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REF TRIV - SCHEDA RICORSO TAR ED ESPOSTO rev ms 2
REFERENDUM TRIVELLE QUESTIONE DI QUORUM, QUESTIONE DI DEMOCRAZIA IL RICORSO AL TAR Radicali Italiani ha presentato ricorso al Tar per chiedere l’annullamento del Decreto di indizione del referendum popolare “sulle trivelle” – pubblicato sulla G.U. del 16 febbraio 2016, n. 38 – che ha convocato gli elettori per la data del 17 aprile 2016. Il Ricorso sarà discusso all’udienza del 13 aprile dalla sezione II bis del Tar Lazio, che potrebbe annullare l’indizione delle elezioni. La decisione sarà impugnata dal soccombente (noi o il governo) al Consiglio di Stato prima del 17 aprile. Con la sua condotta, in aperta violazione del dovere di neutralità cui è tenuto per le norme e gli standard democratici di diritto internazionale sottoscritti dall’Italia, il Governo ha determinato specifici pregiudizi sui diritti civili e politici di partecipazione dei singoli cittadini alla consultazione referendaria oltreché alla non alterazione degli esiti e della rilevanza dalla partecipazione medesima. Condotta «idonea a determinare un'effettiva menomazione dell'esercizio del diritto di voto referendario» (Corte costit., ordinanza n. 38/2008; in termini n. 198/2005 e 131/1997. In caso di eventuale esito negativo, l’Italia sarà portata in giudizio davanti al Comitato diritti umani dell’ONU per violazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Tra i firmatari del ricorso c’è anche, in qualità di cittadino elettore, Mario Staderini, il quale è parte lesa nel giudizio già pendente contro l’Italia presso il Comitato Onu per le violazioni ai diritti politici avvenute nel 2013 in occasione dei Referendum nazionali promossi da Radicali italiani. Le ragioni del ricorso VIOLAZIONE DI STANDARD INTERNAZIONALI Il Governo, nel fissare la data alla prima domenica possibile tra il 15 aprile e il 15 giugno, ha violato numerosi standard democratici internazionali in materia di elezioni e referendum, con riferimento: a) ai tempi delle consultazioni; b) alle informazioni da fornire ai cittadini; c) alla compiutezza della campagna referendaria; d) al dovere di neutralità del Governo. Il Governo avrebbe dovuto attenersi nell’individuare la data alle seguenti fonti del diritto: 1. il Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU del 1966 (ratificato con la legge 25 ottobre 1977, n. 881) 2. il “Codice di buona condotta sui referendum”, adottato, dalla Commissione di Venezia (Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) nel 2007 e fatto proprio dal Consiglio d’Europa, anche dal Governo italiano nell’ambito del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con la dichiarazione della riunione 1042 bis del 27 novembre 2008 con la quale ha invitato gli Stati Membri ad attenersi al Codice Individuando la data del voto nel 17 aprile, ovvero nella prima domenica utile nell’intervallo normativo, il Governo ha determinato: • la contrazione dei tempi di informazione dell’opinione pubblica, così riducendo le possibilità di partecipazione al voto referendario e quindi condizionandone l’esito; • la violazione del dovere di neutralità cui è tenuto, essendo parte in causa della campagna referendaria; • la negazione del complesso minimo di organizzazione e informazioni che i cittadini avrebbero dovuto avere, con largo anticipo, in ossequio agli standard democratici internazionali sottoscritti dal Governo italiano, , tra le quali, appunto, il ”Codice di buona condotta sui referendum”. Tale Codice precisa, tra l’altro, che il testo sottoposto a referendum, un rapporto esplicativo o del materiale imparziale da parte dei sostenitori e degli oppositori della proposta devono essere «pubblicati sulla gazzetta ufficiale largamente in anticipo rispetto alla data del voto» ed essere «inviati direttamente ai cittadini e ricevuti sufficientemente in anticipo rispetto alla data del voto» (art. 3.1.d.); Il Governo avrebbe dovuto preferire la data più distante possibile dall’indizione, di modo che l’anticipo fosse il più largo possibile. Tutto ciò avrebbe dovuto ragionevolmente far preferire una data a ridosso del termine ultimo del 15 giugno. RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO NELLA MANCANZA DI INFORMAZIONE (tanto meno l’informazione ha il tempo di diffondersi tanto più alto sarà il rischio di astensione) • Il margine temporale fissato tra la data di indizione del referendum (16 febbraio 2016) e quella di convocazione al voto (17 aprile 2016), di appena 62 giorni consente un intervallo troppo breve affinché il dibattito politico possa svolgersi compiutamente e sia resa un’informazione adeguata al compiuto svolgersi del processo democratico, in tal modo ledendo i diritti di ogni singolo elettore oltre che delle forze politiche che intendano impegnarsi nelle consultazioni; • tale soluzione è anche quella potenzialmente più adatta a scoraggiare la partecipazione al voto, o comunque a non favorirla, sia per la moltiplicazione in tempi ravvicinati delle scadenze di voto sia per la compressione del processo di formazione della volontà popolare; • nel fissare la data il Governo avrebbe dovuto considerare i tempi ordinariamente occorrenti per regolamentare in base alla l. n. 28/2000 la campagna referendaria radiotelevisiva, oltre che i passaggi successivi per l’attuazione di tale regolamentazione; • il Governo, se proprio avesse voluto contenere al massimo i tempi, avrebbe dovuto quantomeno informare le due istituzioni (Commissione di Vigilanza e Agcom) prima di fissare la data in modo che potessero avviare per tempo il procedimento di formazione dei regolamenti per il referendum in questione; • I regolamenti par condicio, che dovevano essere pronti già il giorno dell’indizione dei referendum, sono arrivati solamente venti giorni dopo il decreto, a causa della data scelta dal Governo; • la Commissione per la Vigilanza ha adottato il 4 marzo 2016 il suo regolamento per la RAI; l’Agcom, per le radiotelevisioni private, ha adottato il regolamento il 7 marzo 2016. Tali regolamenti sono intervenuti 20 giorni dopo l’indizione del referendum, ovvero quando era ormai trascorso più del 30% del tempo dedicabile alla campagna referendaria. Tant’è che le prime tribune referendarie organizzate dalla RAI si terranno il 29 marzo) – quando il 60% del tempo per la campagna referendaria sarà trascorso – e le tribune stesse saranno limitate, visto anche il poco tempo a disposizione. • Le Tribune politiche organizzate dalla RAI saranno seguite, considerando la somma degli spettatori di tutte le puntate, da pochi milioni di persone Tra le varie soluzioni possibili (15 aprile – 15 giugno), il Governo ha dunque scelto quella che maggiormente comprime il processo di corretta formazione della volontà popolare. VIOLAZIONE DEL DOVERE DI NEUTRALITA’ Il dovere di neutralità del Governo nell’organizzazione del voto referendario (art. I. 2.2. del Codice di buona condotta) è stato violato da: • conflitto di interesse politico: il referendum chiede abrogazione di una norma di cui il Governo è stato promotore, e che vede il Governo apertamente schierato per l’astensione o il voto negativo; • conflitto di interesse economico: il Governo ha economicamente interesse al fallimento del referendum perché è il principale azionista della principale impresa del settore e titolare dei titoli oggetto della consultazione, vale a dire E.N.I. Questo genere di “conflitti di interessi” c.d. “organizzativi” è ben noto nel diritto UE – esso impone, ad esempio, l’indipendenza delle funzioni di regolazione da quelle di esercizio dei diritti di azionista – e, nel caso specifico, avrebbe richiesto una condotta che neppure in astratto potesse far ipotizzare azioni per sfavorire la consultazione; • uso di fondi pubblici (circa 300 milioni) per favorire uno specifico esito (l’astensione e quindi il voto contrario) attraverso la scelta di non accorpare il voto con le elezioni amministrative in modo da “consentire che il quorum possa fallire” (Matteo Renzi, 20 marzo 2016, Ansa); • mancata consultazione del Comitato promotore rispetto alla scelta della data; • ripetute dichiarazioni di esponenti di Governo sull’inutilità del voto e sulla scelta astensionista. SULL’IMPOSSIBILITA’ DI ACCORPAMENTO CON LE AMMINISTRATIVE IL GOVERNO HA DICHIARATO IL FALSO Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno hanno sostenuto che la legge vieta l’accorpamento del referendum con le elezioni amministrative e che nel 2009 fu fatta un legge ad hoc per accorpare il referendum con le elezioni politiche. Falso: la legge non vieta alcunché e la legge del 2009 servì per far tenere i referendum il 21 giugno, ovvero oltre i termini stabiliti dalla legge del 1970 (entro il 15 giugno). In questo modo si scelto di determinare davvero lo spreco di risorse pubbliche che invece si vorrebbe addebitare al referendum, con l’aggravante del fine di determinare uno specifico risultato del referendum, ovvero il Governo ha speso 300 milioni per determinare l’astensione. CAMPAGNA DENIGRATORIA E STRATEGIA ASTENSIONISTA In questo contesto abbiamo assistito a una sorta di "campagna denigratoria" nei confronti del cosiddetto referendum sulle trivelle, che si è concretizzata in veri e propri inviti a "non andare alle urne". Il Governo ha posto in essere una serie di atti e di dichiarazioni che oggettivamente hanno l’effetto di indurre all’astensione. Lo ha fatto nell’ambito di una rivendicata strategia per il fallimento del quorum, esplicitata in più occasioni dal Premier che ha detto "si è scelto di dare la possibilità che fallisca il quorum" Ecco alcune inequivocabili dichiarazioni pubbliche del presidente del Consiglio: "Questa legge sulle trivelle l'ha fatta il Pd, e' evidente che spera che fallisca ma chi vuole andare a votare, scelga liberamente che cosa votare. Non stiamo con il fucile puntato. La linea e' sempre stata questa, no news. Ma a chi dice che non bisogna indicare il non voto, ricordo che al referendum del 2003 la Quercia disse di non andare a votare sull' art.18". (Così Matteo Renzi a "In Mezz'ora", 3 APR 2016; cfr. ANSA 2016-04-03 15:13 Trivelle: Renzi ribadisce non voto, ma ognuno scelga); "Non permetteremo mai, ne' a voi ne' a quelli più grandi di voi di dire che questa nostra ricostruzione della realtà" sul referendum sulle trivelle "serve a dire agli italiani 'andate a mare', perché il principio di far fallire un referendum "con l'astensione" il partito padre del nostro lo ha già più volte espresso. Andate a vedere le dichiarazioni dei leader del Partito democratico della sinistra nel 2003 sul referendum sull'articolo 18. Non fatevi prendere in giro...Questo referendum si fa in un giorno diverso dalle amministrative perché lo prevede la legge italiana, non perché lo abbiamo scelto noi. La legge prevede così perché il referendum ha bisogno di un quorum e si e' scelto che la possibilità di non arrivare al quorum vada garantita". (dichiarazione del Premier Matteo Renzi al congresso dei Giovani Democratici 20-MAR-16; cfr. ANSA); "Le Regioni che hanno fatto questo quesito sulle trivelle sono di centrosinistra e di centrodestra. E' il quesito di Zaia e Toti. Hanno chiesto che a un certo punto si dica basta. Per fare cosa? Non buttate 300 milioni per dare segnali. Pensate a quanti posti negli asili le regioni avrebbero potuto fare con quei soldi...". (Lo ha detto il premier Matteo Renzi al congresso dei Giovani democratici; fonte: ANSA| 2016-03-20 16:45 Trivelle: Renzi, 300mln Regioni era meglio usarli per asili); "Chiunque può fare quel che vuole ma non fatevi prendere in giro. E' un referendum - del tutto legittimo - per bloccare impianti che funzionano. Ma e' uno spreco e mette a rischio 10mila posti. I 300 milioni della consultazione le Regioni li potevano spendere per asili nido e non per dare un segnale. L'astensione? La promossero i Ds sull'articolo 18". (cfr. ANSA; 20-MAR-16 16:45 Renzi a minoranza Pd, stop beghe, domani facciamo conti Verdini? Nel 2013 Pd perse. Referendum spreco. Legge su primarie). L’invito a non presentarsi alle urne per il referendum del 17 aprile è stato esplicitamente espresso anche dal Viceministro allo Sviluppo Economico, Teresa Bellanova, che ha inequivocabilmente affermato in un’intervista rilasciata a l’Unità il 27 marzo 2016: “La cosa più saggia da fare il 17 aprile è non andare a votare” (in particolare la Bellanova, secondo quanto riportato dal sito www.unità.tv, si sarebbe così espressa: “Stiamo assistendo ad una campagna referendaria da parte dei sì fatta di slogan e demagogia, come se sul futuro energetico nazionale del nostro Paese si potesse parlare seminando terrore. Il Governo è impegnato a valorizzare le bellezze naturali, paesaggistiche, artistiche con misure che nessuno prima di noi ha preso prima. Se vogliamo far prevalere la ragione, la cosa più saggia da fare il 17 aprile è non andare a votare. Questa è la mia posizione e del mio partito, il Pd. E questo io farò”). ESPOSTO ALLA PROCURA PER INDUZIONE ALL’ASTENSIONE La condotta appena descritta potrebbe aver costituito reato penale. L’art. 98 del DPR 361/1957, il cosiddetto Testo Unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati), prevede come sia punibile "con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 600.000 a 4.000.000 di lire, il pubblico ufficiale e comunque chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile che, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera, fra l'altro, ad indurre gli elettori all'astensione"; l' art. 51 comma 2 della Legge numero 352 del 25/05/1970 contenente norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sull'iniziativa legislativa del popolo richiama espressamente la vigenza di questa norma in materia di referendum abrogativi. Sulla base di questa norma, il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Viceministro allo Sviluppo Economico, Teresa Bellanova, potrebbero aver commesso reato di induzione all’astensione. Per questo Radicali Italiani, nella persona del Segretario Riccardo Magi, ha deciso di presentare un esposto molto dettagliato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale penale di Roma. CONCLUSIONE Il quorum è oramai scomparso dalle democrazie occidentali e ritenuto antidemocratico dalla dottrina. Anche il Codice di buona condotta è contrario al quorum “ poiché assimila gli elettori che si astengono a quelli che votano no, Incoraggiare l’astensione o l’imposizione del punto di vista di una minoranza non è sensato per la democrazia (punto III.7.a). In Italia delle due l’una: o si supera il quorum per legge, cosa che Renzi nella riforma !55 ! costituzionale non ha fatto, oppure valgono le norme di legge che impongono al Governo il dovere di essere neutrale e di non indurre all’astensione. Le azioni giuridiche dei Radicali hanno obiettivo di fare chiarezza su quali regole vigono davvero, e se avremo risposte negative allora bisognerà cambiare regole attuali, perché non è democratico che in presenza di quorum il Governo sia libero di scegliere la data a suo arbitrio e usare il suo potere per indurre all’astensione. Ufficio stampa Radicali Italiani tel. 349 0916848