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Arlecchino - notstudio soluzioni grafiche
Piccolo Teatro Studio 15 aprile - 10 maggio 2009 Goldoni Strehler Arlecchino servitore di due padroni Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica “Arlecchino” un viaggio lungo 62 anni Arlecchino servitore di due padroni 41nazioni Le tournée nella stagione 2008/2009 300 Quito - Ecuador Festival Internacional de Teatro Experimental 25 e 26 settembre 2008 città in Italia e nel mondo 2600 recite dal 1947 ad oggi Mosca - Russia Teatro Maly, 21/26 ottobre 2008 Udine - Italia Teatro Nuovo Giovanni da Udine 19/22 novembre 2008 Adana - Turchia Sabanci International Adana Theater Festival 11 e 12 aprile 2009 Brindisi - Italia Fondazione Nuovo Teatro “G. Verdi” 13 e 14 maggio 2009 Tokyo - Giappone Setagaya Public Theatre, 3/5 luglio 2009 di Carlo Goldoni regia Giorgio Strehler messa in scena da Ferruccio Soleri con la collaborazione di Stefano de Luca scene Ezio Frigerio costumi Franca Squarciapino musiche Fiorenzo Carpi movimenti mimici Marise Flach luci Gerardo Modica maschere Amleto e Donato Sartori Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Fondazione Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa Stagione 2008/09 62a dalla fondazione Soci Fondatori Comune di Milano Regione Lombardia Provincia di Milano Socio Sostenitore Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Milano Consiglio Generale Letizia Moratti Sindaco di Milano Roberto Formigoni Presidente Regione Lombardia Filippo Penati Presidente Provincia di Milano Consiglio d’Amministrazione Claudio Alberto Risé Presidente Consiglieri Pierluigi Crola Luca Doninelli Andrea Margheri Giuseppe Nanni Federica Olivares Antonio Pastore Collegio dei Revisori dei Conti Marco Arisi Rota Presidente Revisori dei Conti Francesco Tundo Ugo Zanello Direttore Sergio Escobar Direttore Artistico Luca Ronconi Fiumi di parole hanno raccontato la storia di un evento teatrale unico, uno spettacolo che andò in scena la prima volta nel luglio del 1947 e che, da allora, ha girato il mondo ed è stato visto in Paesi di lingua e cultura diversissime e lontanissime dalle nostre. Qual è il “segreto” di Arlecchino? Per quale motivo continua, inesorabilmente, a farci ridere - e non solo - anche se ne conosciamo a memoria le battute? Perché ha attraversato le generazioni? Tante le risposte possibili: l’infinita umanità di cui questo testo e lo spettacolo di Strehler sono intrisi, il fatto che parli di un poveraccio che mette a frutto l’ingegno per riuscire a mangiare due volte e che, allo stesso tempo, guarda e “giudica” una società in cambiamento. Ma è, soprattutto, la testimonianza di un percorso artistico, poetico, estetico di Strehler. Le tante edizioni che si sono susseguite restituiscono il senso di un viaggio che, partendo da Goldoni, si lega intimamente all’”altro” autore di Strehler: Mozart. Quanto Don Giovanni vive nell’ultima edizione di Arlecchino, soprattutto nei finali, ma anche quante Nozze di Figaro e ancora quanta nostalgia per le “passioni non più possibili” del Così fan tutte. Il “primo” e l’ultimo spettacolo: lo spettacolo della vita ma anche della passione teatrale, che si opponeva - e continua ad opporsi oggi, oltre lui - alla banalità. L’Arlecchino di Strehler è la messa in scena del testo di Goldoni, certo, ma porta evidente in sé il segno di Totò, di Eduardo, di de Sica… Nel continuo lavoro con Strehler, sera dopo sera, due artisti sono stati presenze indispensabili per l’Arlecchino e lo sono più che mai oggi, dopo la sua morte: Ezio Frigerio, scenografo dello spettacolo dal 1956 fino all’edizione che oggi vedete sulla scena, e Ferruccio Soleri, dal 1963 interprete del ruolo di protagonista. Quello tra Strehler e Frigerio è stato un incontro scintillante, sia per i temperamenti degli uomini, sia, soprattutto, per la qualità e la raffinatezza degli artisti. Ma vero protagonista di Arlecchino è Ferruccio Soleri, non solo perché erede della responsabilità registica ed artistica della compagnia, non solo perché ha fatto conoscere Arlecchino in tutto il mondo con oltre 2.300 recite, ma soprattutto perché, si tratti di Pechino o di un piccolo comune d’Italia, Ferruccio affronta il suo personaggio con rigore e professionalità come fosse la prima volta. Tempi alla deriva dell’improvvisazione e di banalità hanno bisogno di lui; noi tutti ne abbiamo bisogno. Buon lavoro, Ferruccio! Sergio Escobar Direttore Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa 5 Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Stagione 2008/2009 Piccolo Teatro Studio 15 aprile/10 maggio 2009 recita del 15 aprile dedicata a Collaboratori responsabili all’allestimento coordinamento tecnico e di produzione Alberto Benedetto direzione tecnica Marco Rossi scene realizzate dal Laboratorio di Scenografia “Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa assistenti alla direzione tecnica Marco Gilberti, Paolino Di Benedetto reparto costruzioni, carpenteria metallica, macchinisti Giorgio Armanni, Agostino Biallo, Armando Pitzoi, Marco Premoli, Alfredo Rivetta, Mario Scrocca, Angelo Superbi costruzioni Alberto Parisi scenografia Mauro Colliva direzione di scena Giuseppe Milani audio/video Rosario Calì reparto scenografia Nicolina Matilde Barravecchia, Barbara Gentilin, Michela Macroni, Emanuela Moroni, Simone Totaro capo macchinista Giuseppe Rossi capi elettricisti Mario Allievi, Claudio De Pace capo sarta Roberta Mangano sicurezza Michele Carminati direttore di scena Andrea Levi attrezzista Valentina Lepore primo macchinista Agostino Biallo primo elettricista Andrea Modica produzione Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa 6 costumi realizzati da Les Ateliers du Costume, Parigi e dalla Sartoria del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa reparto sartoria Chiara Angioletti, Alice Agrimonti, Donatella Carrafa, Marisa Cosenza, Cristina Di Gennaro, Vassiliki Giannopolu, Franca Pambianchi, Maria Potenza sarta Alice Agrimonti parrucchiera/truccatrice Monica Capitanio amministratore di compagnia Andrea Cortiana Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni regia Giorgio Strehler messa in scena da Ferruccio Soleri con la collaborazione di Stefano de Luca scene Ezio Frigerio costumi Franca Squarciapino luci Gerardo Modica musiche Fiorenzo Carpi movimenti mimici Marise Flach scenografa collaboratrice Leila Fteita maschere Amleto e Donato Sartori Personaggi Interpreti Interpreti (15-26 aprile) (27 aprile-10 maggio) Giorgio Bongiovanni Annamaria Rossano Tommaso Minniti Stefano Onofri Giorgia Senesi Giorgio Bongiovanni Giulia Valenti Tommaso Minniti Stefano Onofri Annamaria Rossano Stefano Guizzi Enrico Bonavera Alessandra Gigli Ferruccio Soleri Leonardo de Colle Enrico Bonavera Alessandra Gigli Ferruccio Soleri Francesco Cordella Francesco Cordella Matteo Romoli Giulia Valenti Giorgio Sangati Gianni Bobbio Franco Emaldi Paolo Mattei Francesco Mazzoleni Elisabetta Pasquinelli Giorgio Sangati Camilla Semino Favro Stefano Guizzi Gianni Bobbio Franco Emaldi Paolo Mattei Francesco Mazzoleni Elisabetta Pasquinelli Pantalone de’ Bisognosi Clarice, sua figlia il Dottor Lombardi Silvio, di lui figliolo Beatrice, torinese in abito da uomo sotto il nome di Federigo Rasponi Florindo Aretusi, di lei amante Brighella, locandiere Smeraldina, cameriera di Clarice Arlecchino, servitore di Beatrice, poi di Florindo un cameriere della locanda, un facchino camerieri suggeritore suonatori nelle recite pomeridiane alle ore 15 Arlecchino è Enrico Bonavera Brighella è Stefano Guizzi Florindo è Sergio Leone (aprile); Leonardo de Colle (maggio) Giorgio Sangati è il Suggeritore 7 GOLDONI E IL TEATRO di Giorgio Strehler Non è facile parlare di un teatrante così complesso com’è stato Goldoni e soprattutto parlare del teatro quando il teatro o si fa poco o non si fa del tutto. Una delle grandi difficoltà è che il teatro ha bisogno, per essere compreso davvero, di essere rappresentato. Il vero testo di un grande autore di teatro si vede e si riconosce solo nel momento della sua rappresentazione. E la rappresentazione pone il problema di scegliere come deve essere fatto l’allestimento. Infatti, noi che siamo degli interpreti, se rappresentiamo qualcosa in modo distorto o in modo fallace e del tutto personale, senza attenzione critica per il testo, o senza responsabilità, tradiamo la realtà di un testo. Certo, un testo lo possiamo sempre leggere, ma leggere è un’altra cosa: leggere il teatro non è come leggere il romanzo: la poesia, il romanzo, non richiedono l’incontro tra chi legge e la parola scritta; il teatro ha invece bisogno di un gruppo di intermediari. Necessita di oggetti, di spazi, di punti di appoggio, che possono essere porte, sedie, cose dipinte: dobbiamo definire uno spazio nel quale gli attori, le attrici, possano raccontarci non le loro storie, ma le storie di altri, in questo caso le storie di Goldoni. Insomma – lo si voglia o no – la rappresentazione teatrale è molto importante. Credo che una delle caratteristiche di Goldoni sia stata quella di avere chiarito bene il senso della teatralità, di cui era un servo devoto e alla quale sacrificò tutta la sua vita con notevole eroismo, e di aver chiarito ancora una volta che il teatro si fa a teatro. Per questo Goldoni non fu soltanto drammaturgo, non scrisse soltanto commedie che poi altri avrebbero rappresentato, ma visse tutta la propria vita stando nel teatro. La maggior parte dei lavori che Goldoni ha allestito erano suoi; se allestiva opere liriche, era autore del libretto. Ma il testo era sempre messo in scena da Goldoni in 9 GIORGIO STREHLER «L’Arlecchino è un fatto straordinario nella storia del teatro mondiale. Questo spettacolo ci ha accompagnato per tutta la vita, rinnovandosi volta per volta. Centinaia di attori lo hanno recitato. Ci sono degli spettatori che l’hanno visto nascere; poi, anni dopo, l’hanno visto rinascere; dopo altri, l’hanno riconosciuto in Italia o nel mondo […] Forse un grande libro avrebbe potuto essere scritto su questa storia: la storia di un solo spettacolo, ripetuto ma non ricopiato quasi all’infinito». Giorgio Strehler, 1997 10 GOLDONI E IL TEATRO persona, che lavorava con attori e con attrici di volta in volta diversi, a seconda del periodo della sua vita. Per questa ragione, tutto il teatro di Goldoni è anche la storia di lui uomo di teatro. Non era solo un uomo di lettere che a casa scriveva commedie e poi le dava da rappresentare a qualcun altro. È questa la figura duplice e complessa di Goldoni: Goldoni agiva così, scriveva e si rappresentava. Goldoni è un autore ancora molto poco conosciuto in Italia. Con Luchino Visconti abbiamo cercato di farlo amare di più; il problema fondamentale è, dopo tutto, quello dell’amore. Ai tempi della nostra gioventù, quando Visconti mise in scena La locandiera (2 ottobre 1952 Teatro La Fenice di Venezia, ndr), io avevo già realizzato Arlecchino servitore di due padroni, e mi stavo occupando della Trilogia della villeggiatura. Dire, in un teatro italiano, che si sarebbe rappresentata un’opera di Goldoni, significava ritrovarsi con il teatro vuoto. La nostra è stata una battaglia – per voi difficile da immaginare –, una battaglia violenta contro la tradizione della cattiva rappresentazione del teatro di Goldoni, che aveva portato questo straordinario autore lontano dal pubblico. Il pubblico non l’accettava allora, come in un certo senso oggi rifiuta Alfieri. Annunciare l’Oreste di Alfieri, ancora oggi, equivale a spaventare il pubblico, perché su Alfieri non è stata ancora portata a termine quell’opera di valorizzazione che noi siamo riusciti a fare su Goldoni. Abbiamo rappresentato come meglio potevamo un Goldoni diverso da quello che avevamo visto nella nostra infanzia; a poco a poco, attraverso un lungo lavoro, siamo riusciti a farlo accettare ed amare. Noi teatranti abbiamo puntato per primi i riflettori su Goldoni, sul suo teatro, sul modo di farlo e sulla sua complessità, ma anche sulla complessità dell’autore e sull’uomo. Abbiamo, in un certo senso, lavorato contro i luoghi comuni che lo dipingevano come un vecchietto arzillo e un po’ allegro, che scriveva delle commedie per far ridere la gente. Abbiamo creduto invece che Goldoni avesse profondità inconsuete, che dovevano essere scoperte. L’opera d’arte si fa arte nel momento in cui prende una forma concreta, come la verità è realmente tale quando la si conquista attraverso un duro lavoro di conoscenza. A volte può costare l’impegno di tutta una vita e non soltanto il lusso illusorio di qualche frase o di qualche ipotesi o di qualche giudizio lanciati come lustrini sullo specchio iridescente della cultura, con qualche volume, La casa natale di Carlo Goldoni, al 2794 di San Tomà. Nella pagina precedente, ritratto di Carlo Goldoni, pastello su carta, Museo Teatrale alla Scala. qualche gesto, qualcosa di bizzarro e di fuori dal comune, che in apparenza colpisce e affascina. Dietro a tutto questo, in realtà, non c’è che il vuoto, la morte. L’attitudine di Goldoni in rapporto al teatro non si risolse mai nel gettare lustrini sullo specchio della cultura. È per questo motivo che, a maggior ragione, trovo giusto parlarne, soprattutto in occasione del bicentenario della sua nascita e, soprattutto, ancora oggi che la sua figura di scrittore e di uomo di teatro continua ad essere avvolta da una sorta di pregiudizio, di incapacità, d’ignoranza, forse per la difficoltà di comprenderla per quello che è: Goldoni è uno dei più grandi scrittori del XVIII secolo, perché è un uomo di teatro; perché, allo stesso tempo, è un uomo di teatro, ma è anche al di là della teatralità… Il teatro, nel mondo della cultura italiana, non ha mai trovato il posto che gli spetterebbe, e, diciamolo pure, nonostante le eccezioni, resta ancor vera l’osservazione che proprio Goldoni fece tre secoli fa: ragazzo, entrando in una biblioteca, si accorse che troppi titoli di opere teatrali erano di autori stranieri. Dice Goldoni: «Si trovano raccolte del teatro francese, del teatro spagnolo, del teatro inglese, non si trovano raccolte del teatro italiano». Sulla precarietà del teatro italiano, sulla fondamentale incapacità di far diventare teatro la letteratura teatrale, Goldoni aveva una posizione di una chiarezza esemplare. Nella sua apparente semplicità, essa sottende tutta la sua opera, che a torto – e questa è forse una delle mancanze più gravi della critica italiana – viene considerata quasi sempre come un’opera di scrittura: in realtà è una complessa operazione totalizzante sulla teatralità del suo tempo e non solo. Investe le problematiche del teatro e dei suoi artifici, visti come un insieme di atti, parole, pratiche, che corrono tutte verso la rappresentazione, verso il teatro che si avvera sera per sera sui palcoscenici del mondo. Goldoni ha vissuto tutta la sua vita in queste dimensioni, considerando il teatro come evento necessario, accettandolo nella sua verità e nella sua estrema, folgorante incertezza, riconoscendolo come unico strumento labile ed altissimo per comunicare qualcosa della vita: teatro come parabola, teatro come parafrasi, come simbolo dell’umano e del destino dell’uomo, e dell’umano svolgersi. Ho scritto in questi ultimi tempi un testo drammatico tratto dai Mémoires, che spero, se le circostanze lo permetteranno, di mostrare al pubblico. È una specie di racconto, un racconto molto vero e molto inventato, dove non si sa 11 GIORGIO STREHLER «Goldoni, senza farlo vedere, appartenne ad un genere di uomini che compiono la loro storia con un estremo ordine interiore e che non volle restare prigioniero di ciò che era più comodo e più facile. Mai. In questo, solo in questo, mi sento a lui più vicino che a qualsiasi altro. E nel suo amore per il Teatro. Amore per questa piccola macchina di carta, così complessa, così fragile, in cui noi ci muoviamo, cercando di non guastarla, di non distruggerla, ma di farla volare in alto, il più in alto possibile, sulla punta delle nostre dita, con il battito dei nostri cuori». Giorgio Strehler, 6 febbraio 1993 (Bicentenario della morte di Carlo Goldoni) 12 GOLDONI E IL TEATRO mai se le cose siano andate proprio così come io le ho pensate, se siano storicamente e biograficamente esatte o si tratti semplicemente delle parafrasi, oppure dei pensieri. Penso che la biografia di un uomo d’arte si possa fare, non soltanto, però, attraverso la verità delle cose, quelle ineluttabili, ma anche con un atto d’amore e di invenzione. In questo lavoro racconto la vita di Goldoni ed il suo svolgersi. Il tono che ho pensato è un tono estremamente commovente, perché la vita di quest’uomo mi ha commosso non appena sono riuscito a superare l’immagine retorica che la scuola mi aveva dato. Di Carlo Goldoni, nato nel febbraio del 1707 da una famiglia borghese, abbiamo notizie apparentemente quasi solo attraverso i suoi Mémoires. Le sue lettere, alcune vere e proprie prefazioni alle commedie, certamente contribuiscono a completare l’immagine di Goldoni che, nonostante tutto, rimane un uomo molto segreto, pieno di pudori: lascia intorno a sé zone di mistero, che il lettore o colui che cerca di capire chi sia, deve un po’ decifrare e un po’ inventare sulle tracce lasciate. In realtà Goldoni fu un uomo estremamente tormentato, che condusse una continua e terribile lotta con se stesso. Credo avesse la civetteria di sembrare un uomo allegro, contento, molto saggio, ed abbia continuato ad alimentare la leggenda di essere nato senza piangere: «dice mia madre che io non piansi quando nacqui…» e incomincia così a raccontare fantasie. «Per me, in fondo, qualunque cosa mi capiti sono sempre calmo, imperturbabile e poi vado a dormire ogni sera tranquillo» – pausa – punto. Più avanti: «Fui assalito dai miei soliti vapori neri. Erano questi angosce e una sorta di impossibilità a muovermi: non potevo né mangiare, né scrivere, né leggere, restavo così sul letto…». E ancora: «Io ebbi sempre un animo gaio…». Non era vero. Era un uomo che aveva i suoi drammi come tutti gli altri. Ebbe la mania, inoltre, di far credere di essere un uomo molto fedele alla moglie e poco incline ad apprezzare le donne. Invece fu un grande amatore ed ebbe molte avventure. Comunque, Nicoletta, moglie fedele, che dovette subire molti torti, fu una compagna che seppe capirlo. E, infatti, in una lettera Goldoni scrisse: «Ella, con la sua bontà, con la sua semplicità, con la sua intelligenza, seppe sempre capire e tacere». Sono frasi agghiaccianti, queste. Ma credo che proprio questa coppia fosse estremamente moderna. Mi sembra importante anche ricordare che Goldoni non ha mai scritto il nome dei suoi nemici. Nei Mémoires dice: «E per La polemica Gozzi-Goldoni Alla fine degli anni Cinquanta del ‘700 divampa sui palcoscenici veneziani la polemica tra Carlo Gozzi e Carlo Goldoni. Due modi di leggere non solo il teatro, ma anche la vita e la politica veneziana si fronteggiano: al realismo goldoniano, aperto al nuovo e al progresso, si oppone il fermo tradizionalismo di Gozzi. Più che i numerosi scritti polemici, la risposta più compiuta al nemico Goldoni sono le dieci Fiabe teatrali (fra cui, L’amore delle tre melarance, Il corvo, Turandot). Rappresentate con enorme successo tra il 1761 e il 1765, esse si rifanno alla commedia dell’arte e alle fiabe popolari, ma sono al contempo – e malgrado le stesse idee reazionarie di Gozzi – ricche di nuovi fermenti, segno dell’avvicinarsi della nuova temperie irrazionalistica. quanto si attiene ai miei nemici, di essi non farò il nome». Non aggiunge però: «Perché son talmente indegni che io non voglio neanche immortalarli nei miei Mémoires con il loro nome!». Noi sappiamo che i suoi nemici avevano un volto, un nome e un cognome. Il suo sistema nervoso era molto teatrale, aveva molte debolezze. Era un po’ goloso, come lui stesso ammette e, forse, un grande giocatore. Nel ‘700 la gente giocava molto e, nel caso specifico, si diceva che Goldoni fosse uno scialacquatore e si fosse rovinato al gioco. Una cosa è certa: giocò molto, come giocavano molto tutti, soprattutto a Venezia nel ‘700. Ma se pensate che ha scritto duecento commedie mettendole in scena, non poteva avere il tempo di essere anche un grandissimo giocatore e di passare le notti al Casinò o al ridotto. Comunque, la chiave veramente importante per capire Goldoni è contenuta in una semplice frase, nel VI tomo delle edizioni Pasquali, cioè nel cuore delle sue memorie italiane, opera rimasta incompiuta: «Le due guide alla vita, io le ho studiate sui miei due libri: Mondo e Teatro». Credo che non ci sia una dichiarazione più chiara di un programma. Il mondo. Cos’è il mondo? La vita concreta. I rapporti fra le creature umane. L’esistenza di una coralità di azioni e di reazioni nel movimento incessante delle creature che lo popolano. La cosa più straordinaria è la ricchezza del suo cosmo: uomini, giovani, vecchi, di cui alcuni non tanto importanti, né sconvolgenti. Tutti insieme però, costituiscono una specie di cosmo meraviglioso della vita umana, con i suoi difetti, le sue cose belle, le tenerezze, le asprezze, le incapacità di capire, le capacità di capire, di amare, di non amare. Insomma, questo mondo variegato e diverso è “il mondo”. Naturalmente è il suo mondo, quello che ha vissuto, ha visto, e che non può essere racchiuso in una sola persona. In questo senso, nulla è più lontano da Molière di quanto non lo sia Goldoni. Molière è stato un genio che ha saputo darci alcuni caratteri fondamentali, immortali figure dell’avventura umana. Intorno a questi, altri personaggi che agiscono e che hanno qualcosa da dire. Ma in fondo l’avaro è l’avaro, come il misantropo è il misantropo e il malato immaginario non è altri che se stesso: poi vengono tutti gli altri. In Goldoni questo protagonista drammatico, tragico, comico, tragicomico, intorno al quale ruota un piccolo mondo, non esiste: c’è il mondo di tanti altri e in più il suo. Il teatro, per Goldoni, è un mezzo d’arte scelto per vocazione e vissuto implacabilmente come missione: la missione di 13 GIORGIO STREHLER «Dirò con ingenuità, che sebben non ho trascurata la lettura de’ più venerabili, e celebri autori, […] contuttociò i due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai d’essermi servito, furono il Mondo, e ‘l Teatro. Il primo mi mostra tanti, e poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale, che paion fatti apposta per somministrarmi abbondantissimi argomenti di graziose, ed istruttive commedie […]. Il secondo poi, il libro cioè del Teatro, mentre io lo vo maneggiando, mi fa conoscere con quali colori si debban rappresentar sulle scene i caratteri, le passioni, gli avvenimenti, che nel libro del Mondo si leggono; come si debba ombreggiarli per dar loro un maggiore rilievo, e quali sien quelle tinte, che più li rendon grati agli occhi dilicati de’ spettatori». (Dalla Prefazione a Le Commedie del Dottore Carlo Goldoni Avvocato veneto, edizione Bettinelli, 1750) 14 GOLDONI E IL TEATRO comunicare con il mondo attraverso il teatro e i suoi interpreti. Così Goldoni considera il suo destino di autore di teatro come quello di chi parla del mondo soltanto con il teatro e vive il teatro soltanto come parabola o parafrasi del mondo. Goldoni fu un autore di teatro, un letterato, uno che scriveva per il teatro e nel medesimo tempo faceva teatro. Le due cose andavano insieme. Nel mio adattamento dei Mémoires è presente una scena in cui la prima attrice chiede a Goldoni, «Ma chi te l’ha fatto fare di scrivere sedici commedie nuove in un anno?». Il racconto che Goldoni fa, e che risponde certamente alla realtà, spiega l’episodio. La compagnia che lui dirigeva recitava tutte le sere. Si andava in scena a Carnevale, poi c’erano le feste di Natale con la sospensione delle rappresentazioni, e quindi si ricominciava dal 15 gennaio fino alla fine del Carnevale successivo. In ogni stagione si recitavano sempre quattro, cinque commedie, tra nuove e vecchie. L’ultima commedia del 1749-50, L’erede fortunata, andò molto male. All’epoca, la gente fischiava a teatro e il pubblico era molto reattivo. In quell’occasione era giunta la notizia che Darbes (celebre attore italiano, 1710-1778, ndr), un suo compagno, grande Pantalone e amico intimo, se ne andava in Polonia. La partenza di questo Pantalone molto amato a Venezia e il fiasco della commedia portarono improvvisamente la compagnia di Medebach alla rovina: il teatro sarebbe stato vuoto per la stagione di Carnevale successiva. Non si sapeva più cosa fare e allora Goldoni scrisse un piccolo sonetto e lo diede alla Medebach perché lo leggesse al pubblico. La Medebach prese il foglio e lesse: «E il prossimo anno il nostro poeta ve darà sedici commedie tutte nove, scritte l’un dopo l’altra», e mentre leggeva probabilmente era presa dal terrore. «Ma chi te l’ha fatto fare, ma ci hai messo anche i titoli, come facevi a mettere i titoli?». Goldoni confessò con calma: «Io scrissi i titoli di alcune commedie perché le avevo già in mente, sugli altri titoli poi scriverò le commedie». E insomma disse che avrebbe dato l’anno successivo sedici commedie in tre mesi. Voi capite che sedici commedie richiedono uno sforzo enorme. Goldoni fece le sedici commedie, sedici spettacoli. Nell’arte, il messaggio, la comunicazione, il senso dell’opera e il suo godimento sono in un rapporto strettamente dialettico. Senza questo rapporto, non esiste arte. La mancata comprensione di questo rapporto ha creato un equivoco «Carlo Goldoni fu certamente un uomo che visse in un’epoca di fine-inizio estrema, in una delle tante crisi finali dei tornanti della storia e che a questa crisi, e perciò contraddizione, non si sottrasse mai, perché non poteva né sapeva, né voleva sottrarvisi. […] Goldoni, più di altri e meno di altri, cercò di difendersi – piuttosto male – da questa carica tragica che gli stava davanti, che già lo circondava e lo sopraffaceva, in un certo senso. Si difese nascondendosi in una misura di “comprensione” molto spesso più apparente che reale, di indulgenza che non era indulgenza, e soprattutto si lasciò incantare da un senso infantile, rimasto sempre in lui presente, della vita, del miracolo del quotidiano come “rappresentazione” mai vista. Da qui quell’altro stupore di scoperta che tanta parte dell’opera di Goldoni porta con sé e che il tempo ha lasciato intatto». Giorgio Strehler, 1997 sempre più penalizzante per l’opera di Carlo Goldoni. L’equivoco, per esempio, del moralismo, della piacevolezza sempre sorridente, del gioco comico musicale e di tutta la sua teatralità. Queste sono posizioni errate, se si pensa che nella dedica alla Donna di governo si dice: «Il vero non si può nascondere», e ne I rusteghi: «Io soglio dir sempre la verità». Non ho mai capito perché non si sia voluto, ed in parte ancora non si voglia, accettare il vero significato di queste affermazioni, che riguarda l’unica possibilità e l’unica onestà possibile per l’artista, cioè, “la sincerità”. Che cos’è l’onestà dell’artista? La sincerità. Capire il reale, innalzarlo a fatto d’arte, per divertire, cioè per far amare, con sincerità, senza artifici, senza ricorrere ai vari meravigliosi, ma cercando la semplicità, la naturalezza del calore, della partecipazione affettuosa, del destino degli altri, che è il carattere fondamentale del lato creativo. E qual è dunque la filosofia di cui si serve l’artista?: «Quella che abbiamo impressa nell’anima, quella che dalla ragione viene insegnata, quella che dalla lettura e dalle osservazioni si perfeziona, quella che infine dalla vera poesia deriva, non già bassa poesia che chiamasi versificazione, ma della poesia sublime che consiste nell’immaginare, nell’inventare, nel vestire le favole di allegria, di metafore e di mistero» dice Goldoni. Questo piccolo pezzo di confessione estetica di Goldoni è di una complessità tremenda, perché da una parte spiega che bisogna partire dal vero, ma il vero soltanto non basta, bisogna innalzarlo, ma innalzarlo con forza poetica per arrivare a immaginare, a inventare, a vestire le favole. Le favole sono le trame, le storie di allegorie, di metafora e di mistero. Voi capite, quando facciamo Il campiello, ogni sera sentiamo qualcosa che pochi sentono: c’è una zona di mistero nell’opera di Goldoni, una traccia poetica non definibile. Sentiamo che c’è una estrema verità di rapporti ma anche qualcosa di più. Pensate sia un caso che Le baruffe chiozzotte si svolgano in un piccolo paese di mare, vicino a Venezia, dove la gente continua a litigare e continua ad amarsi, non amarsi, capirsi, non capirsi, dove tutto è incerto? No, tutto questo mobilitarsi si svolge stranamente in un giorno, in una città completamente avvolta dal mare, dalla natura, dal vento, e voi capite che questa è una simbologia: una piccola isola come Mondo in cui gli uomini vivono la nostra vita, sempre fatta di incertezza. Ci sarà sempre una lite, ci sarà sempre un’incomprensione, ci sarà sempre un 15 GIORGIO STREHLER Giambattista Piazzetta - Marco Alvise Pitteri, Ritratto di Carlo Goldoni con berretto. GOLDONI E IL TEATRO incontro d’amore, ci sarà sempre una persona che non capiremo. Ci sarà sempre tutto quello che c’è nelle Baruffe chiozzotte: la variabilità eterna degli animi umani che si amano, non si amano, si capiscono, si vogliono bene, non si vogliono bene, senza mai fine. In Goldoni esiste sempre una grande proiezione simbolica del destino dell’uomo. Ecco perché il piccolo Goldoni che parla di questa coralità dell’uomo, che parla con la gente dell’uomo nella sua verità, a poco a poco finisce per innalzare queste piccole verità alle soglie dell’universalità. Gozzi e gli altri nemici del Goldoni non capirono assolutamente niente di tutto ciò. Dicevano che copiava la verità, stenografava il dialogo della povera gente e che la sua non era poesia. Goldoni non poteva non urtarsi col problema della lingua. Ha scritto molte commedie in lingua italiana; molte le ha scritte in dialetto, alcune in dialetto e in versi, alcune in italiano. Dico commedia genericamente, perché Goldoni è stato anche autore di tragedie. Ha toccato tutti i modi della lingua, affrontando il problema della realtà del colto, del mediamente colto, o del popolare, cioè della lingua letteraria e della lingua parlata, della lingua del palcoscenico, dove uomini e personaggi parlano tra loro. Goldoni si è domandato quale lingua dovesse far parlare, se una lingua convenzionalmente toscana, oppure una lingua tendenzialmente mediata, con cadenze ed immissioni coraggiose di espressioni dialettali di parole, di modi e usi dell’Italia. Una lingua in qualche modo inventata, che si parla a Venezia, sì, ma anche a Milano, a Ferrara, e così via. E la scelta di Goldoni non lascia dubbi, perché fu sempre contro quella lingua che si potrebbe definire toscaneggiante e colta, classica. Goldoni risponde con un insieme di opere in una “lingua” che è vera e inventata: opere in dialetto, in prosa e in versi, e addirittura un testo in sotto-dialetto, che è il dialetto di Chioggia. Queste opere stanno accanto a quelle in lingua italiana e non con tono minore. Io penso, caso mai, con un tono maggiore, come un polo irraggiante, insostituibile e, in molti casi, come un polo di una dialettica teatrale, che è poi la dialettica storica di costume morale. In poche parole, credo che noi abbiamo due lingue: una lingua con la quale comunichiamo con la gente e poi una lingua con la quale comunichiamo a noi stessi, o parliamo con le persone intime. Io a mia madre non ho mai potuto dire “ti voglio bene”: le ho sempre detto “te vojo ben”. A noi giovani attori, in un’epoca in cui non c’erano scuole, i vecchi attori, quando non riuscivamo a pronunciare alcune battute, dicevano: «E tu dilla a bassa voce, la prima volta». E già incominciavamo ad andare meglio. E poi se non si riusciva ancora: «Ditela in dialetto». E allora si recitava il monologo dell’Amleto in dialetto. In questo gioco Goldoni è arrivato a sottigliezze estreme. C’è una commedia, La putta onorata, in cui ci sono due mondi; da una parte il mondo dei marchesi, dei nobili, dall’altro quello dei barcaioli. Bettina serve gente povera e gente ricca. La gente ricca si odia, si avvelena, la gente povera vive come può ed il marchese si invaghisce della giovane Bettina. In scena, tutti quelli che stanno sulla destra parlano in lingua, mentre tutti quelli a sinistra parlano in dialetto; perciò, quando il marchese tenta di sedurre Bettina, lo fa “parlando italiano”, ma Bettina gli risponde in veneto. Qui si capisce con che sottigliezza e semplicità venga affrontato questo problema di fondo del teatro italiano. I due gruppi, parlando due linguaggi diversi, non stabiliscono mai un vero contatto e non soltanto perché non sono d’accordo: non si capiscono perché non parlano la stessa lingua. Infine è interessante accennare al problema della riforma. La riforma di Goldoni è stata quella – dicono – di opporre il testo scritto al testo improvvisato. Questo modo di recitare “all’italiana” è tutto nostro. In pratica, le compagnie erano composte da attori bravissimi che erano anche letterati e improvvisavano basandosi su canovacci, storie, avventure. Questo modo di fare teatro durò un secolo e mezzo. Ma andando avanti nel tempo, dopo che gli attori più bravi erano morti, sostituiti dai figli e nipoti, tutta questa improvvisazione si era trasformata in una specie di ripetizione, perché gli attori della Commedia dell’arte tendevano ora molto spesso a scrivere le loro battute. In duecento anni questa ripetizione era diventata una specie di zibaldone che gli attori si tramandavano di padre in figlio, custodendolo come un segreto. Gli attori, perciò, improvvisavano, sì, ma ripetevano più o meno le stesse parole. E così l’improvvisazione aveva un limite, anche se ogni sera cambiava qualcosa. Una Commedia dell’arte irrigidita, informe, con parole codificate ormai da un secolo e mezzo circa; una commedia in parte improvvisata e, per il resto, catalogo di convenzioni e di 17 GIORGIO STREHLER realtà testuali codificate. Il teatro della riforma, con la sua verità sostanziale che lo rende europeo e mondiale, risolve un problema effettivo. Questo è il segreto, il mistero e il grande senso della riforma: è la creazione del primo grande teatro nazional-popolare italiano. È così che se qualcuno va a recitare le Baruffe a Copenaghen, e se le recita bene, le Baruffe scritte in un sotto-dialetto italicoveneziano, proprio perché affondano nelle radici nostre, di noi italiani, attori italiani, di gente italiana, immediatamente diventano una specie di punto di riferimento di un altro mondo. Ed è questo il grande concetto gramsciano della realtà popolare nazionale che diventa di per se stessa, appunto perché nazionale e popolare, universale. Questo per me è un altro grande merito di Goldoni. Goldoni mi ha insegnato che la vita è sorprendente, e che non bisogna mai aspettarsi le cose immutabili, perché nella vita tutto cambia: mai nessuno è cattivo fino in fondo, mai nessuno è buono fino in fondo. Occorre sempre vivere con estrema attenzione, con estrema comprensione degli altri, perché siamo tutti in movimento, un moto molte volte impercettibile, che ci fa modificare e ci modifica. Goldoni mi ha dato questa sensazione. Mi ha insegnato anche il coraggio, il coraggio della missione e della vocazione, che non deve essere un programma scritto, ma un programma interiore: fai questo perché non puoi fare altro. Questa è una cosa molto importante, sapere che siamo tutti importanti, anche se non riusciamo a esserlo abbastanza, anche se non abbiamo la grande luce dei riflettori sopra di noi; sapere che una società decente non è fatta da sette grandi uomini e da sette grandi donne, ma da milioni di uomini e donne per bene, intelligenti abbastanza, colti abbastanza, umani abbastanza. Da questi nascerà qualcuno che andrà avanti più di altri. Nessuno nasce nel vuoto, così, in un paese senza cultura, dove non ci sia amore, dove non ci sia entusiasmo, dove non ci sia nulla. Non aspettiamoci mai il genio che risolve. A me Goldoni ha insegnato soprattutto questo e quindi mi ha riscaldato il cuore, con la certezza che vi può essere altro, ma non vi può essere teatro, non vi può essere rappresentazione, non vi può essere niente senza che il valore dell’umano non regga e non illumini continuamente il nostro cammino. Senza quella luce non c’è niente. * Testo letto da Giorgio Strehler in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa dell’Università Autonoma di Barcellona, 26 giugno 1995, inedito dattiloscritto, Archivio del Piccolo Teatro. 18 Carlo Goldoni (1707-1793) L’amore per il teatro fu trasmesso a Carlo Goldoni - nato a Venezia il 25 febbraio 1707 - dalla sua stessa famiglia di origine modenese: dal nonno, dalla madre e, soprattutto dal padre, il quale era solito organizzare a Perugia spettacoli filodrammatici durante le pause della sua professione di medico. A Perugia il ragazzo, che aveva già recitato ed anche scritto - giovanissimo - qualche scena, compì gli studi inferiori presso i gesuiti, ma poi non volle seguire la carriera del padre. A Rimini, poco più tardi, invece di recarsi alle lezioni di filosofia si unisce a una compagnia di comici in un avventuroso viaggio fino a Chioggia. Infine si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia: da allora la legge e il teatro saranno i due interessi di Goldoni, ma sarà il secondo a dominare. Da Pavia viene espulso per una satira giudicata irriguardosa: così accetta un incarico presso la Cancelleria criminale di Chioggia e soltanto nel 1731 si laurea a Padova, dopo la morte del padre. I suoi primi lavori teatrali spaziano nel campo del melodramma e della tragedia musicale: fallito un tentativo a Milano, ottiene a Venezia, con un’opera dal titolo Belisario, un discreto successo, valido se non altro ad aprirgli le porte dell’ambiente teatrale. Nel 1734 Goldoni è poeta ufficiale della compagnia Imer e negli anni successivi le sue esperienze si moltiplicano: conoscenza del mondo del teatro e conoscenza dei casi della vita attraverso una serie di esperienze in diverse città (nel 1736 sposa a Genova Nicoletta Connio, che sarà la sua inseparabile compagna). Nel 1748 firma con la compagnia Medebach un regolare contratto come poeta ufficiale: comincia così il periodo più fecondo della sua vita, ma già tre anni innanzi aveva scritto Il servitore di due padroni, il cui canovaccio iniziale venne più volte modificato e precisato fino alla forma definitiva: l’Arlecchino venne rappresentato a Milano dalla compagnia Sacchi nel 1747. Goldoni si avviava alla sua decisiva “riforma” teatrale, testimoniata dalla stesura de Il teatro comico (1750): un “no” radicale alla tradizione erudita e pomposa del Seicento, cioè al teatro aulico ed eroico e allo stesso tempo alla tradizione della Commedia dell’Arte, divenuta puro gioco comico basato sui lazzi e le buffonerie gratuite e legato all’improvvisazione arbitraria dell’attore. D’ora innanzi, attraverso la sua riforma, Goldoni cercherà di cogliere, senza pregiudizi e falsificazioni, l’umanità vera, svilupperà la commedia di costume senza mai abbandonare una spontanea simpatia per il popolo, fino a giungere ad una osservazione ironica e critica della società del suo tempo. Con Medebach, al teatro Sant’Angelo, rimane cinque anni, per poi passare al San Luca col Vendramin, dove rimane altri nove anni, ottenendo molti successi ma divenendo anche oggetto di accanite polemiche da parte degli avversari che rifiutano le sue innovazioni. Nel 1762, accetta l’invito della Comédie Italienne di Parigi e si allontana per sempre da Venezia e dall’Italia. In Francia, diviso tra Parigi e Versailles, rimane fino alla morte (6 febbraio 1793), un buio periodo di scontento, malattia e povertà. Dopo la partenza da Venezia, l’ispirazione non è più quella di prima: del voluto esilio francese rimangono i Mémoires, autobiografia di uomo e di artista. Le commedie di Goldoni sono circa centoventi, ma molte risultano occasionali o scritte solo per soddisfare certe esigenze di repertorio delle compagnie presso le quali egli operava. I suoi capolavori si collocano quasi tutti intorno al decennio “fortunato” dal 1750 (anno al quale risalgono anche le famose sedici commedie che egli scrive per sfida) al 1760: La putta onorata, La locandiera, Il campiello, Sior Todero brontolon, I rusteghi, La trilogia della villeggiatura, Le baruffe chiozzotte e, rappresentata proprio alla vigilia della sua partenza per Parigi, Una delle ultime sere di Carnovale. Giorgio Strehler (1921-1997) Giorgio Strehler ovvero il Regista, scritto proprio con la maiuscola, allo stesso modo in cui lui scrive e pensa al Teatro: come a una sfida iperbolica, a un diorama, a un palcoscenico in cui si concretizza l’immagine del mondo dove, in punta di piedi, i grandi signori della scena, ai quali di diritto appartiene, possono dialogare con il popolo dei personaggi e, attraverso di loro, con gli spettatori. Strehler nasce a Barcola, il 14 agosto del 1921, in un paesino vicino a Trieste, in una famiglia in cui si intrecciano lingue e culture. Suo nonno è musicista (anche Giorgio studierà musica e direzione d’orchestra) e di cognome fa Lovric; sua nonna è francese e si chiama Firmy, cognome che il nipote prenderà quando firmerà le prime regie durante l’esilio svizzero. Da ragazzino Strehler si trasferisce con la madre a Milano, dove compie gli studi prima al convitto Longone e poi al liceo Parini, fino a frequentare l’Università, facoltà di legge; ma fin da adolescente, accanto allo studio, coltiva l’amore per il teatro, frequentato anche (dice la sua leggenda) come claqueur. Si iscrive all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, dove trova il suo maestro di elezione in Gualtiero Tumiati. Le sue prime prove fuori dalla scuola sono da attore, nel gruppo Palcoscenico di Posizione a Novara e anche alla Triennale, in un testo di Ernesto Treccani. Ma già qui, a soli ventidue anni, pensa che il teatro italiano, allora dominio degli ungheresi e dei falsi dottori, abbia bisogno della scossa salutare e demiurgica della regia. Lo scrive in un articolo del 1942, Responsabilità della regia, pubblicato su “Posizione”: fondamentale, pur nello slancio assoluto tipico dell’epoca, per capire anche lo Strehler successivo. In quegli anni che precedono la guerra, Strehler, legato da un’amicizia fortissima a Paolo Grassi, conosciuto (come hanno sempre affermato i protagonisti) alla fermata angolo via Petrella del tram numero sei, direzione Loreto-Duomo, fa la fronda nei Guf e morde il freno. È stato anche critico teatrale per “Momento sera”, senza mai rinunciare però al sogno, condiviso con Paolo Grassi, di costruire dal nulla un teatro diverso. L’occasione sarà la fondazione nel 1947 del Piccolo Teatro della Città di Milano: primo stabile pubblico italiano, che aprirà i suoi battenti il 14 maggio, con l’andata in scena di L’albergo dei poveri di Gor’kij dove Strehler riserva a sé il ruolo del ciabattino Alijosa. Questo spettacolo, che riesce a coagulare buona parte della compagnia che per alcuni anni sarà stabile al Piccolo e che avrà le sue punte in Gianni Santuccio, Lilla Brignone e Marcello Moretti, ha avuto un anno prima un’”anticipazione” in Piccoli borghesi di Gor’kij, andato in scena con la regia di Strehler e l’organizzazione di Paolo Grassi all’Excelsior. Alla fondazione del Piccolo corrisponde anche la prima regia operistica di Strehler, una Traviata alla Scala destinata a lasciare il segno. Dal 1947, però, gli sforzi maggiori di Strehler (prima regista stabile, poi direttore artistico, poi direttore unico) sono essenzialmente per il Piccolo Teatro, dove dirige spettacoli che appartengono alla storia del teatro e della regia. All’interno di questa storia, che potremmo definire positivamente eclettica, si può tuttavia rintracciare una costante: l’interesse per l’uomo in tutte le sue azioni. Questa scelta, che Strehler perseguirà per tutta la vita, è un atto di fedeltà alle ragioni profonde dell’esistenza di cui si fa portatore Satin, uno dei protagonisti dell’Albergo dei poveri: «Tutto è nell’uomo». E, in questo suo porre l’uomo sotto la lente d’ingrandimento del suo teatro, ecco venire alla luce alcuni rapporti che gli interessano: l’uomo e la società, l’uomo e se stesso, l’uomo e la storia, l’uomo e la politica. Scelte che si riflettono a loro volta nella predilezione per alcuni autori chiave, veri e propri compagni di strada nel lavoro teatrale del grande maestro (anzi “Maestro e basta”, come è stato chiamato): Shakespeare soprattutto, ma anche Goldoni, Pirandello, la drammaturgia borghese, il teatro nazional popolare di Bertolazzi, Cechov e, nei primi anni, la drammaturgia contemporanea; Brecht gli rivela un diverso approccio al teatro, alla recitazione una “via italiana” all’effetto di straniamento. All’interno di questi autori, pur non potendo entrare nel merito delle più di duecento regie da lui firmate, sono enucleabili alcuni spettacoli guida: Riccardo II (1948), Giulio Cesare (1953), Coriolano (1957), Il gioco dei potenti (1965), Re Lear (1972), La tempesta (1978) per Shakespeare; Arlecchino in tutte le sue versioni (a partire dal 1947) lo spettacolo italiano più visto nel mondo e quello di più lunga vita, La trilogia della villeggiatura (1954), Le baruffe chiozzotte (1964) e Il campiello (1975) per Goldoni; Platonov (1959) e Il giardino dei ciliegi (1955 e 1974) per Cechov; le diverse edizioni de I giganti della montagna (1947, 1966, 1994) e Come tu mi vuoi (1988) per Pirandello; El nost Milan (1955 e 1979) e L’egoista (1960) per Bertolazzi; La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca (1955) e, soprattutto, Temporale di Strindberg (1980) per la drammaturgia borghese; La visita della vecchia signora di Dürrenmatt (1960), La grande magia di Eduardo De Filippo (1985) per la drammaturgia contemporanea; L’opera da tre soldi (1956), L’anima buona di Sezuan (1958, 1981 e 1996), Santa Giovanna dei macelli (1970) e soprattutto Vita di Galileo (1963) per Brecht. Ma, all’interno di una produzione stupefacente, a venire in primo piano è il lavoro sui segni del teatro (le scene, le atmosfere, le sue inimitabili luci, e quella capacità prodigiosa nel saper ricreare, con apparente leggerezza, situazioni di altissima poesia) e lo scavo esigente, duro, mai soddisfatto, sulla recitazione, che trova il suo vertice nel vero e proprio corpo a corpo che egli instaura con gli attori: un vero esempio di maieutica; e, per chi ha avuto la fortuna di assistere alle sue prove, l’epifania di un metodo teatrale. La storia di Strehler, scandita dall’aprirsi e dal chiudersi dei sipari, si svolge eminentemente al Piccolo Teatro, ma non solo: nel 1968 abbandona via Rovello per fondare un suo gruppo, il Teatro Azione, su basi cooperativistiche; con questo gruppo presenta La cantata del mostro lusitano di P. Weiss (1969), spettacolo anticipatore di un teatro concettualmente “povero”, e Santa Giovanna dei macelli (1970) che sigla il suo ritorno “a casa”. Ma Strehler ha anche diretto il neonato Teatro d’Europa, voluto da Jack Lang e da François Mitterrand a Parigi. Del resto il suo cursus honorum è lunghissimo: parlamentare europeo, senatore della Repubblica, un lungo elenco di onorificenze, fra cui l’amatissima Legion d’onore; ma gli ultimi anni sono segnati dall’amarezza per un processo che lo vedrà, alla fine, innocente. È morto nella notte di Natale; le sue ceneri riposano a Trieste, nel cimitero di Sant’Anna, nella semplicissima tomba di famiglia. Notevole l’apporto registico di Strehler all’opera lirica, favorito dalla conoscenza della musica e dalla «abilità di saper svecchiare i gesti inseparabili e tradizionali dei cantanti». Delle tantissime regie, da ricordare le partecipazioni al Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia (Lulu di A. Berg, 1949; La favola del figlio cambiato di G.F. Malipiero, 1952; L’angelo di fuoco di S. Prokof’ev, 1955), al Maggio musicale fiorentino (Fidelio di Beethoven, 1969), al Teatro alla Scala (fin dalla primavera del 1946 con Giovanna d’Arco al rogo di A. Honegger, con Sarah Ferrati), almeno per il Verdi, oltre che della già citata Traviata, del Simon Boccanegra (1971), del Macbeth (1975) e del Falstaff (1980); e di Mascagni, della lodatissima Cavalleria rusticana diretta da Karajan (1966); alla Piccola Scala per L’histoire du soldat di I. Stravinskij (1957), Un cappello di paglia di Firenze di N. Rota (1958) e Ascesa e caduta della città di Mahagonny di K. Weill (1964); oltre al lavoro sul prediletto Mozart, condotto attraverso Il ratto dal serraglio (1965) e Il flauto magico (1974) al Festival di Salisburgo, Le nozze di Figaro a Parigi (1973), Don Giovanni alla Scala (1987) e la soave leggerezza di Così fan tutte, inno all’amore e alla giovinezza: più che un testamento, un ponte gettato fra il lavoro di cinquant’anni e il nuovo secolo. (Maria Grazia Gregori da Dizionario dello spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano 1998) ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO di Maria Grazia Gregori Può uno spettacolo trasformarsi nella bandiera di sessant’anni di vita di un teatro? Sì, se si tratta del sempreverde Arlecchino, del magnifico Arlecchino, dell’umanissimo Arlecchino che porta l’impronta irripetibile di Giorgio Strehler, che è stato di Marcello Moretti e che è ancora di Ferruccio Soleri. Ma non guardiamo a questo spettacolo come a un reperto da museo, frigido e imbalsamato nella sua lontana perfezione. Anzi quello che sta alla base della fortuna incredibile del Servitore di due padroni (che è poi il suo vero titolo) e che lo rende praticamente comprensibile a tutte le latitudini e agli spettatori di diverse civiltà, è proprio la sua inarrestabile, inguaribile vitalità. Facile, direte voi: forse che non si tratta di un testo attraverso il quale Goldoni chiude i conti con la tradizione della Commedia dell’Arte e si avvia alla fortunatissima epoca del teatro del personaggio? Tutto vero. Ma perché allora la stessa sorte non è toccata a uno dei tanti grandi spettacoli shakespeariani messi in scena da Strehler? Il segreto della fortuna mondiale di Arlecchino, della sua capacità, che oggi definiremmo mediatica, di catturare spettatori di qualsiasi generazione e cultura sta forse nel “segreto” di Carlo Goldoni scrittore di teatro: sapere concentrare la genialità drammaturgica pescando i suoi soggetti nei libri della Vita e del Teatro. Vita e sua rappresentazione, dunque, all’interno del cerchio magico del palcoscenico, specchio del mondo nel quale intere generazioni di attori e di spettatori si sono riconosciuti. L’altro motivo sta nella capacità del suo regista creatore, Strehler, di sapere reinventare e reinventarsi ogni volta questa storia di intrighi e di maschere, di fame e di difficoltà dei sentimenti. Soprattutto sta nella capacità del regista di trovare ogni volta gli interpreti giusti, di cogliere lo spirito del tempo, proponendo ed esplicitando in questo spettacolo la sua caratteristica di lavoro in divenire, di considerare Goldoni 23 MARIA GRAZIA GREGORI Arlecchino in dieci edizioni. In alto, stagione 1949/50. Sotto, stagione 1966/67. Nella pagina precedente, stagione 1977/78. 24 ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO come un autore “strategico” nella produzione del Piccolo Teatro, restituendo agli spettatori l’apparente facilità del trasformare il Mondo in Teatro. Sembra facile, ma non lo è. E certo non è un caso che, a partire dal 1947 fino al 14 maggio del 1997, in occasione del cinquantenario del Piccolo Teatro, sia stato proprio Arlecchino a restare accanto a Strehler, croce e delizia della sua vita di regista, spettacolo amato-odiato. E che sia stato proprio Arlecchino l’ultimo spettacolo “finito” che ci ha lasciato prima della sua scomparsa malgrado la febbrile ansia creativa che lo ha portato, nel giro di tredici giorni, a concretizzare le grandi linee della messinscena di Così fan tutte di Mozart. Prima fra tutte le sue grandi regie goldoniane, dunque, Arlecchino ritorna nella vita del Piccolo e in quella di Strehler a intervalli quasi regolari con ben dieci edizioni nei momenti nodali della storia del primo Stabile d’Italia. Uno spettacolo, dunque, che riveste i caratteri dell’eccezionalità, un filo rosso che attraversa cinquant’anni tumultuosi nella vita del teatro italiano. Un vero e proprio “romanzo”, che segnala i giri di boa nella storia del Piccolo, ma anche quelli all’interno della vicenda umana e artistica di Strehler. Dieci edizioni dove i volti e le voci degli interpreti si confondono: Moretti, Soleri, Maestri, Zareschi, Asti, Pepe, Tedeschi, Mauri, Parenti, Carraro, De Lullo, Graziosi, Rissone, Cortese, Jonasson, Lazzarini, Dettori, Minelli, Bonati… fino ai giovani attori che lo hanno interpretato per la prima volta nel 1991, parte dei quali ancora oggi, in questa che chiameremo la sua undicesima edizione, la prima senza Strehler, continuano e recitarlo accanto a Ferruccio Soleri e fino al 2000 accanto a Gianfranco Mauri. Indimenticabile la sera del marzo 1998, a pochi mesi dalla scomparsa di Strehler, al Théâtre de l’Odéon di Parigi, con il pubblico francese in piedi nella standing ovation durata per quindici minuti ai vecchi e ai giovani interpreti, alla freschezza dello spettacolo e alla memoria del suo creatore. In un cartellone come quello del 1947, che getta le basi delle future scelte del Piccolo e che è una vera e propria dichiarazione d’identità per le coraggiose scelte drammaturgiche dei giovani Grassi e Strehler, Arlecchino significa la riappropriazione di un passato segnato dalla storia della commedia dell’arte. Ma è anche l’incursione inaspettata, sul palcoscenico, dell’assurdo nella sua forma più piana ed assoluta, che non spaventa, il recupero della teatralità pura delle origini. La tradizione: non quella smarrita del “grande attore”, ormai tramontato, bensì quella perduta, fantastica, sulla Stagione 1972/73. quale aveva già cominciato a interrogarsi la grande regia europea, a partire da Max Reinhardt. La riscoperta di una tradizione di cui si è allontanata la memoria significa dunque, proprio negli anni in cui la regia sta prendendo piede in Italia, un libro tutto da inventare e da scrivere, con un linguaggio nuovo nato non solo dalle parole ma dai corpi e dai gesti degli attori. In quel lontano 1947, Strehler ricerca le tracce delle tecniche smarrite dei comici italiani, il modo di punteggiare e di sincronizzare l’azione con la parola, di ritrovare l’espressività del gesto in ritmi giocosi e sfrenati non come pedissequa ripetizione di schemi, ma come invenzione assoluta. E se a qualcuno quel primo Arlecchino sembra fragrante come un gelato alla fragola, altri parlano di ricerca antropologica vera e propria. Senza dubbio è una palestra formidabile che impone anche il confronto con la maschera, che è la prima e forse inconsapevole incursione di Strehler nel cosiddetto effetto di straniamento ricercato nella scena semplice di Gianni Ratto: una pedana delimitata da fondali e quinte dipinte, cambiate a vista dagli stessi attori. Marcello Moretti, che è il primo Arlecchino a calcare le scene italiane del dopoguerra, rappresenta la tipologia nuova di attore fuori dalla tradizione, alla ricerca consapevole di se stesso, formato dall’Accademia di Silvio D’Amico. Il suo primo Arlecchino ha una maschera dipinta sul viso mentre i suoi compagni, da Franco Parenti a Antonio Battistella, portano sul volto maschere scomode e anche pesanti e dolorose fatte di cartapesta e garza. Più tardi però anche Moretti-Arlecchino cade nel sortilegio e indossa la maschera che Amleto Sartori gli ha preparato come una condanna e non se la toglie più. Bisognerà aspettare il 1952 perchè le scene di Ratto si definiscano con più eleganza proponendo lo spazio di un teatrino di comici del Settecento. Anche Arlecchino, che ora porta una maschera da gatto, è cambiato e per la prima volta indossa un costume stilizzato a piccoli triangoli. Mutamenti non esteriori, ma nati da una necessità interna allo spettacolo che si va definendo come una gabbia, allo stesso tempo rigorosa e ricca di libertà, con un ritmo calcolatissimo che ha la suprema furberia di non farsi avvertire. È però nel 1956, nella cosiddetta “edizione di Edimburgo”, che Arlecchino subisce un mutamento radicale grazie anche al cromatismo e alla sapienza spaziale di Ezio Frigerio che firma le scenografie: una piazza italiana coperta da un velario che ripara dal sole, gli attori che recitano, nei modi della commedia dell’arte, 25 MARIA GRAZIA GREGORI Stagione 1977/78. 26 ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO nella cornice quotidiana di una compagnia di comici. Si sviluppa così quella spinta al teatro nel teatro che, d’ora in avanti, sarà la caratteristica portante di Arlecchino. Strehler, infatti, costruisce lo spettacolo proprio esaltando quel rapporto Vita e Teatro di cui si diceva all’inizio, con gli attori che si tolgono la maschera quando escono di scena. Quasi fosse un imperativo categorico per il regista, reduce dagli appuntamenti con Brecht e con Bertolazzi, rileggere Arlecchino. Fra la terza e la quarta edizione di questo spettacolo c’è anche la cesura drammaticamente dolorosa della morte di Moretti, avvenuta nel 1961 quando già il giovane Ferruccio Soleri, anche lui formatosi all’Accademia Silvio D’Amico e poi accanto a Moretti, dopo un severo apprendistato, è pronto ad assumere, da protagonista e non da sostituto (come nella tournée americana del 1959), il ruolo di Arlecchino. Quali le differenze fra le due interpretazioni al di là delle ovvie diversità di personalità e di mezzi? L’Arlecchino di Moretti, si rifà ai grandi creatori di un tempo, al loro spirito, liberamente inventivo, pienamente in grado di sfruttare tutta la carica espressiva non solo della parola ma del corpo e del gesto. Un Arlecchino, il suo, che, per la prima volta, non nasce nel teatro di tradizione e neppure all’interno di compagnie dialettali, ma che è il risultato di una scuola diversa, di uno studio dello stile comico fondato sulla ricerca e sull’impegno filologico, come si conviene a un teatro in cui il peso e il ruolo del regista oltre che quello dell’attore vogliono dire esercizio critico, ricerca di un modo di recitare all’italiana. Nel ritmo che ha del prodigioso e che dopo le prime edizioni si è stemperato in un approfondimento psicologico della maschera, Moretti ne assimila le convenzioni al punto che diventano naturali grazie a uno stile che le trasforma in insostituibile modo di vivere. Un umorismo candido e sornione al tempo stesso, bonario e furbesco, estroso e infallibile. Eppure la sua maschera nasconde un continuo assillo, e il suo tormento artistico si confonde con quello personale perché è l’esibizione sul palcoscenico a dominare la sua vita. Dice Tullio Kezich, in un suo ricordo dell’attore, che Arlecchino e Moretti danno l’impressione di stare diventando lentamente una persona sola. Protetto dalla sua maschera, l’attore vince i suoi complessi e si scatena: c’è - è sempre Kezich a dircelo - qualcosa di magico, di diabolico, in questa trasformazione. Poi Arlecchino, cresciuto nel soffio vitale, nel guizzo acrobatico e poetico di Moretti, da cui ha succhiato la calma ponderata, la In alto, stagione 1982/83 Sotto, stagione 1962/63. riflessività, la malinconia, incontra il giovane attore toscano Ferruccio Soleri. A lui tocca un compito all’apparenza impossibile: sostituire nel cuore, negli occhi, nell’immaginario degli spettatori, ma anche di Grassi e di Strehler, l’Arlecchino di Moretti, al quale è stato vicino, spiandolo fra le quinte, impegnato all’inizio nel ruolo del camerierino e poi come sostituto. Soleri ha sempre sostenuto che l’Arlecchino non gli è venuto da Moretti, che non gli ha mai comunicato il suo “segreto” e che si è limitato a prepararlo per entrare in un disegno spettacolare già prestabilito, ma da Strehler, che ha avuto l’intelligenza e il coraggio di voltare pagina, di non cercare di imporgli gli stessi stilemi. La personalità, la giovinezza, la fisicità più prorompente di Soleri, il suo gusto e la sua propensione per l’acrobatica, spingono il regista non solo alla ricerca di nuovi lazzi, da aggiungere o da sostituire a quelli canonici di Moretti, ma anche a rivoluzionare totalmente l’impianto dello spettacolo. Un Arlecchino, quello di Soleri, che è andato via via prendendo forma non solo come fatto personale, ma anche come sensibilizzazione di una particolare situazione umana, di un’epoca. Ecco perchè il Batocio di Soleri, pur partito dalla grande lezione di Moretti, si è venuto via via storicizzando trasformandosi nell’immagine di un uomo in lotta fra due mondi - i suoi due padroni? - con tutte le sue contraddizioni, le sue furberie, le sue astuzie, le sue ruffianerie, dette con una voce non realistica che si sposa perfettamente con la maschera grintosa e giovane da gatto e che lo spinge a interiorizzare quello che dovrebbe sentire il corpo con il vantaggio di potere guardare il mondo come dal buco della serratura mentre gli altri non possono cogliere le sue emozioni. Un miracolo di energia creativa che ha affascinato molti teatranti come Peter Brook e Patrice Chéreau. Nel 1963, a Villa Litta di Affori, nell’edizione cosiddetta “dei carri”, povere case di attori girovaghi che si sono fermati in un prato, mentre i cavalli sono stati staccati, portati via, Soleri può interpretare l’Arlecchino che Strehler ha pensato per lui. Due piccoli luoghi scenici, posti quasi uno di fronte all’altro, in mezzo ai quali gli attori hanno rizzato una pedana-palcoscenico, delimitata da un lato dagli schermi per le candele, trasformate in luci della ribalta e dall’altro da montanti, su cui scorrono i fondali che fanno da scena ne costruiscono l’ambientazione. L’edizione del 1973, pensata sempre per essere recitata all’aperto (alla Villa Comunale di Milano), ripropone figurativamente lo stesso impatto di dieci anni prima, ma si 27 MARIA GRAZIA GREGORI In alto, stagione 1990/91. Sotto, stagione 1996/97. 28 ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO segnala e si differenzia per l’approfondimento compiuto da Soleri nel ruolo di Arlecchino fra fisicità pura e calcolo, fra l’ineluttabile destino della vittima e gli intriganti giochi di un maestro d’imbrogli. Un punto d’arrivo presto abbandonato perché bisogna riprendere ancora una volta quell’eterno viaggio dei comici che da secoli è il loro destino e che questo spettacolo visualizza. Nasce così l’Arlecchino detto dell’Odéon, dal teatro di Parigi in cui è stato rappresentato per la prima volta (1977). Un Arlecchino più cupo, autunnale, storia di un gruppo d’attori affamati che stanno tornando in Italia da Parigi. Cacciati dalla capitale, giungono a un castello abbandonato, dai muri sbrecciati. In un angolo, nelle stanze buie, un cavallo di pietra ricorda una vecchia statua equestre. Ma ecco arrivare dei contadini e per loro, alla luce fioca dei candelabri, questi attori ripropongono i propri personaggi… Viaggio nel buio e pessimistica autorappresentazione (è il teatro che si autoesilia dal mondo), quando tutto sembra perduto ecco Arlecchino abbandonare il palcoscenico e fuggire fra i palchi inseguito dagli attori, per essere poi addirittura assunto in cielo su di una magica nuvola bianca. Un “anticipo” su quell’incontro con il teatro come macchineria barocca, come arsenale delle meraviglie che, proprio in quella stagione, con ben altra profondità, Strehler porrà al centro della Tempesta di Shakespeare. Mai fedele a se stesso, irriverente anche nei confronti della propria fama, l’Arlecchino che in occasione del quarantennale sale sul palcoscenico del Piccolo nel 1987 vuole, nella assoluta purezza della scena e del gioco scenico, testimoniare al pubblico il senso di una storia e di una ricerca teatrale. La scena di Ezio Frigerio è illuminata dalle fioche candele alla ribalta. Pochi oggetti consunti dall’uso sono sufficienti a questi comici non più giovani, per recitare sotto il trucco che non nasconde le rughe, l’eterna commedia del Servitore di due padroni. Una misteriosa, impalpabile lanterna magica; una luce cupa una sola candela - spinge gli attori ad andare avanti… È l’edizione detta dell’Addio ma nel 1990 brilla una vita nuova anche per l’Arlecchino che verrà detto del Buongiorno, saggio finale del corso Jacques Copeau della Scuola di Teatro del Piccolo. Più interpreti che si confrontano, con la raffigurazione di più compagnie raccolte attorno al “vecchio” maestro Ferruccio Soleri. Trentadue attori a disputarsi dieci ruoli, in un disordine vitale. E se l’Arlecchino del Bicentenario goldoniano non sarà firmato da Strehler che l’aveva pensato come un In alto e sotto, stagione 1986/87. omaggio a Mejerchol’d e sarà trasportato per l’occasione nella pianta ellittica del Teatro Studio, a diretto contatto con lo spettatore, quello del Cinquantenario, presentato al Piccolo il 14 maggio del 1997, lo vedrà confrontarsi ancora una volta con uno spettacolo che il record di essere il più rappresentato nella storia di tutti i tempi non ha assolutamente appannato. Un’orgogliosa e consapevole dimostrazione dell’idea di un teatro fatto per gli uomini, i giovani attori attorno a Soleri e a Mauri, che interpreta il ruolo di Brighella, e il regista in mezzo a loro a ringraziare il pubblico, che non può certo immaginare che sarebbe stata l’ultima volta. Poi via, in giro per il mondo perché gli spettacoli vivono oltre la vita dei loro creatori e interpreti. Ed eccolo qui di nuovo, oggi, sotto lo sguardo vigile di Ferruccio Soleri che di quella storia, allo stesso tempo mitica e fortemente reale, è l’incarnazione vivente. L’Arlecchino del Nuovo Millennio, l’undicesima edizione di questo spettacolo sempre antico e giovane, orgoglioso della sua storia, guarda anche al presente. Scomparsi il suo creatore e un interprete fondamentale come Gianfranco Mauri, può però contare sempre sulla stupefacente presenza di Ferruccio Soleri e su di un gruppo affiatato di giovani attori. Nelle scene pensate da Ezio Frigerio come un’evocazione di atmosfere strehleriane, questo Arlecchino che viaggia per l’Europa recupera da antiche edizioni la pedana, le quinte dipinte e il velario che ripara i comici dal sole. La sua vita va al di là di quella del suo regista creatore, grazie alla presenza carismatica di Ferruccio Soleri che ne è la memoria vivente. E che ne garantisce, con ricchezza di significati e di agnizioni, la lunga, irripetibile vita: un passato mitico, un presente formidabile, un futuro che non si conosce. È lui che severamente ma con passione guida quella vera e propria bottega di teatro che è diventata Arlecchino: uno spaccato di generazioni di attori, un passaggio di ruoli, un sapere e un essere del teatro da tramandare e che Strehler ha avuto la generosità di donare non solo al pubblico ma anche ai suoi attori. Ma il gioco, la malinconia, il ritmo, l’inquietudine trafelata, i lazzi e le liti sono quelli di sempre: una piccola “storia del teatro” vivente che passa attraverso il corpo degli attori. Così, con tutta la sua vicenda umana e artistica di trionfi e di sudore, di strepitosa vitalità, Arlecchino sta ancora lì, concreto e poetico, fantastico e bizzarro, per continuare a vivere un’irripetibile avventura teatrale, allo stesso tempo lontana e vicina. 29 ARLECCHINO, LA MIA VITA di Ferruccio Soleri Il mio incontro con il personaggio di Arlecchino è avvenuto quasi per caso, mentre studiavo da attore all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, con La figlia ubbidiente di Goldoni, saggio di un allora allievo regista, Giacomo Colli. Ero preoccupato: nato in Toscana non avevo mai recitato in veneziano. «Non avere paura - mi ha detto il mio maestro Orazio Costa - verrà Marcello Moretti, l’Arlecchino di Strehler a metterti a posto». Ma Moretti era sempre occupato con Strehler; venne solo alla prova generale e non mi diede alcun aiuto reale. Evidentemente, però, qualcosa in me l’aveva colpito se, quando si trattò di pensare a un sostituto, scelse proprio me. I miei rapporti con il Piccolo Teatro cominciarono l’anno dopo, quando frequentavo il terzo corso. Orazio Costa, che doveva mettere in scena al Piccolo La favola del figlio cambiato di Pirandello, chiese alla direzione della scuola di potermi avere con sé. Venni presentato a Strehler che mi disse: «Ah, Soleri, l’Arlecchino dell’Accademia»; Moretti doveva avergli parlato di me. Dopo il diploma, fui chiamato nel 1959 da Strehler per il ruolo del camerierino in Arlecchino. Recitando in quel ruolo, praticamente una comparsata, stavo in quinta a osservare Moretti. Vedevo la sua abilità anche se non avevo la furbizia di capire le cose. Però assimilavo, magari senza accorgermene. Poi venne la tournée americana di questo spettacolo dove fui il sostituto di Moretti. Ricordo ancora la mia prima recita a New York, in un giorno feriale. Venne annunciato al microfono che, in quella replica, Moretti era sostituito da Ferruccio Soleri. Il teatro aveva duemila posti: da dietro il sipario dove stavamo già tutti pronti con il braccio alzato nella caratteristica posizione del balletto, sentii duemila mormorii di disappunto. Il braccio mi cadde giù, mi sentivo come svuotato. 31 ARLECCHINO, LA MIA VITA Ferruccio Soleri e Giorgio Strehler provano Arlecchino. Nella pagina precedente, Ferruccio Soleri al trucco, foto Ciminaghi. Il primo atto andò così così; il secondo, con la scena del pranzo e del budino interessò molto il pubblico; nel terzo sentii che ce la potevo fare. Questa è stata la mia prima volta come Arlecchino. Indimenticabile. Nel 1961 morì Marcello Moretti e di Arlecchino non si parlò più. Fu durante le repliche del Galileo di Brecht (1963) che mi dissero che Strehler voleva riprendere Arlecchino in una edizione particolare a Villa Litta, all’aperto. Iniziai a provare con Virginio Puecher. Poi arrivò Strehler e cominciò a smontare tutto: «Ferruccio qui la voce non va. Devi trovarla, devi rinforzarla». Mi diede da fare degli esercizi di sostegno fra cui uno utilissimo: leggere il giornale senza mai fermarsi, senza respirare e senza punteggiatura fino a quando mi reggeva il fiato e poi da capo. È stato lavorando con lui che ho capito cosa era Arlecchino e cosa era stata la Commedia dell’Arte ben al di là dei libri che avevo letto. Da parte mia gli portavo la mia abilità nell’acrobazia, la mia voglia di fare, le mie caratteristiche, la mia gioventù. Ma la mia voce l’ho trovata solo nel secondo anno; prima ero troppo preoccupato dell’incontro con il pubblico e con la critica. Il mio Arlecchino lo devo proprio a Strehler, che mi ha dato tutto. Difficoltà ne ho avute molte. La prima nasceva dal mio rapporto con la maschera. «Non fai ridere; non esprimi niente», diceva Strehler durissimo, e questo mi gettava nel panico. Ho cominciato a studiare la maschera davanti allo specchio. Lì ho capito che la maschera spingeva a interiorizzare quello che avrebbe dovuto sentire il corpo. Ero terrorizzato da questo; poi ho capito di avere un vantaggio: potevo guardare il mondo dal buco della serratura, mentre gli altri non potevano vedere le mie emozioni. Solo mentre provavo l’edizione “dell’Addio”, nel 1987, Strehler mi ha detto una cosa che ricorderò per sempre: «Ferruccio, io non capisco. Tu invecchi, ma il tuo Arlecchino è sempre più giovane. Ma come fai?». 33 Arlecchino servitore di due padroni, 2009 Arlecchino servitore di due padroni, 2009 Arlecchino servitore di due padroni, 2009 LA COMPAGNIA Ferruccio Soleri (Curatore della messa in scena, Arlecchino) Ferruccio Soleri nasce a Firenze, dove frequenta la Facoltà di Matematica e Fisica. In seguito studia recitazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma. Fa il suo debutto teatrale da professionista nel 1957, al Piccolo Teatro di Milano, ne La favola del figlio cambiato di Luigi Pirandello. In seguito recita in opere di Lorca, Babel, Ibsen, Brecht, Schnitzler, Shakespeare, Goldoni, Molière, Marivaux, Gogol, Neruda, diretto da importanti registi tra i quali Menegatti, Strehler, Chéreau, Huston, Squarzina, Guicciardini, Puggelli, Vitez, Langhoff. Nel 1963 debutta nel ruolo di protagonista in Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler. Spettacolo che, quasi ogni anno, è in scena a Milano e in tournée in Italia e nel mondo. Ha preso parte a film prodotti da alcune reti televisive europee tra i quali Mozart und Da Ponte di Friedel, La trappola di Lizzani. Nel 1971 debutta come regista teatrale ne Il corvo di Gozzi. Da allora ha messo in scena La locandiera, I due gemelli veneziani, La castalda, Il ventaglio e L’impresario delle Smirne di Goldoni; La mandragola di Machiavelli, Arlecchino, l’amore e la fame di Ferrante e Soleri; Arlecchino fame… fame… fame… di De Martino e Soleri. Ha messo in scena anche alcune opere liriche di repertorio: Don Pasquale, Convenienze e inconvenienze teatrali di Donizetti; Il barbiere di Siviglia, L’italiana in Algeri, Il signor Bruschino e Il turco in Italia di Rossini; Duello comico di Paisiello; Livietta e Tracollo e La serva padrona di Pergolesi; Il ratto dal serraglio e La finta giardiniera di Mozart; Il trionfo dell’onore di Scarlatti; La traviata di Verdi; Il franco cacciatore di Weber; La sposa venduta di Smetana; L’Arcadia in Brenta di Galluppi e le operette Notte a Venezia di Strauss e La vedova allegra di Lehár. Questi spettacoli sono stati allestiti in varie città, tra le quali, Salisburgo, Monaco di Baviera, Lione, Parigi, Karlsruhe, Zurigo, Bruxelles, Montevideo, Bologna, Modena, Parma, Treviso, Torino, ecc.. Ha insegnato in varie scuole di teatro tra le quali: Otto Falckenberg Schule di Monaco di Baviera, École Mudra di Bruxelles, fondata da Maurice Béjart, Max Reinhardt Seminar di Vienna, Santa Clara University in California, 40 Fondazione Gulbekian di Lisbona, Festival di Oguni (Giappone), Scuola di Teatro di Valencia, Festival Internazionale di Teatro di Lisbona, Teatro Nazionale di Bucarest e Festival Internazionale di Napoli. Tiene in tutto il mondo stage sulla Commedia dell’Arte e sul Teatro. Fra i numerosi premi ricevuti: Ambrogino d’oro (Milano), Arlecchino d’oro 2001 (Mantova), Maschera d’oro 2001 (Mosca), Medaglia d’oro 2005 (Roma), come benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte, Leone d’oro alla carriera alla Biennale Internazionale di Venezia 2006. Nel 2007 è stato nominato Ambasciatore Unicef. È il responsabile del progetto e della direzione artistica dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte realizzata dal Piccolo Teatro. Stefano de Luca (Collaboratore alla messa in scena) Allievo di Giorgio Strehler, si diploma nel 1990 in recitazione e cinque anni dopo in regia. Frequenta seminari tenuti da Peter Brook, Ian McKellen (al Piccolo); Cicely Berry (Royal Shakespeare Company); Lev Dodin (Maly Teatr, San Pietroburgo). Assistente alla regia di Strehler tra il ‘95 il ‘98, in spettacoli tra cui L’isola degli schiavi di Marivaux, L’anima buona di Sezuan di Brecht, Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni e La grande magia di De Filippo, collabora anche con Lamberto Puggelli, Carlo Battistoni, Guido Ceronetti. Con Ferruccio Soleri ha collaborato alla regia dell’ultima edizione dell’Arlecchino strehleriano e come vicedirettore dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte a Mosca e Brindisi. Da circa dieci anni allestisce spettacoli in Italia e all’estero. Tra questi, Pinocchio storia di un burattino da Collodi, Il piccolo principe da Saint-Exupéry, La barca dei comici, spettacolo ispirato a un episodio dei Mémoires di Goldoni, nella rilettura di Strehler tutte e tre prodotti dal Piccolo; Sans titre dal Platonov di Cechov, presentato all’VIII Festival dell’UTE; Oreste di Alfieri, con Massimo Popolizio e Laura Marinoni, per l’Olimpico di Vicenza, Ubu Re di Jarry per il Teatro Nazionale di Timisoara (in rumeno); Trappola per topi della Christie, con Adriana Innocenti; Alcesti di Euripide (in ungherese) per l’Odry Szinhàz di Budapest; Baal di Brecht e Tre sorelle di Cechov (entrambi in tedesco), prodotti dal Wilhelma Theater di Stoccarda. Recentemente, con la compagnia che ha fondato, Lupusagnus, ha realizzato Mamma Mammazza, del drammaturgo italiano contemporaneo Aquilino. Nella stagione 2008/2009 ha messo in scena al Piccolo Darwin... tra le nuvole, spettacolo per ragazzi realizzato con Giulio Giorello e Luca Boschi per il bicentenario della nascita del naturalista inglese. Ezio Frigerio (Scene) Nato a Erba, dopo gli studi di architettura al Politecnico di Milano, inizia la collaborazione con il Piccolo Teatro nel 1955 come costumista per alcuni spettacoli di Strehler, tra cui La casa di Bernarda Alba di García Lorca e L’opera da tre soldi di Brecht. Dopo un periodo in cui lavora per il cinema, diventa collaboratore stabile di Strehler, realizzando le scene di moltissimi spettacoli memorabili, tra cui I giganti della montagna di Pirandello (1966), Santa Giovanna dei macelli di Brecht (1970), Re Lear di Shakespeare (1972), Temporale di Strindberg (1980), La grande magia di De Filippo (1985), Arlecchino di Goldoni (1973, 1987, la nuova scenografia dell’edizione 2003), tutti allestiti al Piccolo. Sempre per Strehler firma le scene dell’Illusion di Corneille, allestito a Parigi all’Odéon nel 1984. Nelle sue realizzazioni, Frigerio propone spazi articolati con grande genialità teatrale che si sviluppano (come in Temporale) su vari piani, usando al contempo materiali nuovi come plastica specchiantetrasparente e il perspex e raggiungendo inediti contrasti drammatici. Ma è anche nella scenografia per l’opera lirica che il suo talento ha modo di manifestarsi con gli allestimenti che realizza ancora per Strehler: Simon Boccanegra (1975) e Falstaff (1980) di Verdi, Lohengrin (1981) di Wagner (in cui emerge la visione geometrica dello spazio scenico gestito attraverso imponenti colonne che danno forza e spinta verticale all’immagine visiva), Le nozze di Figaro (1981) e Don Giovanni (1987) di Mozart. Nelle Nozze, in particolare, ricostruisce l’idea di un mondo settecentesco in cui la luce che penetra da grandi finestre disegna e delimita uno spazio ovattato e suggerisce le atmosfere dell’azione. Con Così fan tutte (1998), ancora di Mozart, ultima regia di Strehler, Frigerio termina una lunga e fertile collaborazione che ha conferito un’impronta fondamentale alla sua carriera di scenografo. Per il balletto lavora con R. Petit, R. Nureyev, Y. Grigovich, R. Hynd e B. Menegatti. Artista eclettico, in campo cinematografico collabora con De Sica, Castellani, Bolognini, Cavani, Bertolucci (per Novecento), Planchon, Konchalovskij, Schlöndorff e Rappeneau. Per il suo lavoro in Cyrano de Bergerac, film diretto da quest’ultimo, ha vinto il premio César, il premio europeo Awards, il Nastro d’Argento e ha ottenuto la nomination all’Oscar. Ha lavorato in tutti i più importanti teatri del mondo, tra cui Metropolitan (New York), Lyric Opera (Chicago), Covent Garden (Londra), Opéra, Opéra Bastille e Comédie Française (Parigi), e in città come Lione, Amburgo, Monaco, Vienna, Milano, Venezia, Roma, Tolosa, Madrid, Bruxelles, Stoccolma, Tokyo, Barcellona, Zurigo e Buenos Aires. Ha collaborato con registi come, tra gli altri, G. Deflo, L. Ronconi, L. Pasqual, N. Joel, G. Wod, M. Gas, W. Herzog, M. Sciaccaluga, P. Faggioni, F. Soleri, G. Vick, N. Espert, G. Montaldo, J. M. Flotats, E. Sagi. A Parigi ha ricevuto la Legione d’Onore per aver contribuito a creare un nuovo modo di concepire la scenografia in Francia. Franca Squarciapino (Costumi) Nata a Roma, all’Aquila compie gli studi classici e segue corsi di danza e di arte drammatica. In seguito vince una borsa di studio come attrice per un corso di tre anni alla televisione italiana e torna a Roma. A 22 anni l’incontro con Ezio Frigerio che diviene suo compagno di vita e prezioso maestro - con il quale scopre il mondo affascinante dei costumi. Come sua assistente, partecipa a importanti produzioni televisive di registi tra cui Bolchi, Castellani, la Cavani. Sempre come assistente di Frigerio inizia a collaborare con il Piccolo Teatro: l’incontro con Strehler è un evento importantissimo nella sua carriera perché è l’occasione in cui si avvicina al teatro nella sua più grande espressione. Per lui cura i costumi per Temporale di Strindberg, Minna von Barnhelm di Lessing, Arlecchino di Goldoni, L’opera da tre soldi di Brecht, Come tu mi vuoi di Pirandello e Così fan tutte. Ancora con Strehler e Frigerio, alla Scala collabora a Lohengrin, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Fidelio. Tra gli altri teatri per i quali ha lavorato, vi sono Opéra (Parigi), Covent Garden (Londra), Metropolitan (New York), La Monnaie (Bruxelles), Colón (Buenos Aires), Liceu e Nacional (Barcellona), Real e Zarzuela (Madrid), oltre ai teatri di Amburgo, Colonia, Berlino, Francoforte, Vienna, Salisburgo, Marsiglia, Nizza, Amsterdam, Lione, Ginevra, Zurigo, Messina, L’Aquila, Roma, Siviglia, Torino, Catania, Palermo, Avignone, Tolone. Ha collaborato con altri registi tra cui G. Deflo, V. Puecher, L. Ronconi, L. Cavani, N. Espert, L. Pasqual, A. Konchalovskij, R. Planchon, R. Wilson, G. Vick, P. Faggioni, P. Stein, G. Montaldo. Per il balletto, ha lavorato con R. Petit a numerose sue produzioni e anche con Rudolf Nureyev, Yuri Grigovich, Cristina Hoyos e altri. Per il cinema ha curato i costumi di Cyrano de Bergerac (con cui vince l’Oscar, il César, il premio della critica inglese, il premio europeo Awards e il nastro d’Argento) di J. P. Rappeneau, Il colonnello Chabert di Y. Angelo, La femme de chambre du Titanic e Volaverunt, entrambi di Bigas Luna. Caratteristica dei suoi costumi sono gli abbinamenti del colore e la ricerca meticolosa dei tessuti; la cura dei dettagli e la fedeltà storica del taglio lasciano comunque spazio all’invenzione e a una creatività sempre originale. Fiorenzo Carpi (Musica) Milanese, dopo gli studi di composizione presso il Conservatorio “Verdi”, conosce nel dopoguerra Giorgio Strehler e inizia a collaborare con lui al Piccolo dal 1947, scrivendo le musiche per oltre 120 spettacoli diretti dal regista, tra cui, Arlecchino servitore di due padroni e Il campiello di Goldoni, La tempesta di Shakespeare, I giganti della montagna di Pirandello, Il giardino dei ciliegi di Cechov, L’isola degli schiavi di Marivaux e Faust di Goethe. Nel frattempo, fa esperienze con orchestre da ballo con Gino Negri; lavora per la televisione (sue le musiche del celebre sceneggiato di Comencini Le avventure di Pinocchio); in teatro, con, tra gli altri, Vittorio Caprioli, Dario Fo, Vittorio Gassman, Franca Valeri, Franco Parenti, Eduardo De Filippo, Lamberto Puggelli; per il cinema con registi come Louis Malle, Peter Del Monte, Tinto Brass e Patrice Chéreau; scrive canzoni come Quella cosa in Lombardia (cantata in origine da Laura Betti), Ma mi, La luna è una lampadina, per gli allora esordienti Ornella Vanoni ed Enzo Jannacci. Autore anche di musiche da camera e sinfoniche, si spegne il 21 maggio 1997 all’età di 79 anni. Gerardo Modica (Luci) Nel 1963 comincia la sua carriera al Piccolo come elettricista di palcoscenico. Dal 1972, in qualità di primo elettricista, inizia il rapporto con Giorgio Strehler come operatore della consolle. Nella stagione 1988/89, per Faust frammenti parte I, è richiesto dallo stesso Strehler come collaboratore alle luci. In seguito partecipa a tutte le produzioni del Piccolo. Tra queste, La grande magia, Faust frammenti parte II, I giganti della montagna, Le baruffe chiozzotte, L’isola degli schiavi, La storia della bambola abbandonata e tutte le produzioni del FestivalBrecht (Stagione 1995/96), Così fan tutte di Mozart (1997/98), Nina, o sia la pazza per amore di Paisiello (1999/2000). Ha ideato le luci di tutti gli spettacoli diretti al Piccolo da Luca Ronconi fino al 2007: La vita è sogno di Calderón de la Barca, Il sogno di Strindberg, Lolita di Nabokov, I due gemelli veneziani di Goldoni, Phoenix della Cvetaeva, Candelaio di Giordano Bruno, Quel che sapeva Maisie di James, Infinities di Barrow, il trittico Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide, Le rane di Aristofane, oltre a Memoriale da Tucidide di Siciliano, Professor Bernhardi di Schnitzler, Il ventaglio di Goldoni e Inventato di sana pianta ovvero gli affari del barone Laborde di Broch. Ha curato anche le luci di Vecchia Europa di Delio Tessa, regia di Giuseppina Carutti. Nel corso della carriera ha affiancato altri registi che hanno realizzato spettacoli al Piccolo, tra cui Lamberto Puggelli, Enrico D’Amato, Carlo Battistoni, Walter Pagliaro, Katie Mitchell, Klaus M. Grüber, Gigi Proietti. Marise Flach (Movimenti mimici) Nata in Francia, ha studiato a Parigi frequentando il corso per attori della scuola E.P.J.D. (Education par le jeu dramatique). In seguito è entrata a far parte del gruppo Etienne Decroux. Nel ‘53 arriva alla Scuola del Piccolo in qualità di assistente di Giorgio Strehler. Da allora ha sempre collaborato con il Piccolo come insegnante, come creatrice dei movimenti mimici di moltissimi spettacoli e come realizzatrice di spettacoli di mimo. Tra le produzioni cui ha lavorato, L’isola degli schiavi di Marivaux con la regia di 41 Strehler, L’avaro di Molière e Siddharta di Hesse, entrambi per la regia di Puggelli, La storia della bambola abbandonata, scritto e diretto da Strehler e tratto da Brecht e Sastre, Il mercante di Venezia di Shakespeare, con la regia di Braunschweig. Sempre con Strehler ha collaborato a regie operistiche, tra cui Don Giovanni di Mozart alla Scala di Milano e Così fan tutte, sempre di Mozart. Insegna ai giovani cantanti lirici dell’A.s.L.i.Co. (Associazione Lirica Concertistica) e alla Scuola di Canto del Teatro alla Scala. Accanto a Luca Ronconi ha lavorato a tutte le produzioni delle ultime stagioni, da La vita è sogno di Calderón de la Barca a Lolita di Nabokov, da I due gemelli veneziani di Goldoni a Phoenix di Marina Cvetaeva, alla trilogia greca Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide e Le rane di Aristofane. Giorgio Bongiovanni (Pantalone de’ Bisognosi) Diplomatosi nel 1990 presso la Scuola di Teatro diretta da Giorgio Strehler prende parte a numerosi spettacoli diretti da Strehler stesso: Arlecchino servitore di due padroni (in cui, da più di quindici anni, interpreta il ruolo di Pantalone) e Il Campiello di Goldoni, Faust Frammenti Parte I e Parte II di Goethe, L’eccezione e la regola di Brecht, La storia della bambola abbandonata di BrechtSastre, Madre Coraggio di Sarajevo da Brecht. Ha lavorato con altri registi italiani: L. Ronconi (Il sogno di Strindberg, Professor Bernhardi di Schnitzler); C. Battistoni (Le nozze dei piccolo-borghesi di Brecht); G. De Monticelli (Il gran teatro del Mondo di Calderón de la Barca, Il teatrino delle meraviglie di Cervantes, Le anime morte di Gogol’, Il deserto dei Tartari di Buzzati, Mozart e Salieri e Il convitato di pietra di Puskin, Mondo di Carta di Pirandello), E. D’Amato, L. Puggelli, G. Tofano. Sempre al Piccolo ha recitato in Pericle di Shakespeare, regia K. Warlikowski, Vecchio Clown cercasi di M. Visniec, regia S. Iordanescu, Il mercante di Venezia di Shakespeare, regia S. Braunschweig, Riccardo III di Shakespeare, regia Á. Schilling Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht, regia R. Carsen. È apparso in diverse fiction televisive dirette da Alberto Sironi su RAI e Canale 5: Il furto del tesoro, Il Commissario Montalbano, I racconti di Carofiglio, Pinocchio. Negli ultimi anni si è dedicato alla regia lirica, mettendo in scena a San Marino Memét di G. B. Sammartini, Il matrimonio segreto di D. Cimarosa, e a Spoleto Don 42 Falcone di N. Jommelli per il Teatro Lirico Sperimentale. È tra i docenti dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Annamaria Rossano (Clarice, Beatrice) È nata a Monza nel 1976. Si è diplomata alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Con la Compagnia Egumteatro ha recitato negli spettacoli Il matrimonio per forza di Molière (1994/1995), Lupi e pecore di N. Ostrovskij (1995/1996), Olà da Kafka (1996/1997), Gamblet (2000) e Musik (2001), tutti con la regia di A. Bianco e V. Liberti. Al Piccolo ha lavorato ne Il sogno di Strindberg, sotto la direzione di Luca Ronconi (2000), Così fan tutte di Mozart (come mimo) con la regia di Giorgio Strehler (2000). Nel 2002 ha collaborato col Piccolo Teatro allo spettacolo per ragazzi Arlecchino racconta e nel 2003 è entrata nel cast di Arlecchino, servitore di due padroni. Nel 2006 ha recitato il monologo Khore, la luna di miele di Arianna sotto la direzione della regista e autrice Sonia Arienta. Nello stesso anno ha partecipato allo spettacolo diretto da Guido De Monticelli Storie a mare. Stefano de Luca l’ha diretta in Mamma Mammazza di Aquilino, al Teatro Ringhiera del Gratosoglio di Milano. È tra i docenti dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Tommaso Minniti (ll Dottor Lombardi) Diplomato nel 1999 presso la Scuola di Teatro del Piccolo, dove frequenta, tra gli altri, i corsi tenuti da Giorgio Strehler, Giulia Lazzarini, Franca Nuti, Gianfranco Mauri e Ferruccio Soleri, nello stesso anno ottiene una segnalazione speciale al “Premio Hystrio alla vocazione”. Dopo aver partecipato a Elvira o la passione teatrale di Jouvet, regia di Strehler, e a Camillo. Memo 1.0: costruzione del teatro, progetto e regia di E. Hrvatin, “incontra” l’Arlecchino servitore di due padroni nella stagione 1998/99 interpretando il ruolo del Dottor Lombardi. Nel corso della carriera ha partecipato in qualità di mimo a Così fan tutte di Mozart, regia di Strehler, e ha recitato in spettacoli come Il sogno di Strindberg, Professor Bernhardi di Schnitzler, entrambi con la regia di L. Ronconi, I due gentiluomini di Verona di Shakespeare, Euridice di Jean Anouilh, Assassinio nella cattedrale di Thomas Eliot e Romeo e Giulietta di Shakespeare tutti diretti da E. Petronio, Il deserto dei Tartari, dal romanzo di Buzzati, regia di G. De Monticelli, Questa sera si recita a soggetto di Luigi Pirandello, regia di M. Castri. Di recente ha partecipato al Piccolo a La storia della bambola abbandonata, regia di Giorgio Strehler, ripresa da Andrea Jonasson, Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht, per la regia di R. Carsen e ha letto un ciclo di sonetti tratti dal Canzoniere di Petrarca. Ha realizzato per il Piccolo gli spettacoli per ragazzi Carri canovacci e maschere, Il piccolo mondo delle maschere e Benvenuti al Piccolo e la macchina scenica intorno a Goldoni e alla Commedia dell’Arte. In tv ha preso parte al Pinocchio diretto da Alberto Sironi. Ha partecipato alla Summer Academy diretta da S. Braunschweig. È tra i docenti dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Stefano Onofri (Silvio) Romano, divide la sua passione fra teatro, musica e doppiaggio. In palcoscenico ha lavorato, tra gli altri, con registi come Bosetti (L’albergo del libero scambio di Feydeau), Sequi (L’olimpiade di Metastasio, Rapacità di Gorkij), Battistoni (Gli ultimi di Gorkij), Sepe (Accademia Ackermann e Pick pocket, entrambi dello stesso Sepe, Victor o i bambini al potere di Vitrac), Maccarinelli (La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio), Zeffirelli (Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello), Micol (Don Giovanni involontario di Brancati), Scaparro (Il teatro comico di Goldoni, Teatro Excelsior di Cerami). Ha partecipato all’Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, regia di Strehler, recitando in più riprese dello spettacolo e indossando i panni di Florindo e di Silvio (il suo ruolo attuale). Interprete di musical accanto ad artisti come Massimo Ranieri (Hollywood di Togni e Morra, regia di Patroni Griffi), Gianpiero Ingrassia e Chiara Noschese (con entrambi in Il pianeta proibito di Carlton, regia di Rossi Gastaldi), presta, come doppiatore, la propria voce all’edizione italiana di cartoon (L’uomo ragno e Tin Tin, tra gli altri), film e telefilm. Per il grande schermo ha recitato in Pinocchio di Roberto Benigni nel ruolo del burattino Arlecchino. Il suo recital Serenata a Roma, con il chitarrista Massimo Antonietti, ha avuto grande successo in Italia e negli USA. È ora la voce di Lupin III negli omonimi film di animazione. Il suo nuovo spettacolo musicale L’eco der core, inizierà a breve un tour in tutta Italia. È tra i docenti dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Giorgia Senesi (Beatrice) Diplomata alla Scuola del Piccolo, debutta nel 1992 in Faust di Goethe, regia di Giorgio Strehler. Ancora con Strehler ha recitato ne I giganti della montagna di Pirandello e, dalla stagione ‘97-’98, è stata Beatrice in Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, in Italia e all’estero; con Enrico D’Amato, ha recitato ne Il teatro comico di Goldoni e Il gabbiano di Cechov; con Lamberto Puggelli ne L’avaro di Molière; diretta da Stefano de Luca ha recitato in Pinocchio storia di un burattino, di Collodi e in Mamma Mammazza di Aquilino. Ronconi l’ha diretta ne Il sogno di Strindberg (2001) Quel che sapeva Maisie (2002) dal romanzo di Henry James e nella trilogia di testi classici Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide, Le rane di Aristofane (2002 e riprese). Tra gli altri registi con cui ha lavorato, Maurizio Scaparro (Memorie di Adriano della Yourcenar); Karin Beier (Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare); Corrado D’Elia (Le nozze dei piccolo borghesi di Brecht); Chérif (Materiali per una tragedia tedesca di Antonio Tarantino); Sergio Fantoni (Il libertino di Eric-Emmanuel Schmitt e Giù dal monte Morgan di Arthur Miller); Guido De Monticelli (Mozart e Salieri e Il convitato di pietra di Puskin). Attualmente è impegnata in un progetto sui Demoni di Dostoevskij per la regia di Peter Stein. Stefano Guizzi (Florindo, Brighella) Classe 1970, si è diplomato nel 1990 alla Scuola di Teatro diretta da Giorgio Strehler. Ha partecipato a stage con Ian McKellen, Carolyn Carlson, Rena Miretchka, Robert Wilson. Ha lavorato al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler (Faust I e II, Arlecchino servitore di due padroni), Robert Wilson (70 Angels on the Façade), Carlo Battistoni (Madre Coraggio di Sarajevo), Giuseppina Carutti (Il pozzo dei pazzi di F. Scaldati), Roberto Graziosi (Giorni felici nella camera bianca… di Rocco D’Onghia), e Stefano de Luca (Romeo e Giulietta, Pirandello sotto le stelle, Pinocchio); al Teatro Franco Parenti con A. R. Shammah (I Promessi Sposi alla prova, La vita è sogno, La cerca del Graal); all’Hebbel Theater e alla Schaubhüne di Berlino con Robert Wilson (Saints and Singing di Gertrude Stein); al Theatre Populaire Romand con G. Zampieri (George Dandin). Partecipa al progetto PPP con Cristina Pezzoli, Letizia Russo e Antonio Tarantino. Ha esperienza di drammaturgia e di regia, con numerosi spettacoli di teatro di strada e teatro-ragazzi. Ha lavorato anche in radio (con G. Bertolucci e M. Melato) e in televisione (Imparare la Tv regia di G. Cipollitti, L’Uomo dell’argine di Squizzato). Nell’Arlecchino servitore di due padroni ha ricoperto i ruoli di Brighella, Silvio, Florindo, Pantalone e Suggeritore. Dal 2000 partecipa al progetto e alle attività del Villaggio Ecologico di Granara e in particolare del Granara Teatro Festival. È tra i docenti dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Leonardo de Colle (Florindo) Nel 1990 si diploma alla Scuola di Teatro del Piccolo con Giorgio Strehler e, per la regia di quest’ultimo, recita in spettacoli quali Faust di Goethe, I giganti della montagna di Pirandello, Il campiello e Arlecchino servitore di due padroni (nel quale ha rivestito i ruoli di Pantalone, Florindo, Silvio e Suggeritore), L’isola degli schiavi di Marivaux. Ha lavorato con importanti registi, tra cui Cesare Lievi (The country di Crimp, La brocca rotta di von Kleist), Lamberto Puggelli (Il gattopardo da Tomasi di Lampedusa, L’avaro di Molière), Luca Ronconi (Il sogno di Strindberg), Robert Carsen (Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht) All’attività teatrale affianca la partecipazione a diverse produzioni televisive. Ha tenuto corsi sulle tecniche della Commedia dell’Arte e corsi di recitazione presso il Teatro Nazionale di Timisoara in Romania; per il Teatro Stabile di Verona ha diretto un seminario di narrazione teatrale. Da alcuni anni si dedica anche allo studio e all’insegnamento delle tecniche di racconto, di recitazione e di comunicazione per professionisti della parola. Sergio Leone (Florindo) Allievo di Giorgio Strehler alla Scuola di Teatro del Piccolo, è stato diretto, sempre da Strehler, negli spettacoli Faust frammenti parte I e parte II di Goethe, L’eccezione e la regola e L’anima buona di Sezuan di Brecht, Madre coraggio di Sarajevo da Brecht, Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni. Ha lavorato con Guido De Monticelli ne Le anime morte di Gogol’, con Gigi Proietti in Socrate di Vincenzo Cerami e con Cesare Lievi ne Il principe costante di Calderón de la Barca. Diretto da Ronconi ha recitato ne Il sogno, Infinities, Amor nello specchio, Peccato che fosse puttana, Professor Bernhardi. Sempre al Piccolo, ha lavorato con Robert Carsen nello spettacolo Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht. Nell’estate 2006 ha recitato a Siracusa nello spettacolo Ecuba di Euripide per la regia di Massimo Castri. Nella stagione 2008/09 ha lavorato con Stefano de Luca in Mamma Mammazza di Aquilino e, al Piccolo, a Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare regia di Luca Ronconi, I pretendenti di Jean-Luc Lagarce e Il gatto con gli stivali - Una recita continuamente interrotta di Tieck/Tessitore, entrambi con la regia di Carmelo Rifici. Enrico Bonavera (Brighella, Arlecchino) Allievo “di bottega” di Ferruccio Soleri, con alle spalle una formazione nell’ambito del teatro di ricerca ha collaborato con l’Odin Teatret di Eugenio Barba - svolge da ormai tre decenni la sua attività di attore di prosa e insegnante di teatro. Oltre al Piccolo Teatro di Milano - con cui è stato dal 1987 al 1990 e successivamente dal 2000 ad oggi ha lavorato con Teatri Stabili, Compagnie private e Cooperative, tra cui il Teatro Stabile del Veneto, il Teatro di Genova, il Teatro Carcano di Milano, il Teatro della Tosse e il Teatro dell’Archivolto di Genova, il TAG Teatro di Venezia e La Piccionaia - I Carrara di Vicenza. Come attore di prosa, è stato diretto da Strehler, Lassalle, Sciaccaluga, Amelio, Battistoni, Soleri, Bosetti, Conte, Gallione, Crivelli, Kerbrat, Boso, Friedel, Hertnagl, Emiliani, Maifredi, Damasco. Come insegnante, 43 collabora con la Scuola di Recitazione del Teatro di Genova; con Prima del Teatro - Scuola Europea di S. Miniato di Pisa; con i Corsi estivi del Centro maschere di Abano Terme, diretto da D. Sartori con l’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Dal 2004 è docente al DAMS di Imperia del corso di Drammaturgia dell’attore. Ha tenuto Corsi per il Teatro all’Avogaria di Venezia, per il Teatro Stabile del Veneto, per il Teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma, per l’ENSATT di Lione, per lo Studium Actoris di Fredrikstat (Norvegia), all’Università di Rio de Janeiro, al Centro Int. di Teatro di Figura “Odradek” in collaborazione con l’Università di Toulouse, l’ISTA diretta da Eugenio Barba presso il Teatro Potlach di Fara Sabina. Nel 1996 è stato premiato al Festival di Borgio Verezzi, come miglior attore non protagonista per la sua interpretazione di Arlecchino ne I due gemelli veneziani di Goldoni, regia di G. Emiliani. Nel 2007 al Festival “Mantova Capitale Europea dello spettacolo” è stato insignito dell’Arlecchino d’Oro, premio già assegnato, tra gli altri, a Marcel Marceau, Dario Fo, Ferruccio Soleri. Alessandra Gigli (Smeraldina) Si diploma nel 1996 presso la Scuola del Piccolo Teatro diretta da Giorgio Strehler, dopo aver frequentato la Scuola Regionale per Attori di Prosa della città di Latina. Il suo debutto in teatro risale al 1991, anno in cui è protagonista di Interrogatorio a Maria di Giovanni Testori regia di Walter Manfré. Tra gli allestimenti cui prende parte negli anni successivi, vi sono I Canti Randagi, spettacolo musicale con intermezzi di prosa, e V Canto dell’Inferno a cura di Giuseppina Carutti, Prima della guerra di Giuseppe Manfridi, regia di Andreas Rallis, Peter Pan di Luca De Bei, regia di Alessandro Fabrizi, e Musical dello stesso Fabrizi, premiato al Festival dei Corti teatrali al Teatro Vittoria di Roma. Dal 2001 è Smeraldina nell’Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, regia di Giorgio Strehler. Alla passione per il teatro, unisce quella per il canto, dal folk al jazz, collaborando da diversi anni con vari gruppi musicali. Ha lavorato anche per la televisione e per la pubblicità. 44 Francesco Cordella (Capocameriere, Facchino) Napoletano, si diploma nel 1993 presso la Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Prende parte ad alcuni storici spettacoli strehleriani: Faust di Goethe, I giganti della montagna di Pirandello, Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni e La grande magia di Eduardo De Filippo, regia di Strehler ripresa da Carlo Battistoni. Sempre al Piccolo, lavora, diretto da Stéphane Braunschweig, nel Mercante di Venezia di Shakespeare e collabora all’animazione del “Festival dei bambini”. Nel 1996 incontra Robert Wilson e partecipa a vari allestimenti da lui diretti, come TSE - The waste lande di Eliot, al Festival di Weimar, Saints and singing di Gertrude Stein, presso l’Hebbel Theater e la Schaubhüne di Berlino, 70 Angels on the Façade al Piccolo Teatro di Milano, Doktor Caligari di Weine presso il Deutsches Theater di Berlino. Nella stagione 2000/2001 è scritturato dal Burgtheater di Vienna per la produzione Mit leidenshaften ist nicht zu spassen diretta da Karin Beier e tratta da Questa sera si recita a soggetto di Pirandello. Nel 2003 scrive, realizza e produce lo spettacolo teatrale La lezione di matrimonio tratto da Cechov e Ionesco e andato in scena a Verona. Nel 2006 partecipa a Madre Coraggio e i suoi figli diretto da Robert Carsen al Piccolo Teatro di Milano. Successivamente interpreta il ruolo di Zeus nell’Anfitrione di Plauto con Oreste Lionello. Nel 2009 ha partecipato allo spettacolo Donne, velocità, pericolo di e con Edoardo Sylos Labini. Diplomato in solfeggio al conservatorio di Napoli è autore musicale e musicista. È tra i docenti dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Giulia Valenti (Cameriere/Clarice) Diplomata nel 2005 alla scuola del Piccolo con Luca Ronconi, ha preso parte, ancora nel periodo degli studi, alle principali produzioni ronconiane al Piccolo, tra cui Prometeo incatenato di Eschilo, Infinities di Barrow, Baccanti di Euripide, Rane di Aristofane. Sempre diretta da Ronconi, è stata protagonista di Soldati di Lenz. Ha recitato ne La Calandria di Bernardo Dovizi da Bibbiena, progetto di Ronconi e regia di Marco Rampoldi. Con la regia di Caterina Simonelli, ha intepretato Visioni di Shakespeare, da Sogno di una notte di mezza estate. In seguito ha collaborato con Gli Incauti - Liberassociazione teatrale in Nuvole di Aristofane, regia di Simone Toni. Nel 2007 è entrata a far parte della compagnia di Arlecchino servitore di due padroni. Giorgio Sangati (Suggeritore/Cameriere) Diplomato nel 2005 alla scuola del Piccolo con Luca Ronconi, segnalato al Premio Hystrio premio alla vocazione teatrale, da studente ha recitato in diverse produzioni del Piccolo, tra cui La vaccaria di Ruzante (regia di Gianfranco de Bosio), Infinities di Barrow, Rane di Aristofane, Soldati di Lenze tutti diretti da Ronconi. Ha partecipato a Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht, allestito da Robert Carsen al Piccolo. Tra gli spettacoli più recenti in cui ha lavorato, La Calandria di Dovizi da Bibiena, per la regia di Marco Rampoldi, su progetto di Luca Ronconi, Il mercante di Venezia di Shakespeare, diretto da Luca De Fusco, Arlecchino racconta (al Piccolo) regia di Stefano de Luca, La strage di Parigi di Marlowe con la regia S. Tomassini, Visioni di Shakespeare con la regia di Caterina Simonelli e I bagni di Abano di Carlo Goldoni regia di Giuseppe Emiliani. Nel 2007 è entrato a far parte della compagnia di Arlecchino servitore di due padroni. Nel 2008 è stato segnalato come regista-drammaturgo al premio “Giovani Realtà del Teatro di Udine”. Al cinema ha lavorato con Marco Tullio Giordana per Sangue pazzo e con Renato De Maria per La prima linea. È tra i docenti dell’Accademia Internazionale della Commedia dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri. Matteo Romoli (Cameriere) Allievo di Luca Ronconi - si è diplomato presso la Scuola di Teatro del Piccolo nel 2005 - ha poi frequentato, sempre con Ronconi, la scuola di perfezionamento del Centro Teatrale Santa Cristina. Ha preso parte agli spettacoli Riccardo III di Shakespeare, regia Á. Schilling, Il bugiardo di Goldoni, regia G. Bosetti e, con Luca Ronconi, Infinities di J. Barrow, Memoriale da Tucidide di E. Siciliano, Le rane di Aristofane, I soldati di J. Lenz (coprotagonista). Ha recitato anche nell’Arlecchino di Giorgio Strehler, in Madre Coraggio e i suoi figli con Robert Carsen e nella Calandria di Dovizi da Bibbiena (progetto di Luca Ronconi, regia di M. Rampoldi). Ancora con Ronconi ha recitato ne Il ventaglio di Goldoni. Al cinema, ha preso parte al recente film Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee. Camilla Semino Favro (Cameriere) Diplomata nel 2008 alla Scuola di Teatro del Piccolo diretta da Luca Ronconi, come allieva, ha partecipato a produzioni del Piccolo quali La Piovana di Ruzante, La Turandotte di Gozzi (regia Gianfranco de Bosio) Gl’Innamorati di Goldoni, regia Massimo De Francovich, Il misantropo di Molière, regia Enrico D’Amato. De Bosio l’ha diretta anche in scene tratte da Romeo e Giulietta e La dodicesima notte di Shakespeare. Ha recitato in Se questo è un uomo di Primo Levi, regia Lorenzo Costa e La nave dei folli, regia Enrico Bonavera. Sotto la guida di E. Evtushenko e G. de Bosio, ha intepretato Le laudi di J. Da Todi. Nel 2008 è entrata nella compagnia dell’Arlecchino Servitore di due padroni. Gianni Bobbio (Chitarra) Chitarrista polistrumentista, compositore e arrangiatore, ha collaborato, sia in sala di incisione sia in concerti dal vivo, con artisti come Nicola di Bari, Fausto Papetti, Fausto Leali, Johnny Sax, Gil Ventura, Bob James, Mina, Mia Martini, Ornella Vanoni, Iva Zanicchi, Al Bano e Romina Power, Fred Buongusto, Alice, Giorgio Gaber, Franco Battiato e Loredana Berté. A suo nome ha pubblicato gli album Top 1 - Top 2 e otto album per la collana musicale Una chitarra per sognare (col nome d’arte di Bobby Johns). Con lo pseudonimo di Xshar ha realizzato un CD di musica New Age Celtic Tales. In teatro ha lavorato con Giorgio Strehler, Walter Chiari, Lando Buzzanca e Nino Manfredi. Nel 2008 ha scritto le musiche per lo spettacolo Il piccolo mondo delle maschere, prodotto dal Piccolo Teatro e diretto da Tommaso Minniti. È autore di colonne sonore per la televisione, come la sigla per l’UNICEF, Montana, Carnaby Street e Calimero, e di numerosi jingles pubblicitari. Nel 2005 è stato il primo classificato al premio D’Anzi. Una sua canzone ha partecipato all’edizione 2008 dell’Ambrogino d’oro. Franco Emaldi (Tromba) La Musica come “stile di vita” e la Tromba come mezzo di espressione… Sensibilità, duttilità e preparazione gli consentono di affrontare un’intensa attività musicale e trombettistica fin dai primi anni ‘90. Diplomato dal 1985 abbina alla formazione classica una preparazione moderna e jazzistica. Le varie esperienze professionali lo portano a viaggiare molto entrando in contatto con differenti espressioni che lo arricchiscono musicalmente e tecnicamente, dalla New York jazzistica alla latina Miami, passando per i Caraibi fino al Brasile. Dal 1999 collabora con il Piccolo Teatro di Milano. Paolo Mattei (Tromba) Lavora nello spettacolo Arlecchino servitore di due padroni per il Piccolo Teatro di Milano dal 1998. Francesco Mazzoleni (Trombone) Si è diplomato in trombone presso l’Istituto Musicale “G. Donizetti”, sotto la guida del M° G. Corsini. Ha poi partecipato a masterclass tenute da strumentisti di fama internazionali quali J. Friedman, M. Mulcahy, C. Vernon (trombonisti della Chicago Simphony Orchestra); J. Alessi (Trombone principale della New York Simphony Orchestra); A. Conti; Rex Martin (docente della Northwestern University di Chicago). Ha collaborato con: Orchestra del Teatro alla Scala, I Solisti Veneti, Orchestra sinfonica RTI della Radio Svizzera, Teatro G. Verdi di Trieste, Teatro San Carlo di Napoli, Orchestra Sinfonica G. Verdi di Milano, Orchestra A. Toscanini di Parma, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Orchestra della Rai di Milano, Orchestra Nazionale della Rai di Torino, Orchestra del Teatro G. Verdi di Parma, Orchestra Filarmonica Italiana, Orchestra Cantelli di Milano, Orchestra Città di Ferrara, Orchestra del Veneto di Padova e con diversi gruppi da camera. Nel 2003 ha eseguito, in prima nazionale, il concerto a lui dedicato dal compositore G. Bobbio TrombonSuite per trombone solista e orchestra fiati. Collabora regolarmente con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, Orchestra Haydn di Bolzano, Orchestra Stabile di Bergamo. Dal 1992 collabora con il Teatro Arena di Verona per il festival estivo e per tournée. Dal 1997 fa parte della compagnia del Piccolo Teatro di Milano e con lo spettacolo Arlecchino servitore di due padroni ha compiuto tournée in tutta Europa ma anche in Giappone, Colombia, Egitto, Cina, Israele, Russia, Corea. Elisabetta Pasquinelli (Flauto, ottavino) Nata a Livorno nel 1981, ha studiato presso l’Istituto Musicale “Pietro Mascagni” della sua città, dove, nel 2003, si è diplomata in flauto con il massimo dei voti e nel 2006 in Jazz. Si perfeziona in flauto e ottavino presso il “Maggio Musicale Fiorentino”. È attiva nella musica classica sia come solista sia come flauto e ottavino in orchestra ed in formazioni di musica da camera. Fa inoltre parte dell’Orchestra “Toscana Jazz”, con la quale spazia dal jazz alla musica leggera. Sin dall’inizio degli studi musicali ha coltivato la passione per il teatro, suonando e componendo musiche in spettacoli teatrali. È iscritta inoltre al corso di laurea Cinema Musica Teatro dell’Università di Pisa, facoltà di Lettere. Collabora con il Piccolo Teatro di Milano, in qualità di flautista e ottavinista nello spettacolo teatrale Arlecchino servitore di due padroni dall’aprile 2006. 45 Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa Il Piccolo Teatro Fondato il 14 maggio del 1947 da Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi, il Piccolo Teatro di Milano è il primo Teatro Stabile italiano. “Teatro d’Arte per Tutti” era lo slogan che accompagnava il Piccolo alla sua nascita e che anche oggi ne riassume pienamente le finalità: portare in scena spettacoli di qualità indirizzati a un pubblico più ampio possibile. Il Piccolo gestisce tre sale: la sede storica di via Rovello (560 posti), ribattezzata Teatro Grassi (attualmente in ristrutturazione), lo spazio sperimentale del Teatro Studio (420 posti) e la nuova sede che oggi porta il nome di Giorgio Strehler di 960 posti. Dal 1991 è Teatro d’Europa. In sessantadue anni di attività, il Piccolo ha rappresentato oltre 280 spettacoli, 200 dei quali diretti da Giorgio Strehler, di autori quali Shakespeare, Goldoni, Brecht, Cechov, Pirandello e Goethe. Con il passaggio del testimone a Sergio Escobar e a Luca Ronconi, dopo la morte di Strehler, avvenuta nel ‘97, il Piccolo ha accentuato la propria dimensione internazionale e interdisciplinare, candidandosi quale ideale polo culturale cittadino ed europeo. Sui suoi palcoscenici si alternano prosa, danza, opera lirica, cinema, tavole rotonde e incontri di approfondimento culturale. Per quanto riguarda la dimensione Il Piccolo dal 1947 ad oggi Spettacoli allestiti 290 Attori scritturati 1.689 Recite a Milano 12.935 Recite in Italia 7.076 Edizioni Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa. Direttore editoriale Giovanni Soresi. A cura di Eleonora Vasta. Progetto grafico Emilio Fioravanti, G&R Associati. Elaborazione grafica Davide Notarantonio Realizzazione grafica copertina Silvia Finotti. Foto Diego e Luigi Ciminaghi. 46 Gli altri spettacoli di Carlo Goldoni al Piccolo Teatro internazionale, il Piccolo è stato in tournée in tutti i paesi del mondo, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Cina al Giappone, dall’Europa al Nord Africa. Soltanto negli ultimi dieci anni, gli spettacoli del Piccolo sono stati ospitati in 220 città del mondo, per un totale di 1.400 recite e un milione di spettatori. Con le produzioni che ha allestito al Piccolo, Luca Ronconi ha proseguito il proprio itinerario di ricerca, proponendo classici come Calderón de la Barca, Strindberg, Goldoni, John Ford, Eschilo, Euripide, Shakespeare, tra gli altri, alternati ad autori meno frequentati come Schnitzler, Hermann Broch o il contemporaneo Jean-Luc Lagarce, accanto alle versioni per la scena di celebri romanzi di Nabokov ed Henry James, fino allo spettacolo tratto da cinque scenari sull’infinito (Infinities) del matematico inglese John D. Barrow. Ogni anno, continuativamente a partire dal ‘99, la prima edizione fu dedicata a Strehler, il Piccolo organizza il Festival del Teatro d’Europa, che ha ospitato artisti come Peter Brook, Eimuntas Nekrosius, Robert Lepage, Lev Dodin, Lluís Pasqual, Ingmar Bergman, Julio Bocca, Ute Lemper, Simon McBurney, Edward Hall. Dall’86 il Piccolo gestisce anche una scuola di teatro, fondata da Giorgio Strehler e oggi diretta da Luca Ronconi, che ha diplomato in questi anni oltre 160 attori professionisti. Recite all’estero Totale recite 1.897 21.908 (elenco al 14 aprile 2009) Hanno collaborato: Silvia Colombo, Archivo Fotografico del Piccolo Teatro di Milano. Franco Viespro, Archivio Storico del Piccolo Teatro di Milano. Katia Cusin, Mario Macchitella (redazione). Livia Cavaglieri. pubblicità A.P. Milano, tel. 02/866.152 Stampa Grafica C&P s.r.l., Osnago (Lc) marzo 2009. La putta onorata regia Giorgio Strehler, scene Gianni Ratto, costumi Ebe Colciaghi Venezia, Campo S. Trovaso (XI Festival Internazionale del Teatro), 20 luglio 1950 Gli innamorati regia Giorgio Strehler, scene Gianni Ratto, costumi Ebe Colciaghi Piccolo Teatro, 8 ottobre 1950 L’amante militare (insieme a Il medico volante di Molière) regia Giorgio Strehler, scene di Mischa Scandella, costumi Ebe Colciaghi Piccolo Teatro, 27 ottobre 1951 La vedova scaltra regia Giorgio Strehler, scene Fabrizio Clerici, costumi Leonor Fini Venezia, Teatro La Fenice (XIV Festival internazionale del teatro), 7 ottobre 1953 La trilogia della villeggiatura regia Giorgio Strehler, scene Mario Chiari, costumi Maria de Matteis Piccolo Teatro, 23 novembre 1954 La casa nova (per il Teatro di Venezia) regia Carlo Lodovici scene e costumi Ezio Frigerio Bergamo, Teatro Donizetti, 5 gennaio 1956 La famiglia dell’antiquario (Teatro di Venezia) regia Orazio Costa, scene e costumi Valeria Costa Bergamo, Teatro Donizetti, 7 gennaio 1956 La cameriera brillante (Teatro di Venezia), regia Carlo Lodovici, scene e costumi Mischa Scandella Trieste, Teatro Nuovo, 17 marzo 1956 Le donne gelose (Teatro di Venezia), regia Carlo Lodovici, scene e costumi Mischa Scandella Venezia, Teatro Verde, 27 luglio 1956 Le baruffe chiozzotte regia Giorgio Strehler, scene e costumi Luciano Damiani Teatro Lirico 29 novembre 1964 (seconda edizione: Siviglia, Expo ‘92, T. Lope de Vega, 7 ottobre 1992) Il campiello regia Giorgio Strehler, scene e costumi Luciano Damiani Piccolo Teatro 30 maggio 1975 (seconda ed. Piccolo Teatro, 6 febbraio 1993) Il teatro comico regia Enrico D’Amato, scene e costumi Luisa Spinatelli Teatro Studio, 16 marzo 1994 I due gemelli veneziani regia Luca Ronconi, scene Margherita Palli, costumi Vera Marzot Piccolo Teatro, Teatro Grassi, 13 marzo 2001 Il ventaglio regia Luca Ronconi, scene Margherita Palli, costumi Gabriele Mayer Piccolo Teatro, Teatro Strehler, 16 gennaio 2007 Entra nell’Albo d’Oro! Sottoscrivi una donazione al Piccolo Teatro e vivi un anno di emozioni uniche! L’anno passato, in occasione dei festeggiamenti per il Sessantesimo anniversario della sua fondazione, il Piccolo Teatro ha istituito l’Albo d’Oro dei Sostenitori, con lo scopo di riunire tutti coloro, privati e aziende, che, a vario titolo e con diverse elargizioni, vogliono sostenere e finanziare le sue attività, in Italia e nel mondo. Entrare a fare parte dell’Albo d’Oro dei Sostenitori è facile! Esistono diverse fasce di donazione: Sostenitore Ordinari da € 500 a € 950 Sostenitore Amico da € 1.000 a € 2.450 Sostenitore Benemerito oltre € 2.500 Mecenati € 30.000 MECENATI Bisazza Mosaico CentroMarca FIMAA Milano Fondazione IBM Generale Conserve Indicod Ecr Pirelli & C UBI - Banca Regionale Europea Scopri le speciali opportunità riservate ai Sostenitori! Gli appartenenti all’Albo potranno vivere in modo speciale l’attività teatrale del Piccolo con agevolazioni, appuntamenti unici e iniziative speciali a loro dedicati. Per avere maggiori informazioni a riguardo e per conoscere le modalità di adesione, contattare l’Ufficio Raccolta Fondi al numero 02.717241 o inviare una mail all’indirizzo [email protected] SOSTENITORI BENEMERITI SOSTENITORI AMICI SOSTENITORI ORDINARI Carlo Belgir Fondazione Berti Gustavo Ghidini MarvecsPharma Francesco Micheli Emma Vittoria Tonolli Gae Aulenti Vittorio Gregotti Pietro Ichino Giovanni Iudica Paolo Francesco Lazzati Alessandro Nespoli Nandi Ostali Carla Piasentin Canussio GianPietro Rausse Marta Vacondio Marzotto Carla Venosta Fossati Bellani Amici della Scala Rosellina Archinto Marconi Annamaria Cascetta Lucio Dalla Milli De Monticelli Dario Ferrari Piergiorgio Gattinoni Federico e Renate Guasti Mimma Guastoni Maria Grazia Mezzadri Cofano Rosella Milesi Saraval Tullio Pericoli Maurizio Porro Paolo Pototschnig Gianbattista Stoppani Dolores Redaelli (onorario) (elenco aggiornato al 31 marzo 2009) Piccolo web 2.0 il Teatro è interattivo Accumula punti sulla tua PiccoloCard www.piccolocard.it Scopri il mondo di PiccoloCard. 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