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Arlecchino - notstudio soluzioni grafiche

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Arlecchino - notstudio soluzioni grafiche
Piccolo Teatro Studio
15 aprile - 10 maggio 2009
Goldoni
Strehler
Arlecchino
servitore di due padroni
Sotto l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica
“Arlecchino”
un viaggio lungo 62 anni
Arlecchino
servitore di due padroni
41nazioni
Le tournée nella stagione 2008/2009
300
Quito - Ecuador
Festival Internacional de Teatro Experimental
25 e 26 settembre 2008
città in Italia
e nel mondo
2600
recite dal 1947
ad oggi
Mosca - Russia
Teatro Maly, 21/26 ottobre 2008
Udine - Italia
Teatro Nuovo Giovanni da Udine
19/22 novembre 2008
Adana - Turchia
Sabanci International Adana Theater Festival
11 e 12 aprile 2009
Brindisi - Italia
Fondazione Nuovo Teatro “G. Verdi”
13 e 14 maggio 2009
Tokyo - Giappone
Setagaya Public Theatre, 3/5 luglio 2009
di Carlo Goldoni
regia Giorgio Strehler
messa in scena da Ferruccio Soleri
con la collaborazione di Stefano de Luca
scene Ezio Frigerio
costumi Franca Squarciapino
musiche Fiorenzo Carpi
movimenti mimici Marise Flach
luci Gerardo Modica
maschere Amleto e Donato Sartori
Sotto l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica
Sotto l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica
Fondazione
Piccolo Teatro di Milano
Teatro d’Europa
Stagione 2008/09
62a dalla fondazione
Soci Fondatori
Comune di Milano
Regione Lombardia
Provincia di Milano
Socio Sostenitore
Camera di Commercio Industria
Artigianato Agricoltura di Milano
Consiglio Generale
Letizia Moratti
Sindaco di Milano
Roberto Formigoni
Presidente Regione Lombardia
Filippo Penati
Presidente Provincia di Milano
Consiglio d’Amministrazione
Claudio Alberto Risé
Presidente
Consiglieri
Pierluigi Crola
Luca Doninelli
Andrea Margheri
Giuseppe Nanni
Federica Olivares
Antonio Pastore
Collegio dei Revisori dei Conti
Marco Arisi Rota
Presidente
Revisori dei Conti
Francesco Tundo
Ugo Zanello
Direttore
Sergio Escobar
Direttore Artistico
Luca Ronconi
Fiumi di parole hanno raccontato la storia di un evento
teatrale unico, uno spettacolo che andò in scena la prima
volta nel luglio del 1947 e che, da allora, ha girato il mondo
ed è stato visto in Paesi di lingua e cultura diversissime e
lontanissime dalle nostre.
Qual è il “segreto” di Arlecchino? Per quale motivo continua,
inesorabilmente, a farci ridere - e non solo - anche se ne
conosciamo a memoria le battute? Perché ha attraversato le
generazioni?
Tante le risposte possibili: l’infinita umanità di cui questo
testo e lo spettacolo di Strehler sono intrisi, il fatto che parli
di un poveraccio che mette a frutto l’ingegno per riuscire a
mangiare due volte e che, allo stesso tempo, guarda e
“giudica” una società in cambiamento.
Ma è, soprattutto, la testimonianza di un percorso artistico,
poetico, estetico di Strehler. Le tante edizioni che si sono
susseguite restituiscono il senso di un viaggio che, partendo
da Goldoni, si lega intimamente all’”altro” autore di Strehler:
Mozart. Quanto Don Giovanni vive nell’ultima edizione di
Arlecchino, soprattutto nei finali, ma anche quante Nozze di
Figaro e ancora quanta nostalgia per le “passioni non più
possibili” del Così fan tutte. Il “primo” e l’ultimo spettacolo: lo
spettacolo della vita ma anche della passione teatrale, che si
opponeva - e continua ad opporsi oggi, oltre lui - alla
banalità. L’Arlecchino di Strehler è la messa in scena del
testo di Goldoni, certo, ma porta evidente in sé il segno di
Totò, di Eduardo, di de Sica…
Nel continuo lavoro con Strehler, sera dopo sera, due artisti
sono stati presenze indispensabili per l’Arlecchino e lo sono
più che mai oggi, dopo la sua morte: Ezio Frigerio,
scenografo dello spettacolo dal 1956 fino all’edizione che
oggi vedete sulla scena, e Ferruccio Soleri, dal 1963
interprete del ruolo di protagonista. Quello tra Strehler e
Frigerio è stato un incontro scintillante, sia per i
temperamenti degli uomini, sia, soprattutto, per la qualità e
la raffinatezza degli artisti.
Ma vero protagonista di Arlecchino è Ferruccio Soleri, non
solo perché erede della responsabilità registica ed artistica
della compagnia, non solo perché ha fatto conoscere
Arlecchino in tutto il mondo con oltre 2.300 recite, ma
soprattutto perché, si tratti di Pechino o di un piccolo
comune d’Italia, Ferruccio affronta il suo personaggio con
rigore e professionalità come fosse la prima volta.
Tempi alla deriva dell’improvvisazione e di banalità hanno
bisogno di lui; noi tutti ne abbiamo bisogno.
Buon lavoro, Ferruccio!
Sergio Escobar
Direttore Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa
5
Sotto l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica
Stagione 2008/2009
Piccolo Teatro Studio
15 aprile/10 maggio 2009
recita del 15 aprile dedicata a
Collaboratori responsabili all’allestimento
coordinamento tecnico
e di produzione
Alberto Benedetto
direzione tecnica Marco Rossi
scene realizzate dal Laboratorio
di Scenografia “Bruno Colombo
e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro
di Milano-Teatro d’Europa
assistenti alla direzione tecnica
Marco Gilberti, Paolino Di Benedetto
reparto costruzioni, carpenteria metallica,
macchinisti Giorgio Armanni, Agostino
Biallo, Armando Pitzoi, Marco Premoli,
Alfredo Rivetta, Mario Scrocca, Angelo
Superbi
costruzioni Alberto Parisi
scenografia Mauro Colliva
direzione di scena Giuseppe Milani
audio/video Rosario Calì
reparto scenografia Nicolina Matilde
Barravecchia, Barbara Gentilin, Michela
Macroni, Emanuela Moroni, Simone
Totaro
capo macchinista Giuseppe Rossi
capi elettricisti Mario Allievi,
Claudio De Pace
capo sarta Roberta Mangano
sicurezza Michele Carminati
direttore di scena Andrea Levi
attrezzista Valentina Lepore
primo macchinista Agostino Biallo
primo elettricista Andrea Modica
produzione Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa
6
costumi realizzati da Les Ateliers du
Costume, Parigi e dalla Sartoria del
Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa
reparto sartoria Chiara Angioletti, Alice
Agrimonti, Donatella Carrafa, Marisa
Cosenza, Cristina Di Gennaro, Vassiliki
Giannopolu, Franca Pambianchi, Maria
Potenza
sarta Alice Agrimonti
parrucchiera/truccatrice Monica Capitanio
amministratore di compagnia
Andrea Cortiana
Arlecchino
servitore di due padroni
di Carlo Goldoni
regia Giorgio Strehler
messa in scena da Ferruccio Soleri
con la collaborazione di Stefano de Luca
scene Ezio Frigerio
costumi Franca Squarciapino
luci Gerardo Modica
musiche Fiorenzo Carpi
movimenti mimici Marise Flach
scenografa collaboratrice Leila Fteita
maschere Amleto e Donato Sartori
Personaggi
Interpreti
Interpreti
(15-26 aprile)
(27 aprile-10 maggio)
Giorgio Bongiovanni
Annamaria Rossano
Tommaso Minniti
Stefano Onofri
Giorgia Senesi
Giorgio Bongiovanni
Giulia Valenti
Tommaso Minniti
Stefano Onofri
Annamaria Rossano
Stefano Guizzi
Enrico Bonavera
Alessandra Gigli
Ferruccio Soleri
Leonardo de Colle
Enrico Bonavera
Alessandra Gigli
Ferruccio Soleri
Francesco Cordella
Francesco Cordella
Matteo Romoli
Giulia Valenti
Giorgio Sangati
Gianni Bobbio
Franco Emaldi
Paolo Mattei
Francesco Mazzoleni
Elisabetta Pasquinelli
Giorgio Sangati
Camilla Semino Favro
Stefano Guizzi
Gianni Bobbio
Franco Emaldi
Paolo Mattei
Francesco Mazzoleni
Elisabetta Pasquinelli
Pantalone de’ Bisognosi
Clarice, sua figlia
il Dottor Lombardi
Silvio, di lui figliolo
Beatrice, torinese in abito da uomo
sotto il nome di Federigo Rasponi
Florindo Aretusi, di lei amante
Brighella, locandiere
Smeraldina, cameriera di Clarice
Arlecchino,
servitore di Beatrice, poi di Florindo
un cameriere della locanda,
un facchino
camerieri
suggeritore
suonatori
nelle recite pomeridiane alle ore 15
Arlecchino è Enrico Bonavera
Brighella è Stefano Guizzi
Florindo è Sergio Leone (aprile); Leonardo de Colle (maggio)
Giorgio Sangati è il Suggeritore
7
GOLDONI E IL TEATRO
di Giorgio Strehler
Non è facile parlare di un teatrante così complesso com’è
stato Goldoni e soprattutto parlare del teatro quando il
teatro o si fa poco o non si fa del tutto. Una delle grandi
difficoltà è che il teatro ha bisogno, per essere compreso
davvero, di essere rappresentato.
Il vero testo di un grande autore di teatro si vede e si
riconosce solo nel momento della sua rappresentazione.
E la rappresentazione pone il problema di scegliere come
deve essere fatto l’allestimento. Infatti, noi che siamo
degli interpreti, se rappresentiamo qualcosa in modo
distorto o in modo fallace e del tutto personale, senza
attenzione critica per il testo, o senza responsabilità,
tradiamo la realtà di un testo. Certo, un testo lo possiamo
sempre leggere, ma leggere è un’altra cosa: leggere il
teatro non è come leggere il romanzo: la poesia, il
romanzo, non richiedono l’incontro tra chi legge e la
parola scritta; il teatro ha invece bisogno di un gruppo di
intermediari. Necessita di oggetti, di spazi, di punti di
appoggio, che possono essere porte, sedie, cose dipinte:
dobbiamo definire uno spazio nel quale gli attori, le attrici,
possano raccontarci non le loro storie, ma le storie di
altri, in questo caso le storie di Goldoni. Insomma – lo si
voglia o no – la rappresentazione teatrale è molto
importante. Credo che una delle caratteristiche di Goldoni
sia stata quella di avere chiarito bene il senso della
teatralità, di cui era un servo devoto e alla quale sacrificò
tutta la sua vita con notevole eroismo, e di aver chiarito
ancora una volta che il teatro si fa a teatro. Per questo
Goldoni non fu soltanto drammaturgo, non scrisse
soltanto commedie che poi altri avrebbero rappresentato,
ma visse tutta la propria vita stando nel teatro.
La maggior parte dei lavori che Goldoni ha allestito erano
suoi; se allestiva opere liriche, era autore del libretto.
Ma il testo era sempre messo in scena da Goldoni in
9
GIORGIO STREHLER
«L’Arlecchino è un fatto
straordinario nella storia del teatro
mondiale. Questo spettacolo ci
ha accompagnato per tutta la
vita, rinnovandosi volta per volta.
Centinaia di attori lo hanno
recitato. Ci sono degli spettatori
che l’hanno visto nascere; poi,
anni dopo, l’hanno visto
rinascere; dopo altri, l’hanno
riconosciuto in Italia o nel mondo
[…] Forse un grande libro
avrebbe potuto essere scritto su
questa storia: la storia di un solo
spettacolo, ripetuto ma non
ricopiato quasi all’infinito».
Giorgio Strehler, 1997
10
GOLDONI E IL TEATRO
persona, che lavorava con attori e con attrici di volta in
volta diversi, a seconda del periodo della sua vita.
Per questa ragione, tutto il teatro di Goldoni è anche la
storia di lui uomo di teatro. Non era solo un uomo di
lettere che a casa scriveva commedie e poi le dava da
rappresentare a qualcun altro.
È questa la figura duplice e complessa di Goldoni:
Goldoni agiva così, scriveva e si rappresentava. Goldoni
è un autore ancora molto poco conosciuto in Italia. Con
Luchino Visconti abbiamo cercato di farlo amare di più;
il problema fondamentale è, dopo tutto, quello
dell’amore. Ai tempi della nostra gioventù, quando
Visconti mise in scena La locandiera (2 ottobre 1952
Teatro La Fenice di Venezia, ndr), io avevo già realizzato
Arlecchino servitore di due padroni, e mi stavo
occupando della Trilogia della villeggiatura. Dire, in un
teatro italiano, che si sarebbe rappresentata un’opera di
Goldoni, significava ritrovarsi con il teatro vuoto. La nostra
è stata una battaglia – per voi difficile da immaginare –,
una battaglia violenta contro la tradizione della cattiva
rappresentazione del teatro di Goldoni, che aveva portato
questo straordinario autore lontano dal pubblico.
Il pubblico non l’accettava allora, come in un certo senso
oggi rifiuta Alfieri. Annunciare l’Oreste di Alfieri, ancora
oggi, equivale a spaventare il pubblico, perché su Alfieri
non è stata ancora portata a termine quell’opera di
valorizzazione che noi siamo riusciti a fare su Goldoni.
Abbiamo rappresentato come meglio potevamo un
Goldoni diverso da quello che avevamo visto nella nostra
infanzia; a poco a poco, attraverso un lungo lavoro,
siamo riusciti a farlo accettare ed amare. Noi teatranti
abbiamo puntato per primi i riflettori su Goldoni, sul suo
teatro, sul modo di farlo e sulla sua complessità, ma
anche sulla complessità dell’autore e sull’uomo.
Abbiamo, in un certo senso, lavorato contro i luoghi
comuni che lo dipingevano come un vecchietto arzillo e
un po’ allegro, che scriveva delle commedie per far ridere
la gente. Abbiamo creduto invece che Goldoni avesse
profondità inconsuete, che dovevano essere scoperte.
L’opera d’arte si fa arte nel momento in cui prende una
forma concreta, come la verità è realmente tale quando
la si conquista attraverso un duro lavoro di conoscenza.
A volte può costare l’impegno di tutta una vita e non
soltanto il lusso illusorio di qualche frase o di qualche
ipotesi o di qualche giudizio lanciati come lustrini sullo
specchio iridescente della cultura, con qualche volume,
La casa natale di Carlo Goldoni,
al 2794 di San Tomà.
Nella pagina precedente, ritratto
di Carlo Goldoni, pastello su
carta, Museo Teatrale alla Scala.
qualche gesto, qualcosa di bizzarro e di fuori dal
comune, che in apparenza colpisce e affascina. Dietro a
tutto questo, in realtà, non c’è che il vuoto, la morte.
L’attitudine di Goldoni in rapporto al teatro non si risolse
mai nel gettare lustrini sullo specchio della cultura. È per
questo motivo che, a maggior ragione, trovo giusto
parlarne, soprattutto in occasione del bicentenario della
sua nascita e, soprattutto, ancora oggi che la sua figura
di scrittore e di uomo di teatro continua ad essere avvolta
da una sorta di pregiudizio, di incapacità, d’ignoranza,
forse per la difficoltà di comprenderla per quello che è:
Goldoni è uno dei più grandi scrittori del XVIII secolo,
perché è un uomo di teatro; perché, allo stesso tempo,
è un uomo di teatro, ma è anche al di là della teatralità…
Il teatro, nel mondo della cultura italiana, non ha mai
trovato il posto che gli spetterebbe, e, diciamolo pure,
nonostante le eccezioni, resta ancor vera l’osservazione
che proprio Goldoni fece tre secoli fa: ragazzo, entrando
in una biblioteca, si accorse che troppi titoli di opere
teatrali erano di autori stranieri. Dice Goldoni: «Si trovano
raccolte del teatro francese, del teatro spagnolo, del
teatro inglese, non si trovano raccolte del teatro italiano».
Sulla precarietà del teatro italiano, sulla fondamentale
incapacità di far diventare teatro la letteratura teatrale,
Goldoni aveva una posizione di una chiarezza esemplare.
Nella sua apparente semplicità, essa sottende tutta la sua
opera, che a torto – e questa è forse una delle mancanze
più gravi della critica italiana – viene considerata quasi
sempre come un’opera di scrittura: in realtà è una
complessa operazione totalizzante sulla teatralità del suo
tempo e non solo. Investe le problematiche del teatro e
dei suoi artifici, visti come un insieme di atti, parole,
pratiche, che corrono tutte verso la rappresentazione,
verso il teatro che si avvera sera per sera sui palcoscenici
del mondo. Goldoni ha vissuto tutta la sua vita in queste
dimensioni, considerando il teatro come evento
necessario, accettandolo nella sua verità e nella sua
estrema, folgorante incertezza, riconoscendolo come
unico strumento labile ed altissimo per comunicare
qualcosa della vita: teatro come parabola, teatro come
parafrasi, come simbolo dell’umano e del destino
dell’uomo, e dell’umano svolgersi. Ho scritto in questi
ultimi tempi un testo drammatico tratto dai Mémoires,
che spero, se le circostanze lo permetteranno, di
mostrare al pubblico. È una specie di racconto, un
racconto molto vero e molto inventato, dove non si sa
11
GIORGIO STREHLER
«Goldoni, senza farlo vedere,
appartenne ad un genere di
uomini che compiono la loro
storia con un estremo ordine
interiore e che non volle restare
prigioniero di ciò che era più
comodo e più facile. Mai.
In questo, solo in questo,
mi sento a lui più vicino che a
qualsiasi altro. E nel suo amore
per il Teatro. Amore per questa
piccola macchina di carta, così
complessa, così fragile, in cui noi
ci muoviamo, cercando di non
guastarla, di non distruggerla,
ma di farla volare in alto, il più in
alto possibile, sulla punta delle
nostre dita, con il battito dei nostri
cuori».
Giorgio Strehler, 6 febbraio 1993
(Bicentenario della morte di Carlo
Goldoni)
12
GOLDONI E IL TEATRO
mai se le cose siano andate proprio così come io le ho
pensate, se siano storicamente e biograficamente esatte
o si tratti semplicemente delle parafrasi, oppure dei
pensieri. Penso che la biografia di un uomo d’arte si
possa fare, non soltanto, però, attraverso la verità delle
cose, quelle ineluttabili, ma anche con un atto d’amore e
di invenzione. In questo lavoro racconto la vita di Goldoni
ed il suo svolgersi. Il tono che ho pensato è un tono
estremamente commovente, perché la vita di
quest’uomo mi ha commosso non appena sono riuscito
a superare l’immagine retorica che la scuola mi aveva
dato. Di Carlo Goldoni, nato nel febbraio del 1707 da una
famiglia borghese, abbiamo notizie apparentemente quasi
solo attraverso i suoi Mémoires. Le sue lettere, alcune
vere e proprie prefazioni alle commedie, certamente
contribuiscono a completare l’immagine di Goldoni che,
nonostante tutto, rimane un uomo molto segreto, pieno
di pudori: lascia intorno a sé zone di mistero, che il lettore
o colui che cerca di capire chi sia, deve un po’ decifrare e
un po’ inventare sulle tracce lasciate. In realtà Goldoni fu
un uomo estremamente tormentato, che condusse una
continua e terribile lotta con se stesso. Credo avesse la
civetteria di sembrare un uomo allegro, contento, molto
saggio, ed abbia continuato ad alimentare la leggenda di
essere nato senza piangere: «dice mia madre che io non
piansi quando nacqui…» e incomincia così a raccontare
fantasie. «Per me, in fondo, qualunque cosa mi capiti
sono sempre calmo, imperturbabile e poi vado a dormire
ogni sera tranquillo» – pausa – punto. Più avanti: «Fui
assalito dai miei soliti vapori neri. Erano questi angosce e
una sorta di impossibilità a muovermi: non potevo né
mangiare, né scrivere, né leggere, restavo così sul
letto…». E ancora: «Io ebbi sempre un animo gaio…».
Non era vero. Era un uomo che aveva i suoi drammi
come tutti gli altri. Ebbe la mania, inoltre, di far credere di
essere un uomo molto fedele alla moglie e poco incline
ad apprezzare le donne. Invece fu un grande amatore ed
ebbe molte avventure. Comunque, Nicoletta, moglie
fedele, che dovette subire molti torti, fu una compagna
che seppe capirlo. E, infatti, in una lettera Goldoni
scrisse: «Ella, con la sua bontà, con la sua semplicità,
con la sua intelligenza, seppe sempre capire e tacere».
Sono frasi agghiaccianti, queste. Ma credo che proprio
questa coppia fosse estremamente moderna. Mi sembra
importante anche ricordare che Goldoni non ha mai
scritto il nome dei suoi nemici. Nei Mémoires dice: «E per
La polemica Gozzi-Goldoni
Alla fine degli anni Cinquanta del
‘700 divampa sui palcoscenici
veneziani la polemica tra Carlo
Gozzi e Carlo Goldoni.
Due modi di leggere non solo
il teatro, ma anche la vita e la
politica veneziana si fronteggiano:
al realismo goldoniano, aperto al
nuovo e al progresso, si oppone il
fermo tradizionalismo di Gozzi.
Più che i numerosi scritti polemici,
la risposta più compiuta al
nemico Goldoni sono le dieci
Fiabe teatrali (fra cui, L’amore
delle tre melarance,
Il corvo, Turandot).
Rappresentate con enorme
successo tra il 1761 e il 1765,
esse si rifanno alla commedia
dell’arte e alle fiabe popolari, ma
sono al contempo – e malgrado
le stesse idee reazionarie di Gozzi
– ricche di nuovi fermenti, segno
dell’avvicinarsi della nuova
temperie irrazionalistica.
quanto si attiene ai miei nemici, di essi non farò il nome».
Non aggiunge però: «Perché son talmente indegni che io
non voglio neanche immortalarli nei miei Mémoires con il
loro nome!». Noi sappiamo che i suoi nemici avevano un
volto, un nome e un cognome. Il suo sistema nervoso era
molto teatrale, aveva molte debolezze. Era un po’ goloso,
come lui stesso ammette e, forse, un grande giocatore.
Nel ‘700 la gente giocava molto e, nel caso specifico, si
diceva che Goldoni fosse uno scialacquatore e si fosse
rovinato al gioco. Una cosa è certa: giocò molto, come
giocavano molto tutti, soprattutto a Venezia nel ‘700. Ma
se pensate che ha scritto duecento commedie
mettendole in scena, non poteva avere il tempo di essere
anche un grandissimo giocatore e di passare le notti al
Casinò o al ridotto. Comunque, la chiave veramente
importante per capire Goldoni è contenuta in una
semplice frase, nel VI tomo delle edizioni Pasquali, cioè
nel cuore delle sue memorie italiane, opera rimasta
incompiuta: «Le due guide alla vita, io le ho studiate sui
miei due libri: Mondo e Teatro». Credo che non ci sia una
dichiarazione più chiara di un programma. Il mondo.
Cos’è il mondo? La vita concreta. I rapporti fra le creature
umane. L’esistenza di una coralità di azioni e di reazioni
nel movimento incessante delle creature che lo popolano.
La cosa più straordinaria è la ricchezza del suo cosmo:
uomini, giovani, vecchi, di cui alcuni non tanto importanti,
né sconvolgenti. Tutti insieme però, costituiscono una
specie di cosmo meraviglioso della vita umana, con i suoi
difetti, le sue cose belle, le tenerezze, le asprezze, le
incapacità di capire, le capacità di capire, di amare, di
non amare. Insomma, questo mondo variegato e diverso
è “il mondo”. Naturalmente è il suo mondo, quello che ha
vissuto, ha visto, e che non può essere racchiuso in una
sola persona. In questo senso, nulla è più lontano da
Molière di quanto non lo sia Goldoni. Molière è stato un
genio che ha saputo darci alcuni caratteri fondamentali,
immortali figure dell’avventura umana. Intorno a questi,
altri personaggi che agiscono e che hanno qualcosa da
dire. Ma in fondo l’avaro è l’avaro, come il misantropo è il
misantropo e il malato immaginario non è altri che se
stesso: poi vengono tutti gli altri. In Goldoni questo
protagonista drammatico, tragico, comico, tragicomico,
intorno al quale ruota un piccolo mondo, non esiste: c’è il
mondo di tanti altri e in più il suo. Il teatro, per Goldoni, è
un mezzo d’arte scelto per vocazione e vissuto
implacabilmente come missione: la missione di
13
GIORGIO STREHLER
«Dirò con ingenuità, che sebben
non ho trascurata la lettura de’
più venerabili, e celebri autori, […]
contuttociò i due libri su’ quali ho
più meditato, e di cui non mi
pentirò mai d’essermi servito,
furono il Mondo, e ‘l Teatro.
Il primo mi mostra tanti, e poi
tanti vari caratteri di persone, me
li dipinge così al naturale, che
paion fatti apposta per
somministrarmi abbondantissimi
argomenti di graziose, ed
istruttive commedie […].
Il secondo poi, il libro cioè del
Teatro, mentre io lo vo
maneggiando, mi fa conoscere
con quali colori si debban
rappresentar sulle scene i
caratteri, le passioni, gli
avvenimenti, che nel libro del
Mondo si leggono; come si
debba ombreggiarli per dar loro
un maggiore rilievo, e quali sien
quelle tinte, che più li rendon grati
agli occhi dilicati de’ spettatori».
(Dalla Prefazione a Le Commedie
del Dottore Carlo Goldoni
Avvocato veneto, edizione
Bettinelli, 1750)
14
GOLDONI E IL TEATRO
comunicare con il mondo attraverso il teatro e i suoi
interpreti. Così Goldoni considera il suo destino di autore
di teatro come quello di chi parla del mondo soltanto con
il teatro e vive il teatro soltanto come parabola o parafrasi
del mondo. Goldoni fu un autore di teatro, un letterato,
uno che scriveva per il teatro e nel medesimo tempo
faceva teatro. Le due cose andavano insieme. Nel mio
adattamento dei Mémoires è presente una scena in cui la
prima attrice chiede a Goldoni, «Ma chi te l’ha fatto fare
di scrivere sedici commedie nuove in un anno?».
Il racconto che Goldoni fa, e che risponde certamente
alla realtà, spiega l’episodio. La compagnia che lui
dirigeva recitava tutte le sere. Si andava in scena a
Carnevale, poi c’erano le feste di Natale con la
sospensione delle rappresentazioni, e quindi si
ricominciava dal 15 gennaio fino alla fine del Carnevale
successivo. In ogni stagione si recitavano sempre
quattro, cinque commedie, tra nuove e vecchie. L’ultima
commedia del 1749-50, L’erede fortunata, andò molto
male. All’epoca, la gente fischiava a teatro e il pubblico
era molto reattivo. In quell’occasione era giunta la notizia
che Darbes (celebre attore italiano, 1710-1778, ndr), un
suo compagno, grande Pantalone e amico intimo, se ne
andava in Polonia.
La partenza di questo Pantalone molto amato a Venezia
e il fiasco della commedia portarono improvvisamente la
compagnia di Medebach alla rovina: il teatro sarebbe
stato vuoto per la stagione di Carnevale successiva.
Non si sapeva più cosa fare e allora Goldoni scrisse un
piccolo sonetto e lo diede alla Medebach perché lo
leggesse al pubblico. La Medebach prese il foglio e lesse:
«E il prossimo anno il nostro poeta ve darà sedici
commedie tutte nove, scritte l’un dopo l’altra», e mentre
leggeva probabilmente era presa dal terrore. «Ma chi te
l’ha fatto fare, ma ci hai messo anche i titoli, come facevi
a mettere i titoli?». Goldoni confessò con calma: «Io
scrissi i titoli di alcune commedie perché le avevo già in
mente, sugli altri titoli poi scriverò le commedie».
E insomma disse che avrebbe dato l’anno successivo
sedici commedie in tre mesi. Voi capite che sedici
commedie richiedono uno sforzo enorme. Goldoni fece le
sedici commedie, sedici spettacoli. Nell’arte, il
messaggio, la comunicazione, il senso dell’opera e il suo
godimento sono in un rapporto strettamente dialettico.
Senza questo rapporto, non esiste arte. La mancata
comprensione di questo rapporto ha creato un equivoco
«Carlo Goldoni fu certamente un
uomo che visse in un’epoca di
fine-inizio estrema, in una delle
tante crisi finali dei tornanti della
storia e che a questa crisi,
e perciò contraddizione, non si
sottrasse mai, perché non poteva
né sapeva, né voleva sottrarvisi.
[…] Goldoni, più di altri e meno
di altri, cercò di difendersi –
piuttosto male – da questa carica
tragica che gli stava davanti, che
già lo circondava e lo
sopraffaceva, in un certo senso.
Si difese nascondendosi in una
misura di “comprensione” molto
spesso più apparente che reale,
di indulgenza che non era
indulgenza, e soprattutto si lasciò
incantare da un senso infantile,
rimasto sempre in lui presente,
della vita, del miracolo del
quotidiano come
“rappresentazione” mai vista.
Da qui quell’altro stupore di
scoperta che tanta parte
dell’opera di Goldoni porta con sé
e che il tempo ha lasciato
intatto».
Giorgio Strehler, 1997
sempre più penalizzante per l’opera di Carlo Goldoni.
L’equivoco, per esempio, del moralismo, della
piacevolezza sempre sorridente, del gioco comico
musicale e di tutta la sua teatralità. Queste sono posizioni
errate, se si pensa che nella dedica alla Donna di
governo si dice: «Il vero non si può nascondere», e ne
I rusteghi: «Io soglio dir sempre la verità». Non ho mai
capito perché non si sia voluto, ed in parte ancora non si
voglia, accettare il vero significato di queste affermazioni,
che riguarda l’unica possibilità e l’unica onestà possibile
per l’artista, cioè, “la sincerità”. Che cos’è l’onestà
dell’artista? La sincerità. Capire il reale, innalzarlo a fatto
d’arte, per divertire, cioè per far amare, con sincerità,
senza artifici, senza ricorrere ai vari meravigliosi, ma
cercando la semplicità, la naturalezza del calore, della
partecipazione affettuosa, del destino degli altri, che è il
carattere fondamentale del lato creativo. E qual è dunque
la filosofia di cui si serve l’artista?: «Quella che abbiamo
impressa nell’anima, quella che dalla ragione viene
insegnata, quella che dalla lettura e dalle osservazioni si
perfeziona, quella che infine dalla vera poesia deriva, non
già bassa poesia che chiamasi versificazione, ma della
poesia sublime che consiste nell’immaginare,
nell’inventare, nel vestire le favole di allegria, di metafore e
di mistero» dice Goldoni. Questo piccolo pezzo di
confessione estetica di Goldoni è di una complessità
tremenda, perché da una parte spiega che bisogna
partire dal vero, ma il vero soltanto non basta, bisogna
innalzarlo, ma innalzarlo con forza poetica per arrivare a
immaginare, a inventare, a vestire le favole.
Le favole sono le trame, le storie di allegorie, di metafora
e di mistero. Voi capite, quando facciamo Il campiello,
ogni sera sentiamo qualcosa che pochi sentono: c’è una
zona di mistero nell’opera di Goldoni, una traccia poetica
non definibile. Sentiamo che c’è una estrema verità di
rapporti ma anche qualcosa di più. Pensate sia un caso
che Le baruffe chiozzotte si svolgano in un piccolo paese
di mare, vicino a Venezia, dove la gente continua a litigare
e continua ad amarsi, non amarsi, capirsi, non capirsi,
dove tutto è incerto? No, tutto questo mobilitarsi si
svolge stranamente in un giorno, in una città
completamente avvolta dal mare, dalla natura, dal vento,
e voi capite che questa è una simbologia: una piccola
isola come Mondo in cui gli uomini vivono la nostra vita,
sempre fatta di incertezza. Ci sarà sempre una lite, ci
sarà sempre un’incomprensione, ci sarà sempre un
15
GIORGIO STREHLER
Giambattista Piazzetta - Marco
Alvise Pitteri, Ritratto di Carlo
Goldoni con berretto.
GOLDONI E IL TEATRO
incontro d’amore, ci sarà sempre una persona che non
capiremo. Ci sarà sempre tutto quello che c’è nelle
Baruffe chiozzotte: la variabilità eterna degli animi umani
che si amano, non si amano, si capiscono, si vogliono
bene, non si vogliono bene, senza mai fine. In Goldoni
esiste sempre una grande proiezione simbolica del
destino dell’uomo. Ecco perché il piccolo Goldoni che
parla di questa coralità dell’uomo, che parla con la gente
dell’uomo nella sua verità, a poco a poco finisce per
innalzare queste piccole verità alle soglie dell’universalità.
Gozzi e gli altri nemici del Goldoni non capirono
assolutamente niente di tutto ciò. Dicevano che copiava
la verità, stenografava il dialogo della povera gente e che
la sua non era poesia.
Goldoni non poteva non urtarsi col problema della lingua.
Ha scritto molte commedie in lingua italiana; molte le ha
scritte in dialetto, alcune in dialetto e in versi, alcune in
italiano. Dico commedia genericamente, perché Goldoni
è stato anche autore di tragedie. Ha toccato tutti i modi
della lingua, affrontando il problema della realtà del colto,
del mediamente colto, o del popolare, cioè della lingua
letteraria e della lingua parlata, della lingua del
palcoscenico, dove uomini e personaggi parlano tra loro.
Goldoni si è domandato quale lingua dovesse far parlare,
se una lingua convenzionalmente toscana, oppure una
lingua tendenzialmente mediata, con cadenze ed
immissioni coraggiose di espressioni dialettali di parole, di
modi e usi dell’Italia. Una lingua in qualche
modo inventata, che si parla a Venezia, sì, ma
anche a Milano, a Ferrara, e così via. E la
scelta di Goldoni non lascia dubbi, perché fu
sempre contro quella lingua che si potrebbe
definire toscaneggiante e colta, classica.
Goldoni risponde con un insieme di opere in
una “lingua” che è vera e inventata: opere in
dialetto, in prosa e in versi, e addirittura un
testo in sotto-dialetto, che è il dialetto di
Chioggia. Queste opere stanno accanto a
quelle in lingua italiana e non con tono minore.
Io penso, caso mai, con un tono maggiore,
come un polo irraggiante, insostituibile e, in
molti casi, come un polo di una dialettica
teatrale, che è poi la dialettica storica di
costume morale. In poche parole, credo che
noi abbiamo due lingue: una lingua con la
quale comunichiamo con la gente e poi una
lingua con la quale comunichiamo a noi stessi, o
parliamo con le persone intime. Io a mia madre non ho
mai potuto dire “ti voglio bene”: le ho sempre detto “te
vojo ben”. A noi giovani attori, in un’epoca in cui non
c’erano scuole, i vecchi attori, quando non riuscivamo a
pronunciare alcune battute, dicevano: «E tu dilla a bassa
voce, la prima volta». E già incominciavamo ad andare
meglio. E poi se non si riusciva ancora: «Ditela in
dialetto». E allora si recitava il monologo dell’Amleto in
dialetto. In questo gioco Goldoni è arrivato a sottigliezze
estreme. C’è una commedia, La putta onorata, in cui ci
sono due mondi; da una parte il mondo dei marchesi, dei
nobili, dall’altro quello dei barcaioli. Bettina serve gente
povera e gente ricca. La gente ricca si odia, si avvelena,
la gente povera vive come può ed il marchese si
invaghisce della giovane Bettina. In scena, tutti quelli che
stanno sulla destra parlano in lingua, mentre tutti quelli a
sinistra parlano in dialetto; perciò, quando il marchese
tenta di sedurre Bettina, lo fa “parlando italiano”, ma
Bettina gli risponde in veneto. Qui si capisce con che
sottigliezza e semplicità venga affrontato questo
problema di fondo del teatro italiano. I due gruppi,
parlando due linguaggi diversi, non stabiliscono mai un
vero contatto e non soltanto perché non sono d’accordo:
non si capiscono perché non parlano la stessa lingua.
Infine è interessante accennare al problema della riforma.
La riforma di Goldoni è stata quella – dicono – di opporre
il testo scritto al testo improvvisato. Questo modo di
recitare “all’italiana” è tutto nostro. In pratica, le
compagnie erano composte da attori bravissimi che
erano anche letterati e improvvisavano basandosi su
canovacci, storie, avventure. Questo modo di fare teatro
durò un secolo e mezzo. Ma andando avanti nel tempo,
dopo che gli attori più bravi erano morti, sostituiti dai figli
e nipoti, tutta questa improvvisazione si era trasformata in
una specie di ripetizione, perché gli attori della Commedia
dell’arte tendevano ora molto spesso a scrivere le loro
battute. In duecento anni questa ripetizione era diventata
una specie di zibaldone che gli attori si tramandavano di
padre in figlio, custodendolo come un segreto. Gli attori,
perciò, improvvisavano, sì, ma ripetevano più o meno le
stesse parole. E così l’improvvisazione aveva un limite,
anche se ogni sera cambiava qualcosa. Una Commedia
dell’arte irrigidita, informe, con parole codificate ormai da
un secolo e mezzo circa; una commedia in parte
improvvisata e, per il resto, catalogo di convenzioni e di
17
GIORGIO STREHLER
realtà testuali codificate. Il teatro della riforma, con la sua
verità sostanziale che lo rende europeo e mondiale,
risolve un problema effettivo. Questo è il segreto, il
mistero e il grande senso della riforma: è la creazione del
primo grande teatro nazional-popolare italiano. È così che
se qualcuno va a recitare le Baruffe a Copenaghen, e se
le recita bene, le Baruffe scritte in un sotto-dialetto italicoveneziano, proprio perché affondano nelle radici nostre, di
noi italiani, attori italiani, di gente italiana, immediatamente
diventano una specie di punto di riferimento di un altro
mondo. Ed è questo il grande concetto gramsciano della
realtà popolare nazionale che diventa di per se stessa,
appunto perché nazionale e popolare, universale. Questo
per me è un altro grande merito di Goldoni. Goldoni mi
ha insegnato che la vita è sorprendente, e che non
bisogna mai aspettarsi le cose immutabili, perché nella
vita tutto cambia: mai nessuno è cattivo fino in fondo,
mai nessuno è buono fino in fondo. Occorre sempre
vivere con estrema attenzione, con estrema
comprensione degli altri, perché siamo tutti in movimento,
un moto molte volte impercettibile, che ci fa modificare e
ci modifica. Goldoni mi ha dato questa sensazione. Mi ha
insegnato anche il coraggio, il coraggio della missione e
della vocazione, che non deve essere un programma
scritto, ma un programma interiore: fai questo perché
non puoi fare altro. Questa è una cosa molto importante,
sapere che siamo tutti importanti, anche se non
riusciamo a esserlo abbastanza, anche se non abbiamo
la grande luce dei riflettori sopra di noi; sapere che una
società decente non è fatta da sette grandi uomini e da
sette grandi donne, ma da milioni di uomini e donne per
bene, intelligenti abbastanza, colti abbastanza, umani
abbastanza. Da questi nascerà qualcuno che andrà
avanti più di altri. Nessuno nasce nel vuoto, così, in un
paese senza cultura, dove non ci sia amore, dove non ci
sia entusiasmo, dove non ci sia nulla. Non aspettiamoci
mai il genio che risolve. A me Goldoni ha insegnato
soprattutto questo e quindi mi ha riscaldato il cuore, con
la certezza che vi può essere altro, ma non vi può essere
teatro, non vi può essere rappresentazione, non vi può
essere niente senza che il valore dell’umano non regga e
non illumini continuamente il nostro cammino. Senza
quella luce non c’è niente.
* Testo letto da Giorgio Strehler in occasione del conferimento della Laurea
Honoris Causa dell’Università Autonoma di Barcellona, 26 giugno 1995,
inedito dattiloscritto, Archivio del Piccolo Teatro.
18
Carlo Goldoni
(1707-1793)
L’amore per il teatro fu trasmesso a
Carlo Goldoni - nato a Venezia il 25
febbraio 1707 - dalla sua stessa
famiglia di origine modenese:
dal nonno, dalla madre e,
soprattutto dal padre, il quale era
solito organizzare a Perugia
spettacoli filodrammatici durante le
pause della sua professione di
medico. A Perugia il ragazzo, che
aveva già recitato ed anche scritto
- giovanissimo - qualche scena,
compì gli studi inferiori presso i
gesuiti, ma poi non volle seguire la
carriera del padre. A Rimini, poco
più tardi, invece di recarsi alle
lezioni di filosofia si unisce a una
compagnia di comici in un
avventuroso viaggio fino a
Chioggia. Infine si iscrive alla facoltà
di Giurisprudenza dell’Università di
Pavia: da allora la legge e il teatro
saranno i due interessi di Goldoni,
ma sarà il secondo a dominare.
Da Pavia viene espulso per una
satira giudicata irriguardosa: così
accetta un incarico presso la
Cancelleria criminale di Chioggia e
soltanto nel 1731 si laurea a
Padova, dopo la morte del padre.
I suoi primi lavori teatrali spaziano
nel campo del melodramma e della
tragedia musicale: fallito un
tentativo a Milano, ottiene a
Venezia, con un’opera dal titolo
Belisario, un discreto successo,
valido se non altro ad aprirgli le
porte dell’ambiente teatrale.
Nel 1734 Goldoni è poeta ufficiale
della compagnia Imer e negli anni
successivi le sue esperienze si
moltiplicano: conoscenza del
mondo del teatro e conoscenza dei
casi della vita attraverso una serie
di esperienze in diverse città (nel
1736 sposa a Genova Nicoletta
Connio, che sarà la sua
inseparabile compagna).
Nel 1748 firma con la compagnia
Medebach un regolare contratto
come poeta ufficiale: comincia così
il periodo più fecondo della sua
vita, ma già tre anni innanzi aveva
scritto Il servitore di due padroni, il
cui canovaccio iniziale venne più
volte modificato e precisato fino alla
forma definitiva: l’Arlecchino venne
rappresentato a Milano dalla
compagnia Sacchi nel 1747.
Goldoni si avviava alla sua decisiva
“riforma” teatrale, testimoniata dalla
stesura de Il teatro comico (1750):
un “no” radicale alla tradizione
erudita e pomposa del Seicento,
cioè al teatro aulico ed eroico e allo
stesso tempo alla tradizione della
Commedia dell’Arte, divenuta puro
gioco comico basato sui lazzi e le
buffonerie gratuite e legato
all’improvvisazione arbitraria
dell’attore. D’ora innanzi, attraverso
la sua riforma, Goldoni cercherà di
cogliere, senza pregiudizi e
falsificazioni, l’umanità vera,
svilupperà la commedia di costume
senza mai abbandonare una
spontanea simpatia per il popolo,
fino a giungere ad una
osservazione ironica e critica della
società del suo tempo.
Con Medebach, al teatro
Sant’Angelo, rimane cinque anni,
per poi passare al San Luca col
Vendramin, dove rimane altri nove
anni, ottenendo molti successi ma
divenendo anche oggetto di
accanite polemiche da parte degli
avversari che rifiutano le sue
innovazioni. Nel 1762, accetta
l’invito della Comédie Italienne di
Parigi e si allontana per sempre da
Venezia e dall’Italia. In Francia,
diviso tra Parigi e Versailles, rimane
fino alla morte (6 febbraio 1793), un
buio periodo di scontento, malattia
e povertà. Dopo la partenza da
Venezia, l’ispirazione non è più
quella di prima: del voluto esilio
francese rimangono i Mémoires,
autobiografia di uomo e di artista.
Le commedie di Goldoni sono
circa centoventi, ma molte risultano
occasionali o scritte solo per
soddisfare certe esigenze di
repertorio delle compagnie presso
le quali egli operava. I suoi
capolavori si collocano quasi tutti
intorno al decennio “fortunato” dal
1750 (anno al quale risalgono
anche le famose sedici commedie
che egli scrive per sfida) al 1760:
La putta onorata, La locandiera,
Il campiello, Sior Todero brontolon,
I rusteghi, La trilogia della
villeggiatura, Le baruffe chiozzotte
e, rappresentata proprio alla vigilia
della sua partenza per Parigi, Una
delle ultime sere di Carnovale.
Giorgio Strehler
(1921-1997)
Giorgio Strehler ovvero il Regista,
scritto proprio con la maiuscola,
allo stesso modo in cui lui scrive
e pensa al Teatro: come a una
sfida iperbolica, a un diorama,
a un palcoscenico in cui si
concretizza l’immagine del mondo
dove, in punta di piedi, i grandi
signori della scena, ai quali
di diritto appartiene, possono
dialogare con il popolo dei
personaggi e, attraverso di loro,
con gli spettatori.
Strehler nasce a Barcola, il 14
agosto del 1921, in un paesino
vicino a Trieste, in una famiglia
in cui si intrecciano lingue e culture.
Suo nonno è musicista (anche
Giorgio studierà musica
e direzione d’orchestra) e di
cognome fa Lovric; sua nonna
è francese e si chiama Firmy,
cognome che il nipote prenderà
quando firmerà le prime regie
durante l’esilio svizzero.
Da ragazzino Strehler si trasferisce
con la madre a Milano, dove
compie gli studi prima al convitto
Longone e poi al liceo Parini, fino a
frequentare l’Università, facoltà di
legge; ma fin da adolescente,
accanto allo studio, coltiva l’amore
per il teatro, frequentato anche
(dice la sua leggenda) come
claqueur. Si iscrive all’Accademia
dei Filodrammatici di Milano,
dove trova il suo maestro di
elezione in Gualtiero Tumiati.
Le sue prime prove fuori dalla
scuola sono da attore, nel gruppo
Palcoscenico di Posizione a
Novara e anche alla Triennale, in un
testo di Ernesto Treccani.
Ma già qui, a soli ventidue anni,
pensa che il teatro italiano, allora
dominio degli ungheresi e dei falsi
dottori, abbia bisogno della scossa
salutare e demiurgica della regia.
Lo scrive in un articolo del 1942,
Responsabilità della regia,
pubblicato su “Posizione”:
fondamentale, pur nello slancio
assoluto tipico dell’epoca, per
capire anche lo Strehler
successivo. In quegli anni che
precedono la guerra, Strehler,
legato da un’amicizia fortissima
a Paolo Grassi, conosciuto (come
hanno sempre affermato
i protagonisti) alla fermata angolo
via Petrella del tram numero sei,
direzione Loreto-Duomo, fa la
fronda nei Guf e morde il freno.
È stato anche critico teatrale per
“Momento sera”, senza mai
rinunciare però al sogno, condiviso
con Paolo Grassi, di costruire dal
nulla un teatro diverso. L’occasione
sarà la fondazione nel 1947 del
Piccolo Teatro della Città
di Milano: primo stabile pubblico
italiano, che aprirà i suoi battenti
il 14 maggio, con l’andata in scena
di L’albergo dei poveri di Gor’kij
dove Strehler riserva a sé il ruolo
del ciabattino Alijosa. Questo
spettacolo, che riesce a coagulare
buona parte della compagnia che
per alcuni anni sarà stabile al
Piccolo e che avrà le sue punte in
Gianni Santuccio, Lilla
Brignone e Marcello
Moretti, ha avuto un anno
prima un’”anticipazione” in
Piccoli borghesi di Gor’kij,
andato in scena con la
regia di Strehler e
l’organizzazione di Paolo
Grassi all’Excelsior. Alla
fondazione del Piccolo
corrisponde anche la
prima regia operistica di
Strehler, una Traviata alla
Scala destinata a lasciare il
segno. Dal 1947, però, gli
sforzi maggiori di Strehler (prima
regista stabile, poi direttore
artistico, poi direttore unico) sono
essenzialmente per il Piccolo
Teatro, dove dirige spettacoli che
appartengono alla storia del teatro
e della regia. All’interno di questa
storia, che potremmo definire
positivamente eclettica, si può
tuttavia rintracciare una costante:
l’interesse per l’uomo in tutte le sue
azioni. Questa scelta, che Strehler
perseguirà per tutta la vita, è un
atto di fedeltà alle ragioni profonde
dell’esistenza di cui si fa portatore
Satin, uno dei protagonisti
dell’Albergo dei poveri: «Tutto è
nell’uomo».
E, in questo suo porre l’uomo
sotto la lente d’ingrandimento
del suo teatro, ecco venire alla luce
alcuni rapporti che gli interessano:
l’uomo e la società, l’uomo e se
stesso, l’uomo e la storia, l’uomo e
la politica. Scelte che si riflettono a
loro volta nella predilezione per
alcuni autori chiave, veri e propri
compagni di strada nel lavoro
teatrale del grande maestro (anzi
“Maestro e basta”, come è stato
chiamato): Shakespeare
soprattutto, ma anche Goldoni,
Pirandello, la drammaturgia
borghese, il teatro nazional
popolare di Bertolazzi, Cechov e,
nei primi anni, la drammaturgia
contemporanea; Brecht gli rivela
un diverso approccio al teatro, alla
recitazione una “via italiana”
all’effetto di straniamento.
All’interno di questi autori, pur non
potendo entrare nel merito delle
più di duecento regie da lui firmate,
sono enucleabili alcuni spettacoli
guida: Riccardo II (1948), Giulio
Cesare (1953), Coriolano (1957),
Il gioco dei potenti (1965), Re Lear
(1972), La tempesta (1978) per
Shakespeare; Arlecchino in tutte le
sue versioni (a partire dal 1947) lo
spettacolo italiano più visto nel
mondo e quello di più lunga vita,
La trilogia della villeggiatura (1954),
Le baruffe chiozzotte (1964) e
Il campiello (1975) per Goldoni;
Platonov (1959) e Il giardino dei
ciliegi (1955 e 1974) per Cechov;
le diverse edizioni de I giganti della
montagna (1947, 1966, 1994)
e Come tu mi vuoi (1988) per
Pirandello; El nost Milan (1955
e 1979) e L’egoista (1960) per
Bertolazzi; La casa di Bernarda
Alba di Garcia Lorca (1955) e,
soprattutto, Temporale di
Strindberg (1980) per la
drammaturgia borghese;
La visita della vecchia signora
di Dürrenmatt (1960), La grande
magia di Eduardo De Filippo (1985)
per la drammaturgia
contemporanea; L’opera da tre
soldi (1956), L’anima buona di
Sezuan (1958, 1981 e 1996),
Santa Giovanna dei macelli (1970)
e soprattutto Vita di Galileo (1963)
per Brecht. Ma, all’interno
di una produzione stupefacente,
a venire in primo piano è il lavoro
sui segni del teatro (le scene, le
atmosfere, le sue inimitabili luci, e
quella capacità prodigiosa nel
saper ricreare, con apparente
leggerezza, situazioni di altissima
poesia) e lo scavo esigente, duro,
mai soddisfatto, sulla recitazione,
che trova il suo vertice nel vero e
proprio corpo a corpo che egli
instaura con gli attori: un vero
esempio di maieutica; e, per chi ha
avuto la fortuna di assistere alle sue
prove, l’epifania di un metodo
teatrale. La storia di Strehler,
scandita dall’aprirsi e dal chiudersi
dei sipari, si svolge eminentemente
al Piccolo Teatro, ma non solo: nel
1968 abbandona via Rovello per
fondare un suo gruppo, il Teatro
Azione, su basi cooperativistiche;
con questo gruppo presenta
La cantata del mostro lusitano
di P. Weiss (1969), spettacolo
anticipatore di un teatro
concettualmente “povero”, e Santa
Giovanna dei macelli (1970) che
sigla il suo ritorno “a casa”. Ma
Strehler ha anche diretto il neonato
Teatro d’Europa, voluto da Jack
Lang e da François Mitterrand a
Parigi. Del resto il suo cursus
honorum è lunghissimo:
parlamentare europeo, senatore
della Repubblica, un lungo elenco
di onorificenze, fra cui l’amatissima
Legion d’onore; ma gli ultimi anni
sono segnati dall’amarezza per un
processo che lo vedrà, alla fine,
innocente. È morto nella notte
di Natale; le sue ceneri riposano
a Trieste, nel cimitero di Sant’Anna,
nella semplicissima tomba di
famiglia. Notevole l’apporto
registico di Strehler all’opera lirica,
favorito dalla conoscenza della
musica e dalla «abilità di saper
svecchiare i gesti inseparabili e
tradizionali dei cantanti». Delle
tantissime regie, da ricordare le
partecipazioni al Festival
internazionale di musica
contemporanea di Venezia (Lulu
di A. Berg, 1949; La favola del figlio
cambiato di G.F. Malipiero, 1952;
L’angelo di fuoco di S. Prokof’ev,
1955), al Maggio musicale
fiorentino (Fidelio di Beethoven,
1969), al Teatro alla Scala (fin dalla
primavera del 1946 con Giovanna
d’Arco al rogo di A. Honegger,
con Sarah Ferrati), almeno per
il Verdi, oltre che della già citata
Traviata, del Simon Boccanegra
(1971), del Macbeth (1975) e del
Falstaff (1980); e di Mascagni, della
lodatissima Cavalleria rusticana
diretta da Karajan (1966); alla
Piccola Scala per L’histoire du
soldat di I. Stravinskij (1957),
Un cappello di paglia di Firenze
di N. Rota (1958) e Ascesa e
caduta della città di Mahagonny
di K. Weill (1964); oltre al lavoro
sul prediletto Mozart, condotto
attraverso Il ratto dal serraglio
(1965) e Il flauto magico (1974)
al Festival di Salisburgo, Le nozze
di Figaro a Parigi (1973),
Don Giovanni alla Scala (1987)
e la soave leggerezza di Così fan
tutte, inno all’amore e alla
giovinezza: più che un testamento,
un ponte gettato fra il lavoro di
cinquant’anni e il nuovo secolo.
(Maria Grazia Gregori da Dizionario dello spettacolo
del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998)
ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO
di Maria Grazia Gregori
Può uno spettacolo trasformarsi nella bandiera di
sessant’anni di vita di un teatro? Sì, se si tratta del
sempreverde Arlecchino, del magnifico Arlecchino,
dell’umanissimo Arlecchino che porta l’impronta irripetibile
di Giorgio Strehler, che è stato di Marcello Moretti e che è
ancora di Ferruccio Soleri. Ma non guardiamo a questo
spettacolo come a un reperto da museo, frigido e
imbalsamato nella sua lontana perfezione. Anzi quello che
sta alla base della fortuna incredibile del Servitore di due
padroni (che è poi il suo vero titolo) e che lo rende
praticamente comprensibile a tutte le latitudini e agli
spettatori di diverse civiltà, è proprio la sua inarrestabile,
inguaribile vitalità. Facile, direte voi: forse che non si tratta
di un testo attraverso il quale Goldoni chiude i conti con la
tradizione della Commedia dell’Arte e si avvia alla
fortunatissima epoca del teatro del personaggio? Tutto
vero. Ma perché allora la stessa sorte non è toccata a uno
dei tanti grandi spettacoli shakespeariani messi in scena
da Strehler? Il segreto della fortuna mondiale di
Arlecchino, della sua capacità, che oggi definiremmo
mediatica, di catturare spettatori di qualsiasi generazione e
cultura sta forse nel “segreto” di Carlo Goldoni scrittore di
teatro: sapere concentrare la genialità drammaturgica
pescando i suoi soggetti nei libri della Vita e del Teatro.
Vita e sua rappresentazione, dunque, all’interno del
cerchio magico del palcoscenico, specchio del mondo nel
quale intere generazioni di attori e di spettatori si sono
riconosciuti. L’altro motivo sta nella capacità del suo
regista creatore, Strehler, di sapere reinventare e
reinventarsi ogni volta questa storia di intrighi e di
maschere, di fame e di difficoltà dei sentimenti.
Soprattutto sta nella capacità del regista di trovare ogni
volta gli interpreti giusti, di cogliere lo spirito del tempo,
proponendo ed esplicitando in questo spettacolo la sua
caratteristica di lavoro in divenire, di considerare Goldoni
23
MARIA GRAZIA GREGORI
Arlecchino in dieci edizioni.
In alto, stagione 1949/50.
Sotto, stagione 1966/67.
Nella pagina precedente,
stagione 1977/78.
24
ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO
come un autore “strategico” nella produzione del Piccolo
Teatro, restituendo agli spettatori l’apparente facilità del
trasformare il Mondo in Teatro. Sembra facile, ma non lo
è. E certo non è un caso che, a partire dal 1947 fino al 14
maggio del 1997, in occasione del cinquantenario del
Piccolo Teatro, sia stato proprio Arlecchino a restare
accanto a Strehler, croce e delizia della sua vita di regista,
spettacolo amato-odiato. E che sia stato proprio
Arlecchino l’ultimo spettacolo “finito” che ci ha lasciato
prima della sua scomparsa malgrado la febbrile ansia
creativa che lo ha portato, nel giro di tredici giorni, a
concretizzare le grandi linee della messinscena di Così fan
tutte di Mozart. Prima fra tutte le sue grandi regie
goldoniane, dunque, Arlecchino ritorna nella vita del
Piccolo e in quella di Strehler a intervalli quasi regolari con
ben dieci edizioni nei momenti nodali della storia del primo
Stabile d’Italia. Uno spettacolo, dunque, che riveste i
caratteri dell’eccezionalità, un filo rosso che attraversa
cinquant’anni tumultuosi nella vita del teatro italiano. Un
vero e proprio “romanzo”, che segnala i giri di boa nella
storia del Piccolo, ma anche quelli all’interno della vicenda
umana e artistica di Strehler. Dieci edizioni dove i volti e le
voci degli interpreti si confondono: Moretti, Soleri, Maestri,
Zareschi, Asti, Pepe, Tedeschi, Mauri, Parenti, Carraro,
De Lullo, Graziosi, Rissone, Cortese, Jonasson, Lazzarini,
Dettori, Minelli, Bonati… fino ai giovani attori che lo hanno
interpretato per la prima volta nel 1991, parte dei quali
ancora oggi, in questa che chiameremo la sua undicesima
edizione, la prima senza Strehler, continuano e recitarlo
accanto a Ferruccio Soleri e fino al 2000 accanto a
Gianfranco Mauri. Indimenticabile la sera del marzo 1998,
a pochi mesi dalla scomparsa di Strehler, al Théâtre de
l’Odéon di Parigi, con il pubblico francese in piedi nella
standing ovation durata per quindici minuti ai vecchi e ai
giovani interpreti, alla freschezza dello spettacolo e alla
memoria del suo creatore. In un cartellone come quello
del 1947, che getta le basi delle future scelte del Piccolo e
che è una vera e propria dichiarazione d’identità per le
coraggiose scelte drammaturgiche dei giovani Grassi e
Strehler, Arlecchino significa la riappropriazione di un
passato segnato dalla storia della commedia dell’arte.
Ma è anche l’incursione inaspettata, sul palcoscenico,
dell’assurdo nella sua forma più piana ed assoluta, che
non spaventa, il recupero della teatralità pura delle origini.
La tradizione: non quella smarrita del “grande attore”,
ormai tramontato, bensì quella perduta, fantastica, sulla
Stagione 1972/73.
quale aveva già cominciato a interrogarsi la grande regia
europea, a partire da Max Reinhardt. La riscoperta di una
tradizione di cui si è allontanata la memoria significa
dunque, proprio negli anni in cui la regia sta prendendo
piede in Italia, un libro tutto da inventare e da scrivere, con
un linguaggio nuovo nato non solo dalle parole ma dai
corpi e dai gesti degli attori. In quel lontano 1947, Strehler
ricerca le tracce delle tecniche smarrite dei comici italiani, il
modo di punteggiare e di sincronizzare l’azione con la
parola, di ritrovare l’espressività del gesto in ritmi giocosi e
sfrenati non come pedissequa ripetizione di schemi, ma
come invenzione assoluta. E se a qualcuno quel primo
Arlecchino sembra fragrante come un gelato alla fragola,
altri parlano di ricerca antropologica vera e propria. Senza
dubbio è una palestra formidabile che impone anche il
confronto con la maschera, che è la prima e forse
inconsapevole incursione di Strehler nel cosiddetto effetto
di straniamento ricercato nella scena semplice di Gianni
Ratto: una pedana delimitata da fondali e quinte dipinte,
cambiate a vista dagli stessi attori. Marcello Moretti, che è
il primo Arlecchino a calcare le scene italiane del
dopoguerra, rappresenta la tipologia nuova di attore fuori
dalla tradizione, alla ricerca consapevole di se stesso,
formato dall’Accademia di Silvio D’Amico. Il suo primo
Arlecchino ha una maschera dipinta sul viso mentre i suoi
compagni, da Franco Parenti a Antonio Battistella,
portano sul volto maschere scomode e anche pesanti e
dolorose fatte di cartapesta e garza. Più tardi però anche
Moretti-Arlecchino cade nel sortilegio e indossa la
maschera che Amleto Sartori gli ha preparato come una
condanna e non se la toglie più. Bisognerà aspettare il
1952 perchè le scene di Ratto si definiscano con più
eleganza proponendo lo spazio di un teatrino di comici del
Settecento. Anche Arlecchino, che ora porta una
maschera da gatto, è cambiato e per la prima volta
indossa un costume stilizzato a piccoli triangoli. Mutamenti
non esteriori, ma nati da una necessità interna allo
spettacolo che si va definendo come una gabbia, allo
stesso tempo rigorosa e ricca di libertà, con un ritmo
calcolatissimo che ha la suprema furberia di non farsi
avvertire. È però nel 1956, nella cosiddetta “edizione di
Edimburgo”, che Arlecchino subisce un mutamento
radicale grazie anche al cromatismo e alla sapienza
spaziale di Ezio Frigerio che firma le scenografie: una
piazza italiana coperta da un velario che ripara dal sole, gli
attori che recitano, nei modi della commedia dell’arte,
25
MARIA GRAZIA GREGORI
Stagione 1977/78.
26
ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO
nella cornice quotidiana di una compagnia di comici. Si
sviluppa così quella spinta al teatro nel teatro che, d’ora in
avanti, sarà la caratteristica portante di Arlecchino.
Strehler, infatti, costruisce lo spettacolo proprio esaltando
quel rapporto Vita e Teatro di cui si diceva all’inizio, con gli
attori che si tolgono la maschera quando escono di
scena. Quasi fosse un imperativo categorico per il regista,
reduce dagli appuntamenti con Brecht e con Bertolazzi,
rileggere Arlecchino. Fra la terza e la quarta edizione di
questo spettacolo c’è anche la cesura drammaticamente
dolorosa della morte di Moretti, avvenuta nel 1961
quando già il giovane Ferruccio Soleri, anche lui formatosi
all’Accademia Silvio D’Amico e poi accanto a Moretti,
dopo un severo apprendistato, è pronto ad assumere, da
protagonista e non da sostituto (come nella tournée
americana del 1959), il ruolo di Arlecchino. Quali le
differenze fra le due interpretazioni al di là delle ovvie
diversità di personalità e di mezzi? L’Arlecchino di Moretti,
si rifà ai grandi creatori di un tempo, al loro spirito,
liberamente inventivo, pienamente in grado di sfruttare
tutta la carica espressiva non solo della parola ma del
corpo e del gesto. Un Arlecchino, il suo, che, per la prima
volta, non nasce nel teatro di tradizione e neppure
all’interno di compagnie dialettali, ma che è il risultato di
una scuola diversa, di uno studio dello stile comico
fondato sulla ricerca e sull’impegno filologico, come si
conviene a un teatro in cui il peso e il ruolo del regista oltre
che quello dell’attore vogliono dire esercizio critico, ricerca
di un modo di recitare all’italiana. Nel ritmo che ha del
prodigioso e che dopo le prime edizioni si è stemperato in
un approfondimento psicologico della maschera, Moretti
ne assimila le convenzioni al punto che diventano naturali
grazie a uno stile che le trasforma in insostituibile modo di
vivere. Un umorismo candido e sornione al tempo stesso,
bonario e furbesco, estroso e infallibile. Eppure la sua
maschera nasconde un continuo assillo, e il suo tormento
artistico si confonde con quello personale perché è
l’esibizione sul palcoscenico a dominare la sua vita. Dice
Tullio Kezich, in un suo ricordo dell’attore, che Arlecchino
e Moretti danno l’impressione di stare diventando
lentamente una persona sola. Protetto dalla sua
maschera, l’attore vince i suoi complessi e si scatena: c’è
- è sempre Kezich a dircelo - qualcosa di magico, di
diabolico, in questa trasformazione. Poi Arlecchino,
cresciuto nel soffio vitale, nel guizzo acrobatico e poetico
di Moretti, da cui ha succhiato la calma ponderata, la
In alto, stagione 1982/83
Sotto, stagione 1962/63.
riflessività, la malinconia, incontra il giovane attore toscano
Ferruccio Soleri. A lui tocca un compito all’apparenza
impossibile: sostituire nel cuore, negli occhi,
nell’immaginario degli spettatori, ma anche di Grassi e di
Strehler, l’Arlecchino di Moretti, al quale è stato vicino,
spiandolo fra le quinte, impegnato all’inizio nel ruolo del
camerierino e poi come sostituto. Soleri ha sempre
sostenuto che l’Arlecchino non gli è venuto da Moretti,
che non gli ha mai comunicato il suo “segreto” e che si è
limitato a prepararlo per entrare in un disegno spettacolare
già prestabilito, ma da Strehler, che ha avuto l’intelligenza
e il coraggio di voltare pagina, di non cercare di imporgli
gli stessi stilemi. La personalità, la giovinezza, la fisicità più
prorompente di Soleri, il suo gusto e la sua propensione
per l’acrobatica, spingono il regista non solo alla ricerca di
nuovi lazzi, da aggiungere o da sostituire a quelli canonici
di Moretti, ma anche a rivoluzionare totalmente l’impianto
dello spettacolo. Un Arlecchino, quello di Soleri, che è
andato via via prendendo forma non solo come fatto
personale, ma anche come sensibilizzazione di una
particolare situazione umana, di un’epoca. Ecco perchè il
Batocio di Soleri, pur partito dalla grande lezione di
Moretti, si è venuto via via storicizzando trasformandosi
nell’immagine di un uomo in lotta fra due mondi - i suoi
due padroni? - con tutte le sue contraddizioni, le sue
furberie, le sue astuzie, le sue ruffianerie, dette con una
voce non realistica che si sposa perfettamente con la
maschera grintosa e giovane da gatto e che lo spinge a
interiorizzare quello che dovrebbe sentire il corpo con il
vantaggio di potere guardare il mondo come dal buco
della serratura mentre gli altri non possono cogliere le sue
emozioni. Un miracolo di energia creativa che ha
affascinato molti teatranti come Peter Brook e Patrice
Chéreau. Nel 1963, a Villa Litta di Affori, nell’edizione
cosiddetta “dei carri”, povere case di attori girovaghi che
si sono fermati in un prato, mentre i cavalli sono stati
staccati, portati via, Soleri può interpretare l’Arlecchino
che Strehler ha pensato per lui. Due piccoli luoghi scenici,
posti quasi uno di fronte all’altro, in mezzo ai quali gli attori
hanno rizzato una pedana-palcoscenico, delimitata da un
lato dagli schermi per le candele, trasformate in luci della
ribalta e dall’altro da montanti, su cui scorrono i fondali
che fanno da scena ne costruiscono l’ambientazione.
L’edizione del 1973, pensata sempre per essere recitata
all’aperto (alla Villa Comunale di Milano), ripropone
figurativamente lo stesso impatto di dieci anni prima, ma si
27
MARIA GRAZIA GREGORI
In alto, stagione 1990/91.
Sotto, stagione 1996/97.
28
ARLECCHINO E IL PICCOLO TEATRO
segnala e si differenzia per l’approfondimento compiuto
da Soleri nel ruolo di Arlecchino fra fisicità pura e calcolo,
fra l’ineluttabile destino della vittima e gli intriganti giochi di
un maestro d’imbrogli. Un punto d’arrivo presto
abbandonato perché bisogna riprendere ancora una volta
quell’eterno viaggio dei comici che da secoli è il loro
destino e che questo spettacolo visualizza. Nasce così
l’Arlecchino detto dell’Odéon, dal teatro di Parigi in cui è
stato rappresentato per la prima volta (1977).
Un Arlecchino più cupo, autunnale, storia di un gruppo
d’attori affamati che stanno tornando in Italia da Parigi.
Cacciati dalla capitale, giungono a un castello
abbandonato, dai muri sbrecciati. In un angolo, nelle
stanze buie, un cavallo di pietra ricorda una vecchia statua
equestre. Ma ecco arrivare dei contadini e per loro, alla
luce fioca dei candelabri, questi attori ripropongono i
propri personaggi… Viaggio nel buio e pessimistica
autorappresentazione (è il teatro che si autoesilia dal
mondo), quando tutto sembra perduto ecco Arlecchino
abbandonare il palcoscenico e fuggire fra i palchi inseguito
dagli attori, per essere poi addirittura assunto in cielo su di
una magica nuvola bianca. Un “anticipo” su quell’incontro
con il teatro come macchineria barocca, come arsenale
delle meraviglie che, proprio in quella stagione, con ben
altra profondità, Strehler porrà al centro della Tempesta di
Shakespeare. Mai fedele a se stesso, irriverente anche nei
confronti della propria fama, l’Arlecchino che in occasione
del quarantennale sale sul palcoscenico del Piccolo nel
1987 vuole, nella assoluta purezza della scena e del gioco
scenico, testimoniare al pubblico il senso di una storia e di
una ricerca teatrale. La scena di Ezio Frigerio è illuminata
dalle fioche candele alla ribalta. Pochi oggetti consunti
dall’uso sono sufficienti a questi comici non più giovani,
per recitare sotto il trucco che non nasconde le rughe,
l’eterna commedia del Servitore di due padroni. Una
misteriosa, impalpabile lanterna magica; una luce cupa una sola candela - spinge gli attori ad andare avanti…
È l’edizione detta dell’Addio ma nel 1990 brilla una vita
nuova anche per l’Arlecchino che verrà detto del
Buongiorno, saggio finale del corso Jacques Copeau della
Scuola di Teatro del Piccolo. Più interpreti che si
confrontano, con la raffigurazione di più compagnie
raccolte attorno al “vecchio” maestro Ferruccio Soleri.
Trentadue attori a disputarsi dieci ruoli, in un disordine
vitale. E se l’Arlecchino del Bicentenario goldoniano non
sarà firmato da Strehler che l’aveva pensato come un
In alto e sotto, stagione 1986/87.
omaggio a Mejerchol’d e sarà trasportato per l’occasione
nella pianta ellittica del Teatro Studio, a diretto contatto
con lo spettatore, quello del Cinquantenario, presentato al
Piccolo il 14 maggio del 1997, lo vedrà confrontarsi
ancora una volta con uno spettacolo che il record di
essere il più rappresentato nella storia di tutti i tempi non
ha assolutamente appannato. Un’orgogliosa e
consapevole dimostrazione dell’idea di un teatro fatto per
gli uomini, i giovani attori attorno a Soleri e a Mauri, che
interpreta il ruolo di Brighella, e il regista in mezzo a loro a
ringraziare il pubblico, che non può certo immaginare che
sarebbe stata l’ultima volta. Poi via, in giro per il mondo
perché gli spettacoli vivono oltre la vita dei loro creatori e
interpreti. Ed eccolo qui di nuovo, oggi, sotto lo sguardo
vigile di Ferruccio Soleri che di quella storia, allo stesso
tempo mitica e fortemente reale, è l’incarnazione vivente.
L’Arlecchino del Nuovo Millennio, l’undicesima edizione di
questo spettacolo sempre antico e giovane, orgoglioso
della sua storia, guarda anche al presente. Scomparsi il
suo creatore e un interprete fondamentale come
Gianfranco Mauri, può però contare sempre sulla
stupefacente presenza di Ferruccio Soleri e su di un
gruppo affiatato di giovani attori. Nelle scene pensate da
Ezio Frigerio come un’evocazione di atmosfere
strehleriane, questo Arlecchino che viaggia per l’Europa
recupera da antiche edizioni la pedana, le quinte dipinte e
il velario che ripara i comici dal sole. La sua vita va al di là
di quella del suo regista creatore, grazie alla presenza
carismatica di Ferruccio Soleri che ne è la memoria
vivente. E che ne garantisce, con ricchezza di significati e
di agnizioni, la lunga, irripetibile vita: un passato mitico, un
presente formidabile, un futuro che non si conosce.
È lui che severamente ma con passione guida quella vera
e propria bottega di teatro che è diventata Arlecchino: uno
spaccato di generazioni di attori, un passaggio di ruoli, un
sapere e un essere del teatro da tramandare e che
Strehler ha avuto la generosità di donare non solo al
pubblico ma anche ai suoi attori. Ma il gioco, la
malinconia, il ritmo, l’inquietudine trafelata, i lazzi e le liti
sono quelli di sempre: una piccola “storia del teatro”
vivente che passa attraverso il corpo degli attori.
Così, con tutta la sua vicenda umana e artistica di trionfi e
di sudore, di strepitosa vitalità, Arlecchino sta ancora lì,
concreto e poetico, fantastico e bizzarro, per continuare a
vivere un’irripetibile avventura teatrale, allo stesso tempo
lontana e vicina.
29
ARLECCHINO, LA MIA VITA
di Ferruccio Soleri
Il mio incontro con il personaggio di Arlecchino è avvenuto
quasi per caso, mentre studiavo da attore all’Accademia
d’Arte Drammatica di Roma, con La figlia ubbidiente
di Goldoni, saggio di un allora allievo regista, Giacomo Colli.
Ero preoccupato: nato in Toscana non avevo mai recitato in
veneziano. «Non avere paura - mi ha detto il mio maestro
Orazio Costa - verrà Marcello Moretti, l’Arlecchino di
Strehler a metterti a posto».
Ma Moretti era sempre occupato con Strehler; venne
solo alla prova generale e non mi diede alcun aiuto reale.
Evidentemente, però, qualcosa in me l’aveva colpito se,
quando si trattò di pensare a un sostituto, scelse proprio
me. I miei rapporti con il Piccolo Teatro cominciarono
l’anno dopo, quando frequentavo il terzo corso. Orazio
Costa, che doveva mettere in scena al Piccolo La favola
del figlio cambiato di Pirandello, chiese alla direzione della
scuola di potermi avere con sé. Venni presentato a
Strehler che mi disse: «Ah, Soleri, l’Arlecchino
dell’Accademia»; Moretti doveva avergli parlato di me.
Dopo il diploma, fui chiamato nel 1959 da Strehler per il
ruolo del camerierino in Arlecchino. Recitando in quel
ruolo, praticamente una comparsata, stavo in quinta a
osservare Moretti. Vedevo la sua abilità anche se non
avevo la furbizia di capire le cose. Però assimilavo,
magari senza accorgermene. Poi venne la tournée
americana di questo spettacolo dove fui il sostituto di
Moretti. Ricordo ancora la mia prima recita a New York,
in un giorno feriale. Venne annunciato al microfono che,
in quella replica, Moretti era sostituito da Ferruccio Soleri.
Il teatro aveva duemila posti: da dietro il sipario dove
stavamo già tutti pronti con il braccio alzato nella
caratteristica posizione del balletto, sentii duemila
mormorii di disappunto. Il braccio mi cadde giù, mi
sentivo come svuotato.
31
ARLECCHINO, LA MIA VITA
Ferruccio Soleri e Giorgio Strehler
provano Arlecchino. Nella pagina
precedente, Ferruccio Soleri al
trucco, foto Ciminaghi.
Il primo atto andò così così; il secondo, con la scena del
pranzo e del budino interessò molto il pubblico; nel terzo
sentii che ce la potevo fare. Questa è stata la mia prima
volta come Arlecchino. Indimenticabile. Nel 1961 morì
Marcello Moretti e di Arlecchino non si parlò più.
Fu durante le repliche del Galileo di Brecht (1963) che mi
dissero che Strehler voleva riprendere Arlecchino in una
edizione particolare a Villa Litta, all’aperto. Iniziai a provare
con Virginio Puecher. Poi arrivò Strehler e cominciò a
smontare tutto: «Ferruccio qui la voce non va. Devi
trovarla, devi rinforzarla». Mi diede da fare degli esercizi di
sostegno fra cui uno utilissimo: leggere il giornale senza
mai fermarsi, senza respirare e senza punteggiatura fino a
quando mi reggeva il fiato e poi da capo. È stato
lavorando con lui che ho capito cosa era Arlecchino e
cosa era stata la Commedia dell’Arte ben al di là dei libri
che avevo letto. Da parte mia gli portavo la mia abilità
nell’acrobazia, la mia voglia di fare, le mie caratteristiche,
la mia gioventù. Ma la mia voce l’ho trovata solo nel
secondo anno; prima ero troppo preoccupato
dell’incontro con il pubblico e con la critica. Il mio
Arlecchino lo devo proprio a Strehler, che mi ha dato
tutto. Difficoltà ne ho avute molte.
La prima nasceva dal mio rapporto con la maschera.
«Non fai ridere; non esprimi niente», diceva Strehler
durissimo, e questo mi gettava nel panico. Ho cominciato
a studiare la maschera davanti allo specchio. Lì ho capito
che la maschera spingeva a interiorizzare quello che
avrebbe dovuto sentire il corpo. Ero terrorizzato da
questo; poi ho capito di avere un vantaggio: potevo
guardare il mondo dal buco della serratura, mentre gli altri
non potevano vedere le mie emozioni. Solo mentre
provavo l’edizione “dell’Addio”, nel 1987, Strehler mi ha
detto una cosa che ricorderò per sempre: «Ferruccio, io
non capisco. Tu invecchi, ma il tuo Arlecchino è sempre
più giovane. Ma come fai?».
33
Arlecchino servitore di due padroni, 2009
Arlecchino servitore di due padroni, 2009
Arlecchino servitore di due padroni, 2009
LA COMPAGNIA
Ferruccio Soleri (Curatore della
messa in scena, Arlecchino)
Ferruccio Soleri
nasce a Firenze,
dove frequenta la
Facoltà di
Matematica e
Fisica. In seguito
studia recitazione
presso
l’Accademia
Nazionale d’Arte Drammatica Silvio
d’Amico di Roma. Fa il suo debutto
teatrale da professionista nel 1957, al
Piccolo Teatro di Milano, ne La favola
del figlio cambiato di Luigi Pirandello.
In seguito recita in opere di Lorca,
Babel, Ibsen, Brecht, Schnitzler,
Shakespeare, Goldoni, Molière,
Marivaux, Gogol, Neruda, diretto da
importanti registi tra i quali Menegatti,
Strehler, Chéreau, Huston, Squarzina,
Guicciardini, Puggelli, Vitez, Langhoff.
Nel 1963 debutta nel ruolo di
protagonista in Arlecchino servitore di
due padroni di Goldoni, per la regia di
Giorgio Strehler. Spettacolo che, quasi
ogni anno, è in scena a Milano e in
tournée in Italia e nel mondo.
Ha preso parte a film prodotti da
alcune reti televisive europee tra i quali
Mozart und Da Ponte di Friedel,
La trappola di Lizzani.
Nel 1971 debutta come regista
teatrale ne Il corvo di Gozzi. Da allora
ha messo in scena La locandiera,
I due gemelli veneziani, La castalda,
Il ventaglio e L’impresario delle Smirne
di Goldoni; La mandragola di
Machiavelli, Arlecchino, l’amore e la
fame di Ferrante e Soleri; Arlecchino
fame… fame… fame… di De Martino
e Soleri.
Ha messo in scena anche alcune
opere liriche di repertorio:
Don Pasquale, Convenienze
e inconvenienze teatrali di Donizetti;
Il barbiere di Siviglia, L’italiana in
Algeri, Il signor Bruschino e Il turco in
Italia di Rossini; Duello comico di
Paisiello; Livietta e Tracollo e La serva
padrona di Pergolesi; Il ratto dal
serraglio
e La finta giardiniera di Mozart;
Il trionfo dell’onore di Scarlatti;
La traviata di Verdi; Il franco cacciatore
di Weber; La sposa venduta
di Smetana; L’Arcadia in Brenta
di Galluppi e le operette Notte a
Venezia di Strauss e La vedova allegra
di Lehár. Questi spettacoli sono stati
allestiti in varie città, tra le quali,
Salisburgo, Monaco di Baviera, Lione,
Parigi, Karlsruhe, Zurigo, Bruxelles,
Montevideo, Bologna, Modena,
Parma, Treviso, Torino, ecc..
Ha insegnato in varie scuole di teatro
tra le quali: Otto Falckenberg Schule
di Monaco di Baviera, École Mudra di
Bruxelles, fondata da Maurice Béjart,
Max Reinhardt Seminar di Vienna,
Santa Clara University in California,
40
Fondazione Gulbekian di Lisbona,
Festival di Oguni (Giappone), Scuola
di Teatro di Valencia, Festival
Internazionale di Teatro di Lisbona,
Teatro Nazionale di Bucarest e Festival
Internazionale di Napoli.
Tiene in tutto il mondo stage sulla
Commedia dell’Arte e sul Teatro.
Fra i numerosi premi ricevuti:
Ambrogino d’oro (Milano), Arlecchino
d’oro 2001 (Mantova), Maschera
d’oro 2001 (Mosca), Medaglia d’oro
2005 (Roma), come benemerito della
Scuola, della Cultura e dell’Arte,
Leone d’oro alla carriera alla Biennale
Internazionale di Venezia 2006.
Nel 2007 è stato nominato
Ambasciatore Unicef. È il responsabile
del progetto e della direzione artistica
dell’Accademia Internazionale della
Commedia dell’Arte realizzata dal
Piccolo Teatro.
Stefano de Luca
(Collaboratore alla messa in scena)
Allievo di Giorgio
Strehler, si
diploma nel 1990
in recitazione e
cinque anni dopo
in regia.
Frequenta
seminari tenuti da
Peter Brook, Ian
McKellen (al Piccolo); Cicely Berry
(Royal Shakespeare Company); Lev
Dodin (Maly Teatr, San Pietroburgo).
Assistente alla regia di Strehler tra il ‘95
il ‘98, in spettacoli tra cui L’isola degli
schiavi di Marivaux, L’anima buona di
Sezuan di Brecht, Arlecchino servitore
di due padroni di Goldoni e La grande
magia di De Filippo, collabora anche
con Lamberto Puggelli, Carlo
Battistoni, Guido Ceronetti.
Con Ferruccio Soleri ha collaborato
alla regia dell’ultima edizione
dell’Arlecchino strehleriano e come
vicedirettore dell’Accademia
Internazionale della Commedia
dell’Arte a Mosca e Brindisi.
Da circa dieci anni allestisce spettacoli
in Italia e all’estero.
Tra questi, Pinocchio storia di un
burattino da Collodi, Il piccolo principe
da Saint-Exupéry, La barca dei comici,
spettacolo ispirato a un episodio dei
Mémoires di Goldoni, nella rilettura di
Strehler tutte e tre prodotti dal Piccolo;
Sans titre dal Platonov di Cechov,
presentato all’VIII Festival dell’UTE;
Oreste di Alfieri, con Massimo
Popolizio e Laura Marinoni, per
l’Olimpico di Vicenza, Ubu Re di Jarry
per il Teatro Nazionale di Timisoara (in
rumeno); Trappola per topi della
Christie, con Adriana Innocenti; Alcesti
di Euripide (in ungherese) per l’Odry
Szinhàz di Budapest; Baal di Brecht e
Tre sorelle di Cechov (entrambi in
tedesco), prodotti dal Wilhelma
Theater di Stoccarda. Recentemente,
con la compagnia che ha fondato,
Lupusagnus, ha realizzato Mamma
Mammazza, del drammaturgo italiano
contemporaneo Aquilino.
Nella stagione 2008/2009 ha messo in
scena al Piccolo Darwin... tra le
nuvole, spettacolo per ragazzi
realizzato con Giulio Giorello e Luca
Boschi per il bicentenario della nascita
del naturalista inglese.
Ezio Frigerio (Scene)
Nato a Erba,
dopo gli studi di
architettura al
Politecnico di
Milano, inizia la
collaborazione
con il Piccolo
Teatro nel 1955
come costumista
per alcuni spettacoli di Strehler, tra cui
La casa di Bernarda Alba di García
Lorca e L’opera da tre soldi di Brecht.
Dopo un periodo in cui lavora per il
cinema, diventa collaboratore stabile
di Strehler, realizzando le scene di
moltissimi spettacoli memorabili, tra
cui I giganti della montagna di
Pirandello (1966), Santa Giovanna dei
macelli di Brecht (1970), Re Lear di
Shakespeare (1972), Temporale di
Strindberg (1980), La grande magia di
De Filippo (1985), Arlecchino di
Goldoni (1973, 1987, la nuova
scenografia dell’edizione 2003), tutti
allestiti al Piccolo. Sempre per Strehler
firma le scene dell’Illusion di Corneille,
allestito a Parigi all’Odéon nel 1984.
Nelle sue realizzazioni, Frigerio
propone spazi articolati con grande
genialità teatrale che si sviluppano
(come in Temporale) su vari piani,
usando al contempo materiali nuovi
come plastica specchiantetrasparente e il perspex e
raggiungendo inediti contrasti
drammatici. Ma è anche nella
scenografia per l’opera lirica che il suo
talento ha modo di manifestarsi con
gli allestimenti che realizza ancora per
Strehler: Simon Boccanegra (1975)
e Falstaff (1980) di Verdi, Lohengrin
(1981) di Wagner (in cui emerge la
visione geometrica dello spazio
scenico gestito attraverso imponenti
colonne che danno forza e spinta
verticale all’immagine visiva), Le nozze
di Figaro (1981) e Don Giovanni
(1987) di Mozart. Nelle Nozze, in
particolare, ricostruisce l’idea di un
mondo settecentesco in cui la luce
che penetra da grandi finestre disegna
e delimita uno spazio ovattato e
suggerisce le atmosfere dell’azione.
Con Così fan tutte (1998), ancora di
Mozart, ultima regia di Strehler,
Frigerio termina una lunga e fertile
collaborazione che ha conferito
un’impronta fondamentale alla sua
carriera di scenografo. Per il balletto
lavora con R. Petit, R. Nureyev,
Y. Grigovich, R. Hynd e B. Menegatti.
Artista eclettico, in campo
cinematografico collabora con
De Sica, Castellani, Bolognini, Cavani,
Bertolucci (per Novecento), Planchon,
Konchalovskij, Schlöndorff e
Rappeneau. Per il suo lavoro in
Cyrano de Bergerac, film diretto da
quest’ultimo, ha vinto il premio César,
il premio europeo Awards, il Nastro
d’Argento e ha ottenuto la nomination
all’Oscar. Ha lavorato in tutti i più
importanti teatri del mondo, tra cui
Metropolitan (New York), Lyric Opera
(Chicago), Covent Garden (Londra),
Opéra, Opéra Bastille e Comédie
Française (Parigi), e in città come
Lione, Amburgo, Monaco, Vienna,
Milano, Venezia, Roma, Tolosa,
Madrid, Bruxelles, Stoccolma, Tokyo,
Barcellona, Zurigo e Buenos Aires.
Ha collaborato con registi come, tra
gli altri, G. Deflo, L. Ronconi,
L. Pasqual, N. Joel, G. Wod,
M. Gas, W. Herzog, M. Sciaccaluga,
P. Faggioni, F. Soleri, G. Vick,
N. Espert, G. Montaldo, J. M. Flotats,
E. Sagi. A Parigi ha ricevuto la
Legione d’Onore per aver contribuito
a creare un nuovo modo di concepire
la scenografia in Francia.
Franca Squarciapino (Costumi)
Nata a Roma,
all’Aquila compie
gli studi classici e
segue corsi di
danza e di arte
drammatica.
In seguito vince
una borsa di
studio come
attrice per un corso di tre anni alla
televisione italiana e torna a Roma.
A 22 anni l’incontro con Ezio Frigerio che diviene suo compagno di vita e
prezioso maestro - con il quale scopre
il mondo affascinante dei costumi.
Come sua assistente, partecipa a
importanti produzioni televisive di
registi tra cui Bolchi, Castellani, la
Cavani. Sempre come assistente di
Frigerio inizia a collaborare con il
Piccolo Teatro: l’incontro con Strehler
è un evento importantissimo nella sua
carriera perché è l’occasione in cui si
avvicina al teatro nella sua più grande
espressione. Per lui cura i costumi per
Temporale di Strindberg, Minna von
Barnhelm di Lessing, Arlecchino
di Goldoni, L’opera da tre soldi di
Brecht, Come tu mi vuoi di Pirandello
e Così fan tutte. Ancora con Strehler
e Frigerio, alla Scala collabora a
Lohengrin, Le nozze di Figaro, Don
Giovanni, Fidelio. Tra gli altri teatri per i
quali ha lavorato, vi sono Opéra
(Parigi), Covent Garden (Londra),
Metropolitan (New York), La Monnaie
(Bruxelles), Colón (Buenos Aires),
Liceu e Nacional (Barcellona), Real e
Zarzuela (Madrid), oltre ai teatri di
Amburgo, Colonia, Berlino,
Francoforte, Vienna, Salisburgo,
Marsiglia, Nizza, Amsterdam, Lione,
Ginevra, Zurigo, Messina, L’Aquila,
Roma, Siviglia, Torino, Catania,
Palermo, Avignone, Tolone.
Ha collaborato con altri registi tra cui
G. Deflo, V. Puecher, L. Ronconi,
L. Cavani, N. Espert, L. Pasqual,
A. Konchalovskij, R. Planchon,
R. Wilson, G. Vick, P. Faggioni,
P. Stein, G. Montaldo. Per il balletto,
ha lavorato con R. Petit a numerose
sue produzioni e anche con Rudolf
Nureyev, Yuri Grigovich, Cristina
Hoyos e altri. Per il cinema ha curato i
costumi di Cyrano de Bergerac (con
cui vince l’Oscar, il César, il premio
della critica inglese, il premio europeo
Awards e il nastro d’Argento)
di J. P. Rappeneau, Il colonnello
Chabert di Y. Angelo, La femme de
chambre du Titanic e Volaverunt,
entrambi di Bigas Luna. Caratteristica
dei suoi costumi sono gli abbinamenti
del colore e la ricerca meticolosa dei
tessuti; la cura dei dettagli e la fedeltà
storica del taglio lasciano comunque
spazio all’invenzione e a una creatività
sempre originale.
Fiorenzo Carpi (Musica)
Milanese, dopo
gli studi di
composizione
presso il
Conservatorio
“Verdi”, conosce
nel dopoguerra
Giorgio Strehler
e inizia a
collaborare con lui al Piccolo dal
1947, scrivendo le musiche per oltre
120 spettacoli diretti dal regista, tra
cui, Arlecchino servitore di due
padroni e Il campiello di Goldoni,
La tempesta di Shakespeare, I giganti
della montagna di Pirandello,
Il giardino dei ciliegi di Cechov, L’isola
degli schiavi di Marivaux e Faust di
Goethe. Nel frattempo, fa esperienze
con orchestre da ballo con Gino
Negri; lavora per la televisione (sue le
musiche del celebre sceneggiato di
Comencini Le avventure di Pinocchio);
in teatro, con, tra gli altri, Vittorio
Caprioli, Dario Fo, Vittorio Gassman,
Franca Valeri, Franco Parenti, Eduardo
De Filippo, Lamberto Puggelli; per il
cinema con registi come Louis Malle,
Peter Del Monte, Tinto Brass e Patrice
Chéreau; scrive canzoni come Quella
cosa in Lombardia (cantata in origine
da Laura Betti), Ma mi, La luna è una
lampadina, per gli allora esordienti
Ornella Vanoni ed Enzo Jannacci.
Autore anche di musiche da camera e
sinfoniche, si spegne il 21 maggio
1997 all’età di 79 anni.
Gerardo Modica (Luci)
Nel 1963
comincia la sua
carriera al
Piccolo come
elettricista di
palcoscenico.
Dal 1972, in
qualità di primo
elettricista, inizia il
rapporto con Giorgio Strehler come
operatore della consolle. Nella
stagione 1988/89, per Faust
frammenti parte I, è richiesto dallo
stesso Strehler come collaboratore
alle luci. In seguito partecipa a tutte
le produzioni del Piccolo. Tra queste,
La grande magia, Faust frammenti
parte II, I giganti della montagna,
Le baruffe chiozzotte, L’isola degli
schiavi, La storia della bambola
abbandonata e tutte le produzioni del
FestivalBrecht (Stagione 1995/96),
Così fan tutte di Mozart (1997/98),
Nina, o sia la pazza per amore di
Paisiello (1999/2000). Ha ideato le luci
di tutti gli spettacoli diretti al Piccolo
da Luca Ronconi fino al 2007: La vita
è sogno di Calderón de la Barca,
Il sogno di Strindberg, Lolita di
Nabokov, I due gemelli veneziani
di Goldoni, Phoenix della Cvetaeva,
Candelaio di Giordano Bruno, Quel
che sapeva Maisie di James, Infinities
di Barrow, il trittico Prometeo
incatenato di Eschilo, Le Baccanti
di Euripide, Le rane di Aristofane, oltre
a Memoriale da Tucidide di Siciliano,
Professor Bernhardi di Schnitzler,
Il ventaglio di Goldoni e Inventato di
sana pianta ovvero gli affari del barone
Laborde di Broch. Ha curato anche le
luci di Vecchia Europa di Delio Tessa,
regia di Giuseppina Carutti. Nel corso
della carriera ha affiancato altri registi
che hanno realizzato spettacoli al
Piccolo, tra cui Lamberto Puggelli,
Enrico D’Amato, Carlo Battistoni,
Walter Pagliaro, Katie Mitchell, Klaus
M. Grüber, Gigi Proietti.
Marise Flach (Movimenti mimici)
Nata in Francia,
ha studiato a
Parigi
frequentando il
corso per attori
della scuola
E.P.J.D.
(Education par le
jeu dramatique).
In seguito è entrata a far parte del
gruppo Etienne Decroux.
Nel ‘53 arriva alla Scuola del Piccolo in
qualità di assistente di Giorgio Strehler.
Da allora ha sempre collaborato con il
Piccolo come insegnante, come
creatrice dei movimenti mimici di
moltissimi spettacoli e come
realizzatrice di spettacoli di mimo.
Tra le produzioni cui ha lavorato, L’isola
degli schiavi di Marivaux con la regia di
41
Strehler, L’avaro di Molière e Siddharta
di Hesse, entrambi per la regia di
Puggelli, La storia della bambola
abbandonata, scritto e diretto da
Strehler e tratto da Brecht e Sastre,
Il mercante di Venezia di Shakespeare,
con la regia di Braunschweig. Sempre
con Strehler ha collaborato a regie
operistiche, tra cui Don Giovanni di
Mozart alla Scala di Milano e Così fan
tutte, sempre di Mozart. Insegna ai
giovani cantanti lirici dell’A.s.L.i.Co.
(Associazione Lirica Concertistica) e alla
Scuola di Canto del Teatro alla Scala.
Accanto a Luca Ronconi ha lavorato a
tutte le produzioni delle ultime stagioni,
da La vita è sogno di Calderón de la
Barca a Lolita di Nabokov, da I due
gemelli veneziani di Goldoni a Phoenix
di Marina Cvetaeva, alla trilogia greca
Prometeo incatenato di Eschilo,
Le Baccanti di Euripide e Le rane
di Aristofane.
Giorgio Bongiovanni
(Pantalone de’ Bisognosi)
Diplomatosi nel
1990 presso la
Scuola di Teatro
diretta da Giorgio
Strehler prende
parte a numerosi
spettacoli diretti
da Strehler
stesso:
Arlecchino servitore di due padroni (in
cui, da più di quindici anni, interpreta il
ruolo di Pantalone) e Il Campiello di
Goldoni, Faust Frammenti Parte I e
Parte II di Goethe, L’eccezione e la
regola di Brecht, La storia della
bambola abbandonata di BrechtSastre, Madre Coraggio di Sarajevo da
Brecht. Ha lavorato con altri registi
italiani: L. Ronconi (Il sogno di
Strindberg, Professor Bernhardi di
Schnitzler); C. Battistoni (Le nozze dei
piccolo-borghesi di Brecht); G. De
Monticelli (Il gran teatro del Mondo di
Calderón de la Barca, Il teatrino delle
meraviglie di Cervantes, Le anime
morte di Gogol’, Il deserto dei Tartari
di Buzzati, Mozart e Salieri e Il convitato
di pietra di Puskin, Mondo di Carta
di Pirandello), E. D’Amato, L. Puggelli,
G. Tofano. Sempre al Piccolo ha
recitato in Pericle di Shakespeare, regia
K. Warlikowski, Vecchio Clown cercasi
di M. Visniec, regia S. Iordanescu,
Il mercante di Venezia di Shakespeare,
regia S. Braunschweig, Riccardo III
di Shakespeare, regia Á. Schilling Madre
Coraggio e i suoi figli di Brecht, regia
R. Carsen. È apparso in diverse fiction
televisive dirette da Alberto Sironi su
RAI e Canale 5: Il furto del tesoro,
Il Commissario Montalbano, I racconti
di Carofiglio, Pinocchio. Negli ultimi anni
si è dedicato alla regia lirica, mettendo
in scena a San Marino Memét di G. B.
Sammartini, Il matrimonio segreto
di D. Cimarosa, e a Spoleto Don
42
Falcone di N. Jommelli per il Teatro
Lirico Sperimentale. È tra i docenti
dell’Accademia Internazionale della
Commedia dell’Arte diretta da
Ferruccio Soleri.
Annamaria Rossano
(Clarice, Beatrice)
È nata a Monza
nel 1976. Si è
diplomata alla
Scuola del
Piccolo Teatro di
Milano. Con la
Compagnia
Egumteatro ha
recitato negli
spettacoli Il matrimonio per forza di
Molière (1994/1995), Lupi e pecore di
N. Ostrovskij (1995/1996), Olà da
Kafka (1996/1997), Gamblet (2000) e
Musik (2001), tutti con la regia
di A. Bianco e V. Liberti.
Al Piccolo ha lavorato ne Il sogno di
Strindberg, sotto la direzione di Luca
Ronconi (2000), Così fan tutte di
Mozart (come mimo) con la regia di
Giorgio Strehler (2000). Nel 2002 ha
collaborato col Piccolo Teatro allo
spettacolo per ragazzi Arlecchino
racconta e nel 2003 è entrata nel cast
di Arlecchino, servitore di due padroni.
Nel 2006 ha recitato il monologo
Khore, la luna di miele di Arianna sotto
la direzione della regista e autrice
Sonia Arienta. Nello stesso anno ha
partecipato allo spettacolo diretto da
Guido De Monticelli Storie a mare.
Stefano de Luca l’ha diretta in
Mamma Mammazza di Aquilino, al
Teatro Ringhiera del Gratosoglio di
Milano.
È tra i docenti dell’Accademia
Internazionale della Commedia dell’Arte
diretta da Ferruccio Soleri.
Tommaso Minniti (ll Dottor Lombardi)
Diplomato nel
1999 presso la
Scuola di Teatro
del Piccolo,
dove frequenta,
tra gli altri, i corsi
tenuti da Giorgio
Strehler, Giulia
Lazzarini, Franca
Nuti, Gianfranco Mauri e Ferruccio
Soleri, nello stesso anno ottiene una
segnalazione speciale al “Premio
Hystrio alla vocazione”. Dopo aver
partecipato a Elvira o la passione
teatrale di Jouvet, regia di Strehler, e a
Camillo. Memo 1.0: costruzione del
teatro, progetto e regia di E. Hrvatin,
“incontra” l’Arlecchino servitore di due
padroni nella stagione 1998/99
interpretando il ruolo del Dottor
Lombardi. Nel corso della carriera ha
partecipato in qualità di mimo a Così
fan tutte di Mozart, regia di Strehler, e
ha recitato in spettacoli come Il sogno
di Strindberg, Professor Bernhardi
di Schnitzler, entrambi con la regia
di L. Ronconi, I due gentiluomini di
Verona di Shakespeare, Euridice di
Jean Anouilh, Assassinio nella cattedrale
di Thomas Eliot e Romeo e Giulietta
di Shakespeare tutti diretti
da E. Petronio, Il deserto dei Tartari,
dal romanzo di Buzzati, regia
di G. De Monticelli, Questa sera si recita
a soggetto di Luigi Pirandello, regia
di M. Castri. Di recente ha partecipato al
Piccolo a La storia della bambola
abbandonata, regia di Giorgio Strehler,
ripresa da Andrea Jonasson, Madre
Coraggio e i suoi figli di Brecht, per la
regia di R. Carsen e ha letto un ciclo di
sonetti tratti dal Canzoniere di Petrarca.
Ha realizzato per il Piccolo gli spettacoli
per ragazzi Carri canovacci e maschere,
Il piccolo mondo delle maschere e
Benvenuti al Piccolo e la macchina
scenica intorno a Goldoni e alla
Commedia dell’Arte. In tv ha preso parte
al Pinocchio diretto da Alberto Sironi.
Ha partecipato alla Summer Academy
diretta da S. Braunschweig.
È tra i docenti dell’Accademia
Internazionale della Commedia dell’Arte
diretta da Ferruccio Soleri.
Stefano Onofri (Silvio)
Romano, divide
la sua passione
fra teatro,
musica e
doppiaggio.
In palcoscenico
ha lavorato, tra
gli altri, con
registi come
Bosetti (L’albergo del libero scambio
di Feydeau), Sequi (L’olimpiade di
Metastasio, Rapacità di Gorkij),
Battistoni (Gli ultimi di Gorkij), Sepe
(Accademia Ackermann e Pick
pocket, entrambi dello stesso Sepe,
Victor o i bambini al potere di Vitrac),
Maccarinelli (La fiaccola sotto il
moggio di D’Annunzio), Zeffirelli
(Sei personaggi in cerca d’autore di
Pirandello), Micol (Don Giovanni
involontario di Brancati), Scaparro
(Il teatro comico di Goldoni, Teatro
Excelsior di Cerami). Ha partecipato
all’Arlecchino servitore di due padroni
di Goldoni, regia di Strehler, recitando
in più riprese dello spettacolo e
indossando i panni di Florindo e di
Silvio (il suo ruolo attuale). Interprete di
musical accanto ad artisti come
Massimo Ranieri (Hollywood di Togni
e Morra, regia di Patroni Griffi),
Gianpiero Ingrassia e Chiara
Noschese (con entrambi in Il pianeta
proibito di Carlton, regia di Rossi
Gastaldi), presta, come doppiatore, la
propria voce all’edizione italiana di
cartoon (L’uomo ragno e Tin Tin, tra
gli altri), film e telefilm. Per il grande
schermo ha recitato in Pinocchio di
Roberto Benigni nel ruolo del burattino
Arlecchino. Il suo recital Serenata a
Roma, con il chitarrista Massimo
Antonietti, ha avuto grande successo
in Italia e negli USA.
È ora la voce di Lupin III negli omonimi
film di animazione. Il suo nuovo
spettacolo musicale L’eco der core,
inizierà a breve un tour in tutta Italia.
È tra i docenti dell’Accademia
Internazionale della Commedia dell’Arte
diretta da Ferruccio Soleri.
Giorgia Senesi (Beatrice)
Diplomata alla
Scuola del
Piccolo, debutta
nel 1992 in Faust
di Goethe, regia
di Giorgio
Strehler.
Ancora con
Strehler ha
recitato ne I giganti della montagna di
Pirandello e, dalla stagione ‘97-’98, è
stata Beatrice in Arlecchino servitore di
due padroni di Goldoni, in Italia e
all’estero; con Enrico D’Amato, ha
recitato ne Il teatro comico di Goldoni e
Il gabbiano di Cechov; con Lamberto
Puggelli ne L’avaro di Molière; diretta
da Stefano de Luca ha recitato in
Pinocchio storia di un burattino,
di Collodi e in Mamma Mammazza di
Aquilino. Ronconi l’ha diretta ne
Il sogno di Strindberg (2001) Quel che
sapeva Maisie (2002) dal romanzo di
Henry James e nella trilogia di testi
classici Prometeo incatenato di Eschilo,
Le Baccanti di Euripide, Le rane di
Aristofane (2002 e riprese). Tra gli altri
registi con cui ha lavorato, Maurizio
Scaparro (Memorie di Adriano della
Yourcenar); Karin Beier (Sogno di una
notte di mezza estate di Shakespeare);
Corrado D’Elia (Le nozze dei piccolo
borghesi di Brecht); Chérif (Materiali per
una tragedia tedesca di Antonio
Tarantino); Sergio Fantoni (Il libertino di
Eric-Emmanuel Schmitt e Giù dal
monte Morgan di Arthur Miller); Guido
De Monticelli (Mozart e Salieri e
Il convitato di pietra di Puskin).
Attualmente è impegnata in un
progetto sui Demoni di Dostoevskij per
la regia di Peter Stein.
Stefano Guizzi (Florindo, Brighella)
Classe 1970, si è
diplomato nel
1990 alla Scuola
di Teatro diretta
da Giorgio
Strehler. Ha
partecipato a
stage con Ian
McKellen,
Carolyn Carlson, Rena Miretchka,
Robert Wilson. Ha lavorato al Piccolo
Teatro di Milano con Giorgio Strehler
(Faust I e II, Arlecchino servitore di
due padroni), Robert Wilson (70
Angels on the Façade), Carlo
Battistoni (Madre Coraggio di
Sarajevo), Giuseppina Carutti (Il pozzo
dei pazzi di F. Scaldati), Roberto
Graziosi (Giorni felici nella camera
bianca… di Rocco D’Onghia), e
Stefano de Luca (Romeo e Giulietta,
Pirandello sotto le stelle, Pinocchio); al
Teatro Franco Parenti con A. R.
Shammah (I Promessi Sposi alla
prova, La vita è sogno, La cerca del
Graal); all’Hebbel Theater e alla
Schaubhüne di Berlino con Robert
Wilson (Saints and Singing di
Gertrude Stein); al Theatre Populaire
Romand con G. Zampieri (George
Dandin). Partecipa al progetto PPP
con Cristina Pezzoli, Letizia Russo e
Antonio Tarantino. Ha esperienza di
drammaturgia e di regia, con
numerosi spettacoli di teatro di strada
e teatro-ragazzi. Ha lavorato anche in
radio (con G. Bertolucci e M. Melato)
e in televisione (Imparare la Tv regia
di G. Cipollitti, L’Uomo dell’argine
di Squizzato). Nell’Arlecchino servitore
di due padroni ha ricoperto i ruoli di
Brighella, Silvio, Florindo, Pantalone e
Suggeritore. Dal 2000 partecipa al
progetto e alle attività del Villaggio
Ecologico di Granara e in particolare
del Granara Teatro Festival.
È tra i docenti dell’Accademia
Internazionale della Commedia dell’Arte
diretta da Ferruccio Soleri.
Leonardo de Colle (Florindo)
Nel 1990 si
diploma alla
Scuola di Teatro
del Piccolo con
Giorgio Strehler
e, per la regia di
quest’ultimo,
recita in
spettacoli quali
Faust di Goethe, I giganti della
montagna di Pirandello, Il campiello e
Arlecchino servitore di due padroni
(nel quale ha rivestito i ruoli di
Pantalone, Florindo, Silvio e
Suggeritore), L’isola degli schiavi di
Marivaux. Ha lavorato con importanti
registi, tra cui Cesare Lievi (The
country di Crimp, La brocca rotta
di von Kleist), Lamberto Puggelli
(Il gattopardo da Tomasi di
Lampedusa, L’avaro di Molière), Luca
Ronconi (Il sogno di Strindberg),
Robert Carsen (Madre Coraggio e
i suoi figli di Brecht) All’attività teatrale
affianca la partecipazione a diverse
produzioni televisive.
Ha tenuto corsi sulle tecniche della
Commedia dell’Arte e corsi di
recitazione presso il Teatro Nazionale
di Timisoara in Romania; per il Teatro
Stabile di Verona ha diretto un
seminario di narrazione teatrale.
Da alcuni anni si dedica anche allo
studio e all’insegnamento delle
tecniche di racconto, di recitazione e
di comunicazione per professionisti
della parola.
Sergio Leone (Florindo)
Allievo di Giorgio
Strehler alla
Scuola di Teatro
del Piccolo, è
stato diretto,
sempre da
Strehler, negli
spettacoli Faust
frammenti parte I
e parte II di Goethe, L’eccezione e la
regola e L’anima buona di Sezuan di
Brecht, Madre coraggio di Sarajevo
da Brecht, Arlecchino servitore di due
padroni di Goldoni. Ha lavorato con
Guido De Monticelli ne Le anime
morte di Gogol’, con Gigi Proietti in
Socrate di Vincenzo Cerami e con
Cesare Lievi ne Il principe costante di
Calderón de la Barca. Diretto da
Ronconi ha recitato ne Il sogno,
Infinities, Amor nello specchio,
Peccato che fosse puttana, Professor
Bernhardi. Sempre al Piccolo, ha
lavorato con Robert Carsen nello
spettacolo Madre Coraggio e i suoi
figli di Brecht. Nell’estate 2006 ha
recitato a Siracusa nello spettacolo
Ecuba di Euripide per la regia di
Massimo Castri.
Nella stagione 2008/09 ha lavorato
con Stefano de Luca in Mamma
Mammazza di Aquilino e, al Piccolo, a
Sogno di una notte di mezza estate di
Shakespeare regia di Luca Ronconi,
I pretendenti di Jean-Luc Lagarce
e Il gatto con gli stivali - Una recita
continuamente interrotta di
Tieck/Tessitore, entrambi con la regia
di Carmelo Rifici.
Enrico Bonavera
(Brighella, Arlecchino)
Allievo “di
bottega” di
Ferruccio Soleri,
con alle spalle
una formazione
nell’ambito del
teatro di ricerca ha collaborato
con l’Odin
Teatret di Eugenio Barba - svolge da
ormai tre decenni la sua attività di
attore di prosa e insegnante di teatro.
Oltre al Piccolo Teatro di Milano - con
cui è stato dal 1987 al 1990 e
successivamente dal 2000 ad oggi ha lavorato con Teatri Stabili,
Compagnie private e Cooperative, tra
cui il Teatro Stabile del Veneto,
il Teatro di Genova, il Teatro Carcano
di Milano, il Teatro della Tosse
e il Teatro dell’Archivolto di Genova,
il TAG Teatro di Venezia
e La Piccionaia - I Carrara di Vicenza.
Come attore di prosa, è stato diretto
da Strehler, Lassalle, Sciaccaluga,
Amelio, Battistoni, Soleri, Bosetti,
Conte, Gallione, Crivelli, Kerbrat,
Boso, Friedel, Hertnagl, Emiliani,
Maifredi, Damasco. Come insegnante,
43
collabora con la Scuola di Recitazione
del Teatro di Genova; con Prima del
Teatro - Scuola Europea di S. Miniato
di Pisa; con i Corsi estivi del Centro
maschere di Abano Terme, diretto da
D. Sartori con l’Accademia
Internazionale della Commedia
dell’Arte diretta da Ferruccio Soleri.
Dal 2004 è docente al DAMS di
Imperia del corso di Drammaturgia
dell’attore. Ha tenuto Corsi per il
Teatro all’Avogaria di Venezia, per il
Teatro Stabile del Veneto, per il Teatro
Ateneo dell’Università La Sapienza di
Roma, per l’ENSATT di Lione, per lo
Studium Actoris di Fredrikstat
(Norvegia), all’Università di Rio de
Janeiro, al Centro Int. di Teatro di
Figura “Odradek” in collaborazione
con l’Università di Toulouse, l’ISTA
diretta da Eugenio Barba presso il
Teatro Potlach di Fara Sabina. Nel
1996 è stato premiato al Festival di
Borgio Verezzi, come miglior attore
non protagonista per la sua
interpretazione di Arlecchino ne I due
gemelli veneziani di Goldoni, regia di
G. Emiliani. Nel 2007 al Festival
“Mantova Capitale Europea dello
spettacolo” è stato insignito
dell’Arlecchino d’Oro, premio già
assegnato, tra gli altri, a Marcel
Marceau, Dario Fo, Ferruccio Soleri.
Alessandra Gigli (Smeraldina)
Si diploma nel
1996 presso la
Scuola del
Piccolo Teatro
diretta da Giorgio
Strehler, dopo
aver frequentato
la Scuola
Regionale per
Attori di Prosa della città di Latina.
Il suo debutto in teatro risale al 1991,
anno in cui è protagonista di
Interrogatorio a Maria di Giovanni
Testori regia di Walter Manfré. Tra gli
allestimenti cui prende parte negli anni
successivi, vi sono I Canti Randagi,
spettacolo musicale con intermezzi di
prosa, e V Canto dell’Inferno a cura di
Giuseppina Carutti, Prima della guerra
di Giuseppe Manfridi, regia di Andreas
Rallis, Peter Pan di Luca De Bei, regia
di Alessandro Fabrizi, e Musical dello
stesso Fabrizi, premiato al Festival dei
Corti teatrali al Teatro Vittoria di Roma.
Dal 2001 è Smeraldina nell’Arlecchino
servitore di due padroni di Goldoni,
regia di Giorgio Strehler. Alla passione
per il teatro, unisce quella per il canto,
dal folk al jazz, collaborando da diversi
anni con vari gruppi musicali.
Ha lavorato anche per la televisione e
per la pubblicità.
44
Francesco Cordella
(Capocameriere, Facchino)
Napoletano, si
diploma nel 1993
presso la Scuola
del Piccolo
Teatro di Milano.
Prende parte ad
alcuni storici
spettacoli
strehleriani: Faust
di Goethe, I giganti della montagna di
Pirandello, Arlecchino servitore di due
padroni di Goldoni e La grande magia
di Eduardo De Filippo, regia di Strehler
ripresa da Carlo Battistoni. Sempre al
Piccolo, lavora, diretto da Stéphane
Braunschweig, nel Mercante di
Venezia di Shakespeare e collabora
all’animazione del “Festival dei
bambini”. Nel 1996 incontra Robert
Wilson e partecipa a vari allestimenti
da lui diretti, come TSE - The waste
lande di Eliot, al Festival di Weimar,
Saints and singing di Gertrude Stein,
presso l’Hebbel Theater e la
Schaubhüne di Berlino, 70 Angels on
the Façade al Piccolo Teatro di
Milano, Doktor Caligari di Weine
presso il Deutsches Theater di Berlino.
Nella stagione 2000/2001 è scritturato
dal Burgtheater di Vienna per la
produzione Mit leidenshaften ist nicht
zu spassen diretta da Karin Beier e
tratta da Questa sera si recita a
soggetto di Pirandello. Nel 2003
scrive, realizza e produce lo
spettacolo teatrale La lezione di
matrimonio tratto da Cechov e
Ionesco e andato in scena a Verona.
Nel 2006 partecipa a Madre Coraggio
e i suoi figli diretto da Robert Carsen
al Piccolo Teatro di Milano.
Successivamente interpreta il ruolo di
Zeus nell’Anfitrione di Plauto con
Oreste Lionello. Nel 2009 ha
partecipato allo spettacolo Donne,
velocità, pericolo di e con Edoardo
Sylos Labini.
Diplomato in solfeggio al
conservatorio di Napoli è autore
musicale e musicista.
È tra i docenti dell’Accademia
Internazionale della Commedia dell’Arte
diretta da Ferruccio Soleri.
Giulia Valenti
(Cameriere/Clarice)
Diplomata nel
2005 alla scuola
del Piccolo con
Luca Ronconi, ha
preso parte,
ancora nel
periodo degli
studi, alle
principali
produzioni ronconiane al Piccolo, tra
cui Prometeo incatenato di Eschilo,
Infinities di Barrow, Baccanti di
Euripide, Rane di Aristofane. Sempre
diretta da Ronconi, è stata
protagonista di Soldati di Lenz. Ha
recitato ne La Calandria di Bernardo
Dovizi da Bibbiena, progetto di
Ronconi e regia di Marco Rampoldi.
Con la regia di Caterina Simonelli, ha
intepretato Visioni di Shakespeare, da
Sogno di una notte di mezza estate.
In seguito ha collaborato con
Gli Incauti - Liberassociazione teatrale
in Nuvole di Aristofane, regia di
Simone Toni.
Nel 2007 è entrata a far parte della
compagnia di Arlecchino servitore di
due padroni.
Giorgio Sangati
(Suggeritore/Cameriere)
Diplomato nel
2005 alla scuola
del Piccolo con
Luca Ronconi,
segnalato al
Premio Hystrio
premio alla
vocazione
teatrale, da
studente ha recitato in diverse
produzioni del Piccolo, tra cui
La vaccaria di Ruzante (regia di
Gianfranco de Bosio), Infinities di
Barrow, Rane di Aristofane, Soldati di
Lenze tutti diretti da Ronconi.
Ha partecipato a Madre Coraggio e i
suoi figli di Brecht, allestito da Robert
Carsen al Piccolo. Tra gli spettacoli più
recenti in cui ha lavorato, La Calandria
di Dovizi da Bibiena, per la regia di
Marco Rampoldi, su progetto di Luca
Ronconi, Il mercante di Venezia
di Shakespeare, diretto da Luca
De Fusco, Arlecchino racconta
(al Piccolo) regia di Stefano de Luca,
La strage di Parigi di Marlowe
con la regia S. Tomassini, Visioni di
Shakespeare con la regia di Caterina
Simonelli e I bagni di Abano di Carlo
Goldoni regia di Giuseppe Emiliani.
Nel 2007 è entrato a far parte della
compagnia di Arlecchino servitore di
due padroni. Nel 2008 è stato
segnalato come regista-drammaturgo
al premio “Giovani Realtà del Teatro di
Udine”. Al cinema ha lavorato con
Marco Tullio Giordana per Sangue
pazzo e con Renato De Maria per La
prima linea.
È tra i docenti dell’Accademia
Internazionale della Commedia dell’Arte
diretta da Ferruccio Soleri.
Matteo Romoli (Cameriere)
Allievo di Luca
Ronconi - si è
diplomato presso
la Scuola di
Teatro del
Piccolo nel 2005
- ha poi
frequentato,
sempre con
Ronconi, la scuola di perfezionamento
del Centro Teatrale Santa Cristina. Ha
preso parte agli spettacoli Riccardo III
di Shakespeare, regia Á. Schilling,
Il bugiardo di Goldoni, regia G. Bosetti
e, con Luca Ronconi, Infinities di
J. Barrow, Memoriale da Tucidide di
E. Siciliano, Le rane di Aristofane,
I soldati di J. Lenz (coprotagonista).
Ha recitato anche nell’Arlecchino di
Giorgio Strehler, in Madre Coraggio
e i suoi figli con Robert Carsen e nella
Calandria di Dovizi da Bibbiena
(progetto di Luca Ronconi, regia
di M. Rampoldi). Ancora con Ronconi
ha recitato ne Il ventaglio di Goldoni.
Al cinema, ha preso parte al recente
film Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee.
Camilla Semino Favro (Cameriere)
Diplomata nel
2008 alla Scuola
di Teatro del
Piccolo diretta
da Luca
Ronconi, come
allieva, ha
partecipato a
produzioni del
Piccolo quali La Piovana di Ruzante,
La Turandotte di Gozzi (regia
Gianfranco de Bosio) Gl’Innamorati di
Goldoni, regia Massimo De Francovich,
Il misantropo di Molière, regia Enrico
D’Amato. De Bosio l’ha diretta anche
in scene tratte da Romeo e Giulietta e
La dodicesima notte di Shakespeare.
Ha recitato in Se questo è un uomo di
Primo Levi, regia Lorenzo Costa e La
nave dei folli, regia Enrico Bonavera.
Sotto la guida di E. Evtushenko e G.
de Bosio, ha intepretato Le laudi
di J. Da Todi. Nel 2008 è entrata nella
compagnia dell’Arlecchino Servitore di
due padroni.
Gianni Bobbio (Chitarra)
Chitarrista
polistrumentista,
compositore e
arrangiatore, ha
collaborato, sia
in sala di
incisione sia in
concerti dal
vivo, con artisti
come Nicola di Bari, Fausto Papetti,
Fausto Leali, Johnny Sax, Gil
Ventura, Bob James, Mina, Mia
Martini, Ornella Vanoni, Iva Zanicchi,
Al Bano e Romina Power, Fred
Buongusto, Alice, Giorgio Gaber,
Franco Battiato e Loredana Berté.
A suo nome ha pubblicato gli album
Top 1 - Top 2 e otto album per la
collana musicale Una chitarra per
sognare (col nome d’arte di Bobby
Johns). Con lo pseudonimo di Xshar
ha realizzato un CD di musica New
Age Celtic Tales. In teatro ha lavorato
con Giorgio Strehler, Walter Chiari,
Lando Buzzanca e Nino Manfredi.
Nel 2008 ha scritto le musiche per lo
spettacolo Il piccolo mondo delle
maschere, prodotto dal Piccolo
Teatro e diretto da Tommaso Minniti.
È autore di colonne sonore per la
televisione, come la sigla per
l’UNICEF, Montana, Carnaby Street e
Calimero, e di numerosi jingles
pubblicitari.
Nel 2005 è stato il primo classificato
al premio D’Anzi. Una sua canzone
ha partecipato all’edizione 2008
dell’Ambrogino d’oro.
Franco Emaldi (Tromba)
La Musica come
“stile di vita” e la
Tromba come
mezzo di
espressione…
Sensibilità,
duttilità e
preparazione gli
consentono di
affrontare un’intensa attività musicale
e trombettistica fin dai primi anni ‘90.
Diplomato dal 1985 abbina alla
formazione classica una preparazione
moderna e jazzistica.
Le varie esperienze professionali lo
portano a viaggiare molto entrando
in contatto con differenti espressioni
che lo arricchiscono musicalmente e
tecnicamente, dalla New York
jazzistica alla latina Miami, passando
per i Caraibi fino al Brasile. Dal 1999
collabora con il Piccolo Teatro di
Milano.
Paolo Mattei (Tromba)
Lavora nello
spettacolo
Arlecchino
servitore di due
padroni per il
Piccolo Teatro di
Milano dal 1998.
Francesco Mazzoleni
(Trombone)
Si è diplomato in
trombone presso
l’Istituto Musicale
“G. Donizetti”,
sotto la guida del
M° G. Corsini.
Ha poi
partecipato a
masterclass
tenute da strumentisti di fama
internazionali quali J. Friedman,
M. Mulcahy, C. Vernon (trombonisti
della Chicago Simphony Orchestra);
J. Alessi (Trombone principale della
New York Simphony Orchestra);
A. Conti; Rex Martin (docente della
Northwestern University di Chicago).
Ha collaborato con: Orchestra del
Teatro alla Scala, I Solisti Veneti,
Orchestra sinfonica RTI della Radio
Svizzera, Teatro G. Verdi di Trieste,
Teatro San Carlo di Napoli, Orchestra
Sinfonica G. Verdi di Milano, Orchestra
A. Toscanini di Parma, Orchestra
Sinfonica di Sanremo, Orchestra della
Rai di Milano, Orchestra Nazionale
della Rai di Torino, Orchestra del Teatro
G. Verdi di Parma, Orchestra
Filarmonica Italiana, Orchestra Cantelli
di Milano, Orchestra Città di Ferrara,
Orchestra del Veneto di Padova e con
diversi gruppi da camera. Nel 2003 ha
eseguito, in prima nazionale, il concerto
a lui dedicato dal compositore
G. Bobbio TrombonSuite per
trombone solista e orchestra fiati.
Collabora regolarmente con l’Orchestra
dei Pomeriggi Musicali, Orchestra
Haydn di Bolzano, Orchestra Stabile di
Bergamo. Dal 1992 collabora con il
Teatro Arena di Verona per il festival
estivo e per tournée. Dal 1997 fa parte
della compagnia del Piccolo Teatro di
Milano e con lo spettacolo Arlecchino
servitore di due padroni ha compiuto
tournée in tutta Europa ma anche in
Giappone, Colombia, Egitto, Cina,
Israele, Russia, Corea.
Elisabetta Pasquinelli
(Flauto, ottavino)
Nata a Livorno
nel 1981, ha
studiato presso
l’Istituto
Musicale “Pietro
Mascagni” della
sua città, dove,
nel 2003, si è
diplomata in flauto con il massimo dei
voti e nel 2006 in Jazz. Si perfeziona
in flauto e ottavino presso il “Maggio
Musicale Fiorentino”. È attiva nella
musica classica sia come solista sia
come flauto e ottavino in orchestra ed
in formazioni di musica da camera.
Fa inoltre parte dell’Orchestra
“Toscana Jazz”, con la quale spazia
dal jazz alla musica leggera. Sin
dall’inizio degli studi musicali ha
coltivato la passione per il teatro,
suonando e componendo musiche in
spettacoli teatrali. È iscritta inoltre al
corso di laurea Cinema Musica Teatro
dell’Università di Pisa, facoltà di
Lettere. Collabora con il Piccolo Teatro
di Milano, in qualità di flautista e
ottavinista nello spettacolo teatrale
Arlecchino servitore di due padroni
dall’aprile 2006.
45
Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa
Il Piccolo Teatro
Fondato il 14 maggio del 1947 da
Giorgio Strehler, Paolo Grassi e
Nina Vinchi, il Piccolo Teatro di
Milano è il primo Teatro Stabile
italiano.
“Teatro d’Arte per Tutti” era lo
slogan che accompagnava il
Piccolo alla sua nascita e che
anche oggi ne riassume
pienamente le finalità: portare in
scena spettacoli di qualità
indirizzati a un pubblico più ampio
possibile. Il Piccolo gestisce tre
sale: la sede storica di via Rovello
(560 posti), ribattezzata Teatro
Grassi (attualmente in
ristrutturazione), lo spazio
sperimentale del Teatro Studio
(420 posti) e la nuova sede che
oggi porta il nome di Giorgio
Strehler di 960 posti.
Dal 1991 è Teatro d’Europa.
In sessantadue anni di attività,
il Piccolo ha rappresentato oltre
280 spettacoli, 200 dei quali diretti
da Giorgio Strehler,
di autori quali Shakespeare,
Goldoni, Brecht, Cechov,
Pirandello e Goethe. Con
il passaggio del testimone a
Sergio Escobar e a Luca Ronconi,
dopo la morte di Strehler,
avvenuta nel ‘97, il Piccolo ha
accentuato la propria dimensione
internazionale e interdisciplinare,
candidandosi quale ideale polo
culturale cittadino ed europeo. Sui
suoi palcoscenici si alternano
prosa, danza, opera lirica, cinema,
tavole rotonde e incontri di
approfondimento culturale.
Per quanto riguarda la dimensione
Il Piccolo dal 1947 ad oggi
Spettacoli allestiti
290
Attori scritturati
1.689
Recite a Milano
12.935
Recite in Italia
7.076
Edizioni Piccolo Teatro di Milano - Teatro
d’Europa.
Direttore editoriale Giovanni Soresi.
A cura di Eleonora Vasta.
Progetto grafico Emilio Fioravanti, G&R
Associati.
Elaborazione grafica Davide Notarantonio
Realizzazione grafica copertina Silvia Finotti.
Foto Diego e Luigi Ciminaghi.
46
Gli altri spettacoli di Carlo
Goldoni al Piccolo Teatro
internazionale, il Piccolo è stato in
tournée in tutti i paesi del mondo,
dalla Russia agli Stati Uniti, dalla
Cina al Giappone, dall’Europa al
Nord Africa. Soltanto negli ultimi
dieci anni, gli spettacoli del Piccolo
sono stati ospitati in 220 città del
mondo, per un totale di 1.400
recite e un milione di spettatori.
Con le produzioni che ha allestito
al Piccolo, Luca Ronconi ha
proseguito il proprio itinerario di
ricerca, proponendo classici come
Calderón de la Barca, Strindberg,
Goldoni, John Ford, Eschilo,
Euripide, Shakespeare, tra gli altri,
alternati ad autori meno frequentati
come Schnitzler, Hermann Broch
o il contemporaneo Jean-Luc
Lagarce, accanto alle versioni per
la scena di celebri romanzi di
Nabokov ed Henry James, fino
allo spettacolo tratto da cinque
scenari sull’infinito (Infinities) del
matematico inglese John D.
Barrow. Ogni anno,
continuativamente a partire dal
‘99, la prima edizione fu dedicata
a Strehler, il Piccolo organizza il
Festival del Teatro d’Europa, che
ha ospitato artisti come Peter
Brook, Eimuntas Nekrosius,
Robert Lepage, Lev Dodin, Lluís
Pasqual, Ingmar Bergman, Julio
Bocca, Ute Lemper, Simon
McBurney, Edward Hall.
Dall’86 il Piccolo gestisce anche
una scuola di teatro, fondata da
Giorgio Strehler e oggi diretta da
Luca Ronconi, che ha diplomato
in questi anni oltre 160 attori
professionisti.
Recite all’estero
Totale recite
1.897
21.908
(elenco al 14 aprile 2009)
Hanno collaborato:
Silvia Colombo, Archivo Fotografico del
Piccolo Teatro di Milano.
Franco Viespro, Archivio Storico del
Piccolo Teatro di Milano.
Katia Cusin, Mario Macchitella (redazione).
Livia Cavaglieri.
pubblicità A.P. Milano, tel. 02/866.152
Stampa Grafica C&P s.r.l., Osnago (Lc)
marzo 2009.
La putta onorata
regia Giorgio Strehler, scene Gianni
Ratto, costumi Ebe Colciaghi
Venezia, Campo S. Trovaso
(XI Festival Internazionale del Teatro),
20 luglio 1950
Gli innamorati
regia Giorgio Strehler, scene Gianni
Ratto, costumi Ebe Colciaghi
Piccolo Teatro, 8 ottobre 1950
L’amante militare (insieme a
Il medico volante di Molière)
regia Giorgio Strehler,
scene di Mischa Scandella,
costumi Ebe Colciaghi
Piccolo Teatro, 27 ottobre 1951
La vedova scaltra
regia Giorgio Strehler, scene Fabrizio
Clerici, costumi Leonor Fini
Venezia, Teatro La Fenice (XIV Festival
internazionale del teatro),
7 ottobre 1953
La trilogia della villeggiatura
regia Giorgio Strehler, scene Mario
Chiari, costumi Maria de Matteis
Piccolo Teatro, 23 novembre 1954
La casa nova
(per il Teatro di Venezia)
regia Carlo Lodovici
scene e costumi Ezio Frigerio
Bergamo, Teatro Donizetti,
5 gennaio 1956
La famiglia dell’antiquario
(Teatro di Venezia) regia Orazio Costa,
scene e costumi Valeria Costa
Bergamo, Teatro Donizetti,
7 gennaio 1956
La cameriera brillante
(Teatro di Venezia), regia Carlo Lodovici,
scene e costumi Mischa Scandella
Trieste, Teatro Nuovo, 17 marzo 1956
Le donne gelose
(Teatro di Venezia), regia Carlo Lodovici,
scene e costumi Mischa Scandella
Venezia, Teatro Verde, 27 luglio 1956
Le baruffe chiozzotte
regia Giorgio Strehler,
scene e costumi Luciano Damiani
Teatro Lirico 29 novembre 1964
(seconda edizione: Siviglia, Expo ‘92,
T. Lope de Vega, 7 ottobre 1992)
Il campiello
regia Giorgio Strehler,
scene e costumi Luciano Damiani
Piccolo Teatro 30 maggio 1975
(seconda ed. Piccolo Teatro,
6 febbraio 1993)
Il teatro comico
regia Enrico D’Amato,
scene e costumi Luisa Spinatelli
Teatro Studio, 16 marzo 1994
I due gemelli veneziani
regia Luca Ronconi, scene Margherita
Palli, costumi Vera Marzot
Piccolo Teatro, Teatro Grassi,
13 marzo 2001
Il ventaglio
regia Luca Ronconi, scene Margherita
Palli, costumi Gabriele Mayer
Piccolo Teatro, Teatro Strehler,
16 gennaio 2007
Entra nell’Albo d’Oro!
Sottoscrivi una donazione al Piccolo Teatro
e vivi un anno di emozioni uniche!
L’anno passato, in occasione dei
festeggiamenti per il Sessantesimo anniversario
della sua fondazione, il Piccolo Teatro ha istituito
l’Albo d’Oro dei Sostenitori, con lo scopo
di riunire tutti coloro, privati e aziende,
che, a vario titolo e con diverse elargizioni,
vogliono sostenere e finanziare le sue attività,
in Italia e nel mondo.
Entrare a fare parte dell’Albo d’Oro
dei Sostenitori è facile!
Esistono diverse fasce di donazione:
Sostenitore Ordinari
da € 500 a € 950
Sostenitore Amico
da € 1.000 a € 2.450
Sostenitore Benemerito oltre € 2.500
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€ 30.000
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Piccolo con agevolazioni, appuntamenti unici
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conoscere le modalità di adesione, contattare
l’Ufficio Raccolta Fondi al numero
02.717241 o inviare una mail all’indirizzo
[email protected]
SOSTENITORI
BENEMERITI
SOSTENITORI
AMICI
SOSTENITORI
ORDINARI
Carlo Belgir
Fondazione Berti
Gustavo Ghidini
MarvecsPharma
Francesco Micheli
Emma Vittoria Tonolli
Gae Aulenti
Vittorio Gregotti
Pietro Ichino
Giovanni Iudica
Paolo Francesco Lazzati
Alessandro Nespoli
Nandi Ostali
Carla Piasentin Canussio
GianPietro Rausse
Marta Vacondio Marzotto
Carla Venosta Fossati
Bellani
Amici della Scala
Rosellina Archinto Marconi
Annamaria Cascetta
Lucio Dalla
Milli De Monticelli
Dario Ferrari
Piergiorgio Gattinoni
Federico e Renate Guasti
Mimma Guastoni
Maria Grazia Mezzadri
Cofano
Rosella Milesi Saraval
Tullio Pericoli
Maurizio Porro
Paolo Pototschnig
Gianbattista Stoppani
Dolores Redaelli (onorario)
(elenco aggiornato al 31 marzo 2009)
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