichi la
rinuncia alla repressione (estensioni legislative) e l’apertura al dialogo. Va sottolineato come tale apertura
abbia un inevitabile prezzo: la necessità di tollerare la
diversità delle scelte individuali. Le persone, nella loro
libertà, potranno compiere scelte che una parte dei cittadini considererà errate o addirittura autolesive.
Numerosi sono i problemi aperti con i quali ci si dovrà
confrontare in futuro, come il rapporto tra diritto e
bioetica, tra etica procedurale (chi decide) ed etica
sostantiva (come decide), e tra queste e l’etica dell’organizzazione (distribuzione delle risorse). Un’altra questione di spicco è se si creerà una legislazione comune
europea con principi etici condivisi, oppure se, invece,
scelte diverse dei singoli Paesi porteranno al fenomeno
del “turismo” procreativo, abortivo o eutanasico.
Concluderei con le parole di Engelhardt, un importante sostenitore della Bioetica: la legge da sola non
rende morali i cittadini ma influenza il comportamento morale. Senza leggi regna l’anarchia e certamente è
meglio una legge insufficiente che l’abolizione di ogni
responsabilità. Ma la legge può seguire l’evoluzione
dell’etica condivisa? La legge è lo strumento idoneo di
mediazione tra “stranieri morali” dove gli stranieri
morali sono persone che esprimono diversità di opinioni? Saremo in grado di accettare scelte che non facciano solo riferimento al sentire comune, ma che si
confrontino con la realtà della vita di un preciso individuo, la cui storia personale è unica?
EDITORIALE
trattamento sanitario, se non per disposizioni di
legge». Inoltre, l’articolo 13 afferma che «la libertà
personale è inviolabile»; in tale libertà è compresa
quella di operare scelte concernenti la propria salute.
In Italia, le leggi direttamente correlate ad aspetti
della pratica medica sono sette, e più precisamente la
L. 833/78 (Servizio Sanitario Nazionale), la L. 180/78
(Assistenza psichiatrica), la L. 107/80 (Attività trasfusionali), la L. 194/78 (Aborto), la L. 135/80 (Prevenzione AIDS), la L. 91/99 (Trapianti d’organo) e la L. 40/04
(Procreazione assistita). Ciò che non era regolato dalla
normativa era regolato dai Codici Deontologici che
sono stati preferiti a una normativa dettagliata perché strumento più agile. Oggi, in Italia, risulta forse
prevalente la convinzione che i comportamenti debbano essere uniformati per legge, così si è legiferato
sulla procreazione medicalmente assistita, già citata, e
si stanno portando avanti normative su argomenti di
grande importanza dal punto di vista bioetico, come
la ricerca genetica, la bioingegneria e le questioni di
fine vita.
Fondamentale nel rapporto tra normativa e etica è il
cosiddetto “consenso informato”, che sposta l’asse
portante del Codice Deontologico dei medici verso
l’autonomia della persona. Tale soluzione, assolutamente congrua con i principi della Bioetica e della
nostra Costituzione, viene percepita spesso in modo
restrittivo dai medici, con una focalizzazione sull’aspetto medico-legale ed una conseguente grande
quantità di documenti scritti e minuziosamente dettagliati relativi al consenso informato, ma con la perdita
del significato vero di questa profonda modificazione
che è nella relazione paritaria, nell’alleanza, tra medico e malato. Il Codice Deontologico dell’Ordine dei
Medici è un corpus di regole di autodisciplina della
professione;nel testo del 2006 recepisce i principi
della Bioetica e sancisce che nessun trattamento
medico è consentito contro la volontà della persona
(art. 35) che «il medico deve attenersi, nell’ambito
della autonomia e indipendenza che caratterizza la
CASO CLINICO
Problematiche respiratorie in un
malato di interesse neurologico
Fabrizio Elia*, Alessandro Ubertalli Ape*, Elena Tonel*, Enrica Duc**,
Franco Aprà*
*S.C. Medicina d’Urgenza, Ospedale San Giovanni Bosco,Torino
**S.C. Neurologia, Ospedale San Giovanni Bosco,Torino
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IL CASO CLINICO
Un uomo di 72 anni si reca in Pronto Soccorso per episodi ripetuti di caduta a terra senza perdita di coscienza né trauma cranico. Riferisce inoltre debolezza
e dolorabilità agli arti inferiori comparse da alcuni
giorni. Il paziente non ha precedenti anamnestici di
rilievo tranne una lieve ipertensione non trattata farmacologicamente. Assume saltuariamente gastroprotettori. Al di là della debolezza agli arti inferiori non
descrive altri sintomi; è stato bene nel periodo precedente la comparsa della sintomatologia; nega episodi
febbrili, recenti vaccinazioni, abuso alcolico, assunzione di nuovi farmaci o altre sostanze. Le cadute a terra
sembrano essere correlate alla difficoltà nel mantenere la stazione eretta e non sono mai associate a perdita di coscienza, angor, dispnea o cardiopalmo.
All’ingresso in Pronto Soccorso i parametri vitali sono
stabili ed il paziente è afebbrile. Obiettività cardiaca,
polmonare ed addominale sono nella norma. A livello
neurologico è evidenziabile un deficit di forza bilaterale di grado lieve, localizzato agli arti inferiori con
riflessi osteo-tendinei e sensibilità conservati; non
sono presenti livelli sensitivi. Il radiogramma del torace non rileva alterazioni patologiche. All’ECG è presente un ritmo sinusale. Lo stick sulle urine dimostra
la presenza di globuli bianchi e rossi in notevole
quantità. Viene effettuata una TC dell’encefalo senza
mezzo di contrasto che non evidenzia lesioni ischemiche, né emorragiche.
Quali ipotesi diagnostiche possono essere
avanzate?
In considerazione del quadro clinico non chiaro e del
rischio di nuove cadute il paziente viene ricoverato in
Medicina Interna.
Durante il ricovero in Medicina il quadro clinico peggiora. Nel giro di pochi giorni si assiste alla comparsa
di tetraparesi ingravescente con disturbi di tipo sfinteriale e scomparsa dei riflessi. Vengono effettuate una
puntura lombare ed una RM della colonna. L’analisi
del liquor non dimostra alterazioni della conta cellulare né del contenuto proteico. Alla RM non si rilevano segni di sofferenza midollare.
4 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
È stato seguito un iter diagnostico corretto?
In considerazione della rapida evoluzione clinica e
della comparsa di dispnea si effettua il trasferimento
in Medicina d’Urgenza. All’ingresso in reparto il
paziente è in respiro spontaneo, tachipnoico, con
parametri emodinamici stabili. All’esame neurologico
è presente un deficit di forza ai quattro arti con riflessi assenti, sensibilità ed oculomozione conservate,
marcata disfonia e disartria con difficoltà nei movimenti linguali.
Nel sospetto di sindrome di Guillain-Barré viene allertato il Centro Trasfusionale per la preparazione di una
seduta di plasmaferesi. Viene eseguita una valutazione fibroscopica delle vie aeree superiori che rileva una
spiccata ipostenia cordale bilaterale in presenza di
uno spazio glottico conservato. Si effettua inoltre un
esame elettromiografico al letto del malato che conferma il sospetto diagnostico con riscontro di una
neuropatia sensitivo-motoria assonale acuta.
Nella stessa giornata si assiste ad un peggioramento
degli scambi respiratori con incremento della frequenza
respiratoria. Viene pertanto iniziata la ventilazione non
invasiva con supporto pressorio. Nonostante l’assistenza
ventilatoria il quadro clinico non migliora. Nell’arco di
poche ore la tosse diventa inefficace con necessità di
frequenti aspirazioni ed i valori di CO2 iniziano a salire.
Il paziente viene pertanto sottoposto ad intubazione
oro-tracheale e trasferito in Terapia Intensiva.
Viene effettuato un ciclo di 6 sedute di plasmaferesi
seguito da un ciclo di immunoglobuline per via endovenosa. In quarta giornata, in considerazione del
lento recupero clinico, viene confezionata una tracheotomia. Condizioni emodinamiche e scambi respiratori si mantengono stabilmente buoni. Il paziente
non è tuttavia svezzabile dal supporto ventilatorio.
Dal punto di vista neurologico si assiste ad un lieve
recupero della motilità a livello del cingolo scapoloomerale e della deglutizione.
È stata effettuata una terapia adeguata?
In quindicesima giornata il paziente viene nuovamente
trasferito in Medicina d’Urgenza per svezzamento respi-
CASO CLINICO
Fig. 2 TC torace: atelectasia del polmone sinistro.
ratorio. Il paziente è vigile ed orientato con deficit di
forza persistente ai 4 arti. Mantiene la tracheotomia ed
è ventilato con supporto pressorio dal quale è difficilmente svezzabile a causa della scarsa motilità diaframmatica. È nutrito per via enterale tramite sondino nasogastrico. Durante il ricovero le condizioni emodinamiche si mantengono stabili. L’accumulo di secrezioni e
l’intensa scialorrea provocano atelectasie recidivanti a
carico del polmone sinistro (Figg. 1 e 2) con necessità di
numerose broncoscopie di pulizia. Compare inoltre una
diarrea secretoria a risoluzione spontanea.
In caso di localizzazione centrale, a livello della corteccia, del tronco encefalico o del midollo, è danneggiato il primo motoneurone. Nel caso invece in cui la
lesione sia periferica, sarà danneggiato il secondo
motoneurone (a livello del corno anteriore o a livello
del nervo) o saremo in presenza di una malattia della
giunzione neuro-muscolare o del muscolo.
Nell’approccio al paziente è necessario innanzitutto
distinguere tra astenia monolaterale e bilaterale; l’anamnesi e soprattutto l’esame obiettivo neurologico
permetteranno poi di focalizzarsi sulla subunità
neuro-anatomica sede del danno 3, identificando,
come prima cosa, la presenza di segni di lesione del
primo motoneurone o del secondo, o segni di miopatia (Tab. 1).
L’ictus e le sindromi da intrappolamento delle radici e
dei nervi periferici costituiscono, insieme, la maggior
parte delle cause di astenia con paralisi flaccida acuta4.
Le lesioni corticali, sottocorticali e del tronco, le radicolopatie, le plessopatie e le sindromi da intrappolamento dei nervi periferici determinano un’astenia
unilaterale; una lesione centrale che causi un’astenia
bilaterale generalmente si presenterà con una riduzione dello stato di coscienza3.
Decisamente più complesso rispetto al deficit di forza
unilaterale è l’approccio diagnostico al deficit bilaterale. La sindrome di Guillain-Barré (SGB) rappresenta la
principale causa di astenia bilaterale acuta e progressiva. Essa va tuttavia differenziata da altre patologie
(spesso rare) che coinvolgono il secondo motoneurone,
la giunzione neuro-muscolare o il muscolo (Tab. 2)5.
Quali altre complicanze potrebbero verificarsi
in un malato di questo genere?
In venticinquesima giornata, nonostante il parziale
recupero neurologico, il paziente non è ancora in
grado di respirare autonomamente né di alimentarsi.
Continua la riabilitazione fisiatrica ed il supporto
respiratorio ed alimentare.
L’EVIDENZA
Approccio al paziente con astenia
L’astenia acuta costituisce un sintomo di frequente
riscontro in Pronto Soccorso. L’astenia (weakness) è
l’incapacità ad eseguire normalmente un movimento
volontario a causa della riduzione della forza muscolare1. Essa va distinta dall’affaticamento (fatigue),
cioè la difficoltà ad iniziare o sostenere un’attività
volontaria, motoria o cognitiva, come si os-serva in
numerose malattie croniche neurologiche (cerebrovascolari, Morbo di Parkinson, sclerosi multipla) e non
neurologiche (scompenso cardiaco, ipotiroidismo,
disturbi del sonno, disturbi d’ansia e depressivi, sindrome da affaticamento cronico, fibromialgia)2.
Le cause di astenia acuta, neurologiche o neuromuscolari, possono essere centrali o periferiche, a
seconda della localizzazione della lesione anatomica.
Sindrome di Guillain-Barré
È la polineuropatia acuta più frequente nei Paesi occidentali. Segue in genere un episodio infettivo ed è
caratterizzata da una paralisi progressiva ascendente
associata ad iporeflessia e possibile evoluzione in
insufficienza respiratoria.
Fu descritta ormai più di un secolo fa da due neurologi francesi che osservarono una paralisi acuta a
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 5
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Fig. 1 Rx torace: atelectasia del polmone sinistro.
CASO CLINICO
Tab. 1 Esame obiettivo neurologico nella valutazione del deficit di forza.
Segno
Primo motoneurone
Secondo motoneurone
Miopatia
Atrofia
Fascicolazioni
Tono
Assente
Assenti
Aumentato
(diminuito in acuto)
Iperattivi
Presente
Grave e precoce
Frequenti
Diminuito
Lieve
Assenti
Normale/diminuito
Ridotti o assenti
Assente
Normali o ridotti
Assente
Riflessi tendinei
Segno di Babinski
Tab. 2 Diagnosi differenziale del deficit di forza
bilaterale in base alla sede anatomica
coinvolta.
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Motoneurone centrale
• Patologie con interessamento encefalico:
encefalite, meningite carcinomatosa
• Patologie con interessamento del midollo spinale: mielite traversa, infarto midollare, compressione midollare (emorragia, neoplasia,
erniazione)
Motoneurone periferico
• Patologie con interessamento del corno anteriore: poliomielite, West Nile virus, sclerosi
laterale amiotrofica
• Polineuropatie: polineuropatia del paziente critico, sindrome di Guillain-Barré, vasculiti (in
particolare sindrome di Churg-Strauss), porfiria intermittente acuta, deficit di vitamina B1,
uso di farmaci (amiodarone, citarabina, streptochinasi), infezioni (difterite, malattia di Lyme, CMV, HIV), intossicazione da metalli pesanti (arsenico, oro e tallio), intossicazione da
pesci e molluschi (Ciguatera Fish Poisoning da
ciguatossina; Paralytic Shellfish Poisoning da
saxitossina; Neurotoxic Shellfish Poisoning da
brevetossina; Tetrodotoxin Poisoning da tetrodotossina), paralisi da zecche
Patologie della giunzione neuromuscolare
• Miastenia gravis, sindrome di Lambert-Eaton,
botulismo, avvelenamento da organo-fosfati
Miopatie
• Polimiosite, ipofosfatemia, paralisi periodica
ipo-iperpotassiemica, alterazioni endocrinologiche (ipotiroidismo)
regressione spontanea in giovani soldati. Ancora oggi
rappresenta un notevole problema diagnostico a
causa della frequente assenza di segni clinici caratteristici all’esordio e della mancanza di test diagnostici
6 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
specifici. Essendo caratterizzata da un’evoluzione
rapida e da sequele gravi è fondamentale che i medici
di Pronto Soccorso e di Medicina Generale (che per
primi vengono a contatto col malato) mantengano un
alto sospetto diagnostico per la malattia.
Epidemiologia
L’incidenza annuale è di 0,6-4 casi su 100 mila abitanti
con una distribuzione mondiale6,7. Colpisce più frequentemente gli uomini rispetto alle donne. L’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età; anche i
bambini tuttavia possono esserne affetti.
Generalmente la malattia compare in maniera sporadica anche se piccoli clusters si sono osservati in concomitanza con alcune epidemie di gastroenterite. Nel
decennio scorso un incremento di nuovi casi è stato
segnalato in Cina e nei Carabi8,9. La maggior parte
degli studi epidemiologici ha comunque dimostrato
una stabilità nell’incidenza della sindrome nel corso
degli ultimi anni.
Dati italiani, tratti dal registro di Piemonte e Valle
d’Aosta sulla SGB, sono stati pubblicati nel 200510.
L’incidenza calcolata, valutata sul biennio 1995-1996,
è risultata pari a 1,36 casi/100 mila abitanti.
In circa due terzi dei casi la malattia è preceduta da
un evento infettivo di lieve entità, coinvolgente il
tratto gastroenterico o le vie aeree superiori (entro 36 settimane). I sintomi più spesso descritti sono febbre, tosse e faringodinia11.
Il microrganismo più strettamente associato alla
malattia è il Campylobacter jejuni. Un terzo dei
pazienti ha un riscontro sierologico di tale agente
infettivo12. Studi osservazionali hanno dimostrato la
possibile associazione anche con altri microorganismi:
virus di Epstein-Barr, Cytomegalovirus, HIV, Mycoplasma pneumoniae 13 . Nella maggior parte dei casi
comunque l’agente infettivo non viene identificato.
Non solo le infezioni ma anche altri eventi sono stati
chiamati in causa per spiegare l’origine della patologia.
Già dagli anni settanta è emersa la possibile correlazione tra vaccinazione anti-influenzale e SGB14. In realtà
tale argomento è ancora fonte di discussione e privo di
ferme evidenze cliniche. Studi caso-controllo effettuati
su malati con SGB non hanno osservato un incremento
del rischio di malattia dopo vaccinazione anti-influenzale15,16. Al contrario altri lavori, effettuati analizzando
ampie casistiche durante campagne di vaccinazione,
hanno messo in luce un aumento del rischio dopo vaccinazione anti-influenzale e anti-epatite17,18. Alcuni
• Poliradiculoneuropatia infiammatoria demielinizzante acuta (AIDP)
• Neuropatia assonale acuta sensitivo-motoria
(ASMAN)
• Neuropatia assonale acuta motoria (AMAN)
• Sindrome di Miller-Fisher ed altre varianti
regionali
• Sindromi overlap
Autori hanno suggerito particolare attenzione nella
vaccinazione di soggetti con pregressa SGB per il
rischio di una riattivazione della malattia19.
Oltre che in occasione di vaccinazioni anche in corso
di altri stress fisici, quali per esempio gli interventi chirurgici, è possibile la comparsa della patologia. Alcuni
case reports hanno segnalato l’associazione tra SGB
ed altre patologie quali linfomi, malattie autoimmuni
ecc. In realtà, la rarità di queste segnalazioni mette in
dubbio la possibilità di una reale relazione tra queste
differenti entità cliniche.
Presentazione clinica e diagnosi
La presentazione clinica più caratteristica è costituita
da una debolezza muscolare a partenza dalle estremità, relativamente simmetrica, con evoluzione progressiva ascendente24,25. L’ipostenia può esordire a
livello degli arti inferiori ed estendersi successivamente in senso craniale o, più frequentemente, può coinvolgere sin dall’inizio la muscolatura degli arti superiori ed inferiori. I sintomi iniziali possono essere
caratterizzati da parestesie e dolore agli arti.
Sintomi legati ad alterata sensibilità possono essere
frequenti anche se segni di ridotta sensibilità sono
scarsamente obiettivabili. La comparsa tardiva di un
deficit della sensibilità termica e dolorifica è indice di
un importante danno assonale.
Normalmente si assiste a una perdita dei riflessi già
nelle prime fasi di malattia. Ciò può non avvenire
nelle forme assonali dove la perdita dei riflessi è un
evento tardivo.
I nervi cranici sono spesso coinvolti. Le manifestazioni
cliniche più frequenti sono i disturbi della motilità
facciale (una paralisi dei muscoli facciali si evidenzia
nel 70% dei casi), segni di paralisi bulbare (disfagia,
disartria) ed alterata motilità oculare.
Alterazioni disautonomiche compaiono in circa due
terzi dei pazienti. Possono essere dovute ad iper o
ipoattivazione simpatica o parasimpatica. In genere si
manifestano con fluttuazioni pressorie, aritmie,
disfunzione intestinale o vescicale e risposte anomale
alla somministrazione di farmaci26.
La diagnosi può essere particolarmente difficile in soggetti con presentazione atipica: disturbi neurologici
asimmetrici, debolezza muscolare limitata agli arti
superiori, prevalenza di sintomatologia dolorosa,
disfunzione respiratoria o disautonomica.
L’esame del liquor è uno strumento utile alla diagnosi.
Nei casi in cui il liquor non sia diagnostico esso consente comunque di escludere altre patologie. L’aspetto
caratteristico del liquor in corso di SGB è rappresentato
da un aumento del contenuto proteico in presenza di
una conta cellulare nei limiti di norma (dissociazione
albumino-citologica). Purtroppo tale esame è spesso
normale nella prima settimana dall’esordio dei sintomi.
Durante la seconda settimana circa il 90% dei pazienti
presenta un incremento della quantità di proteine27.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 7
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Classificazione e patogenesi
La SGB si manifesta nella maggior parte dei casi come
una poliradiculoneuropatia acuta a carattere demielinizzante (AIDP). Con minor frequenza la malattia può
caratterizzarsi per un interessamento assonale sia di
tipo esclusivamente motorio (AMAN) che contemporaneamente motorio e sensitivo (ASMAN). Nei Paesi
occidentali solo il 5% dei pazienti presenta una SGB
di tipo assonale20. Soggetti colpiti da AMAN hanno
una prognosi migliore rispetto a quelli colpiti da ADIP.
Soggetti con ASMAN rispondono scarsamente alla
terapia con immunoglobuline o plasmaferesi.
La sindrome di Miller-Fisher è una variante della SGB
e si caratterizza per la presenza di oftalmoplegia,
atassia ed areflessia, con minor interessamento delle
estremità. In genere il decorso è benigno e non è
richiesta immuno-terapia (Tab. 3).
In circa metà dei pazienti affetti da SGB sono stati
identificati anticorpi contro diversi gangliosidi, che
hanno una specifica distribuzione nei nervi periferici21.
C. jejuni esprime lipo-oligosaccaridi che mimamo i carboidrati dei gangliosidi e che possono scatenare una
cross-reattività verso le strutture nervose del paziente.
C. jejuni isolati da pazienti con AMAN e AMSAN esprimono lipo-oligosaccaridi differenti rispetto a quelli isolati da pazienti con oftalmoplegia o sindrome di Fisher.
Poiché meno di 1 paziente su 1000 con infezione da
C. jejuni sviluppa la SGB, è verosimile che fattori legati all’ospite possano influenzare la suscettibilità alla
neuropatia, l’estensione del danno nervoso e la prognosi22. Tuttavia non sono state individuate associazioni tra alleli HLA e SGB.
Il quadro patologico tipico della AIDP è l’infiltrazione
multifocale di cellule infiammatorie, che invadono il
rivestimento mielinico e alterano l’isolamento assonale20. Un’ipotesi è che i macrofagi presentino antigeni
batterici ai linfociti T, che, una volta attivati, superano
l’endotelio e riconoscono antigeni cross-reattivi a
livello del sistema nervoso, rilasciando citochine in
grado di attivare i macrofagi locali; questi ultimi producono NO ed enzimi ed invadono la mielina. Inoltre i
linfociti T attivati rilasciano citochine che favoriscono
la produzione, da parte di linfociti B, di anticorpi che
superano la barriera emato-nervosa danneggiata e
legano epitopi cross-reattivi sulla superficie delle cellule di Schwann, fissano il complemento, danneggiano le cellule di Schwann e causano la dissoluzione
vescicolare della mielina.
Nella AMAN e nella AMSAN il rivestimento mielinico
è preservato, mentre i nodi di Ranvier vengono invasi
da macrofagi, che legano il frammento Fc degli anticorpi diretti contro gli antigeni dei gangliosidi23.
CASO CLINICO
Tab. 3 Sindrome di Guillain-Barré. Classificazione
nei principali sottotipi clinici.
CASO CLINICO
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L’elettromiografia consente di confermare la diagnosi
e classificare la malattia nei vari sottotipi clinici. È
necessario comunque sottolineare che anche l’elettromiografia può essere non dirimente nelle forme lievi
ed in quelle iniziali. In questi casi si ritiene utile ripetere l’esame a una settimana di distanza. Lo studio
elettrofisiologico ha inoltre un valore prognostico, dal
momento che il riscontro di forme demielinizzanti
suggerisce un peggior andamento clinico28.
Decorso clinico
La malattia ha un decorso progressivo. L’acme viene
raggiunto entro un mese, anche se la maggior parte
dei pazienti arriva al culmine della sintomatologia già
dopo 2 settimane. Segue poi una fase di stabilizzazione clinica di durata variabile da alcuni giorni fino a
settimane o mesi. Il recupero ha in genere una durata
superiore rispetto a quella delle prime due fasi. Tra l’8
e il 16% dei malati ha uno o più episodi di peggioramento clinico dopo un iniziale miglioramento.
Circa il 25% dei pazienti presenta nel corso della
malattia un’insufficienza respiratoria tale da richiedere la ventilazione meccanica20.
La mortalità è pari al 10% nei Paesi occidentali30. Le
cause più frequenti di morte sono le complicanze
infettive (in particolare respiratorie), emboliche o
disautonomiche.
Fino al 20% dei pazienti presenta disabilità importanti (incapacità a camminare) 6 mesi dopo la comparsa
della malattia31. Tra il 25 e l’85% dei malati conserva
qualche segno residuo di neuropatia ad anni di
distanza dall’esordio10,32. La fatica è un sintomo che
persiste per anni nell’80% dei casi33.
Diversi studi hanno identificato alcuni fattori in grado
di influenzare la prognosi. L’età avanzata è il principale fattore prognostico negativo34. Al contrario, l’evoluzione della malattia in età infantile è quasi sempre benigna e la morte un evento eccezionale35.
La rapidità dell’evoluzione clinica ed una precedente
infezione da C. jejuni36 costituiscono ulteriori fattori
prognostici negativi. Al contrario, un quadro elettromiografico di tipo assonale motorio è caratterizzato
da una prognosi favorevole37.
Complicanze respiratorie
Come già detto, l’insufficienza respiratoria rappresenta una complicanza grave e frequente. Rispetto ai
malati con miastenia gravis (patologia che coinvolge
la placca neuro-muscolare ma con un’evoluzione per
alcuni aspetti simile), i soggetti con SGB hanno un
rischio maggiore di essere sottoposti ad intubazione
oro-tracheale (25-50% vs 15-27%)29,38. Anche la durata della ventilazione meccanica risulta essere superiore (18-29 giorni vs 14 giorni)39.
Le cause di insufficienza respiratoria sono molteplici40.
La debolezza della muscolatura facciale, orofaringea
e laringea può interferire con la deglutizione e l’eliminazione delle secrezioni, aumentando il rischio di
aspirazione. È inoltre aumentato il rischio di ostruzione meccanica delle vie aeree superiori. La debolezza
dei muscoli inspiratori (diaframma, intercostali e
muscoli accessori) non consente un’adeguata espansione polmonare e favorisce la comparsa di atelectasie, alterazioni del rapporto ventilazione-perfusione e
8 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
successiva ipossiemia. Piccoli volumi correnti associati
alla tachipnea incrementano la quota atelectasica e
riducono la compliance polmonare. Infine, la debolezza dei muscoli espiratori rende inefficace il meccanismo della tosse con possibile comparsa di aspirazione
e infezioni polmonari.
La comparsa di distress respiratorio può rappresentare
un evento acuto e spesso inaspettato. Il 16% delle
intubazioni oro-tracheali avviene per arresto cardiorespiratorio o per severa insufficienza respiratoria
acuta. Nel 48% dei casi l’intubazione avviene tra le 6
e le 8 del mattino (probabilmente a causa dell’associazione tra la debolezza dei muscoli respiratori ed il
decubito supino)41.
Risulta quindi evidente l’importanza di definire parametri clinici in grado di prevedere il peggioramento
della funzionalità respiratoria prima che questo
avvenga. Alcuni lavori hanno posto la loro attenzione
su questo aspetto.
In uno studio retrospettivo sono stati valutati 114
soggetti con SGB, 60 dei quali sottoposti a ventilazione meccanica41. Con analisi multivariata sono stati
definiti i parametri maggiormente associati ad intubazione oro-tracheale ed alla necessità di ventilazione meccanica. Una rapida progressione del quadro
neurologico – oltre alla presenza di disfunzione bulbare, deficit della muscolatura facciale bilaterale e
disautonomia – costituivano parametri non respiratori di importanza significativa. Rientravano invece tra i
parametri respiratori in grado di prevedere il peggioramento clinico una capacità vitale inferiore a 20
ml/kg (o una sua riduzione di almeno il 30%), una
pressione inspiratoria massima superiore a –30
cmH2O ed una pressione espiratoria massima inferiore a 40 cmH 2 O. Presenza di disfunzione bulbare
(Odds ratio 17,5) e capacità vitale inferiore a 20
ml/kg (Odds ratio 15) erano i maggiori predittori
della necessità di ventilazione meccanica. Sulla base
di questi dati alcuni autori hanno suggerito la regola
del “20-30-40” (capacità vitale, pressione inspiratoria
massima e pressione espiratoria massima) come guida
per la gestione di questi malati (Fig. 3).
Un secondo lavoro ha analizzato retrospettivamente
722 soggetti arruolati all’interno di due grandi trials
finalizzati alla valutazione della plasmaferesi nella
terapia della SGB. Il 43% dei pazienti era stato sottoposto a ventilazione meccanica42. Con analisi multivariata venivano identificati 6 predittori di ventilazione
meccanica: un tempo inferiore a 7 giorni dalla comparsa dei sintomi al ricovero (Odds ratio 2,5), tosse
inefficace (Odds ratio 9), incapacità a mantenere la
posizione eretta (Odds ratio 2,5), incapacità ad alzare
i gomiti o la testa (Odds ratio rispettivamente 2,9 e
4,3) ed incremento degli enzimi epatici (Odds ratio
2). La ventilazione meccanica era necessaria nell’85%
dei pazienti con almeno 4 di queste caratteristiche
cliniche.
I pazienti sottoposti a ventilazione meccanica sono
soggetti a numerose complicanze respiratorie. Atelectasie si manifestano nel 49% dei casi, una acute lung
injury compare nel 13% dei malati43. La complicanza
più frequente è comunque la polmonite (56-78% dei
pazienti)43,44. Quest’ultima è nella maggior parte dei
casi dovuta ad aspirazione e rappresenta la principale
Score di Hughes > 3
o in progressione
Disautonomia
Monitoraggio in
ambiente intensivo
Score di Hughes < 3
Disfunzione
bulbare
No disfunzione
bulbare
Aspirazione
Sì
CASO CLINICO
Sindrome di
Guillain-Barré
CV < 20 ml/kg
MIP > 30 cm/H2O
MEP < 40 cm/H2O
CV > 20 ml/kg
MIP < 30 cm/H2O
MEP > 40 cm/H2O
Monitoraggio in
ambiente intensivo
eventuale intubazione
Ricovero
ospedaliero
No
Intubazione
oro-tracheale
CV: capacità vitale; MIP: pressione massima inspiratoria; MEP: pressione massima respiratoria.
causa di morte. Il ritardo nel confezionamento della
tracheotomia è uno dei più importanti fattori di
rischio per lo sviluppo di polmonite43.
Non esistono studi sistematici sull’utilizzo della ventilazione non invasiva nella SGB. Tuttavia l’instabilità
emodinamica, la presenza di secrezioni oro-faringee,
la debolezza della muscolatura diaframmatica e la
conseguente difficoltà nel triggering rendono probabilmente tale tecnica di ventilazione inadeguata in
questi malati. Solo alcuni case reports hanno riportato
l’applicazione della ventilazione non invasiva in malati
con SGB, descrivendo risultati quasi sempre scadenti45.
Trattamento
Il trattamento eziologico della SGB è immunoterapico
con utilizzo della plasmaferesi e delle immunoglobuline (Ig) per via endovenosa.
La plasmaferesi è la separazione e rimozione del plasma dalla componente cellulare del sangue attraverso
centrifugazione o filtrazione.
Diversi trials randomizzati hanno dimostrato l’efficacia della plasmaferesi oltre ad aver valutato il numero
di sedute ideale46. La plasmaferesi si è dimostrata efficace sia nel migliorare i tempi di recupero della deambulazione, sia nel modificare la necessità della ventilazione assistita. È stato dimostrato che il numero di
sedute di trattamento deve essere valutato in base
alla severità di malattia e che anche i pazienti con sintomi lievi, ovvero in grado di deambulare autonomamente o con assistenza, possono trarre beneficio da
questo tipo di terapia. In pazienti con sintomi lievi,
due sedute di plasmaferesi sono significativamente
superiori alla sola terapia di supporto, in pazienti con
patologia moderata quattro sedute risultano più efficaci di due, in pazienti che necessitano di ventilazione, un numero di sedute superiore a quattro non
incrementa gli effetti della terapia. L’attuale schema
terapeutico standard è di cinque sedute in due settimane.
La plasmaferesi è efficace nelle prime 4 settimane, ma
il beneficio è tanto maggiore quanto prima viene
avviato il trattamento47.
Pur trattandosi di una terapia dispendiosa, accelerando il recupero motorio dei pazienti e riducendo l’ospedalizzazione, in definitiva permette una diminuzione dei costi complessivi di trattamento48.
L’utilizzo delle immunoglobuline per via endovenosa
è stato introdotto nel 1988 (Tab. 4).
Il razionale di questa terapia si basa sull’interferenza
con il sistema immunitario a diversi livelli: neutralizzazione del complemento attivato, inattivazione di citochine pro-infiammatorie, riduzione della proliferazio-
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 9
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Fig. 3 Gestione delle complicanze respiratorie nella sindrome di Guillain-Barré (tratta da Lawn.
Arch Neurol 2001; 58: 897). Uno score di Hughes inferiore a 3 indica la capacità del malato di
comunicare.
CASO CLINICO
Tab. 4 Terapia con immunoglobuline nella sindrome di Guillain-Barré.
• Le immunoglobuline per via endovenosa e la plasmaferesi sono egualmente efficaci come trattamento di
prima linea (livello A)
• Le Ig devono essere somministrate al dosaggio di 0,4 g/kg/die per 5 giorni (livello A)
• Le Ig hanno minori effetti collaterali rispetto alla plasmaferesi e per tale motivo potrebbero essere preferite (livello B)
• Le Ig, somministrate dopo plasmaferesi, non offrono benefici aggiuntivi e pertanto non possono essere
raccomandate (livello B)
• Pazienti responsivi a terapia con Ig e successiva recidiva possono beneficiare di un secondo trattamento con Ig (raccomandazione priva di evidenze cliniche)
• In pazienti non responsivi ad un primo ciclo di Ig un secondo ciclo di terapia potrebbe essere tentato
(raccomandazione priva di evidenze cliniche)
• Nei pazienti con malattia di lieve entità e sindrome di Miller-Fisher non possono essere date raccomandazioni certe sul trattamento
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Raccomandazioni tratte dalle linee guida dell’European Federation of Neurological Societies (EFNS) sull’uso delle Ig nelle patologie
neurologiche50.
ne di linfociti T, induzione dell’apoptosi di linfociti e
monociti, possibile blocco dei recettori Fc, aumento
del catabolismo di IgG, neutralizzazione degli autoanticorpi48.
Nessuno studio clinico randomizzato ha testato l’uso
delle immunoglobuline contro la sola terapia di supporto. Al contrario i trials effettuati, confrontando
immunoglobuline e plasmaferesi, non hanno osservato
differenze significative tra i due trattamenti nel miglioramento della funzione motoria a 4 settimane 49.
Il dosaggio di Ig normalmente utilizzato, basato sulle
evidenze acquisite in altre patologie autoimmuni, è
quello di 0,4 g/kg/die per 5 giorni. Un piccolo studio
ha paragonato due trattamenti, rispettivamente di 3
e 6 giorni, evidenziando un miglioramento maggiore
della disabilità dopo 4 settimane nel caso della terapia più prolungata, tuttavia la differenza non è statisticamente significativa. Vi sono alcune indicazioni
che un trattamento di 2 g/kg in 2 giorni porterebbe a
una maggiore percentuale di recidiva50.
Ci sono ancora molti interrogativi riguardo la terapia
con Ig, in particolare circa i casi di mancata risposta o
recidiva e le modalità di avvio del trattamento50.
Alcuni pazienti continuano a peggiorare nonostante
la terapia e questo potrebbe essere spiegato da un
attacco immunitario grave e prolungato, per cui il
trattamento standard non sarebbe sufficiente. Sebbene non ci siano evidenze a riguardo, un piccolo studio
suggerisce che la ripetizione del ciclo di Ig potrebbe
essere efficace51.
Ci sono poi alcuni pazienti che, dopo un iniziale
miglioramento o stabilizzazione a seguito della terapia, hanno un nuovo peggioramento; la pratica
comune, in questi casi, prevede un secondo ciclo di Ig,
con dosaggio di 2 g/kg in 2-5 giorni, dal momento che
questi pazienti spesso migliorano dopo la ripresa del
trattamento. Anche in questo caso non ci sono studi
randomizzati controllati. Se i pazienti hanno più epi-
10 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
sodi di peggioramento occorre considerare come diagnosi alternativa l’esordio acuto di un’altra neuropatia, la poliradicoloneuropatia demielinizzante infiammatoria cronica.
Un altro interrogativo aperto è quello che riguarda
l’efficacia di una terapia con Ig iniziata più di 2 settimane dopo l’inizio dei sintomi, dal momento che tutti
i pazienti dei trials hanno iniziato la terapia entro
questo tempo.
Inoltre, per le Ig, a differenza che per la plasmaferesi,
non esistono dati relativi ai pazienti con disturbi lievi
e all’opportunità di avviare comunque un trattamento attivo.
Ugualmente non esistono studi nei pazienti con sindrome di Miller-Fisher. Uno studio osservazionale ha
evidenziato come la terapia con Ig o plasmaferesi non
acceleri i tempi di risoluzione dei sintomi52, tuttavia,
nel caso di severi sintomi autonomici o disturbi respiratori, il trattamento con Ig può essere indicato.
Alcuni reports suggeriscono che, nel caso di pazienti
con precedente infezione da C. jejuni o anticorpi contro i gangliosidi GM1 o GM1b, la terapia con Ig sarebbe superiore alla plasmaferesi; tuttavia si tratta di dati
da confermare e i test per gli anticorpi anti gangliosidi e la possibile precedente infezione possono non
essere a disposizione nella valutazione clinica53.
Sebbene plasmaferesi e Ig endovena siano sovrapponibili in termini di efficacia, gli effetti collaterali sembrano essere minori con l’utilizzo delle Ig. Sono stati
condotti anche studi di confronto di costo-efficacia,
che tuttavia non sono conclusivi. È invece dimostrato
che la combinazione routinaria delle due strategie
terapeutiche non mostra benefici aggiuntivi54.
Un’altra strategia possibile è l’immunoassorbimento
selettivo, che permette di rimuovere una grande
quantità di proteine plasmatiche, senza necessità di
ripristino di liquidi. Dati preliminari indicano che
potrebbe avere la stessa efficacia di plasmaferesi e
Il caso descritto mette in evidenza le difficoltà nell’approccio diagnostico e gestionale ai pazienti con sindrome di Guillain-Barré e, più in generale, ai malati
con patologia neuromuscolare acuta.
Il ritardo nella diagnosi, frequente nella pratica clinica, in questo caso è imputabile all’assenza di segni
caratteristici all’esordio (in particolare l’assenza dei
riflessi osteo-tendinei) ed alla negatività dell’esame
liquorale. L’esame elettromiografico, non sempre
effettuabile in tempi rapidi, ha consentito di ottenere
una diagnosi definitiva.
Una volta posto il sospetto diagnostico è stato tempestivamente allertato il Centro Trasfusionale per
l’avvio della plasmaferesi (una delle due modalità
terapeutiche consigliate dalle linee guida). Non esistono invece indicazioni certe sull’utilità della somministrazione di immunoglobuline dopo trattamento con plasmaferesi.
Il decorso clinico è stato particolarmente grave. Il ricovero in ambiente protetto e monitorizzato ha consentito un riconoscimento precoce della perdita di funzionalità respiratoria ed una precoce intubazione orotracheale. La debolezza muscolare protratta ha reso
lo svezzamento respiratorio particolarmente complesso. Alla debolezza si è aggiunta inoltre la presenza di
voluminose atelectasie con riduzione ulteriore degli
scambi respiratori. Non si sono verificate complicanze
disautonomiche di tipo cardiovascolare mentre si è
manifestata la comparsa di intensa scialorrea e di
diarrea secretoria. Entrambe queste evenienze, pur
meno pericolose rispetto ad eventi cardiovascolari,
hanno interferito sul quadro respiratorio e sullo stato
nutrizionale e volemico del nostro malato.
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Discussione
Bibliografia
CASO CLINICO
Ig, senza gli effetti collaterali. La rimozione selettiva
di anticorpi antigangliosidi attraverso specifici
immunoassorbenti rappresenta una possibile futura
strategia13.
La terapia steroidea in monoterapia si è dimostrata
inefficace nella SG55. La combinazione di metilprednisolone ed Ig migliora i sintomi solo in un’analisi posthoc, dopo correzione per fattori prognostici che includono età e invalidità iniziale56.
Oltre alla terapia eziologica, devono essere considerate le strategie per il controllo dei sintomi.
Il dolore è presente nel 89% dei pazienti affetti da
SGB e, a seconda delle fasi di malattia, si può trattare
di parestesie, disestesie, dolore radicolare, dolore
muscolare, articolare o viscerale. Studi su un numero
limitato di pazienti indicano che oppioidi, gabapentin
e carbamazepina possono essere utili.
Le alterazioni autonomiche possono provocare aritmie, fluttuazioni pressorie, risposte emodinamiche
anomale a farmaci, anomalie pupillari, alterazioni
vescicali e intestinali. Occorre considerare l’utilizzo,
in casi selezionati, del pacemaker transcutaneo o di
atropina; devono essere evitati i farmaci vasoattivi
e i derivati della morfina devono essere usati con
cautela.
I pazienti con compromissione della deambulazione
devono essere sottoposti a profilassi antitrombotica.
CASO CLINICO
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Sindrome di Guillain-Barré
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La sindrome di Guillain-Barré è una patologia acuta che segue un evento infettivo
o uno stress fisico: non sottovalutare un paziente che si presenta con debolezza
muscolare in seguito ad una di queste situazioni.
Mantenere un alto indice di sospetto in tutti i pazienti con disfunzione motoria
acuta o debolezza coinvolgente le estremità in maniera bilaterale e progressiva.
Le parestesie possono precedere le alterazioni motorie; parestesie insorte acutamente dopo un episodio infettivo richiedono un attento esame neurologico.
La scomparsa dei riflessi, sebbene caratteristica, può avvenire solo negli stadi più
avanzati di malattia.
Un deficit di forza asimmetrico o limitato agli arti superiori, una disfunzione prevalentemente respiratoria o disautonomica potrebbero rappresentare presentazioni
atipiche della malattia.
Nelle prime fasi di malattia l’esame del liquor è spesso negativo.
Non ritardare l’inizio della terapia con immunoglobuline o plasmaferesi.
Gli steroidi in monoterapia possono peggiorare il decorso clinico.
Prevenire e trattare le complicanze legate a disfunzione autonomica: aritmie, alterazioni pressorie, ileo paralitico.
Identificare i malati con segni di disfunzione bulbare (disartria, disfagia) ed interessamento dei nervi cranici in quanto maggiormente esposti al rischio di insufficienza
respiratoria.
Riconoscere precocemente la progressione verso l’insufficienza respiratoria, valutando frequenza respiratoria, esaurimento muscolare, efficacia della tosse.
Non ritardare l’intubazione oro-tracheale ed il trasferimento in Terapia Intensiva
quando richiesto.
CASO CLINICO
LA PRATICA
CASO CLINICO
Depressione post-partum:
attenti alla tiroidite!
Francesca D’Agostino, Maria Rosa Pizzo*, Luigino Bellizzi**,
Giovanni Giugliano***, Luigi Pizza****
UO Salute Mentale DSB Sapri-Camerota, ASL SA/3
*UO Medicina Interna, PO dell’Immacolata, Sapri, ASL SA/3
**Servizio di Ecografia Diagnostica e Interventistica, UO Chirurgia Generale, Ospedale dell’Immacolata, Sapri,ASL SA/3
***UOC Medicina Interna PO dell’Immacolata, Sapri, ASL SA/3
****UOC Salute Mentale DSB Sapri-Camerota, ASL SA/3
IL CASO CLINICO
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Caso clinico n. 1
La signora M. F. di anni 35, commessa, giunge nell’ambulatorio di endocrinologia, inviata dal suo medico
curante col sospetto diagnostico di tireotossicosi in
post-partum (il parto è avvenuto 2 mesi addietro non
seguito da allattamento al seno materno).
La paziente, da circa una settimana, riferisce comparsa di cardiopalmo, stato ansioso ed insonnia non
accompagnati da perdita di peso.
L’esame obiettivo non evidenzia segni clinici di ipertiroidismo; sono assenti segni oculari e soffio tiroideo.
Gli esami riguardanti la funzione tiroidea evidenziano
un TSH basso e un fT4 ed fT3 lievemente elevati,
Tireoglobulina alta ed elevati Anticorpi anti-TPO e
antitireoglobulina.
L’esame ecografico evidenzia la presenza di aree ipoecogene in entrambi i lobi, mentre la scintigrafia con
99mTC e la curva di captazione con 131Iodio dimostrano
ridotta captazione tiroidea.
Si potrebbe pensare ad un esordio tireotossico?
Si pone diagnosi di tiroidite post-partum ad esordio
tireotossico e si prescrive blande dosi di betabloccante (propranololo alla dose di 10 mg 3 volte al giorno).
Ritorna a controllo a cadenza mensile in ambulatorio
e, al terzo controllo (dopo 4 mesi dal parto), riferisce
miglioramento della sintomatologia precedentemente riferita; l’assetto ormonale evidenzia fT3 ed fT4
rientrati nel range con TSH ai limiti bassi della norma.
La paziente sospende la terapia con betabloccanti.
Quella descritta è effettivamente una fase
ipotiroidea?
A 3 mesi dall’esordio tiroiditico (quindi a 5 mesi dal
parto) comparsa di una fase di ipotiroidismo subclini-
14 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
co con TSH elevato, fT4 e fT3 nella norma TG normale; la paziente presenta lieve aumento di peso e tono
dell’umore depresso, peraltro costantemente associato alla fase ipotiroidea delle tiroidite post-partum (a
volte unico sintomo osservabile). Inizia terapia con
levotiroxina per un mese, essendo poi rientrata in una
fase di eutiroidismo.
Viene effettuato follow up a cadenza semestrale.
Perché persiste lo stato depressivo nonostante la condizione di eutiroidismo?
Ai controlli successivi, contrariamente a quanto previsto, il quadro clinico non correla con quello ormonale
ed autoanticorpale (completamente rientrati nella
norma), persistendo la depressione del tono dell’umore.
La paziente appare sempre più apatica, anergica e rallentata sul piano psichico.
La consulenza psichiatrica evidenzia altresì perdita di
interessi da più di 15 giorni, umore depresso da più di
15 giorni ed, in associazione, altri sintomi evidenziati
con la somministrazione della HAM-D, ponendo diagnosi di Depressione Mascherata.
Caso clinico n. 2
La paziente, già madre di un bambino di 5 anni, è
andata incontro, immediatamente dopo il parto della
sua seconda figlia, ad un grave episodio depressivo.
La madre descrive la paziente come una bambina
molto emotiva, che ha presentato episodi di enuresi
notturna fino ai 12 anni di età e riferisce inoltre che 4
anni or sono, dopo la prima gravidanza, la paziente
aveva manifestato una sintomatologia depressiva, sia
pur di più lieve entità, risoltasi poi spontaneamente
senza l’intervento di specialisti. La madre riferisce
anche che in occasione della seconda gravidanza,
alcuni giorni prima del parto, la figlia appariva più
chiusa e meno partecipe ai dialoghi. La paziente viene
da noi visitata 15 giorni dopo il parto e alla prima visita manifesta una sintomatologia ingravescente carat-
quadro attuale dal precedente episodio depressivo.
Non si sono evidenziati tratti ciclotimici. Pertanto la
paziente continua il trattamento antidepressivo con
venlafaxina al dosaggio di 150 mg/die, che purtroppo
presenta un effetto collaterale intenso (sudorazione
profusa) con conseguente sospensione del farmaco. Si
instaura nuova terapia con: fluvoxamina (100 mg/die);
amisulpride (50 mg/die) e lamotrigina (100 mg/die).
La scarsa capacità introspettiva della paziente e la
scarsa collaboratività del nucleo familiare impediscono un trattamento psicoterapico individuale e/o familiare. La paziente migliora lentamente, ma dopo 7
mesi si verifica una nuova riacutizzazione del quadro
depressivo.
Avreste anche voi sospeso il trattamento
omeopatico? Avreste anche voi interrotto
l’allattamento al seno?
In effetti ripetendo lo screening tiroideo completo
(TSH, FT3, FT4, tireoglobulina; TPO Ab; AbTg; ecografia tiroidea) si è evidenziato un franco ipotiroidismo.
La terapia sostitutiva con levo-tiroxina da sola basta a
far rientrare anche la sintomatologia psichica.
Concordate col sospetto di ipotiroidismo?
Gli esami effettuati previa consulenza endocrinologiva risultano nella norma (TSH 1,46 mcUI/ml, FT3 4,33
pmol/i FT4 8,57 pmol/l, tireoglobulina 5,64 ng/ml;
negativa anche l’ecografia tiroidea.
Avreste ritenuto opportuno in questa fase
approfondire ulteriormente lo screening tiroideo richiedendo anche TPO Ab ed AbTg?
Esclusa l’ipotesi di una origine organica della sintomatologia depressiva si vanno ad indagare altri fattori
che potrebbero aver contribuito alla recidiva, magari
sfuggiti ad una indagine iniziale, si ritiene opportuno
valutare le variabili personologiche, le dinamiche
familiari, ed approfondire l’anamnesi psicopatologica
remota alla ricerca di episodi ipomaniacali. Si evidenziano: un disturbo istrionico di personalità, intrusività
della famiglia che mina la privacy della coppia; si
apprende inoltre di una relazione extraconiugale del
marito con annessa richiesta di separazione. Tali
cofattori “da soli” sembravano giustificare la ripresa
della sintomatologia depressiva e la sua refrattarietà
al trattamento; nonché la sostanziale diversità del
Ripetereste a questo punto lo screening tiroideo per sospetto ipotiroidismo?
L’EVIDENZA
Quadri psicopatologici peri-partum
Il puerperio è una fase in cui si assiste ad una crisi funzionale evolutiva e transitoria. Nella maggior parte
dei casi si tratta di un normale periodo di labilità
affettiva che si manifesta subito dopo il parto.
La puerpera può trovarsi infatti a fronteggiare sentimenti e stati d’animo che non trovano spazio all’interno dei propri abituali riferimenti: dalla “paura” di
inadeguatezza fino a sentimenti di estraneità e a
volte addirittura di negatività nei confronti del neonato.
Questi fenomeni sono stati considerati un argomento
di interesse medico fin dal IV secolo a.C., quando
Ippocrate per primo ne fece menzione nelle sue
opere. Mentre nel Medioevo le puerpere che soffrivano di depressione post-partum venivano considerate
streghe o vittime di malefici, e purtroppo trattate di
conseguenza!
Di fatto, ogni società riconosce con modalità diverse
l’evento nascita.
Nei Paesi più sviluppati vengono chiamate in causa,
per spiegare tali evenienze epifenomeniche, alcune
peculiarità tipiche della civiltà postindustriale, quali:
l’eccessiva medicalizzazione del parto e le tecniche
invasive da ridotta fertilità, la confusione circa il
ruolo della donna nella società, la perdita del concetto di comunità del villaggio e di famiglia allargata; concetti questi strettamente connessi con l’industrializzazione e l’urbanizzazione. Si tratta infatti di
profondi mutamenti sociali che inevitabilmente
hanno condizionato anche i vissuti individuali connessi alla maternità.
Ad ogni modo, quali che siano le concause che possono contribuire, l’emersione della fenomenica postpartum è particolarmente rilevante, con evidente
incremento della sua incidenza epidemiologica.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 15
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Si inizia un trattamento con venlafaxina al dosaggio
di 150 mg/die e la paziente dopo 15 giorni appare
molto migliorata. Otto mesi dopo si verifica la prima
ricaduta. In questo secondo episodio il quadro clinico appare meno ricco. Prevalgono lamentosità,
ansia, insonnia. L’umore non appare francamente
depresso e la paziente non sembra aver abbandonato le proprie abitudini. Crisi di pianto eclatanti
avvengono solo in presenza di terzi. Pur ripristinando la terapia antidepressiva, non si ottiene con la
stessa rapidità antecedente il miglioramento psicoclinico atteso. Pertanto si sospetta una tiroidite postpartum, inizialmente misconosciuta con cronicizzazione in ipotiroidismo.
CASO CLINICO
terizzata da grave depressione del tono dell’umore,
ideazione suicidaria, idee di morte, idee di rovina,
idee d’abbandono, apatia, anedonia ed una notevole
componente d’ansia libera e somatizzata. Notevole la
labilità affettiva. L’ideazione, coartata ed iterativa,
appariva comunque congrua al tono dell’umore. La
paziente nega fenomeni dispercettivi e, a conferma,
non si evidenziano comportamenti da allucinata. Inizialmente vista da un’omeopata, le veniva prescritto
Sepia. In concomitanza con l’introduzione della terapia antidepressiva ed ansiolitica, tale rimedio omeopatico veniva sospeso. Veniamo contattati dall’omeopata in questione che ribatte che il repentino peggioramento osservato dopo l’introduzione di Sepia in
terapia, era un segnale della sua efficacia, provocando tali rimedi, quando efficaci una recrudescenza sintomatologia prima del miglioramento.
CASO CLINICO
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Di fatto, sempre più frequentemente, nella pratica clinica, lo psichiatra viene consultato specialmente nei
mesi alti di gravidanza e nel peri-partum. E i quadri
clinici che si osservano vanno dal post-partum
“blues”, alla depressione puerperale, fino alla più
grave psicosi post-partum.
Mentre alcuni sintomi dello spettro depressivo (disturbi del sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale, riduzione dei livelli di energia) sono presenti anche
nelle gravide e nelle puerpere non depresse. Trattandosi invero di vissuti, atteggiamenti e sentimenti, che
entro certi limiti, sono strettamente correlati alla specifica dinamica esperenziale.
È ormai un dato epidemiologicamente acquisito che la
psicopatologia del post-partum, in prevalenza la
depressione, colpisce circa il 10-15% delle puerpere.
Con conseguenze preoccupanti per il coinvolgimento
dei nuovi nati, giacché il 25% dei casi non trattati si protrae per oltre un anno, con rischio di cronicizzazione.
Maternity blues
Con questa intraducibile definizione americana, il cui
corrispettivo in italiano è “malinconia dei quattro
giorni” o “febbre da latte”, ci si riferisce ad una serie
di disturbi spesso lievi e transitori, attribuiti per lo più
alla “stanchezza materna” post-gravidanza, e alle difficoltà psicologiche e pratiche che la cura del neonato
all’inizio comportano.
Un quadro subsindromico e subclinico sostenuto dalle
nuove dinamiche di coppia, conseguenti alla perdita
di intimità o all’evidenziarsi di conflitti irrisolti, che
determinano un complessivo rimaneggiamento dello
stile di vita e pertanto dei vissuti individuali.
In seguito alla nascita di un figlio molte coppie sono
costrette inoltre a rivedere la loro intesa sessuale:
innanzitutto per paura di riconcepire, e poi anche per
un naturale calo del desiderio sessuale, che tra l’altro
non riguarda solo la donna. Anche la libido dell’uomo
si modifica, in misura più spiccata se ha assistito al
parto. Tale perdita di desiderio può pertanto far affiorare in entrambi i partner la paura del rifiuto o dell’abbandono.
Nel caso poi di una gravidanza difficile o di un travaglio lungo, l’evento parto assume di fatto le caratteristiche di uno stress acuto che può anche condurre allo
sviluppo di un disturbo d’ansia correlato.
Questa condizione è presente in particolare nelle primipare attempate, attualmente molto aumentate,
giacché fortemente abituate ad avere il controllo
della propria esistenza, con il rischio incombente di
esperire un maggior grado di sofferenza personale
nel dover mediare tra i propri bisogni ed i bisogni del
neonato.
Infine, un ulteriore elemento da prendere in considerazione è quello dell’immagine corporea della puerpera. La fattualità della “perfezione” perduta può
slatentizzare anche un disturbo del comportamento
alimentare. Ed in ogni caso induce la puerpera a sentimenti autosvalutativi, con un maggior ritiro sociale
e ad una minor ricerca di intimità col partner.
Il quadro di maternity blues, non adeguatamente
trattato, può portare ad uno stato francamente depressivo.
16 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
Tab. 1 Criteri diagnostici per episodio depressivo
secondo il DSM IV-TR.
• Cinque o più dei seguenti sintomi sono stati
contemporaneamente presenti durante un
periodo di due settimane, in presenza di
umore depresso o di perdita di interesse o di
piacere:
– umore depresso per la maggior parte del
giorno, quasi ogni giorno
– marcata diminuzione di piacere per tutte le
attività per la maggior parte del giorno
– significativa perdita di peso (senza dieta) o
incremento ponderale
– insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno
– agitazione o rallentamento psicomotorio
quasi ogni giorno
– faticabilità o anergia quasi ogni giorno
– sentimenti di autosvalutazione o di colpa
eccessivi o inappropriati
– ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno
– pensieri ricorrenti di morte, ricorrente
ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l’ideazione di
un piano specifico per commettere un suicidio
• Il malfunzionamento è clinicamente significativo
Depressione puerperale
La depressione post-partum clinicamente è una condizione di media gravità. Si caratterizza come un vero e
proprio episodio depressivo non psicotico che si slatentizza nel peri-partum: dalle 4 settimane che precedono
il parto alle 30 che lo seguono. I criteri diagnostici per
l’episodio depressivo sono riportati in Tabella 1.
Generalmente si pone diagnosi di depressione postpartum quando sono presenti, per la durata di almeno una settimana, sintomi quali: spossatezza, disturbi
psicomotori, disturbi dell’appetito, disturbi del sonno,
in concomitanza con umore depresso: angoscia, tristezza, sensi di colpa immotivati e talvolta anche idee
di morte.
Peculiari sono inoltre i pensieri di timore per il neonato e per ipotetici rischi che questi possa correre nell’immediato: anche da parte di persone vicine ed
appartenenti al contesto familiare. Tali timori, per lo
più di tipo nevrotico, sono caratterizzati da marcata
ansia, e non appaiono giustificabili dalle reali circostanze: sebbene la mancanza di aderenza alla realtà
non è così grave come quella che si osserva nella psicosi post-partum.
Esistono tuttora una certa confusione e incertezza
circa la natura della depressione post-partum, e circa
le concause che giocano un ruolo importante nel suo
determinismo.
Altre condizioni psicopatologiche che possono
slatentizzarsi nel post-partum
Numerosi sono gli studi che nella letteratura internazionale fanno riferimento ad altri disturbi psichici che
possono slatentizzarsi dopo il parto. In particolare
disturbi del comportamento alimentare, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo post-traumatico da stress.
Spesso in questi casi è possibile riscontrare anamnesticamente le tracce di una personalità premorbosa specifica.
Diversamente va considerato il caso di riacutizzazione
di disturbi psichici già precedentemente diagnosticati,
quale il disturbo bipolare, nella cui recidiva gioca un
ruolo fondamentale il fatto che i trattamenti preventivi stabilizzanti dell’umore sono controindicati in gravidanza ed allattamento, con comprensibile incremento del rischio di nuovi episodi tanto maniacali
quanto depressivi. In tali circostanze è opportuno
limitare il più possibile il periodo dell’allattamento ed
istituire quanto prima la terapia stabilizzante dell’umore necessaria.
Costi sociali dei disturbi psichici del
peri-partum
Non sono infrequenti i casi di puerpere che al termine
dei previsti mesi di congedo per maternità non se la
sentono di riprendere a lavorare: vivono intensamente il conflitto tra la necessità di riprendere i propri
impegni professionali e il senso di colpa nei confronti
del figlio ancora bisognoso di cure ed attenzioni particolari.
Nei casi di depressione franca il rientro al lavoro è di
fatto impedito dalla malattia in atto e l’assenza giustificata dal lavoro può protrarsi per diversi mesi.
In realtà, anche in assenza di conflittualità manifeste
o di depressione franca la maternità finisce spesso per
cambiare in maniera profonda ed imprevedibile l’atteggiamento della donna nei confronti dell’impiego.
In alcune madri interviene un fenomeno di negazione
di questo mutamento con conseguenti tentativi, spesso ansiogeni, di dimostrare che interessi ed efficienza
non sono cambiati. Spesso tali lavoratrici diventano
vulnerabili ed eccessivamente bisognose di rassicurazioni, creando dinamiche disfunzionali negli ambienti
di lavoro.
Con la nascita di un figlio anche i padri sono costretti a
ridefinire il proprio rapporto col lavoro. La stanchezza
dovuta alla comprensibile riduzione del sonno può
infatti compromettere concentrazione e performance.
La tiroidite post-partum
La tiroidite post-partum è una tiroidite subacuta
(durata di 6 mesi) senza sintomatologia dolorosa che
si manifesta da 2 a 12 mesi dopo il parto. Rappresenta
la stessa entità clinica della tiroidite silente, da cui si
differenzia per la mancanza della correlazione temporale con il parto.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 17
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La psicosi post-partum
Si tratta di una condizione clinica più grave e molto
meno frequente della depressione post-partum (1-2
parti ogni 1000). Si verifica 2-3 giorni dopo il parto
con insonnia, irrequietezza e labilità affettiva, ma
rapidamente progredisce con la comparsa di confusione, irrazionalità, allucinazioni, deliri (sostenuti da
pensieri negativi rivolti verso il bambino o verso se
stesse) ed eccessive preoccupazioni relative al neonato: sfociando in un vero e proprio delirio, accompagnato o meno da fenomeni allucinatori.
Talvolta tale condizione si manifesta nell’ambito di un
disturbo dell’umore o di un disturbo psicotico già diagnosticati in precedenza; in tali casi viene considerata
secondaria al sottostante disturbo psichiatrico. Negli
altri casi potrebbe essere favorita tanto dall’improvviso cambiamento dei livelli ormonali dopo il parto,
quanto da conflitti psicodinamici connessi alla maternità (gravidanza indesiderata, rapporto di coppia
instabile o conflittuale, paura della maternità).
La psicosi post-partum è più frequente nelle primipare. La prognosi è favorevole nei casi in cui venga istituito un trattamento adeguato e tempestivo. Fattori
prognostici favorevoli sono inoltre una personalità
premorbosa equilibrata ed una struttura familiare in
grado di offrire un adeguato sostegno.
Il rischio di suicidio o infanticidio sono invece elevati
nelle donne non trattate.
CASO CLINICO
Da un lato vengono tenute in grossa considerazione
le situazioni sociali sfavorevoli: puerpere sole o con
un partner poco solidale affrontano con maggiore
difficoltà tanto la gravidanz quanto il post-partum;
d’altro canto tale sindrome depressiva non viene considerata affatto un problema di natura squisitamente
psicologica, quanto piuttosto influenzata e determinata da cause principalmente biologiche.
Sembrano infatti giocare un ruolo importante le
modificazioni ormonali che si verificano nel peri-partum, con particolare riferimento alla brusca caduta
dei livelli plasmatici di progesterone, estrogeni, cortisolo, prolattina ed ormoni tiroidei. Tali modificazioni
ormonali sono da considerarsi parafisiologiche, ma in
alcune donne possono essere troppo rapide, determinando un alterato riassetto del profilo ormonale.
Numerosi lavori endocrinologici sottolineano un
parallelismo tra le alterazioni ormonali riscontrabili
nella sindrome premestruale e quelle caratteristiche
del post-partum (calo del progesterone).
Anche eventuali complicanze di natura ostetrica (parti
distocici) si associano, senza poter invocare un rapporto stretto di causalità, con l’insorgere della depressione post-partum.
È evidente come la ripresa fisica dopo un parto cesareo sia peggiore, per le prevedibili conseguenze dell’anestesia, anche in assenza di specifiche complicanze: quali ad esempio un risentimento radicolare conseguente ad anestesia spinale.
Maggiore impatto ha il cesareo quando si decide di
praticarlo a travaglio iniziato, o per l’insorgere di complicanze impreviste che mettono a rischio la vita della
madre o del neonato: si tratta di eventi particolarmente stressanti che possono preludere allo sviluppo di un
vero e proprio “disturbo post-traumatico da stress”.
Enfatizzare gli aspetti biologici che sottendono l’insorgenza della condizione depressiva non deve sminuire a nostro parere l’effettiva portata della dimensione psicodinamica della nascita.
CASO CLINICO
Fig. 1. Andamento clinico della tiroidite post-partum, con caratteristico andamento bifasico (Modificata da
Monaco).
Tireotossicosi persistente
Incremento
Tireotossicosi transitoria
Ormoni tiroidei
2
4
(mesi)
6
Ipotiroidismo transitorio
Parto
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Riduzione
Dal punto di vista anatomopatologico, il quadro tipico di questa forma è la presenza di un infiltrato linfocitario con lesione delle strutture follicolari causante
tireotossicosi iniziale.
L’andamento clinico ha un tipico andamento “bi-fasico” con esordio tireotossico transitorio, ipotiroidismo
(presente nella metà dei casi) e ripristino dell’eutiroidismo in assenza dei segni dell’infiammazione (FIg. 1).
Fase di tireotossicosi
È transitoria, durando da 1 a 4 mesi, e si manifesta
con sintomi sfumati: tachicardia, tremore, insonnia,
eretismo psichico in assenza di dimagrimento ed iperfagia. La tiroide può essere lievemente ingrandita con
assenza di “soffio” tiroideo tipico delle forme di ipertiroidismo vero.
Dal punto di vista anatomopatologico si osserva presenza, contemporanea, di un infiltrato linfocitario con
lesione delle strutture follicolari.
Il quadro bioumorale è caratterizzato da elevati valori di fT3 e fT4 e bassi valori di TSH, tireoglobulina elevata, abTG e TPO-ab elevati con TBI-ab non dosabili.
L’ecografia evidenzia un tipico quadro di tiroidite con
presenza di aree ipoecogene, la scintigrafia con 99TC e
la curva di captazione con 131Iodio evidenziano ridotta captazione.
La terapia è sintomatica, avvalendosi di beta bloccanti a
basse dosi. I tireostatici (MMZ e PTU) non sono indicati
trattandosi di tireotossicosi e non di ipertiroidismo vero.
L’impiego di steroidi glicoattivi può accelerare il processo di guarigione.
Fase ipotiroidea
In quasi la metà dei casi di tiroidite post-partum si
osserva, dopo la fase di tireotossicosi, una breve fase,
della durata di non più di 2 mesi, caratterizzata da
ipofunzione tiroidea a volte sub-clinica (TSH elevato
con fT4 e fT3 bassi o normali) e TG, abTG, TPO-ab elevati o normali.
18 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
Ipotiroidismo permanente
Dal punto di vista clinico, di solito non si osservano i
segni dell’ipotiroidismo se non in forma attenuata.
Unico sintomo costantemente presente è la depressione del tono dell’umore.
Ecografia B-Mode ed ecocolordoppler
nelle tiroiditi
Il quadro ultrasonografico ed ecocolordoppler delle
tiroiditi dipende dalle differenti forme cliniche (Tab. 2).
Nelle forme acute e subacute (caratteristiche del
post-partum) il quadro ecografico è caratterizzato
da un incremento volumetrico diffuso o segmentario
della ghiandola che tende a presentari ipoecogena
(espressione dell’edema parenchimale). L’ecocolordoppler in questa fase (Fig. 2) può evidenziare,
anche se incostantemente, un aumento della vascolarizzazione intraparenchimale che è in relazione
allo stato infiammatorio, nonostante l’edema parenchimale tenda a determinare una possibile compressione delle strutture vascolari intraghiandolari. Nelle
Tab. 2 Forme cliniche delle tiroiditi.
A) Forme acute suppurate (rare)
B) Forme Subacute
• Granulomatosa (di De Quaervain)
• Pain-less
• Post-partum
C) Forme Croniche
• Linfocitaria autoimmune (di Hashimoto)
• Fibrosa (di Riedel)
• Tubercolare
• Post-attinica (da radioterapia esterna, o
metabolica)
CASO CLINICO
Fig. 2 Ecocolordoppler della tiroidite.
Tiroide e depressione
Le prime conoscenze sui rapporti tra tiroide e disturbi
psichici risalgono alle descrizioni “storiche” degli
effetti clinici delle tiroidectomie e dell’ipertiroidismo.
Successivamente, nei pazienti psichiatrici sono state
frequentemente segnalate alterazioni dei valori tiroidei laboratoristici; spesso reversibili senza una specifica terapia. Essendo le strutture talamiche ed ipotalamiche da sempre ritenute la sede dell’affettività, gli
assi neuroendocrini a partenza ipotalamica hanno
suscitato l’interesse dei ricercatori e sono stati indagati allo scopo di evidenziare eventuali correlati neurobiologici.
Il coivolgimento tiroideo evidenziabile nel corso di
malattia depressiva (ed in particolare una bassa risposta del TSH al TRH) correla con propositi suicidari, tentativi di suicidio violenti e con una maggiore letalità
del tentativo suicidario.
È stato altresì evidenziato che i pazienti depressi con
concomitante ipotiroidismo siano maggiormente a
rischio di compromissione cognitiva e di accidenti
cerebrovascolari.
Tale correlazione è stata supportata da studi di neuroimaging funzionale (SPECT e PET) che hanno potuto
dimostrare, nei soggetti depressi ipotiroidei, una riduzione sia globale che regionale del flusso e del metabolismo cerebrale, con maggiore coinvolgimento
delle regioni che mediano l’attenzione, la velocità
motoria ed i processi visuospaziali. Si ritiene di fatto
che i circuiti coinvolti nella demenza ipotiroidea siano
diversi da quelli compromessi nei pazienti depressi
non ipotiroidei, con analogo calo della performance
cognitiva.
Ulteriori valutazioni sono state effettuate esaminando se determinati livelli plasmatici di ormone tiroideo,
rientranti nel range normale, potessero evidenziare
popolazioni a rischio per disturbi depressivi; i risultati
suggeriscono che tale aumentato rischio possa correlare con livelli di tiroxina ai limiti alti della norma.
Nella pratica clinica, sulla scorta del dato neurobiologico della soppressione della risposta al TRH, sono
stati sperimentati inoltre protocolli di potenziamento
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 19
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forme subacute e croniche, in cui non si manifesta
clinicamente l’ipotiroidismo, il segnale colore si
incrementa notevolmente, risultando simile a quadri
tipici dell’ipertiroidismo. Questo incremento è in
relazione con l’aumentata concentrazione di TSH,
infatti la normalizzazione di questo parametro con
la terapia farmacologica o con il ripristino della funzionalità ghiandolare, determina un graduale decremento del segnale colore. Lo stimolo tireotropo provocato dall’aumento in circolo del TSH sulla ghiandola, determina un incremento della vascolarizzazione e del flusso ematico intraparenchimale, che può
accompagnarsi a variabile incremento della velocità
sistolica in sede intraghiandolare. L’analisi flussimetrica mediante il Doppler pulsato integra lo studio
qualitativo del color-doppler, però nel caso specifico
delle tireopatie non fornisce elementi utili alla loro
caratterizzazione.
Nella iperplasia e nello struma sia a carattere diffuso
che nodulare, non iperfunzionanti, la velocità massima di picco sistolico non supera 50 cm/s, la velocità
media è inferiore a 40 cm/s, IR non supera 0,75. Nelle
iperfunzioni ghiandolari diffuse il picco sistolico è
sempre superiore a 50 cm/s. Qualche informazione
aggiuntiva si può estrapolare dall’analisi flussimetrica
condotta a livello delle arterie tiroidee afferenti, ed in
particolare dell’arteria tiroidea inferiore, più facilmente reperibile rispetto al ramo superiore. In presenza di tireopatie diffuse, ed in particolare nelle
iperfunzioni diffuse (morbo di Basedow) si registrano
valori di velocità sistolica anche superiori a 150 cm/s.
In tutte le altre tireopatie diffuse non correlate ad
iperfunzione, il flusso sistolico dell’arteria tiroidea
inferiore non supera i 65 cm/s. Tale rilievo semeiologico è di notevole aiuto nella diagnostica delle forme
caratterizzate da intensa vascolarizzazione intraghiandolare e di quelle di incerto inquadramento. Il
controllo a distanza di tempo dell’evoluzione di tali
parametri risulta inoltre particolarmente utile nell’obbiettivazione e nella valutazione dell’efficacia dei
trattamenti farmacologici posti in essere nelle varie
tireopatie.
CASO CLINICO
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degli effetti della terapia con antidepressivi, mediante la concomitante somministrazione di ormoni tiroidei nei pazienti affetti da depressione resistente al
trattamento. Occorre precisare, allo stato, che tale
tipo di protocolli sono da considerarsi dei tentativi
empirici; giacché mancano dati certi circa l’efficacia
dell’aggiunta di levotiroxina nei casi si pazienti con
ipotiroidismo subclinico.
Particolare attenzione viene altresì data alla valutazione tiroidea in gravidanza; per le possibili conseguenze negative dell’ipotiroidismo sullo sviluppo neuronale intrauterino. La presenza di autoanticorpi
tiroidei o di alti livelli di TSH nel peri-partum sono
stati rilevati e messi in relazione con sintomi depressivi ed umore disforico nelle puerpere: anche in assenza
di una diagnosi clinica di depressione.
D’altra parte, anche tra i pazienti ipertiroidei si registra un aumento dell’incidenza di turbe psichiche. A
livello aneddotico vale la pena di ricordare che lo stesso Sigmund Freud fu tratto in inganno dall’espressività psicopatologica della sintomatologia basedowiana. Infatti, in un famoso caso clinico tale sintomatologia fu confusa con uno stato di allarme psicotico, e,
purtroppo, con conseguente exitus del paziente, giacché non riconosciuta la primaria patologia clinica. Ad
onor del vero la diagnosi differenziale deve prescindere dai sintomi psichici dell’ipertiroidismo, perché
comprendono agitazione, irritabilità, turbe dell’umore, iperattività, ansia ed attacchi di panico; e per
quanto rari, similmente al caso trattato da Freud, possono verificarsi anche stati psicotici ad espressività
allucinatoria e francamente maniacali.
Per completezza è opportuno riportare che lo scompenso psichico acuto si associa spesso con incrementi
del T4 e dell’FT4, e meno frequentemente con una
riduzione della tiroxina. Pertanto il rilievo di livelli di
TSH soppressi o elevati può indurre in tali pazienti a
valutazioni diagnostiche errate.
Allo stato, l’unico dato di una notevole evidenza clinica conferma che, sebbene la depressione non sia
caratterizzata da una chiara disfunzione tiroidea, un
sottogruppo di pazienti depressi può presentare sfumate alterazioni nel pattern ormonale o un’attivazione di processi autoimmuni, con compromissione della
funzionalità tiroidea. Però i dati della letteratura
internazionale non sono evidentemente conclusivi.
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CASO CLINICO
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LA PRATICA
Tiroide e depressione post-partum
Diagnosi differenziale e gestione della tiroidite post-partum
La tiroidite post-partum, essendo per definizione una tiroidite sub-acuta ad evoluzione self limiting, dura non oltre 6 mesi con completa guarigione.
Solo in rari casi sfocia in una tiroidite cronica con tireotossicosi persistente o ipofunzione tiroidea persistente (0,2% dei casi) ponendo problemi di diagnosi differenziale
col morbo di Graves e con la tiroidite cronica autoimmune (nel primo caso abbiamo
gli anticorpi antirecettore anti TSH positivi, il quadro scintigrafico che evidenziano
aumentata captazione e nel secondo caso basterà monitorare TSH , fT4, fT3, abTG e
TPO-ab ogni 6 mesi nei primi 2 anni e successivamente a cadenza annuale).
La tiroidite post-partum si differenzia da quella sub-acuta di De Quaervain per l’assenza della sintomatologia dolorosa, della febbre e dell’elevazione degli indici di flogosi.
Diagnosi e gestione dei disturbi psichici del peri-partum
La depressione nel post-partum è una realtà clinica spesso sottostimata che, se non
diagnosticata e trattata adeguatamente, può essere causa di un’inadeguata relazione
madre-neonato, scarsa cura del bambino, problemi coniugali, disturbi affettivi cronici,
abuso di sostanze, suicidio, infanticidio. Anche senza paventare conseguenze drammatiche si è visto che il funzionamento della diade madre-bambino all’età di tre mesi
è compromessa se la madre è depressa. È noto infatti che i figli di madri depresse
mostrano minori interazioni con la madre, espressioni del viso non serene, minori
comportamenti positivi, minori sorrisi e minori vocalizzazioni: con conseguenze evidenti sullo sviluppo psicoaffettivo e cognitivo successivo. In genere questi bambini
sono più irritabili, meno attivi e piangono più a lungo.
Proprio per preservare il rapporto tra madre e bambino, necessario alla strutturazione
di un adeguato pattern di attaccamento del bambino, è importante sospettare la condizione depressiva nella madre, non sottovalutando quadri clinici potenzialmente
evolutivi. Ciò è tra l’altro propedeutico all’istituzione di cure adeguate commisurate
alla gravità della condizione depressiva, che possono andare dal semplice sostegno
psicologico (ascolto partecipato, counseling, psicoterapia di sostegno) a un trattamento psicofarmacologico laddove si renda necessario, fino al ricovero in ambiente protetto nei casi di psicosi gravi.
22 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
Claudio Bianchin
Medico legale, Agenzia Socio-Sanitaria del Veneto
IL CASO
L’EVIDENZA
The monday morning quarterback
phenomenon
Il caso, benché sviluppatosi nel contesto di un diverso
sistema legale e sanitario, risulta ugualmente didattico
per argomentare su uno dei tanti errori sistematici di
valutazione che talora possono ridurre l’affidabilità della
valutazioni medico-legali su pretesi casi di malpractice.
Ovviamente, non si fa riferimento alle valutazioni
scontatamente contrastanti dei due “expert witness”
(consulenti tecnici delle parti) che sono stati scelti
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 27
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Un bambino di tre settimane viene portato dalla mamma al medico di famiglia in quanto manifesta febbre e
forte irritabilità. Il pediatra, sentita la mamma e visitato il bambino, ritiene i disturbi suggestivi per
meningite e prescrivere l’immediata consulenza specialistica ospedaliera. Poco dopo il bambino accede
all’ambulatorio specialistico ospedaliero dove viene
visitato dal medico pediatra di turno. Confermato il
forte sospetto di meningite, dopo il prelievo di liquor
e di sangue per gli accertamenti, il bambino viene
preparato per la somministrazione endovena di ampicillina che viene praticata dall’infermiera.
Purtroppo la terapia non è stata sufficiente ad evitare
degli esiti rilevanti della malattia.
I familiari decidono di denunciare il medico per malpractice. Il loro consulente sostiene che i danni sono
attribuibili ad un ritardo nella somministrazione della
terapia in quanto dall’accesso all’ambulatorio alla
somministrazione di antibiotico sono passate ben due
ore e che lo standard per questo tipo di intervento è
intorno alla mezz’ora. Il consulente di fiducia che
difende il medico, invece, ritiene che le due ore rientrino in uno standard accettabile, cioè all’interno dei
tempi di trattamento assicurati nella prassi in situazioni simili. Come spiegare tanta differenza?
Le contrastanti affermazioni dei due esperti furono di
stimolo per una ricerca1 finalizzata a misurare empiricamente le effettive performances assicurate dal personale sanitario e dalle loro strutture ospedaliere di
appartenenza in situazioni simili. In particolare vennero determinati, attraverso la revisone retrospettiva
delle cartelle cliniche, i tempi che andavano dall’accesso al Dipartimento di Emergenza alla somministrazione parenterale di antibioticoterapia (“AB time”) di
93 casi di meningite batterica accolti, dal 1987 al
1989, presso due Ospedali pediatrici universitari statunitensi. Contestualmente lo studio prevedeva la
richiesta a subspecialisti della Medicina d’Urgenza
Pediatrica (ER) e delle Malattie Infettive Pediatriche
(ID) di una valutazione sui i tempi corrispondenti
secondo la loro esperienza, come simulazione di
potenziali pareri “obiettivi” come “esperti”.
Lo studio porta al relativamente sorprendente risultato che invero i tempi medi sono proprio intorno alle
due ore (interquartile range da 1,25 a 3,33 ore) mentre gli specialisti affermarono che nella loro esperienza i tempi di latenza si aggiravano rispettivamente
intorno ai 45’ e 80’, con stime quindi significativamente diverse tra i due reparti e soprattutto da quanto
riscontrabile obiettivamente dall’esame della documentazione sanitaria. Solo in un caso la terapia era
stata somministrata entro i pretesi 30 minuti.
Di rilievo il fatto che non emerse nessuna significativa
correlazione tra l’AB time e la mortalità (2%)/morbilità (20%) nel corso dell’ospedalizzazione.
Dalla revisione della letteratura è stato inoltre possibile individuare altri due precedenti studi pubblicati
su questa problematica. Bryan et. al.2, in uno studio
su 121 bambini con meningite, trovò un tempo medio
di poco superiore: 2,1 ore (SD ± 1,7). Di poco inferiore
invece quello registrato da Talan et. al.3 che descrissero una serie di 100 bambini, di cui il 55% ricevette la
terapia prima dei risultati delle analisi del liquor, con
un AB time medio di 1,9 ore.
DECISIONE E RESPONSABILITÀ
“The monday morning
quarterback phenomenon”,
ovvero un altro errore nella
valutazione degli errori
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dagli avvocati in gioco nel contenzioso proprio perché
disponibili a sostenere delle posizioni strumentalmente favorevoli alle loro parti, spesso disinvoltamente
con argomentazioni scientifiche poco rigorose (finantial bias). L’attesa, poi, che dal metodo del confronto
(cross-examination) delle opposte posizioni emerga la
realtà delle cose è una questione di cui manca ogni
evidenza. Presumo che il parere in merito dei medici
italiani non sia molto distante da quello dei neonatologi americani che in un studio4 hanno fatto emergere tutta la loro disillusione rispetto alla qualità di tali
“esperti” e delle loro testimonianze, spesso irrispettose di ogni dimostrabile standard. La maggior parte di
questi consulenti di parte viene vista più come charlatans piuttosto che come veri esperti. Questo punto di
vista è stato espresso sia da quelli a cui è stata contestata la malpractice che dagli altri.
Qui rileva invece la richiesta di un parere “obiettivo”
a dei potenziali “esperti” da considerare come una
simulazione di parere tecnico utilizzabile ai fini di
giustizia. In teoria questi professionisti potrebbero
essere nominati da un magistrato in qualità di periti
e di consulenti tecnici per una valutazione su un
caso di possibile responsabilità professionale di loro
competenza.
Nel caso in questione abbiamo visto come gli specialisti di due ospedali universitari pediatrici, seppur
sicuramente competenti, abbiano comunque sbagliato delle valutazioni, anche se in modo sincero ed
intenzionalmente imparziale, per eccessivo ottimismo circa le performances assicurate da loro stessi e
dalle loro strutture.
L’attenuante che le reali intenzioni fossero di fornire
un parere sinceramente “obiettivo” non sminuisce il
fatto che ciò comunque avrebbe messo ingiustamente
in grave difficoltà il medico accusato che, in mancanza
di dati empirici a sostegno della sua difesa, si sarebbe
trovato probabilmente a soccombere nel contenzioso.
Questo bias valutativo è stato denominato “il fenomeno del lunedì mattina del quarterback”, che tradotto in termini cestistici a me molto più familiari del
fooball americano, potrebbe indicare la tendenza del
giocatore dopo la partita a ricordarsi più dei canestri
entrati che di quelli falliti con una falsa e migliore
rappresentazione della percentuale di realizzazione. Il
ritorno alla cruda realtà viene qui assicurato dall’obiettivo confronto con lo “scout” ed il “referto”, cioè
dalla sistematica registrazione dei dati prestazionali
più rilevanti di ogni giocatore nel corso della partita,
una specie di “cartella clinica” di gioco. Ma pure i golfisti professionisti credono di essere più bravi di quello che in realtà sono. Anch’essi, infatti, non sembrano
immuni da questo difetto mnesico visto che da uno
studio emerge un analogo ingiustificato ottimismo
sulle loro abilità: a fronte di un ritenuto 75% di 6foot putts (colpi ravvicinati in buca) l’attuale osservazione diretta ne indica solo il 55%.
Nello stesso modo uno studio ha dimostrato come i
medici di famiglia sovrastimano significativamente il
tempo dedicato ad educare i loro pazienti a migliori
stili di vita ed alla medicina preventiva5. Mentre i
laboratoristi sottostimano il tempo necessario a fornire
al Dipartimento di Emergenza il risultato dei markers
di lesione miocardica richiesti per i pazienti che si pre-
28 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
sentano con sospetto infarto. I clinici ritengono necessario un TAT (order-to-report Turn Around Time)
entro 45’, i laboratoristi sostengono come “ragionevole” un tempo di 60’, ma una verifica sul campo evidenzia che purtroppo nel 90% dei casi non si va sotto
i 90’6. Ne deriva che la descrizione della propria condotta risulta poco accurata rappresentando non tanto
quello che attualmente i medici fanno ma piuttosto
quello che vorrebbero fare.
Quindi, anche dei qualificati medici hanno la tendenza a ricordarsi più i casi in cui le prestazioni rientravano in uno standard ritenuto di riferimento o comunque accettabile mentre tendono a dimenticare e
rimuovere le volte in cui tale standard non è stato
rispettato. Nel complesso si trovano ad avere, come i
giocatori, una rappresentazione dei propri livelli prestazionali superiori a quelli concretamente assicurati.
Questi studi non portano certo a concludere che giocatori e medici sono deliberatamente falsi, ma piuttosto che tutti noi siamo affetti da un vizio di memoria
che tende a selezionare più i ricordi dei successi
rispetto agli insuccessi con una distorsione migliorativa della realtà. Tale inconsapevole meccanismo psicologico, posto a difesa del nostro livello di autostima,
può diventare evidentemente un problema quando
un medico viene chiamato ad esprimere un parere
sull’operato di un altro collega.
Invero, i trattamenti medici non sono classificabili
come singoli comportamenti che si conformano o si
scostano da uno standard, spesso non documentabile,
costruito retrospettivamente dal perito di turno, ma
piuttosto sono rappresentabili da una distribuzione di
comportamenti in risposta ad una varietà di circostanze mediche. Per lo scenario del caso descritto, ad ogni
possibile risposta può essere attribuita una frequenza
relativa sulla base di dati empirici, con la conseguenza
che la totalità dei comportamenti potrà essere rappresentata da una curva normale (Fig. 1). I comportamenti inusuali e verosimilmente inadeguati cadono al
di fuori della larga maggioranza della casistica studiata. E il quesito sulla negligenza dovrebbe rispondere
alla domanda: il comportamento sotto giudizio cade
entro o al di fuori della distribuzione dei trattamenti
medici che sono ordinariamente usati in casi simili,
cioè della majority practice? Il 5° percentile cade
fuori? Mah! Certamente non il 50° percentile!
Va però detto che non sempre abbiamo dei dati empirici di confronto che rappresentano “quello che abitualmente si fa”, e non tanto “quello che si dovrebbe
fare”. Nella maggior parte dei sistemi legali il medico
è obbligato ad usare l’esperienza, la conoscenza e la
diligenza ordinariamente usate in simili circostanze.
Quindi, il parametro di riferimento per la valutazione
della malpractice non dovrebbe essere l’ “optimal
care”, ma la “usual care”, cioè quel livello di performances realmente assicurato dai professionisti e dalle
strutture sanitarie in condizioni simili, concetto che
più si avvicina alla nostra “diligenza media”: lo “standard medio di riferimento” come scriminante tra la
prestazione diligente e quella al contrario indiligente.
Anche se è la “norma” e non la “media” il riferimento per stabilire lo standard delle cure, altrimenti si
potrebbe ingenerare confusione suggerendo che
metà dei casi sono trattati in modo negligente.
Evidenza empirica
2h 2,1
1,9
80’
Consenso
globale
45’
30
Tempo di
soministrazione
dell’AB
Negligenza
D1
D2
D3
Fig. 2 Diversa distribuzione dei comportamenti medici rispetto ad uno standard.
Nel caso presentato, la ricerca di letteratura specifica
aveva ugualmente individuato due lavori sull’argomento condotti presso centri universitari e che
confortavano il dato empirico trovato con una tempistica media più o meno sovrapponibile. Ma spesso
tale ricerca può essere infruttuosa oppure poco utilizzabile in quanto frequentemente si fa riferimento a
strutture accademiche che abitualmente si possono
permettere degli stardard non alla portata di chi
opera in condizioni ordinarie, magari in strutture
periferiche.
Pertanto, vi è il concreto rischio che, in mancanza di
studi empirici che vadano a rappresentare l’usual care
o il c.d. “customery standard” o “community standard”, il riferimento legale si orienti al gold standard
o comunque verso requisiti molto più restrittivi.
L’American Academy of Pediatrics, comprendendo
tale pericolo, propone di prendere in esame i motivi
più ricorrenti di lite legale per malpractice per condurre degli studi osservazionali in modo che gli eventuali expert witness, giudici e giurie, possano far riferimento a dei dati oggettivi predisposti dalla comunità scientifica e ricavati dalla registrazione reale dei
livelli prestazionali. La finalità è quella di adottare
una procedura che eviti che comportamenti prevalenti nella prassi medica possano esser considerati substandard ed i relativi medici outliers.
Ritornando al nostro pediatra del caso in discussione,
visti i dati empirici e della letteratura, lo possiamo
mandare tranquillamente assolto in quanto il suo
comportamento rientrava comunque nell’ambito
dello standard of care. Anche se ha concretamente
rischiato di vedere il suo operato censurato da
“sapienti” colleghi che invero non sono verosimilmente in grado di assicurare prestazioni migliori di lui.
Risolto questo problema, ora ne dobbiamo risolvere
un altro. Se immaginiamo dei tempi di trattamento
che si allontanano progressivamente oltre la media (2
ore), quando potremmo dire che i ritardi non sono
più accettabili e che vanno censurati? È infatti controverso di quanto la procedura possa variare rispetto
alla media o all’ideale. La Joint Commission, organizzazione americana di accreditamento delle strutture
sanitarie, utilizza la process variation come spia di
qualcosa che non va, cioè as a proxy for error. Ma non
è facile stabilire se lo scostamento, rispetto a quanto
indicato, sia ancora compatibile con lo standard delle
cure o sia sconfinato nell’errore. In definitiva, qual è
la variazione di processo ammessa?
Per situazioni estreme è evidente che risulterà facile
parlare di inaccettabile ritardo o di colpevoli omissioni, ma prima ci troveremo ad attraversare un’ampia
fascia di grigi senza un preciso cut off (Fig. 1). In questo ambito è verosimile che, chiunque sia chiamato ad
esprimersi (consulente tecnico, giudice, valutatore in
generale ecc.), possa orientarsi sia un senso che nell’altro secondo criteri soggettivi non proprio rigorosi.
Diversa sarà poi la condizione non solo a seconda
della media ma anche dell’ampiezza della distribuzione, cioè della variazione intorno alla media. Quanto più ristretta sarà, cioè quanto più i comportamenti dei sanitari si conformeranno a dei riferimenti
o comunque saranno omogenei, tanto più rischiosa
ed incerta sarà la situazione del medico (D2 e D3 di
Fig. 2) che oltrepassa tale media7.
Siamo passati quindi a rappresentare un altro aspetto
critico della valutazione dei trattamenti sanitari
rispetto ad uno standard delle cure che ne riduce
ulteriormente l’affidabilità. Ciò è probabilmente una
delle cause dello scarso accordo agreement tra i revisori8 che, nei principali studi sugli eventi avversi in
corso di ospedalizzazione, si sono trovati a dover
esprimere un giudizio circa la dipendenza di questi
più da errori nei trattamenti medici (eventi avversi
evitabili) piuttosto che dalle malattie sottostanti.
Le liti legali incentrate su un preteso ritardo nella diagnosi e/o terapia sono ricorrenti. Nella nostra casistica
ricordo la contestazione del ritardo in occasione della
rottura di un aneurisma dell’aorta, della trombosi di
un’arteria poplitea, di una rottura splenica, di un’erniazione compressiva di un disco cervicale ecc. … solo
per riportare alcuni esempi.
Tale impostazione vale per qualsiasi concetto quantificabile come appunto il tempo (es. tempi di trasporto
di un paziente) o altro dato quantitativo numerico
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 29
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Fig. 1 Tempi medi di latenza prima della
somministrazione di ampicillina nella
diagnosi di meningite.
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The Monday morning
quarterback phenomenon
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(es. PCO 2 richiedente l’intubazione oppure valore
della bilirubina richiedente la exsanguino trasfusione).
Ma si prestano ad essere rappresentati e sottoposti
allo stesso tipo di analisi anche aspetti qualitativi dei
comportamenti dei medici, come ad es. la somministrazione prenatale di corticosteroidi. In un’altro lavoro di L. Meadow9 dall’esplicativo titolo Statistics, non
memories, le effettive determinazioni della frequenza
dell’uso prenatale di corticosteroidi sulle madri a
rischio di parto pretermine, come risulta dalla letteratura specifica nel corso degli 1985-2000, sono state
comparate con una un’inchiesta sul riferito uso degli
stessi da parte di 302 ostetrici operanti nel medesimo
periodo sulla base della loro esperienza. Lo studio è
stato deliberatamente disegnato per chiedere agli
ostetrici circa il loro comportamento in un singolo
idealizzato caso, analogamente all’opinione che verrebbe richiesta ad un perito per un caso di allegata
negligenza. Anche in questo caso la ricerca era stata
sollecitata dalla contestazione dell’operato di un ostetrico che negli anni ’90 non aveva somministrato i corticosteroidi ad una donna di 28 settimane di gestazione che partorì un bambino di 0,9 kg con importanti
sequele della sindrome da distress respiratorio (RDS).
Il consulente dell’accusa sosteneva, probabilmente
basandosi sulla propria esperienza e memoria, che la
somministrazione era dovuta in quanto rappresentava lo standard of care, mentre quello della difesa
affermava che solo una minoranza li usava “ordinariamente in simili circostanze”. Quest’ultimo, però,
poteva contare, a rinforzo di quanto sostenuto, su
articoli pubblicati che descrivevano l’esperienza di
migliaia di donne nei primi anni ’90 che si trovarono
in simili condizioni. Ebbene, la percentuale complessiva di queste che ricevettero i corticosteroidi si aggirava intorno al 20%.
Dallo studio emerse che tale pratica negli anni è andata costantemente aumentando (8-75%) ma che l’opinione degli ostetrici sovrastimava di molto, in ogni
periodo, il loro reale uso, proprio e dei loro colleghi.
Ancora, la discrepanza viene spiegata con il fatto che
i ricordi in via retrospettiva spesso sono inesatti, falsificati però da errori che non si distribuiscono in modo
random, in un senso o nell’altro, ma sistematicamente
in modo asimmetrico verso risultati che, ex-post, sono
considerati più appropriati.
Quando vengono richiesti eventi relativi al passato la
tendenza è di sovrastimare piccoli numeri, nella specie le poche volte in cui è stato rispettato lo standard
desiderabile, e di sottostimare ampi numeri, cioè
tutte le altre volte in cui ciò non è avvenuto.
Tale fenomeno, ampiamente noto da decenni altrove
(psicologia, scienze sociali ecc.) e supportato da una
vasta letteratura relativa alle ricerche sulla memoria,
non sembra sufficientemente riconosciuto come problema nell’attuale sistema legale. Poiché ostetrici come
questi sono anche potenzialmente nominabili come
consulenti tecnici per esprimere un parere “obiettivo”
in casi simili, appare verosimile che la loro testimonianza circa “la prassi ordinaria in simili circostanze”, se
basata sui ricordi della propria personale esperienza e
non su una fedele documentazione della pratica medica, possa condurre a rilevanti errori valutativi.
30 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
Evidenza empirica
Caos completo
D1
120 m
D2
D3
Fig. 3 Diversa distribuzione dei comportamenti medici rispetto ad uno standard.
Ovviamente, non tutte le liti legali vengono alimentate da controversie che, basandosi sulla deviazione da
uno standard, potrebbero essere risolte dalla proattiva disponibilità di data-base per la determinazione
dei comportamenti dei medici. Nessun contributo
metodologico, infatti, potrebbe essere fornito in caso
di problematiche relative alla mancata diagnosi o al
nesso di causalità tra danno ed errore. Inoltre, quando gli studi pubblicati riportano dati da centri multipli
spesso descrivono un ampio spettro di comportamenti
intorno ad un valore medio, in particolare se mancano standard condivisi; ne deriva un eccessivo margine
di incertezza attorno ad ogni punto stimato che
rende problematico determinare dall’analisi statistica
lo standard delle cure per un singolo caso (Fig. 3).
Cosa ne pensano gli avvocati di questo? La maggior
parte non ha competenze di analisi dei dati e sono
particolarmente sospettosi circa le loro fonti e le
modalità in cui vengono ricavati. Per loro natura non
si mostrano particolarmente entusiasti, anzi manifestano un certo scetticismo verso qualcosa che comunque contribuirebbe a dare una certa rigidità alle loro
mutevoli valutazioni. Tutto ciò che è “statistica” risulta poco flessibile e quindi meno manipolabile per le
loro esigenze fisiologicamente strumentali alla parte
che servono. Se in un caso questo potrebbe dare un
contributo a sostenere la loro tesi difensiva/accusatoria, cosa succederebbe al “cliente” del prossimo caso
se si dovesse trovare in una situazione difficile rispetto a questi dati obiettivi?
Il giudice, salvo casi particolari, come l’amputazione
dell’arto sbagliato o la dimenticanza di garze in addome, non può sapere qual è il livello prestazionale
ordinariamente assicurato dai medici e di conseguenza per questa valutazione deve fare affidamento sul
consulente tecnico nominato. Il consulente tecnico, a
sua volta, tende a rappresentare lo standard della
pratica medica sulla base del riflesso della propria
esperienza. Ad esso non vengono date istruzioni
aggiuntive riguardo a specifiche modalità con cui
deve tradurre la sua esperienza, conoscenza e preparazione in un parere. Pertanto, può anche presumere
che gli venga richiesto di ricordare come lui o i suoi
qualificati e diligenti colleghi abitualmente si compor-
reali performances dei medici piuttosto che sulle soggettive opinioni di esperti. La fallace memoria di singoli esperti rappresenta una fonte di gran lunga meno
attendibile di tali dati per quanto approssimativi. La
diffusione di tale modo di vedere delle organizzazioni
medico-scientifiche, integrata con la proattiva pubblicazione di studi sulla reale distribuzione della pratica
medica nei potenziali scenari delle più ricorrenti problematiche cliniche in tema di malpractice, potrà sensibilmente migliorare la razionalità e l’attendibilità dei
pareri resi dai consulenti tecnici a fini di giustizia.
Bibliografia
LA PRATICA
Valutare lo standard delle cure
●
La “normale” pratica medica, cioè la prassi ordinaria in condizioni simili, risulta
spesso decisiva per stabilire lo standard delle cure di rilevanza giuridica.
● Nella determinazione dello standard of care, il sistema legale deve contare su dati
statistici relativi alle reali performances dei medici e non sui personali ricordi dell’
“esperto” di turno.
● Le memorie di un singolo esperto sono sicuramente più fallaci della descrizione statistica della prassi medica.
● La diffusione dell’uso di dati statistici, quando disponibili, può sicuramente migliorare l’affidabilità e la razionalità delle valutazioni dei consulenti tecnici nell’ambito
della responsabilità professionale.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 31
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Obstet Gynecol 2003; 102: 356-362.
DECISIONE E RESPONSABILITÀ
tavano in simili circostanze, e concordemente testimoniare.
Indubbiamente, i dati ricavati dalla letteratura medica
sono spesso disordinati e la metanalisi è complicata,
per cui risulta difficile importare questi strumenti di
valutazione all’interno delle aule di giustizia per la
scarsa comprensibilità ad avvocati e giudici. Va
comunque fatto ogni ragionevole sforzo per spiegare
con entusiasmo come tali dati vengono ricavati ed il
loro reale valore e significato, ma anche i loro riconosciuti limiti, la loro relativa accuratezza ed i loro margini di incertezza. E questo perché l’alternativa risulta
semplicemente inaccettabile: affidarsi ai ricordi sicuramente inaccurati di singoli “esperti” in assenza di
alcun rigore metodologico richiesto per le analisi
scientifiche.
Rimane il problema se i medici hanno l’obbligo giuridico di fornire prestazioni che sono “ordinariamente”
assicurate nelle “stesse o simili circostanze” oppure se
devono conformarsi a più desiderabili standard, cioè a
livelli prestazionali che si ritiene “devono” essere forniti in tali circostanze, indipendentemente dalla reale
prassi: rilevando quindi non cosa i medici abitualmente fanno, ma cosa un medico diligente avrebbe dovuto fare. In questa seconda visione la “normale” pratica medica non risulterebbe certo decisiva per stabilire
lo standard delle cure di rilevanza giuridica.
Nella diverse realtà l’autorità legale oscilla più o meno
consapevolmente tra questi due orientamenti, anche
se prevale come standard di riferimento l’usual care.
Tuttavia, anche qualora ritenesse di discostarsi, come
criterio valutativo, dallo standard della pratica ordinaria, è indubbiamente desiderabile che lo faccia sulla
base di una accurata e non fantasiosa conoscenza di
cosa realmente la pratica ordinaria è.
Per cui si ritiene che, nel determinare lo standard delle
cure che il medico deve assicurare nell’erogazione
delle proprie prestazioni, il sistema legale debba sempre contare, quando possibile e comunque molto di
più di quanto attualmente fa, su dati statistici delle
PRIMA E DOPO
La profilassi anti-tetanica in
Pronto Soccorso
Marco Ricca*°, Massimo Rega°, Carolina Prevaldi▲
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*I Scuola di Specializzazione in Medicina Interna, Università di Torino
°SC medicina d’Urgenza e DEA, ASO Santa Croce e Carle, Cuneo
▲U.O. Pronto Soccorso/Accettazione San Donà di Piave - Jesolo (VE), AULSS 10 - Veneto Orientale
Il tetano è una grave malattia conosciuta sin dall’antichità. Venne descritto per la prima volta da Ippocrate,
si dovette comunque aspettare la fine del XIX secolo
per lo sviluppo di un modello sperimentale, grazie
agli studi di Carle, e l’identificazione del suo agente
eziologico, ad opera di Kitasato. Come noto il tetano
è accompagnato da elevata mortalità ed è responsabile di circa un milione di morti all’anno in tutto il
mondo (colpendo prevalentemente i Paesi in via di
sviluppo). Tuttavia, grazie all’ampia disponibilità (ed
efficacia) della vaccinazione, la sua attuale incidenza
nei Paesi “occidentali” è per fortuna bassa (secondo i
dati forniti dal Ministero della Salute in Italia 0,2
casi/100.000 abitanti negli anni ‘90, con una mortalità
complessiva del 39%; nel 2006 in totale si sono verificati 64 casi di tetano in tutto il territorio nazionale),
tanto da rendere molto difficile (ma non impossibile)
per un medico “l’incontro” durante la sua vita lavorativa con un paziente affetto da questa patologia. Tale
rarità è alla base di frequenti atteggiamenti diagnostico-terapeutici errati da parte del medico, dettati
forse da una falsa sensazione di conoscenza (e “familiarità”) della malattia: basti pensare che, secondo
uno studio del 20041, solamente il 57% dei pazienti
che si reca in Pronto Soccorso per una ferita riceve
una profilassi verso il tetano adeguata (nel 35% dei
casi viene omessa la somministrazione di vaccino e/o
immunoglobuline, mentre nell’8% dei pazienti vengono praticate misure profilattiche in eccesso). Infatti,
l’incontro da parte dei medici (in particolare coloro
che operano nei servizi di Emergenza ed Accettazione) con il tetano è pressoché quotidiano, in quanto
essi affrontano spesso situazioni potenzialmente evolutive (ad esempio le ferite) trovandosi in questo
modo a rivestire una duplice funzione: sia quella “clinica” (profilassi del tetano in paziente infortunato)
che “preventiva” (adeguata diffusione della vaccinazione in soggetti a rischio)2.
un bacillo Gram positivo, anaerobio obbligato, il
Clostridium tetani. Questo germe tuttavia, è presente sotto forma di spora (resistente al caldo, alla normale tensione atmosferica di ossigeno, ai comuni
antisettici) in maniera ubiquitaria nel suolo e nelle
feci di molti animali (uomo compreso). Qualora la
spora venga a trovarsi nelle condizioni idonee (calore, assenza di ossigeno, come ad esempio in caso di
contaminazione di una ferita con terriccio) essa germina determinando quindi la crescita batterica e la
conseguente produzione di tossine (tetanolisina, i
cui effetti non sono noti, e tetanospasmina). Quest’ultima si lega ai nervi periferici e sfruttando il trasporto assonale raggiunge per via retrograda il sistema nervoso centrale (SNC) e si localizza principalmente a livello pre-sinaptico, ove interferisce (con
un legame irreversibile) principalmente con il rilascio
del GABA. Il blocco del rilascio del GABA, importante neurotrasmettitore inibitorio, e la conseguente
disinibizione dei neuroni motori (e di alcuni neuroni
del sistema nervoso autonomo) determina quindi
importanti spasmi muscolari ed instabilità autonomica, cioè le più importanti manifestazioni cliniche del
tetano2,3.
Va ricordato come la gravità della patologia correli in
maniera inversamente proporzionale con la durata
del periodo di incubazione (che va da 1-2 giorni sino
ad oltre un mese; nella maggior parte dei casi oscilla
dai 7 ai 14 giorni).
L’irreversibilità del legame della tetanospasmina con
le proteine sinaptiche rende conto del fatto che la
guarigione implica la sintesi di nuove proteine, e pertanto i primi miglioramenti nei pazienti affetti da
tetano iniziano a manifestarsi solamente a due-tre
settimane di distanza dall’esordio.
Fisiopatologia
Il tetano è una malattia infettiva (non contagiosa)
causata da una tossina (tetanospasmina) prodotta da
●
32 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
PRIMA
Caso n. 1: donna di 79 anni; in anamnesi ipertensione arteriosa in terapia con ACE-inibitori e diabete mellito tipo 2 in terapia insulinica multi-inietti-
LA LETTERATURA
Ricorrendo alle linee guida internazionali ed alle raccomandazioni più autorevoli presenti in letteratura4-8,
secondo lo schema ormai abituale, cerchiamo di
affrontare le problematiche relative a tale argomento
secondo le domande che più frequentemente ci
poniamo di fronte ai pazienti.
Esistono delle condizioni cliniche che “mimano”
il tetano e con il quale devono entrare in diagnosi differenziale?
Sono poche le patologie che entrano nella diagnostica differenziale con il tetano.
Il trisma può presentarsi in caso di ascessi peritonsillari
od odontogeni, condizioni prontamente identificabili
grazie all’anamnesi e l’obiettività.
L’avvelenamento da stricnina può determinare una
sintomatologia del tutto sovrapponibile al tetano.
L’ipocalcemia è una causa di tetania; i test di laboratorio ne permettono un rapido riconoscimento.
Altre condizioni cliniche che spesso si accompagnano
a spasmi muscolari diffusi (comizialità, encefalopatie
ecc.) sono accompagnate da alterazioni dello stato di
coscienza, come avviene anche nella sindrome maligna da neurolettici (spesso associata anche a febbre).
Qualche problema può insorgere nelle fasi iniziali del
tetano cefalico. Esso, infatti, avendo una predilezione
per il VII nervo cranico spesso viene scambiato con la
paralisi di Bell; tuttavia la comparsa di spasmi muscolari e trisma nel decorso rendono più agevole il corretto inquadramento diagnostico.
Allo stesso modo è difficile riconoscere il tetano neonatale nelle sue fasi iniziali, in cui prevalgono sintomi
aspecifici (sonnolenza, irritabilità, perdita dell’appetito), comuni a molte altre patologie frequenti durante
l’età evolutiva; anche in questo caso la comparsa di
spasmi muscolari generalizzati rende chiara la diagnosi.
Quale iter diagnostico-terapeutico va impostato
nei pazienti con tetano?
La diagnosi di tetano è squisitamente clinica, non
essendo disponibili al momento attuale test di laboratorio o altre metodiche in grado di confermare od
escludere tale ipotesi. La ricerca del C. tetani mediante coltura di materiale proveniente da ferite
risulta positiva in appena il 30% dei casi. A livello laboratoristico, è possibile determinare il titolo degli
anticorpi rivolti contro la tossina tetanica (con la
metodica ELISA): un valore pari a 0,01 U/ml (in vivo) o
0,15 U/ml (in vitro) viene considerato protettivo, rendendo poco probabile (ma non impossibile) la diagnosi di tetano (vedi anche punto l). Tuttavia, i tempi
tecnici necessari per ottenere gli esiti di tali esami
(titolo anticorpale ed esame colturale) sono comunque incompatibili con la necessità di un rapido avvio
delle manovre terapeutiche.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 33
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Qual è la presentazione clinica del tetano? Quali
complicanze caratterizzano il decorso della
malattia?
Classicamente il tetano si suddivide in quattro forme
cliniche, che dipendono dalla localizzazione e dall’estensione dei neuroni colpiti:
● generalizzato;
● localizzato;
● cefalico;
● neonatale.
Il tetano GENERALIZZATO rappresenta di gran lunga
la forma più comune (80% dei casi); esso (come si
intuisce dalla sua etimologia) è principalmente
caratterizzato dalla comparsa, dopo un periodo di
incubazione variabile (in media 8 giorni), di violente
contratture muscolari, assai dolorose, cui si associano
una spiccata instabilità autonomica (ipertensione/
ipotensione, diaforesi, aritmie cardiache, ipertermia). La coscienza non viene mai intaccata. Di norma
sono interessati, soprattutto all’esordio della malattia, i muscoli cervicali e del viso, con successiva estensione “discendente”. Pertanto di solito il paziente
giunge all’attenzione del medico lamentando inizialmente rigor nucale, trisma o disfagia. Le principali
complicanze che insorgono durante il decorso della
malattia sono di due ordini: derivanti dalle contratture (fratture, vertebrali e di ossa lunghe; insufficienza respiratoria da laringospasmo o ridotta compliance della parete toracica) o dall’instabilità autonomica (ipertensione labile, aritmie, infarto miocardico). Non vanno dimenticate le complicanze generali legate all’allettamento, tromboembolia polmonare in primis.
Usualmente la sintomatologia raggiunge il picco
durante la seconda settimana, per poi regredire gradatamente; tuttavia, una rigidità muscolare può persistere mesi dopo la risoluzione clinica della malattia.
Il tetano LOCALIZZATO è più raro (13% dei casi); in tal
caso vi è unicamente l’interessamento dei gruppi
muscolari prossimi alla lesione infetta.
Il tetano CEFALICO (6%) è una variante localizzata a
carico dei nervi cranici.
Il tetano NEONATALE colpisce i neonati intorno alla
prima settimana di vita; l’infezione deriva principalmente dal taglio del cordone ombelicale con strumenti non sterili e colpisce unicamente bambini nati da
madri non immunizzate (poiché l’immunizzazione
passiva per passaggio transplacentare delle immunoglobuline è efficace). Dati questi presupposti si capisce come esso sia una piaga che affligge pressoché
unicamente Paesi in via di sviluppo (basti pensare che
l’80% dei casi è raggruppato in 12 Paesi).
PRIMA E DOPO
●
va. Si presenta in DEA con una ferita da morso di
gatto alla gamba. Al medico che indaga lo stato
vaccinale riguardo al tetano riferisce che le pare di
essere stata sottoposta a vaccinazione circa 10 anni
prima, in concomitanza di evento che non ricorda.
Il medico opta per una somministrazione di tossoide tetanico e di immunoglobuline tetaniche.
Caso n. 2: uomo di 39 anni, senza precedenti
patologici di rilievo, giunge in DEA per una ferita
lacero-contusa alla mano occorsa sul lavoro (falegname). Ricorda di aver effettuato un “richiamo”
della vaccinazione antitetanica (già effettuata
regolarmente nell’età dello sviluppo) all’età di 32
anni, in occasione di un incidente stradale. Il medico decide di non praticare il richiamo vaccinale né
tantomeno somministrare le immunoglobuline
tetaniche.
PRIMA E DOPO
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Qual è il trattamento
Il trattamento è basato su alcuni punti:
● neutralizzazione della tetanospasmina circolante,
ad opera delle immunoglobuline tetaniche;
● rimozione dell’infezione e della conseguente produzione di tossina;
● antibiotici: di scelta metronidazolo (buona penetrazione in tessuti poco vascolarizzati/ascessi);
● attenta toeletta della ferita, con rimozione di
eventuali corpi estranei e di tessuti necrotici;
● interventi di supporto;
● benzodiazepine per il trattamento degli spasmi
(possono essere necessari dosaggi molto elevati: in
letteratura riportate somministrazioni di diazepam
sino a 3400 mg/die);
● dantrolene e baclofen (intratecale) se inefficacia
benzodiazepine;
● nei casi più gravi: miorilassanti (la succinilcolina va
impiegata solo nei primi giorni di malattia; in
seguito si rischia iperkaliemia, anche fatale) associati a ventilazione meccanica (preferibile tracheotomia);
● l’instabilità autonomica è molto difficile da trattare; la morfina ed il fentanil hanno dimostrato
discreta efficacia nel controllo dell’ipertensione e
della tachicardia; il magnesio può essere utile nel
controllo degli spasmi muscolari e dell’instabilità
autonomica;
● mantenere il paziente in luogo tranquillo e scuro,
minimizzando la mobilizzazione e le manovre
(anche i prelievi possono scatenare gli spasmi).
Non dimenticare in questi pazienti di avviare il ciclo
vaccinale, in quanto il tetano non conferisce immunità (infatti la quantità di tossina in grado di determinare la patologia è talmente piccola da non generare
di per sé la risposta del sistema immunitario e la produzione di anticorpi).
Trattandosi di malattia infettiva, non va dimenticato
l’obbligo di notifica all’autorità competente (D.M. 15
dicembre 1990, Classe I, Circolare n° 36 del 17 dicembre 1990).
Data la gravità della patologia e, soprattutto, la possibilità di una valida prevenzione mediante adeguate
manovre di profilassi (vaccino ed immunoglobuline
tetaniche, vedi oltre) appare chiaro come tutti gli
sforzi del medico debbano andare in quest’ultima
direzione.
Che tipo di vaccino è disponibile? Come va utilizzato?
Il primo vaccino, costituito dal tossoide tetanico
(cioè la tossina inattivata), data 1924. Il primo utilizzo “sistematico” (con ottimi risultati) fu tra i militari
che presero parte alla seconda guerra mondiale,
mentre nel dopoguerra la vaccinazione venne estesa
anche alla popolazione civile. Il vaccino attualmente
in uso è costituito da un tossoide (ottenuto tramite
in-attivazione della tossina mediante trattamento
con formaldeide) adsorbito (precipitazione con sali
di alluminio). Spesso i preparati contengono anche
altri antigeni: tossoide difterico e vaccino acellulare
della pertosse. Generalmente i preparati somministrati nel DEA sono combinazioni di vaccino antitetano e difterite, per adulti (Td) o per utilizzo
34 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
pediatrico (DT, contenente all’incirca la stessa quantità di tossoide tetanico ma 3-4 volte in più la quantità di tossoide difterico). Nei soggetti di età superiore ai 7 anni andrebbe somministrata sempre la formulazione da adulti (Td).
In un soggetto mai vaccinato (si ricorda che in Italia dal
1968 vige l’obbligo di vaccinare per il tetano i nuovi
nati) un ciclo vaccinale completo (costituito da 4 somministrazioni di vaccino se avviato prima dei 7 anni di
età, o 3 somministrazioni se cominciato nei soggetti di
età superiore) conferisce un’immunità che raggiunge
praticamente il 100%. Vanno ricordate due cose:
● poiché il tasso anticorpale tende a ridursi con il
passare del tempo, è opportuno effettuare un
“richiamo” (somministrazione di dose booster) del
vaccino antitetanico (Td) ogni 10 anni; nel caso di
ciclo vaccinale in nuovo nato la prima dose booster
viene somministrata tra gli 11 ed i 15 anni;
● in caso di ferite a rischio (vedi oltre), per maggiore
sicurezza, viene consigliato un richiamo anche nei
soggetti vaccinati più di 5 anni prima.
La somministrazione di vaccino può determinare degli effetti collaterali?
Le reazioni avverse più frequenti sono di minima
importanza e senza conseguenze (eritema, edema,
dolenzia in sede di iniezione). Meno frequentemente
si può avere la persistenza per mesi di un nodulo in
sede di inoculazione. Raramente si manifestano sintomi sistemici quali febbricola, malessere, inappetenza.
Occasionalmente può aversi una reazione da ipersensibilità locale (tipo Arthus) caratterizzata da esteso
edema dolente della zona interessata dalla puntura
(insorgenza a 2-8 ore dalla vaccinazione). Verosimilmente tale reazione dipende da livelli molto elevati di
anticorpi anti-tossina tetanica, e nei soggetti nei quali
si è manifestata la dose booster andrebbe somministrata ad intervalli non inferiori di 10 anni.
Solo eccezionalmente si manifestano reazioni gravi
quali anafilassi o complicanze neurologiche (encefalopatia, sindrome di Guillain-Barré).
Esistono delle controindicazioni all’utilizzo del
vaccino?
Le uniche controindicazioni assolute sono rappresentate da precedenti episodi di anafilassi (o complicanze
neurologiche) conseguenti alla somministrazione di
vaccino antitetanico. Nel sospetto di anafilassi è opportuno ricorrere a valutazione allergologica mediante test cutanei.
La presenza di febbre o di una patologia acuta di
lieve entità non rappresenta invece controindicazione
alla vaccinazione con tossoide tetanico (e difterico).
Il primo trimestre di gravidanza veniva considerato
come controindicazione relativa all’utilizzo di vaccino
(potenzialmente teratogeno); tuttavia, in letteratura
non vi è nessuna evidenza di danno fetale in donne
che hanno ricevuto il vaccino durante i primi tre mesi
di età gestazionale.
Esistono dei pazienti che devo considerare a
rischio aumentato di tetano?
L’analisi dei dati epidemiologici disponibili in letteratura dimostra che il principale fattore di rischio è l’as-
Che ruolo rivestono le immunoglobuline tetaniche? Con che modalità vanno somministrate?
Come noto, la profilassi antitetanica si avvale sia del
tossoide tetanico che delle immunoglobuline (IG)
Tab. 1 Schema per la profilassi per il tetano da seguire nei pazienti con ferita. Modificato da: Hsu SS, The
Journal of Emerg Med 20012.
Ciclo vaccinale primario
Non completato
Completato,
data ultimo booster
Ferita “pulita”
< 5 anni
> 5 anni
> 10 anni
Ferita a rischio di tetano
Td
Td
TIG
SI
SI
SI
NO
NO
SI
NO
SI
SI
NO
NO
NO *
Td: tossoide tetanico (DTP o DT se età inferiore a 7 anni).
TIG: immunoglobuline tetaniche.
*Secondo le indicazioni ministeriali italiane (vedi testo) nel caso di ferite a rischio le IG vanno sempre somministrate qualora l’ultima
vaccinazione risalga ad oltre 10 anni prima.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 35
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Tutte le ferite sono a rischio di tetano? Possiamo identificare quelle a maggior rischio?
Sempre secondo i dati statunitensi del biennio 19982000, nel 73% dei casi di tetano è stato possibile riconoscere con esattezza un precedente trauma (od una
ferita).
Comunque, in una percentuale di malati che, a seconda delle casistiche, raggiunge l’8% non si riesce ad
identificare la “porta d’ingresso” della patologia.
Di gran lunga le ferite più frequentemente chiamate
in causa sono:
● da punta (50%); tra queste morsi di animali, punture di insetto, piercing, tatuaggi;
● lacere (33%).
Occasionalmente il tetano può insorgere da ulcere
croniche (diabete mellito), utilizzo endovenoso di
sostanze di abuso, ustioni, aborto, corpi estranei,
otite media, cure odontoiatriche.
Per quanto riguarda i luoghi, il 45% delle infezioni
avviene in casa (o comunque in strutture coperte),
mentre le attività di giardinaggio/agricoltura sono
responsabili del 31% dei casi.
Abitualmente, le ferite vengono classificate in base
alle loro caratteristiche e modalità di presentazione,
in ferite a rischio di tetano o non a rischio (pulite).
Ferite non a rischio:
● recenti (meno di 6 ore);
● superficiali (meno di 1 cm);
● pulite;
● lineari, con margini netti;
● senza lesioni vascolo-nervose;
● senza segni di infezione.
Ferite a rischio:
● non recenti (oltre 6 ore);
● profonde (oltre 1 cm);
● contaminate;
● lacere;
● margini necrotici/contusi;
● denervate e/o ischemiche;
● infette.
Secondo le direttive del Center for Disease Control di
Atlanta (CDC) e dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) questa classificazione, insieme allo stato
vaccinale del soggetto, fa da guida nella profilassi antitetanica e nell’applicazione dei vari presidi (utilizzo del vaccino e delle immunoglobuline) nel paziente con ferita.
In realtà, secondo le indicazioni di alcuni Autori, sarebbe più proficuo un approccio semplificato alla profilassi in cui tutte le ferite vengono considerate a rischio
tetano. Il razionale risiederebbe nel fatto che anche le
ferite chirurgiche (le ferite in assoluto più pulite) possono causare tetano. Tale approccio renderebbe più
agevole l’utilizzo delle immunoglobuline tetaniche,
che andrebbero somministrate in tutti i pazienti che
non hanno completato il ciclo vaccinale, e del tossoide
tetanico, da praticare nei soggetti con l’ultimo booster
eseguito oltre i 5 anni precedenti (Tab. 1).
PRIMA E DOPO
senza di immunizzazione: infatti il 72% delle vittime
di tetano (tra quelle con stato vaccinale noto) non ha
mai completato il ciclo di immunizzazione “primaria”
(o comunque non ha più ricevuto regolari booster
dopo aver completato il primo ciclo). Per questo motivo a rischio sono soprattutto gli anziani, in particolare
se di sesso femminile (non avendo compiuto il servizio
militare). Secondo i dati relativi alla realtà statunitense, nel 1998 la percentuale di soggetti di età tra 6 e 11
anni immune nei confronti del tetano si attestava al
91%, per crollare drasticamente al 31% nei soggetti
di età superiore a 70 anni. Se analizziamo i dati
riguardo al sesso femminile, vediamo che fino a 39
anni di età i soggetti immuni superano l’80%, per
scendere al 23% oltre i 60 anni di età. Basti ricordare
che il 70% dei casi di tetano (avvenuti tra il 1998 ed il
2000 negli USA) hanno riguardato soggetti ultraquarantenni.
Altre categorie a rischio sono rappresentate dai soggetti immunodepressi (infezioni da HIV, ipogammaglobulinemia, terapie con steroidi o farmaci immunomodulanti) e da coloro i quali fanno uso di sostanze
di abuso per via endovenosa.
PRIMA E DOPO
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tetaniche. Nel soggetto non immune nei confronti del
tetano, il tossoide da solo non è sufficiente in quanto
la produzione di anticorpi richiede un tempo variabile
(comunque al minimo di alcuni giorni) incompatibile
con le esigenze cliniche; in tal caso è fondamentale
ricorrere all’immunizzazione passiva tramite l’impiego
di IG, che sono in grado di neutralizzare immediatamente l’eventuale tossina circolante.
Le IG, essendo derivate dal plasma umano, presentano un potenziale rischio di trasmissione di malattie
infettive (la FDA statunitense non riporta nessun contagio noto di HBV, HCV od HIV attraverso IG) e la loro
somministrazione deve avvenire solo dopo raccolta di
consenso informato (cfr. D.M. 15 gennaio 1991, art.
19, DM 1° settembre 1995, art. 4).
I principali effetti collaterali sono di scarsa importanza:
dolenzia in sede di iniezione ed eventuale minimo rialzo termico; complicanze gravi quali la malattia da
siero o l’anafilassi sono molto rare, e venivano essenzialmente osservate solamente in caso di utilizzo di IG
di derivazione equina. Per conoscenza, nei Paesi in via
di sviluppo le IG utilizzate di norma sono a tutt’oggi di
origine equina (maggior disponibilità e minori costi).
L’utilizzo delle IG è indicato nei soggetti con ferita
(non necessariamente con caratteristiche “di rischio”)
che non hanno completato il ciclo vaccinale ed in caso
di tetano conclamato, con i seguenti dosaggi:
● profilassi: adulti 250 UI i.m. in singola somministrazione (500 UI in caso di ustioni estese od intervento
ritardato oltre le 24 ore); età pediatrica 250 UI;
● tetano conclamato: la dose ottimale non è definita; abitualmente si utilizzano dosi tra le 3000 e le
5000 UI in singola somministrazione, sebbene alcuni Autori (anche sulla base di uno studio clinico
retrospettivo del 1976) considerino efficace una
dose di 500 UI (va ricordato come ogni iniezione
sia uno stimolo potenziale per gli spasmi del
paziente, e che ogni siringa contiene 250 UI).
Data la potenza delle IG, esse vanno somministrate
con siringa e sede differenti (di solito arto controlaterale) rispetto al tossoide.
In assenza di IG eventualmente è possibile utilizzare
immunoglobuline endovenose (IG vena), che in parte
contengono anticorpi antitossina tetanica.
Controversa l’infiltrazione locale con IG a livello della
ferita, consigliata da alcune raccomandazioni. Infatti,
secondo alcuni Autori, la somministrazione intradermica di IG è irritante per i tessuti e va quindi evitata.
Sebbene non esistano chiare linee guida in merito, in
alcune categorie di soggetti “a rischio” (anziani, immunodepressi), è consigliato da molti Autori un approccio
più “liberale” ad un maggiore utilizzo delle IG.
Occorre sottolineare una discrepanza importante
riguardante l’utilizzo profilattico di IG tetaniche tra le
raccomandazioni statunitensi (CDC e principali associazioni mediche) e le indicazioni ministeriali italiane
(in particolare la “circolare Bindi” del 199616, a cui
dovremmo fare riferimento nella pratica quotidiana e
più in generale europee in Francia in primis). Infatti,
secondo queste ultime, le IG andrebbero comunque
sempre somministrate qualora il soggetto infortunato
abbia ricevuto l’ultima dose di vaccino oltre 10 anni,
indipendentemente dal fatto che abbia completato o
meno il ciclo vaccinale primario. Inoltre, nelle indica-
36 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
zioni italiane, è quantomeno “fumosa” la distinzione
tra ferite “a rischio” o “pulite”.
Come ci si deve comportare in caso di donna
gravida?
Nel trattare la donna in gravidanza l’obiettivo del
medico è quello di proteggere la donna dal tetano,
ma anche di prevenire il tetano neonatale e, soprattutto, di evitare trattamenti potenzialmente lesivi per
il feto. Fortunatamente, come detto in precedenza, il
vaccino Td è considerato sicuro per il feto. Non emergono infatti dalla letteratura dati riguardanti una
teratogenicità del tossoide tetanico (somministrato in
qualsiasi trimestre della gravidanza)9. L’ACIP (Advisory
Committee on Immunization Practice) e l’OMS stessi,
al fine di ampliare la copertura vaccinale nella popolazione e di ridurre il rischio di tetano neonatale, raccomandano la somministrazione di una dose di tossoide tetanico in tutte le donne in gravidanza che hanno
ricevuto la dose booster oltre 10 anni prima.
Viceversa, l’utilizzo delle immunoglobuline tetaniche
non è così ben documentato; essendo di origine
umana, in via teorica non dovrebbero danneggiare il
feto. Il loro utilizzo andrebbe quindi preso in considerazione nei casi previsti. Ovviamente non esiste alcuna
riserva sulla loro somministrazione a pazienti gravide
affette da tetano conclamato.
In estrema sintesi, come mi devo comportare di
fronte ad un paziente che si presenta per una
ferita?
Sinteticamente le raccomandazioni per il management di una ferita sono:
● adeguata pulizia/disinfezione della stessa ed eventuale allontanamento di corpi estranei o rimozione
di tessuti necrotici;
● cercare nella maniera più approfondita possibile di
conoscere lo stato vaccinale dell’infortunato;
● se la dose booster data oltre 10 anni (5 nel caso di
ferite “a rischio”) o non è nota l’anamnesi vaccinale somministrare una dose di tossoide tetanico;
● se il soggetto non ha eseguito un ciclo vaccinale
completo (3 somministrazioni) o lo stato vaccinale
è incerto andrebbero somministrate le IG (in teoria
indipendentemente dal tipo di ferita).
Come faccio a determinare con esattezza lo
stato vaccinale di un paziente? Esistono delle
metodiche che mi permettono di determinare lo
stato anticorpale di un individuo nei confronti
del tetano?
Dalla lettura dei paragrafi precedenti si evince come il
punto nodale della profilassi antitetanica nel paziente
con ferita sia quello relativo allo stato vaccinale, da
cui dipende la somministrazione di tossoide ma
soprattutto di IG. La somministrazione di queste ultime è infatti quella che ci preoccupa di più, vuoi per i
potenziali rischi infettivi vuoi per la “scomodità” di
dover ottenere un consenso informato. Infine, last
but not least, occorre non dimenticare che uno degli
obiettivi del medico deve essere quello di evitare trattamenti inutili al paziente (oltre che costosi sia in termini economici per il Sistema Sanitario Nazionale che
di tempo per gli operatori).
dose
1°
2°
3°
4°
5°
Età
3° mese
(DTP)
5°mese
(DTP)
11°-13°mese
(DTP)
5°-6°anno
(DTP)
11°-15°anno
(Tdap)
PRIMA E DOPO
Tab. 2 Ciclo vaccinale nei nuovi nati. Tratto da: Piano Nazionale Vaccini 2005-2007, Ministero della Salute10.
DTP: vaccino difto-tetanico-pertossico acellulare.
Tdap: vaccino difto-tetanico-pertossico acellulare per adulti.
Un approfondimento…il test
La metodica in questione si chiama Tetanos Quick
Stick® (TQS) ed è un test immunocromatografico per
la determinazione rapida degli anticorpi anti-tetano
in campioni di siero, plasma o sangue intero umano.
Si basa sull’utilizzo di un coniugato di tossoide tetanico ed oro in fase liquida e di tossoide tetanico fissato
su una base solida. Il presidio diagnostico è una piastrina contenente un pozzetto, una zona di controllo
(C) ed una zona test (T). Tre gocce di sangue o siero
devono essere deposte nel pozzetto, durante la corsa
il diluente diluisce i complessi tossoide-oro che, in presenza di anticorpi anti-tetano nel campione, formano
immunocomplessi. Questi reagiscono in seguito con i
tossoidi fissati sulla base determinando la colorazione
di una riga rosa. (Figg. 1 e 2).
Il test funziona in modo binario: un test positivo corrisponde ad un titolo anticorpale > 0,1 UI/ml nel siero,
considerato protettivo nei confronti di una ferita “a
rischio”, mentre il test è negativo quando il titolo
anticorpale è < 0,1 UI/ml.
Vari lavori, sia mono che multicentrici, effettuati nel
setting dell’emergenza hanno valutato l’affidabilità
del test, intesa come concordanza dei risultati rispetto
al gold standard Enzyme-Linked Immunosorbent
Assay (ELISA). Tutti hanno dimostrato una elevata
concordanza con il test di riferimento e caratteristiche
ottimali sia in termini di sensibilità che di specificità,
che si attestano rispettivamente intorno all’80% ed al
100%10,14.
L’elevata performance del test e la sua rapidità di esecuzione rendono ragione dell’interesse che esso può
avere in caso di profilassi non programmata, permettendo di superare i limiti diagnostici ben noti connessi
all’anamnesi del paziente ed alla impossibilità, in
urgenza, di effettuare test di laboratorio che richiedono più tempo.
DOPO
L’esistenza di un test rapido consente alcuni importanti cambiamenti nella gestione della profilassi del
tetano.
Nel caso di ferite a rischio (vedi sopra), quando il
paziente non sia in grado di produrre un certificato di
vaccinazione che dimostri che la vaccinazione è completa e aggiornata (nei nati prima del 1968), è auspicabile effettuare il test rapido TQS.
Precedentemente a questi pazienti, considerati ad elevato rischio di contrarre il tetano, si sarebbero dovute
somministrare, oltre ad una dose di vaccino, anche le
immunoglobuline. L’effettuazione del test consente di
discriminare i pazienti con test positivo, per i quali la
somministrazione di IG tetaniche non è indicata.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 37
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Al fine di valutare l’eventuale immunizzazione di un
paziente nei confronti del tetano si potrebbe ricorrere alla determinazione del titolo anticorpale, procedura costosa e lunga, quindi completamente inutile ai
fini della gestione pratica del paziente che si presenta
con una ferita in Pronto Soccorso (profilassi antitetanca non programmata). Si ricorre pertanto all’altra
“arma” disponibile, cioè quella dell’anamnesi.
Tuttavia, la raccolta anamnestica, anche approfondita, non è sempre in grado di fugare tutti i dubbi.
Infatti, mentre per la popolazione italiana di giovane
età è relativamente facile, poiché la vaccinazione per
il tetano in età infantile è obbligatoria dal 1968 e solitamente l’anamnesi è abbastanza puntuale, ciò non è
altrettanto vero per altre fasce di popolazione, come
per gli anziani (in particolare di sesso femminile).
Altro problema crescente è rappresentato dagli stranieri immigrati nel nostro Paese, dove alla mancata
conoscenza delle pratiche vaccinali locali spesso si
sommano difficoltà linguistiche e di interpretazione.
Da uno studio multicentrico effettuato in Italia risulta che
solo la metà dei medici (54%) riporta i dati sullo stato vaccinale del paziente e che una percentuale di gran lunga
inferiore aderisce alle linee guida ministeriali (1,5%, quasi
solamente nel caso dei pazienti più giovani)15.
Alcune linee guida basate sulle caratteristiche della
ferita e sui dati demografici del paziente (età, Paese
di nascita, ed età in cui il paziente è immigrato) sembrano avere una migliore correlazione con lo stato
immunitario del paziente rispetto al ricordo del
paziente stesso1,14.
A questo proposito occorre descrivere una interessante metodica che permettendoci di conoscere in pochi
minuti (meno di 10), con un semplice prelievo di sangue capillare, lo stato di immunizzazione di un soggetto nei confronti del tetano, è in grado di cambiare
significativamente il nostro modo di operare.
L’applicazione in urgenza e l’efficacia di tale metodica,
già oggetto di studi clinici11,12, ha addirittura portato
alla proposta di inserimento ufficiale della stessa all’interno del protocollo del Ministero della Sanità Francese per la profilassi antitetanica della ferita13, al fine di
implementarne l’utilizzo, nonostante il testo sia già
disponibile ed utilizzato in oltre il 40% del loro DEA.
PRIMA E DOPO
a
Correct blood volume
b
Dispense the total volume
of sample in the sample well
Add 3 drops of diluent
in the sample well
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Fig. 1 Esecuzione del test: il sangue è lasciato
cadere nel pozzetto (1) dove poi viene
aggiunto il diluente (2). (Per gentile
concessione di Diatest srl).
Un esempio di algoritmo operativo per l’utilizzo del
test è illustrato in tabella 3.
L’adozione del test consente infatti di integrare le
informazioni ottenute con l’intervista e di ottimizzare
l’offerta della profilassi antitetanica nei Pronto Soccorso in caso di ferita.
Per valutare il ruolo del test TQS nella scelta della profilassi antitetanica anche dal punto di vista di una
valutazione di costo-efficacia, alcuni Autori belgi
hanno effettuato un lavoro di verifica di efficacia,
mediante l’applicazione di un algoritmo decisionale
modificato. L’applicazione dell’algoritmo è stata valutata in uno studio randomizzato in doppio cieco multicentrico, che ha incluso 611 pazienti con ferite. Il
test veniva effettuato da personale infermieristico
prima della raccolta anamnestica e della conseguente
effettuazione della profilassi (basata sull’applicazione
della tabella ufficiale del ministero della salute belga
- Belgian Superior Health Council). Il medico che prescriveva la profilassi era ignaro del risultato del test.
Da questo studio emerge una prevalenza di pazienti
immuni del 74,1% ma con percentuali inferiori fra i
più anziani e le donne. Il test avrebbe migliorato la
gestione del 56,9% dei pazienti, evitando trattamenti
non necessari, portando alla riduzione del costo
medio per paziente da 11,34 euro/paziente, senza il
test, a 10,58 euro.
Il maggiore vantaggio si sarebbe ottenuto effettuando il test a pazienti di età inferiore a 61 anni, portando ad evitare trattamenti non necessari nel 76,9% dei
casi, con un costo medio per paziente di 8,31 euro.
L’integrazione di pochi dati demografici, facilmente e
rapidamente ottenibili, con l’effettuazione del test
consente di migliorare la valutazione dello stato
immunitario del paziente, evitando misure inadeguate e riducendo i costi.
38 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
Fig. 2 Principio TQS. Il diluente migra attraverso il supporto trascinando il tossoide
coniugato lungo la striscia cromatografica che forma un complesso con le IgG
presenti nel campione. Se la reazione è
positiva il complesso reagisce con il tossoide immobilizzato ed appare una
linea rosa nel settore T (a). Se gli anticorpi non sono presenti la zona T rimane bianca (b). Il resto del coniugato si
lega al reagente di controllo nella zona
C e la comparsa di una riga rosa in questa zona assicura la corretta esecuzione
della procedura. (Per gentile concessione di Diatest srl).
Tornando ai casi clinici…
●
●
Caso n. 1: nel caso in questione, l’utilizzo del Tetanus Quick Stick avrebbe permesso di testare con
precisione l’eventuale immunizzazione della
paziente nei confronti del tetano. In caso di positività del test sarebbe stato opportuno praticare unicamente una dose di tossoide tetanico, evitando
una somministrazione inutile (in questo caso) di IG.
Caso n. 2: il paziente ha eseguito un regolare ciclo
vaccinale primario, con successivi richiami, l’ultimo
circa 7 anni prima. Pertanto, trattandosi di ferita
“a rischio”, sarebbe stato indicato praticare dose
booster di tossoide tetanico (ultima praticata più di
5 anni prima), tralasciando comunque la somministrazione di IG.
Conclusioni
Attualmente l’unica prova accettata di immunità individuale verso il tetano è un titolo sierico di anticorpi
antitetano superiore a 0,1 UI /ml (misurato con meto-
Completare per ogni ferita
SI
NO
Ha il certificato di vaccinazione?*
Dati demografici:**
– nato in Paese in via di sviluppo ed emigrato dopo i 15 anni
– età > 65 anni
❑
❑
❑
❑
❑
❑
Sussiste il rischio tetano?***
1 MECCANISMO DI LESIONE
Morso di cane o animale, graffio
Ustione
Ferita cronica
Ferita da giardinaggio
Ferita da punta profonda
Corpo estraneo, difficoltà per la pulizia
Meccanismo ignoto, o impossibile da valutare
Altro
(nel dettaglio...):…………………………………………..
2. DA CONTATTO CON TERRA, FECI
3. DANNO AVVENUTO PIU’ DI 6 ORE PRIMA
❑
❑
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❑
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❑
❑
PRIMA E DOPO
Tab. 3 Protocollo che incorpora il risultato del test rapido per valutare la sieroprotezione dei pazienti (Modificato da: Elkharrat D, Médecine et maladies infectieuses 200512).
Se viene barrato un quadretto rosso → procedi con test rapido
Se il test risulta positivo. Il paziente è immune. No TIG, valutare Td
Modalità somministrazione:
TIG: IG tetaniche: 250 IU, im. Non dimenticare consenso informato (emoderivato)
Td: vaccinazione antitetanica (1 dose), im
* Se “SI” e vaccinazione in regola, no profilassi antitetanica, se “NO” continua
** Se “SI” ad almeno una delle 2 domande e nessun certificato di vaccinazione, considerare il paziente non
immune
*** Classificazione delle ferite:
a) ferite pulite, lineari, in contesto domestico, senza contatto con suolo non comportano rischio di tetano.
b) tutte le altre ferite, incluse (ma non solo) quelle contaminate da feci, suolo, saliva; i morsi di animali e
le punture di insetto; le lacerazioni; le ferite causate da armi da fuoco, incidenti stradali, ustioni o congelamenti. In tutte queste il rischio di tetano è presente (la distinzione in moderato ed alto rischio è
artificiosa).
do ELISA). Il test rapido è un metodo altamente specifico per valutare se il paziente a rischio possiede o
meno l’immunità. L’integrazione del test con le linee
guida vigenti consente di migliorare l’appropriatezza
nella profilassi antitetanica non programmata, ed è
risultato essere cost-effective.
Bibliografia
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With Tetanus Prophylaxis Practices Among Emergency Department Patients Presenting With Wounds. Ann Emerg Med 2004;
43: 305-314.
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4. Centers for Disease Control and Prevention. Preventing Tetanus, Diphtheria, and Pertussis Among Adults: Use of Tetanus
Toxoid, Reduced Diphtheria Toxoid and Acellular Pertussis Vaccine. Recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) and Recommendation of ACIP, supported
by the Healthcare Infection Control Practices Advisory Committee (HICPAC), for Use of Tdap Among Health-Care Personnel.
MMWR 2006; 55(RR-17).
5. Rhee P et al. Tetanus and Trauma: A Review and Recommendations. J Trauma 2005; 58:1082-1088.
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2009. MMWR 2009; 57(53): Q-1-Q-4.
7. Recommended Immunization Schedules for Persons Aged 0
Through 18 Years. United States, 2009. MMWR 2009; 57(51&52):
Q-1-Q-4.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 39
MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE
Se il test risulta negativo. TIG e richiamo Td*
PRIMA E DOPO
MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT NON FOTOCOPIARE O DISTRIBUIRE ELETTRONICAMENTE SENZA L’AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’EDITORE
8. Tetano. Tratto da “Novità in Urgenza analisi della letteratura,
divulgazione scientifica e organizzazione”; SIMEU Emilia-Romagna e Marche, 64/2007.
9. Prevention of Pertussis, Tetanus, and Diphtheria Among Pregnant and Postpartum Women and Their Infants. MMWR 2008;
57(Early Release): 1-47.
9. Ministero della Salute. Piano Nazionale Vaccini 2005-2007.
10. Colombet I et al. Diagnosis of Tetanus Immunization Status:
Multicenter Assessment of a Rapid Biological Test. Clin and
Diagn Lab Imm 2005, pp. 1057-1062.
11. Stubbe M et al. Improving tetanus prophylaxis in the emergency department: a prospective, double-blind cost-effectiveness study. Emerg Med J 2007; 24(9): 648-653.
40 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
12. Elkharrat D et al. Intégration d’un test rapide dans l’algorithme ministériel actuel pour affiner la prophylaxie antitétanique proposée aux blessés vus dans les services d’urgences.
Médecine et maladies infectieuses 2005; 35: 323-328.
14. Elkharrat D et al. Validation of a rapid test to predict tetanus
immunity in patients presenting with wounds in an emergency
department: a prospective concordance study of 1018 patients.
European Journal of Emergency Medicine 2005 ;12 (4):207.
15. Abbate R, Angelillo IF and The Collaborative Working Group.
Appropriate tetanus prophylaxis practices in patients attending
Emergency Departments in Italy. 2008; 26: 3634-3639.
16. Circolare n.16 Prot. I.400.2/19/6367 del 11.11.96 Tetano: misure di profilassi.
Giovanna Esposito1*, Rosalba Ferrante2, Luciano Iovino3,
Salvatore Sforza1, Antonietta Sica1*, Ferdinando De Falco4
1PS
Ospedale Umberto I, Nocera Inferiore-ASL/SA, *Gruppo Medicina di Genere del CPO-ASL/SA per SPES
118 ASL/SA
3Medicina Interna Ospedale Martiri del Villa Malta Sarno-ASL/SA
4PS Ospedale Tortora, Pagani-ASL/SA
2Servizio
delle donne sono più elastiche ed hanno maggiore
quantità di surfactante.
Nell’adolescenza, sotto l’azione del testosterone, l’apparato respiratorio maschile continua a crescere nella
componente muscolare e delle vie aeree, anche quando l’altezza è stabile, diventando un determinante dei
volumi che da questa età e a crescita stabilizzata sono
più grandi nell’uomo (CVF e CPT maggiori rispetto alle
donne e quindi VR/CPT più basso rispetto alle donne).
Durante l’età fertile, nella donna l’estradiolo determina fluttuazioni cicliche della secrezione mucosale,
della produzione di prostaglandine e della densità di
β1 e β2 recettori nel polmone, mentre il progesterone
stimola l’iperventilazione.
Nell’età adulta e durante l’invecchiamento si realizza
una diminuzione della forza di retrazione elastica e dei
flussi massimi espiratori con una chiusura delle vie
aeree a volumi polmonari maggiori, modificazioni che
cominciano già all’età di trenta anni ed accelerano
dopo i 50 anni, più tardivamente e più lentamente
nella donna. In gravidanza, l’utero spinge in alto il diaframma, aumenta il diametro traverso del torace, con
polmoni più accorciati e più slargati; diminuisce il volume residuo e il volume di riserva espiratoria e quindi la
capacità funzionale residua; il volume corrente aumenta invece considerevolmente (30%) come risultato di
un aumento del drive ventilatorio sotto l’azione del
progesterone; i flussi al contrario non cambiano. Ancora in gravidanza gli estrogeni sostengono i cambiamenti mucosali: aumento di acqua nei tessuti, edema
per aumento di acido ialuronico, congestione dei capillari, iperplasia/ ipertrofia delle ghiandole; il progesterone altera la propriocezione dei muscoli della gabbia
toracica, provocando una sensazione di dispnea anche
quando i test di funzionalità sono nella norma3,4.
Gli studi sulle differenze legate al sesso per le allergie
IgE mediate segnalano livelli più bassi di IgE totali
nella donna rispetto all’uomo, le differenze per le IgE
allergene-specifiche sono invece meno evidenti e
legate alle variazioni ambientali5; le donne hanno
rispetto agli uomini una maggiore prevalenza in iperreattività bronchiale6.
Dall’interazione tra gender e sesso vedremo scaturire
di volta in volta la diversità nelle malattie dell’apparato respiratorio fino alla maggiore suscettibilità nella
donna agli agenti cancerogeni.
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 41
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Il gender inteso come ruolo sociale (lavoro, famiglia,
politica, religione, abitudini, attitudini e sentimenti)
trova la massima espressione come determinante di
salute proprio nell’ambito delle malattie respiratorie;
lo dimostra l’aumento nell’incidenza del cancro del
polmone e della BPCO che si è avuto nella popolazione femminile con l’industrializzazione e l’emancipazione. Cambia infatti il ruolo della donna nella
società, esposta ora agli inquinanti industriali e alla
dipendenza del fumo di sigaretta, invece che ai soli
prodotti delle pulizie domestiche, alle muffe e ai gas
delle cucine.
Tuttavia, ancora oggi la problematica è sottovalutata,
complici il pregiudizio radicato su vecchi dati epidemiologici (la donna non si ammala di BPCO) e le differenze di genere nella percezione ed interpretazione
dei sintomi da parte del paziente e dei medici (dispercezione). La dispnea è più frequentemente riferita
dalla donna ed è poco accettabile per l’uomo; d’altra
parte, la tosse, l’espettorazione ed il russare sono riferiti più comunemente dall’uomo e sono meno accettabili per la donna1.
Un recente studio sulle modalità di diagnosi della
BPCO indica che i medici la diagnosticano più frequentemente negli uomini rispetto alle donne se si
basano sull’analisi dei fattori di rischio (uomo = fumatore = BPCO) e sui dati clinici (BPCO = tosse ed espettorazione), mentre le differenze si annullano se si
basano su uno screening spirometrico2. Infine, nei
Paesi poveri, le donne aspettano per recarsi dal medico fino a quando la malattia non interferisce con la
gestione della famiglia; il ritardo aumenta se alla
malattia segue una condanna sociale come per la
tubercolosi.
Il sesso (cromosomi ed ormoni) comporta delle differenze nell’anatomia e nella funzione delle vie aeree,
del sistema immunitario, dei citocromi nell’uomo e
nella donna e nelle diverse età, risultando anch’esso
determinante di salute. Alla nascita e fino all’età
adulta, i polmoni della donna sono sempre più piccoli,
le vie aeree per larghezza e lunghezza sono però proporzionali al parenchima, con minori resistenze e
quindi tassi di flusso espiratorio forzato (FEF, FEV,
VEMS) sempre più elevati rispetto all’uomo, che ha
vie aeree più lunghe e più strette (disanapsi) per il
parenchima fino alla pubertà. Inoltre, le vie aeree
ARGOMENTO DELL’ANNO:
MEDICINA DI GENERE
Malattie polmonari e gender
ARGOMENTO DELL’ANNO:
MEDICINA DI GENERE
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BPCO
5a
La BPCO è la
causa di morte nel mondo con una
prevalenza variabile dal 5-6 al 10-11%, il che equivale
a 600 milioni di persone colpite. Entro il 2015/2020 è
atteso un incremento del 76% della prevalenza e
verosimilmente la BPCO sarà la 3a causa di morte e di
morbilità nel mondo, la 5a causa di DALYs (DisabilityAdjusted Life Years). In Italia le malattie dell’apparato
respiratorio rappresentano già la 3a causa di morte e
la BPCO è causa del 50% delle morti per malattie dell’apparato respiratorio. La prevalenza mondiale della
BPCO è di 9,4/1000 per gli uomini e di 7,33/1000 nelle
donne. Il Third National Health and Nutrition Examination Survey III conferma complessivamente i dati
OMS, ma mette in evidenzia che le differenze in termini di prevalenza sono minime quando si analizzano
sottoclassi di pazienti per abitudine al fumo. Attualmente la mortalità per BPCO è circa 2 volte superiore
negli uomini rispetto alle donne, la sopravvivenza a 5
anni dopo ospedalizzazione è più alta per le donne
(52%) che per gli uomini (36%): vi è comunque un
incremento della mortalità complessiva in entrambi i
sessi, ma stime prospettiche fanno ritenere che nelle
prossime decadi la mortalità femminile prevarrà su
quella maschile7-9.
Le donne infatti hanno vie aeree più piccole e più alti
livelli di IL-8, mediatore della risposta infiammatoria
nei fumatori; ne deriverà quindi un maggiore danno
rispetto agli uomini quando esposte alle particelle
inalate e al fumo, fattori di rischio più importanti per
la BPCO10. L’iperreattività bronchiale più frequente
nelle donne rappresenterebbe poi il determinante in
grado di indirizzare gli effetti del fumo e di una serie
di fattori di rischio (infezioni, inquinamento, esposizione professionale e domestica) verso lo sviluppo di
asma o BPCO, a seconda che coesista o no l’atopia.
Le donne affette da BPCO, a parità di limitazione al
flusso aereo, sono generalmente più giovani (di circa
8 anni), hanno minore comorbilità alla diagnosi ed
hanno una storia di minore esposizione al fumo di
sigaretta (packs/ year), a conferma della maggiore
sensibilità ai tossici inalati. Le donne affette da BPCO
sviluppano insufficienza respiratoria cronica più tardivamente, il BMI tende ad essere mediamente più
basso ma più stabile nel tempo rispetto agli uomini,
che nelle fasi terminali arrivano alla cachessia. La TC
multichannel ha rilevato che le donne presentano più
frequentemente il pattern radiologico definito come
airway predominant phenotype, caratterizzato da
assenza o scarse aree di enfisema con o senza ispessimento della parete bronchiale, mentre gli uomini
mostrano più spesso il pattern di emphysema predominant phenotype o mixed phenotype11.
Le donne non fumatrici presentano BPCO di grado
lieve, che insorge tardivamente, spesso correlata al
fumo passivo e/o all’esposizione ad inquinanti, mentre gli uomini non fumatori sviluppano più precocemente forme moderate o severe, che spesso rappresentano un’evoluzione di condizioni asmatiche. Il
fumo e la BPCO sono fattori di rischio indipendenti
per lo sviluppo di cancro del polmone; nelle donne
risulta confermata la correlazione fumo/cancro del
polmone, mentre non lo è quella BPCO/ cancro come
accade più frequentemente nell’uomo12.
42 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
Per quanto riguarda la terapia, la disassuefazione dal
fumo è l’intervento preventivo e terapeutico più efficace ed economicamente più vantaggioso per tutti ed
in particolare per le donne che ne traggono un maggiore miglioramento clinico-funzionale. Tuttavia, esse
smettono di fumare con maggiore difficoltà, perché
meno responsive ai surrogati della nicotina (maggiore
dipendenza per un maggior numero di recettori nicotinici), e presentano quindi più spesso i sintomi dell’astinenza (turbe dell’umore, bulimia o inappetenza,
scarsa concentrazione, insonnia), richiedendo antidepressivi ed ansiolitici sin dalle fasi iniziali ed un più
qualificato approccio psico-comportamentale. Le
donne presentano profili di broncoreversibilità
migliori quando trattate regolarmente con broncodilatatori (β2-stimolanti), piuttosto che con corticosteroidi per via inalatoria13, in relazione al fatto che la
flow limitation è accompagna più spesso all’iperreattività bronchiale e all’airway predominant phenotype.
Le donne necessitano più tardivamente di un approccio riabilitativo e manifestano i benefici in termini di
tolleranza allo sforzo precocemente.
Rimane controversa la questione della risposta all’ossigeno-terapia a lungo termine e le opzioni terapeutiche chirurgiche trovano prevalente indicazione nei
maschi in rapporto al quadro di emphysema predominant phenotype.
Asma
Secondo stime della Global Iniziative for Asthma
(GINA) ci sono nel mondo 300 milioni di persone che
soffrono di asma, una ogni 20, con una prevalenza
che varia tra l’1 e il 18%. La variabilità nella prevalenza rispecchia la suscettibilità genetica (atopia,
iperreattività bronchiale, sesso, obesità) e la sovrapposizione significativa di fattori socio-economici ed
ambientali. Una più alta prevalenza di asma nei
Paesi industrializzati rispetto a quelli in via di sviluppo, con una più alta prevalenza nelle popolazioni
più povere rispetto a quelle più ricche nelle nazioni
sviluppate, e una più alta prevalenza nelle popolazioni più ricche rispetto a quelle più povere nei Paesi
in via di sviluppo, riflettendo probabilmente differenze nello stile di vita, nella esposizione ad allergeni e nell’accesso alle cure. Una morte ogni 250 nel
mondo è dovuta ad asma, 15 i milioni di anni di vita
persi annualmente per asma (DALYs), l’1% del carico
totale legato alle malattie. Trenta milioni di asmatici
in Europa, 3 milioni in Italia14,15. Nella donna l’asma
assume caratteristiche diverse a seconda della età,
della fase del ciclo mestruale, dello stato di gravidanza o di menopausa, nonché del ruolo e dello
stato sociale.
La Figura 1 mostra la variazione della prevalenza dell’asma per fasce di età e sesso.
Nell’infanzia e fino all’adolescenza la prevalenza e
l’incidenza dell’asma è maggiore nei maschi, il sesso
maschile costituisce fattore di rischio per le IgE sempre più elevate e per il fenomeno della disanapsi, che
si annulla solo alla pubertà per l’azione del testosterone. Nella donna con la crescita si ha un’inversione
del rapporto diametro vie aeree/volume polmonare
che, insieme ad una maggiore prevalenza dell’iperre-
12%
10%
8%
Malattie autoimmunitarie
6%
4%
85+
75-84
65-74
55-64
45-54
25-44
18-24
18-44
5-9
10-17
0-4
0
5-17
2%
Età
Uomo
Donna
Fig. 1 Prevalenza dell’asma in base a età e
sesso (Fonte: NHRS).
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 43
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sponsività delle vie aeree e ad una maggiore prevalenza dell’obesità e della suscettibilità al fumo, rende
conto dell’aumento nei tassi di prevalenza e di incidenza dell’asma, sempre più elevati nella donna adulta. Gli ormoni e le loro fluttuazioni possono spiegare
altri aspetti dell’epidemiologia dell’asma. Dal 30 al
40% delle donne che soffrono di asma avverte un
peggioramento dei sintomi durante il ciclo mestruale:
10% durante la fase premestruale, 16% durante la
fase mestruale, 74% in tutte le fasi del ciclo. Nella
donna fertile gli estrogeni amplificano le risposte
cutanee agli allergeni, in particolare il 17-β-estradiolo
comporta un aumento della prostaglandina F2-a ad
azione broncocostrittiva e proinfiammatoria; il progesterone aumenta la responsività bronchiale e induce
una risposta T helper tipo-2 con una produzione di
interleuchina 4 in grado di attivare eosinofili e promuovere la produzione di IgE16. Un terzo delle donne
con asma in gravidanza riferisce miglioramento dei
sintomi, un terzo peggioramento dei sintomi, un
terzo nessuna variazione.
In gravidanza, il progesterone aumentato assicura
una risposta T helper tipo-2 più frequentemente associata ad asma ma anche a parità e gravidanza a termine, a differenza della risposta T helper tipo-1, di tipo
cellulare, tipica del rigetto e degli aborti17. In menopausa, il declino della funzione ovarica si associa ad
un aumento spontaneo di citochine come l’interleuchina-1, interleuchina-6 e fattore di crescita tumoralealfa, tipiche di una risposta T helper-118 con una diminuzione dell’asma rispetto alle donne più giovani e
nell’età avanzata rispetto ai maschi; tuttavia, non
mancano studi in cui la menopausa si associa a riacutizzazioni asmatiche o asma nuovo.
Nelle donne che non hanno storia di asma ma usano
contraccettivi il rischio di manifestare asma aumenta
del 60%, nelle donne asmatiche l’uso della pillola
contraccettiva invece riduce la sintomatologia. A
parità di picco di flusso le donne affette da asma
hanno migliore PO 2, sono più vecchie, lamentano
maggiore disabilità, hanno più accessi ai Dipartimenti
di Emergenza rispetto agli uomini.
Durante la menopausa, la carenza ormonale sposta il
potenziale del sistema immunitario sul versante
induttivo, complice anche il microchimerismo delle
gravidanze, con un aumento della risposta anticorpale che può risultare patologica fino alla comparsa di
malattie autoimmuni, appannaggio del sesso femminile. Alla stessa età nell’uomo si verifica invece un
declino nel numero e nelle funzioni di tutte le cellule
del sistema immunitario senza squilibri e/o con rari
casi di malattia autoimmune (solo la fascite eosinofila
e la policondrite sono più frequenti nell’uomo). Il polmone e la pleura sono frequentemente coinvolti nel
corso delle connettiviti/vasculiti ed anche in questo
campo possono essere uno “specchio” in grado di
riflettere patologie instauratesi altrove o con diffusione sistemica o possono essere “organo faro” in grado
di segnalare patologie prima ancora che siano state
diagnosticate. Molti sono i quadri patologici a carico
del polmone e della pleura, a volte con differenze di
genere.
Nell’artrite reumatoide l’interessamento polmonare
può rendersi evidente come versamento pleurico,
fibrosi interstiziale o noduli polmonari parenchimali
con rapporto F/M a favore di questi: 0,1/10, 1/2 e 1/2
rispettivamente, senza correlazione tra sviluppo di
interessamento polmonare e severità del quadro articolare che prevale invece nelle donne. Una malattia
polmonare interstiziale diffusa può essere dimostrata
radiologicamente in circa il 20% dei pazienti, la predominanza dei maschi con fibrosi polmonare in corso
di AR è addiritura più alta dei maschi con forma idiopatica. I test di funzionalità polmonare rivelano in
genere una sindrome disventilatoria di tipo restrittivo. Meno dell’1% dei pazienti con sclerosi sistemica
presenta inizialmente sintomi respiratori mentre più
del 60% dei pazienti con malattia stabilizzata lamenta dispnea.
I test di funzionalità polmonare mostrano una riduzione della CV e della capacità di diffusione anche in
assenza di segni radiologici o addirittura di sintomi di
interessamento polmonare, senza differenze tra i
sessi.
La morte avviene frequentemente per causa respiratoria: ipertensione polmonare, infezioni ed insufficienza dovuta a fibrosi diffusa. L’incidenza della fibrosi polmonare interstiziale varia dal 25% al 90% a
seconda dei criteri diagnostici adottati, nel 40% degli
sclerodermici può essere presente alla radiografia del
torace e si arriva al 100% nei preparati autoptici.
Le manifestazioni pleuropolmonari nel LES sono più
frequenti rispetto alle altre collagenopatie, 50-70%
dei pazienti ne sono colpiti anche se alla prima visita
solo il 5% dei pazienti presenta problemi respiratori.
Il versamento pleurico è presente nel 50% dei casi. Un
dolore toracico di tipo pleuritico può essere la manifestazione di esordio in circa il 40% dei casi. La malattia interstiziale ha una prevalenza del 3%, le polmoni-
ARGOMENTO DELL’ANNO:
MEDICINA DI GENERE
La relazione tra ormoni ed asma non è ancora chiara
in tutti i suoi aspetti; al momento i dati riguardano
studi insufficienti a volte contradditori o su colture
cellulari.
14%
ARGOMENTO DELL’ANNO:
MEDICINA DI GENERE
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ti acute e croniche del 5%, le disfunzioni del diaframma hanno una prevalenza del 18%, non meno importante il “polmone uremico” in corso di nefrite da
lupus.
Le pleuropericarditi e la malattia polmonare interstiziale prevalgono nei maschi anziani e con scarse
manifestazioni cutanee. La sindrome di Sjogren coinvolge regolarmente i polmoni; la prevalenza è del
30%, tenendo conto dei sintomi e dei segni radiologici. Frequente l’interessamento interstiziale con un’alveolite linfocitica (che rispecchia il processo linfocitico
degli altri organi) e l’alveolite a cellularità mista
(come nella FPI), non meno imporanti i versamenti
pleurici, pseudolinfoma, linfoma e vasculite. È presente una sindrome restrittiva e un’alterazione della diffusione in entrambi i sessi.
Le manifestazioni polmonari non mancano nella
poliomiosite e dermatomiosite e rappresentano causa
di morte nel 10% dei casi. Nelle vasculiti, dove tra l’altro si riduce il gap nella incidenza tra donne ed uomini, il polmone è l’organo protagonista, nella granulomatosi di Wegener i noduli e le emorragie sono più
frequenti nell’uomo, il restringimento tracheale nelle
donne19.
La linfangioleiomiomatosi non è una malattia autoimmunitaria ma come queste è una patologia genderassociata, colpisce esclusivamente le donne in età fertile, 1-2,6 individui per milione di abitanti e il polmone è l’organo bersaglio. La proliferazione delle cellule
muscolari lisce nel polmone comporta la perdita della
funzione polmonare, frequente lo pneumotorace.
Peggiora durante la gravidanza, la comparsa in menopausa è rara e quando osservata è legata a terapia
sostitutiva estrogenica. La terapia si basa sulla totale
soppressione dell’attività estrogenica (farmacologia o
chirurgica) associata o no alla somministrazione di
progesterone. Nelle paienti trapiantate da donatori
maschi si sono verificate recidive, suggerendo l’esistenza di fattori circolanti (ormoni o sostanze mitogene prodotte sotto l’azione degli estrogeni)20.
OSAS
La prevalenza nella popolazione generale della
Obstructive Sleep Apnea Sindrome (OSAS) varia dal 4
al 24% negli uomini e dal 2 al 9% nelle donne, a
seconda delle modalità diagnostiche, indice
apnea/ipopnea (AHI) > 5 con sintomo clinico di sonnolenza diurna o solo AHI > 521. Il rapporto M/F oggi
risulta di 3/1, molto lontano dal valore di 60/1 dei
tempi passati legato in parte al pregiudizio dei medici, che hanno sempre considerato l’OSAS malattia
maschile indagandola poco, in parte alla scarsa attenzione dell’uomo alle modalità del sonno della compagna, in parte alla presentazione clinica sempre più
sfumata nella donna.
Le donne riportano infatti più frequentemente rispetto agli uomini ipoapnee legate ad ostruzioni parziali
delle vie aeree superiori anziché apnee dovute ad
ostruzione complete, soffrono meno di sonnolenza
diurna, sono meno frequentemente russatrici. All’età
di 30 anni i russatori cronici sono il 23% degli uomini
e il 10% delle donne; a 40 anni salgono rispettivamente a 32 e 20%, a 60 anni l’incidenza dei roncopa-
44 Decidere in Medicina - Anno IX n. 5 ottobre 2009
tici cronici (vale a dire chi russa abitualmente) supera
abbondantemente il 50% della popolazione, con una
percentuale delle donne (52%) che si avvicina sorprendentemente a quella degli uomini (56%).
Le donne con OSAS soffrono più frequentemente,
rispetto agli uomini, di insonnia, depressione, ipotiroidismo, sindrome delle gambe senza riposo, incubi,
palpitazioni, sudorazioni notturne e allucinazioni22,23.
L’OSAS è più frequente in menopausa, la terapia sostitutiva ormonale ne migliora i sintomi. Nell’età fertile
è associata ad obesità, insulinoresistenza, diabete
tipo2 e a policistosi ovarica24,25.
In entrambi i sessi il principale fattore predisponente
all’OSAS rimane l’obesità con BMI > 29 kg/m2, seguito
dal collo corto e tozzo con circonferenza di 44 cm nei
maschi e 42 nella donna, di minore importanza le riniti, le ipertrofie adenoidotonsillari, le deviazioni del
setto e/o disostosi cranio facciali.
L’OSAS è un problema di salute pubblica con un
impatto socio-sanitario paragonabile a quello del
tabagismo. Essa impegna una parte importante delle
risorse finanziarie per la diagnosi e la terapia, che va
dalla riduzione del peso (dieta, bendaggio gastrico,
gastroplastica/bypass gastrico) alla ventilazione (CPAP,
BiPAP), alla chirurgia (palatofaringoplastica, avanzamento maxillo-mandibolare). Oltre ad essere una sindrome già di per sé stessa grave, è poi fattore di
rischio indipendente per malattie cardiache (aritmie,
ipertensione ed ischemia) e cerebrali (ischemie, disturbi dell’attenzione e dell’umore), è causa di incidenti
stradali, infortuni sul lavoro, scarsa produttività e
compromissione della vita di relazione26. Nella donna
gravida è fattore di rischio per ipertensione gestazionale, preeclampsia, basso peso alla nascita e basso
APGAR score nel neonato27,28.
Tutta la sintomatologia e le patologie associate all’OSAS
sono riconducibili alla desaturazione dell’emoglobina
che si viene a determinare con l’ostruzione al flusso
delle vie aeree superiori. La sleep apnea ricorre anche
nel 10-15% dei pazienti con BPCO, determinando la
cosiddetta Overlap Syndrome (OSAS + BPCO), in cui vi è
un’ipossiemia notturna più grave. L’OSAS aggrava gli
effetti della BPCO e ne accelera l’evoluzione.
Tumore del polmone
Negli anni ‘30 negli USA il tasso di mortalità per
tumore del polmone nella donna è di 2.5 casi per
100.000 donne, nel 1950 era di 5 per 100.000 donne,
nel 1990 aumenta di dodici volte, 30 per 100.000
donne. Nel 1996 il tasso di mortalità per tumore del
polmone supera quello del cancro della mammella
(25% versus 16% ai nostri giorni). Nel periodo 19501991 l’incidenza di tumore polmonare aumenta del
550% nelle donne e del 200% nell’uomo, il rapporto
maschi femmine passa da 7/1 a 2/1 (dati dell’American Cancer Society). Anche in alcuni paesi europei i
tassi di mortalità raddoppiano, passando dal 7,7 per
100.000 alla fine degli anni ‘50 a 14,3 per 100.000
negli anni ‘90. In Italia 6000 decessi per cancro del
polmone nel 1959, 30.955 nel 1994. Nel XXI secolo
35.000-40.000 casi ogni anno, con un 30% a carico
delle donne, il rapporto maschi femmine passa da 5/1
a 2,5/1 (dati ISTAT).
studi sulla misurazione dell’mRNA per il GRPR hanno
messo in evidenza maggiore espressione nelle donne
rispetto agli uomini in assenza di fumo e attivazione
più precoce e per livelli più bassi di esposizione nelle
donne fumatrici34.
Bibliografia
Anno IX n. 5 ottobre 2009 - Decidere in Medicina 45
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ARGOMENTO DELL’ANNO:
MEDICINA DI GENERE
Il primo picco nell’incidenza del cancro del polmone
prevalentemente a carico della popolazione maschile,
si ha negli anni ‘40 negli USA ed in Europa occidentale, come conseguenza dell’automazione della produzione di sigarette, avviata già durante la prima guerra
mondiale per garantire ai combattenti americani sigarette già confezionate (tempo di latenza del tumore
polmonare: 20 anni).
Le donne incominciano a fumare soprattutto durante
la seconda guerra mondiale superando nel 2000 la
popolazione maschile degli USA, che scende sotto il
30% (dati OMS).
Il fumo di sigaretta è la causa principale di tumore del
polmone per entrambi i sessi, il rischio è associato con
il numero di sigarette giornaliero e con la durata dell’abitudine, la relazione è più forte per le donne: per
40 pacchetti/anno OR 28 (95% CI, 15-52) contro OR 10
(95% CI, 6-16) per l’uomo29,30. I dati dell’OMS indicano
anche che il fumo passivo è responsabile di 20.000
morti all’anno per patologie cardiovascolari e di un
migliaio di morti all’anno per tumore del polmone in
non fumatori esposti (principalmente donne) in 15
Paesi europei. Più del 90% dei tumori polmonari nell’uomo e l’85-90% di quelli nella donna sono dovuti al
fumo; tuttavia, solo il 10% di tutti i fumatori sviluppa
una neoplasia ed un ulteriore 10% di casi di tumore
del polmone è riscontrato invece in non fumatori prevalentemente donne, suggerendo l’esistenza di una
suscettibilità genetica influenzata dal gender.
Il tumore del polmone quindi come risultato di un’interazione tra mutageni ambientali, endogeni (ormoni) e
DNA. Il citocromo P450 CYP1A1 si trova nel polmone
umano, è responsabile della trasformazione degli idrocarburi policiclici aromatici (benzopirene) a molecole
cancerogene come ad esempio il benzo-pirene-7,8-diol9,10-epossido che si lega irreversibilmente al DNA con
formazione di addotti, indicatori di esposizione a cancerogeni ma anche promotori di processi tumorali. L’espressione di CYP1A1 è maggiore nel tessuto polmonare non tumorale di fumatrici con tumore del polmone
rispetto ai maschi31; questa maggiore espressione correla con un aumento degli addotti, i soggetti con livelli
di addotti del DNA aumentati sviluppano tumore polmonare a dosi inferiori di fumo. Il glutatione-S-transferasi M1 è coinvolto nella detossificazione degli idrocarburi policiclici aromatici (stirene) e degli ossidi di etilene presenti nel fumo, una delezione omozigote per il
suo gene comporta un aumento dell’incidenza degli
addotti del DNA con gli idrocarburi e di mutagenicità.
Nella donne non fumatrici esposte a fumo passivo,
quelle che sviluppano il cancro del polmone sono più
frequentemente deficitarie di GSTM1. Mutazioni a
carico del proto-oncogene K-Ras (codone 12) sono
coinvolte nello sviluppo di adenocarcinoma del polmone solo nei fumatori e più frequentemente nelle
donne che nei maschi32. Una maggiore incidenza nelle
mutazioni del gene oncosoppressore p53 ed una più
elevata presenza di addotti sono stati trovati nelle
donne fumatrici con adenocarcinoma, anche per livelli
più bassi di sigarette rispetto agli uomini33.
L’attivazione del recettore per il Gastrin-Releasing Peptide nei tessuti polmonari umani è accompagnata da
una risposta proliferativa delle cellule bronchiali; il
gene per il GRPR è localizzato sul cromosoma X. Alcuni
ARGOMENTO DELL’ANNO:
MEDICINA DI GENERE
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